laurea specialistica lezioni 2004-2005

Università degli studi di Napoli “Federico II”
Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di Laurea in filosofia
Cattedra di Filosofia della storia
Prof. Giuseppe Antonio Di Marco
Anno accademico 2004-2005
Tema del corso: La questione dell’“Umanismo”
Parte prima:
I Manoscritti economico-filosofici del 1844 di Karl Marx
Dott. Giovanni Sgro’
Per contatti: [email protected]
1
INDICE
Premessa, p. 4
Lista delle abbreviazioni, p. 5
1. Scheda bio-bliografica su Marx, p. 6
2. Introduzione, p. 10
2.1. Edizioni italiane dei Manoscritti economico-filosofici del 1844, p. 10
2.2. Breve descrizione del testo, p. 10
2.3. Motivi (biografici, intellettuali e storici) che spinsero Marx ad intraprendere
lo studio critico dell’economia politica, p. 11
2.4. Fortuna del testo, p. 13
2.4.1. Herbert Marcuse, p. 14
2.4.2. György Lukács, p. 14
3. Analisi delle tre componenti del reddito (salario-profitto-rendita fondiaria), p. 16
3.1. Salario, p. 16
3.2. Il profitto del capitale, p. 17
3.3. Rendita fondiaria, p. 18
4. Il lavoro estraniato, p. 20
4.1. Bilancio critico delle prime tre sezioni (lavoro, profitto del capitale, rendita
fondiaria), p. 20
4.2. Critica metodologica all’economia politica classica, p. 21
4.3. Le quattro determinazioni (Bestimmungen) dell’estraneazione, p. 24
4.3.1. Estraneazione dal prodotto del lavoro, p. 24
4.3.2. Estraneazione nell’attività produttiva, p. 25
4.3.3. Estraneazione dalla specie umana, p. 25
4.3.4. Estraniazione dell’uomo dall’altro uomo, p. 27
4.4. Risposta marxiana alla domanda: «da dove viene la proprietà privata?», p. 27
5. La prima negazione della proprietà privata: il comunismo, p. 31
5.1. La critica del «comunismo ancor rozzo e materiale», p. 31
5.2. Il «comunismo come soppressione positiva della proprietà privata», p. 33
5.3. L’uomo socialista, p. 36
6. Critica della dialettica e in generale della filosofia di Hegel, p. 39
6.1. L’«umanismo positivo» di Marx, p. 39
6.2. Il «duplice errore» di Hegel, p. 41
Approfondimenti: Marx oltre i Manoscritti del 1844
7. Perché Marx nel primo quaderno inizia proprio con salario-profitto-rendita
fondiaria?, p. 46
8. La mistificazione del rapporto di sfruttamento capitalistico nella formula lavorosalario, p. 49
9. Il feticismo delle merci, p. 51
2
10. Le robinsonate dell’economia politica, p. 53
11. Hegel e l’economia politica, p. 55
12. Le Tesi provvisorie per la riforma della filosofia di Ludwig Feuerbach, p. 56
13. La critica di Marx a Hegel, p. 60
13.1. Tappe della ricezione marxiana della filosofia di Hegel, p. 60
13.2. La Critica del diritto statuale hegeliano (1843), p. 61
13.2.1. Breve esposizione delle tappe principali dello svolgimento
hegeliano, p. 61
13.2.2. La critica della logica aprioristica-surrettizia e del capovolgimento
di soggetto e predicato: Il commento ai paragrafi sul “passaggio”
allo Stato e la critica della deduzione hegeliana del monarca
ereditario, p. 62
13.2.3. Il «misticismo logico, panteistico» di Hegel, p. 63
13.2.4. Capovolgimento di soggetto e predicato, p. 64
13.2.5. Ipostatizzazione del predicato, p. 65
13.2.6. Trasfigurazione del reale, p. 65
13.2.7. Positivismo acritico, p. 66
13.2.8. Astrazione mistificante, p. 67
13.2.9. L’interpolazione surrettizia e arbitraria della realtà esistente nel
processo di formazione e di sviluppo dell’idea, p. 68
13.3. La Sacra famiglia (1844), p. 70
13.3.1. Astrazione speculativa e mistificante, p. 70
13.3.2. Capovolgimento di soggetto e predicato, p. 70
13.3.3. Ipostatizzazione del predicato, p. 71
13.3.4. Positivismo acritico, p. 72
13.3.5. Trasfigurazione del reale, p. 72
13.3.6. Valore conoscitivo e funzione ideologica della mistificazione, p. 72
13.4. Poscritto alla seconda edizione tedesca de Il capitale del 1873, p. 72
14. La critica di Marx a Feuerbach, p. 73
14.1. L’Ideologia tedesca (1845), p. 73
14.2. Le Tesi su Feuerbach (1845), p. 74
15.Bibliografia essenziale, p. 77
15.1. Introduzioni al pensiero di Marx, p. 77
15.2. Biografie, p. 77
15.3. Sul “giovane” Marx, p. 78
15.4. Sui Manoscritti economico-filosofici del 1844, p. 78
15.5. Sull’umanesimo di Marx, p. 79
15.6. Sull’alienazione, p. 79
15.7. Introduzione all’opera “economica” di Marx, p. 80
15.8. Formazione economica di Marx prima de Il capitale, p. 80
3
PREMESSA
Si riporta qui di seguito la versione rivista, rielaborata e ampliata dei materiali che
sono serviti da testo-base per le lezioni relative alla prima parte del corso. Ogni
seduta del corso si è arricchita in fieri di interventi, spiegazioni e osservazioni critiche
sia del professore che degli studenti. Di questo materiale non si è potuto purtroppo
tener traccia.
Dato che il corso non era dedicato unicamente ai Manoscritti del 1844 di Marx,
il senso e la finalità di questi miei interventi sui Manoscritti era semplicemente di
offrire un “attraversamento”, una lettura tematica del testo e il tema in questione era
appunto l’umanismo del Marx di questo periodo (1843-1845). Si trattava cioè di
delimitare, di circoscrivere e di enucleare dei problemi, dei nodi problematici per poi
passare al “dialogo”, al confronto con le posizioni novecentesche dello Heidegger
della Lettera sull’umanismo e del Per Marx di Althusser.
Di conseguenza non è stato possibile offrire un commento analitico e puntuale di
ogni passo centrale dei densi Manoscritti marxiani, molte parti anzi non sono state
espressamente trattate, ma spero comunque di esser riuscito a offrire degli strumenti,
una griglia interpretativa, tale da permettere un lavoro autonomo di studio e di
preparazione al colloquio d’esame.
Per quesiti, dubbi, richieste di spiegazioni, reperimento testi etc. potete scrivere a:
[email protected]
4
LISTA DELLE ABBREVIAZIONI:
=
K. MARX, Il Capitale. Critica dell’economia politica, a cura di Delio
Cantimori, introduzione di Maurice Dobb, Roma, Editori Riuniti,
(I Testi, n. 1), 19945.
IT =
K. MARX-F. ENGELS, L’ideologia tedesca. Critica della più recente
filosofia tedesca nei suoi rappresentanti Feuerbach, B. Bauer e Stirner, e
del socialismo tedesco nei suoi vari profeti [1845], trad. it. di Fausto
Codino, introd. di Cesare Luporini, Roma, (I testi, 13), 1993 9 (1a ed. 1958,
2a ed. riv. 1968).
K
=
K. MARX, Critica del diritto statuale hegeliano [1843], trad. it. e
commentario di Roberto Finelli e Francesco S. Trincia, Roma, Edizioni
dell’Ateneo, 1983.
L
=
KARL MARX, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia
politica.1857-1858, trad. it. di Enzo Grillo, La Nuova Italia, (Classici della
filosofia, n. 20), Scandicci (Firenze), 1968 (ristampa “Paperbacks Classici”
1997), 2 voll.
M
=
K. MARX, Manoscritti economico-filosofici del 1844, a cura di Norberto
Bobbio, Torino, Einaudi, (Nuova Universale Einaudi, n. 92), 19682
(edizione rivista; 1a ed. 1949).
C
MEOC = K. MARX-F. ENGELS, Opere complete, Roma, Editori Riuniti, 1972 ss.
SF =
K. MARX-F. ENGELS, La sacra famiglia o Critica della critica critica
contro Bruno Bauer e soci [1844], trad. it. di Aldo Zanardo in K. MARX-F.
ENGELS, Opere. Vol. IV: 1844-1845, a cura di Raniero Panzieri e Aldo
Zanardo, Roma, Editori Riuniti, 1972, pp. 5-234.
N.B.: Mi è stato fatto notare che la nuova edizione einaudiana (2004) dei
Manoscritti del 1844 presenta una “sfasatura” di circa 5 pagine rispetto a
quella da me utilizzata. Chi utilizza la nuova edizione deve quindi
sottrarre 5 alle mie indicazioni di pagina. Es.: (M, p. 155) - 5 = circa p. 150
della nuova edizione.
5
1. Scheda bio-bliografica su Marx
1818
1824
1830
1835
1836
1837
1838
1839
1841
1842
1843
Karl Marx nasce a Treviri il 5 maggio quale secondo degli otto figli
dell’avvocato Heinrich Marx e di sua moglie Henriette, nata Preßburg.
Entrambi i genitori discendono da famiglie di rabbini.
Marx e i suoi fratelli vengono battezzati secondo il rito evangelista.
Inizia a frequentare il Liceo “Friedrich-Wilhelm” di Treviri.
Esame di maturità liceale 1 . In ottobre inizia a studiare giurisprudenza
all’Università di Bonn.
Fidanzamento segreto con la sua amica di infanzia, Jenny von Westphalen, di
quattro anni più grande di lui. In ottobre si immatricola alla Facoltà di
Giurisprudenza di Berlino dove frequenta tra l’altro le lezioni di Friedrich
Karl von Savigny e di Eduard Gans. Marx scrive poesie che manda a Jenny
[una larga scelta in MEOC, I].
Oltre allo studio della giurisprudenza, Marx frequenta lezioni di filosofia e di
storia. Amicizia con Bruno e Edgar Bauer. Studio della filosofia hegeliana.
Morte del padre
Frequenta le lezioni di Bruno Bauer. Marx viene esonerato dal servizio
militare annuale volontario a causa di «debolezza di petto e sbocchi di
sangue». Lavoro alla dissertazione (sulla filosofia epicurea, stoica e scettica)2.
Prima pubblicazione (i Canti selvaggi). Marx riceve il certificato di congedo
dell’Università di Berlino. Dottorato presso la Facoltà di Filosofia
dell’Università di Jena. Marx ritorna a Bonn.
Collaborazione alla Gazzetta renana 3 e primo incontro con la censura
prussiana 4 . In ottobre Marx, adesso a Colonia, conduce la direzione della
Gazzetta renana. Primo incontro con Friedrich Engels.
Marx critica la censura prussiana. Dal 1 aprile la Gazzetta renana viene
proibita dal governo. Viaggio verso Dresda per discutere con Arnold Ruge il
progetto degli Annali franco-tedeschi. Matrimonio con Jenny. Durante la luna
di miele a Kreuznach, Karl stende un commento critico e analitico alla
Buona parte delle prove scritte per l’esame di maturità liceale sono in MEOC, I.
K. MARX, Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro, in MEOC, I (on-line:
http://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1841/4/demoep.htm).
3
Il titolo completo era Gazzetta renana per la politica, il commercio e l’industria [Rheinische Zeitung für Politik,
Handel und Gewerke], ed era sorta con lo scopo iniziale di difendere gli interessi della grande classe media renana e con
i favori del governo, che vedeva nel giornale uno strumento per controbilanciare la Gazzetta di Colonia [Kölnische
Zeitung], un foglio ultramontano e antiprussiano. Successivamente con il passaggio della redazione dall’economista
protezionista Friederich List a Jung, Oppenheim e Renard, che Moses Hess aveva convertito al radicalismo, il giornale
divenne sempre più l’organo di espressione dei Giovani hegeliani, fino alla direzione del giornale da parte di Adolf
Rutenberg, cognato di Bruno Bauer, che mise in allarme l’autorità per la tendenza del giornale e fece crescere il
controllo della censura. Dal 15 ottobre 1842 Marx ne fu redattore capo fino alla soppressione del giornale, nel marzo
1843, per motivi di censura. Per un primo esauriente resoconto relativo alla fondazione del giornale si veda
AUGUSTE CORNU, Marx ed Engels dal liberalismo al comunismo, trad. it. parziale di F. Cagnetti e M. Montinari,
Milano, Feltrinelli, 1971, pp. 323-333.
4
Tutta l’attività pubblicistica di questo periodo la si può leggere in MEOC, I.
1
2
6
1844
1845
1846
1847
1848
filosofia del diritto di Hegel 5 . Karl e Jenny si trasferiscono in autunno a
Parigi. Inizio dell’amicizia con Heinrich Heine.
A Parigi viene pubblicata a febbraio il primo e unico numero degli Annali
franco-tedeschi6. Vi sono pubblicati, tra l’altro, i saggi di Marx La questione
ebraica; Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione e
quello di Engels Lineamenti di critica dell’economia politica [ora tutti in
MEOC, III]. Amicizia con il poeta Georg Herwegh. Rottura con Ruge. Studio
di opere di economia politica. Elaborazione di una serie di manoscritti che
riceveranno poi il nome di Manoscritti economico-filosofici del 1844. Nascita
della figlia Jenny. Contatti con la comunista «Lega dei giusti». Conoscenza di
Pierre-Joseph Proudhon e Michail Bakunin. Engels fa visita a Marx a Parigi.
Su pressione del governo prussiano, Marx viene espulso dalla Francia. A
febbraio va a Bruxelles (dove resterà fino al 1848). Anche Engels vi si
stabilisce. Pamphlet comune di Marx ed Engels contro Bruno Bauer e la sua
cerchia (La sacra famiglia). Elaborazione delle Tesi su Feuerbach. Nascita
della figlia Laura.
Il manoscritto redatto in comune da Marx e da Engels, L’ideologia tedesca
(contro Bauer e Max Stirner), non trova un editore e viene perciò
abbandonato alla «rodente critica dei topi». Fondazione di un comitato di
corrispondenza comunista. Nascita del figlio Edgar.
Marx redige La miseria della filosofia 7 contro Proudhon. Primo congresso
della «Lega dei comunisti» a Londra, al quale Marx non può partecipare per
mancanza di denaro. Diventa presidente della Sezione di Bruxelles della
«Lega». Assieme a Engels fonda l’«Associazione degli operai tedeschi» di
Bruxelles.
In febbraio viene pubblicato il Manifesto del partito comunista8, redatto da
Marx e da Engels. All’inizio di marzo Marx viene arrestato e in seguito
espulso con tutta la sua famiglia verso la Francia stravolta dai disordini
rivoluzionari. In aprile ritorno in Germania. Fondazione della Nuova gazzetta
renana con Marx redattore capo [tutti gli articoli sono in MEOC, VII-IX].
Partecipazione al primo congresso dei democratici renani. Relazione per la
Associazione viennese degli operai sul tema «lavoro salariato e capitale».
5
Edizioni italiane: KARL MARX, Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, trad. it. di Galvano della Volpe,
introd. di Umberto Cerroni, Roma, Editori Riuniti, 1983, ripresa in MEOC, III; Critica del diritto statuale hegeliano,
trad. it. e commentario di Roberto Finelli e Francesco S. Trincia, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1983.
6
La pubblicazione fu iniziata da Marx e da Ruge alla fine del febbraio 1844, dopo che entrambi si erano trasferiti a
Parigi (Marx dall’ottobre e Ruge dal dicembre 1843). Della rivista uscì solo il primo numero, doppio, In seguito essa
cessò la pubblicazione, soprattutto a causa delle divergenze manifestatesi tra i due editori. Edizione italiana: AA. VV.,
Annali franco-tedeschi di A. Ruge e K. Marx, a cura di G.M. Bravo, Milano, 1965; nuova edizione, Roberto Massari
Editore, Bolsena (VT), (Eretici e sovversivi) 2001 (on-line: http://www.marxists.org/italiano/marxengels/1844/2/index.htm).
7
K. MARX, Miseria della filosofia. Risposta alla «Filosofia della miseria» del signor Proudhon [1847], trad. it. di
F. Rodano, introd. di N. Badaloni, Roma, (I Testi, n. 50), 1993 7 (1a ediz. 1950); in MEOC, VI (on-line:
http://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1847/miseria-filosofia/index.htm).
8
K. MARX-F. ENGELS, Manifesto del partito comunista, trad. it. di Emma Cantimori Mezzomonti, con saggio
storico-critico di Bruno Bongiovanni, Torino, Einaudi, (Einaudi tascabili), 1998; in MEOC, VI (on-line:
http://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1848/manifesto/index.htm).
7
1849
1850
1851
1852
1853
1854
1855
1857
1858
1859
1860
1861
1862
Lavoro salariato e capitale 9 . A maggio compare l’ultimo numero della
Nuova gazzetta renana. Nel suo ultimo editoriale Marx perora a favore
dell’affossamento dell’ordine esistente, per il terrorismo rivoluzionario e la
rivoluzione sociale e repubblicana. Marx e la sua famiglia abbandonano,
completamente privi di mezzi, la Germania e vanno in Francia. In agosto
emigra verso Londra, dove lo segue poco dopo la sua famiglia. Nascita del
figlio Guido.
Le lotte di classe in Francia 10 compaiono nella Nuova gazzetta renana.
Rivista politico-economica fondata nuovamente in esilio [tutti gli articoli
sono in MEOC, X]. Riorganizzazione della lega dei comunisti sotto il motto
«Rivoluzione permanente». Scissione della «Lega». Marx continua i suoi
studi economici.
Marx crede di poter iniziare immediatamente la stesura della sua «Economia»
in tre volumi e Ferdinand Lassalle arde dal desiderio di poter leggere l’opera
annunciata. Nascita della figlia Franziska. Nascita del figlio naturale
Frederick Lewis Demuth. Morte del figlio Guido. Inizio delle relazioni con la
New York Daily Tribune11.
Pubblicazione del Diciotto brumaio di Luigi Bonaparte 12 nella rivista
americana Die Revolution [in MEOC, XI]. Insieme ad Engels il pamphlet I
grandi uomini dell’esilio [in MEOC, XI]. Processo dei comunisti a Colonia.
La «Lega» si scioglie definitivamente. Marx e la sua famiglia vivono in
situazioni economiche estremamente opprimenti che dureranno ancora per
molti anni e che potranno essere superate solo grazie all’aiuto dell’amico
Engels. Morte della figlia Franziska.
Rivelazioni sul processo dei comunisti a Colonia [in MEOC, XI].
Marx scrive più di sessanta articoli per la New York Daily Tribune. Tramite la
mediazione di Lassalle collabora alla liberale Neue Oder-Zeitung.
Nascita della figlia Eleanor. Morte del figlio Edgar.
Inizio della stesura dei Lineamenti fondamentali della critica dell’economia
politica.
Continua a lavorare ai Lineamenti.
Per la critica dell’economia politica13.
Compare a Londra Herr Vogt [in MEOC, XVII], uno scritto polemico contro
Karl Vogt, che da parte sua aveva polemizzato in una sua opera contro Marx.
Marx fa visita a Lassalle a Berlino.
Marx lavora alle Teorie sul plusvalore14.
9
K. MARX, Lavoro salariato e capitale, trad. it. di Palmiro Togliatti, Roma, Editori Riuniti, (I Piccoli), 1991; anche in
MEOC, IX (on-line: http://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1847/lavcap.htm).
10
On-line: http://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1850/lottecf/index.htm
11
Organo democratico-borghese americano fondato nel 1841. Marx vi collaborò dal 1851 e, dal 1855, ne divenne
l’unico corrispondente dall’Europa.
12
On-line: http://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1852/brumaio/index.htm
13
K. MARX, Per la critica dell’economia politica [1859], trad. it. di Emma Cantimori Mezzomonti, Roma, Editori
Riuniti, 1971; ripresa in MEOC, XXIX; ma anche on-line: http://www.marxists.org/italiano/marxengels/1859/criticaep/index.htm.
8
1864
Ripresa di un forte impegno politico che lo porta alla fondazione della
«Associazione internazionale degli operai» (1864), per la quale Marx redige
l’Indirizzo inaugurale e gli Statuti [in MEOC, XX]. Entra in polemica con gli
anarchici di Bakunin, i proudhoniani francesi e i lassalliani tedeschi.
1865 Salario, prezzo e profitto15 [in MEOC, XX].
1867 Presso l’editore Otto Meissner di Amburgo esce il primo volume del
Capitale, quell’opera a cui Marx, come scrive in una lettera, «ha sacrificato la
salute, la felicità e la famiglia».
1871 Marx segue appassionatamente il destino della Comune di Parigi (1871) che
ritiene essere il primo governo rivoluzionario della classe operaia, nato non
dall’appropriazione delle leve dello Stato borghese, ma dalla sua distruzione
e sostituzione con nuovi organismi eletti dal basso e direttamente controllati
dal proletariato in armi. Per Marx la Comune è «la forma politica finalmente
scoperta» della dittatura del proletariato. Su commissione del consiglio
generale dell’«Associazione Internazionale degli operai» redige l’indirizzo
La guerra civile in Francia16.
1872 Esce l’edizione russa del Capitale. Il congresso dell’Aia decide assieme
all’espulsione degli anarchici, il trasferimento del consiglio Generale a New
York, il che, in pratica, equivale a decidere la fine dell’Associazione
internazionale dei lavoratori.
1875 Critica del programma di Gotha17 (1875), cioè del progetto di programma
comune delle due frazioni dei socialisti tedeschi (i lassalliani e il partito
fondato a Eisenach nel 1869 da Liebknecht e Bebel) che fu approvato al
congresso di unificazione tenuto a Gotha, da cui nacque la socialdemocrazia
tedesca. Esce l’edizione francese del Capitale.
1875- Appunti e estratti di etnologia, antropologia, scienze naturali, matematica18.
1878 Marx crede di poter completare per la fine dell’anno il secondo volume del
Capitale.
1879 Lo stato di salute di Marx, da tempo minato, peggiora e la sua capacità di
lavorare si affievolisce.
1880 Glosse marginali al «Manuale di economia politica» di Adolph Wagner.
Lavoro al secondo e terzo volume del Capitale.
1881 Morte della moglie Jenny.
1883 Poche settimane dopo la morte della figlia Jenny, Marx muore a Londra il 14
marzo e viene sepolto nel cimitero di Highgate.
1885 Esce a cura di Engels il secondo volume del Capitale.
1894 Esce, sempre a cura di Engels, il terzo volume del Capitale, rielaborato per la
stampa utilizzando il lascito di manoscritti di Marx.
Edizione italiana: K. MARX, Storia dell’economia politica. Teorie sul plusvalore, trad. it. di Cristina Pennavaja,
introduzione di Giorgio Lunghini, Roma, Editori Riuniti, 3 voll., 1993 2 e in MEOC, XXXIV-XXXV-XXXVI.
15
On-line: http://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1865/salpp.htm
16
On-line: http://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1871/gcf/index.htm
17
Id., Critica del programma di Gotha [1875], Roma, Editori Riuniti, 1990 (on-line:
http://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1875/gotha/index.htm).
18
Id., Manoscritti matematici, a cura di Francesco Matarrese e Augusto Ponzio, Bari, Dedalo, 1975.
14
9
2. Introduzione
2.1. Edizioni italiane dei Manoscritti economico-filosofici del 1844
a) trad. it. di Norberto Bobbio, Torino, Einaudi, (Biblioteca di cultura filosofica,
9), 1949; seconda edizione rivista, Torino, Einaudi, (Nuova Universale
Einaudi, 92), 1968; terza edizione, Torino, Einaudi, (Piccola Biblioteca
Einaudi. Nuova serie), 2004.
b) trad. it. in Karl Marx, Opere filosofiche giovanili, a cura di Galvano della
Volpe, Roma, Edizioni Rinascita, 1950 (19662), pp. 175-314.
c) trad. it. di Galvano della Volpe, rivista da Nicolao Merker, in K. Marx F. Engels, Opere. Vol. III: 1843-1844, Roma, Editori Riuniti, 1976,
pp. 249-376.
d) trad. it. e cura di Ferruccio Andolfi, Milano, Newton Compton, 1976.
2.2. Breve descrizione del testo
I Manoscritti sono composti da tre quaderni di appunti e riflessioni che Marx stese a
Parigi dal maggio all’agosto 1844. Questi quaderni furono pubblicati però solo 88
anni dopo, nel 1932, nel vol. III della I sezione della prima K. Marx-F.Engels,
Historisch-kritische Gesamtausgabe (MEGA), Berlin-Moskau, 1932, pp. 29-172, in
una versione alquanto discutibile a cura dello stalinista Viktor Adoratskij19.
Per avere un semplice esempio dell’operazione di “cucitura” messa in opera da
Adoratskij si può seguire nel testo come i fogli (Bogen) del terzo manoscritto
marxiano siano stati poi disposti in modo tale da formare dei “capitoli”… inesistenti:
Bogen XI-XIII si trova a M, pp. 158-164 (dovrebbe essere a M, p. 126)
Bogen XIV-XVII si trova a M, pp. 127-135
Bogen XVII-XVIII si trova a M, pp. 164-167
Bogen XIX-XX si trova a M, pp. 135-141
19
Nello stesso volume della prima MEGA, in cui sono contenuti i Manoscritti del 1844, Adoratskij pubblica per la
prima volta anche un altro voluminoso manoscritto di Marx ed Engels, l’Ideologia tedesca, per la cui prima sezione,
intitolata Feuerbach, che si trovava in un stato fortemente frammentario, egli opera una simile “cucitura” di frammenti
diversi in modo tale da ricavarne la “prima formulazione della concezione materialistica della storia”, o peggio, del
materialismo storico e dialettico, il Dia-mat, l’ideologia di stato dell’URSS.
10
Bogen XXIII-XXXIV si trova a M, pp. 167-188
Bogen XLI-XLIII si trova a M, pp. 151-157 (frammento sul denaro)
A parte questi cavilli e ghiribizzi apparentemente solo filologici, si tratta comunque
di un testo molto importante per la corretta comprensione del passaggio di Marx dal
liberalismo la comunismo e della sua critica dell’economia politica.
2.3. Motivi (biografici, intellettuali e storici) che spinsero Marx ad
intraprendere lo studio critico dell’economia politica
Dalla Prefazione a Per la critica dell’economia politica del 1859:
«La mia specialità erano gli studi giuridici, ma io non li coltivavo se non come
disciplina subordinata, accanto alla filosofia e alla storia. Nel 1842-43, come
redattore della Rheinische Zeitung, fui posto per la prima volta davanti all’obbligo,
per me imbarazzante, di esprimere la mia opinione a proposito di cosiddetti
interessi materiali».
[…]
«Fui […] sollecito nell’approfittare dell’illusione dei gerenti della Rheinische
Zeitung, i quali credevano di poter far revocare la condanna a morte caduta sul
loro giornale dandogli una linea più moderata, per ritirarmi dalla scena pubblica
nella stanza da studio. Il primo lavoro intrapreso per sciogliere i dubbi che mi
assalivano fu una revisione critica della filosofia del diritto di Hegel, lavoro di cui
apparve l’introduzione nei Deutsch-französische Jahrbücher pubblicati a Parigi
nel 1844. La mia ricerca arrivò alla conclusione che tanto i rapporti giuridici
quanto le forme dello Stato non possono essere compresi né per sé stessi, né per la
cosiddetta evoluzione generale dello spirito umano, ma hanno le loro radici,
piuttosto, nei rapporti materiali dell’esistenza il cui complesso viene abbracciato
da Hegel, seguendo l’esempio degli inglesi e dei francesi del secolo XVIII, sotto il
termine di “società civile”; e che l’anatomia della società civile è da cercare
nell’economia politica. Avevo incominciato lo studio di questa scienza a Parigi, e
lo continuai a Bruxelles, dove ero emigrato in seguito a un decreto di espulsione
del sig. Guizot».
[…]
«Friedrich Engels, col quale, dopo la pubblicazione (nei Deutsch-französische
Jahrbücher) del suo geniale schizzo di critica delle categorie economiche 20 ,
F. ENGELS, Lineamenti di critica dell’economia politica [1844]. Traduzione italiana in: AA. VV., Annali francotedeschi di A. Ruge e K. Marx, a cura di G.M. Bravo, Milano, 1965 [nuova edizione, Roberto Massari Editore, Bolsena
(VT), (Eretici e sovversivi) 2001] e in K. MARX-F. ENGELS, Opere. Vol. III: 1843-1844, a cura di Nicolao Merker e
20
11
mantenni per iscritto un continuo scambio di idee, era arrivato per altra via (si
confronti la sua Situazione della classe operaia in Inghilterra, allo stesso risultato
cui ero arrivato io, e quando nella primavera del 1845 si stabilì egli pure a
Bruxelles, decidemmo di mettere in chiaro, con un lavoro comune, il contrasto tra
il nostro modo di vedere e la concezione ideologica della filosofia tedesca, di fare
i conti, in realtà, con la nostra anteriore coscienza filosofica. Il disegno venne
realizzato nella forma di una critica della filosofia posteriore a Hegel. Il
manoscritto, due grossi fascicoli in ottavo, era da tempo arrivato nel luogo dove
doveva pubblicarsi, in Vestfalia, quando ricevemmo la notizia che un mutamento
di circostanze non ne permetteva la stampa. Abbandonammo tanto più volentieri il
manoscritto alla rodente critica dei topi, in quanto avevamo già raggiunto il nostro
scopo principale, che era di veder chiaro in noi stessi».
Marx fu dunque spinto a intraprendere lo studio critico dell’economia politica da:
a) l’esperienza fatta nella redazione della Gazzetta renana (ottobre 1842-marzo
1843) che lo pose per la prima volta davanti ai problemi materiali e gli
dimostrò la contraddittorietà dello Stato semi-feudale prussiano e della
concezione hegeliana dello Stato;
b) la Critica del diritto statuale hegeliano (1843);
c) lo studio della storia della Rivoluzione francese21;
d) la pubblicazione delle Tesi provvisorie per la riforma della filosofia 22 e dei
Principî della filosofia dell’avvenire di Feuerbach23.
e) l’acquisizione, nella Questione ebraica (1844) 24 , dell’astrattezza e
insufficienza della emancipazione solo politica e la scoperta del proletariato
nella Introduzione a Per la critica della filosofia del diritto di Hegel25 (1844);
Nicola De Domenico, Roma, Editori Riuniti, 1976. On-line: http://www.marxists.org/italiano/marxengels/1844/2/index.htm.
21
Secondo quanto scrive Arnold Ruge in una sua lettera, Marx voleva scrivere una storia della Convenzione, cioè della
repubblica francese dal 1792 in poi e aveva già raccolto, schedato e studiato molto materiale per questo scopo. Queste
letture saranno utilizzate da Marx ampiamente nella sua opera successiva, La Sacra famiglia .
22
La cui lettura da parte di Marx ci è documentata dalla sua lettera a Ruge del 13 marzo 1843: «Sugli aforismi di
Feuerbach [le Tesi provvisorie] non sono d’accordo solo in un punto, cioè che egli insiste troppo sulla natura e
troppo poco sulla politica», MEOC, I, pp. 419-420.
23
Ludwig Andreas Feuerbach, Principi della filosofia dell’avvenire, a cura di Norberto Bobbio, Torino, Einaudi,
(Biblioteca di cultura filosofica, 2), 1949 (1971 3), pp. XII-141. Contiene i seguenti scritti di Feuerbach: Critica della
filosofia hegeliana (1839), pp. 1-47; Tesi provvisorie per una riforma della filosofia (1843), pp. 48-69; Principi di
filosofia dell’avvenire (1844), pp. 69-141. Questi testi di Feuerbach sono contenuti anche nell’edizione:
L.A. Feuerbach, Opere, a cura di Claudio Cesa, Roma-Bari, Laterza, 1965.
24
Cfr. Karl Marx, Sulla questione ebraica, MEOC, III, p. 162: «[Bauer] sottopone a critica solo lo “Stato cristiano”,
non lo “Stato in sé”, che non ricerca il rapporto tra l’emancipazione politica e l’emancipazione umana, e perciò pone
condizioni che sono spiegabili soltanto con una acritica confusione tra l’emancipazione politica e quella umana in
generale»; ibid., p. 164: «Il limite dell’emancipazione politica appare immediatamente nel fatto che lo Stato può
liberarsi da un limite senza che l’uomo ne sia realmente libero, che lo Stato può essere un libero Stato senza che
12
f) la lettura, sugli Annali franco-tedeschi, dei Lineamenti di una critica
dell’economia politica di Engels (che Moses Hess aveva già “convertito” al
comunismo) e il loro decisivo incontro alla fine d’agosto 184426;
g) frequentazione assidua delle associazioni comuniste di artigiani francesi e
tedeschi a Parigi (M, p. 137);
h) frequentazione assidua dei teorici socialisti francesi (nei Manoscritti Marx cita
occasionalmente Saint-Simon, Fourier, Cabet e Owen, M, pp. 96, 107, 108,
111, 112), in particolare Proudhon (di cui Marx critica la teoria
dell’uguaglianza dei salari, M, pp. 20, 84, 136 e altre tesi minori, M, pp. 197,
140 e 143);
i) la rivolta dei tessitori della Slesia del giugno 1844.
2.4 Fortuna del testo
Alla loro prima apparizione, i Manoscritti del 1844 di Marx hanno avuto l’effetto di
un vero e proprio choc sui militanti e gli intellettuali comunisti (quasi tutti inquadrati
nel Dia-Mat sovietico) nonché su molti pensatori borghesi, cristiani, esistenzialisti
etc. I Manoscritti hanno avuto subito una grandissima diffusione, suscitando
un’intenso e acceso dibattito intorno a temi per quei tempi radicalmente nuovi quali
l’alienazione, l’umanismo etc.
Tra le tantissime testimonianze di questo choc, ne ho scelto due (con un criterio
certamente soggettivo) a mio avviso molto rappresentative.
l’uomo sia un uomo libero»; ibid., p. 168: «L’emancipazione politica è certamente un grande passo in avanti, non è
bensì la forma ultima dell’emancipazione umana in generale, ma è l’ultima forma dell’emancipazione umana entro
l’ordine mondiale attuale. S’intende: noi parliamo qui di reale, di pratica emancipazione».
25
MEOC, III, pp. 202-203: «Dov’è dunque la possibilità positiva della emancipazione tedesca? Risposta: nella
formazione di una classe con catene radicali, di una classe della società civile la quale non sia una classe della società
civile, di un ceto che sia la dissoluzione di tutti i ceti, di una sfera che per i suoi patimenti universali possieda un
carattere universale e non rivendichi alcun diritto particolare, poiché contro di essa viene esercitata non una ingiustizia
particolare bensì l’ingiustizia senz’altro, la quale non può più appellarsi ad un titolo storico ma al titolo umano, che non
si trova in contrasto unilaterale verso le conseguenze, ma in contrasto universale contro tutte le premesse del sistema
politico tedesco, di una sfera, infine, che non può emancipare se stessa senza emanciparsi da tutte le rimanenti sfere
della società e con ciò stesso emancipare tutte le rimanenti sfere della società, la quale, in una parola, è la perdita
completa dell’uomo, e può dunque guadagnare nuovamente se stessa soltanto attraverso il completo recupero
dell’uomo. Questa dissoluzione della società in quanto ceto particolare è il proletariato».
26
Nelle successive Rivelazioni sul processo dei comunisti a Colonia, Engels scrive: «Quando visitai Marx a Parigi
nell’estate 1844, risultò il nostro completo accordo in tutti i campi della teoria e da quel momento ebbe inizio il
nostro lavoro comune».
13
2.4.1. Herbert Marcuse
Pochi mesi dopo la prima pubblicazione dei Manoscritti, Herbert Marcuse li
presentava sulla rivista “Die Gesellschaft”, utilizzando dei termini e formulando dei
giudizi che oggi possono sembrare più che scontati, ma se consideriamo che furono
scritti 73 anni fa, assumono per noi un tono quasi “profetico”.
«La pubblicazione dei Manoscritti economico-filosofici di Marx del 1844 è
destinata a diventare un avvenimento decisivo nella storia della ricerca
marxista. Questi Manoscritti potrebbero spostare su un nuovo terreno la
discussione sull’origine e il senso originario del materialismo storico, anzi di
tutta la teoria del “socialismo scientifico”; consentono anche di impostare il
problema dei rapporti oggettivi fra Marx e Hegel in modo più fecondo e ricco
di prospettive. Non solo il carattere frammentario dei Manoscritti (parti estese
appaiono perdute, l’indagine spesso si interrompe nei punti decisivi;
l’elaborazione non è mai definitiva) richiede un’interpretazione estesa, che non
si limiti ai singoli passi ma faccia sempre riferimento al contesto generale, anche le difficoltà di carattere oggettivo che il testo presenta sono estremamente
grandi. Poiché si tratta […] di una critica e fondazione filosofica
dell’economia politica nel senso di una teoria della rivoluzione»27.
2.4.2 György Lukács
Uno dei più grandi marxisti del secolo scorso, l’ungherese György Lukács, premise
nel 1967 alla sua famosa raccolta di saggi Storia e coscienza di classe (1923) una
lunga prefazione in cui è contenuta anche una ferrea autocritica del proprio lavoro,
soprattutto per quanto riguarda il rapporto Marx-Hegel e più specificamente la
differenza tra estraneazione e oggettivazione.
«In un simile sguardo d’insieme, necessariamente sommario, è impossibile
esercitare una critica concreta intorno alle considerazioni particolari di questo
libro […]. Tuttavia, in rapporto all’influenza che esso esercitò a quel tempo, ed
anche ad una sua eventuale attualità nel presente, soprattutto un problema ha
un’importanza determinante, che va al di là di tutte le considerazioni di
dettaglio: si tratta del problema dell’estraneazione che viene trattato qui per
la prima volta dopo Marx come questione centrale della critica rivoluzionaria
del capitalismo, riconducendo alla dialettica hegeliana le sue radici storicoteoriche e metodologiche. Naturalmente questo problema era nell’aria. Alcuni
anni dopo, esso passò al centro delle discussioni filosofiche per opera di Essere e
27
Herbert Marcuse, Nuove fonti per la fondazione del materialismo storico [1932], in Id., Marxismo e rivoluzione. Studi
1929-1932, trad. it. di Anna Solmi, introduzione di Gian Enrico Rusconi, Torino, Einaudi, (Piccola Biblioteca Einaudi.
Serie testi, 3), 1975, pp. 61-116 (p. 63).
