A cento anni dalla Prima guerra mondiale

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Partito di Alternativa Comunista - Progetto Comunista - Lega Internazionale dei Lavoratori - LIT
A cento anni dalla Prima guerra mondiale
giovedì 06 novembre 2014
A cento anni
dalla Prima guerra mondiale
Gli orizzonti di
gloria borghesi
e la mattanza di
proletari
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di Ruggero
Mantovani
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"L'imperialismo è il capitalismo
giunto a quella fase di sviluppo in cui si è formato il dominio dei monopoli e
del capitale finanziario, l'esportazione di capitali ha acquistato grande
importanza, è cominciata la spartizione del mondo tra i trust internazionali, ed
è già compiuta la ripartizione dell'intera superficie terrestre tra i grandi
Paesi capitalistici".
 (Lenin, L’Imperialismo, fase
suprema del capitalismo).
A cent’anni dalla Prima guerra mondiale
(1914-1918), in questi ultimi mesi le principali istituzioni politiche degli
Stati borghesi che in Europa furono coinvolte hanno dato vita a varie
celebrazioni in stile patriottardo in cui ha brillato in particolare
il  presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano, che con
una lettera pubblica in discreto stile edittale ha sostenuto: “La prima guerra
mondiale divenne 'la prima grande esperienza collettiva del popolo italiano'.
L'Italia [vigorosamente asserisce il presidente, ex dirigente del Pci
stalinista, che una volta scriveva le prefazioni ai libri di Lenin, ndr] ne uscì
non solo riunita - con il ricongiungimento di Trento e Trieste - ma cambiata
perché forte di una nuova e più vasta consapevolezza del proprio essere
nazione―.
Lo stile commemorativo
patriottico-nazionalista del presidente della Repubblica, oramai senza alcun
limite prudenziale, tace sul fatto che quella guerra fu anzitutto una inaudita
mattanza del proletariato mondiale (oltre nove milione di morti solo tra i
militari). Non è un caso che Napolitano sia il rappresentante di quella
generazione di ex-stalinisti (definiti un tempo "miglioristi") che privilegiando
costantemente i rapporti interstatuali alla lotta di classe approdarono alla
base materiale della socialdemocrazia incline ai blocchi strategici con le forze
borghesi, e dunque al recinto capitalistico della identità nazionale.
Sia detto di passata, neppure quello che
rimane delle forze riformiste a sinistra del Pd ha brillato di verità in merito
alla natura della Prima guerra mondiale. Caso emblematico è l’intervento di
Paolo Ferrero, segretario di un partito, Rifondazione, che (tranne qualche raro
articolo estivo di alcuni dirigenti che peraltro confinavano la natura
imperialistica della guerra mondiale nella specificità storiografia di quel
mondo), prescindendo dalla questione, ha ritenuto di criticare il governo...
sugli F35, come spesa "pazzesca e dannosa. In tempi di crisi come questa è
immorale che i contribuenti paghino per dei cacciabombardieri e il governo la
deve smettere di fomentare la guerra in Ucraina―.
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Perbacco! c’è la crisi, ammonisce Ferrero,
le guerre non sanno da fare! Peccato che quando c’era Prodi l'allora ministro
Ferrero avesse atteggiamenti più possibilisti rispetto alla sacra difesa della
Patria.
Dopo cent’anni dalla Prima guerra mondiale i
tristi epigoni dei socialsciovinisti usano le stesse mistificazioni di un tempo.
Ecco allora che Napolitano, come dicevamo, non si perita di affermare che
l’Italia uscì da quella guerra “cambiata perché forte di una nuova e più
vasta consapevolezza del proprio essere nazione―. Al contrario,quella guerra,
lungi dall’aver rappresentato un conflitto per l’indipendenza nazionale, ebbe
una natura imperialista giocata sullo scacchiere della spartizione delle colonie
e delle materie prime tra i principali pescecani capitalisti del mondo. Con
buona pace di Napolitano, è Lenin a chiarire i termini della questione nel 1915
alla Conferenza dei bolscevichi a Basilea: “L'ideologia nazionale, formatasi
in quel tempo, lasciò tracce profonde nelle masse della piccola borghesia e in
una parte del proletariato. Di questo fatto si valgono oggi, in un'epoca
assolutamente diversa, vale a dire nell'epoca dell'imperialismo, i sofisti della
borghesia e i traditori del socialismo che si mettono al loro rimorchio per
dividere gli operai e distoglierli dai loro obiettivi di classe e dalla lotta
rivoluzionaria contro la borghesia―.
