Ciclo del carbonio - francescofiume.altervista.org

annuncio pubblicitario
393
Il terreno
PRINCIPALI CICLI IN NATURA DEGLI ELEMENTI NUTRITIVI
DELLE PIANTE
Il ciclo di un elemento in un sistema ecologico indica il percorso che esso subisce
attraverso i vari componenti viventi e non viventi. In un sistema ecologico si distinguono
quattro componenti fondamentali: la materia non vivente, i produttori di sostanza
organica (gli organismi autotrofi), i consumatori (gli organismi eterotrofi) ed i
decompositori (gli organismi che degradano e mineralizzano la materia organica). Fra
questi componenti si realizza una continua circolazione di materia. Questa diviene di
volta in volta, alternativamente e ciclicamente, costituente dei sistemi viventi e non
viventi, secondo dei cicli che sono chiamati biogeochimici. I più importanti cicli sono
quelli del carbonio, dell’azoto, dell’acqua, dell’ossigeno e della maggior parte degli
elementi minerali di cui si nutrono le piante.
In generale, con la morte degli organismi terrestri, gli elementi sono nuovamente
incorporati nel terreno, in prevalenza sotto forma organica e non sono direttamente
utilizzabili dalle piante. Si deve alle attività biochimiche della flora e della fauna,
microscopica e macroscopica, che si alimenta del materiale organico del suolo, se gli
elementi necessari alla nutrizione delle piante sono riportati ad uno stato energetico e
chimico che ne rende possibile l’assorbimento da parte delle radici. Si stabilisce, in tal
modo, un’interdipendenza essenziale tra le piante e gli esseri viventi nel terreno, i
microrganismi in particolare, che sta alla base dei cicli degli elementi nutritivi. Affinché
il ciclo degli elementi non subisca interruzioni o circuitazioni è necessario che le piante,
cui spetta la fase anabolica o costruttiva del processo, ed i microrganismi del terreno, cui
compete la fase catabolica o demolitiva del ciclo, costituiscano un sistema perfettamente
integrato che permetta la rapida circolazione degli elementi.
Le velocità con le quali si completa un ciclo biogeochimico sono molto diverse. Si
calcola che tutta l’acqua del globo terrestre è decomposta dalle piante e ricostruita dalle
cellule vegetali ed animali, in media, ogni due milioni di anni. Il ciclo dell’ossigeno si
calcola in appena 2.000 anni e quello dell’anidride carbonica in soli 300 anni. L’azione
dell’uomo tende a ridurre la lunghezza dei cicli naturali degli elementi, poiché mira ad un
immediato utilizzo dei materiali che gli pervengono per l’agricoltura e per l’industria.
Questo cortocircuito del ciclo indotto dalle azioni antropiche non deve avvenire,
altrimenti s’innescano processi aciclici che spesso si risolvono in uno sperpero delle
risorse naturali.
Sono descritti, di seguito, i cicli biogeochimici di alcuni elementi nutritivi delle
piante, strettamente connessi con il terreno.
Ciclo del carbonio
Il carbonio, elemento non metallico del quarto gruppo della tavola periodica,
costituisce lo 0,08% della crosta terrestre. Il carbonio è un elemento molto particolare,
poiché la sua spiccata capacità di combinarsi con sé stesso, per formare catene più o
meno lunghe e ramificate, ne fa l’elemento fondamentale di tutti i composti organici e
biologici.
Il ciclo del carbonio prende origine dall’anidride carbonica dell’aria, con
l’organicazione del carbonio da parte degli organismi autotrofi, attraverso il processo di
fotosintesi clorofilliana delle piante. L’anidride carbonica è immessa continuamente
Fiume Francesco
394
nell’atmosfera a seguito della combustione del carbonio, o dei suoi composti, in eccesso
di ossigeno, e della respirazione, aerobica o anaerobica (fermentazione) degli organismi
viventi. Le piante trasformano, mediante la fotosintesi, il carbonio minerale della CO 2 in
composti organici più o meno complessi, come gli zuccheri, le emicellulose, le pectine, la
chitina, la lignina. I microrganismi del terreno, a loro volta, convertono il carbonio
organico di tali composti in carbonio minerale che ritorna, come anidride carbonica,
all’atmosfera. Ma non tutto il carbonio minerale ritorna nell’atmosfera, perché una certa
parte va a costituire la frazione organica del suolo, l’humus, la cui mineralizzazione
avviene ad una velocità relativamente bassa. L’insieme dei processi di fotosintesi e di
respirazione costituisce il ciclo del carbonio (figura 102). Il contenuto di CO2
nell’atmosfera è 0,03%, con tendenza a salire a causa della crescente industrializzazione
che determina un aumento della combustione. L’aumento di CO2, che sarebbe maggiore
se buona parte di essa non si sciogliesse negli oceani, causa l’aumento della biomassa
vegetale ed una diminuzione della trasparenza dell’atmosfera, con conseguente forte
riduzione della dispersione del calore terrestre (effetto serra).
ANIDRIDE CARBONICA
DELL’ATMOSFERA
Combustione
del carbonio
Respirazione
degli animali
FOTOSINTESI
CLOROFILLIANA
Respirazione
delle piante
Alimento
Respirazione
delle radici
Respirazione della pedofauna
e della pedoflora
Decomposizione dei detriti
organici e degli organismi
morti
Fig. 102 – Schema del ciclo del carbonio in natura.
Il primo gradino del ciclo del carbonio è la fotosintesi per la quale le piante verdi
catturano l’energia solare e la trasformano in energia chimica.
Le piante ed i prodotti vegetali sono le principali fonti alimentari per tutti gli
organismi viventi della terra. La massa totale di organismi viventi, la biosfera, è molto
piccola rispetto alle parti non viventi del pianeta; infatti, la crosta terrestre (litosfera) pesa
1,5⋅1019 t, gli oceani (idrosfera) 1,4⋅1019 t, l’atmosfera 5,1⋅1015 t, mentre la biosfera
395
Il terreno
ammonta soltanto a 1,2⋅1012 t (peso secco).
Nonostante la notevole differenza di peso, le attività degli organismi della biosfera
contribuiscono in modo notevole al mantenimento ed all’attività della litosfera, idrosfera
ed atmosfera.
La quantità globale di anidride carbonica fissata ogni anno sulla terraferma
(149⋅106 km2) è poco più di 110⋅1012 t, mentre quella fissata ogni anno dall’idrosfera
(oceani, laghi e fiumi, per una superficie di 361,2⋅106 km2) è di 29,3⋅1012 t, per un totale
di 139,3⋅1012 t (stime di produttività, cioè quantità di carbonio assimilato in materiale
vegetale meno la perdita di carbonio dovuta ai processi respiratori).
Se si confronta la quantità di carbonio fissato annualmente dalle piante terrestri ed
acquatiche con quella usata dall’uomo sotto forma di carbone, petrolio e gas naturale è
necessario utilizzare per quest’ultima un coefficiente moltiplicatore di 105 per ottenere,
all’incirca, l’uguaglianza delle cifre, dimostrando che la fotosintesi vegetale è una grossa
industria naturale.
Il processo di fotosintesi avviene in presenza di luce e quindi, per la massima parte,
al di fuori del terreno. Nel suolo di realizza, invece, il successivo gradino del ciclo del
carbonio, ovvero la demolizione delle sostanze organiche prodotte con la fotosintesi
vegetale, una volta che hanno svolto la loro funzione. Al terreno giungono i detriti
organici e gli organismi morti contenenti i composti del carbonio.
Fra i più importanti si ricordano gli zuccheri semplici, l’amido, la cellulosa, le
emicellulose, le pectine e la chitina che vanno incontro al processo di degradazione,
corrispondente alla fase catabolica del metabolismo del carbonio (la fase anabolica è la
fotosintesi).
Il catabolismo del carbonio si conclude con la mineralizzazione, cioè con la
trasformazione finale in anidride carbonica che in parte viene fissata nel terreno come
carbonato ed in parte ritorna nell’aria tellurica ed soprattutto in quella atmosferica.
DEGRADAZIONE DEGLI ZUCCHERI SEMPLICI
Gli zuccheri semplici sono costituiti principalmente da triosi, pentosi, esosi, a
seconda che possiedono tre, cinque, sei atomi di carbonio e sono caratterizzati dal gruppo
aldeidico –CHO (aldosi, come il glucosio) o dal gruppo chetonico =CO (chetosi, come il
fruttosio).
Insieme agli aminoacidi ed agli acidi organici costituiscono i componenti solubili e
rappresentano circa il 5-30% dei tessuti vegetali.
Gli zuccheri semplici sono rapidamente metabolizzati dai batteri aerobi del suolo
con produzione finale di acqua ed anidride carbonica, secondo la via biochimica della
normale respirazione. I prodotti intermedi sono l’acido piruvico, lattico e acetico.
I funghi aerobi danno luogo ad acido citrico, ossalico, fumarico e succinico.
I batteri anaerobi determinano la fermentazione degli zuccheri con produzione di
acidi volatili con uno fino a cinque atomi di carbonio, di acido lattico (fermentazione
lattica), di idrogeno, metano ed anidride carbonica.
I funghi anaerobi producono acido fumarico ed alcool (ad esempio, la
fermentazione alcolica dei saccaromiceti).
I microrganismi del suolo utilizzano come fonte energetica gli zuccheri semplici
che sono degradati in composti a tre, quattro e cinque atomi di carbonio (ad esempio il
ribosio ed il desossiribosio), a loro volta impiegati nei processi biosintetici
Fiume Francesco
396
protoplasmatici, con formazione di DNA, RNA e proteine diverse.
Gli zuccheri, pertanto, sono sottoposti ai processi anaerobi di fermentazione che
determinano una incompleta mineralizzazione, in relazione al fatto che l’accettore finale
è una molecola organica ed il prodotto di riduzione si accumula e contiene ancora elevata
energia libera.
I processi di fermentazione che avvengono nel terreno sono particolarmente
favoriti dalla presenza di accettori inorganici di idrogeno come gli anioni nitrici, solforici
e carbonici, i sali di ferro quelli del manganese.
Gli zuccheri, in ambienti aerobi, soggiacciono alla respirazione in cui l’accettore
finale è l’ossigeno dell’aria e la molecola organica viene via via frammentata, fino alla
completa mineralizzazione, con produzione di H2O e CO2. Nella situazione reale di
degradazione degli zuccheri nel terreno si realizzano una serie di casi intermedi che
vanno dai processi respiratori a quelli fermentativi, in proporzioni variabili in relazione
alla disponibilità di ossigeno, del tipo di meccanismo glicolitico prevalente e delle
associazione e successioni di microrganismi che intervengono.
La biochimica degli zuccheri esosi avviene via glicolisi secondo EmbdenMeyerhof, con i cicli dell’esoso-monofosfato o del pentosio-fosfato, secondo la via di
Entner-Doudoroff.
La glicolisi secondo Embden-Meyerhof parte dal glucosio che viene fosforilato
dall’ATP a glucosio-6-fosfato (ad opera dell’esochinasi), isomerizzato a fruttosio-6fosfato (fosfoesochinasi) ed ulteriormente fosforilato, sempre da ATP, a fruttosio-1,6difosfato o estere di Harden e Young (fosfofruttochinasi). Questo viene scisso in
fosfodiossiacetone ed aldeide 3-fosfoglicerica (aldolasi), in equilibrio statistico tra loro,
ad opera della triosofosfatoisomerasi. Il processo continua a carico dell’aldeide 3fosfoglicerica e man mano che quest’ultima si trasforma, in quanto impiegata nel
proseguimento delle reazioni, il fosfodiossiacetone si modifica nel suo isomero, l’aldeide
3-fosfoglicerica. Questa è fosforilata ed ossidata ad acido 1,3-difosfoglicerico
(fosfogliceraldeide deidrogenasi) il quale è defosforilato ad acido 3-fosfoglicerico
(fosfoglicerilchinasi) che dà acido 2-fosfoglicerico (fosfogliceromutasi), acido
fosfoenolpiruvico (enolasi), quindi, acido piruvico (piruvato chinasi). L’acido piruvico si
trasforma in anidride carbonica ed aldeide acetica e quest’ultima ridotta in alcool etilico
nella fermentazione (anaerobica). Oppure l’acido piruvico è completamente ossidato ad
acqua ed anidride carbonica nella respirazione (aerobica). Lo schema ora descritto è il
seguente:
CHO

CHOH

CHOH

CHOH

CHOH

CH2OH
Glucosio
CHO

CHOH

Esochinasi CHOH
ATP→ ADP 
   → CHOH ← →

CHOH

CH2O-H2PO3
Glucosio6-fosfato
CH2OH

C=O
Fosfofrutto
CHOH
chinasi
ATP→ ADP

CHOH
→

CHOH

CH2O-H2PO3
Fruttosio6-fosfato
CH2OH2PO3
CH2OH2PO3


C=O
C=O


CHOH
Aldolasi CH2OH
↑ ↓ Isomerasi

CHOH
←  → CHO


CHOH
CHOH


CH2O-H2PO3
CH2O-H2PO3
Estere di
Harden e
Young
Fosfodiossiacetone + Aldeide 3fosfoglicerica
397
Il terreno
CHO
2NAD+PPi→ 2NADH

CHOH
↑↓

→
CH2O-H2PO3
Fosfoglicealdeide
deidrogenasi
Aldeide 3fosfoglicerica
Enolasi
← →
↑↓
H2O
COO-H2PO3

CHOH

CH2O-H2PO3
Fosfoglicerilchinasi
ADP→ ATP
→
↑
2ADP
Acido 1,3-difosfoglicerico
COOH

C-O- H2PO3

CH2
COOH
Fosfogliceromutasi

CHOH

←→
CH2O-H2PO3
Acido 3fosfoglicerico
Piruvato chinasi
ADP→ ATP
→
↑
2ADP
Acido fosfoenol-piruvico
COOH

CHO- H2PO3

↔
CH2OH
Acido 2fosfoglicerico
COOH

C=O

CH3
Acido piruvico
Nella fermentazione, l’acido piruvico si trasforma in anidride carbonica ed aldeide
acetica, per azione della piruvico deidrogenasi.
L’aldeide acetica è ridotta ad alcool etilico. Ciò avviene per azione del NADH
(NAD ridotto), che si trasforma in NAD+ (NAD ossidato), e dell’enzima alcool
deidrogenasi.
Lo schema è il seguente:
COOH

C=O

CH3
Piruvico decarbossilasi
 →
CO2 + CH3CHO
Aldeide acetica
Acido piruvico
Alcool deidrogenasi
CH3CHO + NADH + H+ → CH3-CH2OH + NAD+
Alcool etilico
Nella respirazione, l’acido piruvico procede attraverso la via del ciclo di Krebs, che
prevede la formazione di una serie intermedia di acidi bicarbossilici e tricarbossilici,
consumati e riformati in una sequenza di reazioni che avvengono in modo ciclico e che
portano alla formazione metabolica di anidride carbonica ed acqua.
La reazione generale, catalizzata da un complesso enzimatico talvolta chiamato
deidrogenasi piruvica, richiede l’intervento di parecchi coenzimi, compresi tra questi il
NAD+ ed il coenzima A.
Fiume Francesco
398
Lo schema può così semplificarsi:
COOH

C=O

CH3
+
+ CoASH + NAD
Deidrogenasi piruvica
→
CH3-CO-S-CoA + CO2 + NADH
Acido piruvico
Vi sono parecchie differenze tra la fermentazione e la respirazione. La
fermentazione comporta una scissione soltanto parziale del glucosio (fino ad alcool
etilico ed anidride carbonica) e la trasformazione netta di due sole molecole di ADP ad
ATP e di due sole molecole di NAD ridotte a NADH 2, per ogni molecola di glucosio
trasformata in due molecole di acido piruvico. La respirazione determina la completa
ossidazione dell’acido piruvico ad anidride carbonica ed acqua, mentre è prodotto un
numero di molecole di ATP più elevato.
Esaminando lo schema della glicolisi, da un punto di vista energetico, si riscontra
assorbimento d’energia per il trasferimento di un gruppo fosforico dall’ATP alla
molecola di zucchero (un ATP per ogni reazione), fino alla formazione delle due
molecole a tre atomi di carbonio.
Nelle reazioni successive si ha produzione d’energia. Quando l’aldeide 3fosfoglicerica si trasforma in acido 1,3-difosfoglicerico due molecole di NAD
(nicotinamideadenindinucleotide) sono ridotte a NADH2, accumulando parte dell’energia
liberata nell’ossidazione dell’aldeide 3-fosfoglicerica.
Nelle successive reazioni, dove indicato, l’ADP è fosforilato ad ATP, con
immagazzinamento di parte dell’energia che si libera nelle trasformazioni. Il guadagno
energetico che si ottiene nella conversione di una molecola di glucosio a due molecole di
acido piruvico è costituito da due molecole di NADH2 e da due molecole di ATP e, se
due moli di acido piruvico possiedono una quantità d’energia di 546 kcal ed in una mole
di glucosio sono presenti 686 kcal, l’energia accumulata è pari a 140 kcal.
Esiste un’altra via di degradazione degli zuccheri semplici, come il glucosio, ed è
quella generalmente chiamata via del pentoso fosfato, detta anche via dell’esoso
monofosfato o via dell’acido fosfogluconico.
La via del pentoso fosfato ha un ruolo secondario nella trasformazione del
glucosio, rispetto alla via glicolitica e numerose stime fanno ritenere percentuali variabili
che vanno da valori molto bassi fino al 30% del glucosio trasformato.
La differenza fondamentale tra la glicolisi di Embden-Meyerhof e la via del
pentoso fosfato sta nel coenzima dell’ossidoriduzione: nella glicolisi è il NAD, mentre
nella via del pentoso è il NADP (nicotinamide adenin dinucleotide fosfato).
La via del pentoso fosfato parte dal glucosio che si trasforma in glucosio-6-fosfato
(esochinasi ed ATP che si trasforma in ADP), poi in 6-fosfoglucono-δ-lattone (mentre il
NADP si trasforma dalla forma ossidata a quella ridotta), poi acido 6-fosfogluconico,
quindi, in ribulosio-5-fosfato (6-fosfogluconico deidrogenasi, riduzione del NAD e
produzione d’anidride carbonica).
399
Il terreno
HCOH

HCOH

O
HOCH

HCOH

HC

CH2OH
Glucosio
HCOH
C=O
COOH



HCOH
HCOH
HCOH
Glucosio-6-fosfato

O

O

Esochinasi HOCH
deidrogenasi
HOCH
Lattonasi HOCH
+ H2O
ATP→ ADP
NADP+ → NADPH



HCOH
HCOH
→
→
←→
←   → HCOH
- H2O



HC
HC
HCOH



CH2O-H2PO3
CH2O-H2PO3
CH2O-H2PO3
Glucosio6-fosfato
6-fosfogluconoδ -lattone
CH2OH

C=O
6-fosfogluconico 
deidrogenasi
HCOH
NADP+ → NADPH 
HCOH
 →
↓

CO2
CH2O-H2PO3
Acido 6-fosfogluconico
CHO

Ribosofosfato HCOH
isomerasi

HCOH
← →

HCOH

CH2O-H2PO3
Ribulosio-5-fosfato
Ribosio-5-fosfato
Il ribulosio-5-fosfato, a seguito dell’ossidazione del gruppo alcolico primario e
riduzione del gruppo chetonico, dà ribosio-5-fosfato, poi utilizzato per la sintesi dei
nucleotidi. I due composti sono mantenuti in equilibrio dall’enzima riboso-fosfatoisomerasi che consente lo spostamento della reazione verso destra man mano che il
ribosio è impiegato nella sintesi dei nucletidi o, in altre circostanze, verso sinistra,
quando il ribulosio è utilizzato in sottocicli costituiti dalla reazione di epimerizzazione,
da quella della transchetolasi e da quella della transaldolasi, con formazione di frammenti
da 3 a 7 atomi di carbonio per le sintesi aromatiche. Sono riportate l’epimerizzazione del
ribulosio-5-fosfato e le reazioni della transchetolasi e della transaldolasi:
CH2OH

C=O

HCOH

HCOH

CH2O-H2PO3
Ribulosio-5-fosfato
Ribulosio
fosfato-3-epimerasi
←→
CH2OH

C=O

HOCH

CHOH

CH2O-H2PO3
Xilulosio-5-fosfato
Fiume Francesco
CH2OH

C=O

HOCH

HCOH

CH2O-H2PO3
+
Xilulosio-5-fosfato
CH2OH

C=O

HOCH

HCOH
+

HCOH

HCOH

CH2O-H2PO3
Sedoeptulosio-7fosfato
CHO

HCOH

HCOH

HCOH

CH2O-H2PO3
400
Transchetolasi
←→
Ribosio-5-fosfato
CHO
Transaldolasi

HCOH
←→

CH2O-H2PO3
Aldeide 3fosfoglicerica
CH2OH

C=O

HOCH

HCOH
+

HCOH

HCOH

CH2O-H2PO3
CHO

CHOH

CH2O-H2PO3
Sedoeptulosio-7Aldeide 3fosfato
fosfoglicerica
CH2OH

C=O

HOCH

HCOH

HCOH

CH2O-H2PO3
CHO

HCOH

HCOH

CH2O-H2PO3
Fruttosio-5fosfato
Eritrosio-4fosfato
Le reazioni della transchetolasi e della transaldolasi non solo catalizzano la
conversione di pentosi ed esosi per la successiva degradazione nella glicolisi e nel ciclo
di Krebs, ma rendono anche possibile, con l’aiuto di enzimi della sequenza glicolitica,
l’interconversione di zuccheri a tre, fino a sette atomi di carbonio, mediante il
trasferimento reversibile di gruppi a due o a tre atomi di carbonio. Una delle reazioni più
importanti catalizzata dalla transchetolasi è:
transchetolasi
xilulosio-5-fosfato + eritrosio-4-fosfato ←→ fruttosio-6-fosfato + aldeide-3- fosfoglicerica
in cui due intermedi della via dell’acido fosfogluconico possono essere convertiti
reversibilmente in due intermedi della via glicolitica. In molti microrganismi del suolo la
via dell’acido fosfogluconico è utilizzata per catalizzare la degradazione fermentativa dei
pentosi, con una via che inizia con l’enzima fosfochetolasi, catalizzante la seguente
401
Il terreno
reazione:
fosfochetolasi
xilulosio-5-fosfato + –H2PO3 ←→ aldeide-3-fosfoglicerica + acetil fosfato + H2O
Quindi, un’enorme varietà di reazioni ossidative e di riduzione di zuccheri semplici
può avvenire per l’azione di enzimi della via dell’acido fosfogluconico che interagiscono
indipendentemente o in connessione con altri enzimi della via glicolitica.
La via dell’acido fosfogluconico non è quindi una sequenza ben definita che porta
ad un singolo e specifico prodotto finale, ma una serie di vie divergenti che possiedono
una grande flessibilità metabolica.
Il metabolismo dei glucidi semplici nel terreno è ancora più complesso di quello
dei singoli microrganismi, perché le proprietà colloidali del suolo interferiscono in
maniera significativa, alla stessa stregua della natura e del tipo fisiologico della biomassa
specifica dei microrganismi.
DEGRADAZIONE DELL’AMIDO
L’amido esiste nelle due forme di α-amilosio e di amilopectina.
L’α-amilosio è formato da lunghe catene prive di ramificazioni, in cui tutte le unità
di glucosio (lo zucchero semplice che per condensazione anidritica forma l’amido) sono
unite in legame α(1→4).
Le catene sono polidisperse e variano in peso molecolare da poche migliaia a
500.000 dalton (un dalton è la massa d’un atomo di idrogeno ed è uguale a 1,67⋅10-24 g).
L’amilosio non è veramente solubile in acqua, ma forma delle micelle idratate, che
danno una colorazione blu con iodo-ioduro di potassio.
In queste micelle, la catena del polisaccaride è attorcigliata in un avvolgimento
elicoidale.
L’amilopectina possiede moltissime ramificazioni, ciascuna, mediamente, formata
da 24-30 residui di glucosio, secondo la specie.
Il legame glicosodico dello scheletro è α(1→4), ma i punti di ramificazione
possiedono legami α(1→6).
L’amilopectina forma delle soluzioni colloidali e si riconosce perché con lo iodio
dà una colorazione rosso-violetta. Il suo peso può raggiungere i 100 milioni di dalton.
L’amilosio può essere idrolizzato dall’α-amilasi che rompe a caso i legami α(1→4)
formando una miscela di glucosio e maltosio (bisaccaride costituito da due molecole di
glucosio). Quest’ultimo non è scisso dall’α-amilasi.
L’amilosio può essere idrolizzato anche dalla β-amilasi, la quale stacca unità
successive di maltosio, a partire dall’estremità non riducente.
Ambedue le amilasi attaccano anche l’amilopectina. I polisaccaridi a lunghezza
intermedia, che si formano dall’amido per azione delle amilasi, sono chiamati destrine.
Le amilasi non possono idrolizzare i legami α(1→6) che si trovano ai punti di
ramificazione dell’amilopectina e, pertanto, il prodotto finale della loro azione completa
è un grosso nucleo completamente ramificato, detta destrina limite, perché rappresenta il
Fiume Francesco
402
limite dell’attacco delle amilasi.
L’enzima che idrolizza i legami α(1→6) dell’amilopectina è un’α(1→6)glucosidasi, prodotta da molti funghi che, insieme alle amilasi, può degradare
completamente l’amilopectina a glucosio e maltosio. Le modalità di degradazione
dell’amido nel terreno sono diverse e molti microrganismi lo idrolizzano parzialmente,
lasciando come residui le destrine.
I batteri, gli actinomiceti ed i funghi producono amilasi e soltanto i lieviti non sono
amilolitici. Bacillus macerans, B. cereus e B. subtilis sono batteri aerobi facoltativi e
stretti che attaccano l’amido; Azotobacter ed Endosporus filamentosus sono, oltre che
proteolitici, azotofissatori e denitrificanti anche attivi amilolitici; Clostridium butyricum,
C. perfrigens e C. amylolitycum sono batteri anaerobi, in grado di attaccare anche la
cellulosa, oltre che l’amido.
DEGRADAZIONE DELLA CELLULOSA
La cellulosa rappresenta il polisaccaride della parete cellulare e della struttura
extracellulare delle piante sicuramente più abbondante nel mondo vegetale.
La cellulosa si trova anche in alcuni vertebrati inferiori. La degradazione della
cellulosa è senz’altro un importante processo nella vita del terreno e nell’economia del
carbonio in natura.
L’unica differenza tra l’amido e la cellulosa, entrambi omopolisaccaridi del
glucosio destrogiro (D-glucosio, che ruota a destra la luce polarizzata), è che l’amido ha
legami α(1→4), mentre la cellulosa β(1→4). Si ricorda, a tal proposito, che le forme α e
β del D-glucosio non sono strutture a catena aperta, ma strutture ad anello a sei atomi di
carbonio, ottenute dalla reazione del gruppo alcolico secondario dell’atomo di carbonio 5
con il gruppo aldeidico del carbonio 1. Queste strutture ad anello sono chiamate
piranosiche perché derivate dal composto eterociclico del pirano (si confronti la formula
razionale del glucosio riportata nelle reazioni della glicolisi che è a catena aperta, con
quella riportata nella via del pentoso fosfato che è una struttura piranosica). Orbene, la
forma α del D-glucosio presenta l’ossidrile del carbonio 1 a destra nella formula di
proiezione, mentre la forma β lo presenta a sinistra:
HCOH