14
tempo di Heidegger ed ancora oggi non ha perduto questa posizione,
essenzialmente per influenza di Sartre, della sua scuola e dei suoi oppositori»28.
«Quanto alla trattazione di questo problema, oggi non è più molto difficile
rendersi conto che essa si muove puramente nello spirito di Hegel»
(ibid., p. XXIII).
«Storia e coscienza di classe segue Hegel nella misura in cui anche in questo
libro l’estraneazione viene posta sullo stesso piano dell’oggettivazione […].
Questo fondamentale e grossolano errore ha sicuramente contribuito in notevole
misura al successo di Storia e coscienza di classe» (ibid., p. XXV).
Lukács definisce il suo errore come una «falsa identificazione […] tra concetti
fondamentalmente opposti».
«Questa dualità [tra oggettivazione ed estraneazione] non venne riconosciuta in
Storia e coscienza di classe. Di qui la falsità e la stortura della sua concezione
storico-filosofica fondamentale» (ibid., p. XXVI).
Ma quale fu l’evento che “aprì gli occhi” a Lukács? Cosa gli permise di constatare il
suo «fondamentale e grossolano errore»?
Nel 1930 «divenni collaboratore scientifico dell’Istituto Marx-Engels di Mosca.
Fui favorito allora da due inattesi colpi di fortuna: mi fu possibile leggere il testo,
già completamente decrifrato [sic! sc. decifrato], dei Manoscritti economicofilosofici e feci la conoscenza, che segnò l’inizio di un’amicizia destinata a durare
per tutta la vita, con M. Lifschitz. Nella letteratura [sic!, sc. lettura] di Marx
caddero in una volta tutti i pregiudizi idealistici di Storia e coscienza di classe.
È sicuramente vero che avrei potuto trovare anche nei testi marxiani letti in
precedenza ciò che mi scosse sul piano teorico in questa circostanza. È tuttavia un
fatto che ciò non accadde, palesemente perché fin dall’inizio lessi queste opere
secondo un’interpretazione hegeliana, ed un simile choc poté essere esercitato
soltanto da un testo completamente nuovo. […] In ogni caso, ricordo ancora
oggi [dopo 37 anni] l’impressione sconvolgente che fecero su di me le parole di
Marx sull’oggettività come proprietà materiale primaria di tutte le cose e di tutte le
relazioni. Ad essa si ricollegava […] la comprensione del fatto che
l’oggettivazione è un modo naturale – positivo o negativo – di dominio umano del
mondo, mentre l’estraneazione è un tipo particolare di oggettivazione che si
realizza in determinate circostanze sociali. Con ciò erano crollati
definitivamente i fondamenti teorici di ciò che rappresentava il carattere
particolare di Storia e coscienza di classe. Questo libro mi divenne
completamente estraneo […]. D’un colpo mi fu chiaro che se volevo realizzare
28
György Lukács, Prefazione (1967) a Id., Storia e coscienza di classe (1923), trad. it. di Giovanni Piana, Milano,
SugarCo, (Argomenti, 27), 19887, pp. XXII-XXIII.
15
quegli elementi teorici che mi si presentavano dinanzi, dovevo ancora una volta
ricominciare dall’inizio» (ibid., p. XL).
3. Analisi delle tre componenti del reddito (salario-profitto-rendita
fondiaria) [cfr. anche infra § 7]
Nelle prime tre sezioni del primo manoscritto (salario, profitto del capitale e rendita
fondiaria), Marx assume come proprio punto di partenza il punto di partenza della
stessa economia politica: la ricchezza e la sua distribuzione alle tre classi produttive
(operai, capitalisti e proprietari terrieri).
3.1. Salario [cfr. anche infra § 8]
In questa prima sezione, prendendo ampi estratti dalle opere di Smith e di Say, Marx
constata che «nello stadio dell’economia privata» (M, p. 71), anche l’uomo e il lavoro
umano sono diventati merce e in quanto tali sono sottoposti, come ogni altra merce
che venga presentata sul mercato, alle leggi della concorrenza e della domanda e
dell’offerta.
«La domanda di uomini regola necessariamente la produzione degli uomini, come di
ogni altra merce» (M, p. 11).
«L’economia politica considera il lavoro astrattamente come una cosa: “il lavoro è
una merce”; se il prezzo è alto, la merce è molto richiesta; se è basso è molto offerta»,
(M, p. 26).
«L’operaio è diventato una merce ed è una fortuna per lui trovare un acquirente»,
(M, p. 12).
«Se dunque il lavoro è una merce, è una merce dalle più tristi caratteristiche»
(M, p. 27).
Perché «l’economia politica conosce l’operaio soltanto come soma da lavoro, come
una bestia ridotta ai più elementari bisogni della vita» (M, p. 22).
Nella società capitalistico-borghese, «sotto il predominio della proprietà privata»
(M, p. 56), l’operaio «viene abbassato spiritualmente e fisicamente al livello della
macchina e trasformato da uomo in una attività astratta e in un ventre» (M, p. 15).
Sempre seguendo le analisi degli economisti, Marx considera la situazione
dell’operaio nelle tre situazioni-tipo in cui può trovarsi la società (in ascesa,
stazionaria, in declino), per concludere che
16
«anche nella situazione sociale più favorevole all’operaio, la conseguenza necessaria
per l’operaio è eccesso di lavoro, morte prematura, degradazione a macchina,
schiavitù nei confronti del capitale, che si accumula pericolosamente di fronte a lui,
nuova concorrenza, morte per fame o accattonaggio per una parte degli operai»
(M, pp. 15-16).
Contraddizioni tra le affermazioni teoriche dell’economia politica e la realtà di
fatto:
«Poniamoci ora completamente dal punto di vista dell’economista ed
esaminiamo sotto la sua guida le richieste teoriche e pratiche degli operai.
L’economista ci dice che originariamente e teoricamente l’intero prodotto del
lavoro appartiene all’operaio. Ma ci dice nello stesso tempo che di fatto giunge
all’operaio la parte più piccola e assolutamente più indispensabile del prodotto; solo
quel tanto che è necessario affinché l’operaio viva non come uomo ma come
operaio, e propaghi non l’umanità, ma quella classe di schiavi, che è la classe degli
operai.
L’economista ci dice che col lavoro ogni cosa si può comprare e che il capitale
non è altro che lavoro accumulato; ma ci dice nello stesso tempo che l’operaio, ben
lungi dal poter comprare ogni cosa, deve vendere se stesso e la sua umanità»
(M, pp. 17-18).
«Mentre, secondo l’economista, il lavoro è l’unico mezzo con cui l’uomo
ingrandisce il valore dei prodotti naturali, mentre il lavoro è la proprietà attiva
dell’uomo, il proprietario fondiario e il capitalista, i quali in quanto proprietario
fondiario e in quanto capitalista sono semplicemente divinità privilegiate ed oziose,
hanno dappertutto, secondo la stessa economia politica, la preminenza sull’operaio
e gli prescrivono leggi» (M, p. 18).
«Mentre l’interesse dell’operaio non è mai in contrasto, secondo l’economista, con
l’interesse della società, la società sta sempre e necessariamente in contrasto con
l’interesse dell’operaio» (M, p. 18).
Per poi concludere che il fatto «che il lavoro stesso sia non solo nelle attuali
condizioni, ma in quanto il suo scopo in generale è il puro e semplice
accrescimento della ricchezza, voglio dire che il lavoro stesso sia dannoso e
disastroso, risulta, senza che l’economista lo sappia, dalle sue analisi» (M, p. 19).
3.2. Il profitto del capitale
«Il capitale, cioè la proprietà privata dei prodotti del lavoro altrui» (M, p. 29).
«Il capitale è dunque il potere di governo sul lavoro e sui suoi prodotti» (M, p. 29).
17
«Il capitale è lavoro accumulato» (M, p. 30).
«I miglioramenti che il lavoro umano applicato al prodotto naturale apporta nel
prodotto lavorato, non fanno crescere il salario, ma in parte il numero dei capitali con
profitto e in parte la proporzione di ogni capitale successivo nei confronti dei
precedenti» (M, p. 33).
«Quanto maggiore è l’apporto dell’uomo in un prodotto, tanto maggiore è il profitto
del capitale morto» (M, p. 34).
«L’unico movente che determina il detentore di un capitale ad impiegarlo piuttosto
nell’agricoltura o nell’industria o in un determinato ramo del commercio all’ingrosso
o al minuto, è il punto di vista del proprio profitto» (M, p. 34).
«anche dal comune punto di vista della scienza economica l’interesse del
capitalista si contrappone ostilmente a quello della società» (M, p. 36).
3.3. Rendita fondiaria
Il proprietario fondiario non si distingue essenzialmente dal capitalista, anche
«il proprietario fondiario sfrutta tutti i vantaggi della società» (M, p. 56):
a) l’aumento della popolazione;
b) le ferrovie e il miglioramento, la sicurezza e la moltiplicazione dei mezzi di
comunicazione;
c) ogni miglioramento in generale della società;
d) il miglioramento della forza produttiva del lavoro;
«Se però ora Smith, dal fatto che il proprietario fondiario sfrutta tutti i vantaggi della
società, conclude […] che l’interesse del proprietario fondiario si identifica sempre
con quello della società, dice una sciocchezza. Nell’economia politica, sotto il
predominio della proprietà privata, l’interesse che un individuo ha alla società è
inversamente proporzionale all’interesse che la società ha per lui, allo stesso modo
che l’interesse che l’usuraio per lo sperperatore non si identifica affatto con
l’interesse dello sperperatore» (M, p. 57).
«Soffermiamoci sulle affermazioni stesse dell’economia politica.
[…] aumento di ricchezza [per una classe] s’identifica con l’aumento della miseria e
della schiavitù [per l’altra classe]. […]
Secondo gli stessi economisti l’interesse del proprietario fondiario è antitetico
all’interesse dell’affittuario, e quindi di una parte considerevole della società.
18
[…] l’interesse del proprietario è antitetico all’interesse dei contadini, proprio come
accade dell’interesse del padrone di fabbrica rispetto ai suoi operai. Esso riduce il
salario al minimo.
[…] il proprietario fondiario ha un interesse diretto alla compressione dei salari degli
operai manifatturieri, alla concorrenza tra capitalisti, alla superproduzione, alla
completa miseria delle manifatture.
Dunque, l’interesse del proprietario fondiario, ben lungi dall’identificarsi con
l’interesse della società, è in antitesi con l’interesse degli affittuari, dei contadini,
degli operai di fabbrica, e dei capitalisti; d’altra parte, l’interesse di un proprietario
fondiario non s’identifica neppure con quello di un altro proprietario fondiario, a
causa della concorrenza» (M, pp. 58-59).
«Questa concorrenza [tra proprietari fondiari] conduce inoltre alla conseguenza che
una gran parte della proprietà fondiaria cade nelle mani dei capitalisti e così i
capitalisti diventano ad un tempo proprietari fondiari, allo stesso modo che ormai i
proprietari minori sono in generale soltanto più dei capitalisti. Parimenti, una parte
della grande proprietà fondiaria diventa nello stesso tempo proprietà industriale»
(M, p. 62), viene cioè sussunta sotto il capitale.
«La conseguenza ultima è quindi la riduzione di ogni differenza tra capitalista e
proprietario fondiario, di guisa che nell’insieme risultano esservi soltanto più due
classi di popolazione, la classe dei lavoratori e la classe dei capitalisti. Questa
venalità della proprietà fondiaria, questa trasformazione della proprietà fondiaria
in una merce rappresenta il crollo finale della vecchia aristocrazia e il finale
perfezionamento dell’aristocrazia del denaro» (M, p. 62), la sua completa
sussunzione sotto il capitale.
«Noi non ci uniamo alle lacrime sentimentali che i romantici piangono su questa
vicenda» (M, p. 62).
«La divisione del possesso fondiario nega il grande monopolio della proprietà
fondiaria, lo sopprime [hebt auf], ma solo in quanto lo generalizza 29 . Non
sopprime il fondamento del monopolio, la proprietà privata. Attacca l’esistenza,
ma non l’essenza del monopolio» (M, p. 65).
«Ma non si tratta di tornare al possesso feudale, ma di giungere alla soppressione in
generale della proprietà privata sul fondo e sul suolo. La prima soppressione del
monopolio è sempre la sua generalizzazione, l’allargamento della sua realtà di fatto 30.
La soppressione del monopolio che ha raggiunto la sua realizzazione più ampia ed
estesa possibile, è il suo completo annullamento. L’associazione, applicata al fondo
e al suolo, partecipa del vantaggio di cui gode dal punto di vista dell’economia
politica il possesso fondiario e realizza primamente la tendenza originaria alla
29
30
Sopprime o supera [hebt auf] solo il carattere particolare del monopolio e lo nega in un monopolio generalizzato.
Cfr. la critica di Marx al comunismo rozzo (M, pp. 107-114).
19
divisione, cioè l’uguaglianza; e d’altra parte ristabilisce pure la relazione affettiva
dell’uomo con la terra in un modo razionale, e non più mediante la servitù della
gleba, la signoria ed una insulsa mistica della proprietà: e ciò in quanto la terra
cessa di essere un oggetto venale, e ridiventa col lavoro libero e col libero
godimento una proprietà vera e personale dell’uomo» (M, pp. 65-66).
I «vantaggi economici, che offre l’agricoltura in grande» diventano «d’utilità sociale
proprio solo quando [viene] soppressa la proprietà privata» (M, p. 66).
«La proprietà fondiaria doveva svilupparsi in ciascuna di queste due forme [feudale e
borghese], per esperimentare in entrambe la sua necessaria decadenza, allo stesso
modo che l’industria doveva andare in rovina nella forma del monopolio e in quella
della concorrenza per imparare a credere nell’uomo» (M, p. 68).
4. Il lavoro estraniato
Questa è la sezione più “marxiana” del primo manoscritto, quella che poi ne è
diventata - non a caso - una delle più famose. Dico più “marxiana” nel senso che a
differenza delle prime tre sezioni del primo manoscritto, nelle quali Marx si era
limitato per lo più a prendere estratti soprattutto dalle opere di Smith e di Say, ma
anche da quelle di Schulze, di Pecquer e di Buret, integrandoli occasionalmente con
suoi commenti, riflessioni e interpolazioni, in questa sezione, intitolata dai suoi primi
editori Il lavoro estraniato, Marx fa un primo bilancio, un resoconto critico del suo
primo confronto con l’economia politica, mettendone in luce soprattutto le
contraddizioni tra le affermazioni e i principi teorici e la realtà dei dati di fatto.
4.1. Bilancio critico delle prime tre sezioni (lavoro, profitto del
capitale, rendita fondiaria)
«Noi siamo partiti dai presupposti dell’economia politica» [senza metterli, in un
primo momento, in discussione]
«Abbiamo accettato la sua lingua [salario, profitto, rendita, credito, interessi etc.] e le
sue leggi [della domanda e dell’offerta, della concorrenza]» (M, p. 69).
«Partendo dalla stessa economia politica, e valendoci delle sue stesse parole, abbiamo
mostrato[:]
[1)] che l’operaio decade a merce, alla più misera delle merci, [ovvero come l’operaio
viene completamente assorbito, sussunto nella produzione delle merci fino a
diventare egli stesso una merce]
20
[2)] che la miseria dell’operaio sta in rapporto inverso con la potenza e la quantità
della sua produzione, [per cui quanta più ricchezza egli produce, tanto più povero e
misero diventa egli stesso, la sua vita, la sua famiglia e l’intera classe degli operai]
[3)] che il risultato necessario della concorrenza [la quale si pone come primo
negazione del monopolio (ad es. del grande latifondo)] è l’accumulazione del capitale
in poche mani, e quindi la più terribile ricostituzione del monopolio [negazione della
negazione],
[4] che infine scompare la differenza tra capitalista e proprietario fondiario [in quanto
anche il proprietario fondiario si vede costretto dalla concorrenza degli altri
proprietari fondiari a impiegare e sfruttare capitalisticamente il suo fondo, e cioè a
diventare egli stesso capitalista], così come scompare la differenza tra contadino e
operaio di fabbrica [anche i contadini vengono sussunti sotto la legge della
produzione capitalistica], e tutta intera la società deve scindersi nelle due classi dei
proprietari e degli operai senza proprietà» (M, p. 69).
4.2. Critica metodologica all’economia politica classica
«L’economia politica parte dal fatto della proprietà privata. Ma non ce la spiega»31.
L’economia politica «coglie il processo materiale della proprietà privata quale si
rivela nella realtà [indagine scientifica], ma lo coglie in formule generali, astratte,
che hanno per essa il valore di leggi» [esposizione ideologica], non coglie la
“differentia specifica” 32 di questo particolare e storicamente determinato tipo di
proprietà che è la proprietà borghese e la fa diventare, in tal modo, LA proprietà per
eccellenza.
In Miseria della filosofia (1847), nel secondo capitolo dedicato a La metafisica
dell’economia politica, Marx ha caratterizzato così il metodo (mistificante)
dell’economia politica:
«Gli economisti hanno un singolare modo di procedere. Non esistono per essi che
due tipi di istituzioni, quelle dell’arte e quelle della natura. Le istituzioni del
feudalesimo sono istituzioni artificiali, quelle della borghesia sono istituzioni
naturali. E in questo gli economisti assomigliano ai teologi, i quali pure
A voler leggere questa affermazione a partire dal circolo epistemologico hegeliano del “presupposto/posto”, il quale
però in quest’opera e in tutto questo periodo (1843-1848) della formazione di Marx non è presente, si potrebbe
anche dire che l’economia politica assume acriticamente la realtà capitalistico-borghese come data, come “presupposto”
della sua indagine scientifica, che è allo stesso tempo esposizione ideologica, senza coglierne il carattere storico
specifico, il suo essere stato “posto” dall’uomo. Essa non è una scienza “genetico-critica”, in quanto il suo scopo si
riduce a descrivere e a giustificare l’esistente e non è «la critica spregiudicata di tutto ciò che esiste».
32
Già nella Kritik del 1843 Marx scriveva: «Una spiegazione che però non dà la differentia specifica, non è una
spiegazione» (K, p. 51).
31
21
stabiliscono due sorta di religioni. Ogni religione che non sia la loro è
un’invenzione degli uomini, mentre la loro è una emanazione di Dio. Dicendo che
i rapporti attuali - i rapporti della produzione borghese - sono naturali, gli
economisti fanno intendere che si tratta di rapporti entro i quali si crea la ricchezza
e si sviluppano le forze produttive conformemente alle leggi della natura. Per
cui questi stessi rapporti sono leggi naturali indipendenti dall’influenza del
tempo. Sono leggi eterne che debbono sempre reggere la società. Così c’è stata
storia, ma ormai non ce n’è più. C’è stata storia perché sono esistite istituzioni
feudali e perché in queste istituzioni feudali si trovano rapporti di produzione del
tutto differenti da quelli della società borghese, che gli economisti vogliono
spacciare per naturali e quindi eterni»33.
«Gli economisti esprimono i rapporti della produzione borghese, la divisione
del lavoro, il credito, la moneta, ecc., come categorie fisse, immutabili, eterne.
[…] Gli economisti ci spiegano come avviene la produzione entro questi rapporti
dati, ma ciò che non ci spiegano è come questi rapporti si producano, vale a
dire non ci spiegano il movimento storico che li ha generati»34.
Gli economisti quindi non sono altro che la “coscienza”, l’espressione a livello
teorico, dei rapporti borghesi in cui e di cui vivono. La loro funzione (ideologica)
consiste nel giustificare e santificare questi rapporti.
«Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la
classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua
potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione
materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione
intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai
quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. Le idee dominanti non
sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i
rapporti dominanti presi come idee: sono dunque l’espressione dei rapporti che
appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo
dominio» (IT, pp. 35-36).
«Le categorie economiche non sono che le espressioni teoriche, le astrazioni dei
rapporti sociali di produzione. […] queste idee, queste categorie sono tanto poco
eterne quanto i rapporti che esse esprimono. Sono prodotti storici e transitori»35.
33
K. MARX, Miseria della filosofia, cit., p. 78.
Ibid., p. 65.
35
Ibid., p. 69.
34
22
Ritorniamo ai Manoscritti del 1844.
Marx ha detto che l’economia politica «coglie il processo materiale della proprietà
privata quale si rivela nella realtà [indagine scientifica], ma lo coglie in formule
generali, astratte, che hanno per essa il valore di leggi» [esposizione ideologica],
«Essa non comprende [begreift]36 queste leggi, cioè non riflette in qual modo esse
derivino dall’essenza [specifica] della proprietà privata» (M, p. 69).
«L’economia politica non ci dà nessuna spiegazione sul fondamento della divisione
di capitale e lavoro, di capitale e terra [da cui essa parte e che accetta come tale]».
«Quando, per esempio, determina il rapporto del salario col profitto del capitale,
l’interesse del capitalista vale per essa come la ragione suprema», in ciò essa
rivela la sua origine di classe, faziosa e parziale, il fatto cioè di essere una scienza
borghese che difende gli interessi della classe dei capitalisti.
In conclusione:
«essa presuppone ciò che deve spiegare» (M, p. 70).
L’accusa che Marx rivolge all’economia politica classica è quindi quella della petitio
principii. Questo vizio logico di fondo del procedere dell’economia politica classica,
si rivela, ad esempio, quando essa cerca di spiegare l’accumulazione (odierna) del
capitale con l’“accumulazione originaria” di … capitale oppure come quando
Proudhon, restando fermo al punto di vista piccolo-borghese, spiega la proprietà con
il furto, cioè con la lesione, riconosciuta dal diritto (borghese), della … proprietà.
Ambizioso progetto di Marx:
«ora noi dobbiamo comprendere [begreifen] la connessione essenziale che corre
tra la proprietà privata, l’avidità di denaro, la separazione tra lavoro, capitale e
proprietà fondiaria, tra scambio e concorrenza, tra valorizzazione e
svalorizzazione dell’uomo, tra monopolio e concorrenza, ecc., la connessione di
tutto questo processo di estraneazione col sistema monetario» (M, p. 70).
Ma come procedere? [cfr. anche infra § 10]
«Non trasferiamoci, come fa l’economista quando vuol dare una spiegazione, in
uno stato originario fantastico [erdichteten Urzustand]. Un tale stato originario
non spiega nulla. Non fa che rinviare il problema in una lontananza grigia e
nebulosa. Presuppone in forma di fatto, di accadimento, ciò che deve dedurre,
36
begreifen: è il comprendere (afferrare) concettuale, il cui sostantivo è appunto il Begriff: concetto.
23
cioè il rapporto necessario tra due fatti, per esempio la divisione del lavoro e lo
scambio. Allo stesso modo la teologia spiega l’origine del male col peccato
originale, cioè presuppone come un fatto, in forma storica, ciò che deve spiegare»
(M, pp. 70-71).
«Noi partiamo da un fatto dell’economia politica, da un fatto presente» (M, p. 71).
«La svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione
del mondo delle cose» (M, p. 71).
4.3. Le quattro determinazioni (Bestimmungen) dell’estraneazione
[cfr. anche infra § 9]
4.3.1. Estraneazione dal prodotto del lavoro
«l’oggetto che il lavoro produce, il prodotto del lavoro, si contrappone ad esso come
un essere estraneo, come una potenza indipendente da colui che lo produce»
(M, p. 71).
«Questa realizzazione [Verwirklichung] del lavoro appare nello stadio
dell’economia privata 37 come un annullamento [Entwirklichung] dell’operaio,
l’oggettivazione appare come perdita e asservimento dell’oggetto, l’appropriazione
come estraneazione, come alienazione» (M, p. 71).
«l’operaio si viene a trovare rispetto al prodotto del suo lavoro come rispetto ad un
oggetto estraneo» (M, p. 72).
«Lo stesso accade nella religione. Quante più cose l’uomo trasferisce in Dio, tanto
meno egli ne ritiene in se stesso» (M, p. 72).
«L’alienazione dell’operaio nel suo prodotto significa non solo che il suo lavoro
diventa un oggetto, qualcosa che esiste all’esterno, ma che esso esiste fuori di lui,
indipendente da lui, a lui estraneo, e diventa di fronte a lui una potenza per se
stante [selbstständig]; significa che la vita che egli ha dato all’oggetto gli si
contrappone ostile ed estranea» (M, p. 72).
«l’oggettivazione, la produzione dell’operaio, e in essa l’estraneazione, la perdita
dell’oggetto, del suo prodotto» (M, p. 72).
37
Questa è la condizione e la situazione tipica e caratteristica della società capitalistico-borghese ma non esclude che è
possibile (e sarà possibile) un altro rapporto dell’uomo con la natura e con la realtà sociale.
24
«L’operaio non può produrre nulla senza la natura, senza il mondo esterno sensibile.
Questa è la materia su cui si realizza il suo lavoro, su cui il suo lavoro agisce, dal
quale e per mezzo del quale esso produce» (M, p. 72).
«(Secondo le leggi dell’economia politica, l’estraneazione dell’operaio nel suo
oggetto si esprime nel fatto che quanto più l’operaio produce, tanto meno ha da
consumare; quanto maggior valore produce, tanto minor valore e minore dignità egli
possiede; quanto più bello [geformter] è il suo prodotto, tanto più l’operaio diventa
deforme; quanto più raffinato [civilisirter] il suo oggetto, tanto più egli
s’imbarbarisce; quanto più potente [mächtiger] il lavoro, tanto più egli diventa
impotente [ohnmächtiger]; quanto più il lavoro è spirituale [geistreich], tanto più egli
è diventato materiale [geistloser] e schiavo [Knecht] della natura)» (M, p. 73).
4.3.2. Estraneazione nell’attività produttiva
«l’estraneazione si mostra non soltanto nel risultato, ma anche nell’atto della
produzione, entro la stessa attività produttiva» (M, p. 74).
«Il prodotto non è altro che il “resumé” dell’attività, della produzione» (M, p. 74).
«Quindi, se prodotto del lavoro è l’alienazione, la produzione stessa deve essere
alienazione attiva, alienazione dell’attività, l’attività dell’alienazione.
Nell’estraniazione dell’oggetto del lavoro si riassume la estraniazione, l’alienazione
che si opera nella stessa attività del lavoro» (M, p. 74).
«E ora, in che cosa consiste l’alienazione del lavoro?» (M, p. 74).
Leggere M, pp. 74-75 (da «Consiste prima di tutto nel fatto che» a «le fa diventare
scopi ultimi ed unici, sono funzioni animali»).
4.3.3. Estraneazione dalla specie umana
«L’uomo è un essere appartenente ad una specie [Gattungswesen]38 non solo perché
della specie, tanto della propria quanto di quella delle altre cose, fa teoricamente e
praticamente il proprio oggetto, ma anche (e si tratta soltanto di una diversa
espressione per la stessa cosa) perché si comporta verso se stesso come verso la
specie presente e vivente, perché si comporta verso se stesso come verso un essere
universale [universellen] e perciò libero» (M, p. 76).
Nella pagina iniziale de L’essenza del cristianesimo (1841) Feuerbach aveva scritto che: «La vita interiore dell’uomo
è la vita in relazione alla sua specie [Gattung], alla sua essenza [Wesen]».
38
25
«L’universalità dell’uomo appare praticamente proprio in quella universalità, che fa
della intera natura il corpo inorganico dell’uomo. […] La natura è il corpo
inorganico dell’uomo, precisamente la natura in quanto non è essa stessa corpo
umano» (M, p. 77)39.
«Poiché il lavoro estraniato rende estranea all’uomo 1) la natura e 2) l’uomo stesso, la
sua propria funzione attiva, la sua funzione vitale, rende estraneo all’uomo la specie;
fa della vita della specie un mezzo della vita individuale. In primo luogo, il lavoro
rende estranea la vita della specie e la vita individuale, in secondo luogo fa di
quest’ultima nella sua astrazione uno scopo della prima, ugualmente nella sua forma
astratta ed estraniata» (M, p. 77).
«Ma la vita produttiva è la vita della specie. È la vita che produce la vita. In una
determinata attività vitale sta interamente il carattere di una “species”, sta il suo
carattere specifico; e l’attività libera e cosciente è il carattere [specifico,
Gattungscharakter] dell’uomo. La vita stessa appare soltanto come mezzo di vita»,
(M, p. 77-78).
Differenza uomo/animale, leggere M, p. 78.
«Il lavoro estraniato rovescia il rapporto in quanto l’uomo, proprio perché è un
essere cosciente, fa della sua attività vitale, della sua essenza soltanto un mezzo per la
sua esistenza», p. 78.
«La creazione [Erzeugung: produzione] pratica d’un mondo oggettivo, la
trasformazione [Bearbeitung] della natura inorganica è la riprova che l’uomo è un
essere appartenente a una specie [Gattungswesen] e dotato di coscienza, cioè è un
essere che si comporta verso la specie come verso il suo proprio essere, o verso se
stesso come un essere appartenente a una specie [Gattungswesen]», p. 78.
Differenza nella produzione dell’animale e dell’uomo, «l’uomo costruisce anche
secondo le leggi della bellezza», leggere, M, pp. 78-79.
«L’oggetto del lavoro è quindi l’oggettivazione della vita dell’uomo come essere
appartenente ad una specie» (M, p. 79).
«Parimenti, il lavoro estraniato degradando a mezzo l’attività autonoma, l’attività
libera, fa della vita dell’uomo come essere appartenente ad una specie un mezzo
della sua esistenza fisica» (M, p. 79).
«L’essenza umana della natura esiste soltanto per l’uomo sociale: infatti soltanto qui la natura esiste per l’uomo
come vincolo con l’uomo, come esistenza di lui per l’altro e dell’altro per lui, e così pure come elemento vitale della
realtà umana, soltanto qui essa esiste come fondamento della sua propria esistenza umana. Soltanto qui l’esistenza
naturale dell’uomo è diventata per l’uomo esistenza umana; la natura è diventata uomo. Dunque la società è l’unità
essenziale, giunta al proprio compimento, dell’uomo con la natura, la vera risurrezione della natura, il naturalismo
compiuto dell’uomo e l’umanismo compiuto della natura» (M, p. 113).
39
26
4.3.4. Estraniazione dell’uomo dall’altro uomo
«Il lavoro alienato fa dunque:
3. dell’essere dell’uomo, come essere appartenente ad una specie, tanto della natura
quanto della sua specifica capacità spirituale [geistes Gattungsvermögen], un essere a
lui estraneo, un mezzo della sua esistenza individuale. Esso rende all’uomo estraneo
il suo proprio corpo, tanto la natura esterna, quanto il suo essere spirituale, il suo
essere umano» (M, pp. 79-80).
«4. Una conseguenza immediata del fatto che l’uomo è reso estraneo al prodotto del
suo lavoro, della sua attività vitale, al suo essere generico, è l’estraneazione
dell’uomo dall’uomo. […] In generale, la proposizione che all’uomo è reso estraneo
il suo essere in quanto appartenente ad una specie, significa che un uomo è reso
estraneo all’altro uomo, e altresì che ciascuno di essi è reso estraneo all’essere
dell’uomo» (M, p. 80).
Chi è questo essere estraneo che si appropria di tutto? Dio forse?
«L’essere estraneo, a cui appartengono il lavoro e il prodotto del lavoro, che si serve
del lavoro e gode del prodotto del lavoro, non può essere che l’uomo» (M, p. 81).
Non già gli dèi ma «soltanto l’uomo stesso può essere questo potere estraneo al di
sopra l’uomo» (M, p. 81).
4.4. Risposta marxiana alla domanda: «da dove viene la proprietà
privata?»
Marx cerca qui di rispondere a questa domanda “economica”, a cui gli stessi
economisti non potevano (nel senso che non ne erano in grado, partendo e restando
nell’orizzonte borghese, ma anche che non era loro permesso) rispondere, utilizzando
gli strumenti, il lessico e il metodo che la sua formazione fino ad allora ancora
sostanzialmente “filosofica” gli offrivano40.
«La proprietà privata è quindi il prodotto, il risultato, la conseguenza necessaria
del lavoro alienato, del rapporto di estraneità [des äusserlichen Verhältnis] che si
stabilisce tra l’operaio, da una lato, e la natura e lui stesso dall’altro» (M, pp. 82-83).
«La proprietà privata si ricava quindi mediante l’analisi del concetto del lavoro
alienato, cioè dell’uomo alienato, del lavoro estraniato, della vita estraniata,
dell’uomo estraniato», p. 83.
Nei Manoscritti «si tratta […] di una critica e fondazione filosofica dell’economia politica nel senso di una teoria
della rivoluzione». Herbert Marcuse, Nuove fonti per la fondazione del materialismo storico [1932], cit., p. 63.
40
27
«Certamente abbiamo acquisito il concetto di lavoro alienato (di vita alienata)
traendolo dall’economia politica come risultato del movimento della proprietà
privata. Ma con un’analisi di questo concetto si mostra che, anche se la proprietà
privata appare come il fondamento [Grund], la causa del lavoro alienato, essa ne è
piuttosto la conseguenza; allo stesso modo che originariamente gli dèi non sono la
causa, ma l’effetto [Wirkung] dell’umano vaneggiamento [Verstandesverirrung].
Successivamente questo rapporto si converte in un’azione reciproca
[Wechselwirkung]» (M, p. 83).
Lavoro (estraniato) e proprietà privata si trovano quindi in un rapporto dialettico:
«Solo al vertice del suo svolgimento, la proprietà privata rivela il suo segreto, vale a
dire, anzitutto che essa è il prodotto del lavoro alienato, in secondo luogo che è il
mezzo con cui il lavoro si aliena, è la realizzazione di questa alienazione»
(M, p. 83).
«Questo svolgimento getta immediatamente luce su diverse contraddizioni
[Collisionen] sinora non risolte:
1. l’economia politica prende le mosse dal lavoro inteso come l’anima propria della
produzione, eppure non dà al lavoro nulla mentre dà alla proprietà privata tutto. Da
questa contraddizione Proudhon ha concluso in favore del lavoro contro la proprietà
privata. Ma noi invece ci rendiamo conto che questa apparente contraddizione è la
contraddizione del lavoro estraniato con se stesso, e che l’economia politica non ha
fatto altro che esporre le leggi del lavoro estraniato» (M, p. 83).
Da questa citazione vorrei prelevare ed evidenziare due punti:
«apparente contraddizione» tra lavoro estraniato e proprietà privata:
come abbiamo appena visto, la proprietà non costituisce un altro rispetto al lavoro,
ma è, per dirla con Hegel, il lavoro che è «presso di sé nel suo essere altro come
tale» (M, p. 176), il lavoro cioè che si riconosce in quella alienazione/oggettivazione
di se stesso che è la proprietà privata, il prodotto del lavoro estraniato. La differenza
essenziale tra l’analisi di Hegel e quella di Marx, è che per Hegel, si trattava di
sopprimere dialetticamente (aufheben) l’alienazione, sopprimendo tout court
l’oggettivazione stessa del lavoro, per Marx invece si tratta di sopprimere il carattere
alienato e alienante che il lavoro assume in un particolare modo di produzione quale
quello capitalistico-borghese dominato e regolato dalla legge del profitto.
«l’economia politica non ha fatto altro che esporre le leggi del lavoro
estraniato»: così come, ponendosi «dal punto di vista dell’economia politica
moderna», il «solo lavoro che Hegel conosce e riconosce, è il lavoro astrattamente
spirituale» (M, p. 168). L’economia politica, come del resto Hegel, espone
correttamente le leggi della realtà capovolta, del «mondo stregato e capovolto»,
accetta ideologicamente aspetti essenziali della realtà senza sottoporli a critica, anzi li
28
giustifica, li santifica, in questo consiste il suo «positivismo acritico» (M, p. 165). La
vera critica dell’economia politica, invece, «è la critica delle categorie economiche o
if you like il sistema dell’economia borghese esposto criticamente. È in pari tempo
esposizione del sistema e critica dello stesso per mezzo dell’esposizione»41.
Ritornando alla proposta di Proudhon:
«Un forzato aumento del salario (prescindendo da tutte le altre difficoltà,
prescindendo dal fatto che essendo un’anomalia si potrebbe anche mantenere soltanto
con la forza) non sarebbe altro che una migliore rimunerazione [Salarirung] degli
schiavi e non eleverebbe [erobert] né all’operaio né al lavoro la loro funzione
[Bestimmung] umana e la loro dignità» (M, p. 84), non servirebbe cioè a superare
l’estraneazione.
Sia ben chiaro, Marx ha sempre incitato la classe operaia alla lotta sindacale
quotidiana per dei salari migliori, ma le ha anche sempre ricordato che così facendo
«essa lotta contro gli effetti, ma non contro le cause di questi effetti; che essa può
soltanto frenare il movimento discendente, ma non mutarne la direzione; che essa
applica soltanto dei palliativi, ma non cura la malattia»42. A lungo andare può essere
di giovamento solo la liberazione della classe operaia dall’intero sistema del lavoro
salariato.
Possiamo ora capire in che senso i Manoscritti siano «una critica e fondazione
filosofica dell’economia politica nel senso di una teoria della rivoluzione»43.
«Il salario è una conseguenza immediata del lavoro estraniato, e il lavoro estraniato è
la causa immediata della proprietà privata. Con l’uno deve quindi cadere anche
l’altra» (M, p. 84).
Nei Manoscritti Marx non parla esplicitamente di una rivoluzione ma vi aveva fatto
riferimento in un saggio pubblicato 2-3 mesi prima negli Annali franco-tedeschi,
l’Introduzione a Per la critica della filosofia del diritto di Hegel,
«L’unica possibile liberazione pratica della Germania è la liberazione dal punto
di vista di quella teoria che proclama l’uomo la più alta essenza dell’uomo.
In Germania l’emancipazione dal Medioevo è possibile unicamente in quanto sia
insieme l’emancipazione dai parziali superamenti del Medioevo. In Germania
non si può spezzare nessuna specie di servitù senza spezzare ogni specie di
servitù. La Germania radicale non può fare la rivoluzione senza compierla dalle
radici. L’emancipazione del tedesco è l’emancipazione dell’uomo. La testa di
questa emancipazione è la filosofia, il suo cuore è il proletariato. La filosofia non
41
K. Marx, Lettera a Ferdinand Lassalle, 22 febbraio 1858, Meoc, XL, p. 578 (Ecm, p. 211).
Id., Salario, prezzo e profitto (1865), Meoc, XX, p. 150.
43
H. Marcuse, Nuove fonti per la fondazione del materialismo storico [1932], cit., p. 63.
42
29
può realizzarsi senza la soppressione del proletariato, il proletariato non può
sopprimersi senza la realizzazione della filosofia. Quando saranno state
soddisfatte tutte le condizioni interne, il giorno della resurrezione tedesca verrà
annunziato dal canto del gallo francese»44.