Allora, tanto più oggi, è doveroso a
cent’anni da quel disumano massacro di lavoratori ristabilire la verità storica
sulla natura di quella guerra mondiale che, come vedremo in questo breve testo,
segnò profondamente il movimento operaio internazionale svelando il carattere
contro rivoluzionario della socialdemocrazia riformista che si unì alle proprie
borghesie nazionali; mentre il compito di alzare la bandiera rossa del
proletariato internazionale fu assolto dal movimento nato a Zimmerwald nel 1915, che, sotto l’impulso dei bolscevichi e
tra questi anzitutto di Lenin, gettò le basi della rivoluzione bolscevica in
Russia nel 1917, della rivoluzione in Germania nel 1918 e in Italia durante il
biennio rosso 1919-1920.
Un regolamento dei conti tra i briganti
dell’imperialismo
Al di là di ciò che ne pensano Napolitano e
i sofisti dei nostri giorni, la natura imperialista della Prima guerra mondiale
fu duramente combattuta da una generazione di rivoluzionari che sconvolsero da
lì a poco l’Europa capitalista e presero a calci nel sedere i dirigenti
riformisti, autentici agenti della borghesia nel movimento operaio.
Il
conflitto armato formalmente ebbe inizio il 28 luglio 1914 con la dichiarazione
di guerra dell'Impero austro-ungarico al regno di Serbia in seguito
all'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo-Este, avvenuto il 28
giugno 1914 a Sarajevo, e si concluse oltre quattro anni dopo, l'11 novembre
1918. Ma al di là di fatti episodici e comunque accidentali le motivazioni di
questa guerra andavano ricercate altrove, tant’è che Lenin sul tema asseriva:
“La reale sostanza della guerra in corso sta nella lotta fra l'Inghilterra,
la Francia e la Germania per la ripartizione delle colonie e il saccheggio dei
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Paesi concorrenti e nell'aspirazione dello zarismo e delle classi dominanti
della Russia a impadronirsi della Persia, della Mongolia, della Turchia
asiatica, di Costantinopoli, della Galizia, ecc. L'elemento nazionale della
guerra austro-serba ha un'importanza assolutamente secondaria e non cambia il
carattere imperialistico generale della guerra―.
In definitiva, la cosiddetta "grande guerra"
vide schierarsi le maggiori potenze mondiali e i rispettivi Paesi coloniali in
due blocchi contrapposti: da una parte quelli che furono definiti gli Imperi
centrali composti dalla Germania, dall’Austria-Ungheria, dall’Impero
ottomano e dalla Bulgaria (quest'ultima dal 1915); e dall'altra le cosiddette
potenze Alleate rappresentate principalmente dalla Francia, Regno Unito, Impero
russo e Italia (quest'ultima dal 1915).
Oltre 70 milioni di uomini furono mobilitati
in tutto il mondo (60 milioni solo in Europa) di cui oltre 9 milioni caddero sui
campi di battaglia; si dovettero registrare anche circa 7 milioni di vittime
civili, non solo per i diretti effetti delle operazioni di guerra ma anche per
le conseguenti carestie ed epidemie. (1).
Se questo è il quadro degli schieramenti
imperialisti costretti in un gigantesco regolamento dei conti, nel cuore del
proletariato europeo esplodeva quel movimento rivoluzionario che prendeva le
mosse nelle conferenze svizzere, grazie alla sinistra internazionale guidata da
Lenin, che lanciò parole al vetriolo contro i gangster della borghesia. Nel
manifesto di quest'area di opposizione di classe alla guerra, scritto
da Trotsky, rivolgendosi al proletariato europeo venivano chiariti la natura e
le finalità di quella inaudita barbarie: “La guerra continua da più di un
anno. Milioni di cadaveri coprono i campi di battaglia; milioni di uomini sono
rimasti mutilati per tutto il resto della loro esistenza. L'Europa è diventata
un gigantesco macello di uomini. Tutta la civiltà , che era il prodotto del
lavoro di parecchie generazioni, è distrutta. La barbarie più selvaggia trionfa
oggi su tutto quanto costituiva l'orgoglio dell'umanità . Qualunque sia la veritÃ
sulle responsabilità immediate della guerra, questa è il prodotto
dell'imperialismo, ossia il risultato degli sforzi delle classi capitalistiche
di ciascuna nazione per soddisfare la loro avidità di guadagni con
l'accaparramento del lavoro umano e delle ricchezze naturali del mondo intero.
