Estratti da F. Bacon, Nuovo Organo

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Francis Bacon, Nuovo Organo1
I. Scienza e potenza dell’uomo
1. L’uomo, ministro e interprete della natura, tanto fa e intende quanto
abbia osservato dell’ordine della natura, con l’osservazione della cosa o con
l’opera della mente; non sa né può niente di più.
2. La mano nuda e l’intelletto abbandonato a se stesso servono poco. Per
compiere le opere sono necessari strumenti e mezzi d’aiuto, sia per la mano che
per l’intelletto; e come gli strumenti meccanici servono ad ampliare o regolare
il movimento delle mani, così gli strumenti mentali estendono o trattengono il
movimento dell’intelletto.
3. La scienza e la potenza umana coincidono, perché l’ignoranza della causa
preclude l’effetto, e alla natura si comanda solo ubbidendole: quello che nella
teoria fa da causa nell’operazione pratica diviene regola. [...]
II. Critica alle scienze
8. E poi le scoperte che sono state fatte si debbono al caso e all’empiria, pìu
che alle scienze: infatti le scienze che noi possediamo non sono altro che
riordinamenti di cognizioni precedentemente avute, non modi di ricercare e
indicazioni di nuove opere.
9. La causa e l’origine di tutti questi mali delle scienze è una sola: che ci
fermiamo ad ammirare e a celebrare le forze dell’ingegno umano, senza fornire
ad esso veri aiuti.
10. La natura supera infinitamente il senso e l’intelletto per la finezza delle
sue operazioni; perciò le piu belle meditazioni, e le speculazioni umane con
tutte le loro controversie sono cose malsane; solo che non c’è chi se ne
accorga.
11. Come le scienze attuali sono incapaci di produrre nuove opere; così
anche la logica tradizionale è inutile per la ricerca delle scienze.
12. La logica che corre nelle scuole serve a stabilire e fissare gli errori che
derivano dalla cognizione volgare, più che alla ricerca della verità; ed è perciò
più dannosa che utile.
13. Il sillogismo non si applica ai princìpi delle scienze, e si applica
inutilmente agli assiomi medi: è uno strumento incapace di penetrare nelle
profondità della natura. Esso costringe il nostro assenso, non la realtà.
14. Il sillogismo consta di proposizioni, le proposizioni di parole, e le parole
sono come le etichette e le insegne di nozioni. Pertanto, se le nozionimstesse,
che stanno a base di tutto, sono confuse e arbitrariamente astratte dalla realtà,
nessuna certezza v’è in ciò che si costruisce su di esse. Perciò la nostra
speranza è tutta riposta nella induzione vera. […]
III. Le due vie possibili per la ricerca della verità
19. Due sono, e possono essere, le vie per la ricerca e la scoperta della verità.
L’una dal senso e dai particolari vola sùbito agli assiomi generalissimi, e giudica
1 Nuovo Organo, libro I, in F. Bacone, Opere filosofiche, a cura di E. De Mas, Laterza, Bari 1965,
vol. I, pp. 257-88.
secondo questi princìpi, già fissati nella loro immutabile verità, ricavandone gli
assiomi medi: questa è la via comunemente seguita. L’altra dal senso e dai
particolari trae gli assiomi risalendo per gradi e ininterrottamente la scala della
generalizzazione, fino a pervenire agli assiomi generalissimi: questa è la vera
via, sebbene non sia stata ancora percorsa dagli uomini.
20. L’intelletto abbandonato a se stesso infila spontaneamente la prima via, e
la segue secondo le regole della dialettica. La mente umana infatti tende a salire
sùbito a ciò che vi è di più generale e quivi giunta fermarsi, perché si stanca ben
presto dell’esperienza. Questo difetto è accentuato dalla dialettica con il suo
sfoggio di disputazioni.
21. L’intelletto abbandonato a se stesso di un ingegno sobrio paziente e
grave (specialmente se non è impedito da pregiudizi dottrinali) tenta anche
l’altra via, che è retta, ma con scarso profitto; perché l’intelletto, se non è
guidato da un metodo e regolato da precetti, non è all’altezza del suo compito,
ed è affatto incapace di vincere l’oscurità delle cose.
22. L’una e 1’altra via procedono dal senso e dai particolari e si fermano nei
concetti più generali. Ma enormemente differiscono, poi, per il fatto che l’una
trascorre sull’esperienza e sui particolari molto rapidamente, 1’altra vi si
sofferma con ordine e criterio; la prima costituisce sùbito all’inizio dei concetti
generali tanto astratti quanto inutili, 1’altra sale per gradi alle cose che sono
davvero più note alla natura. […]
26. Per la terminologia, abbiamo stabilito di chiamare il vecchio modo di
fare indagine sulla natura Anticipazioni della natura, perché è un modo prematuro
e temerario; chiameremo invece Interpretazione della natura quell’altro modo
d’indagare, che si svolge dalle cose stesse secondo i modi dovuti. [...]
