A zia Maria, grazie di tutto. ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITÀ DI BOLOGNA SEDE DI CESENA FACOLTÀ DI PSICOLOGIA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN NEUROSCIENZE E RIABILITAZIONE NEUROPSICOLOGICA LA MODULAZIONE SOCIALE DEI CONFINI DELLO SPAZIO PERIPERSONALE : LO SPAZIO TRA NOI Tesi di laurea in Neuroscienze affettive, cognitive e sociali RELATORE PRESENTATA DA Prof. Giuseppe Di Pellegrino Iula Carmela Sessione III Anno Accademico 2011-2012 2 INDICE Introduzione………………………………………………………………… pag.5 PARTE PRIMA Capitolo 1: Lo spazio intorno a noi 1.1. Cos’è lo spazio peripersonale? ………………………………………….. pag.8 1.2. La rappresentazione neurale dello spazio peripersonale…………............ pag.9 1.2.1. Evidenze sugli animali ……………………………………………. pag.10 1.2.2. Studi sull’uomo …………………………………………………… pag.17 Capitolo 2: Caratteristiche dello spazio peripersonale 2.1. Caratteristiche funzionali……………………………………………….. pag.25 2.1.1. Il comportamento difensivo……………………………………… pag.25 2.1.2. L’interazione con l’ambiente…………………………………….. pag.28 2.2. Caratteristiche dinamiche: uso di un tool……………………………….. pag.30 2.2.1 Specchi e ombre come tool……………………………………….. pag.34 Capitolo 3: Spazio peripersonale e interazioni sociali 3.1. Il mio spazio e quello degli altri: esperimenti sulle scimmie…………… pag.36 3.2. L’altro nel mio spazio…………………………………………………… pag.39 PARTE SECONDA 3 Capitolo 4 : Disegno sperimentale 4.1. Scopo……………………………………………………………………. pag.45 4.2. Materiali e metodo……………………………………………………..... pag.46 4.2.1. Partecipanti………………………………………………………... pag.46 4.2.2. Apparato e stimoli………………………………………………… pag.46 Capitolo 5 : Risultati 5.1. Analisi dei dati………………………………………………………….. pag.53 5.2. Discussioni……………………………………………………………… pag.56 Bibliografia…………………………………………………………………… pag.58 Introduzione Il seguente lavoro si occupa di comprendere la relazione fra le interazioni sociali e la rappresentazione dello spazio peripersonale (PPS, PeriPersonal Space), lo spazio che circonda il nostro corpo. Studi precedenti hanno dimostrato che questa rappresentazione è altamente 4 plastica, ma sono ancora poche le conoscenze relative a come le influenze sociali possono modificare la percezione dello spazio intorno a noi. L’elaborato è diviso in due parti. Nella prima, teorica, vengono riportate le caratteristiche generali dello spazio peripersonale (capitoli 1, 2, 3), mentre nella seconda, quella sperimentale, viene descritto l’esperimento comportamentale condotto su 20 soggetti sani al Centro di Neuroscienze Cognitive di Cesena (capitoli 4 e 5). Nel primo capitolo viene definito come il cervello umano rappresenta lo spazio intorno al corpo, non in maniera unitaria, ma in relazione alla porzione di spazio, lontano o vicino, occupato degli oggetti con cui interagiamo. Diversi studi hanno dimostrato che i neuroni multisensoriali rivestono un grande ruolo nella percezione di stimoli esterni più o meno vicini al corpo. Lo spazio peripersonale è quella porzione di spazio definito dal raggio di azione dei nostri arti. Vengono quindi riportate diverse evidenze sugli animali, in particolare sulle scimmie, che dimostrano come la funzione di codifica dello spazio e di atti motori nello spazio non è svolta da una singola area corticale, ma da circuiti che uniscono aree parietali ed aree premotorie, con una breve descrizione delle caratteristiche dei campi recettivi dei neuroni presenti in queste aree. Sono inoltre citati diversi studi di neuroimaging funzionale e di stimolazione magnetica transcranica (TMS) che hanno permesso di identificare, anche nell’uomo, i meccanismi neurali sottostanti il processo di integrazione di informazioni multisensoriali all’interno dello spazio peripersonale, la presenza e le caratteristiche dei neuroni bimodali e il ruolo fondamentale di alcune aree coinvolte, già individuate nella scimmia. In relazione alla dissociazione fra spazi lontani e vicini vengono riportati studi sul neglect e sull’estinzione crossmodale. Nel secondo capitolo vengono approfondite le caratteristiche della rappresentazione dello spazio peripersonale, in particolare quelle funzionali e quelle dinamiche. Le principali funzioni dello PPS sono quelle sensorimotorie di difesa e di interazione con l’ambiente esterno, quindi pianificazione e messa in atto di comportamenti di azione e reazione più adatti ad un determinato contesto. Per quanto riguarda le proprietà dinamiche, fondamentale è la plasticità della rappresentazione dello spazio. Studi sugli animali, sui soggetti sani e con neglect hanno confermato che l’uso attivo e prolungato di uno strumento per raggiungere degli oggetti, o anche del mouse del computer, può modificare i confini dello spazio peripersonale, permettendo un rimappaggio grazie al quale oggetti lontani possono essere codificati successivamente come vicini. 5 Nel terzo capitolo viene sottolineato come la codifica dello spazio si sviluppi evolutivamente per permettere le interazioni sociali, consentendo di capire la portata delle azioni altrui e ponendo dei confini all’interno dei quali è possibile interagire o conveniente muoversi. In base a quello che gli altri fanno e in base al rapporto che c’è tra due individui si decidono le modalità di azione. La presenza dell’altro nel nostro spazio peripersonale ha una forte ricaduta sulle nostre azioni e questo dipende sicuramente dai rapporti e dal legame che ci unisce. Potremmo essere infastiditi o interessati da questa presenza, che effetto può avere ciò sulla rappresentazione neurale del nostro PPS? Nel quarto capitolo viene presentato lo scopo e descritto l’apparato sperimentale con i materiali e stimoli utilizzati. Lo scopo dello studio è quello di indagare come il comportamento di una persona nei nostri confronti possa modificare la percezione dello spazio intorno a noi, quando questa ci è di fronte. Uno studio precedente di Teneggi e collaboratori ha evidenziato che, dopo un gioco economico in cui si poteva cooperare o meno con un’altra persona, la misura dei confini dello spazio peripersonale cambiava quando l’altra persona era stata nostra alleata, tanto da includerla nel nostro spazio peripersonale. Questo fenomeno però non si verificava quando l’interazione non era stata cooperativa. Per dimostrare che effettivamente i confini dello spazio peripersonale si modificano in funzione della cooperazione, abbiamo replicato l’esperimento su 20 soggetti, apportando modifiche all’apparato sperimentale, che è descritto in modo dettagliato nella seconda parte del capitolo. Nel quinto capitolo sono riportati i risultati ottenuti e l’analisi statistica effettuata. L’analisi dei tempi di risposta ad uno stimolo tattile durante un compito bimodale, prima e dopo un gioco economico con una persona posta di fronte a sé, ha confermato i precedenti risultati. Abbiamo infatti dimostrato che l’espansione dello spazio peripersonale è reale in quanto non siamo di fronte ad una velocizzazione generale dei tempi di reazione, ma abbiamo registrato una differenza significativa solo nel punto di spazio in cui si trova l’altro, nella condizione dopo rispetto a quella prima del gioco. Questo a dimostrazione del fatto che non solo la presenza di un’altra persona, ma anche la tipologia di interazione influenza la rappresentazione dello spazio peripersonale. 6 PARTE PRIMA Capitolo 1 Lo spazio intorno a noi «Lo spazio non è l’ambito, reale o logico, in cui le cose si dispongono, ma il mezzo in virtù del quale diviene possibile la posizione delle cose» (Merleau-Ponty, 1945. La fenomenologia della percezione, p. 326). 1.1 Cos’è lo spazio peripersonale? Quando interagiamo con il mondo esterno è necessario che le rappresentazioni del nostro corpo e delle sue parti si integrino con quelle degli oggetti nello spazio. La percezione del mondo esterno, anche se apparentemente sembra unitaria, in realtà è il frutto dell’elaborazione di informazioni provenienti da diversi porzioni di spazio. Lo spazio è quindi definito 7 personale, quando ricopre tutta la superficie corporea del soggetto, peripersonale riferendosi allo spazio che circonda il corpo e ne definisce il campo di azione, oppure extrapersonale che è invece quello lontano e non raggiungibile dagli arti (Làdavas & Serino, 2008). È facile quindi intuire che l’elaborazione di oggetti presenti nello spazio peripersonale sarà più complessa e completa rispetto a quella che avviene per stimoli che si trovano nello spazio extrapersonale, poiché nella prima entrano in gioco le informazioni derivanti da tutti i canali sensoriali quali il gusto, il tatto, l’olfatto oltre che la vista e l’udito, le quali entrano in gioco anche nel processamento di stimoli presenti nello spazio lontano. L’integrazione multisensoriale quindi fa sì che il soggetto possa localizzare e riconoscere uno stimolo pericoloso o meno integrando le informazioni visive, acustiche, olfattive che riceve nel suo spazio peripersonale (PPS) con quelle corporee come le tattili o le propriocettive. Ma come fa il cervello a integrare tutte queste informazioni? 1.2. La rappresentazione neurale dello spazio peripersonale. Diversi studi hanno dimostrato la presenza di neuroni che integrano le diverse informazioni sensoriali sia negli animali che negli uomini. Questi neuroni possono essere bimodali o anche trimodali e quindi rispondere contemporaneamente a stimoli provenienti da due o più canali sensoriali diversi. Una delle più alte concentrazioni di neuroni multisensoriali si trova negli strati profondi del collicolo superiore (King & Palmer, 1985). Esistono tre principi alla base di questa integrazione multisensoriale e sono stati studiati, ad esempio, nei ratti (King & Palmer, 1985) soprattutto per quanto riguarda l'interazione tra stimoli visivi e uditivi. Un primo principio riguarda le caratteristiche spaziali degli stimoli (la cosiddetta regola spaziale). Secondo questo principio, per esserci integrazione, e quindi migliorare la risposta del neurone bimodale, gli stimoli devono provenire dalla stessa posizione spaziale. La distanza angolare massima che può separare i due stimoli, ad esempio visivo ed uditivo, facilitando l’integrazione multisensoriale, dipende dalla dimensione dei campi recettivi visivo e uditivo, questi ultimi più grandi rispetto ai visivi (Jay & Sparks, 1987). Lo stimolo uditivo quindi ecciterà i neuroni in una regione di grandi dimensioni, compresa quella visiva. Un secondo aspetto cruciale dell'integrazione multisensoriale riguarda il tempo dell’esperienza sensoriale (la regola temporale). Per far sì che ci sia integrazione, la distanza temporale tra i due stimoli non deve superare i 300 ms, l’intervallo ottimale sarebbe quello di 100 ms. L’ultimo principio riguarda la natura della risposta multimodale (detta regola dell’efficacia inversa). La risposta combinata agli stimoli è molto di più della semplice somma delle singole risposte e la facilitazione risulta essere migliore quando vengono combinati due stimoli deboli rispetto a 8 due stimoli forti. Per esempio, anche quando i singoli stimoli visivi e uditivi non ottengono risposta, la loro combinazione diventa efficace e produce una risposta sorprendentemente vigorosa. In sintesi questa ultima regola afferma che, meno una singola informazione è efficiente più sarà forte l’integrazione. 1.2.1 Evidenze sugli animali Diversi studi, in particolare sui macachi, hanno evidenziato la presenza di neuroni che combinano segnali visivi/uditivi con quelli tattili per codificare gli stimoli che riceviamo intorno al nostro corpo, anche in base alla nostra postura. Stimoli visivi e tattili vengono inizialmente processati in diverse regioni del cervello e le posizioni di questi stimoli sono registrate in accordo con i diversi quadri di riferimento (retinocentrici per la vista e somatocentrici per il tatto). Questi segnali convergono nelle regioni associative del cervello, come le cortecce parietali e premotorie, per formare rappresentazioni multisensoriali dello spazio, arricchendo le informazioni unisensoriali grazie a feedback dalle aree fronto-parietali. La funzione di codifica dello spazio e di atti motori nello spazio, quindi, non è svolta da una singola area corticale, ma da circuiti che comprendono aree parietali ed aree premotorie. Neuroni premotori in F4 e F5 In uno studio del 1997 Graziano e collaboratori hanno studiato le proprietà multisensoriali della corteccia premotoria ventrale dei macachi. La corteccia premotoria è deputata alla pianificazione e all’esecuzione dei movimenti, proietta direttamene alla corteccia primaria (M1) ed è collegata con il midollo spinale. Riceve proiezioni dalle aree somatosensoriali secondarie SII e area 5, dalle aree visive 7 a (nel lobo parietale), area intraparietale laterale (LIP), area intraparietale ventrale (VIP) area temporale superiore mediale (MST) che proiettano tutte alla 7b (la porzione ventrale della corteccia parietale posteriore), le proiezioni visive sono rivolte maggiormente alla porzione ventrale (PMv). I neuroni di quest’area, come già detto, sono neuroni bimodali che rispondono sia agli stimoli tattili che a quelli visivi. I campi recettivi tattili sono organizzati topograficamente: le braccia medialmente, la faccia al centro e la bocca lateralmente. Questo vuol dire che tali neuroni bimodali si attivano selettivamente in presenza di oggetti presentati in prossimità delle diverse parti del corpo (braccia, gambe e bocca) ovvero dei rispettivi campi recettoriali somatosensoriali, codificando 9 essenzialmente lo spazio peripersonale intorno alle specifiche parti del corpo. I neuroni bimodali sono maggiori a livello dell’area F4 che corrisponde alla parte posteriore della PMv. Nella figura 1 sono riportate in modo schematico le aree sopra citate, nel cervello di un macaco. Fig. 1.Sezione mesiale e laterale del cervello del macaco con la parcellizzazione citoarchitettonica della corteccia frontale e agranulare della corteccia parietale posteriore. Le aree motorie sono definite secondo Matelli e collaboratori (1985, 1991). La terminologia utilizzata deriva da quella utilizzato da Von Economo per la corteccia umana che indica tutte le aree frontali, comprese quelle motorie, con la lettera F, i numeri invece identificano le varie aree. Tutte le aree parietali ad eccezione di quelle all'interno del solco intraparietale sono definite in base alla terminologia usata da Pandya e Seltzer (1982). Le aree situate all'interno del solco intraparietale (IP) sono definite secondo i dati fisiologici e sono mostrati in una vista dispiegata del solco nella parte più bassa della