HCOH

O
HOCH

HCOH

HC

CH2OH
α -D-glucosio o
α -D-glucopiranosio
HOCH

HCOH

O
HOCH

HCOH

HC

CH2OH
β -D-glucosio o
β -D-glucopiranosio
Le forme isomere di monosaccaridi, che differiscono tra loro soltanto per la
403
Il terreno
configurazione intorno all’atomo di carbonio carbonilico, sono dette anomeri e l’atomo
di carbonio è chiamato carbonio anomerico. Naturalmente, le forme α e β presentano
proprietà fisiche molto diverse: la prima devia il piano della luce polarizzata con un
angolo di + 112,2°, ha un punto di fusione di 146 °C, una solubilità, in 100 mL d’acqua,
di 82,5 g, una velocità relativa d’ossidazione da parte della glucosio-ossidasi pari a 100;
la seconda ha una rotazione specifica di + 18,7°, fonde a 150 °C, ha una solubilità di 178
g, ha una velocità di ossidazione da parte dello stesso enzima inferiore all’unità.
Queste differenze si ripercuotono profondamente e determinano le diversità tra
l’amido e la cellulosa. Il peso molecolare minimo della cellulosa proveniente da fonti
diverse è stato stimato tra 50.000 e 2.500.000 in specie diverse, equivalente (considerato
che il peso molecolare del glucosio è 180) a 278-14.000 residui di glucosio. L’analisi
della diffrazione ai raggi X indica una struttura fisica variabile, con catene elementari
riunite in fibrille in cui si distinguono le maglie cristalline separate le une dalle altre da
zone amorfe (figura 103). In corrispondenza delle maglie, le catene sono saldamente
unite, probabilmente, dai ponti idrogeno e dalle forze di Van der Waals, mentre nelle zone
amorfe i legami sono meno forti.
Fig. 103 – Le pareti cellulari sono costituite da fili lunghi ed interconnessi, le microfibrille,
abbastanza grandi da poter essere viste al microscopio elettronico. Le
microfibrille sono costituite da micelle, ossia fasci di fili. Le micelle sono a loro
volta formate da catene di cellulosa, chimicamente strutturate secondo la
formula riportata in alto.
Fiume Francesco
Le fibrille hanno nella parete cellulare primaria un orientamento casuale, mentre in
quella secondaria (figura 104) ogni strato è caratterizzato dal fatto che l’angolo, costituito
dalla fibrilla e dall’asse principale della fibra di cellulosa, ha un valore costante e
specifico e serve per la valutazione delle qualità meccaniche della cellulosa. Le catene di
cellulosa delle membrane cellulari possono integrarsi ed associarsi con lignina, cere,
resine, tannini e pigmenti, in rapporto al tessuto ed alla specie della pianta.
Fig. 104 – Catene di cellulosa in strati successivi, in una tipica fibra con elevati depositi
di parete secondaria (ben tre strati). Gli strati sono costituiti da molecole di
cellulosa che avvolgono la cellula secondo anelli a spirale.
Tali caratteristiche fisiche, chimiche, strutturali e la presenza d’altri componenti
determinano anche il comportamento biologico della cellulosa.
Nelle pareti cellulari delle piante, le fibrille di cellulosa sono stipate fittamente in
fasci paralleli regolari intorno alla cellula (figura 104) e spesso sono sistemati in strati
incrociati. Queste fibrille sono cementate tra loro da una matrice costituita da tre
materiali polimerici: l’emicellulosa, la pectina e l’estensina. Il legno contiene un’altra
sostanza polimerica, la lignina, che costituisce quasi il 25% del suo peso secco. Le
cellulose naturali, non quelle ottenute con trattamenti meccanici e chimici (ad esempio la
carta), rappresentano un substrato d’origine molto varia, in grado di dar luogo a risposte
diverse alle azioni microbiche. La degradazione della cellulosa pura è molto più semplice
di quella della cellulosa naturale, sia per la differente suscettibilità all’idrolisi della
porzione cristallina rispetto all’amorfa, sia per la maggiore difficoltà di penetrazione
degli enzimi, sia per il numero dei composti di sostituzione, sia per la natura degli stessi
composti (effetti sterici). La composizione della matrice influenza altrettanto la
suscettibilità della cellulosa naturale all’idrolisi: le emicellulose e le pectine rendono più
facile la degradazione, mentre la lignina conferisce una maggiore resistenza.
L’enzima in grado di attaccare la cellulosa è la cellulasi che è costituita da un
complesso enzimatico, distinto in frazioni ad attività differenti. La cellulasi è in grado
prima di attivare la cellulosa nativa, forse attraverso primi processi idrolitici e di
ossidazione, poi di idrolizzare i legami β(1→4) delle sequenze di glucosio, producendo
frammentazioni in unità sempre più piccole – tetrasaccaridiche (cellotetraosio),
404
405
Il terreno
trisaccaridiche (cellotriosio), bisaccaridiche (cellobiosio) – ed infine, mediante un altro
enzima costitutivo, la cellobiasi (che è una β-glucosidasi), di dar luogo alla produzione
finale di glucosio. Le prime frazioni enzimatiche, quelle che danno luogo a cellobiosio,
devono essere diffusibili, perché la cellulosa, pur avendo con l’acqua un’elevata affinità,
è in essa completamente insolubile. Le stesse frazioni hanno un comportamento che allo
stato delle cose rimane ancora inspiegabile, dato che i filtrati colturali di microrganismi
cellulolitici sono assolutamente inattivi sulla cellulosa nativa. Una delle ipotesi avanzate
è che questa frazione enzimatica sia molto diffusibile, ma soggetta, in vitro, a rapida
inattivazione. Tale frazione sarebbe costituita da un enzima in grado di trasferire elettroni
nei punti di attacco della cellulosa, mediante trasportatori del tipo delle flavine o dei
citocromi, e da un altro enzima (precisamente un gruppo variabile d’isoenzimi) capace di
attaccare le catene della cellulosa. L’attacco delle catene di glucosio avverrebbe
inizialmente a caso, probabilmente in corrispondenza delle regioni amorfe, fino ad avere
l’idrolisi in frammenti più o meno corti per attività endoglucanasica. Poi la cellobiasi
agirebbe sui frammenti solubili per attività esoglucanasica, con liberazione di molecole
di glucosio.
Tab. 47 – Principali specie di microrganismi cellulolitici
Generi e specie microbiche cellulolitiche
Batteri aerobi
Pseudomonadales
Batteri anaerobi
Funghi
Clostridium omelianskii
Chaetomium
Vibrio
Clostridium werneri
Trichoderma
Cellvibrio ochraceus
Clostridium dissolvens
Stachybotrys
Cellvibrio flavescens
Clostridium spumarum
Botrytis
Cellvibrio viridis
Clostridium myxogenes
Gliobotrys
Cellvibrio mucosa
Plectridium spp.
Penicillium
Cellvibrio fusca
Caduceus spp.
Simpodiella
Cellvibrio rosea
Terminosporus spp.
Helicoma
Cellfalcicula
Endosporus spp.
Desmatierella
Eubacteriales
Cellulomonas
Bacillus
Myxobacteriales
Poria
Termofili
Terminosporus monocellus
Terminosporus thermocellulolyticus
Cytophaga hutchinsonii
Cytophaga aurantiaca
Del tubo digerente degli erbivori
Cytophaga rubra
Ruminobacter flavescens
Cytophaga tenuissima
Ruminococcus flavus
Sporocytophaga myxococcoides Ruminococcus albus
Sporocytophaga ellipsospora
Sorangium cellulosum
Cillobacterium cellulosolvens
Fiume Francesco
Esistono microrganismi cellulolitici autentici e dotati di un corredo enzimatico
completo (endoglucanasi ed esoglucanasi), in grado di idrolizzare la cellulosa fino a
glucosio.
Esistono, poi, microrganismi (cellulolitici facoltativi e secondari) altamente
cellulolitici e microrganismi meno attivi, capaci di esercitare una differente attività: i
primi degradano in maniera incompleta la cellulosa, mentre i secondi utilizzano e
degradano i frammenti man mano che si formano.
Numerosissimi sono i microrganismi con attività cellulolitica: batteri, actinomiceti,
funghi, protozoi. Essi possono essere aerobi (batteri e funghi), anaerobi (batteri),
termofili (batteri e funghi) e possono vivere nel tubo digerente dei mammiferi (ruminobatteri). Nella tabella 47 sono riportate le principali specie di microrganismi cellulolitici.
Tra queste specie si evidenziano quelle più importanti ai fini della degradazione
della cellulosa. Il genere Cytophaga possiede al completo il complesso enzimatico
cellulasico e, pertanto, può aggredire a fondo la cellulosa, mostrando grande attività
perché capace di demolire 80-90% della cellulosa presente. La completa attività
cellulolitica è dovuta al fatto che, essendo la cellulosa l’unica sorgente di carbonio, il
genere Cytophaga è da considerarsi un cellulolitico obbligato. Le specie di questo genere
utilizzano, come sorgente d’azoto, i sali ammoniacali ed i nitrati, mentre alcuni
impiegano urea e qualche aminoacido (asparagina e acido aspartico). Nei riguardi della
temperatura essi sono mesofili, mentre il pH favorevole è 6-8,5. Sono aerobi stretti, ma
alcuni ceppi tollerano tensioni d’ossigeno più ridotte, rispetto a quelle normali. Questi
batteri attaccano la cellulosa e formano una sostanza mucosa e viscosa detta gelatina
citofagea, costituita da poliuronidi.
I generi Cellvibrio e Cellfalcicula sono cellulolitici meno attivi, rispetto al genere
Cytophaga. Attaccano solo il 20-30% della cellulosa presente e mostrano un’attività
debole ed incompleta. Il genere Cellvibrio comprende batteri aerobi che si sviluppano
anche in ambienti poveri di ossigeno, con un pH neutro o leggermente alcalino ed a
temperatura di 28-30 °C. Alcune specie si riconoscono per il colore del pigmento formato
su silico-gel alla carta filtro: giallo ocra in Cellvibrio ochraceus; giallo crema in C.
flavescens; verde in C. viridis; rosa in C. rosea. I batteri anaerobi sono frequenti nel
terreno, nel letame, nel tubo digerente d’alcuni animali e possono essere anaerobi stretti o
anaerobi facoltativi. Gli anaerobi stretti svolgono attività cellulolitica soltanto in
ambiente anaerobico. La temperatura ottimale di crescita è di 33-40 °C. Essi utilizzano
azoto minerale o amminico ed hanno bisogno di fattori di crescita. Nella degradazione
della cellulosa producono gas (anidride carbonica, idrogeno e metano), acidi organici
(acido acetico, acido propionico, acido butirrico) ed alcoli (alcool etilico).
I funghi completano l’attività cellulolitica dei batteri ed in alcuni casi, come nei
terreni acidi, dove l’azione batterica è ridotta, essi svolgono un ruolo fondamentale. I
funghi idrolizzano aerobicamente la cellulosa con formazione di zuccheri semplici.
Mentre i batteri degradano la cellulosa a livello delle zone amorfe, ma non nel lume delle
fibre, e prosegue fino alle lamelle e nella parte centrale della struttura molecolare, i
funghi attraversano le pareti cellulari in corrispondenza di soluzioni di continuità e la
degradazione della cellulosa parte dal lume, dall’interno, con successivo rigonfiamento
delle fibre che si deformano e si modificano fisicamente e chimicamente, fino alla
formazione di prodotti intermedi simili alle destrine.
I fattori che agiscono sui rapporti fra le diverse popolazioni di microrganismi
cellulolitici sono il potenziale di ossidoriduzione o rH, il pH e la temperatura del terreno.
Si ricorda che l’ossidoriduzione è una reazione chimica in cui si ha trasferimento di
elettroni da un donatore ad un accettore e che il potenziale di ossidoriduzione è una
406
407
Il terreno
misura della tendenza di un sistema ad ossidare o ridurre determinate sostanze. Il valore
di rH è molto legato al contenuto di ossigeno nel terreno ed alla quantità d’acqua in esso
contenuta. La struttura del terreno ed il suo tasso d’umidità determinano i valori di rH.
Più elevati sono l’umidità e la temperatura del suolo, più bassi risultano i valori di rH. In
linea generale i batteri aerobi si trovano nella zona con rH superiore a 19, i batteri
anaerobi permangono in zone con rH inferiore a 9,3. I funghi vivono in ambienti con un
intervallo di rH molto più ampio, inferiore a 9 e superiore a 19. In un terreno saturo
d’acqua ed alla temperatura di 30 °C, che fa registrare un valore di rH = 8, si evidenziano
solo batteri anaerobi e funghi.
Il pH agisce sull’equilibrio di una popolazione microbica. In linea generale, i
batteri aerobi prevalgono in terreni ben aerati e neutri, i funghi predominano in suoli
arieggiati ed acidi, i batteri anaerobi si sviluppano prevalentemente in terreni pesanti e
non aerati.
La disponibilità d’azoto gioca un ruolo importante nella cellulolisi. Per ogni 100 g
di cellulosa decomposta sono necessari circa 3 g di azoto e se il rapporto tra cellulosa
decomposta ed azoto assimilabile scende al disotto di 35:1, si ha un rallentamento del
processo.
Ogni anno, la quantità di residui vegetali che cade sul terreno varia tra 5 e 100 q/ha.
L’ampiezza di tale intervallo è legata a fattori pedologici e climatici, alla copertura
vegetale ed alla distribuzione stagionale di caduta dei materiali organici. L’attività
cellulolitica su questa ingente massa di residui vegetali è in relazione alla composizione
chimica ed alle fluttuazioni periodiche dell’attività dei microrganismi cellulolitici del
terreno. La presenza di lignina nei residui vegetali rallenta la velocità di degradazione
della cellulosa, non solo perché la lignina è lentamente degradata, ma anche perché
l’idrolisi della cellulosa è tanto più lenta quanto più elevata è la quantità di lignina che ad
essa si accompagna.
L’eccesso d’acqua nel terreno si oppone alla circolazione dell’aria e riduce la
quantità d’ossigeno disponibile e, di conseguenza, ostacola la cellulolisi aerobica.
L’umidità ottimale, per la maggior parte delle attività microbiche nel suolo, corrisponde
ad un contenuto idrico del 60-80% della capacità idrica e quando tale contenuto scende al
disotto del 40% si ha un rallentamento, tanto più evidente quanto più scarsa è l’acqua
esistente. Nei periodi siccitosi si verifica un arresto delle attività microbiche nello strato
superficiale del terreno, proprio a causa della carenza idrica.
DEGRADAZIONE DELLE EMICELLULOSE
Le emicellulose non sono correlate strutturalmente alla cellulosa, ma sono polimeri
pentosi, specialmente i D-xilani, polimeri di D-xilosio in legame β(1→4) con catene
laterali di arabinosio e di altri zuccheri (mannosio, galattosio).
Numerosi sono i microrganismi del terreno capaci di attaccare queste sostanze
eterogenee denominate emicellulose. Tra i batteri aerobi si annoverano i generi
Achromobacter, Pseudomonas, Sporocytophaga (S. myxococcoides) ed Azotobacter;
quest’ultimo svolge un ruolo fondamentale non tanto nell’attacco diretto delle
emicellulose, quanto nell’utilizzazione dei prodotti di demolizione.
Tra i batteri anaerobi emicellulolitici prevale il genere Clostridium ed alcuni
cellulolitici derivanti dal tubo digerente dei ruminanti; i prodotti di degradazione che si
formano sono acido acetico, acido propionico, acido butirrico ed acido succinico.
Tra gli actinomiceti prevalgono i generi Streptomyces e Micromonospora. Tra i
funghi, i generi Penicillium, Aspergillus, Trichoderma e Rhizopus. Molti di questi
Fiume Francesco
microrganismi in grado di attaccare le emicellulose hanno anche buone capacità
cellulolitiche.
Numerosi sono gli enzimi che intervengono nei vari gradini del processo di
degradazione delle emicellulose. Quello più conosciuto è la xilanasi, scoperto da
Sörensen nel 1957.
Molti di questi enzimi possono essere indotti ed attivati sotto l’influenza dello
specifico substrato. Così, la carbossimetilcellulosa induce la sintesi di xilanasi, il
mannano stimola la produzione del suo enzima, la mannanasi
Molti enzimi hanno un’attività così ampia da degradare vari substrati. Così, la
cellulasi di alcuni funghi idrolizza oltre che la cellulosa anche lo xilano; il filtrato
colturale di Sporocytophaga determina anche l’idrolisi dello xilano, anche se questo
genere di microrganismo non utilizza lo xilosio.
In generale, un microrganismo in grado di attaccare le emicellulose è incapace di
realizzare la cellulolisi, anche se la degradazione delle emicellulose e quella della
cellulosa hanno molti punti in comune e diverse analogie. I due processi avvengono con
intensità proporzionali alla disponibilità dei relativi substrati, anche se l’attività di
degradazione delle emicellulose è molto più ampiamente rappresentata di quella di
degradazione della cellulosa.
DEGRADAZIONE DELLE PECTINE
Le pectine sono esteri metilici dell’acido pectico il quale è a sua volta costituito da
acido poligalatturonico, arabinosio e xilosio. I numerosi gruppi carbossilici conferiscono
proprietà di complessare i cationi, di formare esteri metilici e di gelificare. Le pectine
sono più omogenee delle emicellulose perché comprendono polimeri α(1→4) dell’acido
D-galatturonico associato a pentosi ed esosi.
La degradazione delle pectine avviene prima ad opera della pectina-metil-esterasi
che induce una reazione di demetilazione, con formazione di acido pectico ed alcool
metilico. Poi intervengono gli enzimi poligalatturonasi e polimetilgalatturonasi che
causano l’idrolisi delle catene di acido pectico o della pectina. Quindi, per azione della
pectina-transeliminasi si ottiene frammentazione, per trasferimento di protoni,
fluidificazione del substrato e formazione di corte catene e di unità galatturoniche. Le
sostanze polifenoliche ed i prodotti d’ossidazione possono inattivare gli enzimi pectici.
Molto pochi sono i microrganismi pectinolitici del terreno. Tra i batteri aerobi si
menziona il Bacillus subtilis, il Bacillus cirulans, l’Erwinia carotovora, molto attiva e
patogena di vegetali. Tra gli anaerobi si ricorda il Plectridium pectinovorum, molto attivo
perché in 24 ore demolisce tutta la pectina presente nel mezzo ed il P. virescens,
abbastanza attivo, ma lento ed in grado di degradare 80% delle pectine. Tra gli anaerobi
stretti si ricordano il Clostridium aurantium, C. butyricum, C. pectinolyticum, C.
omnivorum. Il C. felsineum, C. maymonei, C. roseum e C. corallinum hanno proprietà
pectinolitiche soltanto in vivo (nella macerazione) e perdono questa proprietà in coltura
pura (in vitro). C. macerans, C. polymixa sono pectinolitici microaerofili capaci di
utilizzare anche la cellulosa. Proprietà pectinolitiche molto attive sono possedute da
alcuni funghi, spesse volte più attive dei batteri aerobici. Funghi pectinolitici molto attivi
sono il genere Aspergillus, Penicillium, Cladosporium, Mucor, Sclerotinia, Rhizopus. La
Pullularia pullulans è un fungo epifita componente la fillosfera che colonizza, prima fra
tutti, le foglie morte e scompare rapidamente in presenza della microflora del terreno.
408
409
Il terreno
DEGRADAZIONE DELLA CHITINA
La chitina è un polisaccaride strutturale, presente nell’esoscheletro degli animali
del phylum Uniramia e nelle pareti cellulari di molti funghi. Il componente principale
della chitina è la glucosamina, un amino-zucchero in cui il gruppo alcolico secondario
dell’atomo di carbonio 2 è sostituito da un gruppo ammininico. Specificatamente, la
chitina è un omopolimero di N-acetil-D-glucosamina in legame β(1→4), contenente
azoto (6,9% nella chitina pura).
La chitina è presente nel terreno dove è apportata dalle spoglie di animali ad
esoscheletro chitinoso e dalle membrane cellulari dei funghi. Difficilmente si trova da
sola, ma spesso è associata a proteine, melanine, chitosani e poligalattosamina. Gli
actinomiceti, fra questi Streptomyces antibioticus, ed alcuni batteri (Bacillus cereus) sono
molto attivi nella degradazione della chitina, poiché essi producono alcuni enzimi, la
chitinasi e la chitobiasi, in grado di spezzare le lunghe catene di amino-zuccheri in
molecole più semplici di chitobiosio e chitotriosio, fino ad acetil-glucosamina. I prodotti
finali, per deacetilazione, sono glucosamina, acido acetico, glucosio ed ammoniaca. Altri
batteri sono in grado di idrolizzare la chitina soltanto quando convivono in associazione,
poiché sviluppano azioni sinergiche. In particolare, alcune specie di batteri del genere
Cytophaga ed Arthrobacter sono inattive sulla chitina in coltura pura, mentre diventano
attivi chitinolitici quando sono coltivati insieme (cocoltivati).
DEGRADAZIONE DELLA LIGNINA
La lignina è un polimero aromatico che costituisce una porzione cospicua della
parte legnosa delle piante e di molte altre biomolecole aromatiche, quali l’ubichinone ed
il plastochinone.
La parte aromatica della lignina è rappresentata da fenoli, acidi benzoici, cumarine,
flavoni, antociani, oltre i fenoli semplici o condensati d’origine microbica come i
pigmenti e gli antibiotici.
La lignina, a differenza della cellulosa e degli altri costituenti delle membrane
cellulari, non forma catene molecolari ed ai raggi X si presenta come una sostanza
amorfa. Come colloide la lignina presenta una grande superficie, tanto che, si è calcolato,
un grammo di lignina ha una superficie pari a circa 180 m2.
La lignina è contenuta nei tessuti collenchimatici e sclerenchimatici delle piante, è
parte integrante del legno e costituisce quasi il 25% del suo peso secco.
La lignina è una delle sostanze più resistenti alla degradazione microbica. Di
conseguenza diviene relativamente più abbondante nella sostanza organica residua in
decomposizione e costituisce la principale sorgente del materiale umifero nel terreno. La
decomposizione microbica della lignina riveste una particolare importanza nel processo
d’umificazione, giacché esistono analogie chimiche e chimico-fisiche tra questo
composto e le sostanze umiche.
La composizione chimica della lignina è differente nei vari gruppi tassonomici di
piante e, per questo motivo, è meglio parlare di lignine. Fra i costituenti fondamentali
della lignina si ricordano due classi di composti, costituiti entrambi da un anello
aromatico a cui è legata una catena alifatica costituita da un atomo di carbonio (vanillina)
o da tre atomi di carbonio (alcool coniferilico, costituente la lignina delle gimnosperme;
alcool sinapilico, costituente la lignina delle angiosperme; alcool cumarilico, presente,
insieme agli altri due, nella lignina delle piante erbacee). L’attacco microbiologico della
lignina libera questi composti e ne determina profonde trasformazioni. Così la vanillina,
per ossidazione del gruppo aldeidico in carbossile, produce acido vanillico il quale, per
Fiume Francesco
demetilazione, dà luogo ad acido p-idrossibenzoico e poi ad acido protocatechico. Per
ossidazione e decarbossilazione, l’acido protocatechico si trasforma in idrossi pbenzochinone o in acido carbossi-mucoico, privo di anello aromatico. L’idrossi pbenzochinone, per dimerizzazione, dà origine ad un diidrossi-difenil-dichinone e per
polimerizzazione e policondensazione a sostanze complesse che, flocculate dai cationi
calcio, magnesio, ferro, idrogeno ed altri, vanno a costituire l’humus. L’acido carbossimucoico per ulteriore ossidazione si mineralizza in anidride carbonica ed acqua.
I microrganismi che provocano la degradazione della lignina sono essenzialmente
fungini e sono la maggior parte di quelli precedentemente indicati a proposito della
microflora del terreno. Essi svolgono attività ligninolitiche attraverso dei processi di
marciume del legno a carico dei materiali della copertura morta e dei resti vegetali
incorporati nel suolo. Si possono distinguere differenti processi di alterazione microbica
che producono differenti tipi di marciume:
a) i marciumi molli che consistono nella decomposizione dei costituenti glucidici,
utilizzati come fonte di energia da parte dei funghi, con liberazione di lignina che si
altera e si trasforma in una massa scura ed amorfa, con diminuzione di peso.
b) i marciumi bruni che comportano una rapida decomposizione dei polisaccaridi
con produzione di sostanza riducenti e profonda e varia modificazione della lignina.
c) i marciumi bianchi che danno luogo alla contemporanea demolizione dei
polisaccaridi e della lignina la quale diminuisce di peso, si decolora, diviene fragile e
fibrosa, mantenendo la propria impalcatura fin quando non è degradata a prodotti
cellulolici e sostanze fenoliche semplici.
I prodotti della decomposizione fungina della lignina sono composti solubili nel
caso dei marciumi bianchi e prodotti parzialmente alterati ed insolubili, di colore scuro,
nel caso dei marciumi molli e bruni.
I terreni agrari e quelli forestali contengono funghi basidiomiceti che sono gli
agenti più attivi della ligninolisi, insieme con ascomiceti e deuteromiceti. Questi
microrganismi producono enzimi esocellulari del tipo della laccasi e della perossidasi,
nel caso dei marciumi bianchi. In altri casi l’attività enzimatica, dovuta alla laccasi ed
alla tirosinasi, è di tipo endocellulare e l’azione di questi enzimi sul substrato è
strettamente connessa alla morte dei microrganismi fungini ed alla demolizione delle
pareti miceliari. Il ruolo degli enzimi ossidasici sembra fondamentale sia nella biosintesi
della lignina, sia nella sua degradazione: nel primo caso le ossidasi trasformano i
precursori della lignina in radicali liberi, senza intervenire nei processi di
polimerizzazione e policondensazione; nel secondo caso le ossidasi rompono il polimero
della lignina e lo trasformano in tanti dimeri del tipo dell’estere guaiacil-glicerol-βconiferilico che si scindono ulteriormente in unità di fenil-propano.
Circa l’attività ligninolitica dei batteri, essi sembrano meno importanti dei funghi. I
generi Pseudomonas ed Achromobacter sembrano capaci di ossidare la lignina ed è anche
noto che la stessa è decomposta lentamente in anaerobiosi da specie batteriche anaerobie.
La degradazione della lignina è favorita da temperature di 37-40 °C e dalla
presenza d’ossigeno (in anaerobiosi la degradazione è lenta) ed è condizionata dalla
specie vegetale da cui proviene e dall’età delle piante.
UMIFICAZIONE E MINERALIZZAZIONE DEI COMPOSTI ORGANICI DEL CARBONIO
Il processo di umificazione dei materiali organici comporta il passaggio attraverso
tre stadi fondamentali: a) l’idrolisi enzimatica dei polimeri finora menzionati e di altri
ancora, come le sostanze proteiche, componenti il substrato di partenza, fino alla
410
411
Il terreno
formazione di composti semplici di natura variabile; b) la trasformazione,
prevalentemente ossidativa, delle molecole ottenute e caratterizzate da un forte aumento
della loro reattività chimica per l’enorme presenza di radicali liberi; c) la
polimerizzazione e la policondensazione, in parte spontanea, di tali prodotti, i quali, in
presenza dei diversi cationi del complesso di scambio del terreno, danno finalmente
origine alle micelle umiche di dimensioni e caratteri colloidali.
La decomposizione della sostanza organica del terreno (humus) e la conversione
dei complessi organici fino allo stato di carbonio inorganico elementare, costituisce il
processo di mineralizzazione. Questo processo porta alla produzione di anidride
carbonica la cui quantità, che si evolve durante il processo di mineralizzazione delle
molecole umiche, varia significativamente, in rapporto alle caratteristiche del terreno. In
condizioni controllate ed alle temperature comprese tra 20 e 30 °C, la quantità di CO2
prodotta nelle 24 ore varia da 5 a 50 mg per chilogrammo di terreno, con massimi fino a
300 mg. In pieno campo, la quantità di CO2 prodotta nelle 24 ore è di 0,5-10 g/m2 di
superficie, fino a rare punte di 25 g. L’anidride carbonica deriva dalla respirazione
endogena del terreno e dai processi biologici e non biologici.
La respirazione endogena del suolo è quella del terreno non arricchito e consiste
nella perdita di CO2 derivata esclusivamente dalla mineralizzazione dell’humus. La
quantità di carbonio presente nell’humus, che annualmente viene mineralizzata a CO2,
varia dal 2 al 59%. Le condizioni pedoclimatiche influenzano molto questo dato e ciò
non toglie che una gran quantità di carbonio umico è annualmente mineralizzata. Tale
quantità persa, tuttavia, è generalmente compensata da un’attiva sintesi a partire dai
residui organici vegetali ed animali.
I processi biologici che portano alla formazione di CO2 sono determinati dalla
respirazione degli organismi viventi nel suolo (le radici delle piante, la pedoflora e la
pedofauna) e dalla decarbossilazione dei diversi substrati sotto l’azione degli enzimi del
suolo (enzimi extracellulari, enzimi emessi dagli organismi viventi, enzimi intatti nei
frammenti delle cellule morte, enzimi adsorbiti sui colloidi del terreno).
I processi non biologici che causano produzione di CO2 consistono nella
decarbossilazione chimica di una certa quantità di composti, nella decarbossilazione
catalizzata dai diversi complessi organo-minerali e dai colloidi del terreno, nell’azione
degli acidi del metabolismo microbico o apportati al suolo (ad esempio attraverso
l’acqua meteorica) sui carbonati liberi del terreno.
Tutti i composti organici del terreno sono in ogni caso completamente ossidati con
formazione di CO2. La quantità di CO2 emessa dal terreno può essere misurata allo scopo
di ottenere un indice generale del grado di attività microbiologica del suolo. Il rapporto
tra la quantità di CO2, emessa in un certo intervallo, e la quantità totale di carbonio
organico, contenuto nel terreno, fornisce un indice di mineralizzazione del carbonio, utile
per valutare in quale misura la sostanza organica del terreno è soggetta alla degradazione
dei microrganismi.
I fattori principali che regolano la mineralizzazione delle molecole umiche sono il
contenuto di sostanza organica nel terreno, il tipo e la frequenza delle lavorazioni, la
temperatura, l’umidità, il pH, il contenuto di elementi nutritivi, la profondità e
l’aerazione.
L’entità della mineralizzazione del carbonio è direttamente correlata al contenuto di
carbonio organico del terreno. Pertanto, la quantità di CO2 aumenta se è incrementato il
Fiume Francesco
contenuto di materia organica del terreno.
Le lavorazioni e le pratiche agronomiche, in generale, influenzano positivamente la
mineralizzazione del carbonio organico. E’ stato calcolato che dopo 25 anni di
coltivazione è possibile registrare una diminuzione del contenuto medio di sostanza
organica dal 3,3% a 1,4%, pari ad una perdita superiore al 50% di carbonio organico. La
curva del contenuto di carbonio organico declina rapidamente all’inizio, dopo i primi
anni, poi tende a stabilizzarsi nonostante l’incremento delle coltivazioni.
La temperatura influenza notevolmente la degradazione del materiale umico.
Temperature vicine a 0 °C possono far procedere, anche se lentamente, la demolizione
dei colloidi organici, ma questa subisce un rapido incremento se i valori termici
aumentano. L’alternanza del freddo e del caldo porta ad un aumento di produzione di
CO2. L’umidità influenza la respirazione del suolo il quale deve contenere un certo
quantitativo d’acqua per agevolare l’attività dei microrganismi. L’alternanza della siccità
e dell’umidificazione del terreno aumenta il tasso di produzione di CO 2 ed è noto che
cicli ripetuti d’umido e di secco stimolano l’attività microbica maggiormente rispetto ai
terreni stabilmente umidi. Il pH influenza la mineralizzazione delle molecole umiche che
è più veloce nei terreni neutri o debolmente alcalini.
La presenza di elementi nutritivi come l’azoto ed il fosforo può agevolare la
degradazione della sostanza organica.
La produzione di CO2 varia anche con la profondità. Essa assume i massimi valori
vicino alla superficie, dove si trova la più elevata quantità di residui vegetali, mentre
diminuisce a maggiori profondità, per diventare irrilevante a profondità superiori ai 50
cm.
Il fenomeno della subsidenza è un aspetto negativo della decomposizione biologica
della sostanza organica e dei cambiamenti microbiologici che avvengono nel terreno.
Tale fenomeno consiste nell’abbassamento del livello del suolo a seguito dei processi di
degradazione della materia organica. La subsidenza del terreno è di grande importanza
pratica, perché comporta la perdita più o meno grave della risorsa del suolo, con
conseguenze negative per la produttività agricola e per la costruzione ed il mantenimento
delle strade. L’abbassamento del livello del terreno per fenomeni di subsidenza è di 0,2-7
cm per anno ed è dovuta a cause biotiche, legate alla degradazione
della sostanza organica. Probabilmente altre cause intervengono nel fenomeno della
subsidenza, come l’erosione eolica e quella causata dai diversi atmosferili.
L’aerazione ed il drenaggio dei terreni giocano un ruolo importante nella
decomposizione delle sostanze organiche e nella mineralizzazione del carbonio. In terreni
ben drenati ed aerati si formano sostanze acide ed alcoliche, ma raramente questi
composti si accumulano, poiché rapidamente metabolizzabili dai microrganismi aerobi
del suolo.
Ciclo dell’azoto
L’azoto è un elemento che allo stato di molecola biatomica (N2) costituisce circa i
quattro quinti in volume dell’atmosfera e come componente delle proteine è presente in
tutti gli organismi viventi.
L’azoto si ritrova in alcuni minerali sotto forma di combinazione (nitro del Cile) o
di occlusioni gassose, con riserve stimate in 108 t. Il nome gli fu dato da Lavoisier, che lo
identificò nel 1786, durante le sue celebri esperienze sulla composizione dell’aria e lo
412
413
Il terreno
chiamò azote (dal greco alfa privativo e zoé, vita), perché non mantiene la respirazione.
Il ciclo dell’azoto è dato dall’insieme delle trasformazioni chimiche che
quest’elemento dell’aria subisce nel corso della sua utilizzazione da parte degli organismi
viventi. Esso è costituito da una serie di anelli o sottocicli rappresentati dalla fissazione
dell’azoto atmosferico, ammonizzazione dell’azoto organico, nitrificazione dell’azoto
ammoniacale, denitrificazione dell’azoto nitrico, con ritorno all’atmosfera di azoto
molecolare. Nella figura 105 è riportato sinteticamente il ciclo dell’azoto in natura.
AZOTO ATMOSFERICO
Fissazione
atmosferica
Proteine animali
e vegetali
↓
Residui animali
e vegetali
Attività
vulcanica
Fissazione
industriale
Acqua
meteorica
Piante con simbionti e azotofissatori liberi
Fissazione biologica dell’azoto atmosferico
↓
Riduzione dei nitrati
Denitrificazione
←
TERRENO
Ammoniaca
o catione
ammonio
Nitrati
Nitriti
Dilavamento
Falda freatica
Fig. 105 – Schema semplificativo del ciclo dell'azoto in natura.
FISSAZIONE DELL’AZOTO ATMOSFERICO
Il primo gradino del ciclo dell’azoto è la fissazione di N2 presente nell’atmosfera.
La quantità di questo gas nell’aria atmosferica è stimata intorno a 36· 1014 t.
La fissazione dell’azoto si realizza direttamente nell’atmosfera, con formazione di
protossidi ed ossidi d’azoto, fino alla formazione di acido nitroso e nitrico, reazioni,
queste, catalizzate dalle alte temperature che si raggiungono nelle scariche elettriche
(fulmini), durante i temporali. Questi composti dell’azoto pervengono poi al suolo
Fiume Francesco
attraverso l’acqua meteorica. Questa è una via naturale, ma non biologica, di fissazione
dell’azoto molecolare e si calcola che in tal modo giunga alla superficie terrestre una
quantità annua dell’elemento combinato di cui si tratta pari a circa 109 t.
Un’altra via di fissazione dell’azoto atmosferico, non biologica e neanche naturale,
è la sintesi industriale. Questa è iniziata nel 1913, quando Haber e Bosch, in Germania,
riuscirono a produrre industrialmente ammoniaca a partire dall’azoto molecolare ed è
proseguita fino ai giorni nostri, soprattutto per la produzione di concimi chimici, con
progressione particolarmente intensa fino a qualche anno fa.
Le vie finora descritte di fissazione dell’azoto atmosferico sono ben poca cosa
rispetto a quelle biologiche che riescono ad apportare in un terreno quantità di azoto di
gran lunga superiori che possono andare da 3 kg per ettaro all’anno, fino a valori di un
centinaio di volte maggiori (in un campo di leguminose).
La fissazione dell’azoto atmosferico avviene in modo aerobico ed anaerobico
com’è possibile dimostrare con una semplice esperienza. Un tubo viene riempito con
terreno e glucosio, nel rapporto di 100:1, chiuso, da una parte con materiale permeabile
all’aria (ovatta) e dall’altra con un elemento impermeabile (tappo di gomma), e posto ad
incubare per 3 giorni a 30 °C. Il prelievo e l’esame microbiologico evidenziano presenza
di Azotobacter, aerobio, dalla parte dell’ovatta e di Clostridium, anaerobio, dalla parte del
tappo di gomma.
La fissazione dell’azoto elementare dell’aria avviene attraverso un processo
d’assimilazione, realizzato dai microrganismi del suolo, attraverso il quale l’azoto
molecolare è trasformato in azoto organico (amminoacidico e proteico), quindi in azoto
organizzato che va a costituire la biomassa corporea degli stessi organismi viventi.
Questi organismi vivono liberamente nel suolo ed allora si parla d’azotofissazione
diretta, oppure vivono in simbiosi con altri esseri viventi, comprese le radici di molte
piante coltivate (quelle appartenenti alla famiglia delle leguminose) ed allora
l’azotofissazione è simbiotica.
Nella tabella 48 sono riportati i principali organismi viventi liberamente ed in grado
di realizzare l’azotofissazione diretta.
Tra i generi indicati, quelli più importanti tra i batteri, sono Azotobacter,
Beijerinckia e Clostridium. Il genere Azotobacter comprende numerose specie, distinte in
base alla formazione di microcisti, alla mobilità ed alla produzione di pigmenti, che
danno il caratteristico colore alla colonia coltivata in piastra Petri. Le specie più
rappresentative sono A. chroococcum e A. vinelandii, ambedue mobili per ciglia, il primo
bruno-nero, il secondo verdastro e fluorescente; A. beijerinckii, immobile e giallastro.
Questi tre azotobatteri possiedono microcisti, mentre A. agilis, A. insignis ed A.
macrocytogenes sono privi di microcisti e sono mobili per la presenza di ciglia laterali, il
primo, di ciglia polari, gli altri due. Come dice lo stesso nome, l’ultimo possiede grosse
cellule sferiche.
Il genere Beijrinckia è costituto da azotobatteri a forma di bastoncini, con due
globuli polari di grasso, di dimensioni inferiori a quelli del genere Azotobacter, acidotolleranti. Le specie più comuni di questo genere sono B. indica, B. lacticogenes, B.
mobilis, mobili o immobili, formanti colonie rotonde, a bordi regolari, sopraelevate, lisce
mucose, ialine ed opache, di colore sfumato verso il bruno ed il rosso, con gomme; B.
fluminensis che forma colonie a bordi irregolari, sopraelevate, rugose, asciutte, granulose,
opache, con pigmento castano e prive di gomme; B. derxii, B. acida, B. congensis,
immobili, formanti colonie tonde, a bordi regolari, sopraelevate, lisce, mucose, opache,
spesso iridate e plicate, con pigmento giallo-verde fluorescente e diffusibile, con gomme.
414
415
Il terreno
Tab. 48 – Principali organismi viventi liberamente, in grado di attuare la fissazione dell’azoto
atmosferico.
Ordine
BATTERI: Eubacteriales
Famiglia
Azotobacteriaceae
Genere
mg di azoto fissato per g
di carbonio consumato
Azotobacter
1,0-1,5
Beijerinckia
1,0-1,5
Derxia
2,5-2,8
Pseudomonas
0,1-0,5
Azotomonas
0,1-0,4
Aërobacter
0,4-0,5
Klebsiella
0,4-0,5
Achromobacteriaceae
Achromobacter
0,1-0,2
Spirillaceae
Desulphovibrio
Pseudomonadaceae
Enterobacteriaceae
Methanobacterium
Spirillum
Bacillaceae
Bacillus
1,2-1,3
Clostridium
0,2-2,7
Thiorhodaceae
Chromatium
Athiorhodaceae
Rhodospirillum
Rhodopseudomonas
Rhodomicrobium
CIANOBATTERI: Nostocales
Chlorobacteriaceae
Chlorobium
Nostocaeae
Nostoc
1,5-2,0
Anabaena
1,5-2,0
Aulosira
Anabaenopsis
Cylindrospermum
1,0-1,2
Chlorogloea
Rivulariaceae
Calotrix
Scytonemataceae
Tolypothrix
Scytonema
Stigonematales
Stigonemataceae
Fischerella
Hapalosiphon
Mastigocladus
Stigonema
Westillopsis
FUNGHI: Endomycetales
Saccharomycetaceae
Saccaromyces
Rhodotorula
Lipomyces
Candida
Pullularia
1,0-1,4
Fiume Francesco
Il genere Clostridium è rappresentato da batteri anaerobi, sporigeni, a forma di
bastoncello le cui principali specie, con i principali caratteri fisiologici differenziali sono:
C. butyricum (fermenta l’amido di patata e di mais), C. butylicum (fermenta l’amido di
patata, ma non quello di mais), C. beijerinckii (non fermenta l’amido di patata e di mais),
C. multifermentans (provoca emolisi del sangue), C. pasteurianum (non fermenta amido
e lattato di calcio), C. madisonii (produce acido solfidrico), C. acetobutylicum (fluidifica
l’albumina coagulata, fermenta e coagula il latte tornasolato, non fermenta le pectine), C.
kluyveri (trasforma l’alcool etilico in acido caproico), C. lactoacetophilum (fermenta
lattato e produce acido butirrico), C. felsineum (fluidifica la gelatina e forma pigmenti
giallo-arancioni sui mezzi di coltura), C. pectinovorum (liquefa la gelatina).
I cianobatteri, le alghe verdi-azzurre, si riconoscono all’esame microscopico per la
presenza di eterocisti, un tipo caratteristico di cellula a contenuto ialino e con parete
spessa e rifrangente, con funzione di riproduzione, di sporogenesi o di riserva. I caratteri
morfologici delle principali specie di cianobatteri fissatrici che fissano direttamente
l’azoto atmosferico sono schematizzate nella figura 48, nella parte in cui la pedoflora del
suolo è descritta.
Ma la fissazione dell’azoto atmosferico avviene anche per opera di organismi che
vivono in simbiosi con piante, dalle epatiche fino alle angiosperme. Il microrganismo
normalmente è ospitato in speciali strutture, rimanendo al riparo dalla forte competizione
che si realizza nel terreno ed utilizzando tutti i prodotti a lui necessari che sono forniti
dall’essere macroscopico, in generale la pianta. Questa ha il vantaggio di poter utilizzare
direttamente l’azoto che il simbionte è in grado di fissare. La simbiosi che meglio si
conosce ed assume una grande importanza agronomica è quella che si stabilisce tra le
leguminose coltivate ed i batteri del genere Rhizobium. La fissazione dell’azoto avviene
in speciali strutture della radice, i tubercoli, che offrono ricovero ai batteri. I tubercoli
radicali sono posseduti da almeno 85% di specie delle Mimosoideae e Papilionatae e da
35% di specie delle Cesalpinoideae. In generale, la simbiosi è più frequente nelle specie
erbacee che in quelle arbustive ed arboree.
Il genere Rhizobium (figura 44) è costituito da batteri a forma di bastoncini, aerobi
ed eterotrofi. Comprende sette specie in base alla specificità per l’ospite. La
classificazione delle specie di Rhizobium è fondata sui gruppi d’inoculazione incrociata,
perciò un ceppo isolato da una determinata specie di leguminosa (ad esempio fagiolo)
non può indifferentemente colonizzare e produrre tubercoli radicali su un’altra specie (ad
esempio pisello). Sono noti molti gruppi di rizobi di inoculazione incrociata e sei di essi
sono stati elevati al rango di specie: Rhizobium leguminosarum, R. trifolii, R. phaseoli, R.
meliloti, R. lupini, R. japonicum. Nei ceppi di rizobio sono stati individuati fatti di
trasgressione e di instabilità, oltre che variazioni di recettività da parte delle specie di
leguminose. Per esempio, i ceppi di rizobi isolati da pisello e quindi appartenenti alla
specie R. leguminosarum potevano colonizzare anche piante di trifoglio e comportarsi
come R. trifolii. I molteplici tentativi di dare una sistemazione delle specie del genere
Rhizobium sono ancora imperfetti, compresi quelli basati su tecniche di biologia
molecolare. Una rapida analisi dei caratteri morfologici, citologici, colturali, insieme con
lo studio del processo di nodulazione e dell’attività azotofissatrice, potrà rappresentare un
valido aggiornamento delle conoscenze sui simbionti delle leguminose.
Oltre a questo tipo di simbiosi mutualistica obbligata tra batteri del genere
Rhizobium e le leguminose, sono note altre forme simbiontiche formanti tubercoli
radicali. Sono provvisti di tubercoli radicali i generi Alnus, Casuarina, Coriaria,
Eleagnus, Hippophaë, Stepherdia, Arctostaphylos, Myrica, Comptonia, Ceanothus,
416
417
Il terreno
Discaria, Dryas, Purschia, Cercocarpus. Il microrganismo endofita è rappresentato da
specie del genere Rhizobium, Bradirhizobium, Acrinomyces. Sono note ancora altre
simbiosi finalizzate alla fissazione dell’azoto atmosferico: i licheni del genere Peltigea e
Collema, le epatiche del genere Blasia, Cavilaria e Anthoceros stabiliscono rapporti di
simbiosi con cianobatteri del genere Nostoc; le pteridofite del genere Azolla (A.
caroliniana) e molte specie di Cycadaceae costituiscono rapporti simbiontici con
cianobatteri del genere Nostoc e Anabaena; molte Gimnospermae danno luogo a simbiosi
azotofissatrici con endofiti fungini; Angiospermae, come il genere Gunnera, entrano in
simbiosi con Nostoc. Alcune piante della famiglia delle Rubiaceae formano tubercoli
fogliari, anziché radicali, ospitanti un batterio, un endofita delle foglie, la Klebsiella
rubiacearum.
L’importanza pratica dei rapporti di simbiosi azotofissatrice tra i microrganismi e le
piante è sicuramente rilevante nella valorizzazione dei terreni primitivi e nel ripristino
delle condizioni di fertilità nei suoli che hanno subito uno sfruttamento eccessivo e si
presentano depauperati.
Tutti questi organismi e molti altri noti o ancora da scoprire, da soli od associati
alle piante, sono in grado di trasformare un gas inerte, come l’azoto dell’aria, di attivarlo
e di integrarlo in complesse sintesi biochimiche. Per avere ammoniaca, se si volesse
combinare direttamente l’azoto molecolare con l’idrogeno, dovremmo applicare elevate
temperature e pressioni, sicuramente anormali in ordinarie condizioni naturali. I
microrganismi sono in grado di attuare reazioni analoghe, dello stesso tipo, a temperatura
e pressione ambientale. Questo perché il meccanismo biochimico di fissazione
dell’azoto, lo stesso per qualunque microrganismo, libero o in simbiosi, è di tipo
catalitico. Il catalizzatore, trattandosi di un processo biologico, è un enzima, la
nitrogenasi. Esso è costituito da due proteine il cui gruppo prostetico è il ferro per la
prima ed il ferro e molibdeno per la seconda. La nitrogenasi è capace di catalizzare la
reazione per la quale l’azoto molecolare dell’aria è ridotto ad ammoniaca.
La Fe-proteina è un dimero costituito da due sub-unità identiche, con peso
molecolare che varia da 55.000 a 65.000, con quattro atomi di ferro. La Fe-Mo-proteina è
un tetramero di peso molecolare di 200.000-250.000, con due atomi di molibdeno e 2834 atomi di ferro. Nella reazione enzimatica per ogni molecola di Fe-Mo-proteina è
richiesta una o due molecole di Fe-proteina. Un aspetto interessante è che la nitrogenasi è
la stessa in qualunque microrganismo azotofissatore. Basta isolare, infatti, la Fe-proteina
da un batterio e la Fe-Mo-proteina da un altro, anche di specie e di genere differente,
accoppiarle ed ottenere un enzima attivo, in grado di fissare azoto molecolare ad
ammoniaca. La nitrogenasi è ossigeno-labile ed i microrganismi dispongono di adeguati
accorgimenti atti a determinare nell’intorno dell’enzima un ambiente assolutamente
riducente.
Tuttavia, nei confronti dell’ossigeno dell’aria, la nitrogenasi dei diversi gruppi di
microrganismi evidenzia un differente tipo di comportamento. In particolare, i
cianobatteri azotofissatori e gli azotofissatori anaerobi del genere Clostridium
posseggono una nitrogenasi molto sensibile all’ossigeno, che inattiva irreversibilmente
l’enzima.
Al contrario, i batteri azotofissatori eterotrofi aerobi, tipo Azotobacter e
Mycobacterium flavum, danno luogo ad una nitrogenasi di estratti grezzi che risulta
essere stabile all’aria.
Nel processo di riduzione dell’azoto molecolare intervengono sostanze riduttrici
come l’acido piruvico, proveniente dal ciclo degli idrati di carbonio, e l’acetilfosfato.
Quest’ultimo partecipa, poi, nella sintesi di ATP, a partire da ADP:
Fiume Francesco
418
CH3–CO–COOH + P organico → CH3–CO∼P + CO2 + 2H
CH3–CO∼P + ADP → CH3–COOH + ATP
L’azotofissazione richiede una grande quantità di energia la quale è fornita da ATP,
a seguito della sua trasformazione ad ADP, tanto che occorrono dalle 4-5 molecole di
ATP (per Azotobacter) fino a 29 (per Klebsiella pneumoniae) per ottenere sufficiente
energia per il completamento del processo. Il trasporto degli elettroni sulla nitrogenasi
avviene per mezzo della ferridoxina che passa reversibilmente dallo stato ossidato a
quello ridotto. I batteri dei tubercoli radicali contengono anche una globina, che
conferisce il colore rossatro alla sezione del nodulo, la cui funzione non è ancora ben
nota, che non è presente nelle cellule in coltura pura di rizobi e che certamente è
elaborata dalla pianta sotto lo stimolo della colonizzazione batterica delle radici. Molto
evidente è la correlazione tra l’intensità dell’azotofissazione e la concentrazione di questa
globina, tanto che nei tubercoli, incapaci di azotofissazione, essa è mancante, così come
nelle leguminose non colonizzate dai rizobi. Tale globina funziona, probabilmente, come
trasportatore di ossigeno nella catena di trasporto degli elettroni, analogamente
all’emoglobina del sangue. I composti riduttori che ne derivano e che producono ATP
(che fornisce l’energia necessaria al processo) ed i tre sistemi che passano
reversibilmente dalla forma ridotta a quella ossidata e viceversa (il sistema di trasporto
degli elettroni, la Fe-proteina e la Fe-Mo-proteina) inducono il passaggio dell’azoto
molecolare (N2) dell’aria ad ammoniaca (NH3). Quest’ultima si combina con chetoacidi
per formare amminoacidi. Così, per esempio, l’acido piruvico riceve il gruppo amminico
e si trasforma in alanina, secondo il seguente schema:
Ferridoxina ridotta + Nitrogenasi + N2 → Ferridoxina ossidata + Nitrogenasi–N2 ridotta
Nitrogenasi–N2 ridotta + 12 ATP → Nitrogenasi + NH3 + 12 ADP + 12P
CH3–CO–COOH + NH3 → CH3–CH–COOH + H2O

