CANTO XXIII° PARADISO Canto splendido e splendente il XXIII° del Paradiso: splendido per la bellezza delle sue similitudini e la semplicità di linguaggio in un canto di inafferrabili verità, splendente perché siamo giunti nell’ottavo cielo, cielo delle stelle fisse, a cui Dante è asceso spinto dallo sguardo di Beatrice “poscia rivolsi li occhi a li occhi belli”, verso con cui si chiude il canto XXII° preludio al canto XXIII°; qui la disposizione chiastica di occhi sembra una catena d’amore che lega e trascina il pellegrino Dante al cielo successivo. Dante si trova ad una svolta decisiva del suo viaggio che non consiste più nel giudicare il mondo degli uomini “l’aiuola che ci fa tanto feroci” ma nel penetrare nei misteri della fede (Giacalone). Non c’è iato tra il XXII° ed il XXIII°, ma piuttosto attesa come disse il prof. Busatti, attesa intensa che ritroviamo all’inizio del canto XXIII°, suggerita dalla lunghezza del periodo, nel quale il verbo arriva dopo gli attributi e le relative, tant’è che se invertiamo l’ordine della sintassi distruggiamo la poesia. La sacra rappresentazione a cui assiste Dante pellegrino è suddivisa in scene scandite ciascuna da un paragone con il fine di catturare la tensione psicologica del lettore su un piano naturale di comune esperienza. Vv. 1-15 Come l'augello, intra l'amate fronde, posato al nido de' suoi dolci nati la notte che le cose ci nasconde, che, per veder li aspetti disïati e per trovar lo cibo onde li pasca, in che gravi labor li sono aggrati, previene il tempo in su aperta frasca, e con ardente affetto il sole aspetta, fiso guardando pur che l'alba nasca; così la donna mïa stava eretta e attenta, rivolta inver' la plaga sotto la quale il sol mostra men fretta: sì che, veggendola io sospesa e vaga, fecimi qual è quei che disïando altro vorria, e sperando s'appaga. Si apre il canto con la prima delle similitudini: ogni immagine, apparentemente terrena e di straordinaria semplicità è funzionale all’intuizione religiosa dell’animo dell’agens, del pellegrino giunto ad un momento cruciale del suo itinerarium. Versi mirabili in cui a poco giova trovare i riecheggiamenti di Lattanzio o Virgilio perché la semplicità del verso 3 solo in Omero si può ritrovare e tutti gli atteggiamenti dell’uccello portano l’intensità affettiva dell’animo umano che solo in Dante si trova e tutte le azioni confluiscono come un’onda nell’ultimo emistichio “e sperando s’appaga”. Tutti i preziosi sintagmi nominali (aggettivo più sostantivo) in realtà spostano l’attenzione sul secondo elemento “la donna mia” di cui ci colpiscono le dittologie stilnovistiche che ci portano da un piano realistico ad un piano di spessore mistico-spirituale. Quello che ci colpisce ancora in questa prima scena è l’ansia amorosa, materna dell’uccello, ma più di Beatrice che già abbiamo conosciuto in questo atteggiamento più volte nella Commedia “qual madre sovra figlio deliro”. La similitudine va letta in chiave mistica e la figura della madre ripresa, come vedremo, in Maria ci fa pensare alla vita di Dante che, rimasto orfano da piccolo, ha conservato il desiderio struggente dell’affetto materno. Dal basso all’alto lo sguardo indica un cambio di direzione e la voce di Beatrice squillando “Ecco” annuncia il miracolo che sta avvenendo. Vv. 16-24 Ma poco fu tra uno e altro quando, del mio attender, dico, e del vedere lo ciel venir più e più rischiarando; e Bëatrice disse: «Ecco le schiere del trïunfo di Cristo e tutto 'l frutto ricolto del girar di queste spere!». Pariemi che 'l suo viso ardesse tutto, e li occhi avea di letizia sì pieni, che passarmen convien sanza costrutto. Vengono qui usati termini militari per celebrare il trionfo di Cristo come quello di un generale romano. Canto trionfale è stato