1 CAPITOLO 4 I POLIEDRI REGOLARI (con il prezioso contributo del prof. Ivan Casaglia) E I CORPI ROTONDI Fin qui abbiamo visto cinque poliedri regolari: 1. Tetraedro (4 triangoli equilateri) 2. Esaedro (o cubo, 6 quadrati) 3. Ottaedro (8 triangoli equilateri) 4. Dodecaedro (12 pentagoni regolari) 5. Icosaedro (20 triangoli equilateri). Sappiamo che nel piano esistono infiniti poligoni regolari. Nello spazio, quanti sono i poliedri regolari? Procediamo “per punti”. 1) Analogia tra poliedri nello spazio e poligoni nel piano. Quali proprietà dei poligoni sono “traducibili” per i poliedri e in che forma? Ad esempio, la proprietà angolare nel piano per cui la somma degli angoli interni di un poligono di n lati è n − 2 π , ha una sua traduzione nello spazio? ( ) 2) Ponendosi questo problema, che è tipico del modo di procedere della ricerca matematica, un grande matematico -di cui per il momento non dirò il nome, e di cui, nelle prossime pagine seguiremo le tracce- arrivò a scoprire una delle più importanti proprietà della matematica elementare (e non solo…). È un raro privilegio quello di poter seguire da vicino il percorso che porta un matematico a scoprire una proprietà importante, perché molto spesso, il modo di organizzare e comunicare la matematica (quello che va sotto il nome di metodo ipotetico-deduttivo) cela quel percorso. 3)Prima questione: che cosa potrà prendere il posto degli angoli quando si passa dai poligoni ai poliedri? Diedri formati dalle facce? Angoloidi nei vertici? Angoli interni delle facce? La prudenza ci suggerisce di partire dalle cose più semplici, o per lo meno più familiari, e dunque di cominciare a ragionare sugli angoli delle facce. In ogni caso si potrebbe provare, ma è una questione un po’ più complessa, che anche per i poliedri più semplici, come i tetraedri, la somma dei diedri così come la somma degli angoloidi (ma qui andrebbe 2 precisato anche il significato da dare a quest’operazione) non è costante, e dipende dalla “forma” del tetraedro. 4)Da dove cominciare? Qui il comportamento del matematico è lo stesso di qualunque serio e onesto sperimentatore: prendere in esame qualche esempio “concreto” e osservare che cosa succede. Costruiamo una prima tabella per vedere se riusciamo a individuare qualche regolarità. Indichiamo con F il numero delle facce e con Σα la somma degli angoli interni di tutte le facce del poliedro. Poliedro F tetraedro Somma angoli di una faccia Σα 4 π 4π cubo 6€ 2π ottaedro 8 π 5−prisma 7€ € 3π (basi) 2π (facce laterali) € 12π € 8π € 2 ⋅ 3π + 5 ⋅ 2π = 16π € € 5) Osserviamo qualche € regolarità? Ancora no. L’osservazione senza una “idea guida” non porta, generalmente, da nessuna parte. Per il momento abbiamo sommato gli angoli delle facce, procedendo “faccia per faccia”. Potremmo eseguire la somma “vertice per vertice”? A differenza di ciò che accade per le facce, noi non conosciamo quanto valga la somma di questi angoli (cioè di quelli che concorrono nello stesso vertice). Sappiamo soltanto che, per ogni vertice, questa somma è minore di 2π e quindi, se indichiamo con V il numero dei vertici del poliedro, avremo: Σα < 2πV . Riprendiamo la tabella precedente e completiamola, verificando questa proprietà. 3 Poliedro F Σα V 2πV tetraedro 4 € 4π 4 € 8π cubo 6 € 12π 8 € 16π ottaedro 8 € 8π 6 € 12π 5−prisma 7 € 16π 10 € 20π € già sappiamo, non possiamo € Ora, oltre a verificare quanto fare a meno di osservare che, in tutti i casi: 2πV − Σα = 4π . Incoraggiante! Si tratta di una coincidenza o possiamo cominciare a sperare? La diversità dei casi esaminati ci sostiene nel formulare una congettura: ( ) Σα = 2π V − 2 (1) che presenta una sorprendente analogia con la proprietà angolare del poligono. Ora dobbiamo tentare di dimostrarla. 