NH2
Molto interessante è lo schema proposto da Florkin e Schoeffieniels riguardante il meccanismo
di azione del molibdeno, contenuto nella Fe-Mo-proteina della nitrogenasi e la cui esigenza nella
fissazione è ben nota, circa la trasformazione dell’azoto biatomico in due gruppi amminici.
Man mano che il molibdeno passa ad una forma sempre più ossidata, si assiste alla progressiva
riduzione dell’azoto biatomico.
Al termine il molibdeno ritorna nella forma più ridotta, per ricominciare il ciclo. L’andamento
ossidativo del molibdeno e quello di riduzione dell’azoto molecolare sono di seguito
schematicamente riportati:
419
Il terreno
Mo++
Mo++

2H+

→ e
→
e
→
/ \
/ \
N=N
H+N=NH+
Mo++++
Mo++++
Mo++++++

2H+


e
→
e
→
e
→
/ \
/\
/\
HN–NH
H+HN–NHH+ H2N NH2
Mo++

e
Nel bilancio energetico dell’assimilazione dell’azoto atmosferico bisogna
includere, oltre l’energia spesa per la riduzione enzimatica dell’azoto dell’aria, anche
l’energia per la formazione e la crescita dei tubercoli radicali, per il trasporto dei
carboidrati dalle foglie alle radici e per il trasferimento, in senso opposto, degli
amminoacidi.
Nelle leguminose, circa un terzo del carbonio organicato con la fotosintesi viene
utilizzato per la nodulazione e l’azotofissazione. In cambio le piante ricevono dai rizobi
quasi i nove decimi dell’azoto da essi fissato, che rappresenta una grande quantità, se si
pensa che gli azotofissatori liberi trattengono nel loro corpo fino al 95% di azoto fissato.
La biosintesi della nitrogenasi da parte dei microrganismi azotofissatori è in stretta
dipendenza con la concentrazione di NH+ del substrato e se i cationi ammonio sono
presenti, essi bloccano la produzione dell’enzima. Anche il rapporto tra il carbonio e
l’azoto assimilabile influenza il processo di azotofissazione, nel senso che tanto più tale
rapporto è alto, tanto più attiva è l’azotofissazione. Ciò ha un importante risvolto
agronomico, in quanto una concimazione azotata può bloccare la fissazione dell’azoto
atmosferico da parte dei microrganismi, con conseguenze facilmente immaginabili.
Il riconoscimento delle cellule vegetative dei rizobi azotofissatori che si trovano
nella rizosfera è fondato sui seguenti caratteri colturali: cellule a bastoncino di
dimensioni di 0,6-0,8 x 1,4 µ, con una membrana tristratificata, Gram-negativi, mobili,
producenti una gomma idrosolubile che per idrolisi dà glucosio ed, a volte, acido
galatturonico, con presenza, all’interno della cellula, di granuli di poli-β-idrossibutirrato,
molto rifrangenti, insieme a corpuscoli polari ed un nucleoide fibrillare centrale. Le
cellule che vanno a colonizzare le radici delle leguminose hanno maggiori dimensioni
delle cellule vegetative e si presentano irregolari, a clava, a forma di X, Y e T. Alcune
specie di rizobi possono mostrare cellule con membrane intracitoplasmatiche, ossia
invaginazioni della membrana cellulare che si presenta avvolta da un involucro prodotto
dalle cellule radicali della pianta, avente una funzione di controllo, poiché il
microrganismo non è libero nei tessuti della radice.
La colonizzazione delle radici di leguminose da parte dei rizobi e la formazione e
l’evoluzione dei tubercoli si realizza attraverso tre fasi: la precolonizzazione della radice,
per la quale i rizobi specifici si moltiplicano nella rizosfera e deformano i peli radicali; la
colonizzazione e la generazione del tubercolo attraverso cui avviene la penetrazione del
batterio e la moltiplicazione delle cellule tetraploidi e diploidi del tessuto del tubercolo,
con differenziazione dello stesso; la degenerazione del tubercolo a seguito della quale si
ha liberazione dei rizobi nel terreno. Durante queste fasi, i rizobi si moltiplicano
attivamente, ossidano il triptofano in acido 3-indolacetico, danno luogo a polisaccaridi,
mentre le piante, in una interazione con gli stessi batteri, producono essudati radicali non
specifici, eliminano triptofano, curvano i peli radicali, sintetizzano ed eliminano
poligalatturonasi.
I rizobi penetrano nel pelo radicale disponendosi secondo un filamento continuo e
mucoso, circondato da una guaina cellulosica. La formazione del tubercolo dipende
dall’affinità genetica tra la specie di rizobio e le cellule corticali della radice. I tessuti
Fiume Francesco
corticali, costituiti oltre che da normali cellule diploidi, anche da cellule tetraploidi,
ricevono dai microrganismi lo stimolo a dividersi per l’azione di auxine, come le
citochinine. I batteri penetrano soltanto nelle cellule tetraploidi, man mano che si
originano, mentre il nodulo si differenzia quando i rizobi sono penetrati nelle cellule
provviste di 8n cromosomi. La penetrazione nelle cellule tetraploidi giunge fino alla zona
centrale del meristema del tubercolo dove i microrganismi assumono la forma di
batteroide e sono circondati, da soli o in piccoli gruppi, dall’involucro di isolamento
generato dai tessuti della pianta. In questa fase viene sintetizzata quella globina, simile
all’emoglobina del sangue, che induce colorazione rossatra al tubercolo. Soltanto in tale
stadio inizia l’azotofissazione.
Il tubercolo, completamente sviluppato, si presenta, in sezione, distinto in una zona
corticale esterna, in una zona meristematica sottostante, nella quale è diffuso il sistema
vascolare e dove si trova (subito sotto la zona corticale) l’endodermide del nodulo, ed
infine, in una zona centrale, separata dai vasi da vari strati di cellule parenchimatiche.
Soltanto nella zona centrale del tubercolo si trovano i batteri azotofissatori. La
degenerazione del nodulo avviene con la lisi delle cellule del rizobio, con la liberazione
dei batteri nel terreno e con la sostituzione della globina con pigmenti biliari.
Le leguminose stimolano lo sviluppo dei rizobi, probabilmente producendo
essudati radicali, ma ben poco è noto circa la loro composizione ed il meccanismo
d’azione. E’ certo che i rizobi si concentrano nella rizosfera, concorrono alla
solubilizzazione dei fosfati ed al miglioramento della struttura (ciò è legato alla
produzione di gomme e mucillagini che inducono le particelle terrose ad un’aggregazione
glomerulare) o semplicemente costituiscono una massa d’inoculazione che entra subito in
attività quando l’ambiente edafico favorisce la simbiosi con le radici.
Molto forti sono i rapporti di competizione che i batteri azotofissatori simbionti
possono stabilire con altri miscrorganismi del suolo. Forti antagonisti sono gli
actinomiceti, tanto che la microflora totale del terreno supporta fino al 25% di antagonisti
del genere Rhizobium, senza calcolare i virus infettanti i batteri del suolo, i batteriofagi
che, nel caso specifico, sono detti rizobiofagi. La presenza di un’elevata densità di
antagonisti dei rizobi è una concausa della stanchezza dei terreni coltivati, ripetutamente,
a leguminose. Il deperimento della coltura prolungata di leguminose viene anche
correlato all’accumulo di sostanze tossiche prodotte dalle piante ed alla pressione
selettiva dei microrganismi fitopatogeni e non solo all’antibiosi esercitata dai
microrganismi del suolo o dai rizobiofagi. Un terreno si considera sano quando è in
equilibrio biologico, in rapporto alla sua produttività. La fertilità diminuisce se
l’equilibrio biologico del suolo viene negativamente modificato e se la coltivazione della
stessa specie è oltremodo prolungata, senza ricorrere alle rotazioni colturali. Forse un
terreno affetto da “stanchezza” detiene biocenosi inadatte, come, per esempio, una
microflora fitotossica equilibrata, che non differisce, sotto l’aspetto morfologico, da
quella utile e tale che la sua azione, sfavorevole alla pianta coltivata, si traduce in una
diminuzione di produttività del suolo. D’altra parte è noto che molti antibiotici sono
fitotossici e che alcune microflore si oppongono all’assorbimento di alcuni
microelementi come il manganese ed il rame.
AMMONIFICAZIONE DELL’AZOTO ORGANICO
Consiste nella degradazione microbica dei composti organici azotati, fino alla
produzione di composti minerali, sotto forma di ioni ammoniacali NH4+. L’azoto può
essere liberato anche sotto forma di ammoniaca gassosa NH3, ma ciò avviene
420
421
Il terreno
generalmente soltanto durante la decomposizione di grandi quantità di materiale ricco di
azoto come, per esempio, nelle concimaie od in celle zimotermiche. L'ammoniaca
prodotta per ammonificazione si solubilizza nell’acqua del terreno dove si combina con i
protoni per formare lo ione ammonio:
NH3 + H2O → NH4+ + OH¯
L’ammonificazione costituisce una fase fondamentale del ciclo dell’azoto, da cui
dipende il mantenimento della fertilità del suolo. La progressiva degradazione dei resti e
dei rifiuti organici lasciati nel terreno dalle piante, dagli animali e dall’uomo è
accompagnata dalla mineralizzazione dell’azoto sotto forma di ammoniaca nuovamente
assimilabile, direttamente o previa nitrificazione, dalle piante. I batteri ed i funghi del
suolo svolgono un ruolo fondamentale nel processo di ammonificazione e, senza di loro,
il processo non potrebbe verificarsi. Tuttavia, l’intensità e la velocità della degradazione
della sostanza organica dipendono molto dall’abbondanza o dalla scarsezza delle specie
di microrganismi ammonificanti, ma dipendono ancor più dallo stato fisico-chimico del
terreno, le cui condizioni, a loro volta, influenzano l’attività dei microrganismi. Bisogna
anche sottolineare che il valore del pH poco influenza l’ammonificazione che può
avvenire entro limiti molto ampi, anche se i valori più favorevoli sono 7-8,5.
Molto più importante è il contenuto d’acqua del terreno. Un terreno, di cui è
saturato il 60% della capacità idrica, possiede un’attività di ammonificazione ottimale.
L’aerazione del terreno è un aspetto secondario, in relazione al fatto che la flora
ammonificante va dai batteri putrefacenti, anaerobi obbligati, agli eumiceti, strettamente
aerobi.
Molto importante è la temperatura ambientale che deve essere relativamente mite.
Temperature invernali molto basse o estive molto elevate contrastano l’andamento
dell’ammonificazione che, invece, procede normalmente ed in maniera ottimale in
autunno e nell’avanzata primavera.
Le condizioni chimiche del terreno influenzano l’ammonificazione. L’aggiunta al
terreno, in quantità non eccessive, di paglia, erbe da sovescio e letame aumenta in
notevole misura la formazione di ammoniaca e favorisce lo sviluppo e l’attività dei
microrganismi.
La flora ammonificante viene stimolata dalla concimazione azotata e fosfatica e da
microelementi ad azione catalitica come manganese e ferro.
Anche i terreni che subiscono trattamenti geodisinfestanti fisici (calore) o chimici
(bromuro di metile) intensificano i processi di ammonificazione e dopo la loro
esecuzione si osservano le piante che manifestano chiari effetti di rigoglio vegetativo,
dovuti ad intensa produzione di ammoniaca nel terreno. Ciò è dovuto al fatto che il
trattamento al terreno è meno sensibile nei confronti della flora ammonificante e che la
morte di un numero infinito di organismi viventi nel suolo costituisce un immenso
pabulum per gli ammonificanti, con conseguente grande produzione di ammoniaca.
Il potere ammonificante di un terreno è possibile misurarlo con il metodo di
Brown: a 100 g di terreno in esame si aggiungono 10 cc di una soluzione al 10% di
albumina o di caseina, in acqua alcalinizzata con carbonato di sodio, e tanta acqua fino a
portare l’umidità al 30%. Dopo 3-7 giorni di incubazione a 20 °C si dosa l’ammoniaca. Il
potere ammonificante del terreno, cioè la liberazione di ammoniaca da parte della
microflora, non tiene conto di altre vie che l’azoto segue nella degradazione aerobica ed
anaerobica delle proteine. Con la degradazione aerobica, le proteine subiscono un vero
Fiume Francesco
processo digestivo, si trasformano in peptoni e peptidi che, per idrolisi enzimatica,
producono amminoacidi liberi e, per desaminazione microbica, azoto ammoniacale, ma
possono anche essere assimilati dalla microflora o assorbiti dalle piante o adsorbiti dalla
particelle terrose del suolo (argilla ed humus). Nella degradazione anaerobica delle
proteine (putrefazione), una parte dell’azoto viene convertito in ammoniaca, mentre
un’altra parte è trasformato in azoto amminico che, per ossidazione, libera ammoniaca.
Con l’applicazione della metodica di Brown, molti ricercatori hanno tentato di
stabilire una correlazione tra la fertilità dei vari terreni ed il loro potere ammonificante.
Ciò sarebbe stato un indice abbastanza sicuro di valutazione. Purtroppo, l’applicazione
pratica ha fornito risultati molto scadenti ed è ormai riconosciuto che il potere
ammonificante di un terreno non può essere considerato un indice assoluto di fertilità di
quel suolo. Di fronte ad un fenomeno molto complesso, di dimensioni planetarie, nessuna
sicura indicazione poteva derivare dalla valutazione di uno solo dei parametri fisici,
chimici e biologici che ne regolano l’andamento. Le determinazioni del potere
ammonificante di un suolo presentano gravi imperfezioni ed anche se riescono a dare
indicazioni sull’attività dei microrganismi decomponenti e sull’influenza di vari stimoli
fisici e chimici, non riescono a fornire sufficienti informazioni circa l’andamento ed i
risultati del processo di degradazione della materia organica, in condizioni naturali.
Numerosi sono stati i tentativi d’inoculazione nel terreno di microrganismi
ammonificanti, molto attivi in condizioni sperimentali di laboratorio, che dovevano
mettere rapidamente a disposizione delle piante tutto l’azoto organico. Nessun
esperimento ha avuto un seguito pratico ed applicativo e più nessuno parla, oggi, di un
Bacillus ellembachensis, che era semplicemente un normale Bacillus subtilis, a cui
erroneamente si attribuivano delle attività azotofissatrici, e del cosiddetto ammoniogeno
che altro non era che una miscela di spore di Bacillus megatherium e di B. mycoides.
Il terreno agrario è sempre più o meno ricco di microrganismi ammonificanti,
tipicamente ubiquitari, la cui vita è regolata dalle condizioni fisiche e chimiche del
terreno. Se le condizioni edafiche non sono favorevoli a nulla giova l’introduzione di
microrganismi ammonificanti i quali, comunque, non riusciranno ad ambientarsi. Se le
condizioni pedologiche sono favorevoli allora è inutile qualunque inoculazione, perché i
microrganismi ammonificanti, per le loro caratteristiche ubiquitarie,
colonizzeranno quel suolo e daranno luogo ad un normale processo di degradazione della
sostanza organica, fino alla produzione dei cationi ammonici o di ammoniaca.
Il processo di ammonificazione è un processo biologico molto aspecifico, poiché
moltissimi sono i microrganismi capaci di realizzare la degradazione delle proteine, dai
batteri, fino agli actinomiceti ed ai funghi, anche in condizioni ambientali più diverse.
La materia organica, inoltre, non viene tutta degradata con la stessa velocità. Alcuni
compostaggi sono rapidamente degradati, mentre altri sono molto refrattari alla
degradazione microbica e sono mineralizzati lentamente. Per avere un’idea circa la
velocità di degradazione delle proteine si ricorre al periodo di semitrasformazione, che
indica il tempo necessario affinché le forme organiche azotate riducano alla metà la loro
concentrazione. Sulla base del periodo di semitrasformazione è possibile distinguere
quattro frazioni di azoto organico: quello della biomassa microbica, una frazione
facilmente mineralizzabile, una frazione stabile ed una frazione molto resistente;
quest’ultima rappresenta il 50% dell’azoto organico totale del terreno.
NITRIFICAZIONE DELL’AZOTO AMMONIACALE
La nitrificazione dell’azoto ammoniacale è un altro anello del ciclo dell’azoto e
422
423
Il terreno
consiste nell’ossidazione biologica dell’ammoniaca, fino alla formazione di azoto nitrico.
I microrganismi che determinano questa trasformazione sono un gruppo non molto
numeroso di specie chemio-autotrofe, aerobie obbligate, la cui crescita colturale è
bloccata da composti organici.
La nitrificazione eterotrofa è realizzata da Aspergillus flavus ed Arthrobacter
globiformis e da diverse specie del genere Achromobacter, Corynebacterium, Nocardia,
Agrobacterium ed Alcaligenes.
La reazione del terreno condiziona molto la nitrificazione, nel senso che essa è
inibita da valori di pH inferiori a cinque ed, in terreni con simili valori, tutto l’azoto
minerale del suolo si trova sotto forma ammoniacale. La correzione dell’acidità dei
terreni può favorire la nitrificazione.
Anche il rapporto carbonio/azoto (C/N) influenza la nitrificazione tanto che il suo
andamento può essere ostacolato nello strato superficiale di residui della vegetazione,
dove tutta l’ammoniaca prodotta è totalmente assimilata, perciò, fissata dai
microrganismi eterotrofi e sottratta alla trasformazione nitrica.
La nitrificazione è un processo tipicamente ossidativo, messo in atto da
microrganismi aerobi. L’eccessiva umidità del terreno ed altri fattori che diminuiscono
l’ossigeno del suolo rappresentano un’importante causa d’ostacolo al normale decorso
del processo.
L’individuazione e l’isolamento dei batteri della nitrificazione furono risolti da
Winogradsky alla fine dello scorso secolo, quando ebbe l’idea di escludere dai substrati
di coltura ogni traccia di sostanza organica, ottenendo, così, la conferma che si trattava di
batteri chemio-autotrofi obbligati.
Per poter fare una prima distinzione di questi batteri bisogna considerare che la
nitrificazione avviene in due fasi separate, la nitrosazione e la nitrificazione. La prima
consiste nell’ossidazione dell’ammoniaca ad idrossilamina e nella successiva ossidazione
a nitrito, con l’intervento di un’ossigenasi e di un’idrossilamina ossidoreduttasi e
probabile esistenza di una tappa intermedia non ancora dimostrata. La seconda induce la
trasformazione del nitrito a nitrato, in presenza di una catena di trasporto degli elettroni,
comprendente il citocromo a2 e la sintesi di ATP.
La nitrosazione avviene secondo il seguente schema, in tre fasi (idrossido di
ammonio, idrossilamina, nitrossile e acido nitroso), in ognuna delle quali si ha perdita di
due elettroni e di due protoni, con sviluppo di 63,8 Kcal:
- 2H
- 2H
- 2H
NH4OH → NH2OH → NOH → HNO2
+ H2O
Il nitrossile NOH si troverebbe sotto forma polimerica, in forma di acido iponitroso
(OH–N=N–OH), di nitramide (H2N–NO2) o di acido imidonitrico (HN=NO–OH).
La nitrificazione dà luogo alla deidrogenazione della forma idrata dello ione
nitroso, con assorbimento di 17,8 Kcal.
+ H2O
- 2H
HNO2 → HON(OH)2 → HNO3
Fiume Francesco
I batteri che determinano la nitrosazione sono detti nitrosanti o nitrosi. Essi sono
batteri del genere Nitrosomonas, costituiti da cellule ovali, non sporigene, riunite in
zooglee (N. europaea, immobile e Gram-negativo, N. oligocarbogenes, mobile e Grampositivo, N. monocella); del genere Nitrosococcus, raro, a forma di cocchi; del genere
Nitrospira, cellule lunghe e spiralate; del genere Nitrosocystis, con la specie N. coccoides
formanti colonie dense e viscose, con aggregati cellulari circondati da capsula o cisti; del
genere Nitrosoglaea, costituenti isolati cellulari non rivestiti da cisti; del genere
Nitrosolobus, con la specie N. multiformis.
I batteri che inducono la nitrificazione sono detti nitricanti o nitrici. Essi sono
batteri del genere Nitrobacter dotato di cellule ovali, non sporulate, Gram-negativi, con
due specie, N. winogradskyi, immobile e N. agile, mobile. Altri generi e specie sono
accessori al processo di nitrificazione e spesse volte dubbio è il loro potere. I batteri
nitricanti sono aerobi stretti, prediligono un pH compreso tra 8,3 e 9,3, la loro azione è
favorità dall’oscurità, la temperatura ottimale è di 24-28 °C, la loro unica fonte di
carbonio è data dall’anidride carbonica e dai carbonati, la fonte azotata è costituita da
ammoniaca per i nitrosanti e da nitriti per i nitricanti. Tali microrganismi non utilizzano
le sostanze organiche, che svolgono azione inibitrice anche a basse concentrazioni. Essi
hanno bisogno, inoltre, di calcio.
Numerosi microrganismi eterotrofi, già citati, sono capaci di dar luogo
all’ossidazione dell’ammoniaca e dei nitriti, fino alla produzione di nitrati. Questi
microrganismi sono incapaci di utilizzare l’ossidazione dell’azoto come fonte di energia
per le biosintesi cellulari e devono utilizzare il carbonio organico. Il differente trofismo di
questi microrganismi (eterotrofismo) produce, naturalmente, un meccanismo biochimico
di nitrificazione completamente diverso, rispetto a quello dei microrganismi autotrofi
obbligati. Probabilmente intervengono catalasi e perossidasi, ma non è noto il loro ruolo
nelle reazioni. In coltura pura o associata, i diversi microrganismi eterotrofi nitrificanti
trasformano composti azotati ridotti, come l’ammoniaca e gli ossimi di acidi organici, in
nitriti, con un rendimento maggiore di quello ottenuto a partire da azoto ammoniacale e
pari a 40-70 ppm di azoto nitroso. Tale quantità, rispetto alla produzione del classico
nitrificante Nitrosomonas, che è in grado di produrre fino a 1.000-2.000 ppm di azoto
nitroso nello stesso tempo, è sicuramente da giudicare irrisoria. Tuttavia, il ruolo dei
microrganimi eterotrofi, ossidanti i cationi ammonici ad anioni nitrosi e nitrici, anche se
con un risultato meno imponente da un punto quantitativo, è assolutamente molto
importante, sia per la diversificazione dei meccanismi del processo, sia perché i diversi
meccanismi possono integrarsi o diventare alternativi e reciprocamente sostituirsi ed
assicurare la degradazione della materia organica per qualunque condizione ambientale.
L’importanza dei microrganismi eterotrofi è fondamentale nella determinazione degli
equilibri biologici e nell’economia dei cicli naturali.
DENITRIFICAZIONE DELL’AZOTO NITRICO
La denitrificazione dell’azoto nitrico rappresenta l’ultimo anello del ciclo biologico
dell’azoto. Attraverso questo processo l’anione nitrico nel terreno, non assorbito dalle
piante o fissato dai microrganismi e non dilavato dall’acqua meteorica o di irrigazione (si
ricorda che il suo adsorbimento da parte delle particelle colloidali minerali ed organiche
del suolo è minimo), viene ridotto in prodotti volatili, come l’azoto molecolare e l’ossido
nitroso che ritornano all’atmosfera. Da un punto di vista ecologico e dell’economia della
natura, il processo di denitrificazione è fondamentale perché evita il depauperamento
della riserva azotata contenuta nell’atmosfera che, per l’appunto, si mantiene costante nel
424
425
Il terreno
tempo. Da un punto di vista agronomico e dell’economia dell’agricoltore, la
denitrificazione è un processo negativo poiché conduce ad una diminuzione di
quell’azoto particolarmente disponibile per le piante coltivate. D’altra parte, questa
frazione eccedente di azoto non utilizzata dalle piante sarebbe comunque perduta per
effetto del dilavamento, perché non trattenuta dal terreno.
I nitrati subiscono una prima riduzione nelle cellule dei microrganismi edafici, per
il semplice fatto che essi sono temporaneamente bloccati per essere utilizzati nella sintesi
delle proteine. Queste ultime assolvono ad una funzione plastica, cioè di costituzione
della struttura cellulare. Non si tratta di denitrificazione, ma di immobilizzazione
momentanea dell’azoto nitrico che, pertanto, non può essere disponibile per le piante. La
vera denitrificazione è la riduzione disassimilativa dei nitrati, per la quale gli stessi sono
utilizzati soltanto come accettori finali degli elettroni che si originano nelle reazioni di
ossidazione delle cellule microbiche e che sono la causa della riduzione ad azoto gassoso,
N2, oppure ad ossido nitroso, N2O.
I microrganismi della denitrificazione sono principalmente batteri eterotrofi dei
generi Pseudomonas, Achromobacter, Micrococcus e Bacillus e batteri autotrofi, come la
specie Thiobacillus denitrificans. I batteri eterotrofi ed autotrofi sono tutti anaerobi
facoltativi, in relazione al fatto che, soltanto in condizioni di anaerobiosi, i processi di
ossidazione avvengono a seguito della protonazione del substrato e produzione degli
elettroni che vanno a ridurre i nitrati. In presenza di ossigeno è questo che ossida il
substrato per produrre energia, poiché si realizza il tipo normale di respirazione.
L’anaerobiosi facoltativa dei batteri denitrificanti può dar luogo a diversi livelli
anaerobiotici e, schematizzando, questi possono essere molto stretti oppure abbastanza
moderati. Nel primo caso, nell’anaerobiosi stretta, il processo di denitrificazione avviene,
partendo dall’acido nitrico, con formazione di acido nitroso, nitroidrossilamina, ossido
nitroso ed azoto molecolare, secondo il seguente schema:
2 HNO3 → 2 HNO2 → NO2NHOH → N2O↑ → N2↑
Nel secondo caso, nell’anaerobiosi moderata, partendo sempre dall’acido nitrico, si
ottiene acido nitroso, nitroidrossilamina, acido nitroso di nuovo, idrossilamina ed, infine,
ammoniaca, secondo lo schema seguente:
2 HNO3 → 2 HNO2 → NO2NHOH → HNO2 → NH2OH → NH3 ↑
In certe condizioni la nitroidrossilamina può ossidarsi ad ossido nitrico, secondo la
seguente reazione:
NO2NHOH → 2 NO
Nel processo di denitrificazione intervengono il NADH, flavoproteine, chinoni, il
citocromo b, che insieme all’enzima nitrato riduttasi libera anioni NO 3¯, il citocromo cd, che insieme all’enzima nitrito riduttasi riduce gli anioni NO3¯ ad anioni NO2¯, il
citocromo C, che insieme alla NO riduttasi trasforma gli anioni NO 2¯ in ossido nitrico
NO, lo stesso citocromo C, che insieme alla N2O riduttasi dà luogo ad ossido nitroso
N2O ed azoto gassoso N2 che, ambedue, volatilizzano nell’atmosfera.
Fiume Francesco
La microflora denitrificante è presente nei terreni equilibrati sotto l’aspetto
microbiologico, anche se la presenza di una flora denitrificante non sta ad indicare che
nel terreno esistano condizioni favorevoli alla denitrificazione, né che il processo si stia
realizzando. La denitrificazione è favorita nei terreni asfittici, con eccessi idrici o nei
terreni dove periodi di aridità (durante i quali si formano nitrati) si alternano con periodi
di eccesso idrico (durante i quali si ha denitrificazione). Naturalmente, la denitrificazione
è condizionata dall’intensità della nitrificazione e più questa è intensa, tanto più la
denitrificazione sarà attiva, a causa della presenza di apprezzabili quantità di nitrati. Al
contrario, se nel terreno ci sono pochi nitrati (per scarsa nitrificazione), anche la
denitrificazione sarà ridotta ai minimi livelli.
La reazione del terreno influenza l’andamento della denitrificazione e tanto più
basso è il pH tanto meno attiva sarà la volatilizzazione dell’azoto.
L’aerazione del terreno, anche attraverso le lavorazioni, riduce le perdite di azoto
ed, in linea generale, la presenza di nitrati nel terreno induce, comunque, una
volatilizzazione continua di azoto, sia pure in quantità impercettibile.
Una via agronomica per ridurre la denitrificazione consiste nella riduzione della
concimazione con prodotti nitrici e nella somministrazione di concimi ammoniacali.
Un aspetto molto importante legato al ciclo dell’azoto nel terreno ed alle
concimazioni azotate e che ha un notevole riflesso sulla qualità della produzione agricola,
in particolare di ortaggi, è quello dell’accumulo dei nitrati nel suolo. Questo è uno dei
problemi più gravi riguardante le coltivazioni degli ortaggi, soprattutto in serra, dove gli
interventi di fertilizzazione azotata sono molto spinti e l’accumulo dei nitrati può arrecare
serie conseguenze alla salute del consumatore. I nitrati sono normalmente ingeriti
dall’uomo senza alcun problema (fanno parte, entro certi limiti, del contenuto minerale
delle acque potabili) e gli ortaggi contribuiscono per il 70-80% nell’assunzione
giornaliera, in quanto nelle piante essi sono naturalmente presenti per subire la
conversione in azoto organico, prima aminoacidico e poi proteico. Tuttavia, se nel terreno
le disponibilità sono superiori alle esigenze, come accade in quelle serre dove
l’agricoltore ha spinto la concimazione azotata per forzare lo sviluppo della coltura, i
nitrati si accumulano nelle piante e solo una parte è trasformato in azoto organico.
Accade allora che i nitrati in eccesso sono ridotti, nelle piante ed anche
direttamente nell’organismo umano, in nitriti. Questi provocano la formazione di
nitrosamine e nitrosamidi, sostanze notoriamente cancerogene ed aventi un’azione
fortemente negativa sull’emoglobina del sangue, la quale si trasforma in metaemoglobina
incapace di ossidarsi ad ossiemoglobina e, quindi, di assolvere alla normale funzione di
trasporto dell’ossigeno.
L’intervento più importante, per evitare che questo tipo di problema possa
insorgere, è quello che agisce sulla concimazione azotata.
Più la raccolta è vicina all’ultima concimazione azotata, maggiore è il rischio di
alta presenza di nitrati; più la quantità distribuita eccede il fabbisogno della pianta, più si
favorisce l’accumulo. Pertanto, ottenere una produzione sana di ortaggi significa mettere
in atto una serie di accorgimenti e conoscenze: effettuare l’analisi chimica del terreno;
conoscere il fabbisogno in azoto della coltura ed alle diverse fasi fenologiche della
pianta; tenere presente l’epoca colturale ed il ritmo di accrescimento della varietà; fornire
una formulazione di concime a lento effetto e meno prontamente disponibile come
l’azoto ammoniacale; ricorrere alla fertirrigazione oppure alla coltura idroponica oppure
alla coltura fuori suolo; in quest’ultimo caso, in considerazione del problema dei residui,
utilizzare un impianto di coltivazione senza suolo ed a ciclo chiuso.
La temperatura e l’irradianza influenzano l’accumulo dei nitrati nelle foglie di
426
427
Il terreno
alcune specie coltivate, in funzione della disponibiltà di anioni nitrato. Così, nella rucola,
in condizioni di bassa disponibilità di ioni nitrato, l’accumulo dei nitrati nelle foglie è
maggiore a temperatura più alta ed a luminosità più bassa; all’aumento della disponibilità
di azoto nitrico, all’incremento della luminosità e con temperatura alta, la concentrazione
dei nitrati nei tessuti diminuisce.
Tutto ciò è coerente con l’attività della nitrato riduttasi che è un enzima del
processo di denitrificazione, come già visto, che è attivato non solo dalla luce, ma anche
dalla presenza del substrato specifico, cioè di azoto nitrico.
Ciclo dello zolfo
Lo zolfo presenta un ciclo reso possibile dai suoi numerosi stati d’ossidazione e dal
gran numero di composti inorganici ed organici presenti nei tre stati della materia e
spesso idrosolubili.
Apporti di zolfo
al terreno
Piogge
Animali
Vegetali
Fitofarmaci
Correttivi
Ammendanti
Concimi
Assorbimento
Adsorbimento
Ossidazione
Ossidazione
S minerale
Solfuri S2-
Ossidazione
   →
←   
Riduzione
Solfati SO42-
Perdite di zolfo
dal terreno
Lisciviazione
H2S
SO2
S organico
Mineralizzazione
Organicazione
Fig. 106 – Schema semplificato del ciclo dello zolfo in natura.
La riserva totale di zolfo, sul nostro pianeta, ammonta a circa 311.500 milioni di
tonnellate, di cui circa il 60% è localizzato nelle rocce ignee della litosfera, oltre il 24%
in quelle metamorfiche, oltre il 9% nelle sedimentarie e circa 1% nei sedimenti. Inoltre, il
4,5% si trova nell’idrosfera, mentre nell’atmosfera è presente soltanto lo 0,02% dello
zolfo totale.
Nella figura 106 è riportato schematicamente il ciclo dello zolfo in natura, nelle fasi
di ossidazione e riduzione degli anioni solfidrico e solforico e di organicazione e
mineralizzazione dello zolfo minerale ed organico, rispettivamente.
Lo zolfo nel terreno è contenuto nella quantità dello 0,01-0,5% e non supera, di
solito, lo 0,6%, mentre le combinazioni organiche raggiungono spesso il 90% del totale.
Lo zolfo organico perviene al terreno con i resti animali e vegetali, è mineralizzato a
zolfo elementare e poi ossidato ad anione solforico che ritorna di nuovo alla forma
organica quando è assimilato dalle piante e dagli animali.
Confrontando il ciclo dello zolfo e quello dell’azoto appare subito evidente la
prima differenza rappresentata dal fatto che, nel primo caso, la sorgente primaria è
localizzata nella litosfera terrestre, nel secondo, nell’atmosfera.
L’altra differenza, come già accennato, è da ravvisare nelle reazioni ossidoriduttive,
molto più complesse nel caso dello zolfo (anche per le numerose forme di ossidazione
Fiume Francesco
dell’elemento: -2, +4, +6).
Nel terreno, lo zolfo, oltre allo stato inorganico, è presente come zolfo organico
nelle proteine ferro-zolfo (la prima ad essere scoperta è stata la ferridoxina) contenute in
molti batteri, negli amminoacidi solforati con legame C–S– (cistina e cisteina,
metionina), nei solfati organici (ad esempio il solfato di colina, i solfati fenolici, i
polisaccaridi solfatati) contenenti legami C–O–S–, negli esteri solforici dei glucidi e dei
lipidi, nelle particelle colloidali umiche cui i biopolimeri dello zolfo sono adsorbiti.
Molti microrganismi del terreno dovrebbero rappresentare una buona riserva di
zolfo organico, in particolare per quanto riguarda le tipiche molecole biologiche come le
vitamine (tiamina e biotina), gli antibiotici (penicellina e gliotossina), composti
metabolici (glutatione, acido lipoico, coenzima a). Questi composti raramente sono stati
trovati liberi nel terreno e ciò è stato spiegato con il fatto che essi sono rapidamente
demoliti dagli stessi microrganismi del suolo di cui ne sono avidi.
Esiste, infine, una frazione non conosciuta di zolfo organico che può essere
presente come prodotti ottenuti da complesse reazioni di condensazione dei composti
solforati con chinoni.
Lo zolfo presente nel suolo naturale ed agrario è di 30-81 mg/g di terreno e di
questo, il 21-30% del totale ed il 45-47% di quello legato al carbonio è zolfo
amminoacidico.
Il ciclo dello zolfo, come quello degli altri elementi in natura, è caratterizzato da
una fase anabolica, mediante la quale avviene la sua organicazione, ed una fase
catabolica attraverso cui si realizza la mineralizzazione dei composti tiorganici, fino alla
produzione di solfuri, solfati, con composti volatili intermedi, come i mercaptani, in
relazione alla presenza di determinati microrganismi ed all’ecologia del terreno.
L’organicazione dello zolfo avviene attraverso l’assorbimento dell’anione solfato
da parte delle radici delle piante superiori.
L’anidride solforosa, presente in tracce nell’atmosfera, può essere assorbita ed
assimilata dalle foglie ma, è stato dimostrato, deve essere trasformata prima ad ione
solfato. Il solfato può essere evidenziato nella linfa grezza dei fasci xilematici di
campioni di fusto ed è trasportato nella corrente traspiratoria fino alle foglie, dove viene
assimilato.
L’assimilazione del solfato avviene anche in radici escisse. Nella realtà, è stato
stabilito che l’assimilazione del solfato avviene in tutte le cellule, sia che si trovino nel
fusto che nelle radici. Nei batteri, nei funghi (lieviti) e nelle alghe l’assimilazione dei
solfati avviene secondo meccanismi più o meno simili a quello delle piante superiori.
La prima fase di organicazione dell’anione solfato inizia con la sua attivazione:
l’anione solfato reagisce con ATP per produrre adenosin-5-fosfosolfato, indicato con
l’acronimo APS, con l’azione dell’enzima ATP-solforilasi. Poi, APS reagisce con un’altra
molecola di ATP per produrre 3-fosfoadenosin-5-fosfosolfato, indicato come PAPS. La
reazione è catalizzata dall’enzima noto come APS-chinasi. APS e PAPS sono in
equilibrio tra loro a seguito di assunzione o perdita di un gruppo fosfato e l’enzima che
controlla questo equilibrio non è ancora ben noto.
Le due forme di solfato, APS e PAPS, sono chiamate solfato attivato. PAPS è la
forma con cui il solfato attivato si accumula nelle cellule organicanti lo zolfo, APS è il
substrato che riduce il solfato a gruppo solfidrile, poi utilizzato, ad esempio, nella
biosintesi dei tioamminoacidi (metionina, cistina). Di seguito è indicata la trasformazione
del solfato (come APS) fino a solfito (come adenosin-5-fosfosolfito) e quindi a solfuro
(come adenosin-5-fosfo-solfuro):
428
429
Il terreno
O O
O
O
O
O




