Nuova fase recessiva per l`economia italiana

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Direzione degli studi economici
N° 117 – 19 Novembre 2008
Nuova fase recessiva per l’economia italiana
 In sintonia con quanto avviene in tutta la zona
euro, dopo due trimestri consecutivi di crescita
negativa, nel T3 2008 l’Italia è ufficialmente
entrata in recessione.
 Nel T4 non è prevista una ripresa dell’attività
economica. Per la prima volta negli ultimi 15 anni,
la crescita annua dell’Italia sarà negativa e
potrebbe restare tale anche nell’esercizio seguente.
 Anche se l’Italia registra la più debole
performance fra i paesi della zona euro (molto
probabilmente dopo l’Irlanda), l’ampiezza e la
durata della fase recessiva dovrebbero tuttavia
essere attenuate dal minore indebitamento delle
famiglie e dal fatto che il paese non ha conosciuto
un vero boom immobiliare…
L’Italia è entrata in recessione
Una nuova crisi per l’economia della Penisola…
Dopo una contrazione di -0,4% nel T2 2008, la
crescita del PIL italiano registra nel terzo trimestre
una flessione dello 0,5% t/t. Nonostante ciò, tale
debolezza dell’economia non è un dato recente
poiché il Paese aveva già conosciuto un quarto
trimestre negativo nel 2007. La recessione era
dunque latente. L’Italia non aveva registrato ritmi di
crescita così deboli dal 1996 ed è la prima volta dal
2001 che il Paese affronta diversi trimestri successivi
di rallentamento dell’attività (il terzo sugli ultimi
dodici mesi). Il peggioramento della congiuntura
appare quindi sostanziale e l’Italia si rivela, fra i
grandi paesi della zona euro, quello più toccato dal
rallentamento (solo l’Irlanda potrebbe segnalarsi per
risultati ancora peggiori e forse domani Spagna e
Regno Unito).
% %
Italia : Pil
%
1,5
5
4
1,0
3
0,5
2
0,0
1
0
-0,5
-1
-2
-1,0
90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 07 08
Fontce : Istat, CASA
t/t
…colpita dal rallentamento in ogni settore
Nel periodo più recente, anche se le componenti
del PIL non sono ancora note (la pubblicazione
avverrà il 10/12/2008), tutti gli indicatori statistici
ed economici disponibili suggeriscono che la
domanda interna del terzo trimestre sia rimasta in
calo.
Le incertezze e le oscure prospettive del mercato
del lavoro gravano sulla fiducia e sulla capacità di
spesa delle famiglie, le quali preferiscono ridurre gli
acquisti per costituire un risparmio precauzionale (il
tasso di risparmio cresce di un punto rispetto al
2007, passando al 12,4% del reddito disponibile).
L’aumento del servizio del debito e il livello ancora
elevato dell’inflazione (nonostante l’inversione di
tendenza dei prezzi dell’energia) spingono i
consumi ulteriormente verso il basso.
L’attività delle imprese soffre invece del
peggioramento delle loro condizioni finanziarie e
dell’accentuarsi
del
rallentamento
della
congiuntura economica. La produzione industriale
è scesa del 2,1% m/m in settembre (pari a -1,6% nel
T3), per raggiungere il livello più basso degli ultimi
10 anni.
L’attività è in contrazione in tutti i settori e ciò
dovrebbe provocare una crescita del tasso di
disoccupazione; questo fenomeno è già visibile a
livello di grandi imprese, dove i posti di lavoro
tendono a diminuire e dove sono state adottate
misure di cassa integrazione o riduzione dell’orario
di lavoro per far fronte al rallentamento.
A fronte di una riduzione degli ordini e di
prospettive meno incoraggianti in termini di
domanda, le imprese ridimensionano anche i loro
piani di investimento. Su questa situazione pesano
anche le condizioni più restrittive di accesso al
credito (sebbene l’aumento del costo del capitale sia
in qualche modo attenuato dalle recenti riduzioni
dei tassi). I risultati del Bank Lending Survey di
ottobre mostrano infatti che la percezione del
rischio ha condotto le banche a rendere più severi i
criteri di erogazione dei prestiti, in particolare per le
grandi imprese (che, investendo di meno, hanno
minori esigenze di finanziamento). L’irrigidimento
delle condizioni si manifesta attraverso i prezzi
(aumento dei margini, soprattutto per i prestiti più a
rischio) e attraverso criteri non tariffari (altri oneri,
importo dei crediti concessi).
a/a (scala di destra)
Internet : http://www.credit-agricole.com - Economic Research
Florence TOUYA
florence.touya@ credit-agricole-sa.fr
Inoltre, dal secondo trimestre, l’aumento della
domanda sui nuovi mercati di esportazione (i paesi
emergenti) non riesce più a compensare la forte
contrazione sui mercati tradizionali (i partner
europei). L’Italia non può quindi contare sul
contributo delle esportazioni per alleggerire
l’impatto della crisi interna.
Per quanto tempo?
Le prospettive
incoraggianti…
a
breve
termine
sono
poco
Le prospettive per la fine dell’anno non sono
ottimistiche. I risultati delle inchieste sulla fiducia
delle imprese sono a livelli storicamente bassi. Fra
settembre e ottobre, il PMI manifatturiero è passato
da 44,4 a 39,7 e il PMI servizi da 49,4 a 45,7,
mentre la fiducia delle imprese è scesa da 82,7 a
77,7. I dati economici confermano questa
indicazione. La produzione industriale di ottobre
ha subito un ristagno (+0,1% m/m) e l’attività nel
settore auto è nettamente peggiorata (-19% su 12
mesi). Le prospettive per i prossimi mesi restano
incerte, con una diminuzione degli ordini delle
imprese (-2,8% in ottobre), in linea con la debolezza
della domanda.
Sulla base dei primi tre trimestri dell’anno e delle
informazioni di cui disponiamo attualmente, l’Italia
conoscerà nel 2008 una crescita annua negativa.
Non ci aspettiamo una ripresa significativa a breve
termine, al punto che non è da escludere il rischio
di una crescita negativa del PIL anche nel 2009.
…ma emerge qualche fattore positivo
L’Italia appare come uno dei paesi europei più
toccati dai recenti fenomeni negativi (crisi
finanziaria, choc petrolifero…), che hanno messo
allo scoperto le sue debolezze strutturali.
La produttività dell’economia italiana resta
relativamente debole (Spagna ed Italia si
distinguono per i costi unitari del lavoro più elevati
d’Europa) e la sua competitività ha sofferto del forte
apprezzamento dell’euro e dell’esplosione dei
prezzi delle materie prime nell’anno trascorso.
Anche se sono state intraprese iniziative per
liberalizzare il settore dei servizi in generale e
quello della distribuzione in particolare, la
concorrenza sembra ancora insufficiente, con
ovvie conseguenze sul potere d’acquisto delle
famiglie. L’inflazione sui prodotti di consumo
corrente ha raggiunto livelli molto elevati e le
tensioni sui prezzi sono state forti1 (in parte a causa
della lunghezza del processo di aggiustamento,
lungo la catena di formazione dei prezzi). A questo
scopo sono stati conclusi dei patti con alcune filiere
(razionalizzazione della filiera agro-alimentare,
N° 117 – 19 Novembre 2008
negoziati con i produttori di pasta per una
trasmissione più rapida sui prezzi al consumo del
calo dei prezzi dei prodotti agricoli).
Tenuto conto dei ridotti margini di manovra del
bilancio statale, la possibilità di condurre politiche
di rilancio anticicliche resta soggetta a vincoli. La
crisi congiunturale influenzerà inevitabilmente gli
equilibri delle finanze pubbliche. Nonostante gli
sforzi di risanamento realizzati in tempi recenti, la
contrazione delle entrate fiscali e il probabile
incremento della spesa sociale aggraveranno il
deficit pubblico e condurranno ad un ulteriore
peggioramento del rapporto debito pubblico / PIL.
Nonostante ciò, per far fronte al significativo
deterioramento dell’economia, il governo ha deciso
di attuare un piano di rilancio di 80 Md€ (pari ad
un po’ più del 6% del PIL). La metà di questa
somma proverrà da fondi europei e sarà destinata
all’ambiente, alla ricerca e allo sviluppo. L’altra metà
sarà suddivisa fra investimenti in infrastrutture,
misure di sostegno fiscale alle imprese (relative
all’IVA e alla proroga di determinati premi o
deduzioni), aiuti alle famiglie (per un importo non
determinato) e almeno 10 Md€ destinati gli
investimenti autostradali.
È tuttavia opportuno mettere queste notizie nella
giusta prospettiva. Anche se l’Italia sembra fra i
paesi più toccati dalla crisi, la fase recessiva
potrebbe in fin dei conti essere meno forte, meno
violenta che in altri paesi in cui l’esposizione delle
famiglie e del settore immobiliare è stata eccessiva.
Nel decennio scorso, la Penisola ha indubbiamente
conosciuto un’espansione del settore immobiliare
ma questa è rimasta circoscritta entro limiti giudicati
ragionevoli (in Italia, i prezzi sono aumentati del
104%, mentre crescevano del 151% in Francia, del
195% in Spagna e del 202% in Gran Bretagna). La
crescita italiana, non essendo stata sovralimentata
dal dinamismo del mercato immobiliare, non
dovrebbe subire il contraccolpo dell’inversione di
tendenza di questo settore (in termini di
disoccupazione,
di
riduzione
del
valore
patrimoniale...). Il minor livello di indebitamento
delle famiglie è anche tale da relativizzare gli
effetti recessivi dell’indebolimento dell’attività
economica in corso (il rapporto mutui/PIL è pari a
solo il 17,3%, contro il 34,6% in Francia, il 39,9%
in Germania e il 59,2% in Spagna).
La progressiva ristrutturazione dell’industria
italiana, con il suo riposizionamento su segmenti di
alta qualità e la crescente internazionalizzazione,
dovrebbe permettere di contenere per qualche
tempo la fase negativa. Il calo registrato dall’euro nei
confronti del dollaro rappresenta un ulteriore fattore
di eventuale sostegno all’esportazione. Infine,
contrariamente alle precedenti crisi che hanno
segnato la storia economica italiana (il 1975 e il
1993 sono gli ultimi due anni di crescita negativa in
2
Florence TOUYA
florence.touya@ credit-agricole-sa.fr
senso stretto vissuti dal Paese), questo episodio è
soprattutto di tipo congiunturale, legato a fattori
esterni che, dissipandosi, dovrebbero permettere
all’Italia di tornare su binari di crescita finalmente
normali. „
1
L’Italia conserva un differenziale positivo d’inflazione rispetto
alla zona euro: l’inflazione è diminuita dal 4,2% al 3,6% fra
agosto ed ottobre, mentre è passata dal 3,8% al 3,2% per la zona
euro.
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