7) Come? Provando, per cominciare, a generalizzare il procedimento che abbiamo seguito per compilare la tabella, in generale. Consideriamo un poliedro con F facce e immaginiamo di numerarle. 4 Indichiamo quindi con s1 il numero dei lati (spigoli) della prima faccia, con s2 il numero dei lati della seconda faccia, e così via. Consideriamo questi numeri: s1,s2 ,⋅⋅⋅,s F . Andiamo quindi a sommare gli angoli faccia per faccia: Σα = π s1 − 2 + π s2 − 2 + ...+ π s F − 2 . ( ) ( ) ( ) La somma s1 + s2 + ...+ s F è il numero totale di tutti i lati di tutte le facce. Poiché ogni spigolo del poliedro è il lato di due di queste facce, se indichiamo con S il numero degli spigoli del poliedro, abbiamo: s1 + s2 + ...+ s F = 2S . Mettendo insieme le ultime due relazioni possiamo scrivere: Σα = π 2S − 2F = 2π S − F . ( ) ( ) Questa relazione, a differenza della congettura, è stata dimostrata. Ora se combiniamo questa relazione con la congettura, eliminando Σα , otteniamo: F +V − S = 2 (2) che è l’importante relazione sui poliedri di cui abbiamo parlato dall’inizio. È nota come formula di Eulero e fu scoperta prima da Cartesio (1640) e poi, indipendentemente, da Eulero (1752). Cartesio non fornì una dimostrazione. Eulero dedicò all’argomento due memorie. Nella prima spiegò come era arrivato a scoprire la relazione (noi ne abbiamo seguito i passi), limitandosi a verificarne la validità in un certo numero di casi (un po’come abbiamo fatto noi con le precedenti tabelle). Nella seconda memoria Eulero fornì una dimostrazione, che presentava però una lacuna in uno dei passaggi essenziali (destino comune a molte delle dimostrazioni di Eulero!). 8) Per dimostrare questa formula dobbiamo immaginare di poter deformare il poliedro con continuità, cioè senza strappi, in modo che la connessione tra facce, spigoli e vertici, resti immutata. Subendo questa trasformazione il poliedro si modifica ma i numeri F, S e V restano gli stessi. Naturalmente una simile trasformazione modifica i singoli angoli delle facce, ma la 5 somma Σα che dipende solo dal numero delle facce e dal numero degli spigoli di ciascuna faccia, resta invariata. Fatta questa premessa, immaginiamo di appoggiare una base del poliedro su un piano orizzontale (quello di un tavolo per capirci) e di allargare questa base in modo che l’intero poliedro possa essere proiettato ortogonalmente, o schiacciato, su questa sua base, in modo tale che i vertici del poliedro che non appartengono alla base allargata, vengano proiettati in punti interni a questa. Ecco alcuni esempi riferiti ai poliedri regolari. Le figure che si ottengono con questa trasformazione sono note come diagrammi di Schlegel. Il risultato della trasformazione eseguita è dunque un poliedro schiacciato costituito da due “fogli” poligonali sovrapposti: - il foglio inferiore (la base allargata) che è un unico poligono - il foglio superiore che è suddiviso in F −1 sotto-poligoni. Se indichiamo con n il numero dei lati del poligono che racchiude i due fogli, cioè il numero di spigoli della faccia allargata, possiamo calcolare con facilità Σα . Per cominciare, la somma degli angoli interni del foglio inferiore, cioè della faccia allargata, è n − 2 π . Passando al foglio ( ) superiore abbiamo che la somma degli angoli del contorno è la stessa di 6 ( ) quella del foglio inferiore, n − 2 π . Restano gli angoli all’interno del foglio superiore. Ma questi possono essere sommati “vertice per vertice”. In ogni vertice, la somma degli angoli che vi concorrono, è 2π . I vertici interni sono inoltre V − n e dunque la somma degli angoli interni al secondo foglio è V − n 2π . Ricapitolando possiamo scrivere che: ( ) s.angoli Σα = foglio inf !" # # $ n −2 π ( ) s.angoli foglio sup !