svegliatevi! - Edizioni Piemme

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PIERRE LARROUTUROU
SVEGLIATEVI!
Perché l’austerità
non può essere la risposta alla crisi.
15 soluzioni da applicare con urgenza
Traduzione di
Giovanni Zucca
Titolo originale: C’est plus grave que ce qu’on vous dit... Mais on peut s’en sortir
© 2012, Nova Éditions
Realizzazione editoriale: Conedit Libri Srl - Cormano (MI)
I Edizione 2012
© 2012 - EDIZIONI PIEMME Spa, Milano
[email protected] - www.edizpiemme.it
Anno 2012-2013-2014 - Edizione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Introduzione
Crisi sociale, crisi finanziaria, crisi ecologica, crisi democratica... In tutti questi ambiti, le nostre società sono prossime a un punto di rottura, un punto di non
ritorno. Dopo trent’anni di liberismo, dopo cinque
anni di crisi finanziaria, stiamo arrivando a un momento cruciale. Come scrivono Stéphane Hessel e
Edgar Morin1, «adesso le nostre società devono scegliere: la metamorfosi o la morte».
«Il capitalismo vive una crisi dalle conseguenze suicide per l’umanità» affermava Michel Rocard nel
20072. Sono passati cinque anni e nulla è cambiato, se
non in peggio. Invece di aggredire la crisi alle radici,
invece di cambiare realmente un sistema economico
che tutti dicevano di voler trasformare da cima a fondo, i nostri leader hanno continuato la loro fuga in
1
Stéphane Hessel, Edgar Morin, Le Chemin de l’espérance, Fayard, 2011.
«Le Parisien», 25 agosto 2007. Nel febbraio 2007 è iniziata la crisi dei subprime, quando la banca hsbc, nel presentare il bilancio per il 2006, ha annunciato
perdite per 10 miliardi sulla propria attività nei subprime. La crisi è arrivata sulle
prime pagine dei giornali nel 2008, con il crack di Lehman Brothers, ma è scoppiata agli inizi del 2007.
2
9
avanti, sostituendo la “trasfusione” di debito privato
con una trasfusione di debito pubblico. Ma fino a
quando può durare, questa fuga in avanti?
La zona euro non è in salute, ma Stati Uniti e Cina,
spesso indicati come i motori dell’economia mondiale, sono in una situazione ancora più instabile della
nostra: il debito totale degli Stati Uniti è più del 350%
del pil. Il livello del debito raggiunto dopo la grande
crisi del 1929 è stato superato già da molto tempo.
350
330
2011: 358% PIL
% sul PIL
370
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35
Fonte: Federal Reserve
19
25
130
Debito totale degli Stati Uniti in rapporto al pil
dal 1925 al 2011 (Fonte: fed/Flow of Funds)
Nonostante un deficit pubblico colossale che aveva
l’obiettivo di ridare un forte slancio all’economia, la
crescita degli Stati Uniti nel 2011 non è andata oltre
un 1,8%, contro il 3% del 2010. Il debito pubblico
supera i 13.400 miliardi di dollari; in un anno, è cresciuto di 1.300 miliardi3.
3
Rapporto del Congressional Budget Office, 31 gennaio 2012.
10
Bilancio degli Stati Uniti nel 2011
Debito pubblico
+ 1.300 miliardi
Crescita del PIL
+ 280 miliardi
A gennaio 2012, «il presidente Obama ha richiesto
un nuovo innalzamento del tetto del debito. La misura, per un importo pari a 1.200 miliardi di dollari, permetterà al governo di finanziare le spese correnti fino
alle elezioni presidenziali del novembre 20124.»
E poi?
Anche “iniettando” nel sistema 1.300 miliardi, il pil
americano 2011 è cresciuto di soli 280 miliardi.
Che succederà nel 2013 se gli Stati Uniti non saranno più in grado di continuare questa colossale trasfusione di debito pubblico? Il paese cadrà in recessione,
il che rischia di aggravare pesantemente il deficit pubblico e quindi anche la recessione.
Nel 2008, un “piccolo” shock economico (il crollo
di Lehman Brothers) è bastato a provocare una recessione a livello mondiale. Che succederà se saranno gli
Stati Uniti nel loro insieme ad andare in default?
In Cina, scoppia la bolla immobiliare
La bolla immobiliare è all’incirca tre volte più grossa di quella degli Stati Uniti prima che scoppiasse la
crisi dei mutui subprime. E la bolla è sul punto di
4
Associated Press, 12 gennaio 2012.