Poche pagine prima, Marx aveva chiarito che «quella teoria» che proclama l’uomo
come l’essenza suprema dell’uomo è la filosofia di Feuerbach:
«L’arma della critica non può certamente sostituire la critica delle armi, la forza
materiale dev’essere abbattuta dalla forza materiale, ma anche la teoria diviene
una forza materiale non appena si impadronisce delle masse. La teoria è capace di
impadronirsi delle masse non appena dimostra ad hominem, ed essa dimostra ad
hominem, non appena diviene radicale. Essere radicale vuol dire cogliere le cose
alla radice. Ma la radice, per l’uomo, è l’uomo stesso. La prova evidente del
radicalismo della teoria tedesca, dunque della sua energia pratica, è il suo partire
dal deciso superamento positivo della religione. La critica della religione
finisce con la dottrina per cui l’uomo è per l’uomo l’essenza suprema, dunque
con l’imperativo categorico di rovesciare tutti i rapporti nei quali l’uomo è un
essere degradato, assoggettato, abbandonato, spregevole, rapporti che non si
possono meglio raffigurare che con l’esclamazione di un francese di fronte ad una
progettata tassa sui cani: poveri cani! Vi si vuole trattare come uomini!»45.
Per Marx si deve quindi superare, eliminare, il carattere estraniato che
l’oggettivazione umana assume nella società capitalistico-borghese, emancipando
umanamente l’uomo, emancipandolo cioè in modo universale, onnilaterale e non in
modo semplicemente parziale, unilaterale e astratto quale quello dell’emancipazione
solo religiosa e/o politica.
«Ogni emancipazione è un ricondurre il mondo umano, i rapporti umani
all’uomo stesso.
L’emancipazione politica è la riduzione dell’uomo, da un lato, a membro
della società civile, all’individuo egoista indipendente, dall’altro, al cittadino, alla
persona morale.
Solo quando l’uomo reale, individuale, riassume in sé il cittadino astratto, e
come uomo individuale nella sua vita empirica, nel suo lavoro individuale, nei
suoi rapporti individuali è divenuto ente generico [Gattungswesen], soltanto
quando l’uomo ha riconosciuto e organizzato le sue “forces propres” come forze
sociali, e perciò non separa più da sé la forza sociale nella figura della forza
politica, soltanto allora l’emancipazione umana è compiuta»46.
44
K. Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione [1844], Meoc, III, pp. 203-204.
Ibid., pp. 197-198.
46
Id., Sulla questione ebraica [1844], MEOC, III, p. 182.
45
30
Oppure, come dirà Karl più tardi nei Grundrisse:
«Nel valore di scambio la relazione sociale tra le persone si trasforma in rapporto
sociale tra cose; la capacità personale, in una capacità delle cose. […] Ciascun
individuo possiede il potere sociale sotto la forma di una cosa. Strappate alla
cosa questo potere sociale e dovrete darlo alle persone sulle persone»
(L, I, p. 98).
Il prossimo passo da compiere, per noi, è quindi di
«Determinare l’essenza universale della proprietà privata, quale si è venuta
deducendo in quanto risultato del lavoro estraniato, nel suo rapporto con la
proprietà veramente umana e sociale» (M, p. 85), con il comunismo.
5. La prima negazione della proprietà privata: il comunismo
Credo sia opportuno precisare che solo in questo testo il “comunismo” non è per
Marx la “fase suprema” dell’emancipazione dell’umanità preceduta da una fase
preparatoria e di transizione (socialismo), il comunismo, qui, al contrario, è la
prima negazione della proprietà privata, la quale a sua volta è la negazione della
vera essenza dell’uomo, il comunismo si pone quindi come negazione della
negazione.
5.1. La critica del «comunismo ancor rozzo e materiale»
«il comunismo è l’espressione positiva della proprietà privata soppressa, e quindi
in primo luogo la proprietà generale. Il comunismo comprendendo questo
rapporto [della proprietà privata] nella sua generalità è: 1) nella sua prima forma
soltanto la generalizzazione e il compimento della proprietà privata» (M, p. 108)47.
Questa prima forma di negazione della proprietà privata (comunismo) piuttosto che
negare la realtà sociale estraniante in cui l’operaio si trova, la afferma e la
riconferma, per di più in una forma generalizzata, cioè porta agli estremi proprio
quegli elementi, quei lati “negativi” che sono da negare.
47
Così come nella sezione del primo manoscritto dedicata alla rendita fondiaria, descrivendo il movimento della
concorrenza e i suoi effetti sul monopolio, Marx aveva scritto che «La divisione del possesso fondiario nega il grande
monopolio della proprietà fondiaria, lo sopprime, ma solo in quanto lo generalizza. Non sopprime il fondamento del
monopolio, la proprietà privata. Attacca l’esistenza, ma non l’essenza del monopolio. […] La prima soppressione del
monopolio è sempre la sua generalizzazione, l’allargamento della sua realtà di fatto. La soppressione del monopolio
che ha raggiunto la sua realizzazione più ampia ed estesa possibile, è il suo completo annullamento» (M, p. 65).
31
Infatti in questa prima forma di «comunismo ancor rozzo e materiale »,
«[1)] Il possesso fisico immediato ha per esso il valore di unico scopo della vita e
dell’esistenza;
[2)] l’attività degli operai non viene soppressa ma estesa a tutti gli uomini;
[3)] il rapporto della proprietà privata rimane il rapporto della comunità col
mondo delle cose
[4)] infine tale movimento […] si esprime in una forma animale», p. 108.
La «forma animale» in cui questo «comunismo ancor rozzo e materiale» si esprime è
quella della «comunanza delle comune», ovvero:
«al matrimonio (che è indubbiamente una forma di proprietà privata esclusiva) si
contrappone la comunanza delle donne, dove la donna diventa proprietà della
comunità, una proprietà comune. Si può dire che questa idea della comunanza
delle donne è il mistero rivelato di questo comunismo ancor rozzo e materiale48.
Allo stesso modo che la donna passa dal matrimonio alla prostituzione generale,
così l’intero mondo della ricchezza, cioè dell’essenza oggettiva dell’uomo,
passa dal rapporto di matrimonio esclusivo col proprietario privato al rapporto di
prostituzione generale con la comunità. Questo comunismo, in quanto nega
ovunque la personalità dell’uomo, non è proprio altro che l’espressione
conseguente della proprietà privata, la quale è questa negazione»
(M, pp. 108-109).
In questo «comunismo ancor rozzo e materiale» la condizione estraniata dell’operaio
non viene soppressa, eliminata, ma estesa… all’intera società, e il rapporto
fondamentale tra lavoro estraniato e proprietà privata, alias tra lavoro e capitale,
non viene soppresso ma ancora una volta generalizzato ed esteso all’intera società.
«La comunità non è altro che una comunità del lavoro e l’uguaglianza del
salario, il quale viene pagato dal capitalista comune, dalla comunità in veste di
capitalista generale. Entrambi i termini del rapporto vengono elevati ad
universalità rappresentata: il lavoro in quanto è la determinazione in cui
ciascuno è posto, il capitale in quanto è la generalità riconosciuta dalla comunità e
la potenza riconosciuta», p. 109.
Il rapporto tra l’uomo e la donna è per Marx della massima importanza e funge addirittura da spia del grado di civiltà
raggiunto da una società: «in questo rapporto appare in modo sensibile […] sino a qual punto per l’uomo l’essenza
umana sia diventata natura o la natura sia diventata l’essenza umana dell’uomo. In base a questo rapporto si può
giudicare interamente il grado di civiltà in cui l’uomo è giunto» (M, p. 110).
48
32
5.2. Il «comunismo come soppressione positiva della proprietà privata»
Il «comunismo ancor rozzo e materiale» è solo una prima forma immediata di
comunismo, di negazione della proprietà privata, ad esso segue una forma più
avanzata di comunismo, inteso come la «soppressione positiva della proprietà
privata»:
«il comunismo come soppressione positiva della proprietà privata intesa come
autoestraniazione dell’uomo, e quindi come reale appropriazione dell’essenza
dell’uomo mediante l’uomo e per l’uomo; perciò come ritorno dell’uomo per sé,
dell’uomo come essere sociale, cioè umano, ritorno completo, fatto cosciente,
maturato entro tutta la ricchezza dello svolgimento storico sino ad oggi. Questo
comunismo s’identifica, in quanto naturalismo giunto al proprio compimento,
con l’umanismo, in quanto umanismo giunto al proprio compimento, col
naturalismo; è la vera risoluzione dell’antagonismo tra la natura e l’uomo, e tra
l’uomo e l’uomo, la vera risoluzione della contesa tra l’esistenza e l’essenza, tra
l’oggettivazione e l’autoaffermazione, tra la libertà e la necessità, tra l’individuo e
la specie. È la soluzione dell’enigma della storia, ed è consapevole di essere
questa soluzione» (M, p. 111).
Marx insiste fortemente sulla necessità pratica della soppressione positiva, della
eliminazione della proprietà privata, dal momento che «mediante l’analisi del
concetto del lavoro alienato, cioè dell’uomo alienato, del lavoro estraniato, della vita
estraniata, dell’uomo estraniato» (M, p. 83) svolta nel primo manoscritto, ha capito
che proprio
«Questa proprietà privata materiale, immediatamente sensibile, è l’espressione
materiale e sensibile della vita umana estraniata» (M, p. 112).
In questi Manoscritti inoltre, anche se certo in una formulazione ancora molto
abbozzata e sintetica, Marx riesce a cogliere e annuncia fin da ora quel che, in una
forma certo più elaborata e fondata, diventerà poi il principio cardine della
“concezione materialistica della storia”, e cioè che
«La religione, la famiglia, lo stato, il diritto, la morale, la scienza, l’arte, ecc non
sono che modi particolari della produzione e cadono sotto la sua legge
universale» (M, p. 112)49.
Nello Prefazione a Per la critica dell’economia politica (1859), Marx scriverà che la sua ricerca sulla filosofia del
diritto di Hegel del 1843 «arrivò alla conclusione che tanto i rapporti giuridici quanto le forme dello Stato non possono
essere compresi né per sé stessi, né per la cosiddetta evoluzione generale dello spirito umano, ma hanno le loro radici,
piuttosto, nei rapporti materiali dell’esistenza il cui complesso viene abbracciato da Hegel, seguendo l’esempio degli
inglesi e dei francesi del secolo XVIII, sotto il termine di “società civile”; e che l’anatomia della società civile è da
cercare nell’economia politica. […] Il risultato generale al quale arriv[ò] e che, una volta acquisito, [gli] servì da filo
conduttore nei [suoi] studi, può essere brevemente formulato così: nella produzione sociale della loro esistenza, gli
uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che
49
33
Di conseguenza,
«La soppressione positiva della proprietà privata, in quanto appropriazione della
vita umana, è dunque la soppressione positiva di ogni estraniazione, e quindi il
ritorno dell’uomo, dalla religione, dalla famiglia, dallo stato, ecc. alla sua
esistenza umana, cioè sociale» (M, p. 112).
In questa nuova acquisizione, nella centralità della sfera materiale dell’esistenza e
dell’estraneazione economica, che Marx subito rivolge e “funzionalizza” alla pratica
politica, diventa visibile e chiaramente percepibile la distanza e il “progresso” di
Marx e della sua richiesta di una emancipazione umana rispetto a quelle posizioni
che sostenevano la necessità del superamento dell’estraneazione solo religiosa
(Feuerbach)50 o solo politica (Bauer)51.
«L’estraniazione religiosa come tale ha luogo soltanto nella sfera della coscienza
[,] dell’interiorità umana; invece l’estraniazione economica è l’estraniazione
della vita reale, onde la sua soppressione abbraccia l’uno e l’altro lato»52
(M, p. 112).
corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di
produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una
sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di
produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è
la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la
loro coscienza». Nei Grundrisse Marx definirà la produzione come das übergreifende Moment, il «momento
egemonico» (L, I, p. 18) rispetto alla distribuzione, alla circolazione e al consumo.
50
«Ma poiché l’esistenza della religione è l’esistenza di un difetto, la fonte di tale difetto può ancora essere ricercata
soltanto nell’essenza dello Stato stesso. La religione per noi non costituisce più il fondamento, bensì ormai soltanto
il fenomeno della limitatezza mondana. Per questo, noi spieghiamo il pregiudizio religioso dei liberi cittadini con
il loro pregiudizio mondano. Non riteniamo che essi debbano sopprimere la loro limitatezza religiosa, per poter
sopprimere i loro limiti mondani. Affermiamo che essi sopprimeranno la loro limitatezza religiosa non appena
avranno soppresso i loro limiti mondani. Noi non trasformiamo le questioni mondane in questioni teologiche.
Trasformiamo le questioni teologiche in questioni mondane. Dopo che per lungo tempo la storia e stata risolta in
superstizione, noi risolviamo la superstizione in storia. La questione del rapporto tra l’emancipazione politica e la
religione, diviene per noi la questione del rapporto tra l’emancipazione politica e l’emancipazione umana». Id., Sulla
questione ebraica [1844], MEOC, III, pp. 163-164.
51
«L’emancipazione politica è certamente un grande passo in avanti, non è bensì la forma ultima
dell’emancipazione umana in generale, ma è l’ultima forma dell’emancipazione umana entro l’ordine mondiale
attuale. S’intende: noi parliamo qui di reale, di pratica emancipazione. […] Ma non ci si inganni circa i limiti della
emancipazione politica. La scissione dell’uomo nell’uomo pubblico e nell’uomo privato, il trasferimento della religione
dallo Stato alla società civile, non sono un gradino, sono il compimento dell’emancipazione politica, che pertanto
sopprime la religiosità reale dell’uomo tanto poco quanto poco tende a sopprimerla». Ibid., p. 168.
52
SF, p. 57: I «lavoratori di massa, comunisti, che lavorano per esempio negli ateliers di Manchester e di Lione, non
credono di poter eliminare, mediante il “puro pensiero”, i loro padroni di fabbriche e la loro degradazione pratica.
Essi sentono molto dolorosamente la distinzione fra essere e pensiero, fra coscienza e vita. Essi sanno che proprietà,
capitale, denaro, lavoro salariato e simili non sono affatto chimere; ma prodotti molto pratici, molto oggettivi, della
loro autoalienazione, e che quindi devono di necessità essere anche tolti in un modo pratico, oggettivo, affinché
l’uomo diventi uomo non solo nel pensiero, nella coscienza, ma anche nell’essere di massa, nella vita». Cfr. anche
C, I, pp. 111-112: «Il riflesso religioso del mondo reale può scomparire, in genere, soltanto quando i rapporti della vita
pratica quotidiana presentano agli uomini giorno per giorno relazioni chiaramente razionali fra di loro e fra loro e la
natura. La figura del processo vitale sociale, cioè del processo materiale di produzione, si toglie il suo mistico velo di
nebbie soltanto quando sta, come prodotto di uomini liberamente uniti in società, sotto il loro controllo cosciente e
condotto secondo un piano. Tuttavia, affinché ciò avvenga si richiede un fondamento materiale della società, ossia
34
Già nella Introduzione del 1844, pubblicata pochi mesi prima sugli Annali francotedeschi, Marx aveva preso atto della necessità ma allo stesso tempo anche della
parzialità e della insufficienza della critica e dell’emancipazione solo religiosa,
esprimendo il bisogno e la necessità di passare, una volta conclusa la critica della
religione, alla critica e al rovesciamento pratico di quelle contraddizioni materiali,
sociali, economiche e politiche di cui l’estraneazione religiosa rappresenta solo il
sintomo (e indirettamente e mediatamente la protesta):
«Per la Germania, la critica della religione nell’essenziale è compiuta, e la
critica della religione è il presupposto di ogni critica.
L’esistenza profana dell’errore è compromessa dacché è stata confutata la sua
celeste oratio pro aris et focis [preghiera per l’altare e per il focolare]. L’uomo, il
quale nella realtà fantastica del cielo, dove cercava un superuomo, non ha
trovato che l’immagine riflessa di sé, non sarà più disposto a trovare soltanto
l’immagine di sé, soltanto il non-uomo, là dove cerca e deve cercare la sua vera
realtà.
Il fondamento della critica irreligiosa è: l’uomo fa la religione, e non la
religione l’uomo. Infatti, la religione è la coscienza di sé e il sentimento di sé
dell’uomo che non ha ancora conquistato o ha già di nuovo perduto se stesso. Ma
l’uomo non è un’entità astratta posta fuori del mondo. L’uomo è il mondo
dell’uomo, lo Stato, la società. Questo Stato, questa società producono la
religione, una coscienza capovolta del mondo, poiché essi sono un mondo
capovolto. La religione è […] la realizzazione fantastica dell’essenza umana,
poiché l’essenza umana non possiede una realtà vera. La lotta contro la
religione è dunque, mediatamente, la lotta contro quel mondo, del quale la
religione e l’aroma spirituale.
La miseria religiosa è insieme l’espressione della miseria reale e la protesta
contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il
sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione
senza spirito. Essa è l’oppio del popolo.
Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigerne
la felicita reale. L’esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è
l’esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica
della religione, dunque, è, in germe, la critica della valle di lacrime, di cui la
religione e l’aureola. […]
È dunque compito della storia, una volta scomparso l’al di là della verità,
quello di ristabilire la verità dell’al di qua. E innanzi tutto è compito della
filosofia, la quale sta al servizio della storia, una volta smascherata la figura sacra
dell’autoestraneazione umana, smascherare l’autoestraneazione nelle sue figure
profane. La critica del cielo si trasforma così nella critica della terra, la critica
una serie di condizioni materiali di esistenza che, a lor volta, sono il prodotto naturale originario della storia di uno
svolgimento lungo e tormentoso».
35
della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della
politica»53.
5.3. L’uomo socialista
Nell’analisi del lavoro estraniato abbiamo visto come l’uomo alienato, «nello stadio
dell’economia privata» (M, p. 71), «sotto il predominio della proprietà privata»
(M, p. 56), può produrre non l’uomo vero, libero, onnilaterale, ma solo
quell’«esistenza astratta dell’uomo» che è il «semplice uomo da lavoro» (M, p. 91),
l’operaio inteso «soltanto come soma da lavoro, come una bestia ridotta ai più
elementari bisogni della vita» (M, p. 22), cioè l’uomo come una merce, come quella
«merce dalle più tristi caratteristiche» (M, p. 27).
«Nello stadio dell’economia privata» (M, p. 71), «sotto il predominio della proprietà
privata» (M, p. 56), l’operaio dunque non può far altro che produrre e riprodurre la
sua esistenza da operaio:
«L’operaio produce il capitale, il capitale produce l’operaio, e quindi l’operaio
produce se stesso, e l’uomo come operaio, come merce, è il prodotto dell’intero
movimento» (M, p. 89).
Una volta però «presupposta la soppressione positiva della proprietà privata, l’uomo
produce l’uomo, cioè produce se stesso e l’altro uomo» (M, p. 113).
Nel comunismo quindi, una volta «presupposta la soppressione positiva della
proprietà privata», anche la produzione «dell’uomo mediante l’uomo e per l’uomo»
(M, p. 111), acquista una carattere umano e cioè sociale:
«il carattere sociale è il carattere universale di tutto il movimento: come la
società stessa produce l’uomo in quanto uomo, così l’uomo produce la
società54. L’attività e il godimento sono sociali tanto per il loro contenuto quanto
per la loro origine: perciò sono attività sociale e godimento sociale
[cfr. M, pp. 76-77 e 114]. L’essenza umana della natura esiste soltanto per
l’uomo sociale: infatti soltanto qui la natura esiste per l’uomo come vincolo con
l’uomo, come esistenza di lui per l’altro e dell’altro per lui, e così pure come
elemento vitale della realtà umana, soltanto qui essa esiste come fondamento della
sua propria esistenza umana. Soltanto qui l’esistenza naturale dell’uomo è
53
K. Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione [1844], Meoc, III, pp. 190-191.
SF, p. 145: «Se l’uomo è plasmato dalle circostanze, è necessario plasmare umanamente le circostanze. Se
l’uomo è sociale per natura, egli sviluppa la sua vera natura solo nella società, e il potere della sua natura deve di
necessità avere la sua misura non nel potere del individuo singolo, ma nel potere della società». 3a Tesi su Feuerbach:
«La dottrina materialistica che gli uomini sono prodotti dell’ambiente e dell’educazione, e che pertanto uomini mutati
sono prodotti di un altro ambiente e di una mutata educazione, dimentica che sono proprio gli uomini che modificano
l’ambiente e che l’educatore stesso deve essere educato».
54
36
diventata per l’uomo esistenza umana; la natura è diventata uomo55. Dunque la
società è l’unità essenziale, giunta al proprio compimento, dell’uomo con la
natura, la vera risurrezione della natura, il naturalismo compiuto dell’uomo e
l’umanismo compiuto della natura» (M, p. 113).
In conclusione, una volta «presupposta la soppressione positiva della proprietà
privata»,
«La vita individuale dell’uomo e la sua vita come essere appartenente ad una
specie [Gattungswesen] non differiscono tra loro» (M, p. 114).
Nello «nello stadio della proprietà privata» invece
«Il lavoro estraniato rovescia il rapporto in quanto l’uomo, proprio perché è un
essere cosciente, fa della sua attività vitale, della sua essenza soltanto un mezzo
per la sua esistenza» (M, p. 78).
«Parimenti, il lavoro estraniato degradando a mezzo l’attività autonoma, l’attività
libera, fa della vita dell’uomo come essere appartenente ad una specie un mezzo
della sua esistenza fisica» (M, p. 79).
La proprietà privata quindi (e il tipo particolare di società umana che su di essa si
fonda), per il fatto di considerare unilateralmente e astrattamente l’uomo solo come
«bestia da soma», mette in atto una sorta di profonda “mutazione antropologica”, per
cui l’uomo non vale più come uomo ma solo come «operaio», solo come strumento di
lavoro, e conseguentemente anche il suo corpo, la sua mente, i suoi affetti vivono e
valgono solo nell’ambito e nel senso di questa determinazione di merce:
«La produzione produce l’uomo non soltanto come una merce, la merce umana,
l’uomo in funzione [in der Bestimmung] di merce; ma lo produce,
corrispondentemente a questa funzione, come un essere tanto spiritualmente che
fisicamente disumanizzato» (M, p. 90).
Gli effetti di questa “mutazione psico-antropologica” retroagiscono, si ripercuotono e
si riflettono anche nel modo di rapportarsi agli oggetti esterni e di relazionarsi
all’altro uomo, del “sentire” umano:
«La proprietà privata ci ha resi così ottusi e unilaterali che un oggetto è
considerato nostro soltanto quando lo abbiamo, e quindi quando esso esiste per
noi come capitale o è da noi immediatamente posseduto, mangiato, bevuto,
«L’universalità dell’uomo appare praticamente proprio in quella universalità, che fa della intera natura il corpo
inorganico dell’uomo. […] La natura è il corpo inorganico dell’uomo, precisamente la natura in quanto non è essa
stessa corpo umano» (M, p. 77).
55
37
portato sul nostro corpo, abitato, ecc., in breve, quando viene da noi usato»
(M, p. 116).
«Al posto di tutti i sensi fisici e spirituali è quindi subentrata la semplice
alienazione di tutti questi sensi, il senso dell’avere. L’essere umano doveva essere
ridotto a questa povertà assoluta, affinché potesse estrarre da sé la sua ricchezza
interiore»56 (M, pp. 116-117).
«la soppressione positiva della proprietà privata, cioè l’appropriazione sensibile
dell’essere e della vita dell’uomo, dell’uomo oggettivo, delle opere umane per
l’uomo e mediante l’uomo deve intendersi non soltanto nel senso del godimento
immediato, unilaterale, non solo nel senso del possesso, nel senso dell’avere
qualche cosa» (M, pp. 115-116).
Una volta «presupposta la soppressione positiva della proprietà privata»,
«L’uomo si appropria del suo essere onnilaterale in maniera
onnilaterale, e quindi come uomo totale» (M, p. 116).
«La soppressione della proprietà privata rappresenta quindi la completa
emancipazione di tutti i sensi e di tutti gli attributi umani; ma è una
emancipazione siffatta appunto perché questi sensi e questi attributi sono diventati
umani, sia soggettivamente sia oggettivamente. L’occhio è diventato occhio
umano non appena il suo oggetto è diventato un oggetto sociale, umano, che
procede dall’uomo per l’uomo» (M, p. 117 ma vedi anche p. 119)
«Si vede dunque come al posto della ricchezza e della miseria come le considera
l’economia politica, subentri l’uomo ricco e la ricchezza di bisogni umani.
L’uomo ricco è ad un tempo l’uomo che ha bisogno di una totalità di
manifestazioni di vita umane, l’uomo in cui la sua propria realizzazione esiste
come necessità interna, come bisogno. Facendo l’ipotesi del socialismo, non
soltanto la ricchezza, ma anche la povertà dell’uomo riceve in egual misura un
significato umano e quindi sociale. È il vincolo passivo che fa sentire all’uomo
come bisogno la più grande delle ricchezze, l’altro uomo» (M, p. 123).
In tutti questi passi citati (e in tanti altri ancora) è predominante la tesi marxiana della
centralità e della radicalità dell’uomo, dell’autogenerazione e dell’autoproduzione
dell’uomo a partire, mediante e in vista di se stesso, la quale ha come sua
conseguenza immediata l’impossibilità e la inammissibilità dell’esistenza di un
qualsivoglia ente estraneo (Dio, Denaro-Capitale, Stato, Spirito ecc.) che si ponga
come essenziale rispetto all’uomo e lo faccia diventare un essere ad esso subordinato.
56
Così come «La proprietà fondiaria doveva svilupparsi in ciascuna di queste due forme [feudale e borghese], per
esperimentare in entrambe la sua necessaria decadenza, allo stesso modo che l’industria doveva andare in rovina nella
forma del monopolio e in quella della concorrenza per imparare a credere nell’uomo» (M, p. 68).
38
«Ma siccome per l’uomo socialista tutta la cosiddetta storia del mondo non è altro
che la generazione dell’uomo mediante il lavoro umano, null’altro che il
divenire della natura per l’uomo, egli ha la prova evidente, irresistibile, della sua
nascita mediante se stesso, del processo della sua origine. Dal momento che la
essenzialità dell’uomo e della natura è diventata praticamente sensibile e
visibile, dal momento che è diventato praticamente sensibile e visibile l’uomo per
l’uomo come esistenza della natura, e la natura per l’uomo come esistenza
dell’uomo, è diventato praticamente improponibile il problema di un essere
estraneo, di un essere superiore alla natura e all’uomo […] il socialismo […]
comincia dalla coscienza teoreticamente e praticamente sensibile dell’uomo e
della natura nella loro essenzialità. Esso è l’autocoscienza positiva dell’uomo,
non più mediata dalla soppressione della religione [ateismo], allo stesso modo che
la vita reale è la realtà positiva dell’uomo, non più mediata dalla soppressione
della proprietà privata, dal comunismo» (M, pp. 125-126 cfr. anche p. 180).
6. Critica della dialettica e in generale della filosofia di Hegel
6.1. L’«umanismo positivo» di Marx
Partiamo da una indicazione dello stesso Marx, il quale nella Prefazione aveva
scritto:
«Il capitolo finale del presente scritto, contenente l’analisi critica della dialettica
e in generale della filosofia hegeliana, ho ritenuto che fosse assolutamente
necessario, per contrappormi ai teologici critici del nostro tempo che tale lavoro
[di analisi critica della dialettica e in generale della filosofia hegeliana] non hanno
mai compiuto, dando del resto, prova di una inevitabile superficialità» (M, p. 5).
I «teologi critici» sono i fratelli Bruno ed Edgar Bauer, Szeliga, Jungnitz, in pratica
tutto l’entourage della Allgemeine Literatur-Zeitung contro cui è diretta la Sacra
famiglia. Critica della critica critica, composta da Marx immediatamente dopo la
stesura dei Manoscritti (maggio-agosto 1844), dal settembre alla fine di novembre del
184457.
Questi «teologi critici» hanno avuto «un comportamento completamente acritico di
fronte al metodo critico ed una incompleta incoscienza rispetto alla domanda, in parte
formale, ma realmente essenziale: come dobbiamo comportarci con la dialettica
hegeliana?» (M, p. 158).
È vero che La sacra famiglia fu progettata e poi realizzata insieme a Engels, ma, a mio avviso, si tratta di un’opera
sia quantitativamente che qualitativamente soprattutto marxiana: su 231 pagine complessive solo 19 furono scritte da
Engels e quindi ben 212 sono di Marx, in termini assoluti, il 92% complessivo del libro è di Marx e solo l’8% di Engels.
Per quest’opera Marx utilizzò poi abbondantemente i quaderni di appunti presi a Parigi, tanto che molte pagine della
Sacra famiglia sono la semplice trascrizione o rielaborazione di brani tratti dai Manoscritti.
57
39
Questi «teologi critici» «sono ancora, per lo meno potenzialmente, del tutto
avviluppati nella logica di Hegel» (M, p. 158), tanto che, nonostante tutti i
presuntuosi strombazzamenti critici, «non mostrano una differenza dalla concezione
hegeliana neppure nella terminologia, ma anzi la riproducono letteralmente»
(M, p. 159).
Si tratta quindi di intraprendere e di realizzare una «discussione critica con la
dialettica filosofica» (M, p. 7), «con la propria madre, con la dialettica hegeliana»
(M, p. 160).
Nel milieu critico critico giovane-hegeliano, l’unica eccezione è rappresentata da
Feuerbach
«Feuerbach è l’unico che si trovi in un rapporto serio, in un rapporto critico con
la dialettica hegeliana ed abbia fatto in questo campo vere e proprie scoperte: in
generale è il vero superatore della vecchia filosofia» (M, p. 161).
«Da Feuerbach soltanto prende inizio la critica positiva, umanistica e
naturalistica. Quanto più senza strepito, tanto più sicura, profonda estesa e
duratura è l’efficacia degli scritti di Feuerbach, i soli scritti dopo la
Fenomenologia e la Logica di Hegel, in cui sia contenuta un’effettiva rivoluzione
teoretica» (M, p. 5).
«Il grande contributo di Feuerbach consiste: [cfr. anche infra § 12]
1) nell’aver dimostrato che la filosofia non è altro che la religione ridotta in
pensieri58 e svolta col pensiero59; e che quindi bisogna parimenti condannarla,
essendo una nuova forma, un nuovo modo di presentarsi dell’estraniazione
dell’essere umano;
«L’essere della filosofia speculativa non è altro che l’essere divino, razionalizzato, rappresentato. La filosofia
speculativa è la teologia vera, conseguente e razionale». L.A. FEUERBACH, Principi della filosofia dell’avvenire, cit.,
p. 72 (§ 5).
59
Se Feuerbach si fosse fermato qui, la sua grande “scoperta” sarebbe stata in realtà ben mediocre, dato che lo stesso
Hegel nel primo paragrafo dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio ammette che la religione e la
filosofia hanno in realtà lo stesso oggetto, Dio, l’unica differenza è che la religione lo coglie utilizzando la
rappresentazione (Vorstellung) e la filosofia tramite il concetto (Begriff): «La filosofia ha i suoi oggetti in comune con
la religione, perché oggetto di entrambe è la verità, e nel senso altissimo della parola, - in quanto cioè Dio, e Dio
solo, è la verità. Entrambe, inoltre, trattano del dominio del finito, della natura e dello spirito umano, e della relazione
che hanno tra loro e con Dio, come lor verità. Onde la filosofia può ben presupporre, anzi deve, una certa conoscenza
dei suoi oggetti, come anche un interessamento per essi: non foss’altro per questo, che la coscienza, nell’ordine del
tempo, se ne forma prima rappresentazioni che concetti; e lo spirito pensante, solo attraverso le rappresentazioni e
lavorando sopra queste, progredisce alla conoscenza del pensante e al concetto» (Enciclopedia, § 1).
58
40
2) nell’aver fondato il vero materialismo e la scienza reale, facendo del rapporto
sociale “dell’uomo con l’uomo” parimenti il principio fondamentale della
teoria60;
3) nell’aver contrapposto alla negazione della negazione, che pretende di essere
l’assolutamente positivo, il positivo che riposa su se stesso ed è fondato
positivamente su se stesso» (M, p. 161).
«La positività [di Hegel] ovvero l’autoaffermazione e l’autoconferma, implicita
nella negazione della negazione, viene intesa come una positività non ancora
sicura di se stessa, e quindi viziata dal suo opposto, dubitosa di se stessa e
quindi bisognosa di dimostrazione, incapace com’è di dimostrarsi da sé con la
propria esistenza, come una positività non confessata; e perciò ad essa viene
contrapposta direttamente ed immediatamente la positività che è fondata su
se stessa ed è certa per la via dei sensi» (M, p. 162).
Vediamo ora come Marx “funzionalizza” politicamente queste scoperte riportate da
Feuerbach nel campo logico-metodologico per la fondazione del suo «umanismo
positivo» (M, p. 180) il quale per porsi non ha più bisogno della mediazione, intesa
come negazione della negazione, rappresentata dall’«umanismo teoretico» (ateismo)
e dall’«umanismo pratico» (comunismo), ma «ha inizio positivamente da se stesso».
«l’ateismo è, in quanto soppressione di Dio, il divenire dell’umanismo teoretico,
e il comunismo, in quanto soppressione della proprietà privata, è la rivendicazione
della vita umana reale come sua proprietà, cioè è il divenire dell’umanismo
pratico; o in altre parole l’ateismo è l’umanismo mediato con se stesso dalla
soppressione della religione, il comunismo è l’umanismo mediato con se stesso
dalla soppressione della proprietà privata. Solo attraverso la soppressione di
questa mediazione, che però è un presupposto necessario, si forma l’umanismo
che ha inizio positivamente da se stesso, l’umanismo positivo» (M, p. 180,
cfr. anche pp. 125-126).
6.2. Il «duplice errore» di Hegel [cfr. anche infra § 13]
Diamo ora «Uno sguardo al sistema hegeliano. Si deve incominciare con la
Fenomenologia di Hegel, dove si trova il vero luogo di nascita ed è racchiuso il
segreto della filosofia hegeliana» (M, p. 162).
Il «principio supremo ed ultimo della filosofia è l’unità dell’uomo con l’uomo. […] La nuova filosofia […] in
quanto filosofia dell’uomo, è essenzialmente anche una filosofia per l’uomo». L.A. FEUERBACH, Principi della
filosofia dell’avvenire, cit., p. 140 (§§ 63-64).
60
41
«In Hegel vi è un duplice errore» (M, p. 164).
Il primo errore è il suo idealismo, o meglio, il suo «misticismo logico, panteistico»
(K, p. 44), per es. il suo considerare la storia come una Fenomenologia dello spirito.
Hegel infatti «non ha trovato altro che l’espressione astratta, logica, speculativa per
il movimento della storia, che non è ancora la storia reale dell’uomo come soggetto
presupposto» (M, p. 162).
In questa concezione idealistica della storia l’uomo non è il soggetto, eppure questo
«processo deve avere un portatore [Träger], un soggetto; ma il soggetto si forma
soltanto come risultato; questo risultato, il soggetto che sa di essere autocoscienza
assoluta, è quindi Dio, lo spirito assoluto, l’idea che conosce e attua se stessa»
(M, p. 181).
Alla fine del corso storico, quindi, «lo spirito, questo pensiero che ritorna al suo
luogo d’origine, che come spirito antropologico, fenomenologico, psicologico, etico,
artistico-religioso vale pur sempre soltanto per sé, sino a che si trova alla fine come
sapere assoluto nello spirito ormai assoluto, cioè astratto, e come tale si riferisce a se
stesso, e ivi raggiunge la sua esistenza cosciente e adeguata. Infatti, la sua esistenza
reale è l’astrazione» (M, p. 164) o detto più semplicemente l’«assoluto è lo spirito;
questa è la suprema definizione dell’assoluto» (M, p. 188; qui Marx riporta la
definizione data da Hegel nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche, § 384).
Se l’Assoluto, lo Spirito, è il soggetto dell’intero processo,
«L’uomo reale e la natura reale diventano puri predicati e simboli di questo
uomo nascosto, irreale, e di questa natura irreale. Il soggetto e il predicato stanno
quindi fra di loro in un rapporto di inversione assoluta, oggetto-soggetto mistico o
soggettività oltrepassante l’oggetto, il soggetto assoluto come un processo, come
soggetto che si aliena e ritorna in sé dalla alienazione, ma ad un tempo la riprende in
sé, e il soggetto in quanto è questo processo; il circolo puro e senza riposo che si
chiude in se stesso» (M, pp. 181-182).
Che ne è poi in tutto questo processo dell’uomo?
«L’essere umano, l’uomo, è equiparato in Hegel all’autocoscienza. Ogni
estraneazione dell’essere umano è quindi null’altro che estraneazione
dell’autocoscienza» (M, p. 169) e la «cosa principale è che l’oggetto della coscienza
non è altro che l’autocoscienza o che l’oggetto è soltanto l’autocoscienza oggettivata,
l’autocoscienza come oggetto (Posizione dell’uomo = autocoscienza)» (M, p. 168).
Conseguentemente, l’«alienazione dell’autocoscienza pone la cosalità. Poiché
l’uomo è uguale ad autocoscienza, il suo essere oggettivo alienato o la cosalità è
42
uguale all’autocoscienza alienata […] e la cosalità è posta da questa alienazione»
(M, p. 171).
«È del tutto naturale che un essere vivente, naturale, munito e provveduto di
forze essenziali oggettive, cioè materiali, abbia oggetti naturali reali del suo
essere, come è altrettanto naturale che la sua autoalienazione consista nella
posizione di un mondo reale, ma sotto la forma dell’esteriorità, e di conseguenza
di un mondo oggettivo non appartenente al suo essere predominante. Non c’è
nulla di incomprensibile in tutto ciò. Anzi sarebbe misterioso il contrario. Ma è
ugualmente chiaro che una autocoscienza, cioè la sua alienazione, può porre
soltanto la cosalità, cioè può porre soltanto una cosa astratta, una cosa
dell’astrazione e non una cosa reale» (M, p. 171).