figura. Sulla base dei dati disponibili, sono riportate le rappresentazioni delle varie parti del corpo. Nella corteccia prefrontale è definito anche il campo oculare frontale (FEF) sempre secondo criteri fisiologici. Il solco arcuato superiore (AS), solco arcuato inferiore (AI) e la fossetta inferiore precentrale sono disegnati in blu, rosso e verde, rispettivamente. AG, giro angolare. C, solco centrale. Ca, scissura calcarina. Cg, solco cingolato. IO, solco occipitale inferiore. L, fessura laterale. Lu, solco semilunare. OT, solco occipitotemporale. P, solco centrale. OP, solco parieto-occipitale. ST, solco temporale superiore. Fonte: Rizzolatti et al. (1998) Electroencephalography and clinical Neurophysiology 106 283–296 pag 285. Esperimenti di microstimolazione elettrica intracorticale e di registrazione hanno evidenziato che la corteccia premotoria ventrale (area F4) è paradigmatica fra le mappe spaziali relative ai movimenti scheletrici. In questa zona, la maggior parte dei neuroni scarica in associazione 10 con i movimenti della testa o il braccio. Un' altra proprietà sorprendente è che il campo recettivo visivo dei neuroni F4 rimane ancorato alla parte del corpo su cui si trova il campo recettivo tattile, indipendentemente dalla posizione degli occhi. In uno studio del 1996 Fogassi e collaboratori hanno provato a dare una descrizione dettagliata dei campi recettivi dei neuroni in F4 di due macachi, registrando l’attività di 539 di essi. Alle scimmie venivano presentati stimoli statici (una piccola luce) e in movimento (guidati da un braccio robotico). Manipolando il punto di fissazione nel corso dell’esperimento, era possibile studiare se il campo recettivo era organizzato secondo le coordinate retiniche o somatiche. Inoltre, con il controllo preciso della posizione dello stimolo e della velocità di spostamento era possibile determinare la profondità dei campi recettivi e la velocità d’espansione. In accordo con quanto detto sopra, i risultati di questo studio hanno mostrato chiaramente come i campi recettivi dei neuroni che si trovano in F4 sono organizzati in coordinate centrate sul corpo restando ancorate alla testa (mentre quelle retiniche seguono i movimenti oculari). Inoltre, il 56% dei neuroni che si trovano in F4 sono bimodali. La figura 2 mostra come i campi recettivi visivi sono localizzati intorno a quelli tattili, in dimensioni e proporzioni diverse. In sintesi, a livello di queste aree premotorie nella scimmia il campo recettivo visivo opera in un sistema di coordinate centrato sulla parte del corpo in cui si trova quello tattile, rimanendovi ancorato anche quando quella parte del corpo si muove e indipendentemente da movimenti oculari. Per dimostrare ulteriormente che questi neuroni sono indipendenti dalla posizione degli occhi, Fogassi e collaboratori hanno registrato l’attività di neuroni delle scimmie anche in posizioni diverse nella stanza dell’esperimento, per eliminare l’effetto di apprendimento ambientale. 11 Fig 2. Campi recettivi tattili e visivi di neuroni bimodali in F4. I numeri indicano le sigle dei vari neuroni studiati, l’area evidenziata indica il campo recettivo tattile mentre il solido quello visivo. Fonte: Fogassi e coll. 1996, Journal of Neurophysiology vol 76, 144. La figura 3 mostra l’attività di un neurone bimodale in rapporto alla presenza dello stimolo nel campo recettivo visivo. Nel pannello A1 e A2 della figura 3 si può osservare che il neurone risponde quando lo stimolo entra nel campo recettivo visivo del neurone della scimmia, a prescindere dalla direzione dello sguardo, mentre rimane silente (vedi pannello B1 e B2) quando lo stimolo viene presentato al di fuori del campo recettivo (Fogassi et al., 1996). In un’altra condizione la scimmia veniva posizionata con il busto ruotato di 30° così come il punto di fissazione. Nonostante questo cambiamento di coordinate allocentriche la risposta del neurone non si differenzia dalla condizione A1. Nella stessa rassegna ci sono poi ulteriori prove dell’entità dell’ espansione dei campi recettivi in base alla velocità di spostamento dello stimolo. Tutti questi effetti non potevano essere spiegati dai movimenti della scimmia, ma venivano interpretati in base alle caratteristiche dell’organizzazione dei campi recettivi dei neuroni bimodali. 12 Fig 3. Attività di un neurone bimodale in presenza di uno stimolo visivo. Il campo tattile è sull’emivolto, il campo visivo è ancorato al campo tattile ed evidenziato in grigio. La freccia indica la direzione dello stimolo visivo. La linea tratteggiata e l’asterisco indicano la direzione dello sguardo e il punto di fissazione della scimmia. L’istogramma indica la risposta del neurone alla presentazione dello stimolo visivo. Fonte: Fogassi et al. 1996, Journal of Neurophysiology vol 76, 144. Inizialmente sembrava che solo gli stimoli in movimento attivassero risposte in F4. In realtà, con uno studio condotto nel 1997 da Graziano, Hu e Gross è stato dimostrato che in realtà molti neuroni in F4 scaricano anche alla semplice presentazione di oggetti all'interno dello spazio peripersonale della scimmia e in più anche quando essi vengono ritirati e la scimmia li crede ancora vicini al suo corpo, perché ignara dell’allontanamento. Sembra quindi che la rappresentazione dello spazio nella corteccia premotoria possa essere generata non solo come conseguenza di una stimolazione esterna, ma anche internamente sulla base di un’esperienza precedente. Fogassi e collaboratori (1996) hanno proposto due ipotetiche spiegazioni che possono spiegare la natura di questa rappresentazione. Una considera l’aspetto sensoriale come dominante (ipotesi visiva), e sostiene che l’informazione visiva serva per costruire, a livello della corteccia parietale, una mappa spaziale unitaria necessaria per la generazione dei programmi motori. Se così fosse bisognerebbe però anche spiegare perché il sistema visivo analizzi a fini percettivi lo spazio peripersonale in maniera diversa da quello extrapersonale, 13 anche quando stimoli provenienti da questi due settori cadono nella stessa posizione retinica. Abbiamo infatti visto che è stato dimostrato come i campi recettivi visivi non sono codificati in coordinate retiniche (come ci si aspetterebbe secondo l’ipotesi visiva), ma sono ancorati all’effettore corporeo, indipendentemente dalla posizione in cui l’occhio sta osservando, o alla posizione dell’effettore rispetto al resto del corpo (Fogassi et al., 1996). Per esempio un neurone di F4 scaricherà quando un oggetto viene avvicinato alla mano e la tocca, indipendentemente dal fatto che il soggetto la stia osservando o stia guardando in un’altra direzione. I campi recettivi, inoltre, non sono codificati in un sistema di riferimento unico (in prospettiva egocentrica unitaria), ma sono piuttosto ancorati a singoli effettori motori (campo recettivo mano-centrico, nel nostro esempio). È stato quindi ipotizzato (ipotesi motoria) che i neuroni bimodali non codificano la posizione di uno stimolo in termini sensoriali astratti, ma secondo gli atti motori potenziali necessari per andare a raggiungere un oggetto nello spazio con uno specifico effettore. Ad esempio, il “nostro” neurone potrebbe scaricare in maniera ottimale durante movimenti del braccio tali per cui un oggetto, posto in una certa regione dello spazio, attraversi il campo recettivo peri-mano fino a toccare il campo recettivo tattile posto sulla mano stessa. Questo meccanismo quindi, oltre ad essere fondamentale per la programmazione ed esecuzione del movimento, ci permetterebbe di percepire in modo diretto e inconscio lo spazio intorno a noi. Ad oggi non ci sono certezze sulla validità delle due ipotesi, ma quella motoria sembra essere la più probabile. A favore dell’ipotesi visiva vi è lo stretto legame temporale tra la presentazione dello stimolo e la scarica del neurone, la costanza della risposta e la presenza del campo recettivo visivo. Gli autori specificano come l’ipotesi visiva, presupponendo uno spazio a tre dimensioni, euclideo, in realtà non ci dice nulla perché quest’ultimo esclude la variabile del tempo. Poiché un gruppo di neuroni, se attivato, specifica la posizione dell'oggetto nello spazio, indipendentemente dalla stimolazione della dimensione temporale, la predizione è che la mappa spaziale espressa da un'organizzazione del campo recettivo visivo è sostanzialmente statica. Per quanto riguarda invece l’ipotesi motoria c’è da dire che la F4 è un'area premotoria collegata direttamente alla corteccia motoria primaria, invia proiezioni al midollo spinale e la sua microstimolazione intracorticale evoca movimenti di alcune parti del corpo, tutto ciò suggerisce che quest’area possa contenere schemi motori per portare gli arti verso porzioni specifiche di spazio. Inoltre poiché il tempo è inerente al movimento, la mappa spaziale può avere proprietà dinamiche che possono variare in base alla posizione spaziale. Fogassi e collaboratori forniscono evidenze in merito dimostrando come l’estensione del campo recettivo di neuroni F4 in profondità avvenga maggiormente quando aumenta la velocità di avvicinamento dello stimolo. Inoltre, nella corteccia premotoria ventrale vi è un'altra area funzionale (area F5) 14 relativa alla trasformazione dei movimenti della mano in base agli oggetti piuttosto che allo spazio, in relazione con movimenti della testa o del braccio. Gli esperimenti in cui sono stati confrontati la figura dell'oggetto (ipotesi visiva) e l'oggetto da afferrare (ipotesi motoria) mostrano che le risposte evocate dalla presentazione dell’oggetto correlano meglio con il modo in cui gli oggetti devono essere afferrati piuttosto che con gli aspetti pittorici. Anche quest’evidenza sottolinea come gli oggetti in F5 sembrano essere descritti più in termini motori che visivi; se si ammette che questo sia il funzionamento nella corteccia premotoria ventrale si può dare una simile interpretazione anche per i neuroni in F4. Ad ogni modo l'interpretazione motoria offre una migliore, o almeno più semplice, spiegazione per la posizione spaziale di campi recettivi intorno al corpo. Se fosse valida l’ipotesi visiva, si dovrebbe postulare un sistema visivo ad hoc per eliminare le informazioni visive provenienti dai punti fuori spazio peripersonale. Invece le proprietà tridimensionali dei campi recettivi motori risolvono questa questione in modo più semplice (Rizzolatti et al.,1997). L’esistenza di due modi diversi di codificare lo spazio, con il controllo oculare per lo spazio lontano e con quello motorio-somatico per quello vicino è in accordo anche con le ricerche che nell’uomo indagano le diverse basi anatomiche che sottendono queste funzioni. Neuroni parietali in VIP Le proprietà funzionali dei neuroni bimodali di aree come VIP (19) e PF (6, 20), strettamente legate alla F4 (21, 22), completerebbero il quadro dei circuiti che riguardano la rappresentazione spaziale. Il movimento basato sullo spazio (elaborato anche da altri circuiti fronto-parietali) diventa allora la nostra esperienza di spazio peripersonale visivo (Rizzolatti et al., 1997). L’area VIP (Area Ventrale IntraParietale) è situata nella zona più profonda del solco intraparietale; oltre alle connessioni con le aree premotorie come F4 riceve la maggior parte d’informazioni visive dall’area temporo mediale, nel solco temporale superiore e somatiche dalle cortecce somatosensoriali primarie (Colby, 1993). Le aree coinvolte nel controllo oculomotore come il LIP e la 7a (nel lobo parietale) e i campi visivi frontali (FEF) rappresentano lo spazio in coordinate retinocentriche (ognuna ha una posizione specifica sulla retina rispetto alla fovea), controllano i movimenti oculari rapidi, cioè i movimenti saccadici, la cui funzione è quella di portare la fovea su un bersaglio disposto nella periferia del campo visivo. Aree che codificano gli stimoli presentati vicino a una specifica parte del corpo allo scopo di programmare movimenti verso di essi, come la F4, la VIP, l’area PO (parieto-occipitale) e 7b (la porzione ventrale della corteccia parietale 15 posteriore) rappresentano invece lo spazio in coordinate centrate sul corpo, per attivarsi quindi è necessario che lo stimolo visivo compaia entro lo spazio circostante, o meglio peripersonale. La distinzione tra spazio vicino e lontano con i rispettivi circuiti neurali sembra essere confermato da studi di lesione su FEF e F4 nella scimmia (Rizzolatti, 1997). Quello che resta da capire è come la diversa mappatura degli spazi, dia poi alla fine un concetto unitario del mondo che ci circonda. 