11
+ 14%
+ 14%
+ 12%
+ 12%
+ 10%
+ 10%
+ 8%
+ 4%
+ 8% (Linea scura)
National Bureau of Statistics
+ 6%
(Linea chiara)
Indice di «The Economist»
+ 4%
+ 2%
+ 2%
+ 6%
0
– 2%
0
2009
2010
2011
– 2%
Andamento dei prezzi degli immobili in Cina
(Fonte: «The Economist», agosto 2011)
esplodere. Il 29 novembre 2011 un membro dell’Accademia cinese di scienze sociali così scriveva sul «China
Economic Weekly», la voce del Partito comunista in
materia economica: «Penso che la diminuzione dei
prezzi del mercato immobiliare supererà il 50%, nel
2012. In alcune zone, il calo sarà ancora più forte».
Abbiamo visto in Spagna che cosa succede quando
scoppia la bolla: la disoccupazione è triplicata in tre
anni. In Cina, il deflagrare della bolla immobiliare e il
contemporaneo calo delle esportazioni possono costituire un cocktail esplosivo5.
La crisi del 2007-2008 ha avuto inizio negli Stati
Uniti, ma si è trasformata in poche settimane in una
crisi mondiale. Come mai nel 2012 i dibattiti sull’argomento sono tornati a essere prevalentemente interni ai
singoli paesi? Nel settembre 2011 Jean-Pierre Jouyet,
5
Il 10 novembre 2011 la Cina ha reso noto che le sue esportazioni avevano
iniziato a diminuire in ottobre. Non si tratta di un rallentamento della crescita,
ma proprio di un calo delle esportazioni che erano, con il settore immobiliare, il
motore principale della crescita cinese.
12
presidente dell’amf (Autorité des Marchés Financiers), ha suonato il campanello d’allarme dichiarando
che eravamo di fronte al «rischio di un crollo del sistema economico mondiale». «Dobbiamo prendere misure urgenti a livello internazionale» aggiungeva poi,
sperando che «europei, americani e fmi possano almeno arrivare a formulare una diagnosi comune6».
Purtroppo, a sei mesi di distanza, non solo i nostri
dirigenti non hanno messo in atto alcuna delle misure
urgenti auspicate dal numero uno dell’amf, ma non
sono neanche in grado di elaborare una diagnosi condivisa, in mancanza della quale è impossibile agire.
Sembrano del tutto sopraffatti dagli avvenimenti: incapaci ieri di prevedere la crisi dei subprime7, sono
incapaci oggi di proporre una diagnosi corretta della
situazione e incapaci, di conseguenza, di fornire soluzioni concrete, all’altezza della posta in gioco.
In poche settimane, alcuni dei nostri leader sono
passati dall’euforia al panico. Il G8 che si è tenuto a
Deauville nel maggio 2011, non ha dedicato neanche
un minuto al problema della crisi finanziaria. Neanche un minuto! Ancora ai primi di luglio, la maggior
parte dei nostri dirigenti riteneva che la crisi fosse ormai quasi superata. Ma è da agosto in avanti che si
6
«France Inter», 23 settembre 2011.
Nel 2008, il settimanale «Marianne» mi presentava come uno dei cinque
economisti che avevano pronosticato la crisi senza essere ascoltati. In effetti è
dal 2001 che, tramite articoli e libri, continuo a dire che stavamo e stiamo tuttora
andando verso una grande crisi, paragonabile a quella degli anni Trenta, e a formulare proposte per limitarne i danni. Ma non sono mai riuscito a farmi ascoltare
dalle nostre élite, ahimè.
7
13
susseguono, ogni due settimane, summit che si autodefiniscono “storici”.
«Il sistema politico e le istituzioni sono sopraffatti
dalle complessità che devono affrontare. Il mondo soffre di una sindrome da burnout mondiale» ha affermato
il 19 gennaio 2012 Klaus Schwab, presidente del World
Economic Forum di Davos. «Quando un individuo
manifesta sintomi di burnout, è preoccupante. Ma
quando è la società nel suo insieme che presenta sintomi di questo genere, c’è veramente da aver paura.»
Invece di calmare le acque, invece di proporre ai
cittadini una strategia ragionata, coerente ed efficace
per uscire dalla crisi, i nostri dirigenti contribuiscono
ad accrescere il diffuso senso di smarrimento con il
loro atteggiamento frenetico, la loro inefficienza e impreparazione.