Il secondo errore di Hegel consiste nella identificazione (e confusione) di
estraneazione e oggettivazione, ovvero per Hegel ciò che deve essere eliminato non
è il modo, il carattere disumano, estraniato ed estraniante dell’oggettivazione, tipico
di una società alienata ed alienante quale quella capitalistico-borghese, ma al
contrario si tratta di eliminare l’oggettivazione stessa, cioè il fatto che l’uomo (per
Hegel l’autocoscienza) «si oggettivizza differenziandosi e opponendosi al pensiero
astratto».
«Come essenza posta e quindi da sopprimere dell’estraneazione vale [per
Hegel] non già il fatto che l’essere umano si oggettivizzi in modo disumano, in
opposizione a se stesso, ma il fatto che si oggettivizza differenziandosi e
opponendosi al pensiero astratto» (M, p. 165).
L’oggettività, la realtà materiale, costituisce per Hegel solo un momento parziale e
transitorio, unilaterale ed astratto, nel cammino dello spirito verso se stesso e come
tale va superato [aufgehoben].
L’«appropriazione dell’essere oggettivo estraniato o la soppressione [Aufhebung]
dell’oggettività sotto la determinazione dell’estraneazione - che deve procedere
dall’estraneità indifferente sino all’estraneazione ostile reale - significa per Hegel
ad un tempo, o meglio principalmente, la soppressione dell’oggettività, perché
per la autocoscienza ciò che vi è di scandaloso nell’estraneazione non è il
carattere determinato dell’oggetto, ma il suo carattere oggettivo. L’oggetto è
quindi qualcosa di negativo, qualcosa che si sopprime da sé, una nullità
[Nichtigkeit]» (M, p. 175).
«la coscienza come coscienza trova il suo motivo di scandalo non
nell’oggettività estraniata, ma nell’oggettività come tale» (M, p. 176).
43
«Bisogna ora cogliere i momenti positivi della dialettica hegeliana nell’ambito
della determinazione dell’estraneazione» (M, p. 179).
«L’importante nella Fenomenologia di Hegel e nel suo risultato finale – la
dialettica della negatività come principio motore e generatore – sta dunque nel
fatto che Hegel concepisce l’autogenerazione dell’uomo come un processo,
l’oggettivazione come una contrapposizione, come alienazione e soppressione di
questa alienazione; che in conseguenza egli intende l’essenza del lavoro e
concepisce l’uomo oggettivo, l’uomo vero perché reale, come il risultato del
suo proprio lavoro» (M, p. 167).
Di questo passo vorrei mettere in evidenza tre elementi fondamentali:
1. La dialettica della negatività, ovvero la famosa «soppressione [Aufhebung], dove
la negazione e la conservazione, l’affermazione, sono connesse» (M, p. 177).
Evidente è il riferimento di Marx alla Fenomenologia dello spirito di Hegel:
«Il superare [Aufheben] presenta il suo vero duplice significato che noi abbiamo
visto nel negativo; è un negare e parimenti un conservare. Il nulla, come nulla del
questo, conserva l’immediatezza ed è esso stesso sensibile: ma è una
immediatezza universale»61.
Aufhebung deriva dal verbo aufheben il quale ha sostanzialmente tre gruppi di
significati:
1) levare da terra, raccogliere, alzare, sollevare;
2) togliere, sospendere, annullare, abrogare, ritenere, revocare;
3) conservare, mettere in serbo, custodire, ritenere.
La Aufhebung è quindi quel processo dialettico che elimina (la particolarità,
l’unilateralità, l’elemento astratto), conserva (ciò che vi è di positivo) ed eleva (a una
formazione superiore e più matura dello spirito).
È importante sottolineare e precisare che il togliere di cui parla Hegel non equivale
ad un immediato eliminare o annullare. Sul termine e sul significato di Aufhebung
Hegel si sofferma in una nota della Scienza della logica:
«Quello del togliere [aufheben] e del tolto [aufgehoben] (ossia dell’ideale) è uno
dei più importanti concetti della filosofia; è una determinazione
61
G.W.F. HEGEL, Fenomenologia dello spirito [1807], trad. it. di E. De Negri, Firenze, La Nuova Italia, 1973 3, vol. I,
p. 94.
44
fondamentale, che ritorna addirittura dappertutto, e di cui occorre cogliere
precisamente il senso, distinguendola in particolare maniera dal nulla. – Quello
che si toglie, non perciò diventa nulla. Nulla è l’immediato. Ciò che è tolto
[aufgehoben], all’incontro, è un mediato; è un non essere, ma come resultato
derivato da un essere. Quindi ha ancora in sé la determinatezza da cui proviene.
La parola togliere [aufheben] ha nella lingua il doppio senso, per cui val quanto
conservare, ritenere, e nello stesso tempo quanto far cessare, mettere fine.
Il conservare stesso racchiude già in sé il negativo, che qualcosa è elevato dalla
sua immediatezza e quindi da una esistenza aperta agli influssi estranei, affin di
ritenerlo. – Così il tolto [aufgehoben] è insieme un conservato, il quale ha
perduto soltanto la sua immediatezza, ma non perciò è annullato»62.
2) Il secondo elemento è che, secondo Marx, «Hegel si è posto dal punto di vista
dell’economia politica moderna. Concepisce il lavoro come l’essenza, come
l’essenza che si avvera dell’uomo», ma, ancora una volta, «il solo lavoro che
Hegel conosce e riconosce, è il lavoro astrattamente spirituale» (M, p. 168).
[cfr. anche infra § 11]
3) Ma soprattutto, il «fatto che Hegel concepisce l’autogenerazione dell’uomo
come un processo, […] come il risultato del suo proprio lavoro» (M, p. 167).
Hegel «intende - entro l’estraniazione – il lavoro come l’atto con cui l’uomo
produce se stesso» (M, pp. 180-181).
È questo il grande “vantaggio” di Hegel rispetto anche ad altri grandi pensatori
(Feuerbach) i quali, pur partendo dal concreto sensibile, restano però fermi a una
mera intuizione immediata del reale e non ne colgono la “processualità”.
[cfr. anche infra § 14]
62
Id., Scienza della logica, cit., vol. I, pp. 100-102.
45
Approfondimenti: Marx oltre i Manoscritti del 1844
7. Perché Marx nel primo quaderno inizia proprio con salarioprofitto-rendita fondiaria?
Perché questi costituivano, per così dire, il “cavallo di battaglia” dell’economia
politica classica (Smith, Petty, Say, Ricardo etc.) che li definiva: le fonti e la
distribuzione del reddito.
L’economia politica classica inoltre, così come ancor di più quella volgare, si
occupava (e si fermava) solo alla sfera della circolazione delle merci e alla legge
della domanda e dell’offerta, pretendendo di poter spiegare tutti i cambiamenti e le
trasformazioni con questa legge (del tipo «quanto più X, tanto più Y» etc.).
Fermandosi solo alla sfera della circolazione delle merci, l’economia politica non
diceva nulla della e sulla provenienza delle merci, non toccava la sfera profonda della
produzione delle merci ma si ferma alla superficie visibile e diurna della società
borghese (in questo senso la si potrebbe definire “superficiale”).
Nei Manoscritti del 1844 Marx si accorge e coglie un “non-detto” dell’economia
politica classica, capisce che c’è ancora tutto un mondo (notturno, sotterraneo,
nascosto) da scoprire, quello della produzione delle merci.
Marx chiarisce inoltre che non è per ignoranza, inettitudine o mancanza di acume
teorico che gli economisti classici non “vedono” le contraddizioni del mondo
capitalistico-borghese, ma semplicemente in quanto teorici borghesi non possono e
non devono vedere e far vedere l’intima struttura, il cuore della produzione
capitalistica.
L’economia politica assume e svolge una funzione altamente ideologica in quanto
copre la vera essenza del modo di produzione capitalistico e presenta in superficie il
contrario di ciò che esso intimamente è (proprio come l’inconscio si “manifesta” nei
sogni in forma capovolta e deformata).
Marx, invece, da buon “maestro del sospetto” (lat.: sub-spĭcere = guardare sotto)
vuole squarciare l’apparenza falsa, ingannevole e speciosa del modo di produzione
capitalistico e «svelare la legge economica del movimento della società moderna»
(C, I, p. 33).
Nel 1844 Marx è ancora agli inizi della sua critica dell’economia politica, in seguito
si proporrà di indicare e di “dire” il “non detto” dell’economia politica classica,
facendo vedere, nel primo libro de Il capitale, come sia in realtà la sfera della
produzione quella decisiva e come nella produzione, e solo nella produzione, si
46
possono cogliere e svelare l’arcano, il mistero della “produzione” del plusvalore e
della ricchezza.
Nel primo libro del Capitale (1867), Marx, quindi, scende negli “inferi”, nel
“sottosuolo” della produzione capitalistica, per poi risalire grado a grado, nel
secondo (postumo, 1885) e ancor di più nel terzo libro (postumo, 1894), alla
superficie diurna, visibile e nota della società borghese, quella della sfera della
circolazione delle merci, da cui era partito nel 1844.
Contenuto dei tre libri de Il Capitale:
«Nel primo Libro si sono analizzati i fenomeni che il processo di produzione
capitalistico, preso in sé, presenta come processo immediato, astraendo ancora
da tutte le influenze secondarie di circostanze estranee. Ma questo processo di
produzione immediato non esaurisce il corso dell’esistenza del capitale. Esso, nel
mondo della realtà, viene completato dal processo di circolazione, il quale ha
costituito oggetto delle indagini del secondo Libro. Vi si mostrava, specie nella
terza sezione, che tratta del processo di circolazione quale mediazione del
processo di riproduzione sociale, che il processo di produzione capitalistico,
preso nel suo complesso, è unità dei processi di produzione e di circolazione.
Scopo del presente Libro non può essere quello di esporre riflessioni generali su
siffatta unità; si tratta piuttosto di scoprire ed esporre le forme concrete che
sorgono dal processo di movimento del capitale, considerato come un tutto. Nel
loro movimento reale i capitali assumono l’uno nei confronti dell’altro tali forme
concrete, in rapporto alle quali l’aspetto del capitale nel processo immediato di
produzione, così come il suo aspetto nel processo di circolazione, appaiono
soltanto come momenti particolari. Gli aspetti del capitale, come noi li
svolgiamo nel presente volume, si avvicinano quindi per gradi alla forma in cui
essi si presentano alla superficie della società, nell’azione dei diversi capitali
l’uno sull’altro, nella concorrenza e nella coscienza comune degli agenti stessi
della produzione» (C, III, p. 53).
Il metodo dell’indagine scientifica di Marx procede dall’astratto al concreto:
«Sembra63 corretto cominciare con il reale e concreto, con il presupposto effettivo
e, dunque, nell’economia, per es., con la popolazione, che è il fondamento e il
soggetto dell’intero atto sociale di produzione. Ma, ad un più attento esame, ciò si
rivela falso64. […] Se, dunque, cominciassi con la popolazione, comincerei con
una rappresentazione caotica del tutto e, mediante un’ulteriore determinazione,
dovrei pervenire analiticamente a concetti sempre più semplici; dal concreto
63
Contrapposizione dialettica tra il sembrare della esperienza immediata e la verità della realtà colta concettualmente
(begriffen).
64
Così come ad Hegel si rivela falsa la prima forma di conoscenza immediata, quella della certezza sensibile.
Cfr. G.W.F. HEGEL, Fenomenologia dello spirito, cit., vol. I, pp. 81-92.
47
rappresentato (vorgestelltes Konkretum) ad astrazioni sempre più sottili, fino a
giungere alle determinazioni più semplici. Da quel punto [astratto], il percorso
sarebbe da ricominciare all’indietro65 [verso il concreto], finché non ritornassi alla
popolazione, ma questa volta non come la caotica rappresentazione di un insieme,
bensì come una totalità ricca, fatta di molte determinazioni e relazioni. […]
Quest’ultimo [il procedere dall’astratto al concreto] chiaramente è il metodo
scientificamente corretto» (L, I, pp. 32-33).
Il capitale non è quindi un mero studio empirico, storico-descrittivo, della società
capitalistica di fine ‘800, non è una fotografia del capitalismo, quanto piuttosto una
sua radiografia, perché nel Capitale, Marx ha colto la struttura fondamentale,
portante del modo di produzione capitalistico, ha scoperto ed esposto le leggi generali
del suo funzionamento e ha indicato le possibili condizioni per il suo superamento.
Era questo anche il problema di Hegel: «Nella mia formazione scientifica, che ha preso l’avvio dai bisogni più
subordinati degli uomini, dovevo esser sospinto verso la scienza, e l’ideale degli anni giovanili doveva mutarsi in una
forma riflessiva, e nel contempo in un sistema. Adesso, mentre sono ancora occupato con questo sistema, mi chiedo
quale strada io possa trovare per intervenire nuovamente nella vita degli uomini». G.W.F. HEGEL, Lettera a
Schelling, 2.11.1800, in Id., Epistolario. Vol. I: 1785-1808, a cura di Paolo Manganaro, Napoli, Guida Editori,
(Micromegas, n. 8), 1983, p. 156 (corsivo mio). A quel “sistema” dedicherà poi Hegel tutta la sua vita: «La vera figura
nella quale esiste la verità può essere soltanto il sistema scientifico di essa. Collaborare a che la filosofia si avvicini alla
forma della scienza – ossia alla meta dove essa possa deporre il nome di amore per il sapere ed essere invece sapere
effettivo – ecco ciò che mi sono proposto». G.W.F. HEGEL, Fenomenologia dello spirito, cit., vol. I, p. 4.
65
48
8. La mistificazione del rapporto di sfruttamento capitalistico nella
formula lavoro-salario
Nel primo libro del Capitale Marx ha analizzato accuratamente il modo in cui il
rapporto tra operaio salariato e capitale, in quanto rapporto tra possessori di merci,
produca l’illusione che imprenditore e operaio siano contraenti con pari diritti, per
quanto certamente non egualmente favoriti dalla fortuna.
L’operaio «si incontra sul mercato con il possessore di denaro e i due entrano in
rapporto reciproco come possessori di merci, di pari diritti, distinti solo per essere
l’uno compratore, l’altro venditore, persone dunque giuridicamente uguali»
(C, I, p. 200).
«Il consumo della forza-lavoro, come il consumo di ogni altra merce, si compie
fuori del mercato ossia della sfera della circolazione. Quindi, assieme al possessore
di denaro e al possessore di forza-lavoro, lasciamo questa sfera rumorosa che sta
alla superficie ed è accessibile a tutti gli sguardi, per seguire l’uno e l’altro nel
segreto laboratorio della produzione sulla cui soglia sta scritto: No admittance
except on business. Qui si vedrà non solo come produce il capitale, ma anche come
lo si produce, il capitale. Finalmente ci si dovrà svelare l’arcano della fattura del
plusvalore. La sfera della circolazione, ossia dello scambio di merci, entro i cui
limiti si muovono la compera e la vendita della forza-lavoro, era in realtà un vero
Eden dei diritti innati dell’uomo. Qui regnano soltanto Libertà, Eguaglianza,
Proprietà e Bentham. Libertà! Poiché compratore e venditore d’una merce, p. es.
della forza-lavoro, sono determinati solo dalla loro libera volontà. Stipulano il loro
contratto come libere persone, giuridicamente pari. Il contratto è il risultato finale
nel quale le loro volontà si danno una espressione giuridica comune. Eguaglianza!
Poiché essi entrano in un rapporto reciproco soltanto come possessori di merci, e
scambiano equivalente per equivalente. Proprietà! Poiché ognuno dispone soltanto
del proprio. Bentham! Poiché ognuno dei due ha a che fare solo con se stesso.
L’unico potere che li mette l’uno accanto all’altro e che li mette in rapporto è quello
del proprio utile, del loro vantaggio particolare, dei loro interessi privati. E appunto
perché così ognuno si muove solo per sé e nessuno si muove per l’altro, tutti portano
a compimento, per una armonia prestabilita delle cose, o sotto gli auspici d’una
provvidenza onniscaltra, solo l’opera del loro reciproco vantaggio, dell’utilità
comune, dell’interesse generale. Nel separarci da questa sfera della circolazione
semplice, ossia dello scambio di merci, donde il liberoscambista vulgaris prende a
prestito concezioni, concetti, norme per il suo giudizio sulla società del capitale e del
lavoro salariato, la fisionomia delle nostre dramatis personae sembra già cambiarsi in
qualche cosa. L’antico possessore del denaro va avanti come capitalista, il possessore
di forza-lavoro lo segue come suo lavoratore; l’uno sorridente con aria d’importanza
e tutto affaccendato, l’altro timido, restìo, come qualcuno che abbia portato al
mercato la propria pelle e non abbia ormai da aspettarsi altro che la … conciatura»
(C, I, pp. 208-209).
49
«Sul mercato [l’operaio] si era presentato come proprietario della merce “forzalavoro” di fronte ad altri proprietari di merci, proprietario di merce di fronte a
proprietario di merce. Il contratto per mezzo del quale aveva venduto al capitalista la
propria forza-lavoro dimostrava, per così dire, nero su bianco, che egli disponeva
liberamente di se stesso» (C, I, p. 338).
La formula lavoro-salario è mistificante perché
«Nel lavoro salariato […] persino il pluslavoro ossia il lavoro non retribuito appare
come lavoro retribuito. […] Su questa forma fenomenica che rende invisibile il
rapporto reale e mostra precisamente il suo opposto, si fondano tutte le idee
giuridiche dell’operaio e del capitalista, tutte le mistificazioni del modo di
produzione capitalistico, tutte le sue illusioni sulla libertà, tutte le chiacchiere
apologetiche dell’economia volgare» (C, I, p. 590).
«La produzione fondata sul valore di scambio, alla cui superficie si svolge quello
scambio libero e uguale di equivalenti, è alla base uno scambio di lavoro
materializzato in quanto valore di scambio, con il lavoro vivo in quanto valore d’uso,
o, in altri termini, un rapporto del lavoro con le sue condizioni oggettive – e quindi
con l’oggettività che esso stesso ha creato – come proprietà altrui: alienazione del
lavoro» (L, II, pp. 148-9).
50
9. Il feticismo delle merci
Da KARL MARX, Il capitale. Critica dell’economia politica. Libro primo: il
processo di produzione del capitale, I sezione: Merce e denaro, Cap. 1: La merce,
§ 4. Il carattere di feticcio della merce e il suo arcano.
«A prima vista, una merce sembra una cosa triviale, ovvia. Dalla sua analisi,
risulta che è una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci
teologici. Finché è valore d’uso, non c’è nulla di misterioso in essa, sia che la si
consideri dal punto di vista che soddisfa, con le sue qualità, bisogni umani, sia che
riceva tali qualità soltanto come prodotto di lavoro umano. È chiaro come la luce del
sole che l’uomo con la sua attività cambia in maniera utile a se stesso le forme dei
materiali naturali. P. es. quando se ne fa un tavolo, la forma del legno viene
trasformata. Ciò non di meno, il tavolo rimane legno, cosa sensibile e ordinaria. Ma
appena si presenta come merce, il tavolo si trasforma in una cosa sensibilmente
sovrasensibile. Non solo sta coi piedi per terra, ma, di fronte a tutte le altre merci, si
mette a testa in giù, e sgomitola dalla sua testa di legno dei grilli molto più mirabili
che se cominciasse spontaneamente a ballare.
Dunque, il carattere mistico della merce non sorge dal suo valore d’uso. E
nemmeno sorge dal contenuto delle determinazioni di valore. Poiché: in primo luogo,
per quanto differenti possano essere i lavori utili o le operosità produttive, è verità
fisiologica ch’essi sono funzioni dell’organismo umano, e che tutte tali funzioni,
quale si sia il loro contenuto e la loro forma, sono essenzialmente dispendio di
cervello, nervi, muscoli, organi sensoriali, ecc. umani. In secondo luogo, per quel che
sta alla base della determinazione della grandezza di valore, cioè la durata temporale
di quel dispendio, ossia la quantità del lavoro: la quantità del lavoro è distinguibile
dalla qualità in maniera addirittura tangibile. In nessuna situazione il tempo di lavoro
che costa la produzione dei mezzi di sussistenza ha potuto non interessare gli uomini,
benché tale interessamento non sia uniforme nei vari gradi di sviluppo. Infine, appena
gli uomini lavorano in una qualsiasi maniera l’uno per l’altro, il loro lavoro riceve
anche una forma sociale.
Di dove sorge dunque il carattere enigmatico del prodotto di lavoro appena
assume forma di merce? Evidentemente, proprio da tale forma. L’eguaglianza dei
lavori umani riceve la forma reale di eguale oggettività di valore dei prodotti del
lavoro, la misura del dispendio di forza-lavoro umana mediante la sua durata
temporale riceve la forma di grandezza di valore dei prodotti del lavoro, ed infine i
rapporti fra i produttori, nei quali si attuano quelle determinazioni sociali dei loro
lavori, ricevono la forma d’un rapporto sociale dei prodotti del lavoro.
L’arcano della forma di merce consiste dunque semplicemente nel fatto che
tale forma rimanda agli uomini come uno specchio i caratteri sociali del loro
proprio lavoro trasformati in caratteri oggettivi dei prodotti di quel lavoro, in
proprietà sociali naturali di quelle cose, e quindi rispecchia anche il rapporto
sociale fra produttori e lavoro complessivo come un rapporto sociale di oggetti,
avente esistenza al di fuori dei prodotti stessi. Mediante questo quid pro quo i
51
prodotti del lavoro diventano merci, cose sensibilmente sovrasensibili cioè cose
sociali. Proprio come l’impressione luminosa di una cosa sul nervo ottico non si
presenta come stimolo soggettivo del nervo ottico stesso, ma quale forma oggettiva di
una cosa al di fuori dell’occhio. Ma nel fenomeno della vista si ha realmente la
proiezione di luce da una cosa, l’oggetto esterno, su un’altra cosa, l’occhio: è un
rapporto fisico fra cose fisiche. Invece la forma di merce e il rapporto di valore dei
prodotti di lavoro nel quale essa si presenta non ha assolutamente nulla a che fare con
la loro natura fisica e con le relazioni fra cosa e cosa che ne derivano. Quel che qui
assume per gli uomini la forma fantasmagorica di un rapporto fra cose è
soltanto il rapporto sociale determinato fra gli uomini stessi. Quindi, per trovare
un’analogia, dobbiamo involarci nella regione nebulosa del mondo religioso. Quivi, i
prodotti del cervello umano paiono figure indipendenti, dotate di vita propria, che
stanno in rapporto fra di loro e in rapporto con gli uomini. Così, nel mondo delle
merci, fanno i prodotti della mano umana. Questo io chiamo il feticismo che
s’appiccica ai prodotti del lavoro appena vengono prodotti come merci, e che
quindi è inseparabile dalla produzione delle merci.
Come l’analisi precedente ha già dimostrato, tale carattere feticistico del mondo
delle merci sorge dal carattere sociale peculiare del lavoro che produce merci.
Gli oggetti d’uso diventano merci, in genere, soltanto perché sono prodotti di
lavori privati, eseguiti indipendentemente l’uno dall’altro. Il complesso di tali lavori
privati costituisce il lavoro sociale complessivo. Poiché i produttori entrano in
contatto sociale soltanto mediante lo scambio dei prodotti del loro lavoro, anche i
caratteri specificamente sociali dei loro lavori privati appaiono soltanto all’interno di
tale scambio. Ossia, i lavori privati effettuano di fatto la loro qualità di articolazioni
del lavoro complessivo sociale mediante le relazioni nelle quali lo scambio pone i
prodotti del lavoro e, attraverso i prodotti stessi, i produttori. Quindi a questi ultimi
le relazioni sociali dei loro lavori privati appaiono come quel che sono, cioè, non
come rapporti immediatamente sociali fra persone nei loro stessi lavori, ma anzi,
come rapporti di cose fra persone e rapporti sociali fra le cose» (C, I, pp. 103-105).
[…]
Tali forme costituiscono appunto le categorie dell’economia borghese. Sono forme di
pensiero socialmente valide, quindi oggettive, per i rapporti di produzione di questo
modo di produzione sociale storicamente determinato, per i rapporti di produzione
della produzione di merci. Quindi, appena ci rifugiamo in altre forme di produzione,
scompare subito tutto il misticismo del mondo delle merci, tutto l’incantesimo e la
stregoneria che circondano di nebbia i prodotti del lavoro sulla base della
produzione di merci» (C, I, p. 108).
52
10. Le robinsonate dell’economia politica
[1] «Poiché l’economia politica predilige le robinsonate evochiamo per primo
Robinson nella sua isola. Sobrio com’è di natura, ha tuttavia bisogni di vario genere
da soddisfare, e quindi deve compiere lavori utili di vario genere, deve fare
strumenti, fabbricare mobili, addomesticare dei lama, pescare, cacciare, ecc. Qui non
parliamo delle preghiere e simili, poiché il nostro Robinson ci prende il suo gusto e
considera tali attività come ricreazione. Nonostante la differenza fra le sue funzioni
produttive egli sa che esse sono soltanto differenti forme di operosità dello stesso
Robinson, e dunque modi differenti di lavoro umano. Proprio la necessità lo costringe
a distribuire esattamente il proprio tempo fra le sue differenti funzioni. Che l’una
prenda più posto, l’altra meno posto nella sua operosità complessiva dipende dalla
difficoltà maggiore o minore da superare per raggiungere il desiderato effetto
d’utilità. Questo glielo insegna l’esperienza, e il nostro Robinson che ha salvato dal
naufragio orologio, libro mastro, penna e calamaio, comincia da buon inglese a tenere
la contabilità di se stesso. Il suo inventario contiene un elenco degli oggetti d’uso che
possiede, delle diverse operazioni richieste per la loro produzione, e infine del tempo
di lavoro che gli costano in media determinate quantità di questi diversi prodotti.
Tutte le relazioni fra Robinson e le cose che costituiscono la ricchezza che egli stesso
s’è creata, sono qui tanto semplici e trasparenti che perfino il signor M. Wirth
potrebbe capirle senza particolare sforzo mentale. Eppure, vi sono contenute tutte le
determinazioni essenziali del valore.
[2] Trasportiamoci ora dalla luminosa isola di Robinson nel tenebroso Medioevo
europeo. Qui, invece dell’uomo indipendente, troviamo che tutti sono dípendenti:
servi della gleba e padroni, vassalli e signori feudali, laici e preti. La dipendenza
personale caratterizza tanto i rapporti sociali della produzione materiale,
quanto le sfere di vita su di essa edificate. Ma proprio perché rapporti personali di
dipendenza costituiscono il fondamento sociale dato, lavori e prodotti non han
bisogno di assumere una figura fantastica differente dalla loro realtà: si risolvono
nell’ingranaggio della società come servizi in natura e prestazioni in natura. La forma
naturale del lavoro, la sua particolarità, è qui la sua forma sociale immediata, e non la
sua generalità, come avviene sulla base della produzione di merci. La corvée si
misura col tempo, proprio come il lavoro produttore di merci, ma ogni servo della
gleba sa che quel che egli aliena al servizio del suo padrone è una quantità
determinata della sua forza-lavoro personale. La decima che si deve fornire al prete è
più evidente della benedizione del prete. Quindi, qualunque sia il giudizio che si
voglia dare delle maschere nelle quali gli uomini si presentano l’uno all’altro in
quel teatro, i rapporti sociali delle persone appaiono in ogni modo come loro
rapporti personali, e non sono travestiti da rapporti sociali delle cose, dei
prodotti del lavoro.
Non abbiamo bisogno, ai fini della considerazione di un lavoro comune, cioè
immediatamente socializzato, di risalire alla sua forma naturale spontanea, che
incontriamo sulla soglia della storia di ogni popolo civile. Un esempio più vicino è
costituito dall’industria rusticamente patriarcale d’una famiglia di contadini, che
53
produce grano, bestiame, filati, tela, pezzi di vestiario, ecc. Per quanto riguarda la
famiglia, queste cose differenti si presentano come prodotti differenti del suo lavoro
familiare; invece per quanto riguarda le cose stesse, esse non si presentano
reciprocamente l’una all’altra come merci. I differenti lavori che generano quei
prodotti, aratura, allevamento, filatura, tessitura, sartoria, nella loro forma naturale
sono funzioni sociali, poiché sono funzioni della famiglia che ha, proprio come la
produzione di merci, la sua propria divisione del lavoro, naturale ed originaria. Le
differenze di sesso e di età, e le condizioni naturali di lavoro varianti col variare della
stagione, regolano la distribuzione di quelle funzioni entro la famiglia e il tempo di
lavoro dei singoli membri. Però qui il dispendio delle forze-lavoro individuali
misurato con la durata temporale si presenta per la sua natura stessa come
determinazione sociale dei lavori stessi, poiché le forze-lavoro individuali
operano per la loro stessa natura soltanto come organi dalla forza-lavoro
comune della famiglia.
[3] Immaginiamoci in fine, per cambiare, un’associazione di uomini liberi che
lavorino con mezzi di produzione comuni e spendano coscientemente le loro
molte forze-lavoro individuali come una sola forza-lavoro sociale. Qui si ripetono
tutte le determinazioni del lavoro di Robinson, però socialmente invece che
individualmente. Tutti i prodotti di Robinson erano sua produzione esclusivamente
personale, e quindi oggetti d’uso, immediatamente per lui. La produzione
complessiva dell’associazione è una produzione sociale. Una parte, serve a sua
volta da mezzo di produzione. Rimane sociale. Ma un’altra parte viene consumata
come mezzo di sussistenza dai membri dell’associazione. Quindi deve essere
distribuita fra di essi. Il genere di tale distribuzione varierà col variare del genere
particolare dello stesso organismo sociale di produzione e del corrispondente livello
storico di sviluppo dei produttori» (C, I, pp. 108-110).
54
11. Hegel e l’economia politica
Riguardo alla profonda considerazione (nonostante la sua appartenenza alle scienze
dell’intelletto) che Hegel aveva dell’economia politica si vedano i §§ 188-189 dei
Lineamenti di filosofia del diritto:
«§ 188. La società civile contiene i tre momenti:
1) La mediazione del bisogno e l’appagamento del singolo grazie al suo lavoro e
grazie al lavoro e appagamento dei bisogni di tutti gli altri, - il sistema dei
bisogni.
2) La realtà dell’universale ivi contenuto della libertà, la protezione della
proprietà ad opera dell’amministrazione della giustizia.
3) La previdenza contro l’accidentalità restante in quei sistemi e la cura
dell’interesse particolare come di un che di comune, ad opera della polizia e
della corporazione.
A) Il sistema dei bisogni
§189. La particolarità in primo luogo come ciò che è determinato di fronte
all’universale della volontà in genere (§ 6) è bisogno soggettivo, il quale consegue la
sua oggettività (cioè appagamento) grazie al mezzo α) di cose esterne, le quali ora
sono parimenti la proprietà e il prodotto di altri bisogni e volontà, e β) grazie
all’attività e al lavoro, come ciò che media i due lati. Giacché il fine di tale bisogno è
l’appagamento della particolarità soggettiva, ma nella relazione con i bisogni e il
libero arbitrio di altri si fa valere l’universalità, ne segue che questo parer della
razionalità in questa sfera della finità è l’intelletto, il lato che importa nella
considerazione e che costituisce esso medesimo l’elemento conciliatore all’interno di
questa sfera.
L’economia politica è la scienza che ha la sua origine da questi punti di vista [della
particolarità soggettiva, della sfera della finità, dell’intelletto], ma poi deve esporre il
rapporto e il movimento delle masse nella loro complicazione e determinatezza
qualitativa e quantitativa. – È questa una delle scienze che sono sorte nell’età
moderna come in loro terreno. Il suo sviluppo mostra lo spettacolo interessante
di come il pensiero (v. Smith, Say, Ricardo) movendo dall’infinita moltitudine di
fatti singoli, che si trovano dapprima davanti ad esso, rintraccia i principi
semplici della cosa, l’intelletto che è attivo in essa e che la governa. – Come da un
lato è l’elemento conciliatore il conoscer nella sfera dei bisogni questo parer della
razionalità il quale nella cosa risiede ed è attivo, così viceversa è questo il campo ove
l’intelletto coi suoi fini soggettivi e le sue opinioni morali sfoga il suo malcontento e
la sua stizzosità morale»66.
66
G.W.F. HEGEL, Lineamenti di filosofia del diritto, cit., §§ 188-189, pp. 159-160.
55
12. Le Tesi provvisorie per la riforma della filosofia di Ludwig Andreas
Feuerbach
«La filosofia è la scienza della realtà nella
sua verità e nella sua totalità: ma l’insieme
della realtà è la natura (intesa nel senso
più universale della parola). […] Il ritorno
alla natura è la fonte di ogni salvezza»67.
Nelle Tesi provvisorie per la riforma della filosofia [Vorläufige Thesen zur
Reform der Philosophie] Feuerbach utilizza il «metodo genetico-critico»68, che già
aveva enunciato in Per la critica della filosofia hegeliana (1839) e utilizzato ne
L’essenza del Cristianesimo (1841), per criticare adesso una nuova forma di teologia,
la «teologia razionalizzata e modernizzata» 69 : «la logica di Hegel» 70 , la quale
rappresenta «l’ultimo sostegno razionale della teologia»71, «l’espressione in termini
razionali della dottrina teologica»72 e allo stesso tempo «il punto culminante della
filosofia sistematica speculativa»73.
Il suo modo di procedere è giustificato dal fatto che sia la teologia che la filosofia
speculativa poggiano sull’astrazione74, entrambe operano la stessa alienazione, anche
se in forme diverse, dell’uomo dalla sua essenza umana [menschliches Wesen].
«L’essere della teologia è l’essere trascendente, l’essere dell’uomo posto al di fuori
dell’uomo; l’essere della logica di Hegel è il pensiero trascendente, il pensiero
dell’uomo posto al di fuori dell’uomo. [...] Allo stesso modo che la teologia scinde
l’uomo e lo aliena da se stesso, per poi identificare questo essere così alienato un’altra
volta con se stesso; così Hegel divide e scompone in molte parti l’essenza semplice e
identica a se stessa della natura e dell’uomo, per poi riunire violentemente quello che
aveva violentemente separato. [...] Lo spirito assoluto di Hegel non è altro che lo spirito
finito, astratto, estraniato da se stesso; così come l’essere infinito della teologia non è
altro che l’essere astratto e finito. [...] Lo “spirito assoluto” è lo “spirito staccato dal
L.A. FEUERBACH, Critica della filosofia hegeliana, in Id., Principi della filosofia dell’avvenire, a cura di Norberto
Bobbio, Torino, Einaudi, (Biblioteca di cultura filosofica, 2), 1949 (1971 3), p. 46.
68
«La filosofia genetico-critica è quella che non dimostra né costruisce dogmaticamente un oggetto dato dalla
rappresentazione [...] ma ne indaga la origine; è quella che suscita il dubbio se l’oggetto sia un oggetto reale o mera
rappresentazione, o in generale un fenomeno psicologico; è quella che perciò distingue nel modo più rigoroso ciò che è
soggettivo da ciò che è oggettivo. La filosofia genetico-critica ha per suo oggetto principalmente ciò che si sono
altrimenti dette le causae secundae». Ibid., p. 37.
69
Id., Tesi provvisorie per una riforma della filosofia, ibid., p. 51.
70
«La logica è, come l’essere divino della teologia, la somma ideale o astratta di tutte le realtà, cioè di tutte le
determinazioni e di tutte le cose finite. [...] Nella teologia tutto ha luogo due volte, una volta in abstracto, un’altra volta
in concreto. Così pure tutto ha luogo due volte nella filosofia hegeliana: una volta come oggetto della logica, un’altra
volta come oggetto della filosofia della natura e dello spirito». Ibid.
71
Ibid., p. 63.
72
Ibid.
73
Id., Critica della filosofia hegeliana, ibid., p. 20.
74
«Astrarre vuol dire porre l’essenza della natura al di fuori della natura, l’essenza dell’uomo al di fuori dell’uomo,
l’essenza del pensiero al di fuori dell’atto del pensiero. La filosofia di Hegel ha estraniato l’uomo da se stesso, avendo
fatto appoggiare tutto il sistema su questi atti di astrazione. Essa identifica quello che separa, ma in modo mediato, a sua
volta separabile. Alla filosofia hegeliana manca l’unità immediata, la certezza immediata, la verità immediata». Id.,
Tesi provvisorie per una riforma della filosofia, ibid., p. 53.
67
56
mondo” della teologia, che si aggira ancora come un fantasma nella filosofia di
Hegel»75.
La filosofia di Hegel, che Feuerbach sottopone qui a una critica serrata e
spietata 76 , opera un capovolgimento del rapporto tra pensiero ed essere,
un’inversione tra il soggetto e il predicato77.
«La filosofia hegeliana è il superamento del contrasto tra pensiero ed essere, quale fu
espresso in particolare da Kant; ma, si badi bene, è il superamento del contrasto
nell’interno del contrasto stesso [corsivo mio], cioè nell’interno d’uno dei due
elementi, ossia del pensiero. In Hegel il pensiero è l’essere, o meglio, il pensiero è il
soggetto, l’essere il predicato. La logica è il pensiero nel proprio elemento, ovvero il
pensiero che pensa se stesso, il pensiero come soggetto senza predicato ovvero il
pensiero che è nello stesso tempo soggetto e predicato di se stesso»78.
Mentre, secondo Feuerbach, il vero rapporto tra pensiero ed essere non può essere
che questo:
«l’essere è il soggetto, il pensiero è il predicato. Il pensiero dunque deriva
dall’essere, ma non l’essere dal pensiero. L’essere è da se stesso e per opera di se stesso,
l’essere viene dato soltanto per opera dell’essere, l’essere ha il suo fondamento in se
stesso, perché soltanto l’essere è senso, ragione, necessità, verità, in breve è tutto in
tutto. L’essere è, perché il non-essere, cioè il nulla è assurdo»79.
Lo stesso capovolgimento si verifica per quanto riguarda il rapporto di fondazione
tra finito ed infinito.
«La filosofia che deduce il finito dall’infinito, il determinato dall’indeterminato, non
condurrà mai ad una posizione vera né del finito né del determinato. Che il finito venga
dedotto dall’infinito vuol dire che l’infinito e l’indeterminato vengono determinati, cioè
negati. Bisogna ammettere che l’infinito senza determinazione, cioè senza finito, non è
nulla, e che dunque il finito è posto come realtà dell’infinito. Ma il negativo non-essere
dell’assoluto rimane come fondamento; perciò il finito, una volta posto, viene di nuovo
75
Ibid., pp. 51-52.