definito dal Getto, dove si celebra il trionfo di Cristo e poi quello di Maria ma, in realtà, secondo Giacalone, è il trionfo mistico di Dante pellegrino per il quale Cristo scende una seconda volta, non in terra ma in cielo per venire incontro ad un uomo privilegiato dalla grazia che rappresenta l’umanità tutta ansiosa del bene e della giustizia. Nell’ultima terzina Dante è il fulcro della sequenza o meglio la sua estasi tra la contemplazione del viso e degli occhi di Beatrice, che ha una misura ancora tutta umana, e una forza misteriosa, possente, astratta. E qui torna il topos dell’ineffabilità, ricorrente nella cantica del Paradiso ma qui particolarmente ampio (es. “Trasumanar significar per verba / non si poria” (Paradiso I° vv. 70-71) “Nel ciel che più de la sua luce prende / fu’ io, e vidi cose che ridire …..” (Paradiso I° vv. 4 e sgg.) L’esperienza sovrasta la parola. Beatrice diventa sempre più bella perché la teologia razionale non può supplire quella mistica. Il secondo paragone ci introduce alla sacra rappresentazione del trionfo di Cristo. Vv. 25-39 Quale ne' plenilunïi sereni Trivïa ride tra le ninfe etterne che dipingon lo ciel per tutti i seni, vid' i' sopra migliaia di lucerne un sol che tutte quante l'accendea, come fa 'l nostro le viste superne; e per la viva luce trasparea la lucente sustanza tanto chiara nel viso mio, che non la sostenea. Oh Bëatrice, dolce guida e cara! Ella mi disse: «Quel che ti sobranza è virtù da cui nulla si ripara. Quivi è la sapïenza e la possanza ch'aprì le strade tra 'l cielo e la terra, onde fu già sì lunga disïanza». Dal buio della notte alla luce: luna, stelle, sole (Cristo), lucerne (beati) in versi che, sul piano fonosimbolico, vedono l’alternanza di vocali chiare (a-e) e consonanti liquide (r-l) e la felice presenza di verbi come ride e dipingon. V. 34: la narrazione si interrompe con un verso di assoluta naturalezza che esprime il sentimento profondo dell’animo di Dante. Dante ne esce inebriato di luce (viva luce – lucente sustanza con cui si indica la duplice natura umana e divina di Cristo). Dante qui svolge la cristologia, la mariologia e il culto dei santi. (La cristologia ha inizio dal concilio di Nicea). Giustamente il prof. Busatti notava che è la seconda volta nel Paradiso che Cristo si presenta dopo che ne avevamo visto balenare la luce nella croce del cielo di Marte (Paradiso XIV°) e si ripeterà nell’Empireo. Tre volte dunque come il numero della Trinità che regola tutto il poema. V. 38: nota ancora felicemente il prof. Busatti che l’immagine, di derivazione paolina, è ripresa dal linguaggio militare, perché in guerra si chiudevano le strade per cui la riapertura significa pace. V. 39: ritorna l’attesa, il desiderio Ed ecco l’estasi mistica di Dante resa con linguaggio concreto nelle due terzine seguenti. Vv. 40-45 Come foco di nube si diserra per dilatarsi sì che non vi cape, e fuor di sua natura in giù s'atterra, la mente mia così, tra quelle dape fatta più grande, di sé stessa uscìo, e che si fesse rimembrar non sape. V. 45: verso dall’andamento incantato Canto di smemoramenti, reticenze, esclamazioni, pause, visioni naturalistiche. Vv. 46-69 «Apri li occhi e riguarda qual son io; tu hai vedute cose, che possente se' fatto a sostener lo riso mio». Io era come quei che si risente di visïone oblita e che s'ingegna indarno di ridurlasi a la mente, quand' io udi' questa proferta, degna di tanto grato, che mai non si stingue del libro che 'l preterito rassegna. Se mo sonasser tutte quelle lingue che Polimnïa con le suore fero del latte lor dolcissimo più pingue, per aiutarmi, al millesmo del vero non si verria, cantando il santo riso e quanto il santo aspetto facea mero; e così, figurando il paradiso, convien saltar lo sacrato poema, come chi trova suo cammin riciso. Ma chi pensasse il ponderoso tema e l'omero mortal che se ne carca, nol biasmerebbe se sott' esso trema: non è pareggio da picciola barca quel che fendendo va l'ardita prora, né da nocchier ch'a sé medesmo parca. V. 46: il richiamo di Beatrice ci fa presupporre che Dante abbia chiuso gli occhi. Dante, che nel cielo di Saturno non poteva sostenere il riso di Beatrice, che perciò non rideva, ora può. I versi della terzina seguente, con il loro lento andamento rendono la condizione di chi si risveglia come da un sogno e sono una prefigurazione dell’ultimo canto. V. 54: il libro della memoria ci rimanda alla Vita Nova. Dante impiega cinque terzine per confessare l’impossibilità di descrivere la bellezza del riso di Beatrice. Vv. 64-66: la metafora deriva dall’ars poetica di Orazio Dante è consapevole di avere ricevuto la grazia divina per il suo cammino, ma non per la sua poesia. La lunga pausa nella narrazione dell’itinerarium rende più vivo l’invito di Beatrice (Busatti). Vv. 70-87 «Perché la faccia mia sì t'innamora, che tu non ti rivolgi al bel giardino che sotto i raggi di Cristo s'infiora? Quivi è la rosa in che 'l verbo divino carne si fece; quivi son li gigli al cui odor si prese il buon cammino». Così Beatrice; e io, che a' suoi consigli tutto era pronto, ancora mi rendei a la battaglia de' debili cigli. Come a raggio di sol, che puro mei per fratta nube, già prato di fiori vider, coverti d'ombra, li occhi miei; vid' io così più turbe di splendori, folgorate di sù da raggi ardenti, sanza veder principio di folgóri. O benigna vertù che sì li 'mprenti, sù t'essaltasti, per largirmi loco a li occhi lì che non t'eran possenti. Inizia qui il linguaggio mistico-floreale di cui è tramato il tessuto semantico degli ultimi canti del Paradiso. Vv. 70-72: riprendono il motivo dei vv. 19-21 del canto XVIII° “….volgiti e ascolta;/ chè non pur ne’ miei occhi è paradiso” Vv. 73-74: traduzione letterale del testo evangelico. La Madonna è detta rosa mistica nelle litanie del rosario V. 75: Paolo 2 cor. “Siamo il buon odore di Cristo” dice degli apostoli. V. 79: ecco un’altra similitudine purissima che ci avvicina a ciò che c’è di più bello sulla terra, ma gli aspetti terreni sono sublimati dalla vaghezza che li qualifica Vv. 82-84: la visione viene dall’alto mentre ai vv. 28-29 la visione era dal basso: il poeta ha cambiato ottica. Sono versi di incredibile musicalità V. 86: Cristo si è innalzato e la luce più viva è dunque Maria La terzina che chiude la sequenza con un’esclamazione di ringraziamento indica il rapporto vitale tra Dante e Cristo Vv. 88-111 Il nome del bel fior ch'io sempre invoco e mane e sera, tutto mi ristrinse l'animo ad avvisar lo maggior foco; e come ambo le luci mi dipinse il quale e il quanto de la viva stella che là sù vince come qua giù vinse, per entro il cielo scese una facella, formata in cerchio a guisa di corona, e cinsela e girossi intorno ad ella. Qualunque melodia più dolce suona qua giù e più a sé l'anima tira, parrebbe nube che squarciata tona, comparata al sonar di quella lira onde si coronava il bel zaffiro del quale il ciel più chiaro s'inzaffira. «Io sono amore angelico, che giro l'alta letizia che spira del ventre che fu albergo del nostro disiro; e girerommi, donna del ciel, mentre che seguirai tuo figlio, e farai dia più la spera supprema perché lì entre». Così la circulata melodia si sigillava, e tutti li altri lumi facean sonare il nome di Maria. L’attenzione di Dante è catturata dalla viva stella (nelle litanie Maria è chiamata stella del mattino). Vv. 88-89: è straordinaria la semplice confessione che Dante fa del suo pregare quotidianamente Maria: gli affetti umani invadono il cielo dice la Chiavacci e secondo Fubini questi versi sono addirittura preferibili alla preghiera alla Vergine del XXXIII° canto. D’altra parte Maria occupa il poema fin dal II° canto dell’Inferno, Maria è il tramite tra il divino e l’umano, è la grazia preveniente che, cioè, interviene ancora prima di esserne richiesta. Siamo giunti alla celebrazione del trionfo di Maria che ha reso possibile la riconciliazione tra l’uomo e Dio; Maria come madre di Cristo è madre di tutti i viventi (torna il topos della madre) V. 93: l’arcangelo Gabriele (uomo di Dio) nel N.T. appare due volte: a Zaccaria e a Maria; Maometto dice che Gabriele gli ha consegnato parti del Corano V. 94: sembra esserci un preciso riferimento all’Apocalisse. Il cerchio, la melodia, a cui iperbolicamente per antitesi si paragona un tuono che squarcia la nube, sono tutti elementi teologici V. 100: la replicatio di Zaffiro accentua la scelta di questa pietra per Maria perché forse aveva specifiche proprietà Solo alla fine del v. 111 compare il nome di Maria il cui trionfo occupa tutta la sequenza; è un verso altamente musicale che conclude un trionfo di luce e musica che connotano la sacra rappresentazione Vv. 112-120 Lo real manto di tutti i volumi del mondo, che più ferve e più s'avviva ne l'alito di Dio e nei costumi, avea sopra di noi l'interna riva tanto distante, che la sua parvenza, là dov' io era, ancor non appariva: però non ebber li occhi miei potenza di seguitar la coronata fiamma che si levò appresso sua semenza. V. 112: volumen è ogni cosa che si volge Anche questa fiamma scompare agli occhi di Dante. In questa figurazione sono adombrati il mistero dell’ascensione e quello dell’assunzione di Maria (Dante ne parlerà nel XXV° canto). Vv. 121-139 E come fantolin che 'nver' la mamma tende le braccia, poi che 'l latte prese, per l'animo che 'nfin di fuor s'infiamma; ciascun di quei candori in sù si stese con la sua cima, sì che l'alto affetto ch'elli avieno a Maria mi fu palese. Indi rimaser lì nel mio cospetto, 'Regina celi' cantando sì dolce, che mai da me non si partì 'l diletto. Oh quanta è l'ubertà che si soffolce in quelle arche ricchissime che fuoro a seminar qua giù buone bobolce! Quivi si vive e gode del tesoro che s'acquistò piangendo ne lo essilio di Babillòn, ove si lasciò l'oro. Quivi trïunfa, sotto l'alto Filio di Dio e di Maria, di sua vittoria, e con l'antico e col novo concilio, colui che tien le chiavi di tal gloria. Abbiamo qui la terza visione (ancora tre). I beati rimangono a compiere la loro opera di carità verso Dante. Ancora un coro: viene intonato il canto pasquale “Regina celi”, canto di resurrezione e di ascensione. Splendida e familiare l’immagine dei beati che si protendono verso Maria come il lattante tende le braccia verso la madre dopo la poppata in segno di affetto, di ringraziamento (per la terza volta è messa in campo la maternità). V. 129: terza esclamazione di Dante V. 135: il tesoro celeste contrapposto a quello terrestre è tema evangelico caro a Dante V. 136: ancora un trionfo chiude il canto quello di tutti i credenti redenti tra cui emerge la figura di San Pietro che chiude così questo canto creando un legame con i canti successivi di cui egli, come guida storica della Chiesa sarà protagonista insieme a questa. Bibliografia Paradiso con il commento di Anna Maria Chiavacci Leonardi ed. Zanichelli Paradiso a cura di Umberto Bosco e Giovanni Reggio ed. Le Monnier Paradiso commento di Vittorio Sermonti ed. scolastiche Bruno Mondadori Paradiso commento di Giuseppe Giacalone ed. Angelo Signorelli Dante il romanzo della sua vita di Marco Santagata ed. Oscar Mondadori Guida alla Divina Commedia Paradiso a cura di Angelo Marchese ed. SEI Letture dantesche di Aldo Busatti Il Vangelo secondo Dante di Giovanni Galletto ed. Fede e Cultura