### #"#### $ + n − 2 π + V − n 2π = 2πV − 4π . !" # # $ !#"# $ ( ) s.angoli contorno ( s.angoli ) int erni Questo, dimostrando la nostra congettura (1), prova anche la formula di Eulero (2) che è ad essa equivalente. 9) Alcune conseguenze interessanti della formula di Eulero. Una curiosità: i radiolari I radiolari sono dei protozoi caratterizzati da uno scheletro siliceo. Quello che si vede nella figura sembra, a colpo d’occhio, un poliedro a facce esagonali. Se si guarda con maggiore attenzione, però, si possono individuare delle facce pentagonali. È un caso o la presenza delle facce pentagonali è, in qualche modo, necessaria? Può esistere un poliedro le cui facce siano tutte esagonali? La risposta è negativa e discende direttamente dalla formula di Eulero. Se, infatti, tutte le F facce del poliedro fossero esagonali, avremmo che 6F V= = 2F , dal momento che in ogni vertice concorrono 3 facce, e 3 6F S= = 3F , dal momento che ogni spigolo è comune a 2 facce. 2 Si avrebbe dunque che: F +V − S = F + 2F − 3F = 0 , contro la formula di Eulero. 7 I poliedri regolari sono tutti, e soli, i 5 solidi platonici Dimostriamo adesso che i soli poliedri regolari sono i cosiddetti “5 solidi platonici” (Timeo, opera scritta da Platone, filosofo greco vissuto tra il V e il IV secolo a.C.). La prova di questo fatto poggia sulla formula di Eulero, preceduta da alcune considerazioni preliminari. Denotiamo con n il numero di facce (e quindi di spigoli) che s’incontrano in un vertice del poliedro. Poiché ogni spigolo congiunge due vertici, il numero di spigoli che partono da ciascun vertice sarà: 1 vertice n spigoli, allora V vertici uguale 2S = nV ⇒V = nV spigoli, quindi 2 2S . n D’altro canto, ogni faccia del poliedro è delimitata da r spigoli (il numero dei lati dei poligoni regolari che costituiscono le facce del poliedro), quindi il numero di spigoli che delimitano le facce è uguale al numero di spigoli del poliedro, anche questi contati due volte, perché ogni spigolo è comune a due facce: 1 faccia uguale r spigoli, allora F facce uguale quindi 2S = rF ⇒ F = rF spigoli, 2 2S . r Si sostituiscono queste relazioni nella formula di Eulero, e si divide per 2S , ottenendo l’espressione: 1 1 1 1 − + = . n 2 r S 8 Dalle definizioni di poligono e di poliedro, tanto r quanto n non possono essere inferiori a 3. Tuttavia non possono essere entrambi maggiori di 3, perché se così fosse, per esempio se fossero ambedue uguali a 4, l’ultima 1 1 1 1 1 + = + ⇒ =0 e 4 4 2 S S questo è assurdo. Analizziamo quindi i casi n = 3 e r = 3 separatamente. relazione trovata porterebbe alla conclusione che # r = 3 ⇒ S3 = 6 ⇒V3 = 4 ⇒ F3 = 4 ⇒ tetraedro % % 1−1 = 1 >0⇒ r <6⇒ r = 4 ⇒ S4 =12 ⇒V4 = 8 ⇒ F4 = 6 ⇒ cubo % r 6 S n=3⇒$ r = 5 ⇒ S5 = 30 ⇒V5 = 20 ⇒ F5 =12 ⇒ dodecaedro % % 6r S= % 6−r & # n = 3 ⇒ S3 = 6 ⇒V3 = 4 ⇒ F3 = 4 ⇒ tetraedro % % 1−1 = 1 >0⇒n<6⇒ n = 4 ⇒ S3 =12 ⇒V3 = 6 ⇒ F3 = 8 ⇒ ottaedro % n 6 S r =3⇒$ n = 5 ⇒ S3 = 30 ⇒V3 =12 ⇒ F3 = 20 ⇒ i cosaedro % % 6n S= % 6−n & Conclusioni Nella dimostrazione della formula di Eulero abbiamo utilizzato una trasformazione di tipo “continuo” (per il momento ci limitiamo ad usare questo termine in modo intuitivo, immaginando una applicazione biiettiva tra i punti dello spazio, nella quale non si producono “strappi”). Questo 9 fatto ci introduce in uno dei settori più importanti della matematica moderna, la topologia, cioè lo studio delle proprietà delle figure che sono invarianti per trasformazioni di tipo continuo. La formula di Eulero rappresenta proprio uno di questi invarianti. Più precisamente, e qui sta l’importanza della formula, essa può essere generalizzata in modo da consentire una classificazione delle superfici. Cominciamo osservando