In quest’opera vengono meno infatti, a differenza della precedente Critica della filosofia hegeliana, gli elogi che il
fino ad allora fedele allievo tributava al maestro nonostante le aspre accuse che si permetteva di rivolgergli. Ecco alcuni
esempi dei passati complimenti: «La filosofia hegeliana si distingue da tutte le filosofie precedenti per la rigorosità del
suo metodo scientifico, per la sua universalità e per la incontestabile ricchezza di pensiero», ibid., p. 9. «La filosofia di
Hegel è anche di fatto il più completo di tutti i sistemi sinora apparsi», ibid., p. 11. «Il sistematico è pertanto un artista:
la storia dei sistemi filosofici è la galleria, la pinacoteca della ragione: Hegel è il più perfetto di tutti gli artisti della
filosofia; le sue esposizioni sono, per lo meno in parte, modelli insuperabili di senso artistico applicato alla scienza, e, in
ragione del loro rigore, veri e propri strumenti di formazione e di educazione dello spirito», ibid., p. 19.
77
Operazione fondamentale del processo di mistificazione che consiste, da un lato, «nel ipostatizzare e soggettivizzare i
concetti e le astrazioni, e nel togliere realtà ai reali soggetti esistenti, rendendoli “predicati” ossia simboli, incarnazioni
contingenti, qualificazioni, accidenti dei concetti sostantivati» e, dall’altro, nel degradare «il soggetto vero, il
determinato, ciò che faceva da supporto della predicazione, ciò alla cui sostanzialità il predicato o assoluto doveva
appoggiarsi per non essere “semplice nome”, [a] un attributo di quello che doveva essere il suo predicato, [a] una sua
qualificazione, [a] un suo accidente logico». MARIO ROSSI, Da Hegel a Marx. Vol. III: La scuola hegeliana. Il
giovane Marx, Milano, Feltrinelli, (SC/10, 52), 1974, pp. 109-110.
78
L.A. FEUERBACH, Tesi provvisorie per una riforma della filosofia, cit., p. 62.
79
Ibid., p. 63.
76
57
eliminato. Il finito è la negazione dell’infinito, e l’infinito, da capo, del finito. La
filosofia dell’assoluto, è una contraddizione»80.
Contro tutto ciò Feuerbach propone una «nuova filosofia» 81 , il suo
«sensualismo»82, «la filosofia reale»83 che sia veramente «conoscenza di ciò che è»84,
che colga «quello che da Hegel è stato relegato nelle note», che utilizzando «i suoi
organi essenziali, [...] la testa e il cuore»85, sia in grado di affermare, rispetto a tutte le
precedenti astrazioni e visioni unilaterali dell’uomo86 e della natura,
«l’uomo coi suoi bisogni, con le sue sensazioni, coi suoi stati d’animo, l’uomo come
persona, distinto dallo spirito e in generale dalle sue qualità generali ed esteriori [...] 87.
L’uomo stesso che pensa, l’uomo che è e che si conosce come l’essere della natura,
provvisto di autocoscienza, come l’essere della storia, dello Stato, della religione;
l’uomo che è e si conosce come l’identità assoluta e reale (non immaginaria) di tutte le
opposizioni e di tutte le contraddizioni di tutte le qualità attive e passive, spirituali e
sensibili, politiche e sociali, l’uomo che sa che l’essere panteistico che i filosofi
speculativi o meglio i teologi separavano dall’uomo e ponendolo oggettivamente come
un essere astratto, non è altro che il suo stesso essere indeterminato e insieme capace di
infinite determinazioni»88.
La nuova filosofia rimette ogni cosa al suo posto, «trasforma l’attributo in
sostantivo, il predicato in soggetto»89.
«La nuova filosofia è la negazione tanto del razionalismo quanto del misticismo90,
tanto del panteismo quanto del personalismo, tanto dell’ateismo quanto del teismo: è
80
Ibid., p. 54.
Ibid., p. 64.
82
«Il filosofo deve accogliere nel testo della filosofia quello che da Hegel è stato relegato nelle note, deve insomma
accogliere nella filosofia quello che si trova nell’uomo che non filosofa, quello che, anzi, va contro la filosofia e si
oppone al pensiero astratto. Soltanto in questo modo la filosofia può diventare una potenza universale, senza
opposizioni, inconfutabile, irresistibile. La filosofia deve cominciare perciò non da se stessa, ma dalla sua antitesi, dalla
non filosofia. Questo essere che è in noi, diverso dal pensiero, antifilosofico e antiscolastico, è il principio del
sensualismo». Ibid., p. 59.
83
Ibid., p. 57.
84
«La filosofia è la conoscenza di ciò che è. La legge suprema, la suprema missione della filosofia consiste nel
pensare, nel conoscere le cose e le essenze come sono». Ibid., p. 56.
85
«Gli strumenti, o meglio gli organi essenziali della filosofia, sono la testa e il cuore: la prima è la fonte dell’attività,
della libertà, dell’infinità metafisica, dell’idealismo; il secondo è la fonte della passione, della finitezza, del bisogno, del
sensualismo». Ibid., p. 59. Ed è proprio in questo contesto che Feuerbach annuncia la necessità di un’alleanza francotedesca, che Marx e Ruge cercheranno di realizzare negli Annali franco-tedeschi: «Il vero filosofo, cioè quel filosofo il
cui pensiero voglia essere coerente con la vita e con l’umanità che è in lui, deve essere d’origine gallo-germanica [...] di
madre francese e padre tedesco. [...] Il cuore, che è il principio femminile, il senso del finito e la sede del
materialismo, è francese; la testa, che è il principio maschile e la sede dell’idealismo, è tedesco. Il cuore è
rivoluzionario, la testa riformista. La testa è statica, il cuore dinamico. Ma soltanto dove vi è movimento, agitazione,
passione, sangue e sensibilità, vi è anche lo spirito». Ibid., p. 60.
86
«La filosofia speculativa ha fissato teoreticamente questa scissione delle qualità essenziali dell’uomo dall’uomo
stesso, ed ha finito quindi per divinizzare qualità meramente astratte come se fossero essenze per sé stanti». Ibid., p. 66.
87
Ibid.
88
Ibid., pp. 64-65.
89
Ibid., p. 67.
81
58
l’unità di tutte queste verità antitetiche in quanto si pone come verità assolutamente
autonoma e pura»91.
Feuerbach conclude le Tesi con una forte rivendicazione, per lui insolita, almeno
per quanto riguarda la forma esplicita in cui avviene e che impressionerà fortemente
il giovane Marx, della natura politica dell’uomo e con un’esaltazione dello Stato
quale sua creazione mondana, in cui le energie essenziali dell’uomo si concentrano e
si elevano ad un livello universale.
«L’uomo è l’έν χαι παν dello Stato. Lo Stato è la totalità dell’essere umano, totalità
realizzata, perfezionata e tutta spiegata. Nello Stato le qualità e le attività essenziali
dell’uomo si realizzano nelle classi particolari, ma nella persona del sovrano sono
ricondotte all’identità. Il sovrano deve rappresentare indistintamente tutte le classi; di
fronte a lui sono tutte ugualmente necessarie ed ugualmente giustificate. Il sovrano è il
rappresentante dell’uomo universale»92.
Sarà poi compito di Marx tradurre in pratica politica il programma di rinnovamento
filosofico espresso da Feuerbach nelle Tesi, di cui Marx accetta la violenta critica
antihegeliana, la denuncia del falso rapporto di soggetto (realtà esistenziale ed
empirica) e predicato (concetto, universalità), che diverrà un elemento fondamentale
nella critica marxiana alla Filosofia del diritto di Hegel, ma soprattutto Marx metterà
in luce come quel vuoto di realtà, di soggetto all’interno del processo di astrazione
hegeliano denunciato da Feuerbach, sia invece pieno di un contenuto particolare,
storicamente determinato, che arbitrariamente viene travestito da Assoluto, da
espressione ed incarnazione dell’Idea, guadagnando indebitamente una sua
immediata identificazione col predicato, anzi la riduzione del predicato (universale)
al suo ambito particolare.
90
I quali fusi e confusi insieme andavano a formare quello strano ibrido di «mistica razionale» che era la filosofia
hegeliana. Cfr. Id., Critica della filosofia hegeliana, ibid., p. 38: «La filosofia di Hegel è una mistica razionale, e quindi
è una filosofia unica nel suo genere, insieme attraente e ripugnante».
91
Id., Tesi provvisorie per una riforma della filosofia, ibid., p. 65.
92
Ibid., p. 67.
59
13. La critica di Marx a Hegel
«Si ripaga male un maestro se si rimane sempre e soltanto un
discepolo [Man vergilt einen Lehrer schlecht, wenn man immer
nur der Schüler bleibt]»93.
Quale brevissima premessa credo sia opportuno ricordare che lo Hegel di Marx non è più
semplicemente e immediatamente lo Hegel storico, ma è quello Hegel storico che è stato recepito,
modificato, digerito e assimilato criticamente da Marx durante tutto l’arco della sua esistenza.
13.1. Tappe della ricezione marxiana della filosofia di Hegel
1837-1841: Primo incontro con Hegel. Nonostante le prime titubanze, si tratta di un hegelismo
profondamente vissuto.
1842: Entrata in crisi del suo hegelismo in seguito all’esperienza pratico-politica della Gazzetta
renana.
1843: Critica del diritto statuale hegeliano. Marx critica duramente la logica aprioristica e
surrettizia del maestro e gli muove l’accusa di «misticismo logico e panteistico».
1844: Ultimo capitolo dei Manoscritti economico-filosofici del 1844: Critica della dialettica e della
filosofia hegeliana in generale. Fermo restanti le critiche al modo di procedere della Logica
hegeliana, Marx considera positivamente la Fenomenologia dello spirito e la concezione
hegeliana del lavoro.
1845-1850: La posizione di Marx nei confronti di Hegel è critica o di rifiuto. Hegel viene attaccato
soprattutto in forma mediata, indirettamente, nelle persone di Bruno Bauer e ancor di
più di Proudhon.
Lettera a Engels del 16.01.1858: «Nel metodo del lavoro mi è stato di grandissimo servizio l’aver
riletto, by mere accident, la Logica di Hegel […]. Se tornerà mai il tempo per lavori del genere,
avrei una gran voglia di rendere accessibile all’intelletto dell’uomo comune in poche pagine, quanto
vi è di razionale nel metodo che Hegel ha scoperto ma nello stesso tempo mistificato».
1861-1864: Silenzio nelle opere e lettere di Marx su Hegel.
Dal 1865 si occupa di nuovo della dialettica hegeliana soprattutto in relazione ai problemi di
esposizione (Darstellung) dei risultati della ricerca.
1868: Lettera a Dietzingen del 09.05.1868:«Mi sono deciso a scrivere una dialettica, non appena mi
sarò scrollato di dosso il fardello economico».
1873: Poscritto alla seconda edizione del Capitale del 1873.
93
F. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra. Parte prima. I discorsi di Zarathustra. Della virtù che dona, trad. it. di
Sossio Giametta, introduzione e commento di G. Pasqualotto, Milano, 2000 6 (1a ediz. 1985), p. 97.
60
13.2. La Critica del diritto statuale hegeliano (1843)
La Critica del diritto statuale hegeliano consiste in un commento puntuale ai
paragrafi 261-313 94 , riguardanti Il diritto statuale interno, della terza sezione, Lo
Stato, della terza parte, L’eticità, dei Lineamenti di Filosofia del diritto di Hegel.
13.2.1. Breve esposizione delle tappe principali dello svolgimento
hegeliano
Nell’eticità lo spirito oggettivo, dopo aver attraversato e sperimentato l’insufficienza
logica e ontologica, l’astrattezza e unilateralità del diritto astratto e della moralità, si
trova nella sua sfera più concreta.
L’eticità è l’unità e il compimento di quelle due «totalità relative» del «bene senza
soggettività», che «soltanto deve essere», il diritto, e della «soggettività senza
l’essente in sé», «che soltanto deve essere buona»95, la moralità. Ma anche nella sfera
concreta dell’eticità lo spirito oggettivo sperimenta diversi gradi di concretezza.
Il primo è quello della famiglia, «la sostanzialità immediata dello spirito [che ha]
l’amore», «la di lui unità senziente sé [...], per propria determinazione»96.
Il secondo, «la perdita dell’eticità», è la società civile, «il mondo dell’apparenza
nell’ambito dell’ethos»97, «lo stato della necessità e dell’intelletto»98 che ha entro di
sé il sistema dei bisogni, l’amministrazione della giustizia, la polizia e la
corporazione. Con il superamento dialettico (Aufhebung), che toglie e conserva, di
questi due precedenti gradi, lo spirito oggettivo raggiunge nello Stato il suo pieno
dispiegamento, realmente infinito.
Lo Stato quindi, in quanto compimento dell’eticità, in quanto «realtà dell’idea
etica» 99 e coerentemente all’insegnamento della Logica 100 , appare e compare da
ultimo, alla fine, come risultato, ma in realtà e allo stesso tempo, per chi, come
Hegel, riesce a superare la «mestizia della finità»101, è il prius, il fondamento e il fine
ultimo immanente dei suoi «momenti finiti e ideali»102, a lui subordinati, costituiti
dalla famiglia e dalla società civile. Lo Stato sorge per elevare il particolare
94
Nel manoscritto rimastoci manca il primo foglio (Bogen), che molto probabilmente conteneva il commento ai
paragrafi 257-260, con cui inizia appunto la sezione sullo Stato nei Lineamenti di Hegel. Per una descrizione fisica del
manoscritto si veda la Nota filologica di F.S. Trincia e R. Finelli all’edizione italiana della Kritik da loro curata e da me
adottata: K. MARX, Critica del diritto statuale hegeliano, trad. it. e commentario di F.S. Trincia e R. Finelli, Roma,
1983, pp. 17-29.
95
G.W.F. HEGEL, Lineamenti di filosofia del diritto. Diritto naturale e scienza dello stato in compendio,
a
cura di G. Marini, Roma-Bari, Laterza, 1999 (nuova ed. riv., con le Aggiunte di E. Gans), Annotazione al § 141, p.
131.
96
Ibid., § 158, p. 141.
97
Ibid., § 181, p. 154.
98
Ibid., §183, p. 155.
99
Ibid., § 257, p. 195.
100
«In virtù della [...] natura del metodo la scienza si presenta come un circolo attorto in sé, nel cui cominciamento, il
fondamento semplice, la mediazione ritorce la fine. Con ciò questo circolo è circolo di circoli [...]. [...] Così dunque
anche la logica è tornata, nell’idea assoluta, a questa semplice unità che è il cominciamento suo». G.W.F. HEGEL,
Scienza della logica, trad. it. di A. Moni, riv. da C. Cesa, introd. di L. Lugarini, Roma-Bari, 1996, vol. II, p. 955.
101
Ibid., I, p. 129.
102
«La proposizione, che il finito è ideale, costituisce l’idealismo». Ibid., vol. I, p. 159.
61
all’universale, o meglio per scoprire e tenere uniti l’universale nel particolare 103. Lo
Stato «ha la sua forza nell’unità del suo universale fine ultimo e del particolare
interesse degli individui, nel fatto ch’essi in tanto hanno doveri di fronte ad esso, in
quanto hanno in pari tempo diritti»104; in esso, cioè, «dovere e diritto sono uniti in
una e medesima relazione»105 e la sua «enorme forza e profondità, [è appunto quella]
di lasciare il principio della soggettività compiersi fino all’estremo autonomo della
particolarità personale, e in pari tempo di ricondurre esso nell’unità sostanziale e così
di mantener questa in esso medesimo»106.
13.2.2. La critica della logica aprioristica-surrettizia e del
capovolgimento di soggetto e predicato: Il commento ai paragrafi sul
“passaggio” allo Stato e la critica della deduzione hegeliana del
monarca ereditario
Ed è proprio con la messa in questione di questa deduzione dello Stato come risultato
e fine immanente della società civile e della famiglia e della mediazione di particolare
e universale che lo Stato pretende di compiere, che prende le mosse la Kritik di Marx,
il quale si chiede: «come, per quale via si realizza la mediazione, il “riportarsi” del
particolare all’universale? I termini dell’indagine critica di Marx sono qui
squisitamente concettuali: è la forma concettuale in cui si realizza (anzi, non si
realizza) la mediazione, ciò che lo interessa; non sono [ancora] in discussione i
contenuti, la configurazione storico-politica di famiglia, società civile e Stato» 107 .
Questa critica di Marx al concetto, «il mistificato mobile del pensiero astratto»108, alla
logica sottesa al modo di procedere hegeliano è giustificata dal fatto che «Hegel
[stesso] non parla qui di collisioni empiriche; egli parla della relazione delle “sfere
[corsivo di Marx] del diritto privato e del benessere privato, della famiglia e della
società civile” allo Stato; si tratta della relazione essenziale di queste sfere stesse»
(K, p. 42). Per Hegel, società civile e famiglia sono in un rapporto di subordinazione
e dipendenza nei confronti dello Stato, ma «“subordinazione” e “dipendenza” sono le
espressioni per un’identità “esterna”, forzata, apparente, come espressione logica,
della quale Hegel usa giustamente la “necessità esterna”» (K, p. 43). L’evidente
conclusione a cui Marx arriva è che
«Hegel pone qui un’antinomia irrisolta. Da un lato necessità esterna, dall’altro fine
immanente. L’unità dell’universale scopo finale dello Stato e del particolare interesse
degli individui deve consistere in ciò, che i loro doveri di fronte allo Stato e i loro diritti
«Tutto dipende dall’unità dell’universalità e della particolarità nello Stato». Id., Lineamenti di filosofia del diritto,
cit., Aggiunta al § 261, p. 359.
104
Ibid., § 261, p. 201.
105
Ibid., Annotazione al § 261, p. 202.
106
Ibid., § 260, p. 201.
107
F.S. TRINCIA-R. FINELLI, Commentario, in K. MARX, Critica del diritto statuale hegeliano, cit., p. 249.
108
K, p. 64. Ma si veda anche quest’altra bella raffigurazione marxiana del concetto hegeliano: «L’anima degli oggetti,
qui dello Stato, è compiuta, predestinata prima del loro corpo, il quale di fatto è solo apparenza. Il “concetto” è il figlio
entro l’“idea”, che è Dio padre, il concetto è l’agens, il principio determinante, differenziante. “Idea” e “concetto” sono
qui astrazioni rese autonome» (K, pp. 54-55).
103
62
verso lo stesso sono identici (quindi ad esempio il dovere di rispettare la proprietà
coinciderebbe con il diritto alla proprietà)» (ibid.).
Al posto quindi di un rapporto di dipendenza intrinseca, per cui la parte si costituisce
come parte proprio per entro il suo rapporto con il tutto che la pone e la toglie109, si
istituisce qui un rapporto che isola i suoi estremi per poi subordinarne esternamente
uno all’altro. Così però viene negato il rapporto immanente che lega la parte al suo
tutto e la parte, l’elemento che viene negato, qui la famiglia e la società civile, viene
contraddetto e limitato nella sua essenza.
13.2.3. Il «misticismo logico, panteistico» di Hegel
Veniamo adesso al paragrafo in cui «è deposto l’intero mistero della Filosofia del
diritto e della filosofia hegeliana in generale» (K, p. 47), al paragrafo in cui «appare
molto chiaramente il misticismo logico, panteistico» (K, p. 44) di Hegel: il paragrafo
262. Hegel scrive:
«L’idea reale, lo spirito, che scinde se stesso nelle due sfere ideali del suo concetto, la
famiglia e la società civile, in quanto nel momento della sua finità, per essere, a partire
dalla idealità di quelle, spirito reale per sé infinito, distribuisce con ciò a queste sfere il
materiale di questa sua realtà finita, gli individui in quanto la moltitudine, così che
questa assegnazione al singolo appare mediata dalle circostanze, dall’arbitrio e dalla
propria scelta della sua determinazione»110.
Secondo Hegel quindi, famiglia e società civile
«sono mosse dall’idea reale; non è il loro proprio processo vitale che le unisce allo
Stato, ma è il processo vitale dell’idea, che le ha distinte da sé; e precisamente esse sono
[la] finità di questa idea; sono debitrici della loro esistenza ad uno spirito diverso dal
proprio; sono determinazioni poste da un terzo, non autodeterminazioni; perciò vengono
determinate anche come “finità”, come la finità specifica dell’“idea reale”. Lo scopo
della loro esistenza non è questa esistenza stessa, ma l’idea espelle da sé questi
presupposti “per essere a partire dalla loro idealità spirito reale per sé infinito”»
(K, p. 46).
“Traducendo” questa frase «in prosa» (K, p. 44), Marx spiega che in realtà famiglia e
società civile «svolgono se stesse a Stato. Esse sono la forza attiva [das Treibende].
[…] Lo Stato politico non può essere senza la base naturale della famiglia e la base
artificiale della società civile; esse sono per lo Stato una conditio sine qua non»
109
Cfr. G.W.F. HEGEL, Scienza della logica, cit., II, pp. 575-580 («Il rapporto del tutto e delle parti»).
G.W.F. HEGEL, Lineamenti di filosofia del diritto, cit., p. 203. Per una lettura di questo paragrafo che ne metta in
luce le premesse teologiche e cristologiche e la conseguente critica feuerbachiana di Marx, si veda G. MARINI, Tra due
secolarizzazioni: il «mistero della filosofia hegeliana» e la critica di Marx al § 262 della «Filosofia del diritto», in
L. LOMBARDI VALLAURI-G. DILCHER (a cura di), Cristianesimo, secolarizzazione e diritto moderno, Milano,
1981, pp. 369-405, secondo il quale «la mediazione dell’idea è la versione secolarizzata della provvidenza divina; le
circostanze, l’arbitrio, la scelta personale della destinazione, sono la versione secolarizzata del libero arbitrio di cui
parla la teologia cristiana; e in questa coesistenza di piani si ripropongono i problemi della coesistenza di provvidenza
divina e libero arbitrio», ibid., p. 285.
110
63
(K, p. 46), ovvero, è lo Stato che emerge da famiglia e società civile «in un modo
inconsapevole e arbitrario. Famiglia e società civile appaiono come l’oscuro
fondamento naturale, da cui si accende la luce dello Stato» (K, p. 44). Che cosa è
successo? Come e perché possiamo trovarci di fronte a questa opposizione di
“interpretazioni”? Come è arrivato Hegel a “questo” Stato? Per il semplice fatto che
nel procedimento hegeliano
«la cosiddetta “idea reale” (lo spirito come infinito, reale) viene […] rappresentata
come se agisse secondo un principio determinato e per uno scopo determinato. Essa si
scinde in sfere finite, fa questo, “per ritornare in sé, per essere per sé” e fa ciò
precisamente “così che” ciò è proprio come è realmente. […] È [infatti] lo Stato che si
scinde in esse [famiglia e società civile], che le presuppone, e precisamente fa questo
“per essere a partire dalla idealità di quelle spirito reale per sé infinito”. “Esso si scinde,
per”. Esso “distribuisce con ciò a queste sfere il materiale della sua realtà, così che
questa assegnazione etc. appare mediata”» (ibid.).
13.2.4. Capovolgimento di soggetto e predicato
In questo modo di procedere mistificante,
«il vero cammino viene rovesciato [auf dem Kopf gestellt]. Il più semplice è il più
intricato e il più intricato è il più semplice. Ciò che doveva essere punto di partenza
diviene risultato mistico, e ciò che doveva essere risultato razionale diviene mistico
punto di partenza» (K, p. 94).
«L’idea viene soggettivata e la relazione reale allo Stato di famiglia e società civile è
concepita come sua interiore, immaginaria attività. Famiglia e società civile sono i
presupposti dello Stato; essi sono gli attivi veri e propri; ma nella speculazione ciò viene
capovolto. Ma se l’idea viene soggettivata, qui i reali soggetti, società civile, famiglia,
“circostanze, arbitrio etc.” si trasformano in irreali, significanti altro [della Volpe
traduce “allegorici”], oggettivi momenti dell’idea» (K, p. 45).
Ci troviamo qui di fronte al famoso «rovesciamento di soggetto e predicato»
(K, p. 51), «all’inversione del soggettivo nell’oggettivo e dell’oggettivo nel
soggettivo»111, al capovolgimento, criticato già da Feuerbach e che attraversa tutta la
Kritik 112 , del predicato (in questo caso, l’idea della realtà etica, dello Stato) in
soggetto e del vero soggetto (la famiglia e la società civile) in predicato del proprio
predicato, operazione in cui «la condizione viene posta come il condizionato, il
«Inversione che […] dipende dal fatto che Hegel vuole scrivere la storia della vita dell’astratta sostanza, dell’idea,
dal fatto che […] l’attività umana etc. deve apparire come attività e risultato di un altro, dal fatto che Hegel vuol far
agire l’essenza dell’uomo per sé, come una immaginaria singolarità, invece che nella sua reale, umana esistenza»
(K, p. 93).
112
Eccone solo alcuni esempi: «È importante che Hegel ovunque faccia dell’idea il soggetto e del soggetto vero e
proprio, reale, come il “sentimento politico”, il predicato» (K, p. 49). «Egli [Hegel] ha fatto di ciò che è il soggetto di
quella [la costituzione politica] un prodotto, un predicato dell’idea [di organismo]» (K, p. 54). «Ma proprio perché si è
partiti [nella determinazione del fine dello Stato] dall’“idea” o dalla “sostanza” quale il soggetto, quale l’essenza reale,
il soggetto reale appare solo come ultimo predicato del predicato astratto» (K, p. 58). «Il soggetto è la cosa [la proprietà
fondiaria] e il predicato l’uomo. La volontà diviene la proprietà della proprietà» (K, p. 204).
111
64
determinante come il determinato, il producente come il prodotto del suo prodotto»
(K, p. 46).
13.2.5. Ipostatizzazione del predicato
Il primo momento di questa logica aprioristica e surrettizia consiste nella
ipostatizzazione del predicato, il quale, sganciato e reso autonomo, per un atto di
astrazione arbitrario, dal suo autentico subjectum, υποχείμενον, si ritrova ad essere il
mistico soggetto e conseguentemente il vero soggetto è ridotto a mero «momento
della mistica sostanza».
«Invece di concepire queste [soggettività e personalità] soltanto come predicati dei
loro soggetti, Hegel rende autonomi i predicati e li lascia successivamente tramutarsi in
un modo mistico nei loro soggetti. L’esistenza dei predicati è il soggetto: quindi il
soggetto è l’esistenza della soggettività etc. Hegel rende autonomi i predicati, gli
oggetti, ma li rende autonomi avendoli separati dalla loro autonomia reale, dal loro
soggetto. Poi il reale soggetto appare allora come risultato, mentre si deve partire dal
reale soggetto e considerare la sua oggettivazione. La mistica sostanza diventa quindi
soggetto reale e il reale soggetto appare come un altro, come un momento della mistica
sostanza. Proprio perché Hegel muove dai predicati della determinazione universale
invece che dall’Ens reale (υποχείμενον, soggetto) e pure deve esserci un soggetto
portatore [Träger] di questa determinazione, la mistica idea diviene questo portatore»
(K, pp. 70-71).
13.2.6. Trasfigurazione del reale
Per chi segue questo modo di procedere, tutto è “logicizzabile”, ovvero, per il
semplice fatto che al reale vengono sottratte, tramite l’astrazione speculativa, quelle
caratteristiche concrete e determinate, “specifiche” e non “generiche”, che lo
costituiscono in particolare, tutto può essere considerato come un “momento” dello
sviluppo di una particolare idea, come suo momento “concreto”.
«Il contenuto concreto, la determinazione reale appare come formale; la
determinazione formale interamente astratta appare come il contenuto concreto.
L’essenza delle determinazioni statali non è che esse sono determinazioni statali, ma che
nella loro forma più astratta possono essere trattate come determinazioni logicometafisiche. Non la Filosofia del diritto, ma la Logica è il vero interesse. Il lavoro
filosofico non è che il pensiero si fa corpo in determinazioni politiche, ma che le
determinazioni politiche esistenti si volatilizzano in pensieri astratti. Non la logica della
cosa, ma la cosa della logica è il fattore [Moment] filosofico. La logica non serve a
prova dello Stato, ma lo Stato serve a prova della logica»113.
113
K, p. 58. E ancora: «[la] relazione reale viene espressa dalla speculazione come manifestazione, come fenomeno.
Queste circostanze, questo arbitrio, questa scelta della determinazione, questa mediazione reale sono solamente la
manifestazione di una mediazione, che l’idea reale intraprende con se stessa, e che accade dietro il sipario. La realtà non
viene espressa come se stessa, ma come un altra realtà. L’ordinaria empiria ha a legge [zum Gesetz] non il suo proprio
65
Nelle Grundlinien ci troviamo quindi di fronte solo a «un capitolo della Logica»
(K, p. 59), o meglio, visto che «l’essenza appartiene alla Logica ed è compiuta
[fertig] prima della Filosofia del diritto, […] l’intera Filosofia del diritto è solo
parentesi rispetto a Logica. [E] la parentesi è, come si comprende da sé, solo hors
d’oeuvre dello sviluppo vero e proprio»114. Infatti il passaggio dalla famiglia e società
civile allo Stato non è derivato
«dall’essenza particolare della famiglia etc. e dall’essenza particolare dello Stato, ma
dal rapporto universale di necessità e libertà. È completamente il medesimo passaggio,
che nella Logica viene attuato dalla sfera dell’essenza nella sfera del concetto. Lo stesso
passaggio viene compiuto nella Filosofia della natura dalla natura inorganica nella vita.
Sono sempre le stesse categorie, che prestano il principio animatore ora per questa ora
per quella sfera. Interessa unicamente ciò, trovare per le singole determinazioni concrete
le corrispondenti astratte» (K, pp. 48-49).
In altri termini, l’unico interesse di Hegel è di ritrovare
«l’“idea” tout court [schlechthin], l’“idea logica” in ogni elemento, sia esso dello
Stato, sia esso della natura, e i soggetti reali […] diventano i loro meri nomi, così che è
presente solo l’apparenza di un investigare reale; i soggetti reali rimangono unicamente
delle determinazioni non concepite concettualmente, perché non concepite nella loro
essenza specifica» (K, p. 51).
13.2.7. Positivismo acritico
Contemporaneamente e conseguentemente a questo capovolgimento, Marx rileva un
altro «difetto fondamentale dello svolgimento» (K, p. 73), «un’altra conseguenza di
questa speculazione mistica» (K, p. 93), la peggiore pecca del metodo hegeliano,
quello che gli permette di essere strumento di santificazione della realtà ordinaria:
l’interpolazione (Unterschiebung) surrettizia e arbitraria della realtà esistente nel
processo di formazione e di sviluppo dell’idea, tramite un continuo «rovesciarsi di
empiria in speculazione e di speculazione in empiria» (ibid.). Il risultato di questo
processo di mistificazione è che «un’esistenza empirica viene assunta in maniera
acritica come la reale verità dell’idea; perché [qui] non si tratta di portare l’empirica
esistenza alla sua verità ma di portare la verità ad una empirica esistenza e allora
l’esistenza più immediata viene sviluppata come un reale momento dell’idea» (ibid.),
come contenuto razionale e adeguato, «incarnazione»115 dell’idea.
spirito, ma uno estraneo, laddove l’idea reale ha ad esistenza [zum Dasein] non una realtà sviluppata a partire da se
stessa, ma l’ordinaria empiria» (K, p. 45).
114
Ibid. «L’importanza eccezionale della Critica del diritto statuale hegeliano […] risiede nel fatto che essa […] è una
critica radicale della Logica, oltre che della Filosofia del diritto, ed è soprattutto una critica radicale per la sua
fondazione su motivi di tipo inconsueto alla critica “sinistro-hegeliana” dell’idealismo». G. della Volpe, Marx e lo Stato
moderno rappresentativo. Un saggio della critica marxiana della dialettica mistificata (1947), in Id., Umanesimo
positivo e emancipazione marxista, Milano, 1964, SugarCo, p. 27.
115
«A Hegel importa di fare questo, presentare il monarca come il reale Dio fatto uomo, come la reale incarnazione
dell’idea» (K, p. 71). Nel monarca, quindi, «un’esistenza particolare, empirica, una singola esistenza empirica a
66
«La realtà empirica pertanto è assunta come essa è; essa è anche espressa come razionale,
però non è razionale a motivo della sua ragione specifica ma in quanto il fatto empirico ha
nella sua empirica esistenza un significato altro che se stesso. Il fatto, da cui si parte, non è
concepito in quanto tale, ma come risultato mistico. Il reale diventa fenomeno, ma l’idea non
ha nessun altro contenuto che questo fenomeno. L’idea non ha anche nessun altro scopo che
quello logico: “di essere spirito reale per sé infinito”» (K, p. 47).
13.2.8. Astrazione mistificante
Si verifica, cioè, tramite un processo di astrazione mistificante, un passaggio dalla
realtà fattuale alla speculazione per cui la realtà empirica, privata delle sue
caratteristiche concrete diviene puro pensiero.
«La realtà fattuale è che lo Stato scaturisca dalla moltitudine così come essa esiste in
quanto membri delle famiglie e membri della società civile; la speculazione esprime
questa realtà fattuale come azione dell’idea, non come l’idea della moltitudine, ma come
azione di un’idea soggettiva, separata dalla realtà fattuale stessa» (ibid.).
Quindi, tornando al giusto rapporto di fondazione o di condizionalità tra famiglia e
società civile da una parte e Stato dall’altra, possiamo adesso scorgere nel
procedimento hegeliano che le circostanze casuali, l’arbitrio e la scelta della propria
determinazione attraverso cui secondo la veduta parziale e particolare del singolo gli
viene assegnato il materiale dello Stato, tutte queste cose vengono direttamente
espresse da Hegel
«non come il vero, il necessario, il giustificato in sé e per sé; non vengono fatte
passare in quanto tali per il razionale; ma pure d’altro lato esse diventano nuovamente il
razionale, solo in modo tale che vengono spacciate per una mediazione apparente, in
modo tale che vengono lasciate come sono, ma al tempo stesso ricevono il significato di
una determinazione dell’idea, di un risultato, di un prodotto dell’idea. La differenza non
sta nel contenuto, ma nel modo di considerare, o nel modo di dire. È una doppia storia,
una esoterica e una essoterica. Il contenuto risiede nella parte essoterica. L’interesse
della parte esoterica è sempre quello di ritrovare nello Stato la storia del concetto logico.
Ma è dal lato essoterico che procede lo sviluppo vero e proprio» (K, p. 45).
13.2.9. L’interpolazione (Unterschiebung) surrettizia e arbitraria della
realtà esistente nel processo di formazione e di sviluppo dell’idea
Questo particolare modo di mistificazione per cui dopo aver trasfigurato l’empiria in
speculazione, avendo astratto da questo dato empirico ogni caratteristica concreta e
specifica, si deve tornare necessariamente 116 alla empiria, per offrire una
differenza dalle altre è concepita come l’esistenza dell’idea. Di nuovo, fa una profonda impressione mistica il vedere
una particolare esistenza empirica posta dalla idea e così incontrare ad ogni grado un farsi uomo di Dio» (K, pp. 93-94).
116
«Hegel è costretto a scambiare effettivamente la speculazione in empiria, proprio per aver scambiato l’empiria in
speculazione. Cioè: proprio per aver fatto del “subbietto reale”, o “ente reale (ypokeimenon)”, o “determinante reale”,
ch’è, qui, la “società [Sozietät]”, il “momento” o “predicato” di una “mistica sostanza”, cioè del “subbietto” destinato a
esser “predicato” (l’Idea, lo Stato), Hegel è costretto a trovare effettivamente il “contenuto”, lo “sviluppo”, dalla parte
67
concretizzazione e una vita sanguigna a questo puro pensiero e quindi giustificare e
santificare tale realtà come incarnazione dell’idea, lo ritroviamo all’opera nella
deduzione del monarca ereditario, a cui Hegel dedica i §§ 275-286 delle Grundlinien,
la cui critica costituì se non nell’esecuzione, almeno nell’idea, il primo nocciolo della
Kritik.
Per delineare speculativamente la monarchia ereditaria, Hegel non si rinchiude nella
«Santa Casa (della Logica)» (K, p. 54), ma si guarda intorno e “distorce”
metafisicamente la realtà in cui e di cui vive, facendo di una persona, il monarca, la
massima realizzazione della volontà. Ma Hegel non parte da un monarca qualsiasi,
qui si tratta di un particolare e determinato tipo sovrano, il quale, pour cause, si
ritrova ad essere «la “sovranità personificata”, la “sovranità divenuta uomo”»
(K, p. 75). Come procede infatti Hegel?
«Di tutti gli attributi del monarca costituzionale nell’Europa odierna Hegel fa delle
autodeterminazioni assolute della volontà. Egli non dice: La volontà del monarca è la
decisione ultima, ma La decisione ultima della volontà è - il monarca: la prima frase è
empirica. La seconda distorce il fatto empirico in un assioma metafisico» (K, p. 73).
Per Hegel quindi il monarca è
«la coscienza dello Stato fatta corpo fisico, per cui quindi tutti gli altri sono esclusi da
questa sovranità e dalla personalità e dalla coscienza dello Stato, ma al tempo stesso
Hegel non sa dare a questa “Souveraineté Persone” alcun altro contenuto che l’“Io
voglio”, il momento dell’arbitrio nella volontà. La “ragione dello Stato”, e la “coscienza
dello Stato” è un’“unica”, empirica persona con esclusione di tutte le altre, ma questa
ragione personificata non ha altro contenuto che l’astrazione dell’“Io voglio”. L’Etat
c’est moi» (K, p. 75).
«Invece di essere dunque lo Stato prodotto come la più alta realtà della persona, come la
più alta realtà sociale dell’uomo, un unico uomo empirico, la persona empirica viene
prodotta come la più alta realtà dello Stato» (K, p. 93).
Non solo questo. Hegel suppone e pretende anche di aver dimostrato che
«la soggettività dello Stato, la sovranità è “essenzialmente” il monarca, “in quanto
questo individuo, astratto da ogni altro contenuto, e questo individuo determinato a
dignità di monarca in modo immediato, naturale, dalla nascita naturale”. La sovranità,
la dignità monarchica nascerebbe dunque. Il corpo del monarca determinerebbe la sua
del predicato “mistificato”, vale a dire, dell’ex-“subbietto reale”; è costretto a realizzare lo sviluppo, il progresso, con
dei “motivi del tutto empirici, cioè motivi empirici molto astratti, molto cattivi”, che si riassumono, nella fattispecie,
nella realtà e concezione volgare della “società civile”, come società “borghese”, classista». G. della Volpe, Marx e lo
Stato moderno rappresentativo. Un saggio della critica marxiana della dialettica mistificata (1947), in Id., Umanesimo
positivo e emancipazione marxista, cit., p. 27.