31. Vano è attendere un gran rinnovamento nelle scienze dalla
sovrapposizione e dall'inserimento del nuovo sul vecchio: bisogna compiere
una completa instaurazione del sapere iniziando dalle fondamenta stesse delle
scienze se non ci si vuole aggirare sempre in un circolo, con un progresso
scarso e quasi trascurabile. […]
36. C’è un solo metodo semplice di insegnare, ed è questo: ricondurre gli
uomini ai particolari stessi, rispettandone la successione e l’ordine; così che essi
si obblighino a rinnegare per qualche tempo le nozioni e comincino ad
assuefarsi alle cose stesse. […]
IV. Gli idoli
38. Gli idoli e le nozioni false che hanno invaso l’intelletto umano
gettandovi radici profonde, non solo assediano la mente umana sì da rendere
difficile l’accesso alla verità, ma (anche dato e concesso tale accesso), essi
continuerebbero a nuocerci anche durante il processo di instaurazione delle
scienze, se gli uomini, di ciò avvisati, non si mettessero in condizione
combatterli, per quanto è possibile.
39. Quattro sono i generi di idoli che assediano la mente umana. A scopo
didiascalico li chiameremo rispettivamente: idoli della tribù, idoli della spelonca,
idoli del foro, idoli del teatro. […]
40. Gli idoli della tribù sono fondati sulla natura umana stessa, e sulla stessa
famiglia umana, o tribù. Erroneamente si asserisce che il senso è la misura delle
cose. Al contrario, tutte le percezioni, sia sensibili che intellettive, sono in
relazione con la natura umana, non in relazione con la natura dell’universo. E
l’intelletto umano è come uno specchio ineguale rispetto ai raggi delle cose;
esso mescola la propria natura con quella delle cose, che deforma e trasfigura.
42. Gli idoli della spelonca derivano dall’individuo singolo. Ciascuno di noi,
oltre le aberrazioni comuni al genere umano, ha una spelonca o grotta
particolare in cui la luce della natura si disperde e si corrompe; o per causa della
natura propria e singolare di ciascuno; o per causa della sua educazione e della
conversazione con gli altri, o per causa dei libri ch’egli legge e dell’autorità di
coloro che egli ammira ed onora; o per causa della diversità delle impressioni,
secondo che esse trovino l’animo già occupato da preconcetti oppure sgombro
e tranquillo. […]
43. Vi sono anche idoli che dipendono per così dire da un contratto e dai
reciproci contatti del genere umano: noi li chiamiamo idoli del foro, riferendoci
al commercio e al consorzio degli uomini. Il collegamento tra gli uomini
avviene per mezzo della favella, ma i nomi sono imposti alle cose a
comprensione del volgo, e basta questa informe e inadeguata attribuzione di
nomi a sconvolgere in modo straordinario l’intelletto. Né valgono certo, a
ripristinare il naturale rapporto tra l’intelletto e le cose, tutte quelle definizioni
ed esplicazioni delle quali i dotti si servono sovente per premunirsi e difendersi
in certi casi. Perché le parole fanno gran violenza all’intelletto e turbano i
ragionamenti, trascinando gli uomini a innumerevoli controversie e
considerazioni vane.
44. Altri idoli, infine, sono penetrati nell’animo umano ad opera delle
diverse dottrine filosofiche e a causa delle pessime regole di dimostrazione: noi
li chiamiamo idoli del teatro; perché consideriamo tutti i sistemi filosofici che
sono stati accolti o escogitati come altrettante favole preparate per essere
rappresentate sulla scena, buone a costruire mondi di finzione e di teatro. Non
intendiamo parlare soltanto dei sistemi filosofici attuali o delle sètte filosofiche
antiche; molte altre favole simili a quelle si possono comporre e mettere
insieme, giacché anche dei più diversi errori le cause possono essere quasi le
stesse. Dicendo ciò non pensiamo, inoltre, soltanto alle filosofie nella loro
universalità, ma anche ai molti princìpi e assiomi della scienza che si sono
affermati per tradizione, fede cieca e trascuratezza. Ma di questi quattro generi
di idoli bisogna discorrere più a lungo e più particolarmente per cautelare
l’intelletto di fronte a essi. […]
61. Gli idoli del teatro non sono innati, né si sono insinuati occultamente
nell’intelletto, ma sono stati accolti e apertamente introdotti dalle favole delle
teorie e dalle cattive leggi delle dimostrazioni. […]
62. Gli idoli del teatro, cioè delle teorie, sono molti e potrebbero essere
anche molti di più, e forse un giorno lo saranno. Se infatti l’ingegno umano
non si fosse occupato per tanti secoli della religione e della teologia, e se gli
Stati politici (specialmente quelli a governo monarchico) non fossero, anche
nella speculazione filosofica, rimasti lontani dalle novità (nelle quali ancor oggi
gli uomini gettano, con loro pericolo e danno, tutta la loro fortuna, perché si
espongono al disprezzo e all’invidia degli altri, senza ritrarne mai alcun vero
profitto); senza dubbio molte altre sètte filosofiche e altre teorie sarebbero
sorte, simili a quelle che, in sì gran numero, fiorirono un tempo presso i greci.