che tutti i poliedri che abbiamo finora considerato sono deformabili, per mezzo di una trasformazione continua, in una sfera. Si usa dire che questi poliedri sono topologicamente equivalenti alla sfera. Se però consideriamo questa immagine, ci troviamo di fronte ad una figura (un poliedro?) per il quale, possiamo fare due osservazioni: 1) non è possibile deformarla in modo continuo in una sfera, per la presenza del “foro”, che non può essere eliminato; 2) non vale la formula di Eulero, perché V + F − S =16 +16 − 32 = 0 . I poliedri che sono deformabili con continuità in una sfera si dicono poliedri semplici e per essi vale la formula di Eulero. Figure come quella che abbiamo appena esaminato possiamo ancora considerarle come poliedri, ma naturalmente non sono semplici. D’altre parte, se è vero che il nostro poliedro non è deformabile con continuità in una sfera, è possibile però immaginare di trasformarlo in una ciambella (o toro) o anche in una sfera con un manico. 10 Più in generale si può immaginare che ogni superficie chiusa, poliedrica o non poliedrica, possa essere sempre deformata in una sfera con un certo numero di manici (eventualmente nessuno). Il numero dei manici è detto il genere della superficie. Tutti i poliedri semplici sono dunque superfici di genere 0, mentre il toro o il poliedro dell’ultima figura sono superfici di genere 1, ecc. (nella figura che segue sono rappresentate tre superfici di genere 2). Una delle formule più importanti della topologia è rappresentata da una relazione che generalizza la formula di Eulero, e che è nota come formula di Eulero-Poincaré. Consideriamo una superficie chiusa di genere g e immaginiamo di dividerla, fissando su di essa un certo numero di punti (vertici) e unendo questi punti con degli archi di curva. Se V indica il numero dei vertici, S il numero degli archi di curva che uniscono i vertici, e F il numero delle regioni in cui è divisa la superficie, la relazione di Eulero-Poincaré afferma che: V + F − S = 2 1− g . ( ) Per una dimostrazione di questa proprietà e per un’introduzione alla topologia e ai suoi problemi, si veda il capitolo che le è dedicato in: Richard Courant e Herbert Robbins, Che cos’è la matematica?, Bollati Boringhieri. 11 CORPI ROTONDI Si definisce superficie sferica, o più semplicemente sfera1, l’insieme dei punti dello spazio a distanza r (raggio) da un punto fisso O, (centro). E’ data una circonferenza C appartenente ad un piano α , ed una retta dello spazio incidente il piano. Si definisce cilindro (indefinito) l’insieme delle rette (generatrici) parallele ad r , ed intersecanti α nella circonferenza C. La parallela a r passante per il centro della circonferenza si dice asse del cilindro. Se tale retta è ortogonale al piano α , il cilindro si dice retto. La porzione di cilindro compresa tra due piani paralleli si dice cilindro definito, mentre la sezione ottenuta tagliando il cilindro con un piano ortogonale all’asse, si dice sezione normale. Se il cilindro è retto la sezione normale è una circonferenza ed il suo raggio si dice raggio del cilindro. Data una circonferenza C su un piano α , ed un punto P ∉ α , si dice cono2 (indefinito) l’insieme delle rette per P che intersecano i punti della circonferenza C. Tali rette si dicono generatrici, il punto P si dice vertice del cono, mentre la retta che congiunge P con il centro della circonferenza è 1Si dice zona sferica la parte di superficie sferica compresa tra due piani paralleli che tagliano la superficie, le circonferenze sezioni si dicono basi della zona e la loro distanza altezza della zona. Si chiama calotta ciascuna parte in cui viene suddivisa una superficie sferica da un piano secante. La parte di sfera compresa tra due