“IL GRAN RIFIUTO”
Celestino V – Bonifacio VIII
Regia e adattamento di Beppe Chierici
dal testo di Ignazio Silone “L’avventura d’un povero cristiano”
venerdì 5 ottobre, Abbazia di San Nicolò, ore 21.30
(sabato 6 ottobre, 21.30 – domenica 7 ottobre, 17.30)
ingresso libero
Un VaticanLeaks del 1300
E' incredibile notare come gli odierni scandali che sconvolgono la Chiesa moderna trovino autorevoli
e significativi precedenti nella storia passata, distante secoli eppure così attuale da ispirare – seppure
in maniera del tutto involontaria – una rappresentazione teatrale unica nel suo genere, ambientata in
una scenografia naturale altrettanto irripetibile.
Con la messa in scena de “IL GRAN RIFIUTO Celestino V – Bonifacio VIII” nell'Abbazia
romanica di San Nicolò (debutto venerdì 5 ottobre ore 21.30) la Giostra dell'Arme di San Gemini
riprende il suo percorso di implementazione culturale che guarda al teatro, iniziato nel 1996 con una
trilogia sui Classici del Trecento (Dante, Petrarca, Boccaccio) affidata tra il serio e il faceto a Gianni
Ippoliti. Percorso sfilacciatosi nel corso degli anni e finalmente tornato alla luce nel 2010 con la
tragedia politico-religiosa “Assassinio nella Cattedrale” (da T.S. Eliot e J.Anouilh) per la
sceneggiatura e la regia di Beppe Chierici (vedi scheda in fondo), artista poliedrico e originale
dall'infinito curriculum multi-settore (attore, cantante, doppiatore, scenografo, autore).
“IL GRAN RIFIUTO” è così la seconda tappa di un'altra trilogia, questa volta focalizzata non più
sugli autori del 1300, ma su fatti storici e personaggi di quel periodo e in particolare sulla -a quanto
pare perenne - lotta tra correnti e lobby interne alle Chiesa, tra ideali di purezza e bramosie di potere.
“IL GRAN RIFIUTO” è una tragedia medievale nata nel “Cantiere San Nicolò” di San Gemini (vedi
scheda di dettaglio qui sotto). E' la straordinaria vicenda che vede protagonisti e antagonisti
Celestino V e Bonifacio VIII tratta da “L’avventura di un povero cristiano” di Ignazio Silone. Il
povero cristiano è Pietro Angelerio da Morrone, umile frate eremita salito al soglio pontificio
nel1294 col nome di Celestino V, il “Papa del gran rifiuto” dantesco, che scelse di rinunciare
all’incarico perché convinto dell’impossibilità di conciliare lo spirito evangelico con i doveri del
trono, la purezza della coscienza con le lusinghe del potere. Celestino V, il Papa fedele all’eredità
spirituale di povertà e rinuncia del Poverello di Assisi, contro Bonifacio VIII°, il successore astuto,
bellicoso e intransigente nel prolungare la funzione e l’autorità politica della Chiesa, il Papa che si
erge ad arbitro e dominatore fra gli Stati dell’Europa medioevale.
(segue)
Sono palesi, a 7 secoli di distanza, i numerosi riferimenti a fatti connessi ad una attualità,
recentissima, che ha visto, una volta di più, il Sacro Soglio coinvolto in scandalosi tradimenti e
feroci intrighi di potere. Con quest’opera s’intende riproporre allo spettatore l’essenza del grande
“teatro popolare”, senza sofisticazioni né bizantinismi, come un grande affresco in cui si intrecciano
la grande e la piccola storia, l’accadimento documentato negli archivi e l’aneddoto tramandato
oralmente che spesso l’accompagna e lo vivifica. Donne ”narratrici” ci raccontano, come l’antico
“coro greco” della tragedia classica, la vicenda quotidiana di Pietro da Morrone e testimoniano del
grande coinvolgimento popolare per gli avvenimenti che accompagnarono la sua avventura di
povero cristiano. Partecipazione di popolo che, a volte, si trasforma perfino in uno sberleffo che
preannuncia la “commedia dell’arte.”
***
L'autore, lo sceneggiatore, il regista de “IL GRAN RIFIUTO”:
BEPPE CHIERICI
Beppe Chierici attore, regista, cantante. Piemontese di Cuneo inizia la sua carriera di performer
intorno ai 30 anni con la cantante Daisy Lumini con cui forma una sua compagnia debuttando a
Roma nel 1969 al teatro “Alla Ringhiera” con le spettacolo musicale “Essere e avere”. Sempre con
Dasy Lumini affronterà la canzone popolare in un numerosi recital in giro per l'Italia negli anni '70.
Nel frattempo divide la sua attività fra teatro, cabaret, cinema e tv.
Per la RAI interpreta ruoli di primo piano in numerosi sceneggiati e serie televisive: «Giacinta», «I
ragazzi del Muretto» «Via Mala» , «Cuore» di L.Comencini, «I Terroristi» e «Nucleo zero» di
C.Lizzani. È il primo a tradurre, interpretare e registrare in italiano gran parte delle canzoni di
Georges Brassens , il grandissimo poeta-chansonnier francese.