In tal modo, le nazioni economicamente arretrate o politicamente deboli cadono
sotto il giogo delle grandi potenze, le quali mirano con questa guerra a
rimaneggiare, col ferro e col sangue, la carta mondiale nel loro interesse di
sfruttamento [...]. I capitalisti, che dal sangue versato dal proletario
traggono i più grossi profitti, affermano, in ogni Paese, che la guerra serve
alla difesa della patria, della democrazia, alla liberazione dei popoli
oppressi. Essi mentono. Questa guerra, infatti, semina la rovina e la
devastazione, e distrugge, al tempo stesso, le nostre libertà e la indipendenza
dei popoli. Nuove catene, nuovi Paesi ne saranno la conseguenza, ed è il
proletariato di tutti i Paesi, vincitori e vinti, che le sopporterà ―.
Queste chiare ed efficaci parole di verità , che tra l’altro hanno mantenuto
nel tempo tutta la loro freschezza e la loro attualità sulla natura delle guerre
(concentrate per adesso nei Paesi dipendenti che anche oggi l’imperialismo usa
per la sua sopravvivenza) sono la risposta più eloquente alle menzogne che a
distanza di cent’anni vengono utilizzate dal personale politico delle borghesie
mondiali, giacché quel movimento che nacque a Zimmerwald, sotto la direzione del
bolscevismo, rappresenta, tanto più oggi, un precedente pericoloso per la
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borghesia e i suoi servi. Un precedente che contrappone, ieri ed oggi, alla
guerra imperialista la guerra civile e dunque la rivoluzione e la distruzione
del sistema di dominazione borghese come presupposto per la conquista della una
pace vera e duratura.  Â
Lenin: dalla guerra alla rivoluzione
Come abbiamo
visto, in definitiva fu la sinistra del movimento zimmerwaldiano, a partire da
Lenin, ad imprimere un carattere rivoluzionario al contraddittorio pacifismo
piccolo borghese ed “umanitario― che emergeva in vari strati del movimento
operaio. Contro quelle tendenze presenti nel movimento internazionale si
opposero personalità politiche come Lenin, Trotsky, Rosa Luxsemburg, Karl
Liebknecht, che incessantemente contrapposero ai governi borghesi di ogni Paese
belligerante la guerra civile, e cioè la rivoluzione proletaria come unica
risposta alla barbarie della guerra imperialista.
E non è un caso che nel 1915 i bolscevichi
riunirono a Berna il proprio Comitato Centrale, votarono le risoluzioni avanzate
da Lenin sulla natura e finalità , ma anche sulla tattica e la strategia della
guerra imperialista: nel movimento zimmerwaldiano i bolscevichi videro la trama
naturale e la genesi di una nuova internazionale, la III, che nel 1919 nascerÃ
sulle ceneri dei tradimenti della II e della socialdemocrazia riformista.
Rileggendo questi testi colpisce l'estrema
attualità della analisi leninista sulla natura reazionaria della guerra
imperialista: quest’ultima scaturiva dalle basi oggettive dello sviluppo
capitalista, differenti per finalità e necessità da quelle che storicamente si
espandettero nelle precedenti guerre di indipendenza nazionale, il cui carattere
“progressivo― (in senso marxista, cioè la nascita dello Stato nazionale come
sviluppo capitalistico) era testimoniato dalla dissoluzione dei precedenti
rapporti proprietari di natura aristocratico - feudale. Difatti Lenin nella
risoluzione sulla natura della guerra mondiale sosteneva che il carattere
imperialista era stato generato dalle condizioni dell'epoca, giacché la fase
suprema del suo sviluppo si caratterizzava (e si qualifica ancora oggi):
nell'esportazione delle merci, nel monopolio dei capitali, nella
internazionalizzazione della produzione e nella politica di spartizione
coloniale. Sul tema asseriva Lenin: "Le forze produttive del capitalismo
mondiale hanno superato la stretta cornice delle divisioni statali-nazionali,
nella quale sono pienamente maturate le condizioni obiettive per la
realizzazione del socialismo." (2).
