SPECIALE PIEMONTE
Cioccolato,
storia di una passione
di Elena Del Santo
Il cioccolato e Torino. Storia di una passione,
nata quasi per caso fra gli artigiani torinesi, e poi
diventata sinonimo di qualità in tutto il mondo.
È
un’autentica passione - nata alla corte dei Savoia - quella che lega la capitale subalpina al «cibo degli Dei». Una tradizione che affonda le radici nel 1559, grazie
al duca Emanuele Filiberto. Il Savoia che trasferì da Chambery a Torino la capitale del ducato, fu infatti il primo a far conoscere in Italia il cioccolato: ricevette in dono
il cacao dall’imperatore Carlo V per il quale aveva combattuto a San Quintino, e lo portò con sé al suo ritorno in Patria. All’inizio era un alimento riservato ai nobili, uno sfizio che si poteva trovare solo sulle tavole dei salotti delle classi sociali più agiate, le sole
a potersi permettere un prodotto così costoso.
Già alla fine del XVI secolo, dopo il matrimonio tra il duca Carlo Emanuele I e Caterina
di Spagna, il «dessert reale» divenne, nel bel mondo, un’autentica moda. Si affermarono i
primi «specialisti», i cosiddetti cioccolatieri (tra i più noti Giraldi e Giuliano, Andrea Barera, la Vedova Giambone) ed anche il governo sabaudo cominciò ad interessarsi alla nuova attività, come testimonia una «patente» di Madama Reale, datata 1678, nascita ufficiale della mescita del cioccolato. A Torino, già alla fine del Seicento se ne producevano circa 350 kg al giorno e lo si esportava anche in Austria, Svizzera, Germania e Francia.
Dal ‘700 in poi, si moltiplicano le botteghe che lo offrono ai loro clienti; nascono le prime
golose specialità. Come la bavareisa o il bicerin, cioè l’«eccellente bevanda composta di caffè, latte e cacao servita a un prezzo relativamente basso in tutti i caffè». Così scrisse nel 1852
il famoso romanziere francese Alexandre Dumas di passaggio nella città sabauda. Il «Bicerin» è anche il nome del più famoso e antico caffè subalpino. Fondato nel 1763 conserva,
intatti, gli arredi dell’epoca. Tra pannelli di legno, specchi, tavolini di marmo e bancone, il
piacere di gustare un «bicchierino» resta tutt’oggi un apprezzato rituale.
Nell’Ottocento, Torino divene punto di riferimento europeo per chiunque volesse lavorare il cioccolato. Qui, i maestri svizzeri arrivavano per apprendere le tecniche di solidificazione che siglarono la nascita della tavoletta. Un primato conteso: da una parte, i torinesi con l’invenzione di un certo Bozelli che nel 1802 studia una macchina idraulica
per raffinare la pasta di cacao e miscelarla con zucchero e vaniglia, dall’altra lo svizzero
Cailler. L’800 segnò il prolificare di nuovi impianti: in via Avet, nel 1818, nacque la piccola, ma efficientissima fabbrica di cioccolato di proprietà del cittadino elvetico Caffarel
che, nel 1826, già vantava macchinari avveniristici, come i mulini per la macinazione
del cacao, le frantumatrici di nocciole e le impastatrici azionate da una grande ruota ad
acqua. Michele Talmone aprì nel 1850 il suo stabilimento per la lavorazione del cacao in
via Balbis 19. Allora il cioccolato era venduto in scatole di latta ermeticamente chiuse
A fronte
Torino ottocentesca,
piazza San Carlo
e piazza Carignano.
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Pianta e frutto
del cacao. (Stampa
del XIX secolo, coll.
Galleria San Lorenzo
al Ducale di Genova).
A fianco e a fronte
Cioccolata, paradiso dei
piccoli e … dei grandi
nelle immagini
dell’Archivio
Fotografico Turismo
Torino.
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presso i più rinomati droghieri, confettieri e anche farmacisti. A fine secolo, nuove tecnologie trasformano i laboratori artigianali in aziende. Talmone fu uno dei primi industriali a credere nella pubblicità. Fu proprio lui a commissionare il manifesto dei «due
vecchietti», creato nel 1890 dal tedesco Ochsner, che apparve sui muri di mezzo mondo,
entrando così a far parte della vita quotidiana di intere generazioni.
Il 1865 segna una data importante: l’invenzione dei gianduiotti, nati dal felice impasto
tra Nocciola Tonda Gentile delle Langhe e cacao, opera di Michele Prochet e dei pasticceri torinesi che mischiarono i due ingredienti per la prima volta in occasione del Carnevale, da qui il nome, che si rifà a Gianduia, maschera tipica di Torino. Due anni dopo,
nel 1867, la presentazione ufficiale durante la Mostra del Vino che si tenne in città. C’è
da aggiungere che questo connubio tra cacao e nocciole tostate ha rivoluzionato i gusti
e segnato un’epoca per la produzione dolciaria, prima artigiana e poi industriale. Oggi,
la tradizione è mantenuta alta da nomi divenuti ormai celebri, come Baratti & Milano,
con il suo caffé in piazza Castello colmo di praline e cremini; Peyrano, con gli oltre sessanta tipi di cioccolatini, dallo storico Alpino alle praline, esportati in tutto il mondo;
Pfatisch, che nella sede di via Sacchi conserva i macchinari secolari con cui un tempo si
lavorava il cioccolato; e poi Caffarel, Streglio e Stratta.
Una piccola curiosità in merito alla Nutella, la crema da spalmare più famosa d’Italia, inventata da Pietro Ferrero, titolare di una grande pasticceria in zona San Salvario e in seguito entrata nell’immaginario collettivo grazie a film e letteratura. Una leggenda raccontata dai lattai ne svela le origini, pare del tutto casuali: nel 1946 Ferrero decise di
produrre una crema a buon mercato al gusto di cioccolato, da spalmare sul pane per la
merenda. Il caso volle che, a causa del caldo, quella crema si sciogliesse dando vita alla
Nutella, così battezzata in seguito, in periodo di televisione e pubblicità.
Cioccolato della tradizione e, perchè no, anche oggetto di divagazioni stilistiche, esercitazioni di puro design. Come accadde nel 1911, quando la Fiat indisse un concorso fra
tutti i cioccolatieri italiani per l’invenzione di un nuovo cioccolatino, da riservare in esclusiva alla fabbrica torinese a scopo pubblicitario per il lancio della nuova automobile
«Tipo 4». Fra i numerosi partecipanti vinse un cremino a forma di cubo, con quattro strati, invece dei soliti tre.
Creatività innanzi tutto. La stessa che ha spinto - lo scorso anno - gli organizzatori della mostra «Vittorio Alfieri, aristocratico ribelle» allestita all’Archivio di Stato di Torino
a lanciare l’ultima, singolare sfida: la realizzazione di una tavoletta fondente ispirata ai
gusti del poeta astigiano che - tra i più ardenti estimatori del «cibo degli Dei» - ne consumava quantità rilevanti rifornendosi presso una serie di cioccolatieri di fiducia accuratamente selezionati. Per premiare questa sua passione, alimentata da autentico trasporto emotivo, la Compagnia del Cioccolato che già annovera tra i suoi soci diversi personaggi illustri, ha nominato Vittorio Alfieri socio ad honorem post mortem per competenza e meriti acquisiti nella ricerca del piacere. Squisitamente da palato.
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