È uno dei fondatori della Scuola di Teatro “Dimitri”, a Verscio in Ticino, dove insegna per due anni
Commedia dell’Arte, Improvvisazione e Storia del Teatro.
Nel 2001, Irina Brook lo dirige in «La Bestia sulla Luna» al Théâtre de L’Oeuvre di Parigi: oltre 300
rappresentazioni e ben 5 prestigiosi Premi Molières: miglior spettacolo, migliore regia, miglior testo,
migliori attori.
Nel 2006 è attore nel film di Jacques Rivette “La duchessa di Langeais”. Nel 2008 partecipa allo
sceneggiato “David Copperfield” con G. Pasotti e Maya Sansa. L'anno successivo è attore con Mario
Martone nel film “Noi credevamo”.
Attore nella Serie TV “Nebbie e delitti”, “Io ti assolvo” (regia Simona Vullo – Mediaset) e nella serie
TV “Il Commissario De Luca”, sempre nel 2009 a San Gemini nell'Abbazia di San Nicolò è regista e
interprete di “Brundibar”, Favola musicale di Adolf Hoffmeister con musiche di Hans Krasa dirette dal
maestro Andrea Raffarini con l’orchestra Polimnia Campus Ensemble.
Nel 2010, ancora a San Gemini, Abbazia di San Nicolò è interprete e regista di “Assassinio nella
Cattedrale” dall’opera omonima di T.S.Eliot e da “Becket e il suo re” di Jean Anouilh, di cui ha curato
l'adattamento.
Nel 2011/2012/2013 in tournée per la Compagnia della Rancia, interpreta il ruolo del Dott. Bruener
nella commedia “RAIN MAN” con la regìa di Saverio Marconi, con Luca Lazzareschi e Luca
Bastianello.
Filmografia e approfondimenti su: www.beppechierici.eu
CANTIERE SAN NICOLO' – Il ritorno alla tragedia
Nel mese di luglio del 2009, nel quadro delle manifestazioni del Campus delle Arti di San
Gemini, con la creazione, nel suggestivo quadro dell’Abbazia di San Nicolò, di “Brundidar”,
la celebre operina lirica di Hanz Krasa sul libretto di Adolf Hoffmeister, abbiamo intravisto la
strada che ci permettesse di riportare in luce una delle tragedie più immani della modernità:
la Shoa. Di qui è nata l’idea di chiamare “Il ritorno alla tragedia” la linea direttrice e
programmatica delle attività teatrali e culturali previste in quello che abbiamo voluto
denominare “Cantiere San Nicolò”. Intendiamo la parola tragedia nel senso che aveva per i
Greci : tragedia come limite al Male e al Bene. Per Eschilo la tragedia è quella della giustizia
divina, del rapporto dell’uomo e dell’ intera stirpe umana con la divinità, per Sofocle gli dei
sono potenti ma lontani e la tragedia rappresenta il dolore e l’infelicità dell’uomo che non
accetta compromessi, mentre Euripide si distingue dagli altri due grandi autori perché mette
in evidenza il ruolo dell’irrazionale, delle passioni e dei sentimenti. I Classici sono dunque
opere immortali che non subiscono i gap generazionali o le mode passeggere, ma
sopravvivono alla società in cui sono stati scritti, guadagnando il requisito dell’universalità :
storie concepite persino millenni or sono, che hanno suggestionato tutte le letterature
successive, incarnando i processi interiori del genere umano fino ai giorni nostri. Riteniamo
quindi che la modernità della tragedia possa aiutarci a riequilibrare di frequente le bizzarrie
della cultura contemporanea: le passioni umane scatenate in un gioco destinato a
concludersi in un modo nefasto. Il dubbio tra vendetta e inazione, la gelosia e l’intrigo,
l’ingratitudine, la follia di un uomo che vuole realizzare a ogni costo il destino che gli è stato
mostrato , l’amore sfrenato che conduce alla perdizione. Conoscersi, riconoscersi : è questa
la straordinaria avventura in cui il teatro trascina spettatori, lettori, operatori culturali e
teatranti di mestiere. Con la gioia che nasce dal sentirsi vivi, presenti, incarnati, ma anche
con spavento perché profondi e bui sono gli anfratti del cuore umano che quel teatro, più di
ogni altro spettacolo, mette in scena. Ogni personaggio colto nel pieno insorgere delle sue
passioni, diviene un esempio luminoso e paradigmatico di ciò che anche a noi può succedere
nella vita. Così la distanza dei secoli si annulla e ognuno di noi si riconosce
“contemporaneo” di quelle figure che sono lontane e ieratiche soltanto in apparenza.
Passioni che esplodono, veli che si squarciano, nodi che si dipanano, conflitti che si
risolvono, senza irrazionalità ma solo con rigore logico che perfino nella stravaganza o
nell’irragionevolezza, scoprirà una ragione di essere : Medea non è pazza, ma la sua follia è
generata da una profonda ingiustizia; Oreste non uccide la madre per capriccio, ma perché lei
gli ha trucidato il padre, la gelosia di Deianira si giustifica nel tradimento di Eracle.