In quella conferenza bolscevica è ancora
Lenin a denunciare la mistificante fraseologia propagandistica dei gruppi
dominanti, che rappresentarono la guerra come strumento di difesa degli stati
nazionali contro il nemico della “patria― e contro “l’invasore―, cercando di
nascondere il carattere reazionario di una guerra che per dimensioni e natura si
atteggiava come una resa dei conti tra briganti imperialisti per la spartizione
delle risorse mondiali, così come dimostra tutta la storia economica e
diplomatica dei decenni precedenti.
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Lenin ricorda che le guerre effettivamente
nazionali, che si svolsero specialmente tra il 1789 ed il 1871, “avevano
come base una lunga successione di movimenti nazionali di massa, di lotte contro
l'assolutismo e il feudalesimo, per l'abbattimento del giogo nazionale e la
creazione di Stati su base nazionale, i quali erano la premessa dello sviluppo
capitalistico―. Al contempo Lenin lancia parole d’ordine chiare e popolari
(assolutamente attuali e necessarie ancor oggi per comprendere e
combattere le dinamiche dei principali Paesi capitalisti) contro la guerra
imperialista, indicando sia la tattica che la direzione di una politica
rivoluzionaria:
"1) il rifiuto assoluto di votare i
crediti di guerra e l'uscita dai ministeri borghesi; 2) la rottura completa con
la politica della 'pace nazionale'; 3) la creazione di organizzazioni illegali
in quei Paesi nei quali il governo e la borghesia, proclamando lo stato
d'assedio, aboliscono le libertà costituzionali; 4) l'appoggio alla
fraternizzazione dei soldati delle nazioni belligeranti nelle trincee e, in
generale, sui teatri della guerra; 5) l'appoggio ad ogni specie di attivitÃ
rivoluzionaria di massa del proletariato in generale―. Queste parole di
agitazione e propaganda politica, lungi dall’essere confinate in qualche
polveroso archivio dismesso e dimenticato dai tristi epigoni del riformismo e
dello stalinismo, rappresentano un patrimonio inestimabile e una potentissima
arma necessaria al proletariato mondiale per combattere i pescecani imperialisti
dei giorni nostri, i quali sarebbero pronti con altrettanto cinismo dei propri
avi a scatenare un ulteriore massacro mondiale per mantenere i propri privilegi.
Il
bolscevismo da sempre contro il riformismo e il
pacifismo
La battaglia condotta dai
bolscevichi nel movimento internazionale contro la guerra si rivelò centrale per
molteplici aspetti: in primis essa, smascherando il brigantaggio
imperialista che animò quel colossale massacro, mostrava sia i nuovi rapporti di
forza nel blocco capitalistico mondiale e sia l’enorme arretramento del
proletariato reso possibile non solo dalla disperazione, dalla fame a cui la
guerra aveva costretto milioni di lavoratori, ma dal tradimento della
socialdemocrazia che agì come il miglior agente dell’imperialismo nel movimento
operaio. In tal senso Lenin si scagliava contro l’opportunismo riformista
spiegandone la genesi e le finalità : "il fallimento della II Internazionale
[asseriva Lenin nelle risoluzioni di Basilea, ndr] è il fallimento
dell'opportunismo socialista, il quale si è sviluppato come prodotto del
precedente periodo 'pacifico' di sviluppo del movimento operaio. (...) questo
periodo generò la tendenza alla negazione della lotta di classe, alla
predicazione della pace sociale, alla negazione della rivoluzione socialista,
alla negazione, per principio, dell'organizzazione illegale, al riconoscimento
del patriottismo borghese, ecc. Certi strati della classe operaia (la burocrazia
nel movimento operaio e l'aristocrazia operaia, alle quali toccò una piccola
parte dei profitti derivati dallo sfruttamento delle colonie e dalla posizione
privilegiata delle loro 'patrie' sul mercato mondiale) e anche gli occasionali
compagni di viaggio piccolo-borghesi, membri dei partiti socialisti,
rappresentarono l'appoggio sociale principale di queste tendenze e furono i
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veicoli dell'influenza borghese nel proletariato.―
E così tutta la politica riformista di
allora (ma oggi in condizioni differenti la musica non cambia) che si sviluppò
con l'approvazione dei crediti militari, la partecipazione ai ministeri, la
politica della “pace civile―, la rinuncia alle organizzazioni illegali nel
momento in cui la legalità era abolita, sono state utilizzate come grimaldello
per sabotare la prospettiva rivoluzionaria.
Ma Lenin non si limitò alla
battaglia contro la socialdemocrazia, parimenti lanciava una critica radicale
anche contro le impostazioni del pacifismo piccolo-borghese (un giano bifronte
delle impostazioni riformiste) che pretendeva di conquistare la pace all’interno
del perimetro democratico recitando la lirica di un socialismo umanitario e
riproponendo la mistificante ideologia premarxista che seppur ingenua (ma non
sempre, come dimostrò la storia), lasciava alla borghesia enormi strumenti di
manovra su vasti settori sociali. Al contrario Lenin riteneva che: “Il
pacifismo e la propaganda astratta della pace sono una delle forme di
manipolazione della classe operaia. In regime capitalistico, e specialmente
nella fase imperialista, le guerre sono inevitabili.―
Insomma se la propaganda della pace non è
seguita dall'azione rivoluzionaria delle masse è solo illusoria, e cosa ancor
peggiore corrompere il proletariato imprimendo la fiducia in un presunto
ravvedimento umanitario della borghesia, il quale nella storia si è sempre
tradotto in nuove politiche di barbarie e rapina.
Per i bolscevichi al pacifismo piccolo
borghese occorreva contrapporre il “disfattismo rivoluzionario―. Sul tema sempre
Lenin nelle risoluzioni di Basilea riteneva che il compito del partito
proletario consisteva in “un’ampia propaganda, sia nell’esercito che sul
campo di battaglia, a favore della rivoluzione socialista e della necessità di
non puntare le armi contro i nostri fratelli, gli schiavi salariati degli altri
Paesi, ma contro i governi e i partiti reazionari e borghesi di tutti i Paesi. È
assolutamente indispensabile organizzare cellule e gruppi illegali negli
eserciti di tutti i Paesi per diffondere la propaganda nelle diverse lingue. La
lotta contro lo sciovinismo ed il patriottismo dei filistei e la borghesia di
tutti i Paesi deve essere implacabile―.
Insomma le linee programmatiche
e teoriche tratteggiate da Lenin rispetto alla Prima guerra mondiale sono
inequivoche: la guerra imperialista come conflitto reazionario e non di
indipendenza nazionale; il ruolo sciovinista e dunque il tradimento della
Seconda Internazionale; la trasformazione della guerra imperialista in guerra
civile e cioè in rivoluzione proletaria; disfattismo rivoluzionario in
opposizione al pacifismo piccolo borghese; necessità della costruzione di una
nuova internazionale: la Terza. Questa politica, che in quegli anni fu condivisa
tenacemente anche da Trotsky, costituì un patrimonio politico e programmatico
che l’opposizione allo stalinismo, dopo la morte di Lenin, riprese in nome del
bolscevismo e della rivoluzione socialista contro la degenerazione che fu
realizzata dalla burocrazia termidoriana guidata da Stalin. E inestimabile
patrimonio teorico e pratico fu utilizzato anzitutto da Trotsky e dalla Quarta
Internazionale per comprendere le dinamiche che condussero al secondo massacro
imperialista.   Â
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Trotsky e
Lenin: una lezione fondamentale per i nostri giorni
Vent’anni dopo la fine della Prima guerra mondiale, Trotsky,
ripartendo dall’analisi di Lenin sulla natura imperialista della guerra e
analizzando i conflitti inter-capitalistici mai sopiti dalla fine del conflitto
bellico del 1918, arriverà alla conclusione della inevitabilità di una nuova
guerra mondiale. E proprio sulla natura reazionaria della guerra imperialista
Trotsky sosteneva: “La guerra in atto, come abbiamo detto in ripetute
occasioni, non è che una continuazione dell'ultima guerra. La nostra politica,
la politica del proletariato rivoluzionario di fronte alla Seconda guerra
imperialista è una continuazione della politica elaborata durante l'ultima
guerra imperialista, soprattutto sotto la direzione di Lenin―. In linea con
il metodo di Lenin all’approccio alle questioni del militarismo borghese,
Trotsky individuava però due diversità fondamentali tra la Prima e la Seconda
guerra mondiale: l'aggravamento della crisi del capitalismo e l’'esperienza
mondiale accumulata dalla classe operaia con la rivoluzione russa. Per il grande
rivoluzionario sono proprio questi due fattori a mettere all’ordine del giorno
la presa del potere da parte della classe operaia. In questo senso Trotsky è
categorico: "E' questa la prospettiva su cui deve fondarsi la nostra
agitazione. Non si tratta semplicemente di prendere posizione sul militarismo
capitalista e sul rifiuto di difendere lo Stato borghese, ma della preparazione
diretta per la presa del potere e la difesa della patria socialista".
In realtà , quando Trotsky fu colpito a morte il 20 agosto 1940, per mano di
un sicario stalinista, gli elementi essenziali della seconda fase della Seconda
guerra mondiale erano appena emersi dopo la disfatta dell'esercito francese: non
un semplice episodio, scriveva Trotsky, ma un capitolo integrante della
catastrofe europea. Sul tema il grade rivoluzionario scrisse alcuni articoli e
libelli particolarmente illuminanti, ad esempio: nella primavera del 1940
elaborava alcune note sulla guerra e sull’Urss; il testo “Bonapartismo, fascismo
e guerra― e in particolare scriveva un articolo redatto il 30 dicembre del 1938
che sarà pubblicato nel 1942 dalla rivista statunitense Fourth
International, in una versione volgarmente amputata di ben tre paragrafi
che successivamente verrà più esattamente intitolata: “Lenin e la guerra
imperialista―.
Trotsky riproponendo la concezione leninista sulla guerra
sosteneva: “La questione era: dovrebbero i partiti socialisti appoggiare la
guerra politicamente, votare per il finanziamento della guerra, rinunciare alla
lotta contro il governo e mobilitarsi per la 'difesa della patria'? La
risposta di Lenin era: No! Il partito non deve fare questo, non ha il diritto di
fare questo, non perché c’è di mezzo la guerra, ma perché questa è una guerra
reazionaria, perché questa è una lotta accanita tra proprietari di schiavi per
una nuova spartizione del mondo―.Â
Ripercorrendo le analisi di Lenin sulla
natura delle guerre che erano maturate tra il XIX e il XX secolo, Trotsky
evidenziava come la formazione degli stati nazionali aveva caratterizzato una
intera epoca storica: la Rivoluzione francese si era conclusa con la guerra
franco-prussiana del 1870. Le guerre che furono combattute in questo periodo
nascevano dalla necessità di creare o difendere lo Stato nazionale: la
istituzione fondamentale che poteva garantire lo sviluppo delle forze
produttive, cioè lo sviluppo capitalista contro l’organizzazione
aristocratico-feudale. Ed è per questo motivo che Lenin e Trotsky ritenevano che
queste guerre possedessero un carattere storico profondamente
“progressivo―. Dal 1871 al 1914 si assistette non solo al consolidamento degli
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Stati nazionali, ma sulla scorta dello sviluppo capitalistico e della brutale
conquista di nuove colonie, lo Stato nazionale si trasformava in monopolista: le
forze produttive “incatenate dalla struttura della proprietà privata, così come
dai confini degli Stati nazione, cercavano di spartirsi e ripartirsi il mondo.
Ed è per questo motivo che al posto delle guerre nazionali ci sono le guerre
imperialiste. Questa nuova fase del capitalismo monopolista può esistere solo
perché nel mondo esistono le nazionalità oppresse, i Paesi coloniali e
semicoloniali: è soltanto la criminale lotta di spartizione dei Paesi oppressi
che permette l’esistenza in vita di un sistema economico giunto in una fase di
putrescenza.
In questo senso Trotsky indicava una
prospettiva che ancora oggi ha mantenuto tutta la sua attualità : “La lotta
dei popoli oppressi per l’unificazione nazionale e l’indipendenza nazionale è
doppiamente progressiva perché, da un lato prepara condizioni più favorevoli per
il loro proprio sviluppo, mentre dall’altro infligge dei colpi
all’imperialismo... nella lotta fra una nazione civilizzata, imperialista,
democratica repubblica e una arretrata, barbarica monarchia in un Paese
coloniale, i socialisti stanno interamente dalla parte del Paese oppresso,
nonostante la sua monarchia, e contro il Paese oppressore, a dispetto della sua
'democrazia'."
Emerge così per opera di Trotsky una pietra miliare della
concezione leninista, ribadendo che la lotta contro il proprio governo che è
parte della guerra imperialista, implica l’agitazione rivoluzionaria “per la
sconfitta del proprio Paese―: è questo esattamente il significato della linea
chiamata “disfattista―. Trotsky come Lenin torna a lanciare parole al vetriolo
contro il pacifismo piccolo borghese, denunciando l’astratta propaganda della
pace come un inganno per le masse e ammonendo che solo una “lotta di
massa rivoluzionaria contro l’imperialismo che produce la guerra può assicurare
una pace reale―.
Trotsky, dopo aver riproposto i fattori
fondamentali della politica leninista a distanza di vent’anni, fa emergere
alcuni elementi di cambiamento rispetto alla fase precedente: l’imperialismo ha
assunto un carattere ancor più violento e oppressivo cioè il fascismo come la
sua più coerente espressione. “In altre parole [spiega il
grande rivoluzionario russo, ndr]Â tutti quei tratti che erano presenti
nella teoria della guerra imperialista di Lenin hanno ora assunto un carattere
molto più vivido e netto―.
Ma qui Trotsky nel ribadire la naturale
differenza tra le guerre nazionali e le guerre imperialiste, ne introduceva
una terza, la guerra tra uno Stato in cui la rivoluzione proletaria ha vinto e
gli Stati in cui domina ancora il capitalismo, ammonendo però che il
proletariato, nel difendere la patria rivoluzionaria, non doveva scadere nello
sciovinismo ma marciare sulla strada della rivoluzione internazionale. Questo è
l’elemento nuovo che analizzava Trotsky prima di essere ucciso: l'opportunista,
lo sciovinista del 1939-45, è pronto ad invocare che la conquistata democrazia
parlamentare può giustificare una nuova guerra. Il dato nuovo che coglieva
Trotsky è che non solo lo stalinismo nel suo processo di burocratizzazione dello
Stato sovietico si atteggiava ormai come una forza nazionalista e sciovinista ma
al contempo, scrollandosi di dosso la responsabilità dell’accordo con il nazismo
del '39, avvalorava, nel nome di un "socialismo in un solo Paese", il
militarismo occidentale come campione della pace e della libertà . Può una simile
politica, illimitatamente comune a quella dei liberali e democratici borghesi,
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essere difesa senza il rifiuto integrale della visione delle caratteristiche
economiche e politiche del capitalismo del secolo ventesimo stabilita da Lenin?
Evidentemente no! Tant’è che le guerre 1918-1920 in Russia furono rivoluzionarie
perché condotte contro i due campi dell'imperialismo borghese, alleati
e tedeschi, anche mentre essi guerreggiavano tra loro.
In
conclusione...
Oggi come ieri si dischiude un mondo che non
ha risolto, anzi ha acuito, le contraddizioni dell’imperialismo. Oggi come ieri
la ripresa delle guerre neo-coloniali combattute nei Pesi dipendenti, in Africa
e nell’Europa orientale, rappresentano l’esempio plastico di come i gangster
dell’imperialismo non smetteranno di finanziare guerre e atrocità , per spartirsi
le principali ricchezze mondiali. Oggi come ieri la borghesia e i suoi governi
continuano la guerra quotidiana contro la classe operaia acuendo pratiche
repressive, di fame e marginalità sociale, per azzerare le conquiste nate dalla
lotta di classe che ha caratterizzato la vicenda storica degli ultimi decenni
che ci siamo lasciti alle spalle.
Ed allora tanto più oggi è necessario
riattualizzare quell’inestimabile patrimonio politico e programmatico che non a
caso maturò nel vivo di quella terribile mattanza che fu la Prima guerra
mondiale; patrimonio che fu approfondito e attualizzato da Trotsky e
dalla Quarta Internazionale.
Questa nostra epoca è ancora storia di
guerre e rivoluzioni! Solo la costruzione di una nuova direzione del
proletariato, percorso in cui è impegnata la Lit-Quarta Internazionale e il
Pdac, sua sezione italiana, possono ricostruire quel partito mondiale che è,
oggi come ieri, l’unica arma che il proletariato possiede di fronte
all’inasprirsi della lotta di
classe.
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Â
Note
(1)Â - Il termine Impero tedesco
o Impero germanico, detto anche Secondo Reich, si riferisce comunemente alla
Germania nel periodo che va dal conseguimento di una piena unità nazionale, il
18 gennaio 1871, fino all'abdicazione del Kaiser Guglielmo II il 9 novembre
1918.Â
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- L'Impero austro-ungarico, o semplicemente Austria-Ungheria,
nacque nel 1867 con il cosiddetto Ausgleich (compromesso) tra la
nobiltà ungherese e la monarchia asburgica inteso a riformare l'Impero Austriaco
nato nel 1804. In virtù di questa riforma costituzionale, l'impero austriaco
divenne «monarchia austro-ungarica» che, sotto l'identico sovrano, riconosceva
l'esistenza di due regni distinti e in condizioni di parità , per cui il Regno
d'Ungheria si autogovernava e godeva di una sua politica autonoma in molti
campi. Gli Asburgo (o Absburgo) erano, dunque, sia imperatori d'Austria sia re
di Ungheria. Il 28 luglio del 1914 l'Austria-Ungheria diede il via alla Prima
guerra mondiale, invadendo il Regno di Serbia. Al termine del conflitto
l'impero, pesantemente sconfitto assieme ai suoi alleati (Imperi Centrali),
cessò di esistere.
- Regno Unito: l'Impero britannico fu il più vasto impero
nella storia dell'umanità ; nel 1921 dominava su una popolazione di oltre 458
milioni di persone (circa un quinto della popolazione mondiale) Si estendeva su
tutti e cinque i continenti, dal Canada alla Guyana, dall'Egitto al Sudafrica,
dall'India all'Australia; controllava territori ricchissimi di materie prime, e
ciò permise al Regno Unito di diventare la più grande potenza economico-militare
del pianeta per quasi cento anni.
- Terza Repubblica (francese): fu il nome
assunto dallo Stato repubblicano nato in Francia dopo la sconfitta di Sedan (1
settembre 1870) durante la guerra franco-prussiana. Questa forma di governo, che
sostituì quella del Secondo Impero, durò in Francia per quasi settant'anni, fino
all'invasione tedesca del Paese del 1940 quando fu a sua volta sostituita dal
regime autoritario della cosiddetta Francia di Vichy. La politica estera fu
caratterizzata dall'espansionismo coloniale (Africa e Indocina), dal sentimento
di rivalsa nei confronti della Germania (revanscismo) e da un isolamento che
perdurò fino a quando Russia e Gran Bretagna non riscontrarono nella Germania un
pericolo maggiore.
- Il Regno d'Italia fu il nome assunto dallo Stato
italiano il 17 marzo 1861 in seguito alle guerre risorgimentali combattute dal
Regno di Sardegna, suo predecessore, per conseguire l'unificazione nazionale
italiana. Sotto la sovranità del Regno d'Italia fu a più riprese costituito un
impero coloniale che comprendeva ampi domini in Africa orientale, in Libia e nel
Mediterraneo, nonché a Tientsin, in Cina. Il Regno d'Italia prese parte alla
terza guerra d'indipendenza, a diverse guerre coloniali ed a due conflitti
mondiali. Cessò di esistere nel 1946, quando si trasformò nell'attuale
Repubblica Italiana in seguito ad un referendum istituzionale, che sancì la
nascita della Repubblica.
(dati encicolpedici, fonte:
wikipedia).
(2) Ordine del giorno “La guerra e i compiti del partito―,
scritto da Lenin e approvato dalla Conferenza dei bolscevichi tenutasi a
Berna nel 1915.
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