Roosevelt nel 1933:
un cambiamento radicale in tre mesi
C’è una buona notizia, ed è che la storia dimostra
che è possibile sfuggire alla “spirale della morte” in
cui le nostre società si stanno rinchiudendo8. La storia
mostra che è possibile uscire dal burnout e dalla depressione collettiva. Nel 1933, quando Roosevelt diventa presidente, gli americani sono in preda allo
smarrimento: 14 milioni di disoccupati, la produzione
8
L’espressione è di Paul Krugman, premio Nobel per l’economia.
14
industriale calata del 45% in tre anni. L’America tocca il fondo dell’abisso... Roosevelt succede a Hoover,
noto tra l’altro come Do Nothing, “uno che parla, parla ma non combina niente”.
Roosevelt passa subito all’azione, con una determinazione che riaccende la fiducia. «L’attività legislativa
è prodigiosa: in tre mesi Roosevelt fa adottare più riforme che Hoover in quattro anni. Il processo è estremamente rapido: alcune leggi vengono presentate,
discusse, votate e promulgate nello stesso giorno9.»
L’obiettivo di Roosevelt non è “rassicurare i mercati finanziari”, ma bensì domarli. Gli investitori azionari sono furibondi, e si oppongono con tutte le forze
alla legge che separa l’attività delle banche commerciali dalle banche d’affari, così come si oppongono
alle tasse sui redditi più alti e all’istituzione di un’imposta federale sugli utili, ma Roosevelt non demorde
e fa votare quindici riforme fondamentali in tre mesi.
Le catastrofi annunciate dai finanzieri non si sono avverate. E l’economia americana ha convissuto benissimo con queste regole per circa mezzo secolo�10. È evidente che dal 1933 a oggi il mondo è molto cambiato.
Ma i principi messi in pratica da Roosevelt non sono
affatto superati: vincere le paure, dire la verità, fare
appello all’intelligenza dei cittadini e agire. agire con
forza!
9
René Rémond, Histoire des États-Unis, puf, 1959.
Quello che Roosevelt fece in campo sociale sicuramente non era sufficiente
(senza l’attacco a Pearl Harbor e l’economia di guerra, gli Stati Uniti sarebbero
caduti di nuovo in recessione), ma le riforme che il presidente impose in campo
bancario e fiscale raggiunsero il loro scopo.
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15
L’obiettivo di questo breve libro è semplice: spingere ad agire. Svelare la gravità della crisi, uscire dal
vago, uscire dalla confusione. Mostrare che un’altra
politica è possibile. Offrire al dibattito quindici provvedimenti urgenti che François Hollande, da poco
eletto presidente dal popolo francese, dovrà mettere
in atto fin dalle prime settimane del suo mandato.
Il 29 gennaio 2012, in occasione degli Stati generali
organizzati a Grenoble da «Libération» e «Marianne», ho partecipato a un dibattito con un responsabile
del Partito socialista che ha spiegato più volte come
«la situazione non sia radicalmente diversa da quella
che abbiamo trovato arrivando al potere nel 1997» e
ha aggiunto che, se i socialisti avessero vinto le elezioni presidenziali, sarebbero stati in grado di rimettere
in moto la crescita, «come hanno fatto nel 1997».
Queste affermazioni sono parse quanto meno surreali a molti dei partecipanti al meeting: rifiutarsi di
vedere tutto ciò che c’è di radicalmente nuovo nella
situazione attuale è, con ogni evidenza, un clamoroso
errore. Il programma del Partito socialista contiene
interessanti prese di posizione sulla politica degli alloggi, sul fisco, il divieto di cumulo dei mandati e l’indipendenza dei magistrati. Ma in campo economico,
si affida a ipotesi di crescita del tutto irrealistiche.
La crescita è in netto rallentamento in tutti i paesi occidentali fin dagli inizi del 2010. Già prima che i paesi
europei mettessero in atto politiche di austerità, bisognava essere ciechi per non vedere che stavamo andan16
do verso una ricaduta nella recessione. Una ricaduta che
si annuncia molto seria, quando si hanno presenti gli
squilibri che stanno crescendo negli Stati Uniti e in Cina.
Che paradosso incredibile! Solo pochi mesi fa, la
Société Générale ha inviato ai suoi migliori clienti una
nota secondo la quale c’era il rischio di un global collapse, un crac totale del sistema finanziario mondiale.
Il governatore della Banca d’Inghilterra prevede una
crisi più grave di quella degli anni Trenta. A Davos, i
sostenitori del neoliberismo vedono nero e il fondatore del summit afferma: «Non siamo stati capaci di imparare la lezione della crisi finanziaria. Si impone con
urgenza un cambiamento a livello mondiale»11, ma un
eminente membro della commissione economica di
Rue de Solférino12 dichiara pubblicamente che nulla è
cambiato in maniera radicale dal 1997: La crisi è finita!
È stata solo una parentesi che si richiuderà non appena
la sinistra sarà tornata al potere!
4%
3%
+4.0%
4%
+3.2%
3%
+2.8%
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2010 2010 2010 2010 2011 2011
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T3
T4
T1
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Crescita media dei paesi
del G7 (2010-2011) (Fonte: OCSE)
11
12
Agence France Presse, 24 gennaio 2012.
Sede centrale del psf a Parigi. [N.d.T.]
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2012 2013 2014 2015 2016
Crescita prevista dal PSF
(2012-2016) (Fonte: PSF)
Era evidente che il mio amico socialista stava scoprendo solo in quel momento i numeri del debito
pubblico statunitense (e di quello cinese) che gli avevo appena mostrato, mentre io ero convinto che dal
2008 in poi tutti gli economisti tenessero sotto osservazione l’andamento del debito usa come si fa con il
latte sul fuoco13.
Incredibile come – nel momento in cui tutti gli economisti rivedevano al ribasso le previsioni per il 2012
e nessuno di loro si azzardava a fare previsioni che
andassero oltre l’anno – entrambi i candidati che si
proponevano come un’alternativa alla politica portata
avanti negli ultimi dieci anni stessero puntando, in sostanza, sul ritorno di una crescita stabile a partire dal
2013 e fino al 2017, sia che si trattasse di sconfiggere
la disoccupazione che di sciogliere il nodo del deficit
pubblico14. Per uscire dalla crisi, si ipotizza che finirà
da sola. Ovvio che così è più facile!
Sarebbe bello crederci. Sul serio, ci piacerebbe credere che si tratta solo di tener duro ancora per qualche
mese e poi la vita riprenderà come prima, ma esiste solo una probabilità su mille che questo scenario si realizzi. Una probabilità su mille. Viste le nubi che si addensano sull’economia mondiale, la cosa più probabile è
13
Le cifre del debito sono disponibili ogni tre mesi sul sito della Federal
Reserve, www.federalreserve.gov. Selezionando il link Flow of Funds (in basso
a destra) è possibile conoscere l’andamento del debito di tutti gli attori dell’economia americana.
14
Anche nel programma del modem (Mouvement Démocrate) di François
Bayrou si ipotizza il ritorno della crescita dal 2013. Si vedano sul mio blog www.
larrouturou.net i documenti forniti alla stampa da Bayrou il 1° febbraio 2012:
la crescita riparte nel 2013 e rimane stabile dal 2014 al 2017. Una vera pacchia!
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invece che abbiamo davanti veramente poco tempo,
prima che si scateni una tempesta di inaudita violenza.
«Governare è prevedere» diceva Pierre Mendès
France. Ora che la sinistra ha ottenuto il potere di agire, in questa primavera 2012, deve scegliere tra due
strategie radicalmente diverse:
1. aspettare che riparta la crescita e limitarsi a una gestione sana delle finanze pubbliche e a rimodellare
i soliti contratti atipici per i giovani, per ridurre i
rischi di tensioni sociali;
2. agire come Roosevelt e mettere in cantiere quindici
riforme radicali in tre mesi. Approfittare della calma – relativa – del periodo per agire con forza, sia a
livello nazionale che europeo, in modo da essere
pronti quando scoppierà la nuova crisi. Agire con
forza per contenere i danni della crisi in arrivo: evitare il crollo, evitare il global collapse e porre le basi
per costruire una Nuova Società.
La storia dimostra che le riforme che non vengono
messe in atto nei primi mesi di un mandato non vengono più portate avanti, nemmeno in un momento successivo. La sinistra non può permettersi di sbagliare:
dopo aver vinto le elezioni, deve immediatamente mettere in opera riforme all’altezza della sfida. Ecco perché
il primo obiettivo di questo libro è dire con chiarezza
fino a che punto la situazione è grave. Non è consentita
alcuna esitazione: solo la strategia “Roosevelt” è credibile, se si vuole evitare il peggio e non deludere i milioni di cittadini che aspirano al cambiamento!
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