68
dignità. Al culmine dello Stato dunque, invece della ragione, deciderebbe la mera
Physis. La nascita determinerebbe la qualità del monarca, come determina la qualità del
bestiame. Hegel ha dimostrato che il monarca deve nascere, cosa di cui nessuno dubita;
ma egli non ha dimostrato che la nascita trasforma in monarca. La nascita dell’uomo a
monarca si lascia tradurre in una verità metafisica tanto poco quanto l’immacolata
concezione di Maria Madre»117.
Ma solo «nella sua sommità lo Stato esprime il suo segreto» (K, p. 95). L’ereditarietà
del sovrano risulta dal concetto del sovrano.
«Egli deve essere la persona specificatamente distinta dall’intero genere, da tutte le
altre persone. Ora qual è l’estrema, salda differenza di una persona da tutte le altre? Il
corpo. La più alta funzione del corpo è l’attività sessuale. Il più elevato atto
costituzionale del re è quindi la sua attività sessuale, poiché per mezzo di essa egli fa un
re e perpetua il suo corpo. Il corpo di suo figlio è la riproduzione del suo proprio corpo,
la creazione di un corpo reale [königlichen Leibes]» (ibid.).
In conclusione: ««I due momenti [del potere sovrano] sono: la casualità del volere,
l’arbitrio, e la casualità della natura, la nascita, dunque Sua Maestà il Caso. Il caso è
pertanto l’unità reale dello Stato» (K, p. 87). Hegel cioè non ha fatto altro che
dimostrare «come assolutamente razionale l’irrazionale» (K, p. 85), senza aver
dimostrato e dedotto razionalmente di fatto un bel niente, perché il «mezzo [di cui si
serve] è l’assoluto volere e la parola del filosofo; lo scopo particolare è nuovamente
lo scopo del soggetto filosofante, di costruire dalla pura idea il monarca ereditario.
La realizzazione dello scopo consiste nella [sua] semplice assicurazione» (K, p. 87) e
in ciò si rivela appunto «l’intera non-critica della [sua] Filosofia del diritto»
(K, p. 90).
K, p. 84. Al riguardo osserva ironicamente Marx: «È molto comune che l’uomo sia nato; e che questa esistenza posta
attraverso la nascita fisica si sviluppi a uomo sociale etc. e, più in alto, fino al cittadino dello Stato; attraverso la nascita
l’uomo diviene tutto ciò che diviene. Ma è cosa molto profonda, è frappant che l’idea dello Stato nasca
immediatamente, che abbia partorito se stessa all’esistenza empirica nella nascita del sovrano. In questo modo non è
conseguito alcun contenuto, ma è solo modificata la forma del vecchio contenuto. Questo ha ottenuto una forma
filosofica, un attestato filosofico» (K, p. 93).
117
69
13.3. La Sacra famiglia (1844)
Da K. MARX – F. ENGELS, La sacra famiglia ovvero critica della
critica critica. Contro Bruno Bauer e soci (1844). Cap. V. § 2. Il mistero
della costruzione speculativa
L’intento di Marx, in queste semplici e gustose pagine, è di «caratterizzare in
generale la costruzione speculativa», di svelare «il mistero della costruzione
speculativa, della costruzione hegeliana» (SF, p. 62).
13.3.1. Astrazione speculativa e mistificante
«Se io, dalle mele, pere, fragole, mandorle, reali, mi formo la rappresentazione
generale “frutto”, se vado oltre e immagino che “il frutto”, la mia rappresentazione
astratta, ricavata dalle frutta reali, sia un’essenza esistente fuori di me, sia anzi
l’essenza vera della pera, della mela, ecc., io dichiaro – con espressione speculativa
– che “il frutto” è la “sostanza” della pera, della mela, della mandorla, ecc. io dico
quindi che per la pera non è essenziale essere pera, che per la mela non è essenziale
essere mela. L’essenziale, in queste cose, non sarebbe la loro esistenza reale,
sensibilmente intuibile, ma l’essenza che io ho astratto da esse 118 e ad esse ho
attribuito, l’essenza della mia rappresentazione “il frutto”. Io dichiaro allora, che la
mela, pera, mandorla, ecc. sono semplici modi di esistenza, modi “del frutto”. Il mio
intelletto finito, sorretto dai sensi, distingue certamente una mela da una pera e una
pera da una mandorla, ma la mia ragione speculativa dichiara questa diversità
sensibile inessenziale e indifferente. Essa vede nella mela la stessa cosa che nella
pera, e nella pera la stessa cosa che nella mandorla, cioè “il frutto”. Le particolari
frutta reali non valgono più che come frutta parventi, la cui vera essenza è “la
sostanza”, “il frutto”» (SF, p. 62).
13.3.2. Capovolgimento di soggetto e predicato
«Se la mela, la pera, la mandorla, la fragola non sono in verità altro che “la sostanza”,
“il frutto”, ci si chiede come avviene che “il frutto” mi si presenti ora come mela, ora
come pera, ora come mandorla; ci si chiede donde venga questa parvenza della
molteplicità che contraddice così evidentemente la mia intuizione speculativa
dell’unità, “della sostanza”, “del frutto”.
«C’è forse da meravigliarsi se ogni cosa, in ultima astrazione, poiché di astrazione si tratta e non di analisi, si
presenta come categoria logica? C’è da meravigliarsi forse se, eliminando a poco a poco tutto ciò che costituisce
l’individualità di una cosa, facendo astrazione dai materiali di cui essa si compone, dalla forma che la distingue, voi
arrivate a non avere più che un corpo; se, facendo astrazione dai contorni di questo corpo, ben presto, non avrete più che
uno spazio; e se facendo infine astrazione dalle dimensioni di questo spazio, finirete per non avere più che la quantità in
sé, la categoria logica? A forza di astrarre in questo modo, da ogni soggetto, da tutti i pretesi accidenti, animati o
inanimati, uomini o cose, abbiamo certo ragione di dire che, in ultima astrazione, si arriva ad avere come sostanza
soltanto le categorie logiche». K. MARX, Miseria della filosofia, cit., p. 66.
118
70
Questo avviene, risponde il filosofo speculativo, perché “il frutto” non è
un’essenza morta, indistinta, immobile, ma un’essenza vivente, autodistinguentesi,
in moto. La diversità delle frutta profane ha senso non solo per il mio intelletto
sensibile, ma anche per “il frutto” stesso, per la ragione speculativa. Le diverse frutta
profane sono estrinsecazioni vitali diverse dell’“unico frutto”, sono cristallizzazioni
che “il frutto” stesso forma. Così, per esempio nella mela “il frutto” si dà un’esistenza
di mela, nella pera un’esistenza di pera. Non si è costretti dunque a dire più, come dal
punto di vista della sostanza: la pera è “il frutto”, la mela è “il frutto”, la mandorla è
“il frutto”, ma invece “il frutto” si pone come pera, “il frutto” si pone come mela, “il
frutto” si pone come mandorla, e le distinzioni che separano l’una dall’altra, mela,
pera, mandorla, sono precisamente le autodistinzioni “del frutto”, e fanno delle
frutta particolari appunto membri distinti nel processo vitale “del frutto”» (SF, p. 63).
13.3.3 Ipostatizzazione del predicato
«Questa operazione si chiama con espressione speculativa: concepire la sostanza
come soggetto, come processo interno, come persona assoluta, e questo concepire
forma il carattere essenziale del metodo hegeliano» (SF, p. 65).
13.3.4. Positivismo acritico
«Quindi, ciò che è bello nella speculazione è ritrovarvi tutte le frutta reali, ma come
frutta che hanno un significato mistico più alto, e che, cresciute dall’etere del tuo
cervello e non dal suolo materiale, sono le incarnazioni “del frutto”, del soggetto
assoluto. Se dunque, dall’astrazione, dall’essenza intellettuale soprannaturale
“il frutto”, ritorni alle frutta reali naturali, tu dài un significato soprannaturale
anche alle frutta naturali, e le trasformi in palesi astrazioni» (SF, p. 64).
13.3.5. Trasfigurazione del reale
«Il valore delle frutta profane non sta dunque più nelle loro proprietà naturali, ma
nella loro proprietà speculativa, grazie alla quale occupano un posto determinato nel
processo vitale “del frutto assoluto”.
L’uomo comune non crede di dire niente di straordinario quando dice che ci sono
mele e pere. Ma il filosofo, quando esprime queste esistenze in modo speculativo, ha
detto qualche cosa di straordinario. Egli ha compiuto un miracolo, ha prodotto,
dall’essere intellettuale irreale “il frutto”, gli esseri naturali reali, la mela, la pera,
ecc.; cioè, dal suo proprio intelletto astratto, che egli si rappresenta come un soggetto
assoluto esistente fuori di sé, che egli si rappresenta qui come “il frutto”, ha creato
queste frutta, ed in ogni esistenza che esprime, egli compie un atto creativo»
(SF, p. 64).
71
13.3.6. Valore conoscitivo e funzione ideologica della mistificazione
Hegel «con maestria sofistica, sa presentare come processo dell’essenza intellettuale
immaginaria, del soggetto assoluto, il processo attraverso il quale il filosofo, per
mezzo dell’intuizione sensibile e della rappresentazione, passa da un oggetto all’altro.
Hegel, poi, dà molto spesso, entro l’esposizione speculativa, un’esposizione reale,
che coglie la cosa stessa. Questo sviluppo reale entro lo sviluppo speculativo seduce
il lettore e lo induce a considerare reale lo sviluppo speculativo e speculativo lo
sviluppo reale» (SF, p. 65).
13.4. Poscritto alla seconda edizione tedesca de Il capitale del 1873
«Per il suo fondamento, il mio metodo dialettico, non solo è differente da
quello hegeliano, ma ne è anche direttamente l’opposto. Per Hegel il processo
del pensiero, che egli, col nome di Idea, trasforma addirittura in soggetto
indipendente, è il demiurgo del reale, mentre il reale non è che il fenomeno esterno
del processo del pensiero. Per me, viceversa, l’elemento ideale non è altro che
l’elemento materiale trasferito e tradotto nel cervello degli uomini.
Ho criticato il lato mistificatore della dialettica hegeliana quasi trent’anni fa
[1873-29/30=1843-1844, cioè nella Critica del diritto statuale hegeliano e nei
Manoscritti economico-filosofici]119, quando era ancora la moda del giorno. Ma
proprio mentre elaboravo il primo volume del Capitale i molesti, presuntuosi e
mediocri epigoni che ora dominano nella Germania colta si compiacevano di
trattare Hegel come ai tempi di Lessing il bravo Moses Mendelssohn trattava lo
Spinoza: come un “cane morto”. Perciò mi sono professato apertamente scolaro di
quel grande pensatore, e ho perfino civettato qua e là, nel capitolo sulla teoria del
valore, col modo di esprimersi che gli era peculiare. La mistificazione alla quale
soggiace la dialettica nelle mani di Hegel non toglie in nessun modo che egli sia
stato il primo ad esporre ampiamente e consapevolmente le forme generali del
movimento della dialettica stessa. In lui essa è capovolta. Bisogna rovesciarla
per scoprire il nocciolo razionale entro il guscio mistico.
Nella sua forma mistificata [Hegel], la dialettica divenne una moda tedesca,
perché sembrava trasfigurare lo stato di cose esistente. Nella sua forma razionale
[Marx], la dialettica è scandalo e orrore per la borghesia e per i suoi corifei
dottrinari, perché nella comprensione positiva dello stato di cose esistente
include simultaneamente anche la comprensione della negazione di esso, la
comprensione del suo necessario tramonto, perché concepisce ogni forma
divenuta nel fluire del movimento, quindi anche dal suo lato transeunte,
perché nulla la può intimidire ed essa è critica e rivoluzionaria per essenza»
(C, I, pp. 44-45).
119
Come si può vedere il confronto con il maestro, con Hegel, lo ha impegnato ed occupato per tutta la sua vita, dalla
Lettera al padre del 1837 fino a questo Poscritto del 1873. Anche per Marx vale ciò che Nietzsche dice di Strauss: «Chi
[…] si è ammalato una volta di hegelismo […] non guarirà mai del tutto». F. NIETZSCHE, Prima considerazione
inattuale. David Strass. L’uomo di fede e lo scrittore. § 6.
72
14. La critica di Marx a Feuerbach
14.1. Ideologia tedesca (1845)
Ponendo la sensibilità e l’intuizione sensibile alla base della vita e della conoscenza
umana, Feuerbach si limita a intuire e a cogliere il mondo reale (e percepibile), «in
realtà per il materialista pratico, cioè per il comunista, si tratta di rivoluzionare il
mondo esistente, di metter mano allo stato di cose incontrato e trasformarlo»
(IT, p. 15).
«La concezione feuerbachiana del mondo sensibile si limita da una parte alla
semplice intuizione di esso, e dall’altra parte alla pura sensazione; egli dice
“l’uomo” anziché gli “uomini storici reali”. “L’uomo” è realiter “il tedesco”»
(IT, p. 15).
Feuerbach «non vede come il mondo sensibile che lo circonda sia non una cosa data
immediatamente dall’eternità, sempre uguale a se stessa, bensì il prodotto
dell’industria e delle condizioni sociali; e precisamente nel senso che è un prodotto
storico, il risultato dell’attività di tutta una serie di generazioni, ciascuna delle
quali si è appoggiata sulle spalle della precedente, ne ha ulteriormente perfezionato
l’industria e le relazioni e ne ha modificato l’ordinamento sociale in base ai mutati
bisogni» (IT, p. 16).
«Di fronte ai materialisti “puri” Feuerbach ha certo il grande vantaggio di intendere
come anche l’uomo sia “oggetto sensibile”; ma a parte il fatto che lo concepisce
soltanto come “oggetto sensibile” e non come “attività sensibile”, poiché anche qui
egli resta sul terreno della teoria, e non concepisce gli uomini nella loro
connessione sociale, nelle loro presenti condizioni di vita, che hanno fatto di loro ciò
che sono, egli non arriva agli uomini realmente esistenti e operanti ma resta
fermo all’astrazione “l’uomo”, e riesce a riconoscere solo nella sensazione
l’“uomo reale, individuale, in carne e ossa”, il che significa che non conosce altri
“rapporti umani” “dell’uomo con l’uomo” se non come l’amore e l’amicizia, e per di
più idealizzati. Egli non offre alcuna critica dei rapporti attuali della vita. Non
giunge mai, quindi, a concepire il mondo sensibile come l’insieme dell’attività
sensibile vivente che lo formano, e perciò se in luogo di uomini sani, per esempio,
vede una massa di affamati scrofolosi, sfiniti e tisici, è costretto a rifugiarsi nella “più
alta intuizione” e nell’ideale “compensazione nella specie”, e dunque è costretto a
ricadere nell’idealismo proprio là dove il materialista comunista vede la necessità
e insieme la condizione di una trasformazione tanto dell’industria quanto della
struttura sociale.
Fin tanto che Feuerbach è materialista, per lui la storia non appare, e fin tanto che
prende in considerazione la storia, non è un materialista. Materialismo e storia per
lui sono del tutto divergenti» (IT, pp. 17-18).
73
14.2. Le Tesi su Feuerbach (1845)
Questo testo tanto breve quanto denso fu scritto da Marx nel marzo del 1845. Rimase
tuttavia a lungo inedito finché non fu pubblicato nella Neue Zeit (1886) da Engels che
lo riprodusse in appendice al suo Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della
filosofia classica tedesca (1888).
Da K. MARX-F. ENGELS, Opere. Vol. V: 1845-1846, a cura di Fausto Codino,
Roma, Editori Riuniti, 1972, pp. 3-5.
I
«Il difetto principale di ogni materialismo fino ad oggi (compreso quello di
Feuerbach) è che l’oggetto [Gegenstand], la realtà, la sensibilità, vengono concepiti
solo sotto la forma dell’obietto [Objekt] o dell’intuizione; ma non come attività
sensibile umana, prassi; non soggettivamente. Di conseguenza il lato attivo fu
sviluppato astrattamente, in opposizione al materialismo, dall’idealismo, ― che
naturalmente non conosce l’attività reale, sensibile in quanto tale. ― Feuerbach
vuole oggetti sensibili realmente distinti dagli oggetti del pensiero; ma egli non
concepisce l’attività umana stessa come attività oggettiva. Egli, perciò, nell’“Essenza
del cristianesimo”, considera come veramente umano soltanto l’atteggiamento
teoretico, mentre la prassi è concepita e fissata solo nel suo modo di apparire
sordidamente giudaico. Egli non comprende, perciò, il significato dell’attività
“rivoluzionaria”, “pratico-critica”».
II
«La questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva, non è questione
teoretica bensì una questione pratica. Nella prassi l’uomo deve provare la verità,
cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero. La disputa sulla
realtà o non-realtà del pensiero – isolato dalla prassi - è una questione meramente
scolastica».
III
«La dottrina materialistica della modificazione delle circostanze e dell’educazione
dimentica che le circostanze sono modificate dagli uomini e che l’educatore stesso
deve essere educato. Essa è costretta quindi a separare la società in due parti, delle
quali l’una è sollevata al di sopra della società.
La coincidenza del variare delle circostanze dell’attività umana, o autotrasformazione, può essere concepita o compresa razionalmente solo come prassi
rivoluzionaria».
74
IV
«Feuerbach prende le mosse dal fatto dell’auto-estraniazione religiosa, della
duplicazione del mondo in un mondo religioso e in uno mondano. Il suo lavoro
consiste nel risolvere il mondo religioso nel suo fondamento mondano. Ma il
fatto che il fondamento mondano si distacchi da se stesso e si costruisca nelle
nuvole come un regno fisso ed indipendente, è da spiegarsi soltanto con l’autodissociazione e con l’auto-contraddittorietà di questo fondamento mondano. Questo
fondamento deve essere perciò in se stesso tanto compreso nella sua contraddizione,
quanto rivoluzionato praticamente. Pertanto, dopo che, per esempio, la famiglia
terrena è stata scoperta come il segreto della sacra famiglia, è proprio la prima a
dover esser dissolta teoricamente e praticamente».
V
«Feuerbach, non soddisfatto del pensiero astratto, vuole l’intuizione; ma egli non
concepisce la sensibilità come attività pratica umana-sensibile».
VI
«Feuerbach risolve l’essenza religiosa nell’essenza umana. Ma l’essenza umana
non è qualcosa di astratto che sia immanente all’individuo singolo. Nella sua realtà
essa è l’insieme dei rapporti sociali.
Feuerbach, che non penetra nella critica di questa essenza reale, è perciò costretto:
1. ad astrarre dal corso della storia, a fissare il sentimento religioso per sé, ed a
presupporre un individuo umano astratto – isolato.
2. L’essenza può dunque esser concepita soltanto come “genere”, cioè come
universalità interna, muta, che leghi molti individui naturalmente».
VII
«Feuerbach non vede dunque che il “sentimento religioso” è esso stesso un
prodotto sociale e che l’individuo astratto, che egli analizza, appartiene ad una
forma sociale determinata».
VIII
«Tutta la vita sociale è essenzialmente pratica. Tutti i misteri che trascinano la
teoria verso il misticismo trovano la loro soluzione razionale nella prassi umana e
nella comprensione di questa prassi».
75
IX
«Il punto più alto cui giunge il materialismo intuitivo, cioè il materialismo che non
intende la sensibilità come attività pratica, è l’intuizione degli individui singoli e della
società borghese».
X
«Il punto di vista del vecchio materialismo è la società borghese, il punto di vista
del materialismo nuovo è la società umana o l’umanità sociale».
XI
«I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo; si tratta
però di trasformarlo».
76
15. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE (consigliata)
Credo che sia quasi superfluo ribadire che la presente bibliografia è stata pensata
(e viene proposta) semplicemente in vista di un primo (possibile ed eventuale)
approfondimento critico personale delle tematiche principali che sono emerse durante
gli “incontri frontali”. NON è assolutamente la bibliografia necessaria per la
preparazione al colloquio d’esame, il quale verterà principalmente sui Manoscritti del
1844 di Marx (o su altri eventuali percorsi di studio individuali concordati con il
docente).
I titoli con asterisco (*) sono quelli ai quali, a mio avviso, si dovrebbe dare la
precedenza.
15.1. Introduzioni al pensiero di Marx
* CESARE PIANCIOLA (a cura di), Il pensiero di Karl Marx. Una antologia dagli
scritti, Torino, Loescher Editore, (Classici della filosofia), 1971 (11 a ristampa
1989), pp. LV-337.
DAVID McLELLAN, Il pensiero di Karl Marx, trad. it. di Maria Grazia Boffito,
Torino, Einaudi, 1975, pp. VIII-288.
ID., Karl Marx. Vita e pensiero, trad. it. di Robert Long, Milano, Rizzoli, 1976,
pp. 547.
*GIUSEPPE BEDESCHI, Introduzione a Marx, Roma-Bari, Editori Laterza,
(I filosofi, n. 32), 19976 (1a ediz. 1981), pp. 303.
OSSIP KURT FLECHTHEIM - HANS-MARTIN LOHMANN, Karl Marx,
traduzione e cura di Giovanni Sgro’, Massari Editore, (Il pensiero forte), Bolsena
(VT), 2005, pp. 192 (in corso di stampa).
15.2. Biografie
FRANZ MEHRING, Vita di Marx [1918], trad. it. di Fausto Codino e Mario
Alighiero Manacorda, con prefazione di Ernesto Ragionieri, Roma, Editori Riuniti,
19722 (1a ediz. 1955), pp. XLIII-557.
*BORIS NICOLAEVSKIJ – OTTO MÄNCHEN-HELFEN, Karl Marx. La vita e
l’opera, trad. it. di Jole Lombardi, Torino, Einaudi, (Piccola Biblioteca Einaudi,
114), 1969, pp. 434.
77
FRANCIS WHEEN, Marx. Vita pubblica e privata [1999], trad. it. di Anna Maria
Sioli, Milano, Mondatori, 2000, pp. 374.
15.3. Sul “giovane” Marx
AUGUSTE CORNU, Marx e Engels dal liberalismo al comunismo, trad. it. di
Franco Cagnetti e Mazzino Montanari, Milano, Feltrinelli, (Saggi. Biografie),
19712.
ALFREDO SABETTI, Sulla fondazione del materialismo storico, Firenze, La
Nuova Italia, (Biblioteca di cultura, 70), 1962.
MARIO ROSSI, Da Hegel a Marx. Vol. III: La scuola hegeliana. Il giovane
Marx, Milano, Feltrinelli, (SC/10, 52), 1974.
*DAVID McLELLAN, Marx prima del marxismo [1970], trad. it. di Robert Long,
Torino, Einaudi, (Piccola Biblioteca Einaudi, 222), 1974.
15.4. Sui Manoscritti economico-filosofici del 1844
PAOLO GAMBAZZI, Il metodo marxiano di analisi economica: dai
“Manoscritti” alla “Miseria della filosofia”, “Aut Aut”, 1969, n. 112, pp. 46-70.
MARIO DE STEFANIS, Per una rilettura epistemologica dei “Manoscritti
economico-filosofici del 1844”, “Aut Aut”, 1971, n. 122, pp. 54-68.
G. MARKUS, La teoria della conoscenza nel giovane Marx. Saggio sui
manoscritti del 1844, con un’appendice di Lukàcs sul concetto del lavoro, trad. it.
di Ludovico Jucker, Milano, Lampugnani Nigri, (Interventi), 1971, pp. 111.
*MARIO DAL PRA, Realtà storica e strutture dialettiche nei “Manoscritti
economico-filosofici del 1844”, in Id., La dialettica in Marx. Dagli scritti
giovanili alla “Introduzione alla critica dell’economia politica”, Bari, Editori
Laterza, (Universale Laterza, 424), 19722 .
*HERBERT MARCUSE, Nuove fonti per la fondazione del materialismo storico
[1932], in Id., Marxismo e rivoluzione. Studi 1929-1932, trad. it. di Anna Solmi,
introduzione di Gian Enrico Rusconi, Torino, Einaudi, (Piccola Biblioteca
Einaudi. Testi, 3), 1975, pp. 61-116.
G. DOZZI, Il sistema critico marxiano nei «Manoscritti economico-filosofici del
1844», “Rivista critica di storia della filosofia”, 1976, pp. 123-63.
78
STEFANO BELARDINELLI, La tragedia del lavoro. Saggio sui manoscritti del
giovane Marx, Urbino, Aralia, (Studi filosofici), 1978, pp. 85.
*GIUSEPPE ANTONIO DI MARCO, Marx Nietzsche Weber. Gli ideali ascetici
tra critica, genealogia, comprensione, Napoli, Guida Editori, (Esperienze.
Filosofia e sapere storico, 127), 1984, in particolare il cap I: Morale e economia,
pp. 7-31.
15.5. Sull’umanesimo di Marx
PIERRE BIGO, Marxismo e umanismo, trad. it. Milano, Bompiani, (Portico),
1963, pp. 384.
*GALVANO DELLA VOLPE, Umanesimo positivo ed emancipazione marxista,
Milano, SugarCo, 1964.
ENRIQUE GONZÁLEZ PEDRERO, L’umanesimo del giovane Marx, in
Il giovane Marx e il nostro tempo, “Annali dell’Istituto Giangiacomo Feltrinelli”,
VII (1964-1965), pp. 195-214.
*LOUIS ALTHUSSER, Per Marx, trad. it. di Franca Madonia, nota introduttiva di
Cesare Luporini, Roma, Editori Riuniti, (Nuova biblioteca di cultura, 66), 1967.
ERICH FROMM (a cura di), L’Umanesimo socialista, trad. it. di Silvana Cassio
Abbrescia, Bari, Dedalo, (La scienza nuova, 8), 1971.
*RODOLFO MONDOLFO, Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, a cura
di Norberto Bobbio, Torino, Einaudi, (Reprints Einaudi, 55), 1975.
ADAM SCHAFF, Saggi filosofici. 3: La questione dell’umanesimo marxista, a
cura di Augusto Ponzio, Bari, Dedalo, (La scienza nuova), 1978, pp. 361.
DINO FERRERI, Marx, Feuerbach e l’antiumanesimo teorico, Roma, Bulzoni,
(Biblioteca di cultura), 1981, pp. 112.
15.6. Sull’alienazione
NICOLA BADALONI, Alienazione e libertà nel pensiero di Marx, “Critica
marxista”, VI (1968), n. 4-5.
*GIUSEPPE BEDESCHI, Alienazione e feticismo nel pensiero di Marx, Bari,
Laterza, (Biblioteca di cultura moderna), 19722, pp. 228.
79
LUCIANO PARINETTO, La nozione di alienazione in Hegel, Feuerbach, Marx:
anno accademico 1966-67, a cura di M. Lavaggi e M. Pitta, Milano, La
Goliardica, 1968.
*IVAN MESZAROS, La teoria dell’alienazione in Marx, trad. it. di Mario ed Elena
Cingoli, Roma, Editori Riuniti, (Argomenti), 1976, pp. 430.
ALDO PUGLIESE, Alienazione e riscatto dell’uomo nel pensiero del giovane
Marx, introduzione di Angelo Broccoli, Napoli, Athena, (Materiali e strumenti),
1977, pp. XVII-89.
15.7. Introduzione all’opera “economica” di Marx
JOHN EATON, Economia politica. Introduzione alla teoria economica marxista,
trad. it. di Claudio Napoleoni, Torino, Einaudi, (Piccola Biblioteca Einaudi, n.
165), 1971 (nuova ediz. riv; 1a ediz. 1950), pp. 320.
*PAUL MARLOR SWEEZY et alii, La teoria dello sviluppo capitalistico, a cura di
Claudio Napoleoni, Torino, Editore Boringhieri, (Universale Scientifica, n. 229231), 1970, pp. XXXIX-617.
V.S. VYGODSKIJ, Il pensiero economico di Marx, trad. it. di V. Borlone, Roma,
Editori Riuniti, 1975, pp. 308.
15.8. Formazione economica di Marx prima de Il capitale
ERNEST MANDEL, La formazione del pensiero economico di Karl Marx. Dal
1843 alla redazione del «Capitale». Studio genetico, trad. it. di Alfredo Salsano,
Bari, Laterza, 1969, pp. 247.
JACQUES RANCIERE, Critica e critica dell’economia politica: dai “Manoscritti
del 1844” al “Capitale”, trad. it. di Raffaele Rinaldi e Vanghelis Oskian, introd. di
Pier Aldo Rovatti, Milano, Feltrinelli, 1973, pp. 157.
*WALTER TUCHSCHEERER, Prima del “Capitale”: la formazione del pensiero
economico di Marx (1843-1858), a cura di Lapo Berti, Firenze, La Nuova Italia,
1980, pp. X-378.
80
L. ALTHUSSER, PER MARX
Nota introduttiva di Cesare Luporini, Editori Riuniti, 1967.
Dott.sa Irene Viparelli
Per qualsiasi tipo di informazioni, chiarimenti, consigli, commenti….
[email protected]
INTRODUZIONE
La finalità del testo
Questo testo è una raccolta di articoli apparsi tra il 1961 e il 1965 su alcune riviste francesi.
Sebbene ciascuno prenda spunto da circostanze particolari, tutti però sono comunque espressione di
una medesima problematica, che ne definisce il senso e garantisce l’unità tematica del testo.
“Pur avendo tutti preso spunto da occasioni particolari, questi testi sono tuttavia il prodotto di una
medesima epoca e di una medesima storia. Sono, a loro modo, i testimoni di una singolare
esperienza, che tutti i filosofi della mia epoca che hanno tentato di pensare dentro Marx hanno
vissuta: la ricerca del pensiero filosofico di Marx, indispensabile per uscire dal vicolo cieco teorico
in cui la storia ci aveva cacciati”.
Prefazione - p. 5
Tutte le tematiche affrontate (il rapporto tra il giovane Marx e il Marx maturo, la specificità della
dialettica materialista rispetto alla dialettica hegeliana, il problema dell’umanismo, ecc.) hanno cioè
sempre la medesima finalità: la definizione della specificità dell’opera marxiana, nella sua radicale
differenza da tutta la filosofia antecedente.
Questo lavoro ha immediatamente anche un significato polemico; vuole cioè svelare l’insufficienza
teorica di alcune interpretazioni sorte sia in ambito marxista sia borghese che, leggendo l’opera
marxiana in un’ottica di continuità con la tradizione filosofica, dovevano necessariamente
fraintenderne il più profondo significato.
Così questo testo è proprio un tentativo di opporre a questo genere di interpretazioni, definite
“ideologiche”, una lettura scientifica di Marx che, muovendo da presupposti radicalmente differenti,
sia in grado di cogliere il valore rivoluzionario e il vero significato della dialettica materialista.
DEFINIZIONE DELL’UMANISMO COME CONCETTO IDEOLOGICO
L’analisi del binomio “umanismo socialista”
Ma qual è il senso di quest’antitesi tra l’approccio scientifico e l’approccio ideologico? In che cosa
differiscono queste due prospettive? Per rispondere a tali questioni ci serviamo dell’analisi
althusseriana del concetto di umanismo.
Nell’ultimo saggio, Marxismo ed umanismo, (Ottobre 1963, con un annesso, Nota complementare
sull’«umanesimo reale» del 1965) Althusser definisce l’umanismo come ideologia, escludendolo in
tal modo dalla sfera scientifica. Tra i due ambiti, infatti, non ci può essere alcuna interazione, alcun
legame dialettico, bensì soltanto un’antitesi radicale: si può pervenire alla scienza soltanto mediante
la rottura con ogni posizione ideologica.
81
Così la contraddittorietà del concetto di “umanismo socialista”, si fonda proprio su questa
presupposta alterità tra i due ambiti; per Althusser, infatti,
“il binomio «umanismo socialista» racchiude proprio una straordinaria disuguaglianza teorica: nel
contesto della concezione marxista, il concetto di «socialismo» è sì un concetto scientifico, mentre
il concetto di umanismo è soltanto un concetto ideologico”.
Marxismo ed umanismo – p. 199
Ma in che cosa consiste questa “straordinaria disuguaglianza teorica” tra concetti ideologici e
scientifici?
Prosegue poco più avanti Althusser:
“Dicendo che il concetto di umanismo è un concetto ideologico (e non scientifico) affermo che esso
designa sì un insieme di realtà esistenti, ma che in pari tempo, a differenza di un concetto
scientifico, non ci dà il mezzo per conoscerle; designa, in una particolare forma (ideologica), un
insieme di esistenze ma non ci dà la loro essenza. Confondere questi due ordini significa precludersi
ogni conoscenza, alimentare una confusione ed andare incontro al rischio di errori”.
Marxismo ed umanismo – p. 199
“Senza entrare nel problema dei rapporti che una scienza ha con il suo passato (ideologico), diciamo
che l’ideologia come sistema di rappresentazioni si distingue dalla scienza per il fatto che in essa la
funzione pratico-sociale prevale sulla funzione teorica (o funzione di conoscenza)”.
Marxismo ed umanismo – p. 207
E’ allora proprio la diversa funzione sociale che fonda la radicale differenza tra i due ambiti.
Il concetto ideologico ha la sua giustificazione solamente nell’ambito della prassi umana, del
rapporto di una coscienza vissuta con le proprie condizioni di esistenza; ma mai può oltrepassare
tale sfera pratico-sociale per pervenire alla definizione della verace essenza della realtà, mai può
darci la conoscenza scientifica del proprio oggetto. Quest’ultima, infatti, è data necessariamente in
un universo categoriale e concettuale radicalmente differente, fondato proprio sull’abbandono
dell’ideologia.
L’analisi del concetto di “umanismo reale”
L’analisi del concetto di “umanismo reale”, sviluppata nella nota complementare del 1965 al saggio
Marxismo ed umanismo, può essere utile proprio a comprendere in che modo la differente funzione
sociale di ideologia e scienza debba implicare necessariamente una radicale alterità tra le due sfere.
Anche questo termine ha in sé, proprio come il concetto di “umanismo socialista”, una
“disuguaglianza teorica”. Quando al concetto di umanismo si affianca l’attributo “reale”, si pone
l’esigenza di superare una concezione dell’essenza dell’uomo postulata soltanto astrattamente, per
indagare invece le possibilità concrete di realizzazione dell’uomo nella storia, nella società.
La duplice funzione dell’attributo “reale”.
L’attributo reale svolge così, rispetto al concetto che definisce, una duplice funzione: la sua
“funzione negativa” è proprio la denuncia dell’insufficienza di ogni umanismo fondato su una
rappresentazione soltanto astratta e dogmatica della natura umana, che trascende quindi le reali
limitazioni poste all’uomo dal contesto storico in cui è sempre e necessariamente inserito. E’ messa
82
così in luce l’inconsistenza dell’umanismo borghese della persona (l’astratta personalità del
diritto), che vive nella perenne contraddizione tra la postulata universalità dell’uomo e la sua
negazione nella vita sociale.
D’altro lato il concetto di realtà svolge la funzione positiva di indicare il luogo verso cui dirigersi,
l’ambito che è necessario indagare per superare ogni definizione astratta di uomo e per prendere
finalmente in considerazione l’uomo reale, concreto, storicamente determinato.
“Tuttavia questa funzione positiva della parola «reale» non è una funzione positiva di conoscenza, è
una funzione positiva d’indicazione pratica »”.
Nota complementare sull’ «umanismo reale» - p. 217/218
Ciò significa che se si realizza l’indicazione positiva data dall’attributo “reale” e ci si rivolge alla
realtà con l’occhio teoretico, tutti i vecchi postulati fondati a partire dal concetto di umanismo:
essenza umana, alienazione, realizzazione dell’uomo… si rivelano inefficienti, del tutto incapaci di
fornire una conoscenza verace ed oggettiva del mondo. Quindi questo spostamento del luogo di
indagine implicherà necessariamente e conseguentemente anche un mutamento concettuale, la
fondazione di categorie scientifiche adeguate alla loro funzione teoretica.
L’umanismo, in quanto concetto ideologico, esaurisce così la sua funzione nell’“indicazione
pratica” dell’unico luogo in cui la parola “uomo” ha un significato autentico: il mondo storico e
sociale. E’ specificamente la risposta ad un bisogno, ad una aspirazione conoscitiva; è l’espressione
proprio di un’ esigenza “pratico-sociale” della coscienza, che non vuole può più accontentarsi della
astratta definizione borghese dell’uomo. Ma mai e in nessun modo è capace di oltrepassare questo
ambito soggettivo per divenire un efficace strumento di conoscenza.
Nel momento in cui questa esigenza della coscienza vissuta si attiva per realizzarsi, si deve
necessariamente abbandonare la sfera dell’ideologia e tutto il suo apparato concettuale.
“Nella espressione umanismo reale, direi che il concetto «reale» è un concetto pratico, l’equivalente
di un segnale, di una freccia, che indica quale movimento bisogna effettuare e in quale direzione e
perfino in quale luogo bisogna spostarsi per trovarsi non più nelle sfere dell’astrazione ma sulla
terra reale. «Per di qui, il reale!» Seguiamo la guida e sfociamo nella società, nei rapporti sociali e
nelle loro condizioni di possibilità reale.
Ma qui ecco che scoppia lo scandaloso paradosso: una volta veramente effettuato questo
«spostamento», una volta incominciata l’analisi scientifica di questo oggetto reale, scopriamo che la
conoscenza degli uomini concreti (reali), ossia la conoscenza dell’insieme dei rapporti sociali, non è
possibile se non a condizione di disinteressarsi completamente degli uffici teorici del concetto di
uomo (nel senso in cui esisteva, nella sua pretesa teorica, anche prima di questo spostamento).
Questo concetto appare infatti inutilizzabile dal punto di vista scientifico, non perché è astratto! –
ma perché non è scientifico. Per pensare la realtà della società, la realtà dell’insieme dei rapporti
sociali, dobbiamo effettuare uno spostamento radicale, non solo uno spostamento di luogo
(dall’astratto al concreto) ma anche uno spostamento concettuale (dobbiamo cambiare di concetti
base!) I concetti con cui Marx pensa la realtà verso la quale accennava l’umanesimo reale non fanno
più intervenire neppure una volta come concetti teorici i concetti d’uomo o d’umanismo, ma altri
concetti totalmente nuovi, i concetti di modo di produzione, di forze di produzione, di rapporti di
produzione, di sovrastruttura, di ideologia, ecc. Ecco il paradosso: il concetto pratico che ci indicava
il luogo dello spostamento è stato consumato nello spostamento stesso, il concetto che ci indicava il
luogo della ricerca è ormai assente dalla ricerca stessa”.