Perché, come sui fenomeni celesti si possono fondare molte teorie del cielo;
così, e in più vaste proporzioni ancora, su quei fenomeni, che sono l’oggetto
della filosofia, si possono fondare e stabilire svariati dogmi dottrinari. E le
favole di questo teatro hanno la stessa caratteristica delle rappresentazioni
teatrali, create dai poeti; perché le narrazioni finte per la scena sono più garbate
ed eleganti dei fatti veri, tratti dalla storia, e più prossime a ciò che ognuno
desidera. In genere, infatti, in filosofia si prende o poco da molto o molto da
poco, sicché in ogni caso essa viene fondata su di una base troppo angusta di
esperienza e su scarse notizie di storia naturale, e si pronuncia perciò su
fondamenti insufficienti. Così i filosofi intellettualisti traggono dall’esperienza
dati volgari e sconnessi, malsicuri, e senza vagliarli e analizzarli con diligenza;
giacché attribuiscono tutto il resto alla riflessione e al movimento del pensiero.
Un altro tipo è costituito da quei filosofi che hanno lavorato assiduamente e
con cura attorno a pochi esperimenti, e han preteso di ricavarne e di foggiare
tuttavia compiute dottrine filosofiche, sforzando tutti gli altri fatti per ridurli a
quei pochi esperimenti.
Un terzo tipo è quello di quei filosofi che mescolano alla filosofia la teologia
e le tradizioni consacrate dalla fede e dal pubblico consenso; e tra di essi v’è
anche chi ha preteso per vanità di volgersi a ricercare e di far derivare le scienze
da spiriti e da geni. La radice, dunque, degli errori derivanti dalle false teorie
filosofiche è di tre tipi: sofistica, empirica e superstiziosa.
V. L’esperienza
70. La migliore dimostrazione è l’esperienza, purché ci si attenga
strettamente all’esperimento. Se invece si vuole applicare a casi reputati simili,
senza ordine e metodo, anche l’esperienza cessa di essere un criterio di verità. Il
modo di servirsi dellesperienza, di cui si fa comunemente uso ai giorni nostri, è
cieco e inetto. Si comincia infatti coll’andare a tentoni senza una guida sicura, e
si finisce col pronunciare giudizi occasionali, brancolando entro un immenso
raggio di oggetti, senza riuscire ad avanzare d’un palmo nella ricerca, che di
tratto in tratto si fa affannosa e poi distratta, e sempre trova qualche altra cosa
da ricercare. Accade così che le indagini nell’esperienza vengan fatte con
leggerezza e quasi per gioco, variando di poco gli esperimenti già noti, perché
gli indagatori, se i primi tentativi non approdano a nulla, se ne infastidiscono e
abbandonano ogni tentativo. E anche coloro che s’accingono agli esperimenti
con maggiore serietà, costanza e laboriosità, finiscono poi per limitarsi ad un
solo esperimento particolare; come Gilbert al suo magnete, e gli alchimisti
all’oro. Questo loro modo di procedere è altrettanto superficiale quanto
inadeguato, perché nessuno può scrutare con successo la natura di una cosa in
quella stessa cosa: bisogna allargare la ricerca alle cose più generali. […]
Nel seguire la via retta della esperienza, e perciò nella produzione di nuove
opere, bisogna prendere per modello la divina sapienza e l’ordine naturale. Dio,
infatti, nel primo giorno della creazione ha creato solo la luce e vi ha impiegato
il giorno intero, senza creare una sola cosa materiale durante quel giorno; allo
stesso modo, dall’esperienza grezza si devono trarre in primo luogo le cause e
gli assiomi veri, ricercando solo esperimenti apportatori di luce, non
esperimenti apportatori di frutto. Assiomi ben trovati e costituiti informano la
pratica, non di stretta misura ma largamente e si traggono dietro stuoli e torme
di opere. Parleremo in seguito delle vie da seguire nell’esperienza, che sono
impedite ed assediate non meno di quelle del giudicare; per ora abbiamo
parlato solo dell’esperienza volgare, come di una cattiva via di dimostrazione.
Ma l’ordine del discorso richiede che aggiungiamo qualcosa a ciò che si è
accennato poco fa intorno ai segni e alle cause di un fatto, a prima vista così
incredibile e strano, come questo che la filosofia e le speculazioni vadano di
male in peggio. La conoscenza dei segni dispone all’assenso, e la spiegazione
delle cause di esso toglie ogni apparenza di stranezza. L’una e l’altra cosa
giovano assai ad estirpare dall’intelletto gl’idoli con più facilità e dolcezza.
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