1.2.2 Studi sull’uomo. Diversi studi di neuroimaging funzionale e di stimolazione magnetica transcranica (TMS) hanno permesso di identificare anche nell’uomo i meccanismi neurali sottostanti il processo di integrazione di informazioni multisensoriali all’interno dello spazio peripersonale, la presenza e le caratteristiche dei neuroni bimodali e il ruolo fondamentale di alcune aree coinvolte, già individuate nella scimmia. Altri studi neuropsicologici sull’uomo hanno indagato il neglect e l’estinzione crossmodale in relazione alla dissociazione fra spazi lontani e vicini. In un recente studio Makin e collaboratori (2007) hanno pubblicato una rassegna che sembra confermare quanto detto per il cervello delle scimmie nella rappresentazione dello spazio peripersonale, questa volta negli esseri umani, utilizzando la risonanza magnetica funzionale in soggetti sani. Gli autori presentavano una pallina vicino e lontano alla mano sinistra, quest’ultima poggiata sulla coscia sinistra del soggetto. In una condizione A la mano è posizionata in maniera visibile sulla coscia sinistra, nella B la mano è sulla spalla sinistra del soggetto, in C la mano posta sulla coscia viene nascosta da un cartone e infine in D la mano del partecipante è sulla sua spalla, mentre sulla coscia vi è una mano finta. Dalle varie registrazioni è emerso un aumento di attività cerebrale, nelle condizioni in cui la vicinanza dello stimolo alla mano era data sia dalla visione che dalla propriocezione (A) nella corteccia ventrale premotoria, nel solco intraparietale (IPS) e nel complesso laterale occipitale (LOC). Tuttavia, sembra però che le zone più posteriori di queste aree non siano modulate da informazioni propriocettive (cioè, la loro attivazione ad uno stimolo vicino era simile a quella di uno lontano nelle condizioni "mano sulla coscia ma nascosta" e "mano sulla spalla"). Al contrario, la zona IPS anteriore risultava significativamente più attivata quando la prossimità dello stimolo era segnalata solo propriocettivamente. La condizione braccio finto (solo visione), infatti, non ha mostrato una significativa differenza lontano-vicino nell’attivazione delle zone anteriori, mostrando che l'influenza di visione e propriocezione aveva un diverso effetto nell’attivazione di IPS anteriori e posteriori. Inoltre, solo le aree più anteriori del IPS rispondevano anche alla stimolazione puramente tattile. Concludendo si può 16 quindi dire che in LOC e in IPS posteriore, lo spazio intorno alla mano è definito in primo luogo attraverso la visione, mentre in parti più anteriori del lobo parietale e del lobo frontale, oltre a informazioni visive, ci sono quelle propriocettive e somatosensoriali. Il coinvolgimento delle aree parietali e frontali riportate da questo studio è perfettamente in linea con i dati neurofisiologici di macachi riportati precedentemente e con studi di imaging che si occupano di pianificazione delle azioni mano-oggetto di manipolazione negli esseri umani (Makin et al.,2007). Resta ancora da stabilire se le aree riportate sono le principali responsabili per la mano da sola, cioè solo per le azioni della mano o se mediano anche lo spazio peripersonale intorno al resto del corpo. Forse il risultato più interessante nello studio di Makin è il coinvolgimento della zona LOC visiva, che si trova nella via ventrale (definita anche “via del cosa”), piuttosto che nella dorsale (“via del dove”). La prima via è associata al riconoscimento delle forme e della rappresentazione degli oggetti, la seconda invece al movimento e alla rappresentazione spaziale della posizione degli oggetti insieme al controllo di occhi e braccia durante l’afferramento di oggetti. Il ruolo della via ventrale non è stato finora indagato nella rappresentazione dello spazio peripersonale, tanto meno nella modulazione della posizione della mano rispetto ad uno stimolo. Ad ogni modo, studi di imaging non mostrano il legame diretto e necessario tra le strutture cerebrali e la loro funzione. Uno studio di Serino e collaboratori (2011) indaga invece proprio il ruolo di due aree specifiche la corteccia premotoria ventrale (vPMc) e la corteccia parietale posteriore (PPc) nella rappresentazione multisensoriale dello spazio peripersonale, usando la stimolazione magnetica transcranica (Transcranial Magnetic Stimulation, TMS). La TMS induce una “lesione virtuale” delle aree a cui viene applicata: in questo modo è possibile verificare l’esistenza di una relazione diretta fra l’area e la funzione specifica. In questo studio la TMS viene applicata sia alla vPMc che alla PPc e come controllo alla V1(corteccia visiva primaria), come indicato nella figura 4: 17 Fig 4. Localizzazione cerebrale delle aree di applicazione della rTMS nello studio (Fonte: Serino, Canzoneri and Avenanti(2011) Fronto-parietal Areas Necessary for a Multisensory Representation of Peripersonal Space in Humans: An rTMS Study. Journal of Cognitive Neuroscience X:Y, 1-12). Lo studio era preceduto da altri esperimenti comportamentali che indagavano le caratteristiche audio-tattili della percezione dello spazio peripersonale intorno alla mano. In un primo esperimento (figura 5A) ai soggetti veniva richiesto di rispondere il più velocemente possibile ad uno stimolo tattile che ricevevano sulla mano. In una condizione gli stimoli tattile venivano presentati da soli (condizione unimodale), in un'altra condizione contemporaneamente allo stimolo tattile venivano presentati dei suoni, vicini o lontani alla mano, che però i soggetti dovevano ignorare al momento della risposta. I risultati hanno mostrato tempi di reazione (RT) minori nel caso in cui allo stimolo tattile veniva associato un suono, rispetto a quando gli stimoli erano unimodali, con risposte ancora più veloci quando il suono si trovava vicino alla mano. Questo vuol dire che un suono vicino al corpo può incentivare il processamento di stimoli tattili. Per verificare che l’effetto fosse dovuto realmente all’attivazione della rappresentazione dello spazio peripersonale centrato sulla mano, e non fosse un semplice effetto di vicinanza al corpo, sono state manipolate le distanze tra la mano e la cassa, spostando la mano più lontano dalla cassa vicina con la testa sempre nella stessa posizione (figura 5B). In questa condizione, con la mano situata lontano dalla cassa, vicina al corpo, l’effetto di riduzione dei tempi di reazione nella condizione il cui suono era vicino al corpo non avveniva. Tale risultato dimostra quindi che i meccanisimi di integrazione multisensoriale dipendono da un sistema di coordinate centrato sulle singole parti del corpo. Fig 5: Apparato sperimentale A: I suoni, che il soggetto deve ignorare, vengono presentati vicino o lontano alla mano del soggetto che riceve lo stimolo tattile. 18 Apparato B: la mano del soggetto viene spostata in modo da essere lontana da entrambe le casse. Fonte: Serino, Canzoneri and Avenanti (2011) Fronto-parietal Areas Necessary for a Multisensory Representation of Peripersonal Space in Humans: An rTMS Study. Journal of Cognitive Neuroscience X:Y, 1-12 Utilizzando la TMS, gli autori hanno voluto poi verificare il ruolo di alcune aree (vMC e PPc) nei meccanismi di integrazione multisensoriale all’interno dello spazio peripersonale. I soggetti quindi eseguivano il compito audio tattile in tre diverse condizioni sperimentali, dopo l’inibizione delle aree VPMc, PPc e V1 come controllo. La loro ipotesi era quindi basata sul fatto che se l’inibizione interferiva con la performance del soggetto nel compito audio-tattile, quella determinata area poteva essere ritenuta necessaria per la rappresentazione dello spazio peripersonale. I risultati hanno mostrato che nella condizione di baseline di inibizione di V1 si ottiene lo stesso effetto di facilitazione ottenuto in condizione di non stimolazione, cioè si registrano RT più rapidi quando lo stimolo tattile è associato a suoni vicini alla mano, effetto che non è invece presente nelle altre due condizioni. Dopo l’inibizione di aree quali VPMc e PPc scompare l’integrazione audio-tattile dello spazio intorno alla mano, non è più presente l’effetto di velocizzazione e i tempi di reazione allo stimolo tattile sono indipendenti dalla vicinanza spaziale. Questo indica un ruolo fondamentale delle due aree nella rappresentazione dello spazio peripersonale. Studi precedenti avevano già ipotizzato una corrispondenza tra le proprietà neurali di queste due aree nell’uomo con le aree vMPc e VIP nella scimmia (Sereno & Huang, 2006). Sembra quindi che effettivamente l’integrazione multisensoriale sia deputata proprio alle connessioni fronto-parietali. Si è osservato che questo sistema di codifica multisensoriale può svolgere un ruolo specifico nel recupero di deficit di rappresentazione spaziale in pazienti con deficit selettivi nella modalità visiva o uditiva, come dimostrato da esperimenti condotti su pazienti con neglect (Frassinetti, Pavani, & Làdavas, 2002). Tuttavia, la maggior parte di questi studi ha esaminato gli effetti dell’udito sulla visione, sottolineando l’importanza delle regole spaziali, temporali e dell’efficacia inversa di cui si parlava all’inizio del capitolo. Non ci sono però molte prove dell’influenza della visione sull’udito, cioè come un segnale visivo può influenzare la percezione di quello uditivo nello spazio peripersonale. Bolognini, Rasi e Làdavas in uno studio del 2005 hanno indagato la capacità di uno stimolo visivo di migliorare la localizzazione di un uditivo in un paziente con un deficit selettivo di localizzazione uditiva spaziale, in seguito ad una lesione cerebrale nell'emisfero destro. Il paziente dovrebbe riuscire a localizzare meglio lo stimolo quando è presentato bimodalmente rispetto a quando è unimodale e questo effetto dovrebbe variare in relazione allo spazio. Venivano quindi presentati in diverse posizioni spaziali dei suoni, sia bimodali che unimodali, rispetto ad un 19 punto di fissazione centrale e il soggetto doveva indicarne verbalmente la posizione. Il paziente era sempre in grado di localizzare correttamente la posizione spaziale dello stimolo visivo (100% di risposte corrette). Per quanto riguarda la modalità uditiva, il paziente mostrava una soglia normale dell'udito, come misurato dall’audiometria in ciascun orecchio, quindi rilevava correttamente gli stimoli acustici, ma indipendentemente dalla loro posizione spaziale (100% di risposte corrette). Quando gli veniva chiesto di indicare la posizione spaziale del suono con una risposta verbale e con una risposta di puntamento, il paziente falliva il compito, come emerso dal confronto con un gruppo di controllo di 7 soggetti sani. Nel compito sperimentale il paziente veniva invitato a indicare verbalmente la posizione spaziale in cui era presentato il suono e ad ignorare gli stimoli visivi. Le condizioni sperimentali erano quattro: le due unimodali (solo visiva e solo uditiva) e due crossmodali in cui gli stimoli coincidevano temporalmente, ma in una venivano presentati nello stesso punto spaziale e nell’altra in due punti diversi. Dalle diverse sessioni è emerso un miglioramento selettivo nella localizzazione uditiva solo quando la stimolo visivo è stato presentato nella stessa posizione spaziale dello stimolo acustico. Questo effetto non può essere spiegato come una tendenza generale a rispondere a stimoli visivi, dal momento che il paziente non aveva falsi allarmi, cioè non rispondeva allo stimolo visivo da solo quando invece doveva ignorarlo. Numerosi studi hanno evidenziato l'esistenza di collegamenti esogeni crossmodali audiovisivi dell'attenzione spaziale, in modo che un cambiamento esogeno dell'attenzione in una modalità conduce ad un corrispondente spostamento di attenzione in un'altra modalità. Pertanto, i risultati del presente studio sembrano provare il significato adattativo dell’integrazione multisensoriale: quando una modalità sensoriale è degradata, il cervello può utilizzare le informazioni derivanti da altri sistemi sensoriali per rilevare la presenza degli stimoli. Pertanto, l'esistenza di un sistema integrato audio-visivo nell'uomo offre una possibilità di recupero da disturbi di rappresentazione spaziale. Un disturbo della cognizione spaziale seguente a lesione cerebrale (più frequentemente a destra) è il neglect (eminattenzione spaziale). Questi pazienti hanno difficoltà ad esplorare lo spazio controlaterale alla lesione e non sono consapevoli degli stimoli presenti in quella porzione di spazio esterno o corporeo. In linea con i risultati attuali, uno studio ha dimostrato che alcuni pazienti con neglect visivo per lo spazio sinistro sono in grado di segnalare la presenza di stimoli visivi di sinistra, quando uno stimolo uditivo è stato presentato spazialmente e temporalmente coincidente con quello visivo (Frassinetti, Pavani et al., 2002). La somiglianza tra l’organizzazione neurale della scimmia e quella dell’uomo negli studi sulla percezione spaziale non riguarda solo la presenza dei neuroni bimodali ma anche quella che è la distinzione vicino/lontano. Nell’uomo questa distinzione è stata soprattutto studiata su 20 pazienti con neglect. Nel 1991 Hallingan e collaboratori hanno descritto il caso di un paziente che mostrava neglect quando doveva, con una matita, dividere a metà dei segmenti su di un foglio posto nel suo spazio peripersonale. La riflessione sorprendere era che nel medesimo compito (bisezione di linee) il soggetto non mostrava nessun deficit quando il foglio era nello spazio extrapersonale e lo eseguiva con un laser. (Rizzolatti et al., 2006). A confermare la tesi di un sistema di rappresentazione spaziale non univoco, altri studi hanno riportato dissociazioni diverse ad esempio selettive per lo spazio personale, il soggetto non riesce a toccare la propria mano sinistra con la destra ad occhi chiusi ma non presenta deficit nei compiti nello spazio extrapersonale e per lo spazio lontano con compiti di lettura e cancellazione che il soggetto riesce ad eseguire solo nello spazio peripersonale (Cowey et al.,1994). Altri risultati importanti sulla dissociazione degli spazi sono quelli ottenuti nello studio sull’estinzione. L’estinzione è l’incapacità di percepire informazioni controlesionali in presenza simultanea di informazioni ipsilesionali, questo deficit può manifestarsi sia quando gli stimoli simultanei sono presentati nella stessa modalità (unimodale), sia quando sono presentati in differenti modalità (crossmodale), ad esempio attraverso una stimolazione tattile sulla mano controlesionale contemporanea alla presentazione di stimoli visivi nello spazio vicino alla mano ipsilesionale. Di Pellegrino e collaboratori in uno studio del 1997 hanno esaminato un paziente con estinzione somatosensoriale il quale, alla presentazione simultanea di due stimoli simmetrici sulle due metà del corpo diverse, percepiva solo lo stimolo localizzato sulla metà del corpo sana. Controllando le risposte del soggetto alla presentazione di stimoli visivi e tattili, hanno scoperto che appena presentavano uno stimolo visivo vicino alla mano destra ipsilaterale del paziente, egli non percepiva più lo stimolo tattile presentato sulla mano sinistra controlesionale. L’aspetto interessante era che quando lo stimolo era presentato fuori dallo spazio peripersonale l’effetto di estinzione delle visione sul tatto diminuiva enormemente. Questi risultati dimostrano quindi l’esistenza della rappresentazione dello spazio peripersonale visivo nell’uomo centrato sulla mano e come esso può modulare la percezione tattile. Un altro studio di Farnè e Làdavas dimostra come la stessa cosa valga anche per lo spazio peripersonale uditivo. In un gruppo di pazienti con danno cerebrale destro che presentavano estinzione, hanno osservato come un suono prodotto vicino alla testa ipsilesionalmente (20 cm) estingueva uno stimolo tattile controlesionale sul collo. Questo però non avveniva quando il suono era presentato lontano dalla testa (70 cm). Inoltre, più il suono era forte più l’estinzione era presente sia nello spazio dietro che nello spazio avanti, quando invece il suono era debole l’estinzione era presente solo nello spazio dietro alla testa. La maggiore sensibilità audio-tattile nella porzione di spazio peripersonale dietro al soggetto è 21 probabilmente spiegabile dal fatto che un oggetto in avvicinamento nello spazio di fronte a noi può essere codificato utilizzando sia la modalità visiva che uditiva, mentre quelli provenienti da dietro possono essere percepiti solo tramite l’udito, inoltre, per quanto riguarda la differenza prodotta dai due tipi di suoni, sembra che quelli più complessi sono gli unici ad attivare i neuroni della corteccia premotoria ventrale che codificano la posizione del suono rispetto al corpo, a causa del fatto che sono molto più presenti in natura rispetto ad altri suoni e sono dunque esperiti più frequentemente (Farnè & Làdavas, 2002). Ad oggi quindi siamo a conoscenza delle distinte basi anatomiche deputate all’elaborazione di stimoli provenienti dalle diverse porzioni di spazio vicino e lontano al nostro corpo grazie agli studi sugli animali e alle conferme date dagli studi sull’uomo. Conosciamo le caratteristiche e le proprietà dei neuroni di queste aree e in che modo integrano diverse informazioni sensoriali affinché la percezione di questi stimoli sia unitaria e migliore. Inoltre, in letteratura sono presenti numerosi studi che cercano di descrivere al meglio lo spazio peripersonale, soprattutto nelle sue caratteristiche funzionali e dinamiche. Capitolo 2 Le caratteristiche dello spazio peripersonale «L'autodifesa è la più antica legge della Natura.» (John Dryden, 1631 – 1700 ) 2.1. Proprietà funzionali. Sappiamo che i circuiti fronto-parietali, grazie all’attività dei neuroni bimodali e trimodali, sono deputati all’elaborazione di informazioni spaziali in relazione a specifiche parti del 22 corpo, pertanto ci permettono di analizzare lo spazio intorno a noi, localizzando la posizione degli oggetti, e quindi agire in base a quello che accade in esso. Le principali funzioni svolte dalla rappresentazione dello spazio peripersonale, che diviene un’interfaccia multisensoriale tra il corpo e l’ambiente, sarebbero quindi quelle sensori-motorie, di interazione con l’ambiente circostante e pianificazione di comportamenti di difesa verso gli stimoli presentati intorno al corpo (Rizzolatti et al., 1997; Làdavas & Serino, 2008). 2.1.1. Il comportamento difensivo. Da studi di imaging sul cervello delle scimmie sono state individuate due aree principali in cui neuroni multimodali rispondono a stimoli visivi, tattili ed uditivi, in particolare a oggetti che toccano il corpo degli animali oppure che si avvicinano ad essi. La stimolazione elettrica dell’area intraparietale ventrale (VIP) e della zona polisensoriale nel giro precentrale (PZ), riportate in figura 6, evoca movimenti di tipo difensivo di ritiro e blocco. Inoltre si è potuto osservare che queste due aree entrano in funzione durante i movimenti oculari di navigazione, di attenzione nello spazio vicino e di processamento della localizzazione di oggetti finalizzata alla guida dei movimenti. Sembra che queste aree siano coinvolte nella costruzione di una sorta di confine di sicurezza del corpo, entro cui agire e coordinare i movimenti in risposta agli avvenimenti esterni. Fig 6. Nella figura sono mostrate in modo approssimativo le due aree responsabili dei comportamenti di difesa, nel cervello della scimmia, in grigio il solco intraparietale. Fonte: Graziano and Cooke 2006. Parieto-frontal interactions, personal space and defensive behavior. Neuropsychologia 44(13): 2621-35. 23 Bisogna sottolineare che il comportamento difensivo non è riconducibile ad una singola funzione, ma è un insieme di processi accomunati dallo stesso scopo e da una corretta analisi sensorimotoria. L’arresto dopo uno spavento, l’evitamento di pericoli durante la deambulazione, tutti i movimenti corporei volti al raggiungimento di oggetti e la risposta motoria ad un pericolo in avvicinamento sono tutti comportamenti che mettiamo in atto più volte durante la giornata e che hanno molto in comune con quelli degli animali. Nei mammiferi i comportamenti di protezione operano sia a livello corticale che subcorticale. Ad esempio il midollo spinale media i comportamenti di riflesso dell’allerta e del ritiro, modulando la reazione in base alla localizzazione dello stimolo. I circuiti corticali, invece, mediano una risposta più lenta ma più flessibile che integra le informazioni derivanti dalle diverse modalità sensoriali. Rispondere ad uno stimolo esterno quindi non implica un semplice riflesso guidato dallo stimolo stesso, ma include un processo in cui entrano in gioco varie funzioni cognitive come l’attenzione e la cognizione spaziale. Quando uno stimolo pericoloso entra nella “flight zone” l’animale reagisce, lo stesso fa l’uomo quando qualcosa che mina la sua sicurezza invade il suo spazio peripersonale. Molti sono gli studi che indagano proprio l’attenzione specifica per lo spazio intorno al corpo (Di Pellegrino, 1997), come una funzione multimodale e sembra che mantenere una sorta di confine di sicurezza intorno al corpo sia proprio un processo attentivo. Nel loro articolo Graziano e collaboratori immaginano i campi recettivi come delle bolle di spazio ancorate alla superficie corporea. Sembra che i campi recettivi in VIP e PZ possono essere considerati le basi neurali del fenomeno psicologico della rappresentazione dello spazio peripersonale (B) e di quello etologico della “flight zone” (A), come schematicamente riportate nella figura 7. 24 Fig 7. Raffigurazione schematica della “flight zone” (A) e dello spazio peripersonale (B). In (C) e (D) sono rappresentati alcuni campi recettivi tattili (ombra) e visivi (solido) di alcuni neuroni in PZ della scimmia, più lo spazio è lontano più i campi recettivi sono pochi, viceversa, più lo spazio è vicino al corpo più i campi sono numerosi (E). Fonte: Graziano and Cooke, 2006. Parieto-frontal interactions, personal space and defensive behavior. Neuropsychologia 44(13):2621-35. Come è evidente dalla figura 7(E) in diversi studi si è indagato se lo spazio peripersonale fosse costituito da un unico settore che circonda il corpo o da un insieme di moduli, ognuno responsabile dello spazio adiacente ad una specifica parte del corpo. I risultati dello studio di Farnè e collaboratori (2005) su un gruppo di pazienti affetti da estinzione crossmodale hanno mostrato che toccando sulla mano sinistra (controlesionale) i pazienti esaminati vi era estinzione quando simultaneamente uno stimolo visivo era presentato vicino alla mano destra (ipsilesionale), ma ciò avveniva in maniera minore quando lo stimolo visivo era presentato vicino al volto e quello tattile sulla mano, e viceversa. L’estinzione era dunque maggiormente presente quando erano stimolate parti del corpo omologhe (mano-mano/viso-viso) piuttosto che quando la stimolazione avveniva in zone non omologhe (mano-viso/viso-mano). Questi risultati dimostrano che la rappresentazione dello spazio peripersonale non è unitaria, ma costituita da diversi moduli, ognuno responsabile della codifica dello spazio adiacente ad una specifica parte del corpo, proprio come riportato in figura 7. Finora gli studi si sono focalizzati su mani e volto, ma esperimenti futuri potrebbero essere rivolti all’individuazione dei medesimi risultati con stimoli presentati vicino ad altri parti corporee. 2.1.2.L’interazione con l’ambiente. L’attivazione della rappresentazione dello spazio peripersonale sembra seguire un flusso di informazioni bottom-up in modo automatico. È stato dimostrato che in alcuni pazienti con estinzione crossmodale, quando uno stimolo visivo viene presentato vicino alla mano ipsilaterale, si induce una estinzione dello stimolo tattile sulla mano controlesionale e lo stesso avviene se sulla mano del paziente vi è una lastra trasparente di plexiglas, la quale quindi non ostacola la codifica multisensoriale degli stimoli visivi nello spazio peripersonale, poiché il paziente era consapevole dell’impossibilità di un contatto fra lo stimolo visivo e la mano. Pertanto è intuibile che la percezione visuo-tattile avviene in modo automatico. La percezione degli oggetti nel nostro spazio peripersonale sarebbe guidata dallo stimolo, una volta identificatane la giusta localizzazione saremmo in grado di mettere in atto la corretta 25 risposta motoria, anche quando non riceviamo informazioni tattili cioè quando non siamo in contatto diretto con l’oggetto (Làdavas & Serino, 2008). Questo tipo di azioni sono controllate dai neuroni bimodali, che controllano i movimenti del braccio basandosi sulle informazioni visive, nel putamen, nel solco intraparietale (VIP) e nell’area inferiore 6. Per riuscire a portare un oggetto alla bocca, ad afferrarlo o indicarlo è necessario sapere dove si trova. Quindi, quando parliamo di caratteristiche funzionali dello spazio peripersonale, non intendiamo solo il comportamento difensivo, ma tutte quelle azioni che compiamo frequentemente nella quotidianità. Queste azioni sono spesso automatiche e richiedono molta velocità, non occorre una pianificazione approfondita, quindi le compiamo in modo del tutto inconscio. L’attività dei neuroni multisensoriali, in questi casi, non richiede un processamento di informazioni di alto livello. A maggiore conferma della localizzazione di aree deputate alla rappresentazione dell'azione, studi di neuroimaging hanno evidenziato come proprio la corteccia premotoria ventrale (vMPc) e la corteccia parietale posteriore (PPc) sono altamente interconnesse tra loro, oltre che alla corteccia motoria, e sono inoltre implicate nell’immaginazione e osservazione di azioni (Avenanti et al., 2007). Inoltre un’ulteriore conferma di questi dati è che la maggior parte dei neuroni del solco intraparietale fa parte anche della via dorsale, la via del dove. Questa via è responsabile della guida visiva delle azioni affiancata ad una percezione inconscia della rappresentazione spaziale in termini di azioni specifiche come l’afferramento. Diversamente invece, la via ventrale del cosa è responsabile del processamento delle caratteristiche fisiche degli oggetti (Ungerleider & Miskin, 1982). Da tutti gli studi che ne indagano le caratteristiche sembra quindi che la rappresentazione dello spazio peripersonale, mediata dalla via dorsale, non sia influenzata dall’elaborazione delle caratteristiche visive semantiche dell’oggetto, che invece sono mediate dalla via ventrale (Làdavas & Serino, 2008). Lesioni della corteccia parietale posteriore non producono infatti solo deficit motori o sensoriali primari, ma disturbi più complessi, come ad esempio l’atassia ottica, dovuta all’incapacità di localizzare stimoli distanti per poterli raggiungere, o l’aprassia, in cui il paziente ha difficoltà nel pianificare movimenti. In particolare, diverse regioni di PPc sembrano essere adibite alla pianificazione di movimenti saccadici (funzione svolta dall’area LIP) e di azioni quali il raggiungimento (area MIP) e l’afferramento (area AIP) di oggetti, attraverso una comune rappresentazione spaziale. La corteccia parietale posteriore sarebbe implicata nelle fasi iniziali della pianificazione del movimento, quali l’integrazione multisensoriale e la codifica delle coordinate spaziali, svolgendo anche una funzione di controllo attentivo e di apprendimento nell’ambito di operazioni sensori-motorie. 26 Le caratteristiche funzionali dello spazio peripersonale, quindi l’abilità di localizzare gli stimoli anche quando non sono in diretto contatto con la pelle e di produrre movimenti appropriati in risposta ad essi, avanza l’ipotesi che la rappresentazione spaziale può essere modificata da azioni di ricerca nello spazio, come, ad esempio, quando un soggetto usa uno strumento per raggiungere oggetti nello spazio lontano (Làdavas & Serino, 2008). 2.2. Proprietà dinamiche: uso di un tool. In uno studio del 1996 Iriki e collaboratori hanno dimostrato come i campi recettivi visivi dei neuroni bimodali della PPc della scimmia possono modificarsi dopo azioni che comportano l’uso di uno strumento. Durante l’esperimento, le scimmie venivano addestrate a utilizzare un rastrello per raggiungere il cibo nello spazio extrapersonale. Registrando l’attività dei neuroni a livello di quest’area si è potuto osservare come i campi recettivi visivi ancorati alla mano che utilizzava il rastrello si espandevano tanto da includere lo spazio intorno al rastrello. Quando però l’animale smetteva di usarlo i campi ritornavano alla loro estensione. Sembra quindi che il prolungamento della mano, inteso come la capacità di raggiungere oggetti più lontani dovuto all’utilizzo del rastrello, rimoduli la concezione di spazio vicino e dello spazio lontano, pertanto i neuroni che prima si attivavano per la codifica dello spazio peripersonale, poi si attiveranno anche alla presenza di stimoli che si trovano nello spazio extrapersonale. In uno studio del 2000 Berti e Frassinetti hanno confermato la rimodulazione delle mappe spaziali in seguito all’utilizzo di uno strumento con uno studio su una paziente con lesione all’emisfero destro che presentava neglect sinistro, con un’evidente dissociazione fra spazio vicino e lontano, presentando la negligenza spaziale solo nello spazio vicino e non in quello lontano. Quando la paziente doveva bisecare delle linee su un foglio con il suo dito mostrava un bias verso lo spazio destro, ignorando quindi lo spazio di sinistra, tipico dei pazienti con neglect. Quando però il foglio veniva collocato nello spazio lontano e per la bisezione veniva usata una penna laser, il neglect scompariva. Sulla base delle proprietà plastiche dello spazio peripersonale, alla paziente venne chiesto di eseguire il compito di bisezione nello spazio extrapersonale con una bacchetta. Come le autrici avevano ipotizzato, la paziente mostrava il neglect anche nello spazio lontano, solo quando effettuava il compito con la bacchetta, a causa del rimappaggio dello spazio vicino e lontano dovuto all’utilizzo del tool. Altri studi sulla plasticità dello spazio peripersonale hanno utilizzato paradigmi basati sull’estinzione crossmodale, ad esempio su un gruppo di pazienti con lesione destra. (Làdavas & Serino, 2008). Prima dell’utilizzo di uno strumento l’estinzione crossmodale era limitata allo spazio intorno alla mano e di conseguenza l’incapacità di percepire informazioni controlesionali 27 tattili in presenza simultanea di informazioni ipsilesionali visive avveniva solo quando entrambi gli stimoli erano nello spazio peripersonale. Si è potuto osservare che, dopo l’utilizzo attivo di uno strumento, per raggiungere oggetti lontani dal soggetto, l’estinzione avveniva anche quando lo stimolo ipsilaterale veniva presentato vicino alla punta dello strumento, ad esempio un rastrello, come mostrato nella figura 8. Fig 8. La figura mostra schematicamente il paradigma sperimentale utilizzato. La mano trasparente colorata in giallo metaforicamente indica lo spazio peripersonale intorno alla mano prima e dopo l’utilizzo del rastrello. V:stimolo visivo, T: stimolo tattile Fonte: Làdavas & Serino, 2008. Action-dependent plasticity in peripersonal space representations. Cognitive Neuropsychology, 0000, 00 (0), 1–15 . In un altro esperimento che utilizzava lo stesso paradigma Maravita e colleghi nel 2001 sottolinearono come l’estinzione era più forte quando i partecipanti usavano lo strumento verso lo stimolo visivo, ad esempio facendo compiti di pointing, piuttosto che quando lo strumento era presente, ma non veniva utilizzato con un fine. Tutti questi risultati suggeriscono alcune riflessioni importanti riguardo alla plasticità dello spazio peripersonale. Prima di tutto che per avere estensione dello spazio peripersonale non basta un superficiale utilizzo di uno strumento, ma è necessario che il soggetto compia delle azioni concrete, attive e dirette da uno scopo specifico. Un’altra riflessione riguarda la relazione tra l’estensione dello spazio peripersonale e la lunghezza del tool. Da iniziali studi questa relazione sembrava direttamente proporzionale: l’estensione risultava infatti maggiore in seguito all’utilizzo di un tool di 60 cm piuttosto che uno di 30 cm. In uno studio del 2005 Farnè, Iriki e Làdavas, introdussero un particolare tipo di tool, con una lunghezza totale di 60 cm, ma in cui il punto funzionale, necessario per afferrare un oggetto lontano, era posizionato a 30 cm dalla mano, cioè a metà rispetto alla lunghezza totale dello strumento. Questo per osservare se l’estensione 28 dello spazio peripersonale dipendesse dalle proprietà fisiche del tool, quindi la lunghezza, o da quelle funzionali, ossia il punto del tool in cui è possibile afferrare l’oggetto. Lo stimolo visivo era presentato sempre a 60 cm dalla mano del soggetto e quindi alla punta dei due bastoni. I risultati hanno mostrato un grado di estinzione crossmodale minore dopo l’utilizzo dello strumento “modificato” rispetto a quella evidenziata con l’uso del tool normale di 60 cm. L’esperimento dimostra dunque che l’estensione dello spazio peripersonale è correlata alla lunghezza funzionale del tool, cioè la distanza fra mano e punto funzionale del bastone, non semplicemente a quella fisica dello strumento. Un’ulteriore questione riguarda la possibilità che l’uso del tool più che estendere lo spazio peripersonale, sposti l’area di integrazione multisensoriale in un punto più lontano dal corpo, come l’estremità del tool, o addirittura ne crei una nuova, accanto a quella attorno alla mano. Per verificare questa ipotesi è stata studiata la modulazione dell’estinzione crossmodale, in pazienti con lesione destra, indotta dall’utilizzo di un tool, misurandola in differenti posizioni lungo l’asse del tool (sull’impugnatura, in mezzo e sulla punta esterna). I risultati hanno mostrato un aumento dell’estinzione crossmodale dopo l’uso del tool sia in mezzo che sulla punta dello strumento, ma non nell’area vicina alla mano. Dunque si può concludere che l’uso del tool estende lo spazio peripersonale della mano fino a comprendere l’intera lunghezza del tool. (Làdavas & Serino, 2008). Infine un’ultima riflessione riguarda le caratteristiche temporali dell’integrazione multisensoriale, cioè il fatto che l’espansione dello spazio peripersonale sia breve e scompaia dopo il training con lo strumento. In un interessante studio Serino e colleghi (2007) hanno misurato l’integrazione audio-tattile nello spazio attorno alla mano e nello spazio lontano in persone non vedenti, che utilizzano un bastone nella vita quotidiana, e in soggetti sani, bendati. Il compito consisteva nel rispondere a degli stimoli tattili sulla mano destra mentre contemporaneamente erano presentati dei suoni irrilevanti, vicino alla mano o lontano da essa, a una distanza corrispondente alla lunghezza del tool. I soggetti sani mostravano tempi di risposta allo stimolo tattile più veloci quando questo era associato a un suono presentato nello spazio vicino alla mano, rispetto a quando era lontano. Dopo l’utilizzo di uno strumento invece, la facilitazione nella risposta tattile associata ad un suono vicino scompariva, e i soggetti diventavano più veloci a rispondere ad uno stimolo tattile associato ad un suono presentato nello spazio lontano, cioè alla punta dello strumento. Questo effetto nei partecipanti sani scompariva dopo un giorno. Nei soggetti non vedenti invece, quando impugnavano il loro bastone, fin da subito si registravano tempi di risposta associati a suoni lontani minori di quelli associati a suoni vicini. Sembra quindi che l’uso quotidiano del tool abbia prodotto in questi soggetti un’estensione a lungo termine dello spazio peripersonale. Infatti questi risultati non sono dovuti semplicemente ad una diversa 29 sensibilità ai suoni sviluppata dai soggetti non vedenti, perché quando essi svolgevano il compito avendo in mano solo l’impugnatura del tool (quindi più corta del bastone), l’estensione della rappresentazione dello spazio peripersonale era limitata intorno alla mano, come nei soggetti sani prima del training con lo strumento. Il fatto che i loro tempi di reazione fossero da subito minori per lo spazio lontano piuttosto che per lo spazio vicino indica che i due settori sono da loro codificati al contrario (lo spazio lontano diventa vicino e viceversa). Gli autori interpretano questa modifica col fatto che, per poter prevenire la collisione con oggetti esterni, lo spazio vicino alla punta del bastone diventa, per persone non vedenti, più importante di quello vicino alla mano. In questo senso l’estensione dello spazio peripersonale rappresenta per loro un importante processo adattivo, poiché non possono beneficiare di informazioni di tipo visivo, quelle tattili fornite dal bastone diventano l’unico modo per poter prevenire ed evitare lo scontro con oggetti esterni. In un altro studio che utilizza lo stesso paradigma audio-tattile Bassolino e colleghi confermano l’esistenza di meccanismi di estensione a lungo termine dello spazio peripersonale, nel caso specifico solo intorno alla mano con cui abitualmente utilizziamo il mouse (Bassolino et al., 2010). Sembra quindi che la plasticità dello spazio peripersonale dovuta all’utilizzo di uno strumento sia legata fortemente all’esperienza e all’uso attivo di quel determinato tool. Uno studio in preparazione di Canzoneri e collaboratori conferma come l’uso di un tool determini l’estensione dello spazio peripersonale, e in più è stato osservato che il training con uno strumento sembra modificare la rappresentazione della parte del corpo con cui esso si utilizza, in questo caso, il braccio. Dai risultati ottenuti con un compito di giudizio tattile prima e dopo l’utilizzo del tool, il braccio era percepito come più stretto e lungo dopo averlo usato per dei compiti di raggiungimento di oggetti. Tali effetti sembrano essere strettamente legati ad un training con il tool, poiché queste rappresentazioni non cambiano dopo un compito di pointing. L’uso di uno strumento sembrerebbe modificare non solo lo spazio peripersonale, ma anche la percezione del proprio schema corporeo. 2.2.1 Specchi e ombre come tool. Diversi studi hanno dimostrato come l’azione effettuata con uno strumento permette il rimappaggio della rappresentazione dello spazio intorno al nostro corpo. Esistono poi altre situazioni in cui stimoli presentati sulla superficie corporea interagiscono con quelli presentati lontano dal corpo, basti pensare all’immagine corporea riflessa allo specchio e alle ombre del proprio corpo. Ogni stimolo che si osserva ricevere sullo specchio ad esempio, viene riferito vicino al corpo del soggetto anche se in realtà esso si trova nello spazio extrapersonale. Lo 30 specchio diventa lo strumento che connette lo spazio vicino a quello lontano dal proprio corpo (Holmes et al., 2006). Anche in questo caso studi di estinzione per stimoli tattili controlesionali (Maravita et al., 2000) su pazienti con danno cerebrale destro hanno dimostrato che lo stimolo visivo ipsilesionale applicato sulla mano riflessa allo specchio, ma lontana da quella reale, estingueva lo stimolo tattile sulla mano reale del paziente. Lo spazio lontano, quello coincidente con lo specchio, viene rimappato come peripersonale. La relazione virtuale tra immagine riflessa e il proprio corpo basta quindi a cambiare i confini del proprio spazio peripersonale (Làdavas & Serino, 2008). Un altro caso abbastanza comune di interazione vicino-lontano è rappresentato dall’ombra del corpo, la quale segue costantemente il nostro corpo, ha la sua stessa forma e si modifica a seconda dei nostri movimenti. Pavani e Castiello (2004) suggeriscono che quindi un’ombra può legare tra loro lo spazio personale e quello extrapersonale. Per dimostrarlo gli autori hanno utilizzato un paradigma di congruenza visuotattile per valutare l'effetto visivo di stimoli presentati vicino all'ombra della mano del partecipante e stimoli tattili sulla mano. Gli stimoli visivi potevano essere congruenti e non congruenti con la posizione spaziale dello stimolo tattile ma dovevano essere ignorati, nel compito i partecipanti dovevano solo riferire lo stimolo tattile. In generale i partecipanti erano più veloci o più accurati quando gli stimoli tattili e visivi erano presentati in modo congruente nello stesso spazio, in particolare in quello peripersonale intorno alla mano e vicino all’ombra della mano. I risultati hanno dimostrato come gli stimoli visivi, anche presentati nello spazio extrapersonale, ma vicino all’ombra del partecipante, hanno interagito con la discriminazione tattile della mano. Lo spazio intorno all'ombra è, almeno in parte, rimappato come spazio vicino al corpo. È necessario però che l’ombra sia quella del partecipante, cioè abbia la sua reale forma e movimento. In un paradigma seguente venivano manipolate queste due caratteristiche e l’effetto di riduzione dei tempi di reazione spariva. I risultati ottenuti, sia con gli specchi che con le ombre, suggeriscono che uno stimolo visivo, anche fisicamente collocato nello spazio lontano, ma strettamente legato al corpo, può attivare la rappresentazione dello spazio che circonda il corpo in modo che, se si verificano eventi esterni nello spazio lontano, essi vengono integrati nella rappresentazione multisensoriale dello spazio peripersonale. Questa plasticità dello spazio peripersonale dovuta all’utilizzo di un tool, specchi e ombre, ha sicuramente una funzione adattiva. Nella vita di tutti i giorni, ci serviamo di questi strumenti per rilevare stimoli visivi che si avvicinano al corpo e quindi preparare l’eventuale reazione. Dal momento che una delle funzioni di base dei sistemi neuronali, che rappresentano lo spazio peripersonale, come detto nel primo paragrafo è proteggere il corpo da potenziali pericoli (Graziano & Cooke, 2006), lo specchio e l'ombra del 31 corpo, potrebbero implementare la rappresentazione dello spazio peripersonale per migliorare i comportamenti difensivi. In conclusione, le diverse rappresentazioni multisensoriali dello spazio intorno al corpo, sono dinamiche e funzionali per l’azione. Pertanto, la possibilità di agire nello spazio contribuisce di per sé alla costruzione della percezione spaziale, suggerendo una continuità tra rappresentazioni sensoriali e rappresentazioni motorie spaziali (Làdavas & Serino 2008). Capitolo 3 Spazio peripersonale e interazioni sociali «Un abbraccio vuol dire: tu non sei una minaccia. Non ho paura di starti così vicino. Posso rilassarmi, sentirmi a casa. Sono protetto, e qualcuno mi comprende. La tradizione dice che quando abbracciamo qualcuno in modo sincero, guadagniamo un giorno di vita». (Paulo Coelho, 2011. Aleph) 3.1. Il mio spazio e quello degli altri: esperimenti sulle scimmie. Abbiamo visto che la presenza di oggetti e le azioni degli altri possono avere diversa rilevanza per l'osservatore e perciò portare a diverse risposte comportamentali, a seconda delle regioni di spazio in cui avvengono. In un recente studio Caggiano e collaboratori hanno osservato in scimmie rhesus alcuni neuroni della corteccia premotoria che si attivano sia durante l'esecuzione che durante l'osservazione di atti motori. Questa classe di neuroni, detta neuroni specchio, venne descritta in primo luogo nell’area F5 della scimmia (vedi figura 1, nel primo capitolo), che fra le altre cose è adibita alla comprensione delle azioni osservate (Rizzolatti et al., 1997). Gli autori nel 2009 hanno voluto indagare se l’attività di questi neuroni viene modulata in maniera diversa dalla posizione nello spazio dell’azione che viene osservata e hanno registrato che circa la metà di essi preferisce lo spazio peripersonale o extrapersonale della scimmia. Una parte di questi neuroni specchio, inoltre, sembra codificare lo spazio secondo una rappresentazione metrica, mentre altri in termini operativi, a seconda della possibilità della scimmia di interagire con l'oggetto. Svolgono pertanto un ruolo fondamentale 32 nella scelta della reazione comportamentale allo stimolo con cui il soggetto interagisce. Per verificare questa ipotesi gli autori hanno analizzato gli effetti della distanza relativa tra l’osservatore e chi compie l’azione. Sebbene, infatti, sia completamente irrilevante ai fini della comprensione dell’azione in sé, la precisa conoscenza della distanza è cruciale per scegliere la reazione più adeguata e calcolare la possibilità di interazione. In un primo test, come è possibile vedere nella figura 9 B, un ricercatore spostava la mano all’interno e all’esterno del raggio d’azione del macaco, cioè lo spazio peripersonale, dopo aver testato le risposte neurali durante la messa in atto di azioni da parte della scimmia (I): l’analisi dell’attività dei neuroni specchio rilevava che il 26% rispondeva selettivamente se gli atti motori venivano compiuti nello spazio extrapersonale della scimmia (III); il 27% mostrava invece una selettività per lo spazio peripersonale (II) ed il restante 47% rispondeva alla presentazione della scena motoria indipendentemente dalla posizione spaziale nella quale veniva eseguita. Con questi risultati si può quindi affermare che nella F5 della scimmia, le risposte visive dei neuroni specchio sono state modulate dalla posizione nello spazio in cui sono state eseguite azioni osservate. Fig 9 In A è mostrata la sezione laterale sinistra del cervello della scimmia in cui si registra l’attività dei neuroni, in arancio F5, CS: solco centrale ; PS: solco principale; AS: solco arcuato. In B il paradigma sperimentale. Il cerchio intorno alla scimmia delimita la distanza di reaching dell’animale (spazio peripersonale). In (I) si testa la risposta dei neuroni durante i movimenti attivi della scimmia prima delle risposte visive neuronali con i movimenti fatti dallo sperimentatore nello spazio peripersonale (II) ed extrapersonale(III) della scimmia. L’ordine delle sessioni II e III viene bilanciato nelle varie sessioni Fonte: Caggiano, Fogassi, Rizzolatti, Thier, Casile (2009). Mirror Neurons Differentially Encode the Peripersonal andExtrapersonal Space of Monkeys. Science vol 324, 403-406. Alcuni neuroni, che rispondevano esclusivamente durante l’osservazione dell’atto nello spazio extrapersonale, sono stati studiati anche eseguendo l’atto nello spazio di 33 raggiungimento della scimmia con l’interposizione di uno schermo trasparente che permettesse alla scimmia di osservare l’azione, ma le rendesse impossibile agire fisicamente in quel settore di spazio. Alcuni di questi neuroni in questa condizione tornavano a scaricare come se l’azione si stesse svolgendo nello spazio extrapersonale. Si può quindi concludere che anche in questo caso è la possibilità di agire, e non la semplice distanza geometrica, che determina come noi codifichiamo le azioni eseguite da altri e la loro collocazione spaziale. Queste considerazioni suggeriscono quindi che i neuroni specchio rispondono in modo differenziale agli atti motori eseguiti in diverse regioni dello spazio. La distanza tra l'osservatore e attore in realtà non ha nessun ruolo nella "comprensione" del significato di un atto motorio osservato; tuttavia è importante per valutarne i comportamenti successivi. Un osservatore può immediatamente interagire con un individuo che agisce nello spazio peripersonale dell'osservatore, ma interazioni nello spazio extrapersonale dell'osservatore sono possibili solo tramite azioni intermedie come avvicinarsi o rimuovere un ostacolo. Come riportato dagli autori nell’articolo un’interpretazione di questi risultati è che i neuroni specchio non solo possono rappresentare un substrato neuronale per capire "cosa fanno gli altri ", ma anche per contribuire a decidere "come posso interagire con loro" (Caggiano, 2009). In realtà, per contestualizzare l’azione, è necessario poter identificare lo spazio peripersonale altrui anche quando le persone non stanno agendo (Rozzi, 2000). Un altro studio elettrofisiologico nei primati ha indagato quale sia il meccanismo alla base di questo tipo di comportamento. Ishida e collaboratori hanno registrato l’attività dei neuroni bimodali nella corteccia parietale della scimmia che si attivano quando una porzione del loro muso viene toccata o quando stimoli visivi vengono mossi nella regione peri-faccia (Ishida et al., 2009). Alcuni di questi neuroni si attivano anche quando gli stessi tipi di stimolazione vengono somministrati attorno o sul viso di uno sperimentatore posto lontano dalla scimmia, sembra perciò che mappino la posizione dello spazio in un sistema di riferimento centrato sul viso, indipendentemente dall’appartenenza. Una probabile interpretazione di questo fenomeno potrebbe essere che questa codifica di spazio si sviluppi evolutivamente per permettere le interazioni sociali, permettendo di capire la portata delle azioni altrui e ponendo dei confini all’interno dei quali è possibile interagire o conveniente muoversi. Del resto gli uomini entrano nello spazio peripersonale altrui solo in condizioni specifiche e soltanto con individui particolari, per esempio con persone con cui sono intimi (ad esempio per abbracciarsi), o con individui fortemente ostili (per lottare). Questo aspetto comportamentale ha anche un profondo carattere emotivo: al di fuori di particolari condizioni caratterizzate da una forte carica emotiva, o da un contesto di ritualizzazione (come nella danza), la presenza di 34 qualcuno nel nostro spazio peripersonale è sentita con un forte senso di disagio. Questo però non avviene in alcuni pazienti con lesioni cerebrali, in particolare bilaterali all’amigdala, che, pur essendo assolutamente in grado di valutare le distanze, non sentono alcun disagio in una condizione di violazione dello spazio peripersonale (Rozzi, 2000) 3.2.L’altro nel mio spazio In realtà l’estensione all’uomo dei risultati ottenuti nelle scimmie non è così semplice e immediata. Le prove che anche nel cervello umano agiscano neuroni specchio con le stesse modalità e con le stesse interpretazioni di quello della scimmia sono attualmente oggetto di dibattito della comunità scientifica. A favore dell’importanza della presenza dell’altro nel nostro spazio peripersonale, abbiamo a disposizione un recente studio di Heed e collaboratori su come le azioni degli altri possono ridurre la nostra integrazione multisensoriale nello spazio peripersonale. In questo studio i partecipanti eseguivano un compito di congruenza crossmodale sia da soli che con un partner, una persona a loro sconosciuta. Il partecipante svolgeva il compito seduto di fronte al suo compagno impugnando insieme a lui un cubo di gomma piuma (vedi figura 10) in cui venivano dati degli stimoli tattili (in blu) come vibrazione sia sul bordo superiore che su quello inferiore, in concomitanza con stimoli visivi (in giallo) che potevano presentarsi congruentemente o non alla posizione dello stimolo tattile. Tutti i partecipanti, fissando un punto luminoso all’altezza dei loro occhi, rispondevano alla vibrazione tattile mentre i partner ai distrattori visivi, usando dei pedali posizionati sotto il tavolo, usando il tallone o la punta del piede in base a dove veniva presentato lo stimolo sul cubo. Entrambi erano a conoscenza, oltre del proprio compito, anche di quello svolto dal partner (Heed, 2010). 35 Fig10. Cubo di gomma piuma utilizzato nell’esperimento. Su di esso vengono presentati due stimoli tattili (sopra o sotto) e due distrattori visivi che possono essere congruenti o incongruenti con gli stimoli tattili. Sia il partecipante che il partner ne impugnano uno per mano posizionando l’indice sopra e il pollice sotto. Fonte: Heed, Habets, Sebanz, Knoblich, 2010. Others’ Actions Reduce Crossmodal Integration in Peripersonal Space. Current Biology 20, 1345-1349 Nonostante ai soggetti venisse specificato che gli stimoli visivi erano irrilevanti ai fini del compito, le loro risposte erano generalmente più veloci nella situazione di congruenza degli stimoli visuo-tattili, rispetto a quando gli stimoli venivano dati in due posizioni spaziali diverse, questo fenomeno è detto effetto di congruenza crossmodale (Crossmodal Congruency Effect, CCE). Le condizioni di svolgimento del compito erano tre: in una prima sessione il partner si trovava nello spazio peripersonale ed eseguiva il compito con il partecipante, in una seconda condizione non invadeva lo spazio peripersonale (non impugnava il cubo) rispondendo solo ai distrattori visivi e in un ultimo caso il partner, pur trovandosi nello spazio peripersonale, non eseguiva il compito. I risultati hanno mostrato una diminuzione dell’effetto di congruenza crossmodale quando il partner si trovava all’interno dello spazio peripersonale del soggetto, cioè quando interferiva con il compito da lui svolto. Per esserci questa diminuzione però il partner non doveva solo svolgere il compito, ma lo doveva eseguire nello spazio peripersonale del soggetto. Come infatti riportato dai dati, nella seconda e nella terza condizione, nelle quali il partner non invade lo spazio peripersonale oppure lo invade ma non svolge il compito, non c’è una riduzione del CCE. Dunque, per poter ottenere un effetto di modulazione sociale nei processi di integrazione crossmodale, è necessario non solo che una persona si trovi all’interno del proprio spazio peripersonale, ma anche che esegua un compito interferente rispetto a tali processi. La presenza del partner che esegue un compito, nello spazio peripersonale del partecipante, cambia la prestazione di quest’ultimo. I partecipanti riescono a ignorare di più gli stimoli discordanti, riducendo così l’interferenza visuo-tattile. Sembra quindi che il nostro comportamento e la nostra percezione degli stimoli, siano fortemente modulati dalla presenza e dalle azioni degli altri, quando queste avvengono nello spazio intorno a noi. Gli autori interpretano questi risultati in base ad una diminuzione dell’influenza delle informazioni visive, ai fini del compito crossmodale, dovuta al fatto che un'altra persona agiva all’interno dello spazio in cui questi stimoli erano presentati. Si può concludere pertanto che c’è una stretta relazione tra la rappresentazione spaziale del corpo, l’integrazione sensoriale e le interazioni con gli altri. La modulazione top-down dovuta alle azioni del partner può essere spiegata in due modi. Uno è quello che alla base ha la funzione di sicurezza dello spazio peripersonale. L’effetto del 36 Cross Modal Congruency Task è più grande se gli stimoli avvengono nello spazio peripersonale, vicino ad arti di plastica posti vicino al corpo o tool. L’azione quindi fatta nello spazio peripersonale del soggetto riduce l’interferenza visiva, i soggetti sembrano essere più attenti a quello che succede intorno a loro. L’altra spiegazione potrebbe essere che, siccome lo spazio peripersonale ha un grande ruolo nella scelta delle azioni dirette da un goal, l’interferenza sensoriale deve essere minore per poter fare la scelta giusta. Queste spiegazioni restano in ogni caso ipotesi da confermare con altri studi, che indagano la relazione tra la percezione del nostro spazio e la presenza degli altri. Ad oggi infatti si sa ancora poco su come l’ambiente sociale moduli la rappresentazione dello spazio intorno al corpo. E’ in pubblicazione uno studio di Teneggi e colleghi, volto a dimostrare come l’estensione dello spazio peripersonale possa variare in funzione della presenza di una persona di fronte a sé, rispetto a quando ci si trova di fronte ad un manichino, e come questa modulazione sia influenzata anche dal tipo di interazione che si viene a creare tra due persone. Il paradigma utilizzato è costituito da un compito audio-tattile (vedi Canzoneri et al., 2012) in cui vengono registrati i tempi di reazione vocali a uno stimolo tattile che il soggetto riceve sul volto. Contemporaneamente vengono presentati dei suoni che danno l’impressione di avvicinarsi (SUONI IN) e allontanarsi (SUONI OUT) dal soggetto, il quale però deve ignorali e rispondere solo quando percepisce lo stimolo tattile dicendo “TAH” il più velocemente possibile. Poiché è già stato dimostrato che un suono presentato vicino ad una parte del corpo velocizza i tempi di reazione ad uno stimolo tattile presentato su quella parte del corpo, rispetto ad un suono presentato lontano (vedi Serino et al,. 2007), in questo compito in cui vengono utilizzati degli stimoli dinamici, che simulano il movimento, la distanza critica in cui il suono comincia a interagire con la detenzione dello stimolo tattile, velocizzando i tempi di reazione, indica il confine dello spazio peripersonale. In questo studio, i soggetti svolgevano il compito audio-tattile in due diverse condizioni: in una condizione davanti a loro si trovava un manichino, nell’altra era presente una persona a loro sconosciuta. Lo studio ha dimostrato come lo spazio peripersonale dei partecipanti tendesse a restringersi quando davanti a loro era presente un estraneo, rispetto a quando erano posti di fronte a dei manichini. In un secondo esperimento di Teneggi e collaboratori 32 partecipanti, divisi in due gruppi in modo random, svolgevano lo stesso compito audio-tattile (Canzoneri et al., 2012) questa volta di fronte ad un altro soggetto, sconosciuto al partecipante, prima e dopo un gioco economico. Gli autori volevano osservare se il tipo di interazione ha effetti diversi sui confini dello spazio peripersonale. Pertanto, in un gruppo il confederato si comportava in modo non cooperativo, nell’altro in modo cooperativo nei confronti del soggetto durante un gioco di contrattazione economica. In ogni intervallo temporale, quando viene somministrato 37 lo stimolo tattile, il suono è percepito a una diversa distanza dal corpo. Anche in questo caso, la distanza critica in cui il suono comincia a interagire con la detezione dello stimolo tattile, velocizzando i tempi di reazione, indica il confine della rappresentazione dello spazio peripersonale. I risultati hanno dimostrato che non c’è una differenza significativa nei TR quando i soggetti svolgono il compito da soli e quando lo fanno con un partner che precedentemente non ha cooperato con lui (A). Nel precedente studio la performance al compito audiotattile eseguito con di fronte una persona, veniva confrontata con quella fatta con un manichino. Si è registrata una velocizzazione a partire dai punti D2-D3 (punti del continuum presenti nella figura 11) solo nella condizione in cui era presente un’altra persona. I risultati del primo esperimento dimostrano quindi che i confini dello spazio peripersonale si restringono alla presenza dell’altro. Nell’esperimento che inserisce la variabile dell’interazione sociale, sotto forma di una cooperazione durante un gioco economico, vengono replicati questi risultati dimostrando che anche dopo che l’attore si è mostrato non cooperativo i confini dello spazio peripersonale rimangono invariati in D2-D3, in particolare con i suoni IN (quelli che nel paradigma si avvicinano al soggetto) come accadeva nel confronto con il manichino. Nel caso dei suoni OUT invece non vengono trovate differenze significative, a parte una velocizzazione generale dei tempi di reazione. Risultati interessanti vengono invece registrati nella sessione in cui il partner è cooperativo (secondo gruppo) ma sempre con i suoni IN, per quelli OUT anche in questo caso non ci sono effetti significativi. Sembra che dopo aver cooperato con il partner il soggetto sia sempre più veloce a rispondere, come se includesse l’altro nel suo spazio, eliminando i confini dello spazio peripersonale. Il paradigma con i risultati è schematizzato nella figura 11. 38 Fig 11. Nella figura sono rappresentati in modo schematico i dati ottenuti da Teneggi e collaboratori nel loro secondo esperimento. Sull’asse delle y le medie dei TR dei soggetti, in x i tempi in cui viene dato lo stimolo tattile. In A i TR dei soggetti che avevano fatto il compito con un partner non cooperativo, in B quelle del gruppo in cui i partner erano cooperativi. Come si può osservare in A non ci sono differenze significative prima e dopo il gioco, la linea tratteggiata in verticale tra D2 e D3 indica, in modo approssimativo, il confine dello spazio peripersonale. In B risultano invece significativamente diversi i punti lontani dal soggetto, cioè quelli dello spazio peripersonale del partner. Questo indica che i confini dello spazio peripersonale del partecipante vengono allargati tanto da scomparire e includere quello occupato dall’attore, dopo che essi hanno cooperato. Questi risultati quindi arricchiscono le conoscenze sulla percezione dello spazio intorno al corpo e su come essa si modifica, non solo con l’utilizzo di strumenti, ma anche in base ai comportamenti che le persone mettono in atto nei nostri confronti. Sembra quindi che la rappresentazione dello spazio peripersonale sia altamente sensibile alla modulazione sociale, mostrando un forte legame tra processi motori di basso livello e processi di alto livello come la cognizione sociale. Resta però ora da capire se questo paradigma sperimentale è valido, cioè se siamo davvero di fronte ad un’estensione dello spazio peripersonale dopo la cooperazione tra i due partecipanti. 39 PARTE SECONDA Capitolo 4 Disegno sperimentale 4.1. Scopo della ricerca Nell’esperimento di Teneggi e collaboratori, i partecipanti hanno eseguito un gioco economico con un’altra persona (un attore), la quale poteva comportarsi in modo cooperativo o non cooperativo. I risultati hanno mostrato un’estensione dello spazio peripersonale dei partecipanti solo dopo la prima condizione, cioè quando l’attore si mostrava cooperativo durante il gioco e non dopo quella in cui metteva in atto un comportamento opposto. In realtà 40 però bisognerebbe dimostrare che realmente lo spazio peripersonale si estende tanto da includere lo spazio occupato dall’altro e che gli effetti significativamente diversi ottenuti in D1 e D2 nella condizione di cooperazione non sono dovuti ad altri fattori, come un aumento dell’allerta dopo il compito. Per dimostrare ciò quindi abbiamo replicato l’esperimento considerando altri due intervalli temporali, che abbiamo chiamato D-2 e D-1, in cui i soggetti ricevevano gli stimoli tattili, quando il suono era nello spazio lontano, dietro al confederato. Ci attendiamo quindi che replicando l’esperimento in due sessioni prima e dopo il gioco economico e considerando anche gli stimoli tattili somministrati in concomitanza con suoni “fuori” dallo spazio occupato dal confederato, l’integrazione audio tattile dopo il gioco sia maggiore solo per i suoni presentati nello spazio occupato dall’altro e non per quelli più lontani. 4.2. Materiali e metodo 4.2.1. Partecipanti Il compito è stato eseguito da un gruppo di 20 studenti, tutte ragazze per evitare eventuali differenze di genere, con età media 23,68 ± .63 e media di anni di scolarità 16,21 ± .57. Tutti i partecipanti erano sani e non avevano mai riportato storie di malattie psichiatriche o disturbi neurologici. Non presentavano problemi di udito e tatto. Inoltre non erano a conoscenza della natura degli esperimenti e nessuno aveva avuto precedenti esperienze del gioco economico utilizzato. Ognuna aveva dato il suo consenso informato a partecipare allo studio, che è stato approvato dal comitato etico locale del dipartimento di psicologia, Università di Bologna, in conformità con la Dichiarazione di Helsinki. Gli attori erano femmine della stessa età dei partecipanti, sconosciute ai soggetti sperimentali, a cui veniva detto che l’attore era uno studente coinvolto in un altro esperimento. In particolare, gli attori erano due persone diverse, per eliminare gli effetti idiosincratici dovuti all’aspetto del partner. 4.2.2 Apparato e stimoli I soggetti venivano fatti comodamente sedere a fianco di un tavolo, su cui veniva montato l’apparecchio audio-tattile. Una scatola di cartone nero (100 cm di altezza, 220 cm di lunghezza) veniva posizionata sul tavolo accanto a loro, in modo da coprire i due altoparlanti, 41 uno posto vicino alla guancia destra del partecipante (a ~ 5 cm), l'altro a circa 2 m, alla stessa altezza, pertanto lontano dalla testa del partecipante. Le due casse venivano nascoste alla vista da una struttura di cartone, per evitare ai soggetti di individuare visivamente l'origine dei suoni presentati durante l'esperimento. L’ attore veniva fatto sedere di fronte al partecipante ad 1 m di distanza; il soggetto e l’attore non interagivano tra di loro nella prima fase dell’esperimento, in cui dovevano solo guardarsi negli occhi. Gli stimoli uditivi usati sono campioni di pink noise (44,1 kHz), di 4000 ms di durata, la cui intensità è stata manipolata usando il Soundforge 4,5 software (Sonic Foundry, Madison, WI), al fine di generare uno stimolo uditivo che desse l’impressione di avvicinarsi al soggetto. Questi suoni sono stati chiamati IN e sono esponenzialmente di intensità acustica crescente da 55 a 70 Sound Pressure Level dB (SPL) misurata con un audiometro nella posizione delle orecchie dei soggetti. Entrambe le casse sono attivate simultaneamente, quella lontana è attivata alla massima intensità che poi diminuisce fino al silenzio, mentre l'altoparlante vicino è attivato con un'intensità minima (non percepita), per aumentare e diventare massima alla fine del suono. In questo modo, i suoni davano l'impressione di una sorgente sonora in movimento dalla cassa lontana fino a quella vicina, cioè verso il corpo del soggetto. Come già detto nel precedente capitolo, nei precedenti esperimenti i risultati avevano mostrato effetti significativi solo per quanto riguarda i suoni IN. Questo indica che i RTs nella condizione OUT (cioè quando i suoni sembrano allontanarsi) sono meno influenzati dalla posizione dei suoni nello spazio. Un esperimento di localizzazione del suono in cui i partecipanti dovevano dire in una scala da 1 a 100 (a 1 corrispondeva la loro posizione e a 100 il punto più lontano) dove percepivano la posizione del suono quando ricevevano lo stimolo tattile, ha escluso che l'effetto differenziale trovato per i suoni IN e OUT fosse dovuto al differente modo in cui i soggetti localizzavano la posizione del suono in corrispondenza dei ritardi temporali. Piuttosto, il fatto che l'effetto più forte si ha con i suoni IN è coerente con i risultati precedenti che mostrano maggiore rilevanza per i neuroni che codificano lo spazio peripersonale di stimoli imminenti che si avvicinano al corpo, percepiti quindi come più pericolosi e dannosi (Makin et al, 2007). Pertanto in questo paradigma, per confermare la nostra ipotesi, abbiamo usato solo suoni IN. Per quanto riguarda lo stimolo tattile, questo veniva somministrato sulla guancia destra dei partecipanti, fornito per mezzo di uno stimolatore a corrente costante (DS7A, Digitimer, Hertfordshire, Regno Unito), per mezzo di una coppia di elettrodi neurologici (Neuroline, Ambu, Ballerup, Danimarca). Lo stimolo elettrico era un impulso singolo rettangolare monofasico, con tensione costante (durata = 100 msec), la cui intensità è stata impostata prima dell'esperimento, individualmente per ogni soggetto, in modo da essere chiaramente 42 sopra soglia, ben percepibile ma non fastidiosa. La soglia veniva presa sul singolo fissando l’intensità dello stimolatore al valore minimo e poi progressivamente aumentata fino a quando il soggetto riferiva di percepire in modo distinto il tocco. Venivano poi somministrati una serie di 10 stimoli prova, 5 unimodali (solo suono) e 5 bimodali (suono e scossa), e al soggetto veniva chiesto di riferire quando sentiva lo stimolo tattile. Se il soggetto non eseguiva perfettamente questo compito (cioè se ometteva alcuni stimoli o rispondeva agli stimoli unimodali), il tasso di intensità veniva ulteriormente aumentato di 5 mA, e la procedura veniva ripetuta. Il range di intensità per i soggetti esaminati è stato tra 6090 mA. Ai soggetti è stato chiesto di rispondere vocalmente al target tattile, quando presente, dicendo: "TAH" il più velocemente possibile, cercando di ignorare lo stimolo uditivo. La risposta vocale e quindi i tempi di reazione (TR) sono stati registrati mediante un piccolo microfono. Per controllare la presentazione degli stimoli e per registrare le risposte è stato utilizzato un PC con C.I.R.O. software (www.cnc.unibo.psice.unibo/ciro). La percentuale di errore era estremamente bassa (media delle omissioni= 4.01%, ± 0,77; falsi allarmi = 0,6%). pertanto la prestazione è stata analizzata solo in termini di tempi di reazione. Lo stimolo tattile veniva somministrato in 7 ritardi temporali differenti (da D-2 a D5) dalla comparsa dello stimolo acustico, come già detto solo con suoni IN. La durata complessiva del suono era di 4000 ms. Per ogni prova, il suono era preceduto e seguito da 500 ms di silenzio. I ritardi temporali sono stati impostati in modo che la stimolazione tattile avveniva in D-2 a 250 ms dopo l'inizio del suono IN, in D-1 a 750 ms dall’inizio del suono, in D1 a 1300 ms, in D2 a 1800 ms, in D3 a 2500 ms, in D4 a 3200 ms e in D5 a 3700 ms. In questo modo, la stimolazione tattile avveniva quando il suono era percepita in diverse posizioni spaziali rispetto al soggetto. Ogni condizione sperimentale consisteva in una combinazione casuale di 8 stimoli target per ogni delay temporale da D-2 a D5, per un totale di 80 trial con un target tattile (77% sul totale) presentate in ordine casuale con 24 trial unimodali tattili (nei ms di silenzio prima e dopo l’inizio del suono), che abbiamo chiamato catch trials (23%). Le prove sono state equamente divise in due blocchi, della durata di circa 5 minuti ciascuno. Il design sperimentale è schematizzata nella figura 12. 43 Suono IN 250ms 750ms 1300ms 1800ms 2500ms 3200ms 3700ms Fig 12. La figura mostra il paradigma sperimentale usato. Il partecipante è seduto di fronte all’attore a circa 1 m di distanza. Le casse sono distanti tra loro circa 2 m. I partecipanti hanno risposto a uno stimolo tattile sul viso, mentre suoni irrilevanti si avvicinavano al suo corpo, all’altezza della faccia (suoni IN). In ogni prova, lo stimolo tattile è stato somministrato in 7 possibili ritardi diversi dall'esordio del suono, in modo da essere elaborato quando il suono è stato percepito ad una distanza diversa dal corpo del soggetto (da D-2, a 250 ms dall’inizio del suono, molto lontano; a D5, a 3700, molto vicino.) La durata del suono è di circa 4000ms e ogni trial è preceduto e seguito da 500 ms di silenzio in cui sono stati somministrati stimoli unimodali. Compito di localizzazione dei suoni Al fine di dimostrare che i soggetti effettivamente percepivano la sorgente sonora in luoghi diversi a seconda dei 7 diversi ritardi temporali (da D-2 a D5), abbiamo condotto un esperimento di localizzazione del suono su 7 soggetti femmine, naïve (età media=25,28 ±.52). I soggetti bendati ricevevano una stimolazione tattile sulla loro guancia destra in uno dei diversi ritardi temporali in una serie di 80 prove (5 minuti). Alla fine di ogni prova, è stato chiesto di indicare verbalmente la posizione percepita del suono nello spazio quando avevano sentito lo stimolo tattile, su una scala da 1 (molto vicino) a 100 (molto lontano). I partecipanti sono stati esplicitamente invitati ad utilizzare l'intero intervallo tra 1 e 100, tenendo in conto anche le piccole differenze nella posizione percepita del suono. Un ANOVA condotta sulle medie delle risposte dei soggetti (da 1 a 100) con il fattore distanza (D-2, D-1, D1, D2, D3, D4 e D5) ha mostrato un effetto principale significativo della distanza [F (6,36) = 51; p <.00001]: i soggetti percepivano il suono lontano dal proprio corpo 44 a bassi ritardi temporali e la distanza percepita aumentava con ritardi temporali crescenti, come mostrato anche nella figura che segue (Media delle risposte ± errore standard = D-2 = 87 ± 3,07; D-1 = 77 ± 5; D1 = 70 ± 2,4; D2 = 59 ± 1.7; D3 = 43 ± 3.1; D4 = 23 ± 2,9; D5 = 22 ± 5,05). LONTANO 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 VICINO 0 D-2 D-1 D1 D2 D3 D4 D5 Fig 13. Medie delle distanze percepite dai soggetti, con barre di errore standard, indicate su una scala da 1 a 100, in funzione dei ritardi temporali in cui veniva dato lo stimolo tattile. Come è visibile dal grafico a D-2 (250 ms) lo stimolo viene percepito lontano dal proprio corpo, a D5 (3700 ms) vicino. I partecipanti hanno effettuato il compito audio-tattile con l’altra persona prima e dopo un breve gioco di contrattazione economica con un partner, svolto attraverso due monitor di un computer posto di fronte ad ogni partecipante. Nel nostro esperimento tutti i partner erano nella condizione cooperativa, come giocatori B, mentre il giocatore A era il partecipante. L'esperimento è stato eseguito in sessioni individuali. Entrando nel laboratorio, i partecipanti sono stati accolti da uno sperimentatore che li ha informati che avrebbero partecipato a due studi separati e indipendenti: uno progettato per valutare la percezione tattile e l'altro per lo studio di decisioni economiche. Quindi in primo luogo, ai partecipanti è stato detto che avrebbero risposto a stimoli tattili forniti sul loro volto, ma poiché il compito tattile richiedeva due sessioni separate da un breve intervallo tecnico che serviva per registrare i dati, nel frattempo sarebbe stato chiesto loro di partecipare al gioco in cui avrebbero scelto con un partner come dividere una somma di denaro. I soggetti hanno partecipato ad una versione modificata del gioco comportamentale Mutual Advantage Game (McCabe, 1996), in cui i due 45 giocatori, A e B, interagiscono tra loro per guadagnare soldi veri. I partecipanti sono stati informati del fatto che avrebbero giocato con lo stesso partner del compito tattile. Hanno ricevuto istruzioni scritte circa la natura e le regole del gioco di contrattazione e lo sperimentatore si è assicurato della comprensione di esse spiegando il gioco a voce e rispondendo ad eventuali domande. Nelle istruzioni, è stato sottolineato che i partecipanti avrebbero giocato solo una volta con il loro giocatore avversario e che erano stati assegnati loro in modo casuale rispettivamente il ruolo di giocatori A e B. In realtà ai partecipanti veniva sempre assegnato il ruolo del giocatore A, mentre ai confederati quello B. I partecipanti sono stati inoltre informati che la somma di denaro guadagnata durante il gioco sarebbe stata utilizzata per l'acquisto di diversi prodotti commerciali (ad esempio, pennette USB, ricariche cellulari, bevande, orologi, penne, libri) e alla fine dell'esperimento, i soggetti ricevevano il premio del valore di denaro guadagnato durante il gioco. Il gioco ha avuto luogo in una stanza tranquilla in cui è stata utilizzata una parete divisoria rimovibile per creare due diverse postazioni isolate. Su entrambi i lati del muro, abbiamo collocato una scrivania con un computer. Il partecipante sedeva a una scrivania davanti al computer, mentre nell'altra c'era il complice. Il giocatore A (il partecipante) ha sempre scelto prima del partner. La scelta veniva fatta schiacciando un tasto indicato sulla tastiera come “sinistra” o “destra”, per due possibili opzioni. La somma di partenza messa a disposizione nel gioco era di € 10. Se il partecipante sceglieva il tasto “sinistra” (non-cooperativo), guadagnava € 7 per se stesso e lasciava € 3 al giocatore B ed il gioco finiva così. Quindi a fine esperimento al giocatore A, che aveva scelto di non cooperare, veniva assegnato un premio pari a € 7, mentre al giocatore B uno di € 3. In alternativa la scelta del tasto “destra” (cooperativo) passava il gioco al partner il quale a sua volta doveva scegliere se cooperare o meno, nelle stesse modalità del giocatore A. Tutti i nostri soggetti hanno deciso di cooperare con il loro partner. La condizione era che, qualora tutti e due i giocatori avessero deciso di cooperare, a fine esperimento dovevano necessariamente accordarsi sul premio da ricevere, ognuno ne riceveva uno del valore di € 10, ma doveva essere lo stesso per entrambi. Se il partner decideva di non cooperare invece la situazione cambiava, € 3 andavano al partecipante e € 7 restavano al partner. Nel nostro paradigma tutti i partner erano cooperativi nel gioco, poiché questa variabile non contrasta con la nostra ipotesi sulla verifica dell’estensione reale dei confini dello spazio peripersonale, abbiamo scelto solo la condizione in cui precedentemente era stati ottenuti risultati significativi. Prima di lasciare il laboratorio, i partecipanti quindi si sono accordati sul premio da ricevere e, a ricerca ultimata, dopo circa un mese, tutti hanno ricevuto realmente gli oggetti, tutti del valore di € 10, tranne gli attori. Durante il gioco nessun soggetto aveva espresso il sospetto per quanto riguarda il comportamento cooperativo o non 46 cooperativo del giocatore B e, secondo il resoconto individuale finale che abbiamo raccolto, nessuno aveva indovinato il vero scopo del gioco. Capitolo 5 Risultati 5.1. Analisi dei dati Abbiamo registrato le risposte dei partecipanti (“TAH” allo stimolo tattile) tramite un piccolo microfono con cui è stato possibile memorizzarli per l’analisi off line, grazie al software C.I.R.O. Successivamente, per ogni prova, abbiamo calcolato i TR effettivi del singolo soggetto per i 7 diversi tempi di somministrazione dello stimolo, sottraendo ai dati grezzi il 47 tempo reale in cui veniva dato lo stimolo tattile. Per esempio, se un soggetto in un trial con stimolo tattile in D-2 rispondeva a 1313 ms dall’inizio del suono, abbiamo sottratto 750 ms corrispondenti al tempo effettivo in cui egli riceveva lo stimolo tattile. Abbiamo eliminato i catch trial cioè quelle prove in cui non era presente lo stimolo tattile, ma solo il suono. Abbiamo calcolato le medie dei tempi di reazione per ogni intervallo temporale, da D-2 a D5. Per la nostra analisi abbiamo utilizzato solo gli intervalli temporali in cui lo stimolo era bimodale, quindi non abbiamo considerato le condizioni unimodali D0 e D6 in cui invece i soggetti ricevevano lo stimolo tattile nei 500 ms di silenzio prima e dopo l’inizio del suono. In questo studio le variabili dipendenti, cioè quelle che misuriamo, sono quindi i TR (in y), mentre la variabile indipendente è rappresentata dall’intervallo di tempo in cui viene rilasciato lo stimolo tattile (in x). Lo studio è within subjects, poiché è lo stesso gruppo di soggetti che esegue il compito sia prima (pre) che dopo il gioco (post). La figura 14 riassume i dati ottenuti dallo studio. 660 640 620 600 PRE 580 POST 560 540 520 D-2 D-1 D1 D2 D3 D4 D5 Fig.10. Sono qui riportate le media dei TR nei 7 delay in cui veniva somministrato lo stimolo tattile, prima (in blu) e dopo (in rosso) il gioco, con le rispettive barre di errore. I soggetti sono in media più lenti nelle risposte in cui lo stimolo tattile è somministrato quando il suono è lontano dal soggetto. Man mano che il suono sembra avvicinarsi, i TR si velocizzano in modo progressivo. Per verificare le differenze fra il pre e il post e se effettivamente vi sono cambiamenti dei confini dello spazio peripersonale, abbiamo analizzato i dati applicando un’ANOVA con i fattori distanza a 7 livelli (D-2, D-1, D1, D2, D3, D4, D5) e sessione a due livelli (pre e post gioco economico). L’analisi della varianza ha mostrato un effetto significativo per il fattore 48 distanza [F (6,114) = 3.66, p <.001] e per l’interazione distanza x sessione [F (6,114) = 2.21, p <.05]. La riflessione più importante è stata fatta sull’interazione, che va a mostrare le differenze nei vari tempi di reazione nelle due sessioni. L’ effetto della distanza ci dice solo che i soggetti sono diversamente veloci a rispondere quando lo stimolo si avvicina al loro corpo, come già provato dagli studi sull’integrazione multisensoriale nello spazio peripersonale (Canzoneri et al., 2012). Guardando i post-hoc Newman-Keuls dell’interazione invece si è visto che in D1, i TR dopo la partita sono stati significativamente diversi, più veloci, rispetto a prima della partita (p =0,03) confermando che, dopo l'interazione cooperativa, l’interazione audio-tattile era maggiore per suoni presentati alla posizione occupata dal altro. Questo invece non avviene per i punti più lontani D-1 e D-2 che non sono significativamente diversi nelle due condizioni, così come tutti gli altri delay D2, D3, D4, D5 ( p>.10). I TR sono stati modulati dalla localizzazione spaziale dei suoni, sia prima che dopo il gioco economico, ma il punto critico in cui i suoni interagiscono maggiormente con lo stimolo tattile era situato a una distanza più lontana da soggetto dopo la partita rispetto a prima della cooperazione. Per descrivere meglio i dati ottenuti con questo paradigma abbiamo inoltre fittato la media dei tempi di risposta al target tattile nei diversi intervalli temporali (figura 11) con una funzione sigmoidale descritta dalla seguente equazione: dove x rappresenta la variabile indipendente (cioè, l’intervallo temporale da D-2 a D5), y la variabile dipendente (cioè, il tempo di reazione), ymin e ymax i livelli di saturazione inferiore e superiore della sigmoide, xc il valore dell'ascissa al punto centrale della sigmoide (ad esempio il valore di x con y = (ymin+ ymax)/2) e b la pendenza della sigmoide al punto centrale (vedi anche Canzoneri et al., 2012). 49 Fig 11. Vengono riportati i tempi di reazione alle 7 distanze, prima (linea continua) e dopo la partita (linea tratteggiata) con le relative barre di errore che esprimono l’errore standard della media. Tutti i RTs sono rappresentati in funzione dei diversi intervalli temporali con una curva sigmoidale. Il punto centrale della curva è calcolato come misura del confine dello spazio peripersonale, ovvero la distanza in cui il suono inizia a interagire con lo stimolo tattile. Il punto centrale della funzione è inferiore dopo la partita (1731 ms) rispetto a prima (1911 ms), indicando appunto che i confini dello spazio peripersonale si estendono verso la persona cooperativa. 5.2. Discussioni In conclusione, il presente studio offre nuove conferme su come effettivamente la rappresentazione PPS è sensibile alla presenza degli altri, ma ancora di più all’interazione che avviene tra due individui e la valutazione del comportamento altrui. Studi precedenti hanno indagato un collegamento tra la rappresentazione PPS e gli stati emotivi degli individui. In particolare uno studio del 2011 di Lourenco e collaboratori ha studiato la relazione fra lo spazio peripersonale e la paura claustrofobica sottolineando come quest’ansia sia in stretta relazione con la percezione dello spazio vicino. Più i confini dello spazio sono estesi, maggiore sarà il livello di paura claustrofobica, più la rappresentazione dello spazio è ridotta meno saranno i livelli di paura (Lourenco et al., 2011). Questi risultati concordano pienamente con quanto detto sulla funzione difensiva e di interazione col mondo circostante propria dello spazio peripersonale (Graziano & Cooke, 2006) di cui si è parlato nel secondo capitolo. Anche nel nostro studio emerge chiaramente il rapporto tra lo spazio e i sentimenti, in particolare quelli che regolano la contrattazione di una somma di denaro. Dopo un’interazione ingiusta, non cooperativa, i soggetti dell’esperimento di Teneggi e collaboratori erano genericamente più veloci a rispondere agli stimoli tattili, indipendentemente dalla posizione di suoni nello spazio. Tale effetto di generale aumento della velocità sembra non essere direttamente correlato all’elaborazione spaziale e probabilmente dipende dall’aumento di eccitazione dovuto al comportamento socialmente 50 inaccettabile degli altri. Studi di registrazione della conduttanza della pelle e dell’attività cerebrale (Singer et al., 2006) hanno osservato come l’ingiustizia subita suscita emozioni negative che aumentano le risposte di conduttanza della pelle e l’attività dell'insula e dell'amigdala, aree del cervello coinvolte costantemente nella modulazione delle emozioni negative. Invece, dopo l’interazione cooperativa, i confini dello PPS tra il sé e l'altro si modificano, e i soggetti rispondono più velocemente allo stimolo tattile quando il suono è nello spazio occupato dall’altro, diversamente a quanto accadeva prima del gioco. Tale effetto può essere interpretato tenendo conto della diversa esperienza di interazione che si viene a creare, evidenziando così una forte relazione tra funzioni sensorimotorie e le complesse rappresentazioni sociali. Lo studio quindi ha sottolineato come i confini dello spazio peripersonale si modificano dopo una interazione cooperativa, fenomeno che invece non si presenta dopo che due individui non hanno cooperato durante il gioco economico. Per dimostrare ulteriormente che lo spazio peripersonale si estende dopo la collaborazione il paradigma è stato replicato sul gruppo cooperativo, il solo in cui si erano registrati risultati significativi nello studio precedente. Abbiamo considerato la detezione dello stimolo anche tattile quando il suono veniva presentato nello spazio lontano, non corrispondente con la posizione occupata dall’altro. Ci aspettavamo quindi che, come nell’esperimento di Teneggi e collaboratori, i confini si allargassero tanto da includere l’altro nel proprio spazio osservando una velocizzazione in questa porzione di spazio, ma non in quello più lontano, lontano non solo dal soggetto, ma anche dal confederato. Il nostro intento era pertanto falsificare l’ipotesi di una generale velocizzazione dei tempi di reazione dopo il gioco, cioè in tutti i punti in cui veniva rilasciato lo stimolo tattile. I risultati registrati hanno evidenziato che i TR in D-2 e D1 (dietro all’attore) non erano significativamente diversi prima e dopo il gioco, differenza invece trovata in D1, che corrisponde in modo approssimativo alla posizione dell’altro. Questo dimostra come realmente il PPS si estende fino all’altro in funzione della cooperazione. Possiamo quindi affermare che i confini dello spazio entro cui gli stimoli esterni vengono elaborati in modo più efficiente per implementare un comportamento difensivo o per interagire con il mondo esterno programmando una reazione, si spostano verso lo spazio occupato dall’altra persona, ma non vanno oltre. Le esperienze fisiche e percettive del corpo vengono ricodificate dalle rappresentazioni sociali e cognitive di alto livello (in questo caso, la cooperazione) facilitando la previsione e la valutazione, del comportamento sociale altrui (Niedenthal PM, 2007). 51 Bibliografia o Avenanti A., Bolognini N., Maravita A., Aglioti S.M. (2007). Somatic and motor components of action simulation. Current Biology 17, 2129-2135. o Bassolino M., Serino A., Ubaldi S., Làdavas E. (2010). Everyday use of the computer mouse extends peripersonal space representation. Neuropsychologia 48: 803-811. o Berti A. and Frassinetti F. (2000). When far becomes near: remapping of space by tool use. 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G., & Mishkin, M. (1982). Two cortical visual systems. In D. J. Ingle, M. A. Goodale, & R. J.W. Mansfield (Eds.), Analysis of visual behaviour. Cambridge, MA: MIT Press. 55 56 Un doveroso ringraziamento alla Dottoressa Teneggi, alla sua umiltà che mi ha permesso di continuare con impegno questo lavoro. Grazie a tutte le ventisette ragazze che hanno dedicato un’ora preziosa delle loro giornate estive ai nostri esperimenti. Nostri, si. Grazie Sissi-collega-suprema in un’altra vita, chissà, forse, eravamo ricche titolari di un negozio di manichini. Ai treni presi al volo, come quello del 14 Settembre. Anche a quelli persi, perché, da un finestrino, il mondo sembra sempre diverso. A tutti i sorrisi che hanno contribuito a questo lavoro. A mio padre, perché crede in me e perché basta una parola per farmelo capire. A mia madre, alla quale a volte vorrei somigliare un po’ di più. A Salvatore, perché quello che ci unisce non si può spiegare. A Vito, perché non posso immaginare senza di lui come sarebbe. Perché, da più di sei anni, ogni giorno, sopporta i miei difetti. Alla mia famiglia di Rimini, grazie per avermi fatto sentire ogni giorno sempre più a casa. A Roby e Giò e all’energia che trasmettono. Grazie a chi non c’è più, ma è sempre presente. Ai miei nonni, per tutto quello che imparo da loro, senza dover dare esami. A zio Egidio e alla sua famiglia, che è anche la mia. Grazie ad Angi, perché è proprio come la sorellina che ho sempre desiderato. Alla deralula s.p.a., ad ogni sua singola componente, perché siamo ancora insieme, un buon motivo per ritornare al passato. Sempre. A tutti i miei amici che anche lontani, sento sempre vicini. A Rossella e all’attesa gioiosa di poter sorridere ad un nuovo viso. A Ross, perché parlare con lei è tutta un’altra storia. A Maria, per quello che sarà. E infine, ma solo in ordine di arrivo nella mia vita, grazie a voi che avete invaso così dolcemente il mio spazio peripersonale. A questi due intensi anni insieme, che ne valgono almeno venti. Alle pedalate sotto la pioggia con Catia, all’immancabile carezza mattutina di Eli che entra “nella mia camera” ancora assonnata, alle nottate passate sottovoce con Marzia, a quel fare unico di Cri, che adoro così tanto. Grazie anche a chi non ho capito e poi si è allontanato. A chi è felice per me e con me, oggi. L’infinito umano è tutto qui. (N.F.) 57 58