Nota complementare sull’ «umanismo reale» - p. 218/219
83
L’ideologia come “sostituto della scienza”
La differenza tra concetti ideologici e scientifici impone che ogni conoscenza scientifica deve
necessariamente fondarsi sulla rottura con l’ideologia, deve avere come presupposto la critica delle
astratte rappresentazioni della realtà.
Non definire specificamente i due ambiti e le loro reciproche sfere d’azione implica il pericolo di
dannose interferenze della sfera ideologica nell’ambito della teoria: la volontà di vedere realizzati i
“desideri” conoscitivi della coscienza può infatti portare a privilegiare la rapida via delle
rappresentazioni ideologiche, che diventano così inconsapevoli sostitute dei concetti scientifici e
della ricerca teoretica; diventano cioè proprio lo strumento capace di sopperire a tutte le debolezze e
insufficienze della scienza, che non ha mai già a disposizione un apparato concettuale in grado di
dare risposte esaustive ad ogni nuovo problema che si presenta nel corso dello sviluppo storico.
Lì dove sarebbe appunto necessaria un’evoluzione del punto di vista teorico, si ricorre invece a
rappresentazioni ideologiche con pretese scientifiche.
“E non ci si può impedire di pensare che il ricorso all’ideologia costituisce anche qui la via più
rapida, il sostituto d’una teoria insufficiente. Insufficiente ma latente e possibile. Questo abusivo
ricorso all’ideologia avrebbe dunque il compito di colmare questa assenza, questo ritardo, questa
distanza, senza riconoscerla apertamente, facendo, come diceva Engels, del proprio bisogno e della
propria impazienza un argomento teorico, e prendendo il bisogno di una teoria per la teoria stessa.
L’umanismo filosofico, dal quale rischiamo di essere minacciati e che si fa scudo delle realizzazioni
senza precedenti del socialismo stesso, sarebbe questo «supplemento di anima» teorico destinato a
dare a certi marxisti, in mancanza della teoria, il sentimento della teoria che non posseggono: un
sentimento pagato purtroppo con l’abbandono di quello che Marx ci ha dato di più prezioso al
mondo: la possibilità di una conoscenza scientifica”.
Marxismo ed umanismo – p. 216
“Sappiamo che non esiste scienza «pura» se non a condizione di purificarla continuamente, che non
esiste scienza libera nella necessità della sua storia se non a condizione di liberarla continuamente
dall’ideologia che la permea, la pungola o la spia. Questa purificazione, questa liberazione non sono
ottenute che a prezzo di una incessante lotta contro l’ideologia stessa, ossia contro l’idealismo, una
lotta che la Teoria (il materialismo dialettico) può illuminare nelle sue ragioni e nei suoi obiettivi e
che può guidare come nessun altro metodo al mondo può fare”.
Sulla dialettica materialista – p. 148
L’applicazione della dialettica materialista a Marx.
Il ritorno all’umanismo filosofico è quindi un regredire rispetto alle posizioni marxiane. Il
movimento di rottura rispetto all’ideologia e la fondazione della conoscenza scientifica, infatti, è il
movimento che si è compiuto all’interno stesso del pensiero di Marx, che non poteva pervenire alla
scienza, cioè alla dialettica materialista, se non abbandonando tutto l’orizzonte teoretico della
speculazione giovanile, fondato sul concetto di umanismo.
Così la dialettica materialista è proprio il metodo scientifico della critica ideologica, il criterio
generale di definizione dei rapporti tra la scienza e l’ideologia. E così è anche lo strumento che può
far luce sullo stesso passato ideologico di Marx, svelando come soltanto l’abbandono della
problematica umanistica giovanile, la fondazione dell’antiumanismo teorico, ha potuto condurre
Marx alla scienza; ed è altresì il mezzo che può permettere di “uscire dal vicolo cieco teorico in cui
la storia ci aveva cacciati”, per cogliere il senso più profondo della ricerca marxiana, per capire in
che modo tale pensiero può essere definito “filosofia”.
84
Parallelamente, svelando il carattere ideologico di ogni umanismo, reintegra e giustifica l’esistenza
di questo concetto all’interno della sfera “pratico-sociale”; ne definisce cioè la funzione e i limiti di
validità in quanto ideologia.
“Per quanto concerne strettamente la teoria si può allora, e anzi si deve, parlare apertamente di un
antiumanismo teorico di Marx e vedere in questo antiumanismo teorico la condizione della
possibilità assoluta (negativa) della conoscenza (positiva) del mondo stesso, e della sua
trasformazione pratica. Non è possibile conoscere qualcosa degli uomini se non all’assoluta
condizione di ridurre in polvere il mito filosofico (teorico) dell’uomo. Ogni pensiero che si
richiamasse dunque a Marx per restaurare in un modo o nell’altro un’antropologia o un umanismo
filosofici, non sarebbe teoricamente altro che polvere. Praticamente però, innalzerebbe un
monumento d’ideologia premarxista che peserebbe gravemente sulla storia reale, e potrebbe
trascinarla in un vicolo cieco.
L’antiumanismo teorico marxista ha infatti come corollario il riconoscimento e la conoscenza
dell’umanismo stesso: come ideologia”.
Marxismo e umanesimo – p. 205
Ciò che dobbiamo analizzare è allora da un lato l’incapacità teoretica del concetto di umanismo,
dall’altro la sua funzione ideologica.
LE INTERPRETAZIONI IDEOLOGICHE DEL RAPPORTO TRA IL GIOVANE MARX E IL
MARX MATURO
Il fondamento delle interpretazioni ideologiche: l’oblio della rottura epistemologica
La prospettiva althusseriana, che pone la “rottura epistemologica” rispetto all’ideologia umanista
come necessario presupposto per la fondazione della dialettica materialista, impone la centralità
della questione del rapporto tra il giovane Marx il Marx maturo; solo un’interpretazione corretta di
tale relazione può infatti permettere di comprendere il vero significato dell’opera marxiana.
Le letture di Marx che tralasciano questo problema fondamentale devono quindi essere espressione
di una profonda incomprensione nei confronti di Marx, poiché si fondano necessariamente su una
commistione di presupposti scientifici ed ideologici che impediscono di coglierne il valore
scientifico. Sono interpretazioni che, confondendo due universi concettuali completamente
eterogenei, non possono avere alcun valore teorico.
“Mi sono permesso di chiarire il senso delle pagine consacrate a Feuerbach e al giovane Marx, e per
sottolineare l’unità del problema che domina queste note giacché, in realtà, anche nei saggi sulla
contraddizione e sulla dialettica è sempre in causa la definizione della specificità irriducibile della
teoria marxista”.
Prefazione – p. 21
L’interpretazione etica del pensiero di Marx. L’umanismo come Verità.
Tali interpretazioni si dividono principalmente in due gruppi: vi è una lettura “etica” di Marx,
propria di ambienti borghesi, che tende ad attribuire proprio all’umanismo del giovane Marx il
significato più profondo, la grande scoperta della speculazione marxiana: la “Verità” di Marx, ciò
che fonda il valore della sua opera, è l’umanismo, la questione della realizzazione della natura
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umana; tutte le opere della maturità, allora, non possono essere lette per sé, ma sempre in relazione
alla questione dell’umanismo, centrale negli scritti giovanili.
Così se le opere della maturità si interpretano in una prospettiva unitaria con gli scritti giovanili, se
ne dedurrà che il tema dell’umanismo è ciò che, seppur in una differente prospettiva, rimane
centrale anche nelle opere successive; se invece si riconosce che nei testi della maturità il problema
dell’uomo scompare, allora bisognerà vedere un “tradimento” del Marx maturo nei confronti della
grande “Verità” dell’uomo, intuita dal giovane Marx.
Ma ciò che rimane invariato in questa duplice possibilità interpretativa è proprio l’impossibilità di
trovare nei testi della maturità il proprio principio di intelligibilità, poiché il loro valore è ricavato
esclusivamente dal confronto con la tematica umanistica e feuerbachiana del giovane Marx.
“Filosofi, ideologi, religiosi, si sono lanciati in una gigantesca impresa di critica e di conversione:
torni Marx alle fonti di Marx, confessi alfine che in lui l’uomo maturo non è che il giovane Marx
travestito! O se invece persiste e si ostina nella sua età, confessi allora il suo peccato di maturità,
riconosca di aver sacrificato la filosofia all’economia, l’etica alla coscienza, l’uomo alla storia.
D’altronde, sia che acconsenta sia che rifiuti, la sua verità, tutto ciò che può sopravvivergli, tutto ciò
che può aiutare a vivere e a pensare gli uomini che oggi noi siamo, sta in queste poche opere
giovanili”.
Sul giovane Marx – p. 36
In questa prospettiva è riconosciuto solo il valore delle opere ideologiche, mentre è negata proprio
la scientificità della dialettica materialista. Una confusione che necessariamente non permette di
capire Marx.
La continuità tra i Manoscritti del ’44 il Capitale
Esemplificativa di tale concezione etica è una particolare lettura della relazione tra i Manoscritti del
’44 e Il capitale: questa seconda opera è considerata come semplice esplicitazione e
sistematizzazione delle intuizioni giovanili, già espresse appunto nei Manoscritti. Vi è cioè, tra i
due testi e in tutto il pensiero di Marx, un’assoluta continuità e di conseguenza la persistente
centralità del tema dell’umanismo in tutta l’opera marxiana.
Il mito dell’hegelismo del giovane Marx
Per Althusser, i Manoscritti sono l’unico testo in cui Marx è stato hegeliano. Ciò significa che nelle
altre opere del il giovane Marx il confronto con Hegel era sempre stato mediato dapprima
dall’interpretazione del movimento giovane hegeliano, che faceva regredire la problematica
hegeliana ad una problematica di tipo kantiano-fichtiana, in cui era fondamentale la questione della
realizzazione dell’universale ragione umana, ragione eterna e adialettica, nelle istituzioni statali,
mediante il diritto. Successivamente questa relazione sempre mediata si era spostata sul piano
dell’antropologia feuerbachiana, con la adesione marxiana alla critica hegeliana fondata sul
presupposto del rovesciamento idealistico nel rapporto tra essere e pensiero, astratto e concreto.
Per questo Althusser può dire:
“Il giovane Marx non è mai stato hegeliano, ma dapprima kantiano-fichtiano, poi feuerbachiano. La
tesi in gran voga dell’hegelismo del giovane Marx, in genere, è quindi un mito. (…)Marx non aveva
mai cessato di allontanarsi da Hegel”.
Prefazione – p. 18
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Ma i Manoscritti sono proprio l’opera in cui Marx tenta di realizzare una sintesi tra la dialettica
hegeliana e l’umanismo feuerbachiano, con un’improvvisa rivalutazione della dialettica di Hegel,
con un “brusco ritorno ad Hegel”.
“Non si può fare a meno di chiedersi se, nel brusco e totale ultimo ritorno ad Hegel dei Manoscritti
del ’44, in quella grande e geniale sintesi di Feuerbach ed Hegel, Marx non abbia messo di fronte,
come in un’esperienza esplosiva, i rappresentanti dei due poli estremo del campo teorico in cui
aveva fino ad allora spaziato, e se proprio in questa esperienza di un rigore e di una coscienza
straordinari, in questo radicale tentativo di «rovesciamento» di Hegel, in questo testo che egli non
ha mai pubblicato, Marx non abbia praticamente vissuta e compiuta la sua trasformazione. Se ci si
vuole fare una certa idea della logica di questo stupefacente mutamento, bisogna cercarla nella
straordinaria tensione teorica dei Manoscritti del ’44, sapendo in anticipo che il testo di quella che è
l’ultima notte o quasi, è paradossalmente, il testo più lontano che ci sia, teoricamente parlando,
dall’alba che stava per spuntare”.
Prefazione – p. 19
La fondazione dell’economia mediante l’antropologia feuerbachiana
I Manoscritti rappresentano l’incontro, immediatamente critico, di Marx con l’economia politica.
Marx scopre immediatamente che tale scienza non è fondata, è priva di basi apodittiche; e lo
dimostra svelando tutte le contraddizioni, prima di tutte quella tra miseria e ricchezza, che tale
scienza riconosce senza essere però in grado di spiegare.
Proprio la ricerca di questo fondamento assoluto della economia politica è lo scopo ultimo di questo
testo; ed è proprio la filosofia feuerbachiana ad adempiere a questo compito fondativo, mediante il
concetto di lavoro alienato, il presupposto inespresso della scienza economica, in grado avere la
parola conclusiva, la spiegazione esaustiva di tutte le sue contraddizioni irrisolte. Ma tale categoria
deriva dalla concezione feuerbachiana dell’uomo quale ente generico, che aliena da sé i suoi
predicati universali; solo partendo infatti da una concezione del lavoro come espressione
dell’essenza onnilaterale dell’uomo, si può fondare la categoria del lavoro alienato come momento
di lontananza dall’essenza, momento che deve necessariamente essere superato nella direzione di
una riconquista dell’identità essenziale.
La riappropriazione della natura umana, di quest’essenzialità ancora astratta è il fine ultimo di tutta
l’analisi economica di Marx in questo momento.
“Bisognerà una volta o l'altra entrare nei particolari e dare a questo testo una spiegazione parola
per parola: interrogarsi sullo statuto teorico e sulla funzione teorica assegnati al concetto chiave di
lavoro alienato, esaminare il campo concettuale di questa nozione, riconoscere che serve bene alla
funzione che Marx le assegna allora: la funzione di fondamento originario; ma che non può
esercitare questa funzione se non a condizione di riceverla come mandato e come missione da tutta
una concezione dell'Uomo che attinge nell'essenza dell'uomo la necessità e il contenuto dei concetti
economici che ci sono familiari. Bisognerà insomma scoprire sotto le parole votate all’imminenza di
un senso futuro, il senso che le mantiene ancora prigioniere di una filosofia che esercita su di esse la
sua ultima suggestione e i suoi ultimi poteri. E direi, se non pensassi così di abusare della libertà di
prevedere in anticipo i risultati di questa dimostrazione, direi quasi che, sotto questo rapporto, ossia
sotto il rapporto di questa radicale predominanza della filosofia su un contenuto che ne diverrà ben
presto radicalmente indipendente, il Marx più lontano da Marx è proprio questo Marx qui, ossia il
Marx più vicino, il Marx della vigilia, il Marx della soglia: come se prima della rottura, e per
consumarla, egli avesse sentito il bisogno di dare alla filosofia tutte le sue possibilità, l’ultima
possibilità, questo imperio assoluto sul suo contrario e questo smisurato trionfo teorico: ossia la sua
sconfitta”.
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I “Manoscritti del 1844” di Karl Marx – p. 136/137
La definizione di un testo a partire dall’oggetto dell’analisi o dal metodo
In questo testo tutta la critica marxiana all’economia politica è mossa dall’esigenza della
realizzazione della natura umana mediante il superamento dell’alienazione; nelle opere successive,
invece, tutto quest’apparato concettuale preso in prestito dall’antropologia feuerbachiana
scomparirà; e dovrà necessariamente svanire poiché le analisi economiche si fonderanno su ben altri
presupposti, non più ideologici ma scientifici.
Non è fondamentale, infatti, come vorrebbero le “interpretazioni ideologiche”, il passaggio alle
analisi economiche per l’affermazione del materialismo storico e quindi della dialettica materialista,
ma è soltanto l’utilizzo di categorie scientifiche come presupposti della ricerca che fonda la radicale
differenza tra la concezione ideologica giovanile e la concezione scientifica della maturità.
E’ possibile leggere il Capitale e i Manoscritti in una prospettiva di continuità soltanto se si
considera come fondamentale l’oggetto della riflessione, la critica economica. Ma non è questo
l’elemento sostanziale per poter comprendere una determinata opera, sono piuttosto le categorie
interpretative che indicano le modalità con cui si struttura tale critica all’economia:
Una pluralità di oggetti tra loro eterogenei può infatti divenire oggetto di una medesima
problematica, cioè di un approccio metodologico identico:
“Così l’antropologia di Feuerbach può diventare la problematica non soltanto della religione
(Essenza del cristianesimo) ma anche della politica (Sulla Questione ebraica, il Manoscritto del
’43) e dell’economia (Manoscritti del ’44) senza smettere di restare sostanzialmente una
problematica antropologica, anche quando la “lettera” di Feuerbach è abbandonata e superata”.
Sul giovane Marx – p. 51
Ma ciò che fonda il significato di un testo non è l’oggetto dell’analisi, bensì proprio il metodo
dell’analisi, che solo può distinguere un’analisi di tipo scientifico da un’analisi ancora ideologica.
E’ la definizione di un determinato “universo concettuale” di riferimento che soltanto può mettere
in luce la natura specifica della ricerca.
“Non è la materia della riflessione a connotare e a qualificare la riflessione, ma, a questo livello, la
modalità della riflessione, il rapporto effettivo che la riflessione instaura con i suoi oggetti, ossia la
problematica di fondo di cui prende le mosse il pensiero che pensa questi oggetti”.
Sul giovane Marx – p. 5
Così tra il Capitale e i Manoscritti c’è necessariamente uno scarto radicale proprio a livello
metodologico: nel Marx maturo la critica dell’economia sarà fondata su categorie completamente
differenti, che sollevano problemi e utilizzano concetti non più ideologici ma scientifici. L’oggetto
è il medesimo, l’economia, ma l’”universo di discorso” è radicalmente mutato. Se l’utilizzo delle
categorie economiche che si ritroveranno anche nel Capitale può spingere a tale interpretazione nel
senso della continuità, bisogna però vedere in che modo e a partire da quali presupposti queste siano
utilizzate. Se ci si pone su questo piano di riflessione non potrà non emergere lo scarto radicale che
c’è tra il giovane Marx dei Manoscritti e le analisi scientifiche del Marx maturo.
“Qui siamo davvero nel vivo del problema, e vicini contemporaneamente a tutte le tentazioni sia
dell’idealismo sia di un troppo precipitoso materialismo… infatti ci troviamo, a prima vista, su un
terreno conosciuto, voglio dire dentro in paesaggio concettuale in cui possiamo identificare tutte le
singole categorie: proprietà privata, capitale, denaro, divisione del lavoro, alienazione del
lavoratore, emancipazione del proletariato e umanismo che ne costituisce la premessa. Categorie
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che ritroveremo tutte, o quasi, nel Capitale e che potremmo perciò accettare come anticipazioni del
Capitale, anzi come Il capitale in progetto, meglio ancora come Il capitale en pointillé già
disegnato, ma a tratteggio, senza ancora la pienezza, pur avendone la genialità, dell’opera compiuta:
come certi schizzi a matita che i pittori buttano di getto, che sono al momento stesso di nascere più
grandi dell’opera che contengono. (…)Ma c’è anche il significato conferito da questa logica e da
questo rigore ai concetti che vi riconosciamo e che costituiscono il significato stesso di questa
logica e di questo rigore: un significato che è ancora filosofico, dico proprio: filosofico, prendendo
questa parola nell’accezione stessa che Marx investirà più tardi di una condanna senza appello”.
I “Manoscritti del 1844” di Karl Marx – p. 136
Le interpretazioni di Marx al “futuro anteriore”. La risposta dei marxisti
Tutte le interpretazioni etiche e umanistiche di Marx erano attacchi mossi da ambiti borghesi al
marxismo. Ciò che era in gioco era il valore dell’intera opera di Marx, delle analisi economiche del
Marx maturo, del Capitale.
Ma per preservare il valore dell’intera opera di Marx i marxisti opposero alle interpretazioni etiche
quelle che Althusser definisce le “interpretazioni al futuro anteriore”. Esse si fondano precisamente
sull’inversione del metodo precedente, cioè leggono gli scritti giovanili di Marx a partire dal
materialismo compiuto del Marx maturo, levando a tali opere qualsiasi valore per sé.Tale metodo è
soggetto alle medesime insufficienze teoriche dell’approccio a cui si oppone, poiché tende a
scindere, all’interno dei lavori giovanili di Marx, quegli elementi che possono essere considerati
anticipazioni dei successivi sviluppi materialistici del pensiero di Marx da quegli elementi che
invece esprimono ancora il legame con il contesto idealistico e ideologico.
“Per disorientare coloro che oppongono a Marx la sua giovinezza si sceglierà così risolutamente il
partito opposto: si riconcilierà Marx con la propria giovinezza, non si leggerà più Il capitale
attraverso La questione ebraica, ma La questione ebraica attraverso Il capitale; non si proietterà più
l’ombra del giovane Marx su Marx, ma l’ombra di Marx sul giovane Marx: e, per giustificare questa
risposta, ci si foggerà, senza accorgersi che è semplicemente hegeliana, una pseudoteoria al «futuro
anteriore»”.
Sul giovane Marx – p. 38
Quest’approccio deve necessariamente sfociare, per Althusser, in una “teoria delle fonti o delle
anticipazioni” che impedisce necessariamente di cogliere il senso complessivo dell’opera.
Così per esempio i Manoscritti del ’44 assumono valore soltanto se hanno come loro “Verità” le
analisi del Capitale, solo in quanto anticipazioni.
“E se mi si viene a dire che questo metodo di cui sto enunciando le estreme conseguenze logiche:
proprio per questo è dialettico – risponderò: dialettico, sì, ma hegeliano! (...) Il «contenuto
materialista» entra in conflitto con la sua forma «idealista» e la forma idealista tende da parte sua a
ridursi
a
una
semplice
questione
di
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terminologia ( bisogna pure che si dissolva alla fine: così è ridotta soltanto a parole). Marx è già
materialista ma si serve ancora di concetti feuerbachiani, da uso della terminologia feuerbachiana,
pur non essendo più, pur non essendo mai stato feuerbachiano puro; tra i Manoscritti del ’44 e le
opere della maturità, Marx ha trovato la sua terminologia definitiva: semplice questione di
linguaggio”.
Sul giovane Marx – p. 44
Il fondamento ideologico di tale interpretazione: l’autosufficienza dell’ideologia
Perché questo metodo è hegeliano? Perché concepisce l’intero pensiero di Marx come una totalità
che ha in sé il proprio principio d’intelligibilità, ha in sé nelle opere giovanili ciò che sarà rivelato
esplicitamente nelle opere della maturità. Il materialismo storico si pone, al pari dello spirito
hegeliano, come un principio che si realizza mediante tutto il processo, e che in ultimo realizza la
teleologia intrinseca in tale movimento e perviene a compimento.
Il presupposto è dunque che una totalità di pensiero, una realtà ideologica, ha in sé il proprio
principio semplice motore dello sviluppo, e possa realizzarlo e giustificarlo senza dover fare
riferimento alla realtà esterna; ma ogni totalità ideologica, ed è ciò che ci insegna la dialettica
materialistica, non ha in sé il proprio principio d’intelligenza, bensì può essere realmente spiegata
soltanto se si fa riferimento al contesto storico- sociale che è sempre fondante.
Per definire in modo teoricamente corretto i rapporti tra le prime e le più mature opere di Marx, tra i
presupposti ideologici e gli esiti scientifici del pensiero marxiano, non può esserci altro metodo, se
non l’applicazione dei principi marxiani di critica dell’ideologia, al passato ideologico dello stesso
Marx.
L’ esigenza di applicare la dialettica materialista a Marx
“Il sacro timore di un attentato all’integrità di Marx, susciterà di riflesso l’assunzione risoluta della
responsabilità di tutto Marx: si dichiarerà che Marx è un tutto, che «il giovane Marx appartiene al
marxismo» come se rischiassimo di perdere tutto Marx sottoponendo la sua giovinezza alla critica
radicale della storia, non della storia che avrebbe vissuto, ma della storia che viveva, non della
storia nella sua immediatezza ma di una storia riflessa di cui egli stesso, nella maturità, ci ha dato
non «la verità» in senso hegeliano, ma i principi di intelligenza scientifica”.
Sul giovane Marx – p. 38
Questo passo ci indica la strada per la soluzione althusseriana al problema che è stato posto. Nel
Marx della maturità non ritroviamo, secondo la tipica prospettiva hegeliana, la “verità di”, cioè non
troviamo esplicitato qualcosa che, già “in sé”, si poteva scorgere tra le righe delle opere giovanili.
Troviamo invece i «principi d’intelligenza scientifica» che ci permettono di definire la giusta
collocazione dei testi del giovane Marx.
“Non sono la verità di, sono la verità per, sono veri come condizione di una legittima impostazione
di un problema e quindi, attraverso questo problema, della produzione di una soluzione vera.
Presuppongono sì, il «marxismo compiuto», ma non come la verità della propria genesi, bensì come
la teoria che permette l’intelligenza tanto della propria genesi quanto di ogni altro processo
storico”.
Sul giovane Marx – p. 46
Nel momento in cui Marx formula la teoria del materialismo storico, scopre la chiave di lettura
scientifica del movimento storico. Ma il materialismo storico, in quanto teoria scientifica, è fondato
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su un metodo che garantisce la veridicità della conoscenza dell’oggetto analizzato; un metodo che
può così diventare il principio di intelligenza di ogni movimento economico, di ogni movimento
politico, un metodo che può definire i rapporti reali tra struttura e sovrastruttura e, in tal modo, può
determinare la giusta collocazione dell’ideologia nell’ambito della società. La dialettica materialista
è il metodo scientifico che non solo è alla base del materialismo storico, bensì è soprattutto il
metodo generale della critica ideologica e del movimento della conoscenza scientifica. Per questo è
anche lo strumento mediante il quale si può fare chiarezza sul passato ideologico di Marx e sui reali
rapporti con l’opera scientifica della maturità.
C’è cioè uno scarto sostanziale tra le opere ideologiche del giovane Marx e le opere scientifiche
della maturità, uno scarto che permette a queste seconde di porsi come principio di intelligibilità
delle prime, senza che questo implichi una lettura del pensiero di Marx al “futuro anteriore”. Poiché
queste opere non contengono disvelata una verità che era intrinseca nelle opere giovanili, bensì tra
le due fasi del pensiero di Marx si compie quella «rottura epistemologica» che permette a Marx di
passare dal piano dell’ideologia al piano scientifico, e solo grazie a questa differenza qualitativa il
Marx maturo può fare luce sul giovane Marx.
I principi di investigazione scientifica: i concetti di ideologia e problematica
La prospettiva scientifica data dalla dialettica materialista impedisce di leggere un pensiero per se
stesso, poiché nega che possa avere in sé il proprio principio d’intelligibilità, una intrinseca
teleologia. Il presupposto di ogni reale comprensione del pensiero è infatti necessariamente al di là
di tale totalità ideologica ed è sempre da ricercare nel complesso delle relazioni che ogni singolo
pensiero stabilisce con uno specifico “campo ideologico”, cioè col contesto di tutta la problematica
ideologica che si sviluppa in un determinato momento storico-sociale; l’unità di tale campo è quindi
necessariamente garantita da una “problematica” di fondo, che è null’altro che la risultante del
processo di mistificazione delle reali problematiche sociali nella sfera ideologica.
Solo mediante l’utilizzo dei concetti scientifici di “problematica”, “campo ideologico”… si può fare
luce sull’ideologia, smascherando la vacuità delle sue pretese teoretiche; soltanto con tale metodo,
quindi, è possibile leggere il rapporto tra il giovane Marx e il Marx maturo.
“Pensare invece l’unità di un determinato pensiero ideologico ( che si dà immediatamente come un
tutto e che è “vissuto” esplicitamente o implicitamente come un tutto, o come un’intenzione di
“totalizzazione”) a partire dal concetto di problematica, significa avere la possibilità di mettere in
evidenza la struttura sistematica tipica che unifica tutti gli elementi del pensiero, significa dunque
scoprire a questa unità un contenuto determinato che permette insieme e di capire il senso degli
«elementi» dell’ideologia considerata e di mettere in rapporto questa ideologia con i problemi
imposti o posti a ogni pensatore dal tempo storico in cui vive”.
49
Il pensiero si dà sempre, cioè, a partire da una determinata problematica che definisce uno specifico
campo ideologico quale terreno su cui si deve necessariamente fondare e su cui soltanto può darsi
ogni singolo pensiero; è poi solo il contesto storico-sociale esterno a tale totalità ideologica che può
infine svelarci il perché della centralità di determinate problematiche, mostrandone il legame con i
problemi reali della struttura sociale.
Così il filosofare del giovane Marx deve sempre essere considerato in relazione alla problematica
ideologica generale del suo tempo, quale struttura che ha permesso il darsi di tale determinato
pensiero.
Come abbiamo visto tali problematiche sono specificamente di due tipi: dapprima la problematica
kantiano-fichtiana di un umanismo razionalista, che vuole realizzare nelle istituzioni oggettive la
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92
razionalità universale dell’uomo, poi la problematica feuerbachiana dell’umanismo comunitario,
che vuole realizzare l’essenza generica dell’uomo mediante il superamento dell’alienazione.
E’ cioè sempre un Marx pienamente inserito nel campo ideologico determinato da uno specifico
contesto storico, che non va mai oltre l’ideologia.
Nel 1845 Marx rompe con tale impostazione umanistica, con la lettura della realtà fondata su una
rappresentazione astratta, rompe con i problemi dell’umanismo, della natura dell’uomo,
dell’alienazione e della realizzazione dell’essenza… rompe cioè con la problematica ideologica e
con il campo ideologico in cui si era andato sviluppando il suo pensiero e si pone così in un’ottica
esterna alla sfera ideologica, fonda il proprio pensiero su una problematica nuova, questa volta di
tipo scientifico.
Ed è solo in virtù di tale “rottura epistemologica” con il campo ideologico dato che Marx perviene
alla definizione del metodo della conoscenza scientifica, alla formulazione della dialettica
materialista.
Feuerbach, la via d’accesso alla rivoluzione teorica di Marx
Questa duplice azione di abbandono dell’ideologia e della scoperta dell’orizzonte scientifico sono in
realtà la medesima operazione: la rottura con Feuerbach e la scoperta della realtà al di là
dell’ideologia non sono nulla di divergente.
Ed è proprio per questo motivo che Althusser vede nello studio dell’opera feuerbachiana la via
d’accesso privilegiata per la conoscenza verace dello sviluppo del pensiero di Marx; poiché
Feuerbach è proprio l’incarnazione di tutta la problematica ideologica con cui Marx rompe, da cui si
allontana. Ed è anche quindi il palesarsi della necessaria rottura come presupposto senza il quale
mai si sarebbe potuto avere il materialismo storico, che è proprio il prodotto del “ripudio di
Feuerbach” e la scelta della storia quale unica sfera degna di essere indagata.
La radicale distanza tra l’antropologia feuerbachiana e la filosofia del Marx maturo diventa così
indice dell’immensità della rivoluzione teorica compiuta da Marx, della sua apertura ad un universo
di pensieri completamente differente:
“Un’esigenza questa che mi sembra fondamentale, giacché se è vero che Marx ha fatto propria tutta
una problematica. La sua rottura con Feuerbach, quella famosa «resa dei conti della nostra
coscienza filosofica anteriore», implica l’adozione di una nuova problematica che può sì integrare
un certo qual numero di concetti all’antica, ma in un tutto che conferisce loro un significato
radicalmente nuovo. Ricorrerei volentieri qui, per chiarire quest’ultima conseguenza, a
un’immagine attinta dalla storia greca, citata dallo stesso Marx. Dopo i gravi rovesci subiti nella
guerra contro i persiani, Temistocle consigliò agli ateniesi di rinunciare alla terra e di costruire
l’avvenire della città su un altro elemento: il mare. La rivoluzione teorica di Marx consiste appunto
nel costruire su un nuovo elemento il suo pensiero teorico liberato dall’antico elemento: quello della
filosofia hegeliana e feuerbachiana”.
I “Manifesti filosofici” di Feuerbach – p. 31
Feuerbach, la via d’accesso al problema del rapporto tra Marx ed Hegel
La liberazione da Feuerbach è nello stesso tempo la liberazione da Hegel poiché, fin quando il
pensiero di Marx si era strutturato secondo i presupposti antropologici feuerbachiani, non aveva mai
potuto oltrepassare l’idealismo.
Non a caso Althusser vede in Feuerbach anche lo strumento privilegiato per chiarire i rapporti tra
Marx ed Hegel:
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“Infatti se Marx ha rotto con Feuerbach, la critica di Hegel che si trova nella maggior parte degli
scritti giovanili di Marx va considerata, almeno nei suoi presupposti filosofici ultimi, una critica
insufficiente, anzi falsa, proprio nella misura in cui è fatta da un punto di vista feuerbachiano, ossia
da un punto di vista che Marx doveva in seguito respingere”.
I “Manifesti filosofici” di Feuerbach – p. 32
Finché Marx aveva impostato la sua critica ad Hegel dal punto di vista feuerbachiano si era
accontentato del semplice rovesciamento della dialettica hegeliana, un’inversione di termini che non
permetteva di uscire dall’ambito ideologico.
La “rottura epistemologica” è quindi anche la negazione del valore teorico di tale metodo, il che
implica, e questa è la conseguenza più importante per Althusser, l’impossibilità di ridurre la
dialettica materialista a semplice rovesciamento della dialettica hegeliana; tra le due, infatti, c’è una
divergenza radicale nei presupposti, nel movimento, nelle categorie che agiscono in ogni singolo
momento dello sviluppo, nelle conseguenze, nei suoi risultati. La dialettica materialista è
propriamente il risultato di un’operazione di trasformazione e demistificazione della dialettica
hegeliana, che deve necessariamente produrre un’alterità radicale; ed è proprio tale differenza che
garantisce la scientificità del metodo marxiano in antitesi rispetto al carattere completamente
ideologico della teleologia all’opera nella dialettica hegeliana.
“Agli occhi di Marx, Feuerbach era restato sul terreno hegeliano, e ne rimaneva prigioniero anche
quando lo criticava perché non faceva che volgere contro Hegel i principi stessi di Hegel. Non
aveva cambiato elemento. La vera critica marxista di Hegel suppone appunto che si sia cambiato
elemento, che si sia cioè abbandonata quella problematica filosofica di cui Feuerbach restava
prigioniero ribelle”.
I “Manifesti filosofici” di Feuerbach – p. 32
LA SPECIFICITA’ DELLA DIALETTICA MATERIALISTA IN RELAZIONE ALLA
DIALETTICA HEGELIANA
L’insufficienza della critica di Marx ad Hegel nella Sacra Famiglia
L’insufficienza della critica alla dialettica hegeliana dal punto di vista dell’antropologia
feuerbachiana è evidente, per Althusser, nella critica marxiana sviluppata nella Sacra Famiglia: se
nella realtà il concetto di frutto è dedotto dai singoli frutti reali esistenti, Hegel inverte il rapporto
tra i termini pretendendo che dal concetto generale di frutta si possano creare la pluralità dei frutti
concreti, ridotti a semplici fenomeni del concetto astratto.
Porre nuovamente il giusto rapporto tra i frutti reali e il concetto generale significa rovesciare la
dialettica hegeliana, cioè intraprenderne la critica da un punto di vista feuerbachiano.
La critica così mossa ad Hegel sarà perciò rigettata dal Marx maturo, che non si accontenta più del
semplice rovesciamento.
“Non c’è rigore nel rovesciamento in questione, se non a condizione di presupporre una confusione
ideologica fondamentale, quella stessa che Marx doveva poi respingere quando smise davvero di
essere feuerbachiano, o di fare ricorso al vocabolario di Feuerbach, quando ebbe coscientemente
abbandonato l’ideologia empirista secondo cui si poteva sostenere che un concetto scientifico viene
prodotto nello stesso identico modo in cui il concetto generale di frutto «verrebbe» prodotto da
un’astrazione operante su frutti concreti”.
Sulla dialettica materialista – p. 167
93
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Empirismo ed idealismo
Tra la prospettiva del Marx ancora feuerbachiano e il quella del Marx maturo c’è una sostanziale
differenza, ed è ciò che si ricava dalla considerazione di questa critica come fondata sull’”ideologia
empirista”.
Per Althusser, infatti, il punto di vista dell’empirismo soggiace alla stessa insufficienza
dell’idealismo, e specificamente ricade nell’errore opposto: inverte i termini e il rapporto di
subordinazione tra il concreto e l’astratto, ma mantiene inalterati i presupposti ideologici.
Feuerbach, nella sua critica ad Hegel, compie specificamente questo rovesciamento, cioè inverte il
rapporto tra astratto e concreto: non è il concreto che si pone come manifestazione dell’astratto,
bensì ogni elemento spirituale può trovare la sua origine soltanto a partire dal singolare, dal
positivo: solo partendo dall’uomo reale si realizza l’astrazione del pensiero, quell’universalità che
dimenticando il soggetto reale diventa simbolo dell’alienazione.
Ma questa inversione feuerbachiana non può uscire dall’ambito dell’ideologia, rimane
necessariamente idealista.
Tutta la filosofia anteriore a Marx, infatti, si fondava proprio sul presupposto dogmatico della
natura umana, di una specifico essere dell’uomo; il problema fondamentale di conseguenza era la
realizzazione di tale essenzialità, cioè la definizione di una specifica relazione di soggettività ed
oggettività che fosse in grado di realizzare ciò che era posto originariamente, ciò che era fondante.
Così nella prospettiva idealistica di Hegel l’essenza spirituale doveva compiersi mediante
l’alienazione nell’oggettivo e il suo superamento; così l’antropologia di Feuerbach imponeva il
ritorno all’universalità concreta del genere umano dopo l’alienazione nelle sfere dell’astrazione.
La rottura epistemologica non è altro che la rottura con questa specifica problematica della natura
umana, in qualsiasi versione essa si presentava.
“Allorché Marx l’affrontò implicava i due postulati complementari che egli aveva definiti nella
sesta Tesi su Feuerbach, ossia:
a) esiste un’essenza universale dell’uomo;
b) questa essenza è attributo dei «singoli individui» che ne sono i soggetti reali.
Questi due postulati sono complementari e indissociabili, e la loro esistenza e la loro unità
presuppongono tutta una concezione empirico-idealista del mondo. Perché l’essenza dell’uomo sia
attributo universale bisogna infatti che esistano i soggetti concreti come dati assoluti: il che implica
un empirismo del soggetto; perché poi questi individui empirici siano uomini, bisogna che ciascuno
di essi porti in se stesso, di fatto o di diritto, tutta l’essenza umana: il che implica un idealismo
dell’essenza. L’empirismo del soggetto implica dunque l’idealismo dell’essenza e viceversa. Questo
rapporto può rovesciarsi nel suo «contrario»: empirismo del concetto, idealismo del soggetto. Tale
capovolgimento rispetta la struttura fondamentale di questa problematica, che rimane fissa”.