ATP-solforilasi


Adenosin–O–P–O–P–O–P–OH + – O–S–O – + 2H+ → Adenosin–O–P–O–S–OH + H2PO3–O–H2PO3

OH


OH OH
ATP

O


OH O
Anione solfato
APS
acido pirofosforico
+ gruppo fosfato
↑ ↓
– gruppo fosfato
O
O
O
O


APS chinasi


Adenosin–O–P–O–S–OH + ATP → Adenosin–O–P–O–S–OH + ADP





OH O
HO–P = O OH O

OH
APS
PAPS
In sintesi:
+H
+H
SO42- → SO32- → S2APSolfato
Apsolfito APsolfuro
I singoli enzimi ed i trasportatori di elettroni e le fonti di potere riducente non sono
perfettamente noti nelle piante superiori ed il termine solfato riduttasi o APS riduttasi
viene usato per indicare il complesso enzimatico completo che catalizza le due fasi di
riduzione dell’ultima reazione. Il potere riducente in quest’ultima reazione è indicato
semplicemente con il simbolo +H. Il solfuro (come adenosin-5-fosfo-solfuro) che si è
prodotto nella stessa reazione è incorporato nella cisteina per reazione dell’adenosin-5fosfo-solfuro (qui indicato semplicemente come radicale solfidrico) con O-acetil-serina,
come rappresentato:
CH2O–CH2COOH

CH–NH2
+ S2- + 2H+

COOH
O-acetil-serina
 →
CH2–SH

CH–NH2

COOH
Cisteina
+
CH3COOH + H2O
Acido acetico
Fiume Francesco
Questa reazione è catalizzata da un enzima noto come O-acetil-serina-solfoidrasi e
la cisteina è un amminoacido che rappresenta il punto di partenza di molti composti
vegetali contenenti zolfo. In particolare, nella conversione dell’omoserina in metionina,
l’atomo di zolfo della metionina deriva dalla cisteina, mentre la catena carboniosa
dall’omoserina.
Lo zolfo minerale, oltre che un processo di organicazione, tipico degli organismi
autotrofi, subisce altre trasformazioni ossidative e di riduzione.
L’ossidazione dell’acido solfidrico avviene nelle acque ad opera dei batteri
autotrofi, i quali sono capaci di ossidarlo a zolfo elementare. Quest’ultimo si deposita
nelle loro cellule sotto forma di globuli, ma può anche essere depositato all’esterno. In
molti casi l’ossidazione è spinta fino alla formazione di acido solforico o dell’anione
solforico che si combina con diversi cationi del terreno. L’ossidazione di H2S si realizza
anche, semplicemente, attraverso una via unicamente chimica, ad opera dell’ossigeno
dell’atmosfera.
I batteri capaci di ossidare l’acido solfidrico fino a zolfo elementare o fino
all’anione solforico sono batteri fotosintetici e chemiosintetizzanti, con pigmenti simili
alla clorofilla (batterioporporina e batterioclorofilla), appartenenti alla famiglia delle
Thiorhodaceae e delle Beggiatoaceae; sono batteri unicamente fotosintetici, con
batterioclorofilla, appartenenti alla famiglia Chlorobacteriaceae; sono batteri solo
chemiosintetizzanti come quelli della famiglia delle Thiobacteriaceae i quali si
riconoscono perché non contengono granuli di zolfo all’interno delle loro cellule. La
famiglia delle Thiobacteriaceae comprende batteri autotrofi specializzati, che svolgono
la loro azione principalmente nel terreno e batteri eterotrofi non specializzati, i quali
sostituiscono i primi quando sono carenti nel terreno. Tra gli autotrofi si ricordano il
Thiobacillus thioparus (aerobio, non cresce a pH inferiore a 5, ossidante vari composti
dello zolfo fino a solfato), T. denitrificans (anaerobio facoltativo, utilizza i nitrati come
accettore finale di elettroni per ossidare lo zolfo fino a solfati), T. novellus (autotrofo
facoltativo), T. tioxidans, T. ferroxidans (con pH ottimale intorno a 3, capace di ossidare
contemporaneamente ed indipendentemente ferro e zolfo). Tra gli eterotrofi capaci di
determinare l’ossidazione dello zolfo si ricordano i generi Proteus, Pseudomonas,
Achromobacter, actinomiceti, funghi e lieviti.
La riduzione dello zolfo minerale, parzialmente e completamente ossidato, in
condizioni di anaerobiosi, in terreni saturi d’acqua, pesanti ed argillosi avviene a carico
di batteri autotrofi specializzati, detti solfatoriduttori, a forma di vibrione, mobili, Gram
negativi, anaerobi, diffusi nelle acque e nel terreno e la cui specie più importante è
Desulfovibrio desulfuricans. La riduzione dei composti dello zolfo viene effettuata anche
da batteri eterotrofi non specializzati, come alcuni anaerobi (Clostridium) ed alcuni
aerobi (Bacillus megatherium).
La mineralizzazione dello zolfo, la fase catabolica del ciclo, consiste nella
formazione di solfuri a partire dallo zolfo organico. Il processo può avvenire in aerobiosi
ed anaerobiosi ed è diverso a seconda del tipo del composto organico dello zolfo. I
composti organici con legame C–S– sono mineralizzati quando i microbi utilizzano la
componente organica come fonte di energia. I composti organici con legame C–O–S–
sono idrolizzati ad opera dell’enzima solfatasi, con il rilascio dell’anione solfato e senza
la concomitante utilizzazione della componente organica. La solfatasi gioca un ruolo
molto importante nella mineralizzazione dello zolfo soprattutto quando nel terreno sono
presenti quantità di solfati a basse concentrazioni. I batteri aerobici sono eterotrofi e sono
rappresentati dai generi Pseudomonas, Proteus, Clostridium, Serratia, mentre quelli
anaerobici sono specie del genere Desulfovibrio.
430
431
Il terreno
La mineralizzazione dello zolfo organico è stata dimostrata con lo studio di colture
pure e sul terreno stesso addizionato di amminoacidi solforati, ottenendo diverse
trasformazioni ad opera dei batteri i quali utilizzano lo zolfo come donatore di protoni e
sorgente di energia o come agente riduttore nell’assimilazione dell’anidride carbonica
atmosferica (ossidazione dello zolfo minerale) o come accettore di protoni (riduzione dei
solfati).
Nel terreno l’ossidazione dello zolfo ha un’azione correttiva sui suoli alcalini e
sulla nutrizione delle piante, con la formazione dei solfati, dà luogo a fenomeni di
flocculazione dei colloidi, con miglioramento della struttura dei terreni alcalini ed
agevola la solubilizzazione degli elementi nutritivi rendendoli disponibili per le piante.
Va anche detto che la deficienza di zolfo nelle piante coltivate è un evento
relativamente difficile a verificarsi in quanto considerevoli sono le quantità di solfati che
si trovano normalmente nei comuni fertilizzanti azotati, fosfatici e potassici. Ciò spiega
anche le scarse conoscenze sulle relazioni tra fertilità e conversione dei composti dello
zolfo nel terreno, proprio per la scarsità di ricerche in questo specifico ed importante
settore.
Ciclo del fosforo
Il fosforo totale del nostro pianeta è valutato intorno a 1019 tonnellate. La quantità
di fosforo contenuta nella crosta terrestre è di circa 1015 tonnellate. Il fosforo presente nel
terreno e negli organismi di tutti gli esseri viventi è stimato in 1010 tonnellate.
Tutto il fosforo diffuso sul globo terrestre, nel terreno e nelle acque, prende origine
dalla decomposizione e dall’erosione delle rocce, a seguito dell’azione dei fattori
climatici e dell’acqua.
Una frazione di fosforo del nostro pianeta è andata a costituire i sedimenti marini,
un’altra parte è precipitata per costituire i giacimenti fosfatici terrestri, una certa porzione
rappresenta la disponibilità della pedosfera e delle acque (mari, fiumi, laghi) per gli
organismi viventi i quali hanno incorporato la restante quantità.
Nella figura 107 è schematizzata la dinamica del fosforo in natura.
Nel corpo umano il fosforo rappresenta circa 1% in peso ed è essenziale in tutti gli
organismi quale componente degli acidi nucleici, dei fosfoprotidi, dei fosfolipidi, oltre
che di molecole organiche aventi una funzione determinante nei trasferimenti di energia.
Il fosforo solubile del terreno viene utilizzato ed assimilato dalle piante e da queste passa
agli animali che lo restituiscono al suolo sotto forma di resti o residui organici.
La quantità di minerale fosfatico contenuto nella roccia madre del suolo è il fattore
prevalente che agisce sui valori della dotazione in fosforo di un terreno, insieme ad altri
fattori pedogenetici. Nel terreno e nella biomassa pedologica, il fosforo si trova
principalmente come anione ortofosforico trivalente.
Il fosforo presente nella soluzione circolante del terreno, in modo predominante
come HPO42¯, ma anche come H2PO4¯, specialmente nei suoli acidi, in parte è
disponibile in tempo reale per le piante, che lo assorbono attraverso l’apparato radicale,
ed in parte serve per saturare la capacità assorbente del suolo. Una certa quantità di
fosforo viene asportata con il raccolto ed una minore quantità per erosione e per
dilavamento. Pertanto, per rimpiazzare queste perdite, è indispensabile che i fertilizzanti
fosfatici, provenienti dai giacimenti terrestri, siano somministrati al terreno. Per fortuna,
ciò può attuarsi ancora per un lungo periodo, perché in questi ultimi anni il numero di
giacimenti fosfatici utilizzabili da un punto di vista economico si è incrementato.
Fiume Francesco
Uomo
432
Rocce ignee
Alterazione ed
erosione
Animali
Sintesi del
protoplasma
Fiumi
Piante
Escrezione e
residui
Fosfati
disciolti
Sedimenti di mari
poco profondi
Sedimenti di
mari profondi
Microrganismi
Uccelli, pesci ed
organismi marini
Suolo
Rocce
sedimentarie
Concimi
Giacimenti
fosfatici
Depositi di
ossa fossili
Depositi di guano
Rocce
metamorfiche
Fig. 107 – Ciclo del fosforo in natura. In rosso la parte che interessa direttamente gli
organismi viventi.
Parte del fosfato è assorbito dalle radici delle piante superiori ed è trasportato nella
corrente della circolazione linfatica e della traspirazione fino alle foglie. E’ probabile che
il fosfato sia assimilato tanto nelle radici quanto nelle foglie.
Circa il fosforo organico del terreno, nelle varie forme chimiche, le conoscenze
sono ancora scarse. Può largamente oscillare da un minimo del 2% ad un massimo di
80%, rispetto al fosforo totale. Esso deriva dalle spoglie vegetali, dal protoplasma o dai
prodotti metabolici degli organismi del suolo. Meno del 50% delle forme organiche di
fosforo può essere ricondotto a composti noti, quali i fosfati di inositolo (2-50%), i
fosfolipidi (1-5%), gli acidi nucleici (0,2-2,5%), tracce di fosfoproteine e di altri fosfati
metabolici. Altre forme di fosforo presenti nel suolo sono rappresentate da polimeri
contenenti fosfati, come gli acidi tecoici delle pareti cellulari microbiche, complessi di
fosforo inorganico e di esteri fosfatici semplici (nucleotidi e fosfati di inositolo) con le
sostanze umiche.
La sintesi dei composti organici del fosforo avviene da parte delle piante, degli
animali e dei microrganismi del terreno. L’assimilazione del fosforo è fondamentale per
le sintesi protoplasmatiche e, per questo, i microrganismi e le piante sviluppano
433
Il terreno
perfettamente quando i composti disponibili del fosforo sono presenti nell’ambiente
edafico. Le sintesi cellulari portano all’accumulo di composti del fosforo non utilizzabili
dalle piante e per tale motivo i microrganismi del terreno sono in forte competizione con
le piante coltivate circa la disponibilità, l’asportazione e l’impiego del fosforo del suolo.
Quando un terreno è ricco in carboidrati, l’aggiunta di sostanza organica, inducendo un
intenso sviluppo della microflora che va a trasformare il fosforo solubile in fosforo
organico, potrebbe essere negativa riguardo alla disponibilità di fosforo per le piante.
L’assimilazione del fosfato si verifica nelle cellule vegetali soprattutto per
incorporazione nell’ADP e formazione di ATP ed acqua. Lo stesso meccanismo si
riscontra, unitamente all’ossidazione di NADH, nei mitocondri. Oltre all’assimilazione
del fosfato nella fosforilazione ossidativa è probabile che parte del fosfato assorbito dalla
pianta sia assimilato nelle foglie verdi esposte alla luce nel processo di fosforilazione
fotosintetica. In tal caso, la fosforilazione dell’ADP ad ATP avviene
contemporaneamente alle reazioni luminose della fotosintesi nei cloroplasti. Il fosfato
che è assimilato in ATP è rapidamente trasferito, mediante successive reazioni
metaboliche, in molti composti vegetali fosforilati, fra cui si ricordano gli zuccheri
fosfati, i fosfolipidi ed i nucleotidi. Oltre all’incorporazione nell’ATP, il fosfato
inorganico può anche essere assimilato in altri modi come quando, ad esempio, è
incorporato nell’acido 1,3 difosfoglicerico nella reazione di glicolisi.
Dopo l’assorbimento del fosforo da parte delle piante e la sintesi di composti
organici attraverso l’assimilazione, segue la mineralizzazione dei composti organici del
fosforo, contenuti nei resti vegetali ed animali. Ciò avviene ad opera dei microrganismi
edafici. La mineralizzazione dei composti organici fosfatici è molto rapida nei terreni
naturali e più lenta in quelli agrari, è favorita dalle alte temperature, dalla reazione neutra
o sub-alacalina e dalla buona dotazione di fosforo nel terreno.
La mineralizzazione del fosforo comporta il distacco del radicale fosforico dalla
restante parte della molecola organica. Gli enzimi che operano tale separazione sono
chiamate fosfatasi. Tra le fosfatasi si ricorda la fitasi che causa il distacco del fosfato
dall’acido fitico o dai suoi sali e conseguente accumulo di inositolo. Le fitasi possono
essere prodotte all’interno oppure all’esterno delle cellule e molte fosfatasi, oltre che
specifiche, possono essere aspecifiche.
Gli acidi nucleici che pervengono al terreno sono rapidamente privati del fosforo
per un attacco microbico che procede prima con una rottura delle catene di RNA, ad
opera della ribonucleasi e di DNA, per mezzo della desossiribonucleasi e poi con il
distacco del fosfato.
I fosfolipidi sono utilizzati come fonte di fosforo da numerosi batteri, funghi ed
actinomiceti. Nei terreni neutri le condizioni di mineralizzazione microbica del suolo
sono migliori, mentre nei terreni umiferi si formano complessi di fosforo organico molto
resistenti alle azioni microbiche.
Tra i microrganismi isolati dal terreno in grado di mineralizzare il fosforo organico
si ricordano alcuni batteri, come Bacillus megatherium var. phosphaticum e Serratia
carollera var. phosphatica, alcuni generi di lieviti, come Saccharomyces e Candida ed
alcuni funghi, come Aspergillus, Penicillium ed Alternaria.
Il fosforo mineralizzato dai microrganismi è presente nel terreno come fosfato
tribasico insolubile e, pertanto, immobile. La mobilizzazione del fosfato tribasico avviene
a seguito della sua trasformazione in fosfato bibasico e, soprattutto, monobasico. Ciò
avviene per azione microbica, con la respirazione e il metabolismo degli organismi
viventi nel terreno, a seguito della produzione di anidride carbonica che con l’acqua
forma acido carbonico. Ma anche la produzione di anioni nitrici e solforici, da parte dei
Fiume Francesco
microrganismi chemioautotrofi ossidanti l’ammonio e lo zolfo, svolge un ruolo
fondamentale nella conversione dei fosfati insolubili in fosfati solubili.
Numerose sono le ricerche condotte per aumentare la quota di fosforo disponibile
nel terreno mediante l’inoculazione nel suolo di microrganismi fosfatolitici. In tutti i casi
sono stati osservati significativi incrementi delle produzioni agricole. Studi in questo
campo dovrebbero essere intrapresi con la massima cura, allo scopo di ridurre gli apporti
di concimi fosfatici, in relazione al fatto che, di solito, i terreni italiani hanno una buona
dotazione in fosforo, anche se molto spesso non è disponibile per le piante.
Prima di concludere, va sottolineato che tra i diversi cicli degli elementi del sistema
ecologico terrestre esistono sicuramente dei collegamenti, anche se non si hanno a
disposizione, in proposito, dei dati quantitativi certi. Va anche detto che tutti gli elementi
del nostro pianeta sono caratterizzati da uno specifico ciclo per il quale la quantità
globale dello stesso elemento tende a non subire drastiche variazioni quantitative. E non
soltanto gli elementi, ma anche alcuni composti possiedono un loro ciclo in natura e fra
questi si ricorda l’acqua, il cui ciclo rappresenta il fattore più importante capace di
collegare il movimento degli elementi nell’ecosistema pedologico.
La quantità, la qualità e la distribuzione delle piogge e dell’acqua allo stato solido
(neve, ghiaccio), l’evaporazione, la traspirazione, il drenaggio e tutte le quote idriche
disponibili per la vita animale e vegetale e per il mondo minerale influenzano la
circolazione degli elementi in natura. Per esempio, la percolazione e l’evapotraspirazione
agiscono in modo opposto: la prima determina perdite di elementi nutritivi in
proporzione alla quantità di acqua percolata, la seconda causa la riduzione del flusso
degli elementi fuori del sistema, poiché l’evapotraspirazione è acqua sottratta alla
percolazione. Così pure l’acqua causa erosione, traslocazione, dilavamento
decomposizione, mineralizzazione e le azioni antropiche possono alterare la qualità delle
acque, modificare il corso dei fiumi, deforestare, urbanizzare, bonificare zone paludose.
Alcuni elementi svolgono, inoltre, un’azione cruciale nelle azioni ed interazioni
degli elementi. Per esempio, il carbonio instaura in’infinita rete di rapporti con l’azoto, il
fosforo, lo zolfo ed altri elementi, regolando l’organicazione e la mineralizzazione e
causando l’immobilizzazione o la liberazione degli elementi nutritivi. Anche in questo
caso le attività umane possono indurre profondi squilibri. Così, l’utilizzazione dei
combustibili fossili fa diminuire gli organismi fotosintetizzanti su scala mondiale e fa
aumentare l’anidride carbonica dell’atmosfera con la grave conseguenza di indurre
l’effetto serra, causa dell’aumento della temperatura sul pianeta e di una serie di effetti
negativi (fusione dei ghiacci delle calotte polari, modificazione del clima,
desertificazione).
L’uomo moderno, utilizzando il progresso tecnologico, ha il dovere di evitare ogni
squilibrio dell’ecosistema terrestre e deve consentire un equilibrato aumento della
fertilità del suolo o, comunque, non accelerarne la perdita. Facendo prevalere forze
organizzative diventa possibile assicurare la salvaguardia di quel sistema aperto,
provvisto di un numero infinito di entità biotiche ed abiotiche, che è il suolo.
434
435
Il terreno
BIBLIOGRAFIA
ABBOTT M.M., VAN NESS H.C., 1975. Termodinamica. Coll. Schaum. Etas Libri,
Milano
ABEELS P., DECLERQ D., 1977. La locomotion tout terrain. La compaction du sol.
Rev. Agric., 1, 131.
ABRAHAM R.J., LOFTUS P., 1978. Proton and Carbon-13 NMR Spectroscopy.
Heyden, London.
ADAM N.K., 1941. The physics and chemistry of surfaces. Oxford University Press,
London.
AHMADJIAN V., HALE M.E., 1973. The lichens. Academic Press, New York, USA.
AL MOUDALLAL Z., BRIAN J.P., VAN REGENMORTEL M.H.V., 1982. Monoclonal
antibodies as probes of the antigenic structure of tobacco mosaic virus. EMBO J., 1,
1005-1010.
ALEXOPOULOS C.J., MIMS C.W., 1979. Introductory Mycology. Wiley, New York,
USA.
ALLISON F.E., 1968. Soil aggregation. Some facts and fallacies as seen by
microbiologist. Soil Sci., 106, 136-143.
AMATO M., DE LORENZI F., OLIVIERI B., 1993. Riflettometria nel dominio del
tempo (TDR) per la misura dell’umidità volumetrica del terreno. I: principi generali
ed applicazioni. Riv. Agron., 27, 1, 1-8.
AMATO M., DE LORENZI F., OLIVIERI B., 1993. Riflettometria nel dominio del
tempo (TDR) per la misura dell’umidità volumetrica del terreno. II: misura in terreni
diversi e profili idrici. Riv. Agron., 27, 2, 97-105.
AMATO M., PAGLIAI M., LA MARCA M., 1996. Misure di porosità del terreno a scale
diverse in relazione alle modalità di lavorazione. Rivista di Agronomia, 30, 113-120.
AMATO M., RITCHIE J.T., 1995. Small spatial scale soil water content measurement
with time-domain reflectometry. Soil Sci. Soc. Amer. J., 59, 325-329.
ANDERSON R.V., COLEMAN D.C., COLE C.V., 1981. Effects of saprotrophic grazing
on net mineralization. Ecol. Bull., 33, 210-216.
ARINGHIERI R., BELLONI P., GIACHETTI M., 1977. Effetto del SAR e della
concentrazione dell'elettrolita sulla conducibilità idraulica di alcuni sistemi
colloidali. Atti XIV Convegno Nazionale della SICA, Rimini, 25-27 Settembre
1997, 47-54.
AYANABA A., VERSTAETE W., ALEXANDER M., 1973. Formation of
dymethylnitrosamine, a cancerogen and mutagen, in soil treated with nitrogen
compounds. Soil Sci. Am. Proc., 37, 565-568.
AYERS R.S., WESTCOT D.W., 1976. Water quality for agriculture. Irrigation and
drainage paper 29, FAO, Roma.
Fiume Francesco
BAKER J.M., LASCANO R.J., 1989. The spatial sensitivity of the time-domain
reflectometry. Soil Sci., 147, 378-384.
BAKR H.M.A., FATHI A.M., GHEIBEH A.R.S., 1979. Evaluation of the parameters
involved in Gardner’s relation between unsaturated hydraulic conductivity and soil
water matric suction. Agric. Water Manag., 2, 25-35.
BAILEY G.W., WHITE J.L., 1970. Factors influencing the adsorption, desorption and
movement of pesticides in soils. Residue Rev., 32, 29-92.
BALL B.C., 1981. Pore characteristics of soil from two cultivations experiments as
shown by gas diffusivities and permeabilities and air-filled porosities. J. Soil Sci.,
32, 483-498.
BANERJEE B., 1967. Seasonal changes in the distribution of the millipede
Cylindroiulus punctatus in decaying logs and soil. J. Anim. Ecol., 36, 171-177.
BARADAS M.W., BLAD B.L., ROSEMBERG N.J., 1976. Reflectant induced
modification of soybean canopy balance. Agron. J., 68(6).
BARBAFIERI M., LUBRANO L., PETRUZZELLI G., 1996. Valutazione critica delle
procedure analitiche per la determinazione della mobilità dei metalli pesanti nei siti
contaminati. In: Smaltimento e Recupero dei Rifiuti (GSISR ed.), 33-42.
BARBAFIERI M., LUBRANO L., PETRUZZELLI G., 1996. Characterization of
pollution in sites contaminated by heavy metals: a proposal. Annali di Chimica, 86,
585-594.
BARBAFIERI M., LUBRANO L.,PETRUZZELLI G., 1996. Caratterizzazione della
mobilità dei metalli pesanti nei siti contaminati: valutazione di differenti test di
cessione. II Convegno Nazionale di Chimica Ambientale, Rimini 18-20 settembre
1996, 162-163.
BARBAFIERI M., PEZZAROSSA B., PETRUZZELLI G., LUBRANO L., 1996. Lead
monitoring in agricultural soil contaminated with industrial sludges. 3rd International
Symposium and Exibition on Environmental Contamination in Central and Eastern
Europe, Warsaw (Polonia), 10-13 settembre 1996.
BARBAFIERI M., 1997. Tecnologie di phytoremediation per la bonifica di suoli
contaminati da metalli pesanti. Giornata di Studio GSISR sulla Qualità del Suolo (A.
Frigerio e M. Schieppati ed.), Milano, 28 Febbraio 1997, 62-73.
BARBAFIERI M., LUBRANO L., PETRUZZELLI G., 1997. Speciazione del Nichel in
suoli naturali e contaminati. Accumulo da parte di Medicago sativa L. III Congresso
Nazionale di Chimica Ambientale su La salvaguardia e la valorizzazione delle
risorse, SICA, Gallipoli, 24-26 settembre 1997, 102-103.
BARBAFIERI M., DADEA C., 1997. Preliminary studies for the characterization of
heavy metals hazards in abandoned mining area in Sardinia (Italy). 2 nd International
Scientific-Technical Conference on the Element Cycling in the Environment,
Varsavia, 27-29 ottobre 1997, 15-19.
BARBAFIERI M., LUBRANO L., PETRUZZELLI G., 1997. Different patterns of nickel
mobile species in natural soil and spiked soil, uptake effect by alfalfa. 2 nd
International Scientific-Technical Conference on the Element Cycling in the
Environment, Varsavia, 27-29 ottobre 1997, 20-23.
BARBER S.A., 1984. Soil Nutrient Bioavailability. John Wiley and Sons, New York.
436
437
Il terreno
BARBIERI G., 1996. Consumi idrici, fotosintesi e contenuto di nitrati in spinacio. III
Giornate Scientifiche SOI, Erice, 10-14 marzo 1996, 409-410.
BARBIERI G., DE PASCALE S., SIFOLA I., 1994. Effetti della frequenza di irrigazione
sulle funzioni di risposta produttiva della melanzana (Solanum melongena L.) alla
salinità. Riv. Agron., 28, 3, 235-246.
BASOCCU L., NICOLA S., 1996. Effetti della concimazione azotata e dell’epoca di
somministrazione sulla crescita in vivaio e sulla produzione di pomodoro
(Lycopersicon esculentum Mill.). III Giornate Scientifiche SOI, Erice, 10-14 marzo
1996, 329-330.
BATRA L.R., 1979. Insect-Fungus Symbiosis: Nutrition, Mutualism and Commensalism.
John Wiley & Son, Inc., New York.
BATU V., GARDENER W.R., 1978. Steady-state solute convection in two dimensions
with nonuniform infiltration. Soil Sci. Soc. Amer. J., 42, 18-22.
BAVER L., GARDNER H., GARDNER W.R., 1972. Soil physics. J. Wiley, New York.
BAVEYE P., SPOSITO G., 1984. The operational significance of the continuum
hypothesis in the theory of water movement through soils and aquifers. Water
Resour. Res., 20, 521-530.
BAZZOCCHI R., CASALICCHIO G., GIORGIONI M.E., LOSCHI B., PASSAGLIA E.,
1996. Effetti dell’utilizzazione di zeoliti italiane nella coltivazione del sedano
(Apium graveolens L.). III Giornate Scientifiche SOI, Erice, 10-14 marzo 1996, 431432.
BEEK K.J., 1978. Land evaluation for agricultural development. Pub. N. 23. Intern. Inst.
For Land Reclamation and Improvement, Wageningen.
BERGER E., 1976. Partioning the parameters of stony soils, important in moisture
determinations into their constituents. Plant Soil, 44, 201-207.
BERTACCINI A., 1991. L’amplificazione genica (PCR) per la diagnosi in patologia
vegetale. Inf. Fitopat., 11, 16-20.
BIANCO V.V., ELIA G., DE PALMA E., 1996. Dosi di azoto, scarducciatura, epoca di
raccolta, produzione e qualità del carciofo. III Giornate Scientifiche SOI, Erice, 1014 marzo 1996, 481-482.
BIBBY J.S., MAcKNEY D., 1969. Land use capability classification. Soil Survey
England and Wales, Tech. Mon., 1.
BIDDINGER E.J., LIU C., JOLY R.J., RAGHOTHAMA K.G., 1998. Physiological and
molecular responses of aeroponically grown tomato plants to phosphorus deficiency.
J. Amer. Soc. Hort. Sci., 123, 2, 330-333.
BIRD R.B., STEWART W.E., LIGHFOOT E.N., 1960. Transport Phenomena. J. Wiley,
New York.
BJORKMAN O., BERRY J., 1974. Fotosintesi ad alta efficienza. Le Scienze, 65.
BLOEMEN G.W., 1980. Calculation of hydraulic conductivities of soils from texture and
organic matter content. Zeitschr. Pflanzenernaer. Bodenkunde, 143, 581-605.
BOLD H.C., WYNNE M.J., 1979. Introduction to the Algae. Prentice-Hall, Englewood
Cliffs, New Jersey, USA.
BOLD H.G., ALEXOPOULOS C.S., DELEVORYAS T., 1980. Morphology of Plants
Fiume Francesco
and Fungi. Harper & Row, Publishers, Inc., New York.
BOLT G.H., FRISSEL M.J., 1960. Thermodynamics of soil moisture. Neth. J. Agric.
Sci., 9, 57-78.
BONCIARELLI F., 1976. Agronomia. Edagricole, Bologna.
BONCIARELLI F., 1975. Sostanza organica e fertilità agronomica. Rivista di
Agronomia, 9, 5-8.
BORSELLI L., CARNICELLI S., FERRARI G.A., PAGLIAI M., LUCAMANTE G.,
1996. Effects of gypsum on hydrological, mechanical and porosity properties of a
kaolinitic crusting soil. Soil Technology, 9, 39-54.
BRADSHAW A.D., FITTER A.H., HANDLEY J.F., 1973. Why use topsoil in land
reclamation?. Surveyor 39-41.
BRESLER E., 1973. Simultaneous transport of solutes and water under transient
unsatured flow conditions. Water Resor. Res., 9, 975-986.
BRESLER E., 1975. Two-dimensional transport of solute during nonsteady infiltration
from a trickle source. Soil Sci. Soc. Amer. Proc., 39, 604-917.
BRESLER E., McNEAL B.L., CARTER D.L., 1982. Saline and sodic soil. Advanced
Agricultural Science Series V. 10. Springer Verlag, New York.
BRETZEL F., LUBRANO L., BARBAFIERI M., PETRUZZELLI G., 1997. Heavy
metals in soils and plants in the city of Pisa. 2 nd International Scientific-Technical
Conference on the Element Cycling in the Environment, Versavia, 27-29 ottobre
1997, 29-32.
BRETZEL F. LUBRANO L. e PETRUZZELLI G., 1997. La qualità del suolo in
ambiente urbano. Studio preliminare nella città di Pisa. Giornata di Studio GSISR
sulla Qualità del Suolo, Milano, 28 Febbraio 1997, 82-88.
BRISTOW K.L., CAMPBELL G.S., 1984. On the relationship between incoming solar
radiation and daily maximum and minimum temperature. Agric. For. Meteorol., 31,
159-166.
BRISTOW K.L., CAMPBELL G.S., CALISSENDORF C., 1984. The effects of texture
on the resistance to water movement within the rhizosphere. Soil Sci. Soc. Amer. J.,
48, 266-270.
BRISTOW K.L., CAMPBELL G.S., CALISSENDORFF K., 1993. Test of a heat-pulse
probe for measuring changes in soil water content. Soil Sci. Soc. Amer. J., 57, 930934.
BROCK T.D., 1979. Biology of Microorganism. Prentice-Hall, Inc. Englewood, N.J.
BROCK T.D., SMITH D.W., MADIGAN M.T., 1984. Biology of Microorganism.
Prentice-Hall, Englewood Cliffs, New Jersey, USA.
BROOKS R.H., COREY A.T., 1966. Properties of porus media affecting fluid flow. J.
Irrig. Drainage Div., ASCE Proc. 72(IR2), 61-88.
BROWN D.J.F., PLOEG A.T., TRUDGILL D.L., 1989. Specificity of transmission of
nematode transmitted viruses. Med. Fac. Landb. Rijksun. Gent, 54, 3b, 1105-1113.
BRUTSAERT W., 1975. On a derivable formula for long-wave radiation from clear
skies. Water Resour. Res., 11, 742-744.
438
439
Il terreno
BUCKMAN H., BRADY N., 1966. Le sols. Paris.
BURGESS T.M., WEBSTER R., 1980. Optimal interpolation and isorithmic mapping of
soil properties. I. The semi-variogram and punctual kriging. J. Soil Sci., 31, 315331.
BURNS R.G., 1977. The soil microenvironments: aggregates, enzymes and pesticides.
CNR, Lab., Chim. del terreno, conf. 5, Pisa.
BUSINGER J.A., 1975. Aerodynamics of vegetated surfaces. In De Vries and Afgan,
Heat and Mass Transfer in the Biosphere, J. Wiley, New York.
CALZECCHI-ONESTI A., 1954. Sistemazione del terreno e fertilità in collina.
R.E.D.A., Roma.
CALZECCHI-ONESTI A., 1957. Crepacciamento. Enc. Agr., 3, 8-10.
CAMPBELL G.S., 1974.A simple method for determining unsatured conductivity from
moisture retention data. Soil Sci., 117, 311-314.
CAMPBELL G.S., 1977. Introduction to Environmental Biophysics. Springer Verlag,
New York, USA.
CAMPBELL G.S., CAMPBELL M.D., 1982. Irrigation scheduling using soil moisture
measurements: theory, and practice. Advances in Irrigations, 1, 25-42.
CAMPBELL G.S., 1985. Soil physics with basic. Transport models for soil – Plant
systems. ELSEVIER, N.Y., USA.
CAMPBELL G.S., CALISSENDORFF C., WILLIAM J.H., 1991. Probe for measuring
soil specific heat using a heat-pulse method. Soil Sci. Soc. Amer. J.. 55, 291-293.
CANARUTTO S., PERA A., LA MARCA M., VALLINI G., 1996. Effects of humic
acids from compost-stabilized green waste or leonardite on soil shrinkage and
microaggregation. Compost Science and Utilization, 4, 40-46 (1996).
CARLSON R., 1962. Silent Spring. Oughton Mifflin, Boston.
CARR N.G., WHITTON B.B., 1982. The Biology of Cyanobacteria. University of
California Press, Berkeley.
CARRAVETTA R., SANTINI A., 1977. Mathematical model for analysis of water
infiltration and redistribution in soil. Symp. on Hydrodinamic diffusion and
dispersion in porous media, Pavia, 233-251, Int. Ass. Hydr. Res.
CARY J.W., 1978. Soil water flowmeters with the thermocouple outputs. Soil Sci. Soc.
Amer. Proc., 37, 176-180.
CASS A., CAMPBELL G.S., JONES T.L., 1984. Enhancement of thermal water vapor
diffusion in soil. Soil Sci. Soc. Amer. J., 48, 25-32.
CASSEL D.K., VAN GENUCHTEN M.T., WIERENGA P.J., 1975. Predicting anion
movement in disturbed and undisturbed soil. Soil Sci. Soc. Amer. Proc., 39, 10151019.
CAVAZZA L., 1953. L’azione del gradiente termico sul movimento dell’acqua nel
terreno in un sistema chiuso. Edagricole, Bologna.
CAVAZZA L., 1975. Considerazioni sul potenziale di sovraccarico dell’acqua nel
terreno. Agrochim., 19, 192-200.
CAVAZZA L., 1981. Fisica del terreno agrario. UTET, Torino.
Fiume Francesco
CAVAZZA L., 1992. Valorizzazione e tutela delle risorse idriche per fini agronomici. Riv.
Agron., 26, 4 suppl., 543-558.
CAVAZZA L., GUARNIERI A., PATRUNO A., BENTINI M., LIBERATI P., PESCI C.,
GARDI C., 1998. Influenza di rotazione colturale, concimazione e caratteristiche del
suolo sull’indice penetrometrico. Riv. Agron., 32, 28-38.
CECCANTI B., MASCIANDARO G., GALLARDO-LANCHO J.F., 1995. Pratica del
set-aside come metodo di recupero biofisico di un terreno fragile in clima semiarido. Atti del Convegno della SISS su Il ruolo della pedologia nella pianificazione e
gestione del territorio (Aru A. e Tomasi D. ed.), Cagliari, 6-10 giugno 1995, 147154.
CECCANTI B., MASCIANDARO G., GARCIA C., 1995. Bio-monitoraggio e
funzionalità dell’ambiente. Boll. Soc. It. Sci. Suolo, 5(6), 53-72 (1995).
CECCANTI B., GARCIA C., NOGALES R., BENITEZ E., MASCIANDARO G.,
1997.Attività e ruolo delle sostanze umiche nell'ambiente, aspetti chimico-strutturali
e biochimici. Atti del II Convegno Nazionale del Capitolo Italiano dell'IHSS. Udine,
12-13 dicembre 1977, 1-9.
CHANG J., 1968. Climate and agriculture. Aldine Publ. Co., Chicago.
CHIAVERINI S., GRAS R., 1977. Comparison de quelques méthodes d’évaluation au
laboratoire de la capacité au champ. Ann. Agron., 28, 445-461.
CHILDS E.C., 1969. An introduction to the physical basis of soil water phenomena. John
Wiley and Sons, London.
CHRISTENSEN C.M., 1965. The Molds and Man: An Introduction to the Fungi.
University of Minnesota Press, Minneapolis, USA.
CHRISTENSEN C.M., 1975. Molds, Mushrooms and Mycotoxins. University of
Minnesota Press, Minneapolis, USA.
CERVELLI S., 1979. L’uso dei pesticidi e la fertilità del terreno. L’Italia agricola, 116(47), 160-177.
CERVELLI S., PERRET D., 1996. Mathematical models and their significance in
environmental chemistry. The soil. Annali di Chimica, 86, 635-652.
CERVELLI S., PERRET D., 1997. Effetto di sostanze xenobiotiche sul movimento e la
trasformazione dell’azoto nel suolo. Giornata di Studio GSISR sulla Qualità del
Suolo (A. Frigerio e M. Schieppati editori), Milano, 28 Febbraio 1997, 204-221.
CERVELLI S., PERRET D., 1997. Modello isotopico per lo studio delle trasformazioni
della azoto nel sistema suolo-pianta. Atti XIV Convegno Nazionale della SICA,
Rimini, 25-27 Settembre 1977, 365-374.
CERVELLI S., PERRET D., 1997. I modelli matematici come ausilio fondamentale nella
valutazione dell'impatto ambientale dei pesticidi. Giornata di Studio GSISR sulla
Qualità del Suolo (A. Frigerio e M. Schieppati ed.), Milano, 28 Febbraio 1997, 191203.
CHILD E.C., COLLIS-GEORGE N., 1950. The permeability of porus materials. Proc.
Roy. Soc. London, A 201, 392-405.
CHISCI G., LODI G., 1974. Ricerche parcellari sulla conservazione dei suoli argillosi.
Ann. Ist. Sper. Studio e Difesa Suolo, 5, 103-116.
440
441
Il terreno
CIAVATTA C., FIGLIOLA A., LEITA L., PETRUZZELLI G., 1997. Evaluation of heavy
metals during stabilization of organic matterin compost produced in municipal solid
wastes: chemical, agronomical and environmental aspects. In: Ecological Issues and
Environmental Impact Assessment (P.N. Cheremisinoff, Ed.), Gulf Publishing
Company Houston, London, Cap. 26, 613-631.
CLARK M.F., ADAMS A.N., 1977. Characteristics of the microplate method of enzyme
linked immunosorbent assay for the detection of plant viruses. J. Gen. Virology,
CLINE R.G., CAMPBELL G.S., 1976. Seasonal and diurnal water relations of selected
forest species. Ecology, 57, 367-373.
CLOTHIER B.E., SCOTTER D.R., KERR J.P., 1977. Water retention in soil underlain
by a coarse-textured layer: theory and a field application. Soil Sci., 123, 392-399.
COLLMER C.W., HOWELL S.H., 1992. Role of satellite RNA in the expression of
symptoms caused by plant viruses. Ann. Rew. Phytopath., 30, 419-442.
COMEL A., 1972. Il terreno. Manuale di pedologia per gli agricoltori. Edagricole,
Bologna.
CONVERSA G., ELIA A., GONNELLA M., SERIO F., 1996. Effetto della dose di azoto
sul contenuto dei principali anioni inorganici del basilico. III Giornate Scientifiche
SOI, Erice, 10-14 marzo 1996, 401-402.
COREY J.C., PETERSON S.F., WAKAT M.A., 1971. Measurement of attenuation of
137Cs and 241Am gamma rays for soil density and water content determinations. Soil
Sci. Soc. Am. Proc., 35, 215-219.
COWAN I.R., 1965. Transport of water in the soil-plant-atmosphere system. J. Appl.
Ecol., 2, 221-239.
CRESCINI F., 1959. Agronomia generale. REDA, Roma.
CRESPI S., ACCOTTO G.P., CACIAGLI P., GRONENBORN B., 1991. Use of
digoxigenin-labeled probes for detection and host range studies of tomato yellow
leaf curl geminivirus. Res. Virol., 142, 283-288.
CULLIMORE D.R., 1971. Interaction between herbicides and soil microorganism.
Residue Rev., 35, 65-80.
CURRIE J.A., 1965. Diffusion within soil microstructure: a structural parameters for
soil. J. Soil Sci., 16, 279-289.
DALTON F.N., VAN GENUCHTEN M.T., 1986. The time-domain reflectometry for
measuring soil water content and salinity. Geoderma, 38, 237-250.
DASBERG S., HOPMANS J.W., 1992. Time domain reflectometry calibration for
uniformly and nonuniformly wetted sandy and clayey loam soils. Soil Sci. Soc.
Amer. J., 56, 1341-1345.
DA SILVA F.F., WALLACH R., POLAK A., CHEN Y., 1998. Measuring water content of
soil substitutes with time-domain reflectometry (TDR). J. Amer. Soc. Hort. Sci., 123,
4, 734-737.
DATTA B., PATRUNO A., CAVAZZA L., 1988. Interramento della paglia e
concimazione azotata dopo 14 anni. I. Influenza sulla stabilità di struttura del
terreno. Agrochimica, 33, 85-97.
DAVENPORT J.R., 1996. The effect of nitrogen fertilizer rates and timing cranberry
Fiume Francesco
yield and fruit quality. J. Amer., Hort. Sci., 121, 6, 1089-1094.
DE BOODT M., 1972. Proceedings symposium on the fundamentals of soil
conditionings. State Univ. Fac. Agricul. Sci., Ghent.
DE CILLIS E., LEGGIERI L., 1938. Il terreno agrario. V. II, Op. Naz. Comb., Roma.
DE DOMINICIS A., 1919-20. La crosta pugliese e la sua origine. Annali R. Scuola
Superiore di Agricoltura di Portici.
DE JONG E., REDMANN R.E., RIPLEY E.A., 1979. A comparison of methods to
measure soil respiration. Soil Sci., 127, 300-306.
DEMAIN A.L., 1981. Industrial Microbiology. Science, 214, 987-995.
DENG S., HIRUKI C., 1990. Enhanced detection of a plant pathogenic mycoplasma-like
organism by polimerase chain reaction. Proc. Japan Acad., 66, ser. B, 140-144.
DE SMEDT F., WIERENGA P.S., 1978. Solute transport through soil with nonuniform
water content. Soil Sci. Soc. Amer. J., 42, 7-10.
DEVIES D.A., 1963. Thermal properties of soils. In Van Wijk W.R. (ed.) Physics of Plant
Environment. North-Holland Publishing Co., Amsterdam.
DE WIEST R.M., 1969. Flow through porous media. Academic Press Inc., New York.
DIENER T.O., 1983. The Viroid – A Subviral Pathogen. American Scientist, 71, 481-489.
DI TOLA L., VIGNA GUIDI G., CERVELLI S., PETRUZZELLI G., 1997.
Monitoraggio della qualità del suolo e delle acque all'interno e nelle vicinanze di una
discarica di RSU. Giornata di Studio GSISR "Rifiuti" (A. Frigerio e Schieppati M.
ed.), Milano, 27 Febbraio 1997, 57-63.
DOMSCH H.H., GAMS W., ANDERSON T.H., 1981. Compendium of Soil Fungi.
Academic Press, New York, USA.
DOUBLEDAY G.P., 1974. The reclamation of land after coal mining. Outlook on
Agriculture, 8, 156-162.
EDWARDS M.L., COOPER J.I., 1985. Plant virus detection using a new form of indirect
ELISA. J. Vir. Methods, 11, 309-319.
EISENSTEIN B.I., 1990. The polimerase chain reaction. A new method of using
molecular genetics for medical diagnosis. Engl. J. Med., 322, 178-183.
ELIA A., SANTAMARIA P., CRISTIANO G., MONTEMURRO N., 1996. Azoto,
fosforo, potassio e produzione di piantine di melanzana. III Giornate Scientifiche
SOI, Erice, 10-14 marzo 1996, 355-356.
EMERSON W.W., 1959. The structure of soil crumbs. J. Soil Sci., 10, 235-244.
EMERSON W.W., 1967. A classification of soil aggregates based on their coherence in
water. Aust. J. Soil Res., 5, 47-57.
EMERSON W.W., 1968. The dispersion of clay from soil aggregates. Trans. 9 th Congr.
Soil Sci., 1, 617-626.
ERLICH H.A., 1989. PCR technology. Principles and applications of DNA
amplifications. Stockton press.
EVET S.R., STEINER J.L., 1995. Precision of neutron scattering and capacitance type
soil water content gauges from field calibration. Soil Sci. Soc. Amer. J., 59, 961-968.
442
443
Il terreno
EWEIDA M., SIT T.L., ABOUHAIDAR M.G., 1989. Molecular cloning of the genome
of the carlavirus potato virus S: biotinylatedRNA transcripts for virus detection in
crude potato extracts. Ann. Appl. Biol., 115, 253-261.
FALKENSTEIN K.F., TOOLEY P.W., GOODWIN S.B., FRY W.E., 1991.
Differentiation of group IV Phytophthora species by PCR amplification of nuclear
ribosomal DNA internal transcribed spacer region 2. 1991 APS annual meeting St.
Louis Abs., 169.
FAURE M.A., 1978. Comportement sel sols au compactage, rôle de l’argile et
conséquence sur l’arrengement des grain. C.R. Sèances Acad. Agric. France, 11,
914-916.
FEAGLE R.G., BUSINGER J.A., 1963. An introduction to atmospheric physics. Ac.
Press, New York.
FEINBERG A.P., VOGELSTEIN B., 1983. A technique for radiolabeling DNA
restriction fragments to high specific activity. Anal. Biochem., 132, 6-13.
FEINBERG A.P., VOGELSTEIN B., 1984. A technique for radiolabeling DNA
restriction fragments to high specific activity “addendum”. Anal. Biochem., 137,
266-267.
FENWICK D.W., 1940. Methods for recovery and counting of cysts of Heterodera
schachtii from soil. J. Helminth., 23, 91-96.
FEODOROFF A., 1970. Une méthode pour l’étude de l’infiltration au champ. Premiers
resultats. Science du sol, 1, 19-30.
FIUME F., NERVO A., CRESCENZI A., RESTAINO F., 1993. Comportamento di
varietà ed ibridi di peperone dolce (Capsicum annuum L.) verso infezioni virali
miste ed Oidiopsis taurica Lev. Sementi Elette, 39(6), 19-22.
FIUME F., PALUMBO A., PETRALIA S., 1993. Tomato root-knot nematode
Meloidogyne incognita (Kofoid et White) Chitwood control by chemical treatments,
soil solarization and resistant varieties. Abstract Book of the 5th ISHS International
Symposium on the processing tomato, Sorrento - Italy, 23-27 November 1993.
FIUME F., 1994. L’impiego dell’apprestamento protettivo per la solarizzazione del
terreno nelle colture protette in Italia meridionale. Informatore fitopatologico, 44(3),
52-57.
FIUME F., 1994. La solarizzazione del terreno in serra per il contenimento dei nematodi
galligeni della lattuga. Atti delle Giornate Fitopatologiche di Montesilvano
(Pescara), 9-12 maggio 1994, 2, 227-234.
FIUME F., PARISI B., 1995. La difesa del pomodoro in coltura protetta contro nematodi
galligeni (Meloidogyne Goeldi) e Pyrenochaeta lycopersici (Schneider et Gerlach) in
associazione. Informatore fitopatologico, 45(7-8), 44-50.
FIUME F., 1995. Influenza della solarizzazione del suolo su nematodi galligeni e resa ed
anticipo produttivi di lattuga. Nematologia mediterranea, 23 (suppl.), 135-142.
FIUME F., 1995. Control of Corky Root Caused by Pyrenochaeta lycopersici (Schneider
et Gerlach) on tomato in protected cultivations. Mededelingen Faculteit
Landbouwkundige en Toegepaste Biologische Wetenschappen Universiteit Gent
(Belgium), 60(2b), 381-392.
FLAIG W., 1960. Comparative chemical investigations on natural humic pompounds and
Fiume Francesco
their model substances. Scientific Proceedings of the Royal Dublin Society, 4, 4962.
FLEMING P.M., SMILES D.E., 1975. Infiltration of water into soil. Prediction in
catchement hydrology. Aust. Acad. Sci., 83-110.
FLORENZANO G., 1972. Elementi di Microbiologia del Terreno. Ramo Editoriale degli
Agricoltori, Roma.
FLORKIN N., SCOFFENIELS S., 1967. Biochimie et biologie moleculaire. Desoer,
Liege, Belgique.
FORTUN C., FORTUN A., CECCANTI B., 1977. Changes in water-soluble and EDTAextractable cations and enzymatic activities of soils treated with a composted solid
urban waste. Arid Soil Research and Rehabilitation, 11, 265-276.
FRAENKEL-CONRAT H., KIMBALL P.C., 1982. Virology. Prentice-Hall, Inc.
Englewood Cliffs, N.J.
FRATEPIETRO C., 1930. La crosta pugliese. Foggia, 1930.
FREAR D.S., HODGSON R.H., SHIMABUKURA R.H., STILL G.G., 1972. Behaviour
of Herbicide in Plants. Adv. Agron., 24, 327-378.
FRENKEL H., GOERTZEN J.O., RHOADES J.D., 1978. Effects of clay type and
content, exchangeable sodium percentage, and electrolyte concentration on clay
dispersion and soil hydraulic conductivity. Soil Sci. Soc. Amer. Proc., 42, 32-39.
GALLART F., PARDINI G., 1996. Perfilru: un programa para el analisis de la rugosidad
de perfiles microtopograficos mediante el estudio de la grometria fractal. IV
Reunion de Geomorfologia, Soc. Espanola de Geomorfologia, Coruna, 25 settembre
1996, 163-176.
GARDNER W.R., 1958. Some steady-state solutions to the unsatured flow equation with
application to evaporation from a water table. Soil Sci., 85, 228-232.
GARDNER W.R., 1960. Dynamic aspects of water availability to plants. Soil Sci., 89,
63-73.
GARDNER W.R., 1970. Field measurements of soil water diffusivity. Soil Sci. Soc. Am.
Proc., 43, 382.
GARDNER W.R., 1974. The permeability problem. Soil Sci., 117(5), 243-248.
GATES D.M., 1962. Energy exchange in the biosphere. Harper and Row, New York.
GEIGER R., 1966. The climate near the ground. Harvard Un. Press., Cambridge, Mass.
GERWITZ A., PAGE E.R., 1974. An empirical mathematical model to describe plant
root systems. J. Appl. Ecol., 11, 773-782.
GIBBS A.J., HARRISON B.D., 1979. Plant Virology: The Principles. Halsted Press,
John Wiley & Son, Inc., New York.
GIOVANNINI G., 1997. Post fire soil erosion risk: how to predict and how to prevent.
Proc. of Advanced Study Course on Wildfire Management, Atene (Grecia), 6-14
Ottobre 1997, 83-95.
GIOVANNINI G., LUCCHESI S. e CIOMPI S., 1997. Post fire vegetation dynamic and
its effect on soil erosion process. Proc. of Int. Workshops on Fire, Landscape and
Dynamics in Mediterranean Area, Banyuls sur Mer (France), 15-19 Settembre 1997,
444
445
Il terreno
186-190.
GIRALDES J.V., SPOSITO G., 1978. Moisture profiles during steady vertical flows in
swelling soils. Water Resources Res., 14, 314-318.
GOLDSTEIN A.H., MAYFIELD S.P., DANON A., TIBBOT B.K., 1989. Phosphate
starvation inducible metabolism in Lycopersicon esculentum. Plant Physiol., 91,
175-182.
GOLOVANOV A.I., 1969. Measuring thermal conductivity of soil under laboratory
conditions. Neth J. Agric. Sci., 17, 71-79.
GRAY T.R.G., WILLIAMS S.T., 1971. Soil Microorganism. Oliver & Boyd, Edinburg.
GREEN M.B., McCULLOCH A., 1976. Energy Consideration in the Use of Herbicides.
J. Sci. Food. Agric., 27, 95-100.
GREENLAND D.J., 1977. Soil damage by intensive arable cultivation: temporary or
permanent ? Phyl. Trans. R. Soc. Lond., B 281, 193-208.
GRIFFIN D.M., 1972. Ecology of soil fungi. Syracuse University Press, Syracuse, New
York.
GROENEVELT P.H., BOLT G.H., 1972. Water retention in soil. Soil Sci., 113(4), 238245.
GUBLER U., HOFFMAN B.J., 1983. A simple and very efficient method for generating
cDNA libraries. Gene, 25, 263-269.
HADAS A., SWARTZENDRUBER P.E., RIJTEMA P.E., FUCHS M., YARON B., 1979.
Phisical aspects of soil water and salts in ecosystems. Ecolog. Studies, J. SpringerVerlag Berlin 1979.
HAINES B., 1930. Hygroscopicity of Soils. Londra.
HALE M.E., 1983. The Biology of Lichens. University Park Press, Baltimore, Md, USA.
HAMMEL J.E., PAPENDICK R.I., CAMPBELL G.S., 1981. Fallow tillage effects on
evaporation and seedzone water content in a dry summer climate. Soil Sci. Soc. Am.
J., 45, 1016-1022.
HANKS R.J., ASHCROFT G.L., 1980. Applied soil physic. J. Springer-Verlag Berlin.
HARLEY J.L., SMITH S.E., 1983. Mycorrhizal Symbiosis. Academic Press, New York,
USA.
HARRIS R.F., CHESTERS G., ALLEN O.N., 1966. Dynamics of soil aggregation. Adv.
Agron., 18, 107-169.
HAUSSMANN G., 1950. L’evoluzione del terreno e l’agricoltura. Correlazione tra i
processi pedogenetici, la fertilità, la tecnica e le rese della coltura agraria. 1, Einaudi
Ed.
HAVERKAMP R., VANCLIN M., TOUMA J., WIERENGA P.J., VACHAUD G., 1977.
A comparison of numerical simulation models for one-dimensional infiltration. Soil
Sci. Soc. Amer. Proc., 41, 285-293.
HENIN S., GRAS R., MONNIER G., 1969. Le profil cultural. Masson et C.ie, Parigi.
HERKELRATH W.N., HAMBURG S.P., MURPHY F., 1991. Automatic, real time
monitoring of soil moisture in a remote field area with time domain reflectometry.
Water Resour. Res., 27, 857-864.
Fiume Francesco
HIGASHIYAMA I., 1980. The rheological significance of consistency limits of soil.
Bull. Yamagata Univ. Agr. Sci., 8, 601-627.
HILLEL D., 1980. Application of soil physics. Academic Press, New York, USA.
HOOK W.R., LIVINGSTON N.J., 1996. Errors in converting time domain reflectometry
measurements of propagation velocity to estimates of soil water content. Soil Sci.
Soc. Amer. J., 59, 35-41.
HULL R., 1989. The movement of viruses in plants. Ann. Rev. Phytopathol., 27, 213240.
HULL R., 1993. Nucleic acid hybridization procedures. In: Diagnosis of Plant Viruses
Diseases, R.E.F. Mattews. Ed., CRC Press Inc, Boca Raton, 267-271.
IDSO S.B., JACKSON R.D., KIMBALL B.A., NAKAYMA F.S., 1975. Dependence of
bare soil albedo on soil water content. J. Appl. Meteorol., 14, 109-113.
ISRAELIAN O.W., HANSEN V.E., 1962. Irrigation Principles and Practices. J. Wiley,
New York, USA.
JENKINSON D.S., 1981. The fate of plant and animal residues in soil. In Greenland
D.J., Heyes M.H.B., The chemistry of soil processes, pp.505-561, John Wiley,
London.
JENKINSON D.S., LADD J.N., 1981. Microbial biomass in soil: measurement and
turnover. In Paul E.A, Ladd J.N., Soil Biochemistry, 5, pp.415-471, Marcel Dekker,
New York.
JURY W.A., 1975. Solute travel-time estimates for tile-drained fields. I-II, Soil Sci. Soc.
Amer. J., 39, 1020-1028.
KACHINSKII N.A., 1966. Mechanicaland microaggregate composition of soil. Methods
of investigation. Israel program for scientific translation, Jerusalem, 1966.
KATAN J., 1980. Solar pasteurization of soil for disease control: status and prospects.
Plant Dis., 64, 450-454.
KEEN B.A., 1931. The physical properties of the soil. Longman’s Green & Co., Londra.
KEITH D., Mc KEVAN E., 1962. Soil Animals. H.F. & G. Witherby, London.
KLUTE A., 1972. The determination of hydraulic conductivity and diffusivity of
insaturated soils. Soil Sci., 113, 264-277.
KLUTE A., HEERMANN D.F., 1974. Soil water profile development under a periodic
boundary condition. Soil Sci., 117, 265-271.
KNEEBONE W.R., KOPEC D.M., MANCINO C.F., 1992. Water requirements and
irrigations. In: Turfgrass (D.V. Waddington, R.N. Carrow and R.C. Shearman eds.),
Amer. Soc. Agron.-Crop Sci. Amer.-Soil Sci. Soc. Amer., Madison, Wisconsin.
KROGMANN D.W., 1981. Cyanobacteria (Blue-Green Algae). Their Evolution and
Relation to Other Photosynthetic Organism. Bioscience, 31, 121-124.
LA FLEUR K.S., 1973. Some surface properties of selected soil components. Soil Sci.,
115, 145-148.
LAI S.H., TIEDJI J.M., ERICKSON E., 1976. In situ measurements of gas diffusion
coefficient in soil. Soil Sci. Soc. Amer. J., 40, 3-6.
LAWREY J.D., 1984. Biology of Lichenized Fungi. Praeger Scientific, New York, USA.
446
447
Il terreno
LEE I.M., DAVIS R.E., DEWITT N.D., 1990. Non-radioactive screening method for
isolation of disease specific probes to diagnose plant disease caused by
mycoplasmalike organisms. Appl. Environ. Microbiol., 56, 1471-1475.
LETEY J., KEMPER W.D. NOONAN L., 1969. The effect of osmotic pressure gradients
on water movement in unsatured soil. Soil Sci. Soc. Amer. Proc., 33, 15-18.
LIU C., RAGHOTHAMA K.G., 1995. Cloning and characterization of pTPI1, a cDNA
(accession no. U38808) for a phosphate starvation induced gene from tomato. Plant
Physiol., 109, 1126-1127.
LOCH J.P.G., 1978. Thermodynamic equilibrium between ice and water in porous media.
Soil Sci., 126, 77-80.
LUPETTI P., MALATESTA E., DALLAI R., 1989. Observations on soil fauna activity
and on midgut content of Collembola. 3rd International Seminar on Apterygota, 307315, University of Siena, Siena.
LUXMOORE R.J., STOLZY L.H., LETEY J., 1970. Oxygen diffusion in the soil-plant
system. Agron. J., 62, 317-332.
MAGGIONI A., VARANINI Z., NARDI S., PINTON R., 1987. Action of soil humic
matter on plants roots: stimulation of ion uptake and effects on (Mg2+, K+) ATPase
activity. The Science of the Total Environment 62, 355-363.
MALIK R.S., LAROUSSI C., DE BECKER L.W., 1979. Physical components of the
diffusivity coefficient. Soil Sci. Soc. Am. J., 43, 633-637.
MALQUORI A., 1979. Lineamenti di chimica del terreno. Ed. Scuola Universitaria,
Firenze.
MARSHALL T.J., 1958. A relation between permeability and size distribution of pores.
J. Soil Sci., 9, 1-8.
MARSHALL T.J., 1959. The diffusion of gase through porus media. J. Soil Sci., 10, 7982.
MARSHALL T.J., 1962. The nature, development and significance of soil structure.
Trans. Joint Meet Comm. IV and V I.S.S.S., Palmerston North, 243-257.
MARTELLI G.P., 1990. Aspetti ecologici delle virosi delle piante ortensi. Inf. Fitopat.,
10, 9-10.
MARTELLI G.P., 1991. Trasformazione genetica per la resistenza alle piante coltivate.
Atti Accademia dei Georgofili, 37, 349-368.
MARTELLI G.P., 1993. The new classification of Plant Viruses. Petria, 3, 131-140.
MARTIN J.P., MARTIN W.P., PAGE J.B., RANEY W.A., DE MENT J.D., 1955. Soil
aggregation. Adv. Agron. 7, 1.
MASCIANDARO G., MARINARI S., GRECO S., CECCANTI B., 1996. Use of
pyrolysis technique to evaluate changes in soil organic matter quality caused by
mineral and organic fertilization. 13th Meeting of the International Humic
Substances, IHSS, Wroclaw (Polonia), 9-14 settembre, 1996.
MASCIANDARO G., CECCANTI B., GALLARDO-LANCHO J.F., 1977. Organic
matter properties in cultivated versus set-aside arable soils. Agriculture Ecosystems
and Environment, 67, 311-319.
Fiume Francesco
MASCIANDARO G., CECCANTI B., GARCIA C., 1997. Acque reflue e sostanze
umiche in un microsistema suolo-radice. Atti del XIV Convegno della Soc. It. Chim.
Agr., SICA, Rimini, 25-27 Settembre 1977, 263-272.
MASCIANDARO G., CECCANTI B., GARCIA C., 1997. Soil agro-ecological
management: fertirrigation and vermicompost treatments. Bioresource Technology,
59, 199-206.
MASCIANDARO G., CECCANTI B., GARCIA C., 1997. Changes in soil biochemical
and cracking properties induced by "living mulch" systems. Canadian Journal of
Soil Science, 77(4), 579-587
MASCIANDARO G., MARINARI S., GREGO S., CECCANTI B., 1997. Use of
pyrolysis technique to evalutae changes in soil organic matter quality caused by
mineral and organic fertilization. In: The role of humic substances in the ecosystems
and in environmental protection (J. Drozd, S.S. Gonet, N. Senesi e J. Weber Eds.),
IHSS-Polish Soc. Humic Substances, Wroclaw, 425-430.
MATTEI F., CAPONIGRO DE ANGELIS P., 1980. Radiazione solare. Encicl. Agr. It.,
REDA, Roma.
MATTHEWS R.E.F., 1991. Plant Virology. Academic Press, St. Diego, USA.
MAULE A.J., HULL R., DONSON J., 1983. The application of spot hybridization to the
detectionof DNA and RNA viruses in plant tissues. J. Virol. Methods, 6, 215-224.
MAYER R.J., 1991. Molecular systematics of Trichoderma species by restriction
analysis of PCR-amplified ribosomal DNA fragments. 1991 APS annual meeting St.
Louis Abs., 805.
McKEAGUE J.A., WANG C., TOPP G.C., 1982. Estimating saturated hydraulic
conductivity from soil morphology. Soil Sci. Soc. Amer. J., 46, 1239-1244.
McINNES K.J.,1981. Thermal conductivities of soils from dryland wheat regions of
Eastern Washington. M.S. Thesis, Washington State University, Pullman.
McNEILLY T., JOHNSON M.S., 1978. Mineral nutrition of copper tolerant browntop on
metal contaminated mine spoil. J. Environ. Qual., 7, 483-486.
MELTON D.A., KRIEG P.A., REBAGLIATI M.R., MANIATIS T., ZINN K., GEEN
M.R., 1984. Efficient in vitro synthesis of biologically active RNA and RNA
hybridization probes from plasmids containing a bacteriophage SP6 promoter.
Nucleic Acids Res., 12, 7035-7056.
MENICOCCI W., CECCANTI B., 1977. How to combat desertification by improving the
fertility of the soil and promoting the recovery of organic waste through earthworm
technology. Convention to combat desertification, Conference of the parties, 1st
session held in Rome, F.A.O. Building September 29-October 10, 1997.
MENOZZI A., PRATOLONGO U., 1938. Chimica vegetale ed agraria: il terreno. III ed.,
Milano.
MILLER E.E., 1980. Similitude and scaling of soil-water phenomena. In Hillel D.:
Application of soil Physics. Academic Press, New York, USA.
MILLER D.E., GARDNER W.H., 1962. Water infiltration into stratified soil. Soil Sci.
Soc. Amer. Proc., 26, 115-119.
MILLER S.A., MARTIN R.R., 1988. Molecular diagnosis of plant disease. Ann. Rev.
Phytopathol., 26, 409-432.
448
449
Il terreno
MITCHELL L.G., MUTCHMOR J.A., DOLPHIN W.D., 1999. Zoologia. Zanichelli Ed.,
Bologna.
MOLDEHAUER W.C., 1975. Soil conditioners. Soil Sci. Soc. Amer. Spec. Pub. N. 7,
Madison, Wisconsin.
MONTEITH J.L., 1975. Principles of Environmental Physics. Edward Arnold, London.
MOSSE B., 1953. Fructifications associated with mycorrhizal strawberry roots. Nature,
171, 974.
MULLER P.E., 1879. Studier over skovjord, som bidrag til skovdyrkningens theori.
Tidssker, Skovbr, 3, 1-24.
NANNIPIERI P., 1989. Il comportamento del fertilizzante azotato nel sistema terrenopianta. Atti del Convegno su Fertilità del suolo e Nutrizione delle Piante, 75-86,
Della Torre, Portici (Napoli).
NANNIPIERI P., 1993. Ciclo della sostanza organica nel suolo. Aspetti agronomici,
chimici, ecologici, selvicolturali. Pàtron editore, Bologna.
NIELSEN D.R., BIGGAR J.W., 1961. Miscible displacement in soil. I. Experimental
information. Soil Sci. Soc. Am. Proc., 25, 1-5.
NIKOLAU B.J., WURTELE E.S., STUMPF P.K., 1985. Use of streptoavidin to detect
biotin-containing proteins in plants. Anal. Biochem., 149, 448-453.
NISBET B., 1984. Nutritional Feeding Strategies in Protozoa. Croom Helm, London and
Canberra.
NJOS A., 1978. Effects of tractor traffic and liming on yields and soil physical properties
of silty clay loam soil. Meld. Norges Landbrukshogsk., 57, 24.
NORMAN J.N., CAMPBELL G.S., 1983. Application of a plant-environment model to
problems in irrigation. Advances in Irrigation, 2, 155-188.
NYE P.H., TINKER P.B., 1977. Solute movement in the soil-root system. Blackwell,
Oxford.
ODDSON J.K., LETEY J., WEEKS L.V., 1970. Predicted Distribution of Organic
Chemicals in Solution and Adsorbed as a Function of Position and Time for Various
Chemicals and Soil Properties. Soil Sci. Soc. Amer. Proc., 34, 412-417.
OKAYAMA H., BERG P., 1982. High-efficiency cloning of full-length cDNA. Mol. Cell.
Biol., 2, 161-170.
OLIVA A., 1939. La teoria agronomica della fertilità. L’Italia agricola, 76(6), 71-92.
OLSEN S.R., KEMPER W.D., 1968. Movement of nutrients to plant roots. Adv. In
Agron., 20, 91-152.
OOSTENBRINK M., 1960. Estimating nematode populations by some selected methods.
In: Sasser e Jenkins, Nematology. Foundamentals and Recent Advances with
Emphasis on Plant Parasitic and Soil Forms. The University of North Caroline, 6,
85-102.
OWEN J., PALUKAITIS P., 1988. Characterization of cucumber mosaic virus. I.
Molecular heterogeneity mapping of RNA 3 in eight CMV strains. Virology, 166,
495-502.
PAGE A.L., MILLER R.H., KEENEY D.R., 1982. Methods of Soil Analyses. American
Fiume Francesco
Society of Agronomy, Madison, Wisconsin.
PAGLIAI M., BARBAFIERI M., BENETTI A., 1996. Riflessi dei sistemi colturali sulle
caratteristiche fisiche del terreno. In: Sistemi colturali alternativi in maiscoltura (a
cura di E. Bonari e M. Pagliai, ed. STAR - Pisa), 89-107.
PALUKAITIS P., COTTS ., ZAITLIN M., 1985. Detection and identification of viroids
and viral nucleic acids by “dot-blot” hybridization. Acta Horticul., 164, 109-118.
PANTANELLI E., 1952. Le terre del Tavoliere di Puglia. Annali di Sperimentazione
Agraria, 36, Roma.
PAOLETTI M.G., SOMMAGGIO D., PETRUZZELLI G., PEZZAROSSA B., 1996. Soil
invertebrates as monitoring tools for agricultural sustainability. Polskie Pismo
Entomologiczne, 64, 113-122.
PAPENDICK R.I., CAMPBELL G.S., 1980. Theory and measurement of water potential.
In relations in microbiology. Am. Soc. of Agron. Spec., Pubblicazione n. 9, 1-22.
PAPPU S.S., BRAND R., PAPPU H.R., RYBICKI E.P., GOUGH K.H., FRENKEL M.J.,
NIBLETT C.L., 1993. A polymerase chain reaction method adapted for selective
amplification and cloning of 3’ sequences of potyviral genomes: application to
dasheen mosaic virus. J. Virol. Methods, 41, 9-20.
PARDINI G., PLANA F., QUERALT I., 1996. Chemical and mineralogical
characteristics of Alpine Spodosol: evidence for allophane in Bh horizon.
Agrochimica 40, 180-190.
PARIKH R.J., HAVENS J.A., SCOTT H.D., 1979. Thermal diffusivity and conductivity
of soils as a function of temperature and water content. Soil Sci. Soc. Amer. J., 43,
1323-1325.
PARLANGE J.Y., STARR S.L., 1978. Dispersions in soil columns: effect of boundary
conditions and irreversible reactions. Soil Sci. Soc. Amer. J., 42, 15-17.
PARLANGE J.Y., HILL D.E., 1979. Air and water movement in porous media.
Compressibility effects. Soil Sci., 127, 257-263.
PASSIOURA J.B., 1972. The effect of root geometry on the yield of wheat growing on
stored water. Aust. J. Agric. Res., 23, 745-752.
PATRUNO A., TODERI G., CAVAZZA L., GIORDANI G., 1992. Influenza di
ammendanti organici su stabilità di struttura, contenuto in materia organica e
produttività del terreno. Riv. Agron., 26, 1, 33-42.
PAUL E.A., CLARK, F.E., 1989. Soil Microbiology and Biochemistry. Academic Press,
New York.
PECK A.J., 1969. Determining diffusivity from the redistribution of soil water. Soil Sci.
Soc. Amer. Proc., 33, 6, 980.
PECK A.J., 1969. Entrapment, stability, and persistence of air bubbles in soil water. Aust.
J. Soil Res., 7, 79-90.
PETERSON H., 1982. Quantitative ecology of microfungy and animals in soil and litter.
Oikos, 39, 288-482.
PETRONIO B.M., D'ORAZIO D., PETRUZZELLI G., GENNARO M.C., VANNI A.,
LIBERATORI A., 1996. Characterization of the liquid phase of sewage sludge.
Effects on copper adsorption by soil. Environmental Technology, 17, 439-444.
450
451
Il terreno
PETRUZZELLI G., 1979. Recupero agronomico di aree di scarico contaminate. L’Italia
agricola, 116(4-7), 107-115.
PETRUZZELLI G., 1996. Metalli pesanti nel compost e loro effetto sulla qualità del
suolo. Acqua Aria, 3, 311-315.
PETRUZZELLI G., BARBAFIERI M., 1996. La funzionalità del suolo, proprietà
indispensabile per la protezione della qualità delle acque. In: Acque Destinate al
Consumo Umano (GSISR ed.), 185-195.
PETRUZZELLI G., PETRONIO B.M., GENNARO M.C., VANNI A., LIBERATORI A.,
BARBAFIERI M., PEZZAROSSA B., PETRUZZELLI G., PICCOTINO D.,
MALORGIO F., SHENNAN C., 1996. Effetti della competizione tra ione solfato e
ione selenato sull'accumulo di selenio nei vegetali. II Convegno Chimica
Ambientale, Rimini, 18-20 settembre 1996, 21.
PETRUZZELLI G., PEZZAROSSA B., LUBRANO L. e BARBAFIERI M., 1996.
Heavy metal speciation and sorption in soil under traditional and sustainable
agriculture. In: "Euroanalysis IX - European Conference on Analytical Chemistry",
Bologna, 1-7 Settembre 1996, Book of Abstracts, Tu P31.
PETRUZZELLI G., 1997. Soil sorption of heavy metals. In: Ecological Issues and
Environmental Impact Assessment - Advances in Environmental Control
Technology, Series (Gulf Pub. Co., Houston, USA), 145-174.
PETRUZZELLI G., PETRONIO B.M., GENNARO M.C., VANNI A., LIBERATORI A.,
BARBAFIERI M. PEZZAROSSA B., 1997. Residual effect application of sewage
sludge on heavy metals sorption by soil. Annali di Chimica, 87, 733-742.
PETRUZZELLI G., PICCOTINO D., 1997. La qualità del suolo negli equilibri
ambientali. Giornata di Studio GSISR sulla Qualità del Suolo (A. Frigerio e M.
Schieppati ed.), Milano, 28 Febbraio 1997, 121-132.
PERRIER E.R., PRAKASH O.M., 1977. Heat and vapor movement during infiltration
into dry soils. Soil Sci., 124, 73-76.
PEZZAROSSA B., 1996. Effetto residuo dell'impiego di fanghi urbani sulle proprietà
adsorbenti del terreno nei confronti dei metalli pesanti. II Convegno Nazionale di
Chimica Ambientale, Rimini, 18-20 settembre 1996, 16.
PEZZAROSSA B., DI TOLA L., PICCOTINO D., GIANQUINTO G., ABU RAYYAN
A., 1996. Primi risultati sull'assorbimento di zinco in fagiolo e radicchio in relazione
a diversi livelli di concimazione fosfatica. Atti III Giornate Scientifiche SOI, Erice,
10-14 marzo 1996, 541-542.
PEZZAROSSA B., PICCOTINO D., CANARUTTO S., 1996. Riflessi dei sistemi
colturali sulle caratteristiche chimiche del terreno. In: Sistemi colturali alternativi in
maiscoltura (a cura di E. Bonari e M. Pagliai, ed. STAR - Pisa), 109-125.
PEZZAROSSA B., PICCOTINO D., MALORGIO F., SHENNAN C., 1996.
Assorbimento e trasporto di selenato in piante di pomodoro, in relazione al
contenuto di solfato nel substrato di crescita. XIII Convegno Nazionale Società
Italiana di Chimica Agraria, Rimini, 25-27 settembre 1996.
PEZZAROSSA B., PICOTTINO D., PETRUZZELLI G., MALORGIO F., SHENNAN
C., 1996. Selenium uptake in tomato plants in relation to sulphate content in the soil.
In: Euroanalysis IX - European Conference on Analytical Chemistry", Bologna, 1-7
Settembre 1996, Book of Abstracts, Tu P160.
Fiume Francesco
PEZZAROSSA B., PETRUZZELLI G., PICCOTINO D., MALORGIO F., HILLHOUSE
C.J., JONES J., SHENNAN C., 1997. Selenium uptake and partitioning in tomato
plants in relation to sulphate concentration in soil. In Contaminated Soils: Third
International Conference on the Biogeochemistry of Trace Elements, Paris, May 1519, 1995, Coll. 85, INRA Editions, Paris, France.
PEZZAROSSA B., PICCOTINO D., 1997. La problematica del selenio nel terreno e
nelle piante. Giornata di Studio GSISR sulla Qualità del Suolo (A. Frigerio e M.
Schieppati ed.), Milano, 28 Febbraio 1997, 74-81.
PHILIP J.R., 1957. The theory of infiltration. Sorptivity and algebraic infiltration
equations. Soil Sci., 84, 257-264.
PHILIP J.R., 1964. Similarity hypothesis for capillary hysteresis in porous materials. J.
Geophys. Res., 69, 1553-1562.
PHILIP J.R., 1967. Sorption and infiltration in heterogeneous media. Aust. J. Soil Res., 5,
1-10.
PHILIP J.R., 1968. The theory of absorption in aggregated media. Aust. J. Soil Res., 6, 119.
PHILIP J.R., 1968. Diffusion, dead end pores, and linearized absorption in aggregated
media. Aust. J. Soil Res., 6, 21-30.
PHILIP J.R., 1969. Early stages of infiltration in two-and three-dimensional systems.
Aust. J. Soil Res., 7, 213-221.
PHILIP J.R., 1969. Moisture equilibrium in the vertical in swelling soils. I. Basic theory.
Aust. J. Soil Res., 7, 99-120.
PHILIP J.R., 1975. Stability analysis of infiltration. Soil Sci. Soc. Amer. Proc., 39, 10421049.
PHILIP J.R., DE VRIES D.A., 1957. Moisture movement in porus materials under
temperature gradients. Trans. Am. Geophys. Union, 38, 222-231.
PHILIP J.R., FORRESTER R.I., 1975. Steady infiltration form buried, surface, and
perched point and line sources in heterogeneous soils. II. Flow details and
discussion. Soil Sci. Soc. Amer. Proc., 39, 408-414.
PILATO G., 1973. Guida pratica per il riconoscimento dei gruppi animali. Piccin,
Padova.
PINAMONTI F., GENEVINI P., PETRUZZELLI G., 1997. La problematica dei metalli
pesanti nel compost. L'Informatore Agrario, 44, 57-59.
PRESCOTT G.W., 1968. The Algae: A Review. Houghton Mifflin, Boston,
Massachusetts, USA.
PRINCIPI P., 1957. Crosta o Crostone. R.E.D.A., Roma, 1957.
PRINCIPI P., 1964. Geopedologia. Ramo editoriale degli agricoltori, Roma.
PRITCHARD D.T., CURRIE J.A., 1982. Diffusion coefficients of carbon dioxide,
nitrous oxide, ethylene and ethane in air and their measurement. J. Soil Sci., 33, 175184.
PUTCHA H., SANGER N.L., 1989. Sequence analysis of minute amounts of viroid RNA
using the polymerase chain reaction. Arch. Virol., 106, 335-340.
452
453
Il terreno
QIAN Y.L., FRY J.D., WIEST S.C., UPHAM W.S., 1996. Estimating turfgrass
evapotranspiration using atmometers and Penman-Monteith model. Crop Sci. 36,
699-704.
QUARONI S., SARACCHI M., 1994. Effetti indotti sulla produttività vegetale dalla
batterizzazione dei semi con ceppi di streptomoceti. Riv. Agron., 28, 3, 184-190.
RANKI M., PALVA A., VIRTENAN M., LAAKSONEN M., SODERLUND H., 1983.
Sandwich hybridization as a convenient method for the detection of nucleic acids in
crude samples. Gene, 21, 77-85.
RAW F., LOFTY R., 1960. Earthworm population in orchards. Rep. Rothamsted Exp.
Sta., 134.
RAWN J.D., 1990. Biochimica. Mc Graw Hill, Milano.
REDIGER G.J., CAMPBELL G.S., SAXTON K.E., PAPENDICK R.I., 1984. Infiltration
rate of slot mulches: measurement and numerical simulation. Soil Sci. Soc. Amer. J.,
48, 982-986.
REECE A.R., 1977. Soil mechanics of agricultural soils. Soil Sci. 123, 332-337.
RICE E.L., 1984. Allelopathy. Academic Press, Inc., New York.
RIGBY P.W.J., DIECKMSANN M., RHODES C., BERG P., 1977. Labelling
deoxyribonucleic acids to high specific activity in vitro by nick translation with
DNA polymerase I. J. Mol. Biol., 113, 237-251.
RIHA S.J., McINNES K.J., CHILD S.W., CAMPBELL G.S., 1980. A finite element
calculation for determining thermal conductivity. Soil Sci. Soc. Amer. J., 44, 13231325.
ROBBINS C.W., WAGENET R.J., JURINAK J.J., 1980. A combined salt transport –
chemical equilibrium model for calcareosus and gypsiferous soil. . Soil Sci. Soc.
Amer. J., 44, 1191-1194.
ROBERTSON N.L:, FRENCH R., 1991. Amplification of mite- and fungus- transmitted
potyviral 3’-terminal fragments by PCR. 1991 APS annual meetin St. Louis Abs.,
378.
ROGERS V.C., NIELSON K.K., RICH D.C., SANDQUIST G.M., MAUSCH M.L.,
1982. Radon attenuation with earthen covers. RAE-33-14. Rogers & Associates. Salt
Lake City, Utah.
ROSE D.A., 1977. Hydrodinamic dispersion in porous materials. Soil Sci., 123, 277-283.
ROSS I.K., 1979. Biology of the Fungi: Their Development, Regulation, and
Associations. McGraw-Hill Book Company, New York, USA.
ROTINI O.T., 1972. Correlazioni tra struttura, capacità idrica e stabilità del suolo. Atti
Acc. Naz. Lincei, 169, 369-407.
ROTINI O.T., TOMBESI L., LAUCIANI E., SEQUI P., 1973. Indirect determination of
field capacity. Agrochim., 17, 397-412.
ROUND F.E., 1973. The biology of the Algae. St. Martin’s Press, New York, USA.
RUGGIERO C., DE PASCALE S., BARBIERI G., 1994. Effetto dell’irrigazione con
acque a diverso contenuto salino sullo stato idrico, sull’accrescimento e sulla
produzione della melanzana (Solanum melongena L.). Riv. Agron., 28, 3, 222-234.
Fiume Francesco
RUSSEL J.E., 1950. Soil conditions and plant growth. Longmans, London.
RUSSEL J.S., 1964. Mathematical expresssion of seasonal changes in soil organic
matter. Nature, 204, 161.
RUSSEL E.W., 1971. Soil structure: its maintenance and improvement. J. Soil Sci., 22,
137-151.
RUSSEL J.S., 1975. Mathematical treatment of the effect of cropping system on soil
organic nitrogen in two longterm sequential experiment. Soil Sci, 120, 37.
RUSSEL J.S., GREACEN E.L., 1977. Soil factors in crop production in a semi-arid
environment. Univ. Of Quennsland Press, S. Lucia.
RUSSO D., BRESLER E., 1980. Scaling soil hydraulic properties af a heterogeneous
field. Soil Sci., Soc. Amer. J., 44, 681-684.
RUSSO D., BRESLER E., 1981. Soil hydraulic properties as stochastic processes. I. An
analysis of field spatial variability. Soil Sci. Soc. Amer. J., 46, 682-687.
RUSSO D., BRESLER E., 1982. Soil hydraulic properties as stochastic processes. II.
Errors of estimate in a heterogeneous field. Soil Sci. Soc. Amer. J., 46, 20-26.
SAIKI R.K., GELFAND D.N., STOFFEL S., SCHARF S.J., HIGUCHI R., HORN C.T.,
MULLIS K.B., NERLICH H.A., 1988. Primer-directed enzymatic amplification of
DNA with a thermostable DNA polymerase. Science, 239, 487-491.
SALLAM A., JURY W:A:, LETEY J., 1984. Measurement of gas diffusion coefficient
under relatively low air-filled porosity. Soil Sci. Soc. Amer. J., 48, 3-6.
SANTAMARIA P., ELIA A., SERIO F., CONVERSA G., GONNELLA M., 1996. Effetti
dell’azoto sull’accumulo dei principali ioni inorganici e sulla produzione della
rucola. III Giornate Scientifiche SOI, Erice, 10-14 marzo 1996, 425-426.
SANTAMARIA P., SERIO F., CONVERSA G., GONNELLA M., 1996. Azoto,
irradianza ed accumulo di nitrati nel prezzemolo. III Giornate Scientifiche SOI,
Erice, 10-14 marzo 1996, 423-424.
SANTINI A., 1974. Rilievi del potenziale e del contenuto d’acqua in mezzo non saturo.
Univ. Napoli.
SANTINI A., 1974. Processi d’infiltrazione e ridistribuzione dell’acqua in un mezzo non
saturo. Univ. Napoli.
SANTINI A., 1978. Bilancio idrico del sistema suolo-vegetazione, l’impiego di un
modello matematico di simulazione. Univ. Napoli.
SCHEIDEGGER A.E., 1980 Physics of Flow Through Porous Media. MacMillan, New
York, USA.
SCHNITZER M., KHAN S.U., 1972. Humic Substances in the Environment. Marcel
Dekker Ed., New York.
SCOGNAMIGLIO A., TALAME’ M., 1971. I principali generi di Nematodi fitoparassiti
presenti in Italia e loro determinazione. Boll. Lab. Ent agr. “F. Silvestri”, 29, 1-41.
SCOTT M.C., CAETANO-ANOLLES G., TRIGIANO R.N., 1996. DNA amplification
fingerprinting identifies closely related Crhrysantemum cultivars. J. Amer., Hort.
Sci., 121, 6, 1043-1048.
SEINHORST J.W., 1956. Quantitative extraction of nematodes from soil. Nematologica,
454
455
Il terreno
1, 3, 249-267.
SEINHORST J.W., DEN OUDEN H., 1966. An improvement of bijloo’s method for
determining the egg content of Heterodera cysts. Nematologica, 12, 170-171.
SELIM H.M., DAVIDSON J.M., RAO P.S.C., 1977. Transport of reactive solutes
through multilayered soils. Soil Sci. Soc. Amer. J., 41, 3-10.
SEQUI P., 1978. Soil structure. An outlook. Agrochimica, 22, 403-425.
SEQUI P., 1979. Parlare di fertilità del terreno nel ventesimo secolo. L’Italia agricola,
116(4-7), 22-24.
SEQUI P., 1979 Terreno, agricoltura, ambiente. L’Italia agricola, 116(4-7), 202-205.
SEQUI P., 1989. Chimica del suolo. Pàtron Editore, Bologna.
SEQUI P., GUIDI G., PETRUZZELLI G., 1973. Sulla determinazione dell’efficacia dei
condizionatori della struttura del suolo. Agrochim., 18, 150-155.
SKIDMORE E.L., DICKERSON J.D., SCHIMMELPFENNING H., 1975. Evaluating
surface-soil water content by measuring reflectance. Soil Sci. Soc. Amer. Proc., 39,
238-242.
SIMONSON J.R., 1975. Engineering Heat Transfer. MacMillan Press, London.
SMILES D.E., 1974. Infiltration into a swelling material. Soil Sci., 7, 3, 140-147.
SMILES D.E., 1977. Further comments on estimating the moisture diffusivity of wet
swelling systems. Soil Sci., 124, 2, 125-126.
SMILES D.E., PHILIP J.R., 1978. Solute transport during absorption of water by soil:
laboratory studies and practical implication. Soil Sci. Soc. Amer. J., 42, 537-544.
SMITH K.A., 1977. Soil aereation. Soil Sci., 123, 284-291.
SMITH O.L., 1979. An analytical model of the decomposition of soil organic matter. Soil
Biology, Biochem., 11, 585-606.
SONEA S., PANISET M., 1983. A New Bacteriology. Jones and Bartlett Publishers, Inc.
Boston, Mass.
SONG Y., HAM J.M., KIRKHAM M.B., KLUITENBERG G.J., 1998. Measuring soil
water content under turfgrass using the dual-probe heat-pulse techniques. J. Amer.
Soc. Hort. Sci., 123, 5, 937-941.
SPOSITO G., 1973. Volume changes in swelling clays. Soil Sci., 115, 315-320.
SPOSITO G., 1975. On the differential equation for the equilibrium moisture profile in
swelling soils. Soil Sci. Soc. Amer. Proc., 39, 1053-1056.
STEWART W.D.P., 1977. Algal Physiology and Biochemistry. Univ. Of California Press,
Berkeley and Los Angeles.
STEVENSON F.J., 1982. Humus Chemistry: Genesis, Composition, and Reactions. John
Wiley and Sons, New York.
STEVENSON F.J., 1986. Cycles of Soil Carbon, Nitrogen, Phosphorus, Sulfur,
Micronutrients. John Wiley and Sons, New York.
STOUT J.D., BAMFORTH S.S., LOUSIER J.D., 1982. Protozoa. Agron. Monogr. 9.
SYVANEN A.C., LAAKSONEN M., SODERLUND H., 1986. Fast quantification of
nucleic acid hybrids by affinity-based hybrid collection. Nucleic Acid Res., 14,
Fiume Francesco
5037-5048.
TALAME’ M., 1972. Tacniche di laboratorio in nematologia. Ist. Ent. Agr. di Portici,
nota divulgativa 5, Min. Agr. For., circ. 16, 1-79.
TAYLOR S.A., STEWART G.L., 1960. Some thermodynamic properties of soil water.
Soil Sci. Soc. Am. Proc., 24, 243-247.
TAYLOR S.A., ASHCROFT G.L., 1972. Physical Edaphology. Freeman, San Francisco,
USA.
TESTINI C., GESSA C., 1989. Le fasi solide. In Sequi P., Chimica del suolo, 117-149,
Pàtron Ed., Bologna.
TOPP G.C., DAVIS J.L., ANNAN A.P., 1980. Electromagnetic determination of soil
water content: measurement in coaxial transmission lines. Water Resour. Res., 16,
574-582.
TOPP G.C., DAVIS J.L., ANNAN A.P., 1982. Electromagnetic determination of soil
water content using TDR: I. Applications to wetting fronts and step gradients. Soil
Sci. Soc. Amer. J., 46, 672-684.
TOPP G.C., DAVIS J.L., BAILEY W.G., ZEBCHUK W.D., 1984. The measurement of
soil-water content using a portable TDR hand probe. Can. J. Soil Sci., 64, 313-321.
TREMBLAY E., 1983. Entomologia applicata. Liguori Ed., Napoli.
TROEH F.R., JABRO J.D., KIRKHAM D., 1982. Gaseous diffusion equations for
porous materials. Geoderma, 27, 239-253.
TURNER N.C., PARLANGE J., 1975. Two-dimensional similarity solution: theory and
application to the determination of soil-water diffusivity. Soil Sci. Soc. Amer. Proc.,
39, 387-390.
VAN DE POL R.M., WIERGENGA P.J., NIELSEN D.R., 1977. Solute movement in a
field soil. Soil Sci. Soc. Amer. J., 41, 10-13.
VAN GENUCHTEN M.T., WIERENGA P.J., 1974. Simulation of one-dimensional
solute transfer in porous media. New Mexico Ag. Exp. Sta. Bull. 628, Las Cruces.
VAN LOON W.K.P., PERFECT E., GROENVELT P.H., KAY B.D., 1990. A new method
to measure bulk electrical conductivity in soil with time domain reflectometry. Can.
J. Soil Sci., 70, 403-410.
VANNI A., GENNARO M.C., CIGNETTI A., PETRONIO B.M., PETRUZZELLI G.,
LIBERATORI A., 1997. Heavy metal speciation in anaerobic municipal sludge.
Comparison between single and sequential extraction. Journal of Environmental
Science and Health, 32, 1467-1489.
VAN VEEN J.A., LAAD J.N., FRISSEL M.J., 1984. Modeling C and N turnover through
the microbial biomass in soil. Plant and Soil, 76, 257-274.
VENTRELLA D., SANTAMARIA P., MAGNIFICO V., SERIO F., DE BONI A.,
CORDELLA S., 1993. Influenza dell’azoto sull’accumulo dei nitrati in foglie di
rucola (Eruca sativa Miller) allevata a differenti condizioni di temperatura ed
irradianza. Riv. Agron., 27, 4, 621-626.
VETTORAZZI G., 1975. State of the art of the toxilogical evaluation carried out by the
joint FAO/WHO Expert Committee on Pesticide Residues. I. Organohalogenated
pesticides used in public health and agriculture. Residue Rev., 56, 107-134.
456
457
Il terreno
VETTORAZZI G., 1976. State of the art of the toxilogical evaluation carried out by the
joint FAO/WHO Expert Committee on Pesticide Residues. II. Carbamate and
organophosphorus pesticides used in agriculture and public health. Residue Rev., 63,
1-44.
VETTORAZZI G., 1977. State of the art of the toxilogical evaluation carried out by the
joint FAO/WHO Expert Committee on Pesticide Residues. III. Miscellaneous
pesticides used in agriculture and public health. Residue Rev., 66, 137-184.
VIGNA GUIDI G., DI TOLA L., CERVELLI S., PETRUZZELLI G., PINI R., 1997.
Caratterizzazione chimico-fisica del sito. Rapporto LIFE/97 pp. 16.
VITOLO S., BRESCI B., PINI R., 1997. Treatment of cooling waters containing glass
from glass manufacturing plants for recycling. Glass Science and Technology
(Glastechnische Berichte), 70, 95-100.
WAKSMAN S.A., 1950. The Actinomyces. Chronica Botanica Comp., Waltham, Mass.,
USA.
WAKSMAN S.A., 1952. Soil Microbiology. John Wiley and Sons, New York.
WALKEY D.G.A., 1985. Applied Plant Virology. William Heinemann Ldt, London.
WARRICK A.W., MULLEN G.J., NIELSEN D.R., 1977. Scaling field-measured soil
hydraulic properties using a media concept. Water Resour. Res., 13, 355-362.
WARRICK A.W., NIELSEN D.R., 1980. Spatial variability of soil physical properties. In
Hillel D. Application of Soil Physics. Academic Press, New York. USA.
WEBB R.H., WILTSHIRE H.G., 1978. An annoted bibliografy of the effects of-road
vehicles on the environment. U.S. Geol. Open File Rep. 78-149.
WEBER J.B., 1972. Interaction of Organic Pesticides with Particulate Matter in Aquatic
Environment. Am. Chem. Soc., pp. 55-120, New York.
WEBSTER R., 1977. Quantitative and numerical methods in soil classification and
survey. Claredon Press Oxford.
WILLIAMS S.T., DAVIES F.L., 1965. Use of antibiotics fo selective isolation and
enumeration of actinomyces in soil. J. Gen. Microbiol., 38, 251-261.
WILSON M.A., 1987. NMR Techniques and Applications in Geochemistry and Soil
Chemistry. Pergamon Press, Oxford.
WHITE I., COLOMBERA P.M., PHILIP J.R., 1977. Experimental studies of wetting
front is stability induced by gradual change of pressure gradient and by
heterogeneous porous media. Soil Sci. Soc. Amer. J., 41, 483-489.
WHITE R.E., 1982. Introduzione ai Principi dell’Applicazione della Scienza del Suolo.
Edizioni Libreria Cortina, Torino.
WHITTAKER R.H., 1975. Communities and Ecosystems. Macmillan Publishing Co.,
Inc., New York.
WRAITH J.M., BAKER J.M., 1991. High-resolution measurement of root water uptake
using automated time-domain reflectometry. Soil Sci Soc. Amer. J., 55, 928-932.
YADOV B.R., RAO N.H., PALIWAL K.U., SARMA P.B.S., 1979. Comparison of
different methods for measuring soil salinity under field conditions. Soil Sci., 127,
335-339.
Fiume Francesco
YONG R.M., WARKENTIN B.P., 1966. Introduction to Soil Behaviour. McMillan Co.,
New York.
YOUNGS E.G., 1974. The use of Green and Ampt approach in soil-water movement
studies. Agrochim., 18, 231-239.
ZARADNY H., FEDDES R.A., 1979. Calculation of nonsteady flow towards a drain in
saturated-unsaturated soil by finite elements. Agric. Water Manag., 2, 37-53.
ZASLAVSKY D., GARBER M., 1976. Infiltration through soil with a slightly permeable
buried membrane. Soil Sci., 122, 321-330.
ZITTER T.A., SIMONS J.N., 1980. Management of viruses by alteration of vector
afficiency and by cultural practices. Ann. Rew. Phytopath., 18, 289-310.
ZUCKERMAN B.M., 1960. A method for concentration of nematodes for mounting
from Baermann apparatus. Proc. Helm. Soc. Wash, 27(1), 37-39.
458
459
Il terreno
INDICE ANALITICO
A
abaco di Suarez 248
Acarapis woodi 359
acari 36, 68, 108, 202, 281, 282, 312,
330, 331, 367, 383, 384, 385, 387
– armadilli 356
– batteriovori 360
– fitomizi 360
– fitoparassiti 360, 386
– fungivori 360
– oribatei 356, 357, 366, 384
Acarina 354, 356, 358
Acarus siro 359
accumulo dei nitrati nel suolo 425, 426
acelomati 338
Acerella 364
Acerentomon doderoi 364
Acerentulus danicus 364
Aceria sheldoni 359
acervulo 294
acetato-malonato 295
Achromobacter 406, 422, 424, 429
acidi 65
– fulvici 188, 204, 205, 210, 219
– lichenici 36
– policarbossilici 238
– silicilici 31
– tecoici 432
– umici 19, 188, 189, 204, 205, 210, 219
Fiume Francesco
acidificazione 224, 225, 226, 232, 234, 247
acidità 223, 225, 246, 255, 257
– attiva 226
– attuale 226, 229
– potenziale 226
– titolabile 228
acido
– acetico 224, 394, 405, 408, 429
– alfalichenstearico 36
– benzen-dicarbossilico 210
– benzen-tricarbossilico 210
– benzen-tetracarbossilico 210
– benzen-pentacarbossilico 210
– benzoico 210, 388
– borico 265
– butirrico 405
– carbonico 35, 36, 238, 239
– carbossi-mucoico 409
– cetrarico 36
– citrico 257, 305
– cloridrico 45, 46
– desossiribonucleico 311
– diortosilicico
– EDTA 34
– esasilicico
– etilendiamminotetracetico 34
– fitico 432
– fluoridrico 46
– formico 224
– fosforico 227
– fumarico 36, 394
– fumarprotocetrarico 36
– gallico 295
– idrossibenzoico 409
– indolacetico 337, 419
460
461
Il terreno
– lattico 394
– lichenici 35, 36
– malico 305
– metadisilicico 32
– metasilicico 32
– metatrisilicico 32
– nitrico 425
– nitroso 425
– nucleinico 204, 310
– orsellinico 295
– ortosilicico 32
– ossalico 224, 305
– pectico 407
– pentasilicico 32
– p-idrossicinnamico
– piruvico 295, 394, 395, 396, 397, 417
– poligalatturonico 407
– propionico 405
– protocatechico 295, 409
– protocetrarico 36
– scichimico 295
– solfidrico 18, 226, 232, 260, 269, 415, 429
– solforico 33, 34, 46, 65, 429
– solforoso 33, 34
– succinico 305
– tartarico 305
– tetrasilicico 32
– triidrossibenzoico 295
– usnico 36
– vanillico 409
acqua 9, 10, 17, 26, 30, 39, 55, 181, 225, 235, 392
– allo stato solido 42
– ammissibile 249
– angolare 125
– buona 249
Fiume Francesco
– capillare 133, 135, 136, 270
– corrente 26, 39
– del terreno 237
– di adesione capillare 125
– di capillarità 125, 144
– di colatura 252
– di costituzione 125
– di cristallizzazione 125
– di dilavamento 26
– di drenaggio 64, 233, 234, 270
– di falda 66
– di imbibizione
– – capillare 150
– – micellare 125
– di irrigazione 56, 145, 233 274, 424
– di membrana 125
– di percolazione 101, 120, 121, 125, 149, 194
– di pioggia 149, 152, 230, 237, 274
– di ruscellamento 75, 154, 258, 261
– di scorrimento 155, 230
– di sorgente 252
– disponibile per le piante 151
– dura 229, 230, 245, 262
– eccellente 249
– freatica 125, 230, 252
– gravitazionale 110, 115, 120, 121, 125, 126, 133, 135, 149, 150, 194, 270
– igroscopica 125, 133, 135, 140, 147, 149
– incerta 249
– industriale 252
– interstiziale 125
– inutilizzabile 249
– libera 125
– marina 26, 41, 259
– meteorica 26, 56, 63, 64, 245, 259, 424
– molle 247
– naturale 245
– non disponibile per le piante 151
462
463
Il terreno
– reflua 251, 252
– salina 247
– salmastra 65, 245
– sotterranea 245, 246
– superficiale 245, 246
Acrinomyces 416
Acrostalagmus 342
Actinomyces 290
– acidophilus 290
Actinomycetaceae 290
actinomiceti 281, 282, 289, 295, 312,
317, 405, 407, 429
Actinomycetales 290
Actinophrys 335
addome 354, 364
adesione del terreno 107, 117, 118, 187, 194
adesività 107, 117, 118
– per il ferro 118
– per il legno 118
adsorbimento 67, 83, 200, 212, 217, 218, 259, 268, 424
– anionico 217, 235
– chimico 218, 219
– fisico 218
– negativo 218
aerazione del terreno 107, 122, 156, 199, 273, 279, 425
aerosol 230, 259
Aërobacter 312
afidi 356
Afrocampa 368
agenti biologici 35
agglomerati 186
aggregati 86, 108, 109, 115, 186, 189, 191, 192, 193, 195, 196, 197, 287, 288, 356
– a faccia superiore poligonale 191
– a margine frastagliato 191
– a struttura lamellare 191
Fiume Francesco
– cordoniformi 191
– poliedrici 191
agricoltura
– estensiva 11
– intensiva 11
Agriolimax agrestis 349
Agriotes 370
Agrobacterium 284, 312, 422
Agroecosistema 387, 389
Agromyzidae 369
albedo 158, 165
albite 261
albumina 415
alcali 65
Alcaligenes 422
alcalinità 233, 234
– del terreno 65, 222
alcalinizzazione 232, 233
– costituzionale 232
alcool 394
– coniferilico 295, 409
– cumarilico 295, 409
– etilico 405
– metilico 407
– sinapilico 295, 409
aldosi 394
algalizzazione 306
alghe 28, 35, 36, 202, 301, 333, 338, 346, 350, 356, 367, 384, 385, 387, 428
– azotofissatrici 303
– azzurre 35, 301, 302, 333
– brune 302
– giallo-verdi 302
– lichenizzanti 35
– simili a protozoi 302
– unicellulari 333
464
465
Il terreno
– verdi 35, 301, 307
Alicorhagia fragilis 358
alleloceli 338
Allocampa
Allogromia 335
Allolobophora
– caliginosa 350
– terrestris 350
allumina 63, 202
alluminio 24, 34, 85, 219, 222, 224, 225, 226, 228, 229, 269
allumogelo 31
alluvionamento 54
alluvioni
– di delta 40
– di inondazione 40
Alnus 416
Alternaria 296, 297, 298
amebe 346
ameboflagellati 334, 335
ametaboli 368
amido 394, 400, 401
– di mais 415
– di patata 415
amilosio 400
amilopectina 400, 401
aminoacidi 203, 224, 259, 289, 305
ammendanti 116
ammoniaca 18, 46, 225, 254, 269, 288, 291, 388, 408, 422, 425
ammonificazione 420
ammonio 239
ammoniogeno 421
Amoeba 335
amplificazione genica 319, 326, 328
Anabaena 302, 306, 416
– azollae 304
Fiume Francesco
466
– cylindrica 303, 304, 305
– laxa 304
– oscillarioides 304
Anabaenopsis 303
anaerobiosi facoltativa 424
Anajapyx
– mexicanus 368
– vesiculosus 368
analisi
– della fase gassosa 276
– granulometrica 86, 191
– gravimetrica 240
anametabolia 364
anatomia del lombrico 351
anellidi 36, 50, 111, 282, 346, 350, 373
Angiospermae 416
anidride
– carbonica 10, 18, 30, 35, 36, 46, 56, 122, 161, 162, 188, 225, 226, 232, 237, 252,
261, 262, 268, 269, 271, 280, 288, 392, 394, 405, 434
– – dell’aria tellurica 268, 272, 279
– – fissata dall’idrosfera 394
– – fissata sulla terraferma 394
– – marcata 310
– di silicio 31, 32,
– solforica 33, 34
– solforosa 33, 34, 259, 309, 427
anidrite 23, 32
anidrobiosi 331
Animalia 333, 337
Anisocampa 368
Annelida 350
anomeri 401
anortite 261
antagonismo ionico 228
anteridio 293
Anthoceros 416
antibiotici 305 341, 427
467
anticrittogamici 68
apatite 30, 261
Aphelenchoides
Aphelenchus 341
– avenae 342
Aphodius 370
aplanoconidi 293
apotecio 294
apparecchio
– di Appiani 88
– di Atterberg 88, 92, 95
– di Fenwick 379
– di Oostenbrink 376, 377
– di Schöne-Kopecki 88
– di Seinhorst 380
apporto di elementi chimici 253
appressori 310
Apterygota 364
Aptyctima 356
arabinosio 407
Arachnida 354
aracnidi 281, 383
Araneae 354, 355
araneidi 329, 330
arbuscoli 299
Arcella 335
Archimycetes 313
Archisotoma Besselsi 367
arcosi 22
Arctostaphylos 416
ardesie 24
areale 390
areazione 17
aree di scarico 14
arenarie 10, 21, 23
Il terreno
Fiume Francesco
arenili 41
argento 66
argilla 17, 20, 23, 31, 52, 53, 80, 85, 88, 99, 112, 119, 120, 132, 183, 188, 189, 192,
193, 194, 201, 202, 213, 219, 225, 232, 258, 261, 421
argillificazione 31
argilliti 21
argon 162, 269
aria 18, 330
– atmosferica 18, 33, 71, 268, 270, 274, 330
– confinata 268
– tellurica 18, 71, 115, 267, 268, 269, 270, 274, 276, 279, 280, 330
Ariolimax columbianus 349
Arion 349
Armillariella 296, 297
– mellea 297
arsenico 388
Arthrobacter 284, 285, 408
– globiformis 422
Arthrobotrys anchonia 342
Arthropoda 330, 354
artropleoni 365
artropodi 346, 354, 373, 387
artrospora 293
– globiformis 285
ascensione capillare 133, 134, 137
asco 293
ascolicheni 35
ascomiceti 35, 307
Ascomycota 292, 293
ascospora 293
asfissia radicale 126
Aspergillus 68, 296, 297, 298, 342, 407, 408
– flavus
422
– sydowi 295
asportazione di elementi chimici 253
468
469
Il terreno
assetto
– cubico 108
– piramidale 108
assimilabilità del potassio 261
assimilazione del fosfato 432
assorbimento 262
ateluridi 368
atmidometro 146
atmobios 330, 376
atmobiotici 330
atmometro di Livingston 146, 147
atmosfera 9, 111, 427
ATP 226
Atopogale cubana 375
atrazina 69, 70
attacco fungino ai nematodi
– endozoico 342
– esozoico 342
attinofagi 312
attività delle particelle terrose 211
attrito del terreno 117
Atypus 354, 355
Aulosira 303
– fertilissima 306
aureola metamorfica 22
austori 310
autotrofismo delle alghe 303
auxine 305
azione dei batteri del terreno 283
Azolla caroliniana 416
azoto 9, 18, 101, 162, 229, 233, 239, 252, 253, 254, 268, 280, 289, 312, 383, 392, 418,
434
– atmosferico 298
– dell’aria tellurica 269
– minerale 56, 386
Fiume Francesco
– nitrico 56, 255
– organico 56
Azotobacter 312, 401, 406, 413, 417
– agilis 414
– beijerinckii 414
– chroococcum 414
– insignis 414
– macrocytogenes 414
– vinelandii 414
azotofissazione 413, 414, 415, 416, 417, 418, 419
azotofissatori 312
B
Bacillariophyceae 302
Bacillus 284, 424
– cereus 401, 408
– cirulans 407
– ellembachensis 421
– macerans 401
– megatherium 421, 430
– – var. phosphaticum 433
– mycoides 421
– subtilis 401, 407, 421
Bacterium prodigiosum 337
banconi 86
bario 127, 213
basalti 20
– trachiti 49
basidio 293
basidiolicheni 35
basidiomiceti 35, 295, 299, 307
Basidiomycota 292, 293
basiodiospora 293
basi di scambio 212
470
471
Il terreno
basi scambiabili 223
basoidi 104
batteri 35, 110, 188, 189, 202, 281, 282, 290, 295, 302, 312, 317, 333, 336, 338, 350,
352, 385, 405, 428
– aerobi 225, 394, 405, 407, 430
– – obbligati 288
– anaerobi 269, 394, 405, 407, 430
– – emicellulolitici 407
– – facoltativi 288, 424, 429
– – obbligati 288
– autoctoni 287
– autotrofi 424, 429, 430
– azotofissatori 56, 225, 229
– chemiosintetizzanti 429
– eterotrofi 288, 289, 424, 429, 430
– fotosintetici 429, 429
– gram-negativi 289
– gram-positivi 289
– microaerofili 288
– nitricanti 423
– nitrici 423
– nitrificanti 229, 288
– nitrosanti 423
– nitrosi 423
– solfatoriduttori 420
– termofili 405
– zimogeni 287
batterioclorofilla 429
batteriofagi 312, 384
batterioporporina 429
bauxiti 31
Bdellovibrio bacteriovorus 286, 287
Beggiatoaceae 429
Beijerinckia 414
– acida 415
Fiume Francesco
– congensis 415
– derxii 415
– fluminensis 415
– indica 415
– lacticogenes 415
– mobilis 415
Belba 357
Berberentulus 364
Bibio 369
Bibionidae 369
bicarbonato 231, 238, 239, 252, 269
– di calcio 30, 37, 188, 229, 239, 246
– di magnesio 246, 247
bilancio
– idrogeologico 250
– salino 250
biocenosi 390
biodiversità 389, 391
biodosaggio 306
biofase del terreno 280, 282
biomassa 11, 12, 317, 422
Biomyxa 335
biosfera 393
biossido di manganese 264
biotecniche 390
biotipi 391
biotite 262
biotopi 11, 390
Bipalium kewense 338
Bivalvia 349
Blanjulus guttulatus 362
Blasia 416
blastospora 293
Bledius 370
blocchi 79
472
473
Il terreno
Bodo 335, 336
borato 231, 265, 266
boro 262, 265, 305
borosilicati 265
Botrytis 295
Bourletiella hortensis 367
Bradirhizobium 416
brecce 61
bromuri 65
C
cadmio 66, 388
cainite 30
calcare 10, 23, 30, 37, 45, 46, 49, 52, 56, 61, 101, 102, 112, 118, 157, 228, 232, 262
– attivo 46, 262
– nummulitico 334
– totale 46
calcarello 63
calce 65, 228
calcedonio 31
calcimetro 46
calcio 18, 23, 56, 127, 157, 195, 197, 213, 216, 218, 219, 229, 231, 234, 238, 239, 255,
261, 262, 263, 311
calcitazione 228, 255, 257, 262, 306
calcite 19, 261
Calomyia 369
calore
– di umettazione 149
– latente 180
– sensibile 169
Calotrix 303
– brevissima 304
– clavata 304
Candida 433
Fiume Francesco
campione 81, 317
Campodea 368
– redii 367
Campodella 368
Candida 298
Canthareus aperta 348
cannibalismo 366, 385
caolinite 29, 32, 103, 200, 202
caolinizzazione 31
caolino 31, 132, 201
capacità
– di campo 110, 126, 194, 279
– di evaporazione 107, 140, 145
– di ritenuta 121
– di scambio cationico 212, 261
– idrica 107, 125, 199, 202, 420
– – assoluta 125, 126, 127
– – di saturazione 126
– – massima 135, 151
– – relativa 125
– igroscopica 147, 148
– termica 149, 167, 202, 268
capillarità 107, 108, 133, 152
capo 364
cappellaccio 62
capside 311
Carabidae 370
carabidi 387
Carabodes 356, 357
caranto 61
caratteri dell’acqua 245, 246
– chimici 246
– fisici 245
caratteristiche del terreno 16, 106
– biologiche 202
474
475
Il terreno
– chimiche 202
– dinamiche 15, 106
– fisiche 202
– statiche 14, 16
carboidrati 203, 260, 263
carbonato 45, 53, 64, 238, 246, 261, 262, 269
– di ammonio 255
– di alluminio 34
– di calcio 30, 43, 53, 56, 60, 188, 219, 223, 228, 232, 238, 248
– di magnesio 34, 53, 248
– di manganese 34, 264
– di potassio 31, 65
– di sodio 65, 86, 232, 234
– di titanio 34
carboni fossili 21
carbonificazione 204
carbonio 392, 434
– anomerico 402
carbossimetilcellulosa 407
Carboxydomonas 288
carica elettrica 83, 84, 103, 104
– batterica 283
– dei microrganismi del suolo 316
– netta 201
– permanente 201
– variabile 201
Carmovirus 315
carnivori 383
carotaggio 9
Carpoglyphus passularum 359
carte
– geoagronomiche 49
– geolitologiche 44
– geologiche 38, 49
– pedologiche 158
Fiume Francesco
Casuarina 416
categorie tassonomiche 333
catena
– alimentare 383
– dei suoli 77
– trofica 360
cationi
– non scambiabili 212
– scambiabili 212, 265
Cavilaria 416
cavità palleale 349
Ceanothus 416
Cecidomidae 360, 369
cefalodio 35
cefalotorace 354
cellotetraosio 404
cellotriosio 404
cellule poliploidi 419
cellulosa 300, 394, 401
– naturale 403
– pura 403
celoma 350
Cellfalcicula 405
Cellvibrio 405
– flavescens 405
– ochraceus 405
– rosea 405
– viridis 405
centopiedi 330
Cepae nemoralis 348
Cephalochordata 374
Cephalosporium 298
Cepheus 357
ceppo 61
Ceratopogonidae 369
476
477
Il terreno
cerci 367, 368
Cercocarpus 416
Cercomonas 336
cesio 127, 213
Chaetomium 294, 295, 296, 297
Chamobates schutzi 358
chephalon 361
chelanti 263
chelato 263, 265, 266, 267
chelazione 34, 238
Chelicerata 354
chelicerati 354
cheliceri 354
chemioadsorbimento 218
chemisorzione 218
chetosi 394
Chilodon 336
Chilopoda 362, 363
chilopodi 329, 330, 331, 362, 363, 364, 383, 387
chinoni 427
chitina 334, 394, 408
chitobiosio 408
chitosani 408
chitotriosio 408
chlorfenvinphos 67
Chlorella 302
Chlorobacteriaceae 429
Chlorococcales 35
Chlorococcum 302
Chlorophyceae 301
Chordata 374
Chrysochloris asiatica 375
cianobatteri 35, 302, 307, 333, 416
cianofagi 312
cianoficee 302, 303, 312
Fiume Francesco
cianuri 66
cicli
– biogeochimici 392
– degli elementi nutritivi 392
– della materia vivente 11
ciclo
– dei rotiferi 345
– dell’azoto 412
– del carbonio 392
– del fosforo 430, 431, 432, 433, 434
– dello zolfo 426
Cichlonema 342
Cicindela 370
Cicindelidae 370
ciclosilicati 200
ciglia 334
ciliati 331, 334, 336
Ciliophora 334, 335
ciottoli 39, 58, 64, 79, 80
cisteina 259, 427, 429
cisti 331
cistina 259, 427
citocromo 226, 263
citostoma 336
Cladonia
– cristatella 307, 308
– subtenuis 307, 308
Cladosporium 296, 297, 298, 408
– herbarum 294
clamidospora 293
Clathrulina 335
Claviger 370
cleistotecio 294
clorite 32, 44, 201, 262
cloroficee 306
478
479
clorosi 263
cloruro 64, 219, 230, 231, 262
– di alluminio 34
– di ammonio 46
– di calcio 32, 65
– di magnesio 34, 65
– di manganese 34
– di potassio 65
– di sodio 65, 247
– di titanio 34
Closterium 306
Clostridium 407, 413, 414, 417, 430
– acetobutylicum 415
– amylolitycum 401
– aurantium 407
– beijerinckii 415
– butylicum 415
– butyricum 401, 407
– corallinum 407
– felsineum 407, 415
– kluyveri 415
– lactoacetophilum 415
– macerans 407
– madisonii 415
– maymonei 407
– multifermentans 415
– omnivorum 407
– pasteurianum 415
– pectinolyticum 407
– pectinovorum 415
– perfrigens 401
– polymixa 407
– roseum 407
Clythiidae 369
Clytocybe 297
coefficiente
Il terreno
Fiume Francesco
– di appassimento 110, 125, 126, 135, 149, 150
– di conducibilità
– – del terreno per l’aria 276, 277
– – termica 181
– di contrazione 27
– di diffusione 271, 272
– – termica 168
– di dilatazione 27
– di torbida 246
– igroscopico 135, 151, 152, 273
coesione 76, 107, 112, 116, 117, 118, 128, 193
Coleoptera 370
coleotteri 330, 367, 383, 384
Collema 416
collemboli 68, 282, 330, 331, 356, 365, 366, 367, 384, 385, 386, 387
colloforo 365
colloide 12
colloidi 79, 83, 84, 197, 268, 430
– argillosi 85, 226, 232, 233, 266
– ferro-alluminici 86
– idrofili 84
– idrofobi 84
– liofili 84
– liofobi 84
– minerali 12, 103, 120, 152, 195, 197, 221, 226, 281, 312
– organici 12, 116, 152, 195, 221, 281, 312
– umici 12, 85
Collybia 296, 297
colonie batteriche 85
colonizzazione micorrizica 300
colore 44, 107, 119, 156
Colpidium 335
Colpoda 336
commensalismo 281, 385
Comovirus 315
complesso 263, 267
480
481
Il terreno
– assorbente 83, 223, 238, 262, 265
– di scambio 71, 227, 253, 260, 261, 262
composizione
– chimica 233, 268
– della crosta terrestre 10
– della popolazione microbica 284
– fase gassosa 268
– della soluzione circolante 238, 239
– fisica del terreno 14, 17
– granulometrica 79, 81, 182, 199, 267
– meccanica 83
– mineralogica 43, 44
composti umici 85, 156, 264, 291, 292
Comptonia 416
concentrazione
– dell’acqua irrigua 247, 251
– della soluzione circolante 238, 239
– ionica 184, 215
– salina 231, 233, 242
conchiglia 349
– dentellata 349
concimi fisiologicamente acidi 222, 229, 257
condizionatori della struttura 116, 188, 189, 196, 197
condizioni
– del terreno 15
– – biologiche 15, 106, 280, 281, 391
– – chimiche 15, 106, 199, 202, 235
– – di abitabilità 202, 267, 284, 389
– – di nutrizione 202, 284
– – fisiche 202
– di fame 318
– di limite di confine 184
conducibilità 179, 241
– elettrica 179, 231, 233, 234, 247
– idrica 199
Fiume Francesco
– termica 27, 168, 179, 180, 181, 182, 183, 242
conduttività
– capillare 136
– termica 168, 181, 182, 268
conduzione del calore 169
conglomerato 21, 61, 86
coni
– di detrito 38
– di frana 39
conidiangio 293
conidio 293, 384
conidiofori 293
conoidi
– alluvionali 40
– di deiezione 40
conservazione del suolo 14
consumatori 383
– primari 281, 383, 384
– secondari 281, 383
– terziari 281, 383
consumo di lusso 261
contrazione 107, 119, 127
– principale 132
– residuale 132
controllo biologico 390
– dei nematodi 343
– naturale 390
controllo naturale 390
controradiazione dell’atmosfera 166
convezione 169, 181
Coniothyrium 296, 297, 298
coprofagi 331
copulazione planogametica 293
coremio 294
Coriaria 416
482
483
Il terreno
cornubianiti 23
corona 344
corpo nero 159, 160
corrasione 27, 39
correttivi 65, 228, 234
correzione 228, 229, 234, 235, 255, 257, 259, 262, 266
corteccia
– inferiore 309
– superiore 309
Corynebacterium 284, 422
Cosmarium 306
costante
– di dissociazione 128, 220
– dielettrica 243
– solare 161
costipamento 107, 112, 123
costituzione del terreno 15, 17, 79, 105, 152
costituenti del suolo
– inorganici del suolo 200
– organici del suolo 202
costolone 63
crepacciabilità del terreno 103, 132, 152, 194
Criconema 341
Criconemoides 341
crioclasi 26
criptobiosi 346, 372
criptopori 110
crisocloridi 375
cristalliti 148
cristallizzazione 28
crosta 9, 60, 111
– superficiale 102, 143
– terrestre 10, 31, 54, 393
– – continentale 10
crostacei
– copepodi 330
Fiume Francesco
484
– isopodi 330
crostone 60
– di irrigazione 63
– di lavorazione 63
Crustacea 354, 361
Cryptodifflugia 335
Cryptomphalus aspersus 348
Cryptophagidae 370
Cryptophagus 370
Cryptostigmata 358
Cteniza ariana 354
Ctenolepisma 368
– lineata 369
Culicoides 369
Curculinidae 370
curvatura dei menischi 134
Curvularia 297, 298
Cyanophyceae 301
Cycadaceae 416
Cylindracheta 371
Cylindrojulius 363
Cylindrospermum 302, 306
– muscicola 303
Cytophaga 405, 408
D
2,4 D
69
danni delle alghe 306, 307
deacetilazione 408
debbio 229
DD 67
DDT 68
decompositori 383, 387, 392
decomposizione 16, 25, 29, 79, 80, 86, 224, 229, 232, 237, 260, 343, 352, 357, 386,
485
433
– di laterizzazione 31
decorazione 321
deflazione 27, 43
deflocculazione 196
deformazione del terreno 112
degradazione 280, 360, 368
– anaerobica delle proteine 421
– degli zuccheri semplici 394
– dell’amido 291, 400
– della cellulosa 282, 291, 295, 300, 401
– della chitina 291, 408
– della emicellulosa 291, 297, 406
– della lignina 295, 300, 408
– della sostanza organica 422
– delle pectine 407
– delle proteine 422
– dei glucidi 291, 394
– dei pesticidi 72, 291
– microbica 67
Dematiaceae 294
demoecologia 391
denaturazione 324
denitrificazione 254, 424
densità
– degli actinomiceti 290, 291
– degli artropodi 387
– degli organismi viventi 280
– dei batteri 282, 283, 286, 316
– dei lombrichi 352
– dei microfunghi 316
– dei microrganismi 316
– dei protozoi 316, 336, 337
– della pedofauna 331, 332
– delle alghe 303, 316
Il terreno
Fiume Francesco
– del terreno 69, 107, 182, 276
– di flusso 184
– media 390
deposizione 21
deserto 17, 28
Desmatierella 295
destrina limite 400
destrine 295, 401, 405
Desulfovibrio desulfuricans 430
Dermaptera 371
dermatteri 371
desossiribosio 394
determinazione
– conduttimetrica 241
– con sonda neutronica 242
– della concentrazione di un gas 278
– della diffusività 277
– della permeabilità 121
– – all’aria 276
– tensiometrica 241
– termoelettronica 242
detossificazione dei pesticidi 66, 67, 68, 69, 70, 71, 72, 298
detriti 11, 367
detritivori 331, 356, 384, 385, 387
deuterolicheni 35
deuteromiceti 35, 292, 294
diaginesi 21
diallilsolfuro 260
diametro equivalente 88
diasporo 31
diatomee 302, 306, 338
dicloropropanodicloropropilene 67
dictiopteri 371
Dictyoptera 371
dieldrin 72
486
487
Il terreno
Difflugia 335
diffusione dei pesticidi 69
diffusività
– del terreno 272, 273, 274, 277
– relativa 277
– termica 168
digossigenina 325
dilavamento 253, 254, 261, 265, 431, 433
dimensioni
– degli acari 356
– degli actinomiceti 290
– degli anellidi 350
– degli animali del suolo 329, 330
– degli isopodi 361
– degli organismi del suolo 281
– dei chilopodi 362
– dei collemboli 365
– dei dipluri 367
– dei diplopodi 362
– dei pori 108, 110, 386
– dei proturi 364
– dei rotiferi 343
– dei virus 312, 315
dimetilsolfuro 260
dimetoato 69
dinamica delle popolazioni 390
dinamometamorfismo 22, 23
diortosilicati 32
Diplopoda 362
diplopodi 329, 330, 362, 364, 387
diplosomita 362
Diplura 367
dipluri 330, 367, 368, 383
Diptera 369
diquat 67
Fiume Francesco
discolicheni 35
Discaria 416
discomicete 35
diserbanti 388
disgregazione 16, 25, 26, 35, 36, 79, 80, 102, 236, 260
dispersione dei colloidi 107
distribuzione
– dei pori 107, 108
– di Helmholtz 213
– di un pesticida 70, 71
disulfoton 69
ditiocarbammati 260
ditteri 330, 356, 367
diuron 70
dolomie 49
dolomite 261
doppio strato elettrico 127, 131, 195
Dryas 416
dune 42
– continentali 42
– costiere 42
– marine 42
durezza 44
– permanente 246
– temporanea 247
– totale 247
E
Echiniscus trisetosus 372
ecologia 12, 375, 379, 380, 381, 382
ecoresistenza 390
ecosistema 390, 434
ecotipi 391
Ectobius 371
488
489
Il terreno
ectomicorriza 299
ectorizosfera 281
edafobi 330
edafofili 330
edafoxeni 330
Edriocampa 368
effetto serra dell’atmosfera 166
Elateridae 370
elateridi 387
Eleagnus 416
elementi tossici dell’acqua 251
ELISA 321, 322, 323
ematite 32, 33, 112, 262
– laminare 76
Erwinia 284
– amylovora 287
– carotovora 407
esame
– della macrofauna 375
– della mesofauna 375
– – con metodi dinamici 375, 376
– – con metodi meccanici 376
esametafosfato sodico 86, 87
escrezione radicale 36, 237, 263
esosi 394, 395
esosmosi 238
espansione 107, 127
esposizione 15, 17, 78, 79
essudato radicale 267
estensina 403
estratto della pasta satura 231
estrattore di Macfadyen 376
estrazione dei nematodi 376, 377, 378, 379, 380, 381
eterocisti 303
eterogameti 293
Fiume Francesco
euedafici 330
Euglena 306
Euglenophyceae 302
Euglypha 335
Euparypha pisana 348
Eurotium 296, 297
Eurypauropus 363
eutelia 344
evaporabilità 140, 145
evaporimetri 146
evapotraspirazione 433
F
fabbisogno
– di dilavamento 250
– di lisciviazione 233
– in calce 228
– in gesso 234
fagi 312
falda freatica 63, 110, 125, 177, 194, 230, 233
falde di detrito 38
famiglie
– di batteri del terreno 283
– di virus 314
farina fossile 21
faringe 353
fase
– adsorbita 18, 19
– amorfa 19
– anabolica 280, 427
– catabolica 280, 427, 430
– cristallina 19
– detritica 17
– di vapore 71, 107
490
491
Il terreno
– fluida
– gassosa 18, 67, 69, 107, 122, 176, 193, 200, 267, 275, 276
– interna del corpo liquido 19
– ionica 19
– liquida 17, 67, 69, 107, 193, 200, 223, 235, 237, 242, 260, 265, 267, 268, 275
– minerale 17
– organica 17
– organizzata 17, 280
– ossidata 19
– ridotta 19
– solida del terreno 17, 107, 200, 223, 235, 237, 267
– vivente 280
fasi dell’amplificazione 327, 328
fattori
– abiotici 390
– biotici 390
fauna del suolo 14, 116, 168, 389
feldspati 22, 31, 32, 156, 202, 261
feldspatoidi 31, 32, 156, 202
Fe-Mo-proteina 416, 417
fenoli 388
fenolossidasi 295
fenomeno carsico 30
fenuron 70
feoficee 306
Fe-proteina 416, 417
ferretto 61, 62
ferridoxina 417, 427
ferro 9, 19, 34, 56, 60, 85, 186, 219, 224, 226, 228, 232, 238, 262, 263, 264, 265, 269,
429
Ferrobacillus 288
fertilità del suolo 13, 67, 106, 239, 267, 306, 337, 420, 421, 430, 434
– biologica 13
– chimica 13, 234
– fisica 13
Fiume Francesco
– microbiologica 13
fessurabilità 152
fessurazione
– del terreno 103
– lineare 191
fialide 293
fialospora 293
ficolicheni 35
fillosilicati 32, 200, 201, 217
– cloritici 24
Fischerella muscicola 304
fissazione dell’azoto 126, 229, 253, 280, 282, 298, 302, 303, 303, 413
fitness 391
fitofagi 358, 385, 386, 387
fitofagia 387
fitomizi 386, 387
fitosaprofagi 331
fitotossicità 259, 263, 264, 266
fitovirus 312
flagellati 331, 334, 336
flagelli 334
flocculanti 195, 196
flocculazione 83, 84, 85, 86, 191, 195, 196, 216, 229, 233, 430
flottazione 376
fluitazione del detrito 28
flusso
– di diffusione 272
– energetico 387
foliazione 24
Folsomia 366
– quadrioculata 366
Fomes 297
foraminiferi 334
Forficula auricularia 371
forma dei batteri 283, 284
492
493
Il terreno
formula
– di Oseen 89
– di Stockes 89
forza di
– ascensione capillare 110
– coesione 116, 128
– di Coulomb 213
– gravità 28, 38, 120, 193, 194, 193
fosfato 219, 227, 229, 238, 239, 246, 255, 262, 432, 433
– bicalcico 227, 257, 258
– di alluminio 34, 238, 255
– di ferro 255, 258
– di inositolo 432
– di magnesio 34
– di manganese 34, 264
– di titanio 34
– ferrico 238, 258
– monocalcico 227, 257, 258
– tricalcico 219, 227, 238, 257, 258
fosforo 18, 56, 233, 255, 258, 298, 299, 300, 301, 434
– radioattivo 300, 325
fosforiti 21, 229
fotodegradazione dei pesticidi 72
fotosintesi 262, 392, 393
Friesea 366
– claviseta 366
fruttosio 394
fulcri 294
fumiganti 68, 343
funghi 28, 35, 36, 68, 202, 281, 282, 290, 292, 312, 313, 317, 337, 352, 356, 358, 366,
384, 385, 387, 401, 405, 407, 408, 428, 429
– aerobi 394, 405
– anaerobi 394
– cellulolitici 295
– emicellulolitici 297
Fiume Francesco
– endozoici 343
– esozoici 343
– eterotallici 293
– eucarpici 292
– olocarpici 292
– omotallici 293
– pectinolitici 297, 408
– termofili 405
Fungi 333
– imperfecti 292
fungicidi 68, 388
fungivori 384, 385
funzione 13
– di abitabilità 13, 199, 200, 391
– di nutrizione 13, 199, 200, 391
– ecologica 13, 14, 391
Fusarium 238, 296, 297, 342
G
galattosammina 311
galattosidi 36
Gallionella 288
Galumna 356
gametangi 293
gamia 293
gas
– dell’acqua 252
– nobili 18, 268, 269
gasteropodi 111, 383
Gastrotricha 346
gastrotrichi 108, 329, 346
gelatina 415
generi
– di batteri del terreno 283
494
495
Il terreno
– di funghi del terreno 296, 297
genoma
– bipartito 311
– monocistronico 311
– monopartito 311
– policistronico 311
– tripartito 311
Geococcus 335
geofagi 331
Geonemertes 338
– dendyi 338
Geophilus 363
geosmina 292
gesso 23, 32, 52, 53, 231, 234, 241, 255, 259, 261
ghiaccio 26
ghiaia 58, 64, 79, 80
ghiaie 39
ghiaino 53
ghiandole calcifere 351
giacitura 15, 17, 72, 73, 74, 75, 76, 77
Gimnospermae 416
Glicerolo 346
Glicolisi 295, 395, 432
Gliotossina 427
Globina 417
Globodera rostochiensis 341
Gloeothrichia echinulata 304
Glomeris maculata 362, 363
Glomeruli 109, 192, 195
Glucosamina 311, 408
glucosidi solforati 260
glucosio 295, 311, 395, 396, 401, 408
glutatione 259
Glycyphagus domesticus 359
gneis 24
goethite 32, 157, 262
gonfolite 61
Gonostomum 335, 336
gozzo 353
Gracilacus 341
Fiume Francesco
gradazione 391
gradiente
– di potenziale 184
– – di calore 184
– geotermico 159
grado di saturazione in basi 212
granati 32
granito 10, 19, 49
granulometria 80, 88, 94, 99, 137, 191, 233, 236, 261, 269
Graphis 36
griglie di lettura 311
grovacche 22
grumi 192
gruppi della pedofauna 333
gruppo
– ecologico 289
– fisiologico 289
Gunnera 416
Gryllotalpa 371
Gryllus 371
H
Habrobunus 355
Haematopota 369
Halteria 335, 336
Hantzschia 302
Hapalosiphon fontinalis 304
Haplocampa 368
Harposporium 342
Helicella
– pyramidata 348
– variabilis 348
Helicogena lucorum 348
Helicoma 295
496
497
Il terreno
Helminthosporium 296, 297
Hemicriconemoides 341
Hemanniella 357
Hendersonula toruloidea 295
Heterodera schachtii 341
Heteromitus 336
Hippophaë 416
Homoptera 371
Humicola 297, 342
humus 103, 112, 116, 188, 195, 202, 210, 211, 280, 291, 352, 358, 365, 393, 409, 421
– mor 352
– mull 352, 354
Hypoxylon 297
hydrobios 330
Hydrodictyon utriculatum 306
Hyphales 294
Hypochtonius rufulus 357
Hypogastrura
– armata 366
– manubrialis 366
– purpurescens 366
Hypoxylon 297
Hypsibius scoticus 372
K
Klebsiella 414
– pneumoniae 417
– rubiacearum 416
I
Iapyx solifugus 367, 368
ibridazione
– a macchia 324
– molecolare 319, 323, 324
Fiume Francesco
idrargillite 31
idrobiotici 330
idrocarburi 291
idrometeora 26
idromiche 216, 260
idrossido 30, 217, 246
– di alluminio 31, 86, 104, 196, 201, 217, 266
– di calcio 63, 228
– di ferro 31, 86, 103, 104, 196, 201, 217, 266
– di silicio 32, 201
– di titanio 201
– ferrico 33, 202
– manganese 103, 201
idrossilammina 225, 422, 425
ife fungine 110, 292, 294, 309, 356, 384, 386
igrometri 147
igroscopicità 107, 147, 152
illite 29, 34, 103, 128, 216, 260
imbibizione dei colloidi 119
imbuto Baermann 378
imenio ascoforo 294
impedenza di diffusione 273
inclinazione del terreno 76, 77, 143
indicatori biologici 306
indice
– di plasticità 120
– di stabilità di struttura 236
infiltrazione dell’acqua 120, 235, 236
influenze sulla pedofauna 387, 388
ingluvie 353
inoculazione delle micorrize 301
inosilicati 32, 200
inositolo 432
Inoviridae 312
inquinamento 247, 259, 309
498
499
Il terreno
– microbico 252
inquinanti 246
Insecta 362
Insectivora 375
insetti 36, 50, 108, 202, 281, 282, 298, 312, 329, 383, 386
– apterigoti 330, 364
– eterometaboli 364
– olometaboli 364
– pterigoti 330
– stafilinidi 356
insetticidi 68, 388
insettivori 329, 330, 383
insolubilizzazione 228, 233, 237, 258
interazioni
– dipolo-dipolo 67
– ione-dipolo 67
– tra doppi strati 129
interventi antropici 387, 388,389, 390
invertebrati 68, 366, 367
irraggiamento 181
irrigazione
– a goccia 251
– a pioggia 71, 251
– a solchi 71, 252
– per aspersione 251
– per immersione 251
– per infiltrazione laterale 251
– per scorrimento 251
– per sommersione 251
irudinei 330
ISEM 321
isogametangi 293
isogameti 293
isolichenina 36
Isopoda 361
Fiume Francesco
isopodi 329, 331, 361
– oniscoidei 361
Isoptera 371
Isotomurus palustris 366, 367
isotopi 317
isotteri 370
isteresi 149
L
Laccaria laccata 297
lamelle argillose 187
Lampyridae 370
Lampyris 370
langar 159
lateriti 17, 31
Latrodectus 354
lattato di calcio 415
lave 20
lavorazione del terreno 72
Lecideaceae 36
legami
– a ponte di idrogeno 67, 68, 176, 187, 188
– idrofobici 67
– ionici 187, 188
– Van der Waals-London, 67, 68, 176, 187, 188
legge
– dell’azione di massa 128
– dello spostamento di Wien 160, 166
– di Coulomb 243
– di Dalton 146, 271, 272
– di Fick 271, 272
– di Guldberg e Waage 128
– di Rayleigh 161
– di Stefan 160, 166
500
501
Il terreno
– di Stockes 88, 91
– di zonalità 16
Leistus 370
lepidotrichi 368
Lepisma
– saccharina 368
levante 78
levigatori 87
– a circolazione 87, 96
– Appiani 94
– a sedimentazione 87, 92
– a velocità di caduta 87
– di Schöne 96, 97
– di Schöne-Kopecki 97, 98, 99
levigazione 44, 87, 90
Liacarus 357
licheni 28, 35, 36, 30, 302, 307, 356, 372, 416
lichenina 36
lieviti 282, 337
– fototrofi 383
– vegetali 202
Oribotridia 357
origine del terreno 14, 17, 19, 43, 49, 102
orizzonte 168, 186, 196
– di transizione 51
– eluviale 51
– illuviale 51, 60
– organico 53
– tessiturale 17
– umifero superficiale 50, 186
orizzonti 17, 50, 261
– sepolti 53
– impermeabili 120
orneblende 24
oro 66
Fiume Francesco
502
Orthezia 371
Orthoptera 371
ortoclasio 31
ortosilicati 32
ortosilicato acido di potassio 31
ortotteri 371
Oryctopus prodigiosus 371
Oryzorictes 375
Oscillatoria 302, 306
ossalato di ammonio 46
ossidazione 265, 427
– biologica 225, 226
– – dell’ammoniaca 422
– chimica 226
ossido 30, 83, 86, 246
– di alluminio 31, 83, 86, 201, 266
– di azoto 226, 253
– di carbonio 288
– di ferro magnetico 186
– di manganese 201, 264
– di silicio 31, 32, 201
– titanio 201
– ferrico 33, 156, 157, 186
– ferroso 33, 83, 86, 157, 201, 266
ossidoriduzione 263
ossigeno 9, 10, 18, 30, 31, 33, 64, 122, 162, 252, 268, 269, 280, 305, 330, 392, 393,
429
– dell’aria tellurica 269, 272, 279, 330
superdecremento 391
superficie
– di livello 64
– idrostatica 64
suscettività magnetica 185
Symphila 362
Symphylurinus
– Grassii 368
503
– Occidentalis 368
– Swani 368
Syritta 369
Syrphidae 369
T
Tabanidae 369
talco 32, 44, 200
tallofite 301
talpa 383
– dell’America
– – occidentale 375
– – orientale 375
– dorata del Capo 375
Talpa
– caeca 374
– cieca 374
– europaea 374
– romana 374
talpidi 375
taq polimerasi 327
Tardigrada 372
tardigradi 329, 330, 331, 346, 383
tasso 63
tectosilicati 29, 32
tassello 61
TDR 243
tecnica
– CP-MASS 209
– delle sezioni sottili 44
– FT-NMR 209
tecniche micromorfometriche 113
Tectiviridae 312
Il terreno
Fiume Francesco
Teleschistes perforata 307, 308
Telmatoscopus 369
telson 364
tempera 119, 132, 197
temperatura
– dell’acqua irrigua 245
– del terreno 27, 107, 119, 158
tempi
– di levigazione 91, 92
– percorrenza 99
– di sedimentazione 89
tenacità 112
tenrecidi 375
Tenrec ecaudatus 375
tensiometro 177, 241, 275
tensiostato 179
teorema di Gibbs 211
termiti 370
termitofili 368
terra 9
– fina 80, 83, 87
– franca 102
terremare 37
terre rosse 30, 43, 55, 229
terreni 9, 10, 54
– accidentati 75
– accumulazione 37
– acidi 221, 223, 227, 228, 229, 261, 265, 300, 301, 306, 405
– a grana fine 102
– a grana grossa 100
– agrari 9, 11, 12, 13, 17, 19, 118, 128, 169, 191, 192, 258, 280, 282
– alcalini 221, 230, 231, 257, 430
– – degradati 157, 191
– – sodici 191, 196
– alloctoni 37, 38, 55
504
505
Il terreno
– alluvionali 39, 40, 48, 55, 58, 64
– argillo-sabbiosi 104
– argillosi 67, 76, 100, 103, 110, 113, 115, 116, 117, 118, 122, 126, 128, 132, 135,
152, 156, 182, 191, 194, 216, 233, 262, 267, 279, 430
– argilloso-marnosi 360
– a roccia
– – affiorante 55
– – nuda 55
– a scheletro prevalente 100, 101, 116
– asfittici 269
– autoctoni 37, 48, 55, 57
– a zollette 192
– calcarei 86, 234, 255, 257, 261
– calciocarenti 306
– ciottolosi 100
– colluviali 38, 48
– criptolitocromici 157
– declivi 229
– di bosco 37, 229
– diluviali 42
– di medio impasto 102
– di trasporto 38
– dolomitici 261
– dunosi 42
– eolici 42, 55, 58
– ferrettizzati 229
– ferruginosi 112
– gessosi 261
– ghiaioso 100
– glaciali 42
– granitici 223
– grumosi 192
– inclinati 74
– incolti 202
– in posto 37
– in tempera 110
– lacustri 202
Fiume Francesco
506
– leggeri 115, 120
– limo-argillosi 104, 126, 269
– limosi 100, 102, 115, 132, 137
– limo-sabbioso 113
– litocromici 157
– mal strutturati 115
– marini 230
– marnosi 261
– mediamente profondi 55
– mezzano 102
– morenici 42
– naturali 11
– neutri 221, 239, 258
– ondulati 74
– organici 100, 113, 156, 182
– paludosi 204
– palustri 157
– parautoctoni 37, 48, 55
– peracidi 221
– peralcalini 221
– pesanti 115, 430
– pianeggianti 74
– piani 74, 79
– pietrosi 100– piroclastici 39
– plagioclasici 261
– podzolici 157
– polverulenti 192
– poveri 229
– profondi 55
– profondissimi 55
– residuali 37
– rigonfiabili 277
– sabbiosi 100, 101, 102, 110, 113, 115, 117, 120, 122, 126, 132, 135, 137, 154, 156,
182, 193, 216, 233, 236, 258, 261, 262, 267, 279, 360
– sabbioso-limosi 104
– – marnosi 360
507
– salini 230, 231, 232, 260
– salsi 230, 247
– sconvolti 75
– secchi 135, 140
– silicei 223
– sodico 230
– sommersi 204, 258
– subacidi 221, 229, 258
– subalcalini 221, 239, 258
– superficiali 55
– torbosi 37, 82, 132, 202, 229
– tormentati 75
– umiferi 100
– vulcanici 223, 229
– – rimaneggiati 48
– zollosi 192
tessitura del terreno 105, 115, 261, 386
Tetramita 335, 336
Tetranychus 359
tettosilicati 200
Theliphonida 354
Thereva 369
Therevidae 369
Thermobia domestica 368
Thermus acquaticus 327
Thiobacillus
– denitrificans 424, 429
– ferroxidans 429
– novellus 429
– thioparus 429
– thioxidans 429
Thiobacteriaceae 429
Thiorhodaceae 429
Thysanoptera 371
tiamina 427
Il terreno
Fiume Francesco
tiflosole 353
tiocianati 260
Tipula 369
Tipulidae 369
Tisanura 364
tisanotteri 371
tisanuri 331, 368, 369
titolo 259
Tolypotrix 303
– tenuis 306
Tombusviridae 313, 314, 315
Tombusvirus 315
Tomocerus 366
toporagno 375, 383
– comune 375
– d’acqua 375
torace 364
torbe 53, 143
torbidezza dell’acqua 245
torbidità specifica 246
torbiere 37, 56
torbificazione 204, 229
tormaline 32, 265
tossicità 65, 225, 228, 265
Trachelomonas 306
tramontana 78
trappola a caduta 375
trascrittasi inversa 328
trasmissione dei virus 312
trasporto
– dei pesticidi 69, 70, 71, 275
– eolico 230
trealosio 346
Trebouxia 307
Trentepohlia 307
508
509
Il terreno
Trentepohliales 35
triangolo della tessitura 104
triazine 67, 68
triazoli 67
Trichoderma 68, 295, 296, 297, 342, 407
Trichodorus 313, 341
trifluralin 69
Trilobita 354
triosi 394
triptofano 419
Tritocampa 368
Trochosa singoriensis 354
trofismo dei batteri del terreno 283
Trogula 355
Troglocampa 368
Tuberculariaceae 294
tubercoli radicali 413, 415, 416 418
Tullbergia 366
– quadrispina 366
Tunicata 374
turbellari 329, 330, 383
Turbellaria 338
Tylenchorynchus 341
Tyrophagus putrescentiae 359, 360
U
ubichinone 408
Ulothrix 302
ultramicrovuoti 110
umificazione 229, 238, 292, 318, 331, 352, 410
Uniramia 354, 363, 408
uranio 66
Urochordata 374
Uropygi 354, 355
Fiume Francesco
V
Vachonium 354, 355
valutazione della quantità d’acqua 239
vanillina 295, 409
vapore acqueo 18, 161, 273
vasca evaporimetrica 145
velocità
– di caduta 89, 97, 98, 99
– di infiltrazione 236
– di un ciclo biogeochimico 392
vento 27, 42, 55, 141, 274
ventriglio 344
verde antico 61
vermi 202
– di terra 352
– metamerici 350
– segmentati 350
vermiculite 34, 201, 216, 260
Vertebrata 374
Verticillium 296, 297, 342
Verrucariaceae 36
vertebrati 68, 331
vescicole 299
via del pentoso fosfato 397, 398, 399, 400
virioni 310
viroidi 281, 282, 315, 316
virus 281, 282, 310
viscosità dell’aria tellurica 277
vitamine 259, 427
vivianite 262
volatilizzazione 254, 260
– dei pesticidi 70, 72
volume del terreno 112, 114
510
511
Il terreno
– apparente 114
– totale 114
Vorticella 335, 336
X
Xanthomonas 284
Xantophyceae 302
Xilano 407
xilosio 407
Xiphinema 313, 341
Xylaria 297
Z
zolfo 9, 56, 65, 226, 259, 260, 288, 289, 426, 427, 428, 429, 430, 434
zolle 192
zollette 192
zona
– di capillarità 134
– sinecologica ottimale 391
zoofagi 331
zoosaprofagi 331
zoospore 293
Zoraptera 371
zoratteri 371
Zorotypus 371
zuccheri 203, 300, 352, 394
Zygomycota 292
Zygorhynchus 296, 297
Scarica