piani secanti paralleli si dice segmento sferico a due basi. Ciascuna delle parti in cui la sfera è divisa da un piano secante si dice segmento sferico a una base. Si dice settore sferico quella parte di sfera generata dalla rotazione di un settore circolare attorno ad un diametro che giace nel piano del settore, ma non lo attraversa. Si dice fuso sferico la parte di superficie sferica limitata da due semipiani diametrali. Si dice spicchio sferico la parte di sfera limitata da un fuso e dai semicerchi massimi corrispondenti ai lati del fuso. 2La parte di superficie conica appartenente al cono si dice superficie laterale. Si dice superficie totale l’unione della superficie laterale con la base. Si dice apotema il segmento di generatrice compreso tra il vertice e la base. Un cono si dice equilatero se l’apotema è congruente al diametro di base. Una piramide retta si dice inscritta o circoscritta a un cono se il suo vertice coincide con il vertice del cono e la sua base è inscritta o circoscritta nella base del cono. Si dice tronco di cono la parte di cono ottenuta tagliando il cono con un piano parallelo alla base e non contenente il vertice. 12 detta asse del cono. Se l’asse è perpendicolare al piano della circonferenza il cono si dice retto. Alcuni teoremi I risultati che seguono vengono forniti senza dimostrazione. Il lettore interessato potrà trovarla in qualsiasi libro di testo che tratta l’argomento. 1. Le sezioni di un cono indefinito, ottenute con piani perpendicolari all’asse, sono cerchi, le cui aree stanno tra loro come i quadrati delle rispettive distanze dal vertice. 2. Le semirette, uscenti da un punto A esterno ad una superficie sferica e tangenti ad essa, formano una superficie conica. Il luogo dei punti di contatto è una circonferenza minore, il cui piano è perpendicolare alla retta diametrale passante per A. 3. Le rette, parallele a una retta data e tangenti ad una superficie sferica, formano una superficie cilindrica; il luogo dei punti di contatto è la circonferenza massima il cui piano è perpendicolare alla retta data. Sviluppi Abbiamo già avuto modo di considerare lo sviluppo di particolari superfici poliedriche su un piano. Si tratta, sostanzialmente, di una trasformazione tale che, dopo un certo numero di tagli che non separino del tutto una faccia dall’altra, una superficie poliedrica può essere distesa su un piano. Occupiamoci adesso dello sviluppo del cilindro e del cono. Definiamo lo sviluppo in modo più “operativo”. Una superficie S è sviluppabile su una superficie piana S’, quando è possibile stabilire una corrispondenza tra S’ e S tale che le curve tracciate su S sono rappresentate da curve su S’ aventi la stessa lunghezza. 13 Sviluppo della superficie del cilindro e di quella del cono Problema (giochi di Archimede 2013) Il Mago Merlino posa a terra il suo cappello, un cono retto di altezza h = 20 2cm e di base una circonferenza di raggio r =10cm . Una formica, partendo da un punto P sul bordo del cappello, vuole raggiungere il punto Q situato nel punto medio dell’apotema dalla parte opposta (vedi figura). Quanto misura il cammino più breve che la formica dovrà percorrere sulla superficie del cappello per raggiungere Q? 14 Problema. In un cono equilatero di vertice V e raggio r è inscritta una piramide retta avente per base il quadrato inscritto nel cerchio di base del cono. Determinare: a) Il rapporto tra il volume della piramide e quello del cono, b) L’ampiezza dell’angolo che le facce laterali della piramide formano con la base. La sfera non è sviluppabile Si dimostra per assurdo facendo vedere che esiste una curva sulla sfera (di raggio R), la cui lunghezza non si conserva. Consideriamo una sezione della sfera con un piano parallelo al piano equatoriale: si tratta di una circonferenza di raggio r = R sin α , dove α è la semi-apertura del cono retto di vertice nel centro della sfera, e base coincidente con la circonferenza sezione. Indichiamo con P un punto sulla circonferenza, e con C il punto in cui l’asse del cono interseca la sfera dalla stessa parte della circonferenza. Se la sfera fosse sviluppabile, la trasformata della circonferenza dovrebbe avere la stessa lunghezza di quest’ultima, ma ciò non è possibile. Infatti, la circonferenza sezione ha lunghezza L = 2π r = 2π R sin α , mentre la trasformata è la circonferenza di centro C e raggio della stessa lunghezza (misurata sulla sfera) dell’arco PC , la cui lunghezza è L ! = 2π Rα ≠ L . Carte geografiche L’impossibilità di sviluppare la sfera su un piano impedisce la rappresentazione della Terra su un foglio. Il problema è dato dal fatto che non si conservano contemporaneamente tutte le proprietà metriche (distanze, aree, angoli). Le comuni carte geografiche vengono realizzate con il metodo cosiddetto delle proiezioni. La rappresentazione cartografica può essere ottenuta 15 proiettando i punti della sfera in due modi: direttamente su un piano, (proiezione prospettica) oppure su un cilindro (o su un cono), e successivamente sviluppando su un piano tali superfici. Per la navigazione, in particolare, si avverte la necessità di disporre di una rappresentazione conforme, ovvero tale da conservare gli angoli, in modo da non dover correggere continuamente la rotta. Volume dei corpi rotondi Principio di Cavalieri Se un piano, parallelo al piano di riferimento su cui poggiano due solidi, stacca su questi sezioni equivalenti alla stessa quota rispetto al suolo, allora i due solidi sono equivalenti. Si suppongono noti i volumi del cubo di lato l (V = l 3 ) e quello del cilindro a base circolare di raggio r ed altezza h (V = π r 2 h ). Il volume del cono circolare retto Sempre dal Principio di Cavalieri è possibile dedurre il volume del cono π 3 circolare retto: V = r 2 h . Infatti, se le sezioni del cono con piani paralleli al cerchio di base sono equivalenti a quelle di una piramide retta, avente la stessa altezza del cono, che si trovano alla stessa quota, i due solidi sono equivalenti. Il volume della sfera Si calcola il volume della sfera mostrando la sua equivalenza con l’anticlessidra, il solido complementare al doppio cono di basi coincidenti con quelle del cilindro (equilatero) in cui è inscritto. Indicato con R il raggio della sfera, con r il raggio della sezione della sfera, e con h la distanza della sezione della sfera (e quindi di quella del cono) dal centro della sfera, si ha: h = R 2 − r 2 . Poiché la semi-apertura del cono è un angolo di 45° (essendo inscritto in un cilindro equilatero), il raggio della sezione del cono è congruente alla distanza di questa dal vertice (centro della sfera), ovvero h = R 2 − r 2 . L’area della sezione della sfera è π r 2 , quella della sezione del cono è π h2 = π ( R 2 − r 2 ) , di conseguenza l’area della sezione dell’anti-clessidra è π R 2 − π h2 = π r 2 , equivalente a quella della sfera. Per il principio di Cavalieri, il volume della sfera è equivalente a quello 16 dell’anti-clessidra, ovvero a quello del cilindro 2π R 3 privato di quello del doppio cono inscritto 2π R 3 4π R 3 , per cui Vsfera = . 3 3 LA SFERA E LA GEOMETRIA NON EUCLIDEA Ci prefiggiamo lo scopo di studiare la sfera come superficie dello spazio in modo intrinseco, senza considerare lo spazio in cui è immersa. I primi studi in questa direzione risalgono alla prima metà dell’800, quando Gauss pubblica, nel 1837, la memoria “Disquisitiones generales circa superficies curvas”. Le idee esposte furono poi riprese da Riemann, nel 1854, durante la conferenza dal titolo “Sulle ipotesi che stanno alla base della geometria”. La novità più rilevante è certamente rappresentata dall’introduzione del concetto di spazio curvo, di fondamentale importanza nello studio della Teoria della Relatività generale. L’idea di base sta tutta nello studio di una superficie dal punto di vista di un osservatore che può muoversi su di essa, senza essere in grado di percepire gli oggetti che stanno all’esterno della superficie, un po’come la formica di Poincaré. La geometria della sfera Consideriamo un sistema di riferimento cartesiano ortogonale con l’origine nel centro della Terra. Indicato con RT il raggio terrestre, sono sufficienti due parametri angolari per individuare un punto sulla superficie della sfera: la latitudine e la longitudine. Il primo angolo è formato dal raggio congiungente il punto sulla superfice con il centro della Terra, con l’asse terrestre, mentre il secondo è l’angolo diedro formato dal piano contenente il punto sulla superficie e l’asse terrestre, con il piano contenente il meridiano di Greenwich. Indichiamo la latitudine con −90° ≤ ϕ ≤ 90° , la longitudine con −180° ≤ λ ≤180° . 17 La superficie della sfera e quella del fuso sferico Le coordinate di un generico punto sulla superficie della sfera sono: P RT cos ϕ cos λ , RT cos ϕ sin λ , RT sin ϕ . Di conseguenza, la superficie ( ) della sfera è data dall’integrazione dell’elemento di superficie dS = PM ⋅ PQ : dS = (2π RT cos ϕ )RT dϕ ⇒ S = 2π RT2 π 2 − ( ) A F = 2 T ∫ cosϕ d ϕ = 4π R π 2 πβ 2 r . 90° Geodetiche sulla sfera Dati due punti A, B su una sfera, si può dimostrare che il cammino di minima lunghezza che li congiunge è un arco di cerchio massimo. La dimostrazione è piuttosto complessa, tuttavia è possibile convincersi empiricamente di questo fatto, tendendo un filo elastico tra i due punti (si 18 tratta di un’esperienza condotta sulla sfera, senza sfruttare lo spazio in cui è immersa). La curva su cui si dispone, in modo naturale, il filo elastico, è un arco di cerchio massimo, o geodetica. Per via di questa proprietà di minimizzare il cammino tra due punti sulla sfera, le geodetiche possono essere considerate l’equivalente delle rette del piano euclideo: d’ora in poi le geodetiche saranno per noi le rette sulla sfera. Inutile dire che le rette, per come le conoscevamo sul piano, dovranno, sulla sfera, essere profondamente ripensate. (L’immagine seguente è tratta dal sito http://users.libero.it/prof.lazzarini/geometria_sulla_sfera/modelli_noneu _start.htm) Calcolo della lunghezza di un arco di geodetica Vogliamo calcolare la lunghezza dell’arco di geodetica congiungente due punti, P1 e P2 , individuati dalle rispettive latitudini e longitudini: ( P (R ) P1 RT cos ϕ1 cos λ1, RT cos ϕ1 sin λ1, RT sin ϕ1 , e 2 T ) cos ϕ 2 cos λ2 , RT cos ϕ 2 sin λ2 , RT sin ϕ 2 . La lunghezza dell’arco è P1P2 = RT α , dove α è l’angolo tra i raggi congiungenti il centro della Terra con i punti P1 e P2 sulla superficie terrestre. Si applica il teorema di Carnot al triangolo OP1P2 per determinare il coseno dell’angolo α : α P1P2 = RT 2(1− cos α ) = 2RT sin , essendo 2 2 P1P2 = 2RT2 #$1− cos ϕ1 cos ϕ 2 cos Δλ − sin ϕ1 sin ϕ 2 %& . Di conseguenza, se gli 19 angoli sono espressi in gradi, la lunghezza d’arco geodetica è data dalla relazione: π arccos "#cos ϕ1 cos ϕ 2 cos Δλ + sin ϕ1 sin ϕ 2 $% . 180 Osservazione. Se i due punti si trovano alla stessa latitudine ϕ1 = ϕ 2 , la lunghezza dell’arco di parallelo che li congiunge è data dalla relazione π LP P = RT Δλ cos ϕ . 1 2 180 Esercizio. Calcolare la lunghezza d’arco di geodetica congiungente Mosca (ϕ = 55°45' N , λ = 37°37' E ) , con Kansas city P1P2 = RT (ϕ = 39°8' N , λ = 94°34'O ) . P1P2 = 6371,22 π arccos !"cos55,75°cos39,13°cos132,18 + sin55,75°sin39,13°#$ km 180 = 8539km Esercizio. Calcolare la lunghezza d’arco di parallelo congiungente San Pietroburgo ϕ = 60°N , λ = 30°E con le Isole Shetland ( ) (ϕ = 60°N , λ =1°O ) . Risultato: LP P = 6371,22 1 2 π 30 − (−1) °cos60°km =1724km . 180° ( ) 20 Triangolo sferico Dati tre punti A, B, C sulla sfera non appartenenti allo stesso cerchio massimo (nel piano diremmo non allineati…) si definisce triangolo sferico l’intersezione tra la superficie sferica ed il triedro che ha vertice coincidente con il centro O della sfera, e spigoli passanti per i tre punti A, B, C. Le circonferenze massime a cui appartengono i lati del triangolo sferico appartengono a piani passanti per il centro della sfera, che formano angoli di ampiezza inferiore a π . Per definire rigorosamente l’angolo sulla sfera, si considerano due circonferenze massime, C1, C2 , aventi in comune il punto A. I piani che le contengono individuano sul piano tangente in A alla sfera, due rette t1, t2 , tangenti rispettivamente alle circonferenze C1, C2 . Si chiama angolo sferico l’angolo avente per origine A, e semirette quelle tangenti alle due semicirconferenze delimitate da A e dal suo antipodale A’. Eccesso angolare Si può dimostrare che la somma degli angoli interni di un triangolo sferico è maggiore di 180°. La differenza tra la somma e la misura dell’angolo piatto si dice eccesso angolare: α + β + γ > 180° . 21 Il teorema di Girard. In un triangolo sferico l’eccesso angolare è proporzionale all’area del triangolo stesso: A T = α + β +γ − π r2 . ( ) ( ) Dimostriamo questo teorema. Due circonferenze massime su una sfera si incontrano in due punti antipodali, A e A’. Una terza circonferenza massima incontra le prime due nei punti B,B’,C,C’: a questo punto la sfera è divisa in 8 triangoli sferici. Calcoliamo l’area di uno di questi, ad esempio ABC. 22 Indichiamo con T e T ! il triangolo ABC ed il suo simmetrico rispetto al centro O della sfera. I due triangoli hanno la stessa area: A (T ) = A (T !) , che può essere calcolata osservando che i tre fusi individuati dal triangolo T , ed i rispettivi opposti individuati da T ! , ricoprono la sfera: 4π r 2 = 2 (2α r 2 ) + (2β r 2 − A (T )) + (2β r 2 − A (T ")) + (2γ r 2 − A (T )) + (2γ r 2 − A (T ")) , da cui segue, ricordando che A (T ) = A (T !) , il risultato cercato: A T = α + β +γ − π r2 . ( ) ( ) Il raggio della sfera Un’importante conseguenza della formula trovata è rappresentata dalla possibilità di ricavare la lunghezza del raggio della superficie sferica in modo intrinseco, ovvero senza ricorrere allo spazio in cui è immersa: r2 = ( ) AT (α + β + γ − π ) . 23 Un confronto tra rette del piano e cerchi massimi sulla sfera Riassumiamo nel seguente schema comparativo le proprietà delle rette del piano e dei cerchi massimi sulla sfera. Retta del piano 1. simmetrie 2. limitatezza 3. parallele e V postulato 4. unicità della “retta” per due punti 5. somma degli angoli interni di un triangolo Cerchio massimo sulla sfera È asse di simmetria del Divide la sfera in due piano (lo divide in due parti simmetriche parti). rispetto al piano contenente il cerchio massimo. È illimitata. Non è illimitato, in quanto l’inestendibilità è dovuta al ritorno, dopo un giro, al punto di partenza. Esistono rette parallele Non esistono cerchi tra loro. massimi paralleli sulla sfera. Tutti i piani passanti per il centro della sfera hanno una retta in comune, e i punti in cui questa incontra la sfera appartengono a tutti i cerchi massimi. Per due punti del piano Non sempre. Per due passa una ed una sola punti antipodali retta. (simmetrici rispetto al centro della sfera) passano infiniti cerchi massimi. 180° Non è costante.