Marxismo e umanismo – p. 203
Quindi se si considera, in una prospettiva antropologica, l’uomo reale, individuale e concreto come
il fondamento della realtà, questo soggetto empirico deve essere necessariamente definito in base ad
un principio d’universalità che lo connoti e che possa farsi garante della sua dimensione fondativa;
presuppone cioè una concezione ideale dell’essenza dell’uomo, una sua natura universale che si
manifesta, si incarna nei singoli uomini: cioè l’empirismo del soggetto porta sempre con sé
l’idealismo dell’essenza.
Viceversa, se è l’universale spirituale a svolgere la funzione di
fondamento, ciò implica necessariamente l’instaurarsi di un
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movimento mediante il quale il principio può superare questa sua
originaria astrattezza e manifestarsi anche nella forma
dell’oggettività, nella realtà empirica, come particolarità. L’empirico è
così posto come manifestazione del principio spirituale: cioè
l’idealismo del soggetto porta sempre con sé l’empirismo del concetto.
La complessità del reale e la teoria dei diversi livelli della pratica umana
In che modo Marx nel 1845 rompe con tutto questo? Dice Althusser:
“Sostituisce agli antichi postulati (empirismo-idealismo del soggetto, empirismo-idealismo
dell’essenza) che sono alla base non soltanto dell’idealismo, ma anche del materialismo
premarxista, un materialismo dialettico-storico della prassi: vale a dire una teoria dei diversi livelli
specifici della pratica umana (pratica economica, pratica politica, pratica ideologica, pratica
scientifica) nelle loro articolazioni proprie, fondata sull’articolarsi specifico dell’unità della società
umana”.
Marxismo e umanismo – p. 204/205
A tutta l’antica problematica della natura umana Marx sostituisce
una “teoria dei diversi livelli specifici della prassi umana”.
Ciò significa che ogni realtà è composta da un interagire a diversi livelli di pratiche differenti, la cui
totalità definisce di volta in volta ogni realtà sociale. L’evolversi delle differenti pratiche segnano
così la specificità dei momenti storici, in cui ad un determinato stadio della pratica materiale, cioè
dello sviluppo delle forze produttive, corrisponde sempre una forma determinata di rapporti di
produzione, di determinate pratiche politiche, pratiche ideologiche…
Non vi è quindi una natura umana immutabile che fonda la realtà, ma vi sono realtà date, sempre già
poste, in cui gli uomini vivono, agiscono… la loro natura, non più staticamente ed eternamente
posta, è il movimento stesso della trasformazione, poiché non può che definirsi, in forme
infinitamente differenti, a partire dal contesto storico che sempre e continuamente la fonda.
Althusser dà la definizione generale di pratica:
“Per pratica intenderemo generalmente ogni processo di trasformazione di una determinata materia
prima data in un determinato prodotto, trasformazione effettuata da un determinato lavoro umano
facendo uso di determinati mezzi ( di «produzione» ). In ogni pratica così concepita, il momento ( o
l’elemento ) determinante del processo non è né la materia prima né il prodotto, ma la pratica in
senso stretto: il momento stesso del lavoro di trasformazione, che mette in opera, in una struttura
specifica, uomini, mezzi e una data tecnica d’impiego dei mezzi”.
Sulla dialettica materialista – p. 145
La specificità della pratica teorica
In questa forma invariabile, che definisce la realtà ad ogni livello, ciò che è costante è la
discontinuità sostanziale tra l’origine e la fine del processo di trasformazione, la radicale alterità tra
la materia prima e il prodotto finito, che si presenterà sempre e necessariamente come
un’oggettività di natura qualitativamente differente.
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Anche l’attività del pensiero, l’attività teoretica rientra precisamente in questa definizione: è il
processo mediante il quale si trasformano dei concetti in altri concetti, qualitativamente differenti,
mediante il lavoro umano e l’utilizzo di specifici mezzi di produzione. Tra origine e risultato non è
confermata un’essenzialità immutabile, come nel campo ideologico, bensì è affermata una radicale
diversità.
Quale è la materia prima della pratica teorica? E a quale prodotto finito generato dalla pratica
teorica umana?
La pratica teorica marxista
L’astrazione costituisce l’essenza del pensiero. Ciò significa che il punto di partenza della pratica
teorica è proprio l’astratto, non il reale, ma la rappresentazione che gli uomini hanno della realtà in
cui vivono; la materia prima di ogni conoscenza scientifica è cioè data da tutto il complesso delle
rappresentazioni ideologiche o dalla serie di concetti scientifici esistenti in un determinato momento
storico.
E’ su questo materiale originario, che Althusser definisce appunto come “Generalità I”, che si
compie il lavoro di trasformazione dell’uomo mediante determinati mezzi di produzione, ciò che
Althusser definisce “Generalità II”, che è propriamente il lavoro di critica ideologica e
smascheramento dei presupposti celati dell’ideologia; e soltanto mediante questo movimento di
demistificazione e trasformazione radicale dei concetti ideologici originali si perviene infine alla
formulazione di quel concreto del pensiero che è la conoscenza verace dell’oggetto, la “Generalità
III”.
L’errore ideologico
“Che il concreto-di pensiero (Generalità III) considerato, sia la conoscenza del suo oggetto
(concreto-reale) è qualcosa che viene risentito come «una difficoltà» solo dall’ideologia, la quale
trasforma questa realtà in un sedicente «problema» (il Problema della Conoscenza) e pensa dunque
come problematico quello che è invece prodotto, come soluzione non problematica di un problema
reale, dalla pratica scientifica stessa: la non problematicità del rapporto tra un oggetto e la sua
conoscenza”.
Sulla dialettica materialista – p. 164
La confusione tra il concreto-di pensiero e il concreto-reale è alla base della stessa ideologia. Già
abbiamo visto come nell’antropologia feuerbachiana il concreto reale prenda il posto dell’astrazione
ideologica come il luogo sul quale soltanto è possibile fondare il processo conoscitivo, l’astrazione
intellettuale. Hegel invece cade specificamente nell’errore opposto, cioè si rappresenta la genesi del
concreto-di pensiero come processo di fondazione del concreto-reale stesso.
Così la realtà non è mai già data semplicemente quale oggetto di analisi scientifica, come nel caso
della dialettica materialista, bensì è sempre fondata e derivata da una categoria della coscienza, sia
essa una determinata concezione dell’essenza umana oppure un principio spirituale.
L’errore di Feuerbach:
“E’ dunque essenziale non confondere la distinzione reale tra astratto ( Generalità I ) e concreto
(Generalità III) che concerne la sola pratica teorica, con un’altra distinzione, ideologica questa, che
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oppone l’astrazione ( che costituisce l’essenza del pensiero o della scienza o della teoria ) al
concreto ( che costituisce l’essenza del reale ).
Questa confusione è appunto quella di Feuerbach, condivisa da Marx nel suo periodo
feuerbachiano. ( ... ) La critica che in ultima istanza oppone l’astrazione – che apparterrebbe alla
teoria e alla scienza - , al concreto – che sarebbe invece il reale stesso -, è ancora una critica
ideologica, poiché nega la realtà della pratica scientifica, la validità delle sue astrazioni, e infine la
realtà di quel «concreto» teorico che è una conoscenza”.
Sulla dialettica materialista – p. 164
L’errore di Hegel
Il pensiero non si fonda a partire dall’intuizione del particolare per la formulazione del generale,
ma, proprio come voleva Hegel, si fonda su un astratto, cioè su delle rappresentazioni generali della
realtà che, in quanto astratte, sono ancora ideologiche. Ma Hegel scambia tali rappresentazioni
astratte per l’essenza della realtà e il movimento della conoscenza per il processo della genesi del
reale:
“Così dunque quando Hegel «concepisce – come dice Marx – il reale come il risultato del pensiero
che si concentra in se stesso, si approfondisce in se stesso ed è mosso da se stesso», fa una doppia
confusione:
1. prende prima di tutto il lavoro di una produzione di una conoscenza scientifica per «il
processo di genesi del concreto stesso (il reale)». Ma Hegel non può cadere in questa
«illusione» che grazie a una seconda confusione, ossia:
2. prende il concetto universale che figura all’inizio del processo della conoscenza (esempio; il
concetto stesso di universalità, il concetto di «essere» nella Logica) per l’essenza e il motore
di questo processo, per «il concetto che genera se stesso», prende la Generalità I che la
pratica teorica trasformerà in conoscenza (Generalità III) per l’essenza e il motore del
processo di trasformazione stesso!”
Sulla dialettica materialista – p. 165
Il primato della Generalità II
E’ proprio porre il primato della “Generalità I”, cioè del sistema di rappresentazioni astratte, sulla
“Generalità II”, cioè sul momento della trasformazione, sul processo con cui il lavoro umano
plasma questa materia ancora allo stato naturale, che deve necessariamente fondare ogni posizione
ideologica. Se infatti il principio dell’intero processo è considerato il concetto astratto, allora tutto il
movimento non si configurerà mai come trasformazione reale, bensì soltanto come il percorso di
affermazione e realizzazione di tale fondamento astratto; come il movimento dell’alienazione e
della riconquista di un’identità originaria che, proprio in virtù dell’intero sviluppo dialettico, ha
potuto superare proprio quella sua determinazione astratta, quel suo limite originario che aveva
messo in moto l’intero processo.
Se invece si pone l’accento sul processo di trasformazione, sulla “Generalità II”, tra origine e
risultato verrà ad esserci una discontinuità qualitativa, una reale trasformazione, la creazione di
un’oggettività nuova, sostanzialmente differente.
E’ «una generalità scientifica specificata, in ogni caso qualitativamente nuova»
“Negare la differenza che esiste tra questi due tipi di Generalità, misconoscere il primato della
Generalità II ( che lavora) , ossia della «teoria» sulla Generalità I (che è lavorata) costituisce
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appunto il fondo stesso dell’idealismo hegeliano, che Marx rifiuta; costituisce, sotto le apparenze
ancora ideologiche del «rovesciamento» della speculazione astratta in realtà o in scienza concrete, il
punto decisivo in cui si decide il destino tanto dell’ideologia hegeliana quanto della teoria
marxista”.
Sulla dialettica materialista – p. 169
La fine della problematica del fondamento e la complessità della realtà
Dalla rottura compiuta da Marx nei confronti di Feuerbach ed Hegel risulta una conseguenza
fondamentale per definire la specificità della dialettica materialista: l’annullamento di qualsiasi
problematica riguardante l’origine, il fondamento di una realtà che è invece sempre già posta, quale
ineliminabile presupposto di ogni pratica umana, quindi anche della pratica teorica; né il materiale
né lo spirituale sono infatti originariamente fondanti, mentre il movimento del pensiero non è altro
che l’infinita relazione dell’uomo proprio con questa realtà già posta e sempre già rappresentata
ideologicamente.
Così la critica alle rappresentazioni ideologiche è tutt’uno con il movimento della realizzazione
della conoscenza scientifica: i vecchi problemi dell’essenza, del principio generatore, del
fondamento sono criticati, sono svelati nella loro insufficienza teorica e sono così per sempre
banditi dalla dialettica materialista, che non deve più porre un principio che giustifichi la realtà, ma
parte sempre dalla determinata realtà complessa in cui vivono gli uomini e che deve essere
conosciuta.
E’ questa la differenza specifica tra l’origine della dialettica hegeliana e della dialettica marxiana
che nega la possibilità di considerare la dialettica materialista come semplice “rovesciamento”.
“Ciò che il marxismo rifiuta è la pretesa filosofica (ideologica) di collimare totalmente con
un’«origine radicale», qualunque ne sia la forma (la tabula rasa, punto zero di un processo; lo stato
di natura; il concetto di cominciamento che è per esempio in Hegel l’essere immediatamente
identico al niente; la semplicità che è sempre in Hegel ciò attraverso cui (ri)comincia
indefinitamente ogni processo, ciò che ricostituisce di continuo le proprie origini, ecc.); esso
respinge così l’esigenza filosofica hegeliana che riconosce un’unità semplice originaria (ripetuta ad
ogni momento del processo), la quale produrrà successivamente, attraverso la propria
autoevoluzione, tutta la complessità del processo, senza mai perdervisi, senza mai perdervi né la sua
semplicità né la sua unità, poiché la pluralità e la complessità non saranno mai che il suo
«fenomeno», destinato a manifestare la sua essenza”.
Sulla dialettica materialista – p. 175
“Al posto del mito ideologico di una filosofia dell’origine e dei suoi concetti organici, il marxismo
stabilisce come principio il riconoscimento della struttura complessa di ogni «oggetto» concreto,
struttura che condiziona e lo sviluppo dell’oggetto e lo sviluppo della pratica teorica che produce la
sua conoscenza. Non ci troviamo più di fronte a un’essenza originaria , ma a un sempre-già-dato,
che risale indietro per quanto la conoscenza può scavare nel proprio passato. Non abbiamo dunque
più un’unità semplice, ma un’unità complessa strutturata; non abbiamo dunque più (qualunque ne
sia la forma) una unità semplice originaria, ma il sempre-già-dato d’una unità complessa
strutturata”.
Sulla dialettica materialista – p. 176
Ciò che allora si pone sempre come condizione originaria della dialettica materialista è la realtà così
come è storicamente data; ben lungi dall’essere riconducibile ad un principio semplice, tale realtà
ha sempre i caratteri della pluralità dei livelli, dell’eterogeneità degli elementi costitutivi. E’ cioè
sempre complessa, è un’unità strutturata in cui convivono ed interagiscono i molteplici piani delle
pratiche umane; mancando il principio semplice fondante infatti questa complessità si configura
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come essenziale, ineliminabile: una totalità in cui è impossibile ridurre i vari livelli della pratica a
semplici “fenomeni” di una pratica specifica, che diventerebbe così l’elemento fondamentale e
determinante la realtà sociale.
Ciò peraltro non significa che tale totalità complessa sia arbitraria o irrazionale, ha invece una sua
specifica struttura invariante, ciò che Althusser definisce come “il tutto complesso strutturato a
dominante”.
La surdeterminazione della contraddizione e la struttura a dominante
Per comprendere che cosa sia questa dominanza essenziale ad ogni formazione sociale dobbiamo
cercare di descrivere in che modo interagiscono i molteplici livelli di ogni complessità sociale,
come quindi il rapporto contraddittorio tra le varie istanze sociali produca il movimento storico.
Althusser definisce questo specifico darsi della contraddizione nella dialettica materialista mediante
il confronto con la struttura e con il movimento della contraddizione nella dialettica hegeliana;
ovviamente dovrà necessariamente emergere una radicale diversità.
Proprio in virtù del principio semplice originario, infatti, la contraddizione in Hegel è sempre
semplice, è cioè il movimento con cui l’essenza originaria si scinde per formare un’opposizione tra
due elementi che appaiono contraddittori, in una relazione in cui però l’apparente antitesi dovrà
necessariamente ripristinare l’unità perduta, proprio in virtù dell’identità originaria. Tra le varie
contraddizioni c’è quindi necessariamente un rapporto di indifferenza reciproca, poiché ciascuna è
il “fenomeno” dell’astratto principio e tutte dovranno essere superate dal ripristino della situazione
non contraddittoria, dell’identità presupposta.
Nella dialettica materialista manca questa semplicità originaria, il che significa che le
contraddizioni reali non possono essere considerate come il semplice scindersi dell’uno; poiché è
invece proprio la molteplicità ad essere originaria, ogni contraddizione singola si potrà dare sempre
e soltanto a partire dalla complessità, rispecchierà in sé stessa tale complessità e sarà sempre e
necessariamente determinata da questo “tutto complesso strutturato a dominante”.
Ogni contraddizione quindi non è semplice, ma si sviluppa invece in relazione ai molteplici
condizionamenti esterni; è cioè sempre una contraddizione “surdeterminata”, cioè posta non da un
unico fattore determinante, ma dalla pluralità delle istanze del tutto complesso.
“Se è così bisogna pure ammettere che la contraddizione cessa di essere univoca (le categorie
cessano di avere una volta e per tutte una funzione e un significato sempre fissi) poiché essa riflette
in sé, nella sua essenza stessa, il rapporto con la struttura inegualitaria del tutto complesso. Bisogna
però aggiungere che, cessando di essere univoca, non diventa per altro «equivoca», prodotto della
prima pluralità empirica venuta, alla mercé delle circostanze, e dei «casi accidentali», loro puro
riflesso, come l’anima di un poeta non è che quella certa nuvola passeggera. Al contrario, cessando
di essere univoca, e quindi determinata una volta per tutte, irrigidita nella sua funzione e nella sua
essenza, si rivela determinata dalla complessità strutturata che le assegna la sua funzione, cioè come
– se mi si vuole passare questa parola spaventosa! – complessamente-strutturalmenteinegualitariamente-determinata... Ho preferito , lo confesso, una parola più corta: surdeterminata”.
Sulla dialettica materialista – p. 186
Di conseguenza viene meno anche quella relazione di indifferenza ed eguaglianza delle
contraddizioni; la loro esistenza non è più, infatti, un’apparenza fenomenica, è invece una realtà
essenziale, che è posta da molteplici fattori che la trascendono: essendo cioè determinata da
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elementi esterni, si trova necessariamente con questi in un rapporto di dominanza o di
subordinazione.
“Prendiamo l’esempio di quella totalità complessa strutturata che è la società. I «rapporti di
produzione» non vi figurano come il puro fenomeno delle forze di produzione; ne sono anche la
condizione di esistenza; la sovrastruttura non è il puro fenomeno della struttura, ne è anche la
condizione di esistenza. Lo si desume dal principio stesso enunciato da Marx: che in nessun luogo
esiste produzione senza società, ossia senza rapporti sociali; che l’unità, oltre la quale è impossibile
risalire, è quella di un tutto in cui, se i rapporti di produzione hanno appunto come condizione di
esistenza la produzione stessa, la produzione ha anch’essa come condizione di esistenza la sua
forma: i rapporti di produzione. Attenzione qui a non equivocare: questo condizionamento di
esistenza delle «contraddizioni» le une ad opera delle altre, non annulla la struttura dominante che
regna sulle contraddizioni e all’interno di esse ( nella fattispecie la determinazione in ultima istanza
da parte dell’economia)”.
Sulla dialettica materialista – p. 182
La determinazione in ultima istanza della contraddizione economica
Così la complessità, proprio in quanto essenziale, proprio perché stabilisce necessariamente un
rapporto diseguale tra le contraddizioni, quello che Althusser definisce come la “legge del diseguale
sviluppo delle contraddizioni”, proprio per tutto questo, sarà necessariamente “strutturata a
dominante”; se infatti non vi è più univocità, fissità nella determinazione delle contraddizioni, che
mutano i loro rapporti di subordinazione e dominanza, l’unico elemento che invece rimane sempre
invariato è proprio la struttura a dominante della totalità.
Nel darsi delle contraddizioni ciò che è determinante in ultima istanza è la contraddizione
economica. Ma Althusser mostra come la contraddizione di capitale e lavoro, sebbene sia la
contraddizione fondamentale, sia sempre anch’essa surdeterminata dalla forma specifica delle
sovrastrutture, dalla storia, dalle congiunture interne e internazionali, dalla fase specifica di
sviluppo del capitalismo…; essendo determinante solamente “in ultima istanza”, non si dà mai nella
sua purezza, ma è sempre vincolata dalla serie delle contraddizioni reali di una determinata società
in un determinato momento storico. Così da un lato si palesa perché le altre contraddizioni non
possono in alcun modo essere considerate semplici fenomeni di tale contraddizione principale,
proprio perché questa non esiste mai al di là di tale complessità; dall’altro però, il fatto che in ultima
istanza sia l’economia il fattore determinante, implica la necessaria struttura a dominante come
elemento invariabile del complesso, che proprio per questo non si perde nel reciproco e arbitrario
condizionamento delle contraddizioni, bensì mantiene sempre una struttura razionale.
“Questa surdeterminazione diventa inevitabile e pensabile non appena si riconosce l’esistenza reale,
in gran parte specifica e autonoma, irriducibile quindi a puro fenomeno, delle forme della
sovrastruttura e della congiuntura nazionale e internazionale. Bisogna allora andare fino in fondo e
dire che questa surdeterminazione non dipende da situazioni apparentemente straordinarie o
aberranti nella storia (per esempio la Germania) ma è universale; che mai la dialettica economica
opera allo stato puro, che mai nella storia si vedono quelle istanze che sono le sovrastrutture ecc.,
farsi rispettosamente da parte, quando hanno fatto la loro opera o dissolversi come puro fenomeno
per lasciare che avanzi sulla strada regale della dialettica sua maestà l’Economia perché i Tempi
sarebbero venuti. L’ora solitaria dell’ «ultima istanza» non suona mai, né al primo momento né
all’ultimo”.
Contraddizione e surdeterminazione – p. 93
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L’indifferenza per il contingente nella dialettica hegeliana
Questa dipendenza di ogni singola contraddizione dalla totalità strutturata a dominante come sua
propria condizione di esistenza ha come conseguenza la centralità che i singoli momenti storici, le
condizioni specifiche di una determinata realtà sociale, il “momento attuale” vengono ad assumere
nella prospettiva marxiana.
E Althusser si serve ancora del confronto con Hegel per far emergere la specificità della dialettica
materialista: il processo hegeliano è fin dall’inizio teleologicamente determinato, come tale la
contraddizione, che è sempre il motore della dialettica, già conosce la direzione del proprio
sviluppo, il modo del suo superamento; la sintesi dei contrari, proprio in virtù del principio semplice
originario, è l’esito necessario dell’intero movimento. Così nella Filosofia della storia di Hegel ogni
momento storico è pienamente giustificato e strutturato a partire da un determinato principio
semplice, per esempio la storia di Roma si fonda interamente sul principio della personalità
giuridica astratta, fondamento tanto della grandezza quanto della successiva decadenza della
potenza dell’impero romano; e così come per la storia di Roma, ogni realtà storica, fin dalla sua
nascita è riducibile al principio spirituale fondante che ha già da sempre in sé anche tutti i
presupposti del suo superamento.
In Hegel la storia è sempre il luogo del contingente, dell’empirico, dell’alienazione dello spirito; ha
quindi sempre valore esclusivamente in quanto è il “fenomeno” di un principio trascendente, mai
per sé:
“Ecco perché, per esempio, il rapporto con la natura, le condizioni di esistenza di tutta la società
umana non esercitano in Hegel che la funzione di un dato contingente, ad esempio
dell’«inorganico» del clima, della geografia (l’America, questo «sillogismo di cui il termine medio
– l’istmo di Panama – è strettissimo»!), la funzione del famoso «è così» (espressione di Hegel
davanti alle montagne) che designa la natura materiale che deve essere «superata» (aufgehoben)
dallo Spirito che ne è la «verità»... Chiaro, che ridotte in questo modo alla natura geografica le
condizioni di esistenza sono sì pura contingenza la quale verrà poi riassorbita, negata-superata dallo
Spirito che ne rappresenta la libera necessità e che esiste già nella Natura anche sotto la forma della
contingenza (per cui una minuscola isola può produrre un grande uomo!). Proprio per questo,
perché le condizioni d’esistenza, naturali o storiche, non sono mai per Hegel che contingenza, non
determinano un niente la totalità spirituale della società: l’assenza di condizioni (nel senso non
empirico, non contingente) va necessariamente di pari passo in Hegel con l’assenza di una reale
struttura del tutto, con l’assenza di una struttura a dominante, con l’assenza di una determinazione
fondamentale e con l’assenza di quel riflettersi delle condizioni nella contraddizione, che
rappresenta la sua «surdeterminazione»”.
Sulla dialettica materialista – p. 185
L’importanza del «momento attuale» nella dialettica marxista
In Marx invece le condizioni storiche determinate sono elevate alla condizione di essere “il
fondamentale”, poiché sono l’unica modalità di esistenza di questo tutto complesso, che non può
mai darsi al di sopra di tali condizioni, nella purezza di un sistema teorico, e che è invece sempre e
necessariamente definito storicamente.
Nella totalità complessa marxiana infatti, proprio perché ogni situazione è determinata da una
concomitanza di fattori irriducibili all’unità, da una pluralità di contraddizioni surdeterminate e
surdeterminantesi, non vi è necessità nel movimento di superamento di una situazione
contraddittoria, non c’è mai il necessario porsi di una situazione rivoluzionaria.
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“Posso allora per cercare di abbracciare, dal punto di vista di questa regola, tutto il complesso dei
fenomeni, proporre che la «contraddizione surdeterminata» può essere surdeterminata sia nel senso
di una inibizione storica, ossia di un vero e proprio «blocco» della contraddizione (per es. la
Germania Guglielmina), sia nel senso della rottura rivoluzionaria (la Russia del ’17), ma che, in
queste condizioni, mai si presenta allo stato «puro»? Sarebbe allora, lo ammetto, la «purezza»
stessa a costituire eccezione, ma non vedo quale esempio se ne potrebbe citare”.
Contraddizione e surdeterminazione – p. 87
Ogni condizione rivoluzionaria è soggetta ad una serie di condizioni particolari che portano ad
un’”esasperazione” di tutte le contraddizioni, cioè al convergere delle contraddizioni in un punto di
rottura, secondo movimenti di spostamento, condensazione ed esplosione delle stesse
contraddizioni.
Ma questa dipendenza della situazione rivoluzionaria da tutto il contesto esterno non implica
un’assoluta arbitrarietà e irrazionalità del movimento storico: il concetto stesso di “condizioni”,
infatti, non è più come in Hegel soltanto un concetto empirico, contingente, ma è l’essenza stessa
del darsi della realtà, la sua specifica caratteristica.
“Queste condizioni non sono infatti nient’altro che l’esistenza del tutto in un «momento»
determinato, nel «momento attuale» dell’uomo politico, ossia il complesso rapporto delle
condizioni d’esistenza reciproche tra le articolazioni della struttura del tutto”.
Sulla dialettica materialista – p. 183
I CAMPI DI APPLICAZIONE DELLA DIALETTICA MATERIALISTA
La dialettica materialista all’opera nella pratica teorica di Marx
La dialettica materialista allora, ben lungi dal poter essere considerata come il semplice
rovesciamento della dialettica di Hegel, si fonda invece in una prospettiva completamente nuova, da
cui è escluso ogni idealismo, ogni umanismo, ogni problematica dell’essenza; in poche parole tutta
la problematica ideologica e filosofica. La rottura epistemologica quindi deve necessariamente
fondare, nell’ottica althusseriana, una nuova filosofia che non è più ideologia, bensì ha in sé il
duplice movimento della critica ideologica e della fondazione scientifica.
Il lavoro di sistematizzazione teorica di tale scienza dialettica è ancora in gran parte da compiere,
sebbene la dialettica materialista sia già all’opera sia nella “pratica teorica” che nella pratica politica
marxista.
Spesso si è confusa la “pratica teorica marxista”, cioè la lettura scientifica della storia, il
materialismo storico, con la dialettica stessa; ma la teoria della storia di Marx è soltanto una sfera di
applicazione pratica di tale metodo scientifico, è soltanto il processo di trasformazione della
concezione ideologica della storia (Generalità I) nella sua conoscenza scientifica (Generalità III); è
cioè una specifica pratica teorica, che segue il metodo che è proprio di ogni pratica.
La dialettica materialista, che Althusser definisce come Teoria, è invece proprio la definizione
generale di tale metodo scientifico, applicabile quindi non solo alla storia, bensì ad ogni pratica
umana; è propriamente la scienza di ogni divenire ad ogni livello della realtà.
La dialettica materialista all’opera nella pratica politica
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Althusser dimostra allora mediante un esempio concreto, la pratica politica di Lenin, come la Teoria
sia all’opera nelle pratiche umane; la “teoria dell’anello più debole” di Lenin è infatti direttamente
fondata sulla dialettica materialista: la rivoluzione scoppiò in Russia e non nei paesi più avanzati
dell’Europa occidentale, proprio perché la situazione russa, una mistura di medioevo, arretratezza e
sviluppo capitalistico, implicava l’accumulazione esasperata di tutte le contraddizioni, in un
momento dello sviluppo del capitalismo internazionale che coincideva con le guerre imperialiste.
Alla domanda infatti del perché della rivoluzione in Russia e non in un altro paese, Althusser
risponde:
“Per la fondamentale ragione che la Russia rappresentava, nel «sistema degli stati» imperialisti, il
punto più debole. La grande guerra aveva sì aggravato e fatto precipitare questa debolezza, non
l’aveva però determinata da sola. La rivoluzione del 1905, pur nel suo stesso fallimento, aveva già
dato la misura della debolezza della Russia zarista, le cui cause salienti stavano nell’accumulazione
e nell’esasperazione di tutte le contraddizioni storiche allora possibili in un unico Stato.
Contraddizioni di un regime di sfruttamento feudale, che all’alba del XX secolo continuava a
regnare attraverso l’impostura dei popi, sopra un’enorme massa contadina «incolta», e tanto più
ferocemente quanto più cresceva la minaccia – circostanza che valse singolarmente ad avvicinare la
rivolta contadina alla rivoluzione operaia. Contraddizioni dello sfruttamento capitalista e
imperialista, sviluppate su vasta scala nelle grandi città e sobborghi, nelle regioni minerarie,
petrolifere, ecc. Contraddizioni dello sfruttamento e delle guerre coloniali, imposte a interi popoli,
Contraddizione enorme tra il grado di sviluppo dei sistemi di produzione capitalista
(particolarmente in rapporto alla concentrazione operaia: la più grande fabbrica del mondo, la
fabbrica Putilov, che raggruppava 40.000 tra operai e ausiliari si trovava allora a Pietrogrado) e lo
stato medievale delle campagne. Esasperazione della lotta di classe in tutto il paese, non solo tra
sfruttatori e sfruttati, ma anche all’interno delle classi dominanti stesse (grandi proprietari feudali,
legati allo zarismo autoritaristico, poliziesco e militarista; piccola nobiltà che continuamente
fomentava congiure; grande borghesia e borghesia liberale in lotta con lo zar; piccola borghesia
oscillante tra il conformismo e l’«estremismo» anarchizzante).
Cui verrebbero ad aggiungersi, nel corso degli eventi, altre circostanze «eccezionali», inintelligibili
fuori da questo «sviluppo» di contraddizioni interne ed esterne alla Russia. (...élite rivoluzionaria
evoluta, soviet…) Insomma, persino in questi particolari di contorno, la situazione privilegiata della
Russia di fronte alla possibile rivoluzione dipese da un accularsi e da un esasperarsi di
contraddizioni storiche tali che sarebbero riuscite inintelligibili in ogni altro paese che non fosse
stato come la Russia, contemporaneamente in ritardo di almeno un secolo sul mondo
dell’imperialismo e al vertice di esso”.
Contraddizione e surdeterminazione – p. 77/78
La possibilità dell’applicazione universale della dialettica materialista
La Teoria si mostra sempre quando ci si pone in un rapporto scientifico con la realtà, è sempre
attiva come metodo che rende intelligibile ogni divenire. La sua precisa definizione teorica è allora
essenziale sia per affrontare la continua lotta contro le ideologie, che rischiano di celarne il suo
carattere scientifico e rivoluzionario e che in generale mistificano il movimento del divenire della
realtà; sia, d’altro canto, perché la Teoria così formulata è alla base dello sviluppo dell’intelligenza
scientifica in molti ambiti non ancora indagati.
“I ricercatori marxisti che indagano su questi regni d’avanguardia che sono la teoria delle ideologie
(diritto, morale, religione, arte, filosofia), ecc… tutti questi pericolosi ma appassionati regni
d’avanguardia…; quelli che si pongono difficili problemi nel campo stesso della pratica teorica
marxista (quella della storia), senza parlare di quegli altri «ricercatori» rivoluzionari che affrontano
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difficoltà politiche di forma radicalmente nuova (Africa, America Latina, passaggio al comunismo,
ecc.); tutti costoro se non avessero come dialettica materialistica che la dialettica… hegeliana,
anche se sbarazzata del sistema ideologico di Hegel, anche se dichiarata «rovesciata» (se questo
rovesciamento consiste nell’applicare la dialettica hegeliana al reale invece che all’idea), non
andrebbero certamente molto lontano in sua compagnia! Tutti quindi, sia che si tratti di affrontare
qualcosa di nuovo nel campo di una pratica reale sia di gettare le basi di una pratica reale, tutti
hanno bisogno della dialettica materialista vera e propria”.
Sulla dialettica materialista – p. 150/151
L’UMANISMO COME IDEOLOGIA
La fine dell’ideologia, un’utopia.
Sebbene l’ideologia sia la preistoria di ogni conoscenza scientifica, una serie di rappresentazioni
attraverso le quali l’uomo si relaziona al mondo in modo immediato ed irriflesso, da ciò non si deve
però dedurre che, con il disvelamento dell’insufficienza teoretica delle rappresentazioni
ideologiche, si possa pervenire ad una società senza ideologia, in cui la scienza possa regnare
sovrana. Anche l’ideologia è infatti una parte essenziale di ogni formazione sociale, non riducibile a
semplice “fenomeno”, ad un mero riflesso delle condizioni economiche, bensì ha una propria
specifica ed ineliminabile funzione pratica.
“In ogni società si constata dunque, in forme a volte assai paradossali, l’esistenza di un’attività
economica di base, d’una organizzazione politica, e di forme «ideologiche» quali religione, morale,
filosofia, ecc. L’ideologia fa dunque organicamente parte, in quanto tale, di ogni totalità sociale.
Sembrerebbe quasi che le società umane non potessero sussistere senza queste formazioni
specifiche, questi sistemi di rappresentazioni (a diverso livello) che sono le ideologie. Le società
umane secernono l’ideologia come l’elemento e l’atmosfera stessa indispensabili alla loro
respirazione, alla loro vita storiche. Soltanto una concezione ideologica del mondo ha potuto
immaginare società senza ideologie, e ammettere l’idea utopistica di un mondo in cui l’ideologia (e
non tale o tal altra delle sue forme storiche) scomparisse senza lasciare traccia, per essere sostituita
dalla scienza. (...) E per non eludere quella che è la questione più scottante, per il materialismo
storico neppure una società comunista può fare mai a meno di ideologia, sia che si tratti di morale
o di arte o di «rappresentazione del mondo»”.
Marxismo e umanismo – p. 207
L’ideologia, cioè, non può essere considerata né un semplice errore della scienza, un suo sostituto
funzionale a sopperire alle sue insufficienze teoriche, né un semplice prodotto dell’alienazione
dell’essenza umana che, non potendo realizzarsi nella storia, si rappresenta astrattamente i propri
desideri. Ogni formazione sociale ha l’ideologia nella forma della morale, della religione, della
filosofia… e tale ideologia, come abbiamo visto, trova la propria giustificazione nella sfera della
pratica.
Ciò significa che sebbene l’ideologia non sia in grado di fornire una conoscenza verace del mondo,
è funzionale alla vita umana pratica, al vissuto.
Il rapporto della coscienza vissuta con il mondo
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Per Althusser infatti l’ideologia non è nulla di differente, non è altro che il rapporto della coscienza
vissuta con il mondo.
“Che cosa s’intende dire, tuttavia, quando si dice che l’ideologia concerne la «coscienza» degli
uomini? Innanzi tutto che si distingue l’ideologia dalle altre istanze sociali, ma anche che gli uomini
vivono le loro azioni, normalmente riferite dalla tradizione classica alla libertà e alla «coscienza»,
nell’ideologia, attraverso e mediante l’ideologia; insomma che il rapporto «vissuto» degli uomini
con il mondo, ivi compresa la storia nell’azione o nell’inazione politica passa attraverso l’ideologia,
o, meglio ancora, è l’ideologia stessa”.
Marxismo e umanismo – p. 208
La vita umana è sempre determinata a partire da istanze oggettive che trascendono la volontà
soggettiva, la sfera della coscienza umana, e la determinano. I desideri, le aspirazioni, la volontà di
tale coscienza sono sempre limitati e condizionati da tale alterità ineliminabile. L’ideologia è allora
proprio una rappresentazione immaginaria della relazione con tali condizioni di esistenza, che
permette di rendere centrale le esigenze della coscienza soggettiva, considerate come primarie; è il
modo specifico con cui una coscienza vissuta si relaziona alle proprie condizioni di esistenza,
modalità che è funzionale alla vita stessa.
Il carattere inconscio dell’ideologia
Tale rappresentazione del mondo, che pone la centralità del soggetto rispetto alle istanze oggettive
che lo limitano, può compiere la propria funzione pratica soltanto in quanto è inconscia; cioè
soltanto finché questa rappresentazione ideologica, essendo inconsapevole della propria illusorietà e
della propria forza mistificatrice, si pone come il mondo stesso, come l’essenza della realtà, come
la “Verità” del mondo. Per questo in ogni formazione ideologica sono poste verità assolute, valori
eterni; per questo l’incondizionatezza della certezza ideologica è l’elemento comune tanto della
religione, quanto della morale e di ogni posizione filosofica. Sempre e soltanto a posteriori, nel
momento della critica ideologica, si svela la relatività di tali rappresentazioni e la loro dipendenza
da elementi esterni fondativi, il loro essere subordinate a esigenze della volontà soggettiva in
determinate condizioni storiche specifiche.
“L’ideologia concerne dunque il rapporto vissuto degli uomini col loro mondo. Questo rapporto,
che non si rivela «cosciente» se non a condizione di essere inconscio, non sembra nello stesso modo
essere semplice se non a condizione di essere complesso, di non essere cioè un rapporto semplice,
ma un rapporto di rapporti, un rapporto di secondo grado. Nell’ideologia, infatti, gli uomini
esprimono non i loro rapporti con le loro condizioni di esistenza, ma il modo in cui vivono i loro
rapporti con le loro condizioni di esistenza, la qual cosa suppone al tempo stesso un rapporto reale e
un rapporto «vissuto», «immaginario». L’ideologia è allora l’espressione del rapporto degli uomini
col loro «mondo», ossia l’unità (surdeterminata) del loro rapporto reale e del loro rapporto
immaginario con le loro condizioni di esistenza. Nell’ideologia il rapporto reale è inevitabilmente
investito nel rapporto immaginario: rapporto che esprime più una volontà (conservatrice,
conformista, riformista o rivoluzionaria), e persino una speranza o una nostalgia, di quanto non
descriva una realtà.
Proprio in questa surdeterminazione del reale attraverso l’immaginario o dell’immaginario
attraverso il reale, l’ideologia è, nei suoi fondamenti, attiva, ed essa rinforza o modifica il rapporto
che gli uomini hanno con le loro condizioni di esistenza, entro questo rapporto immaginario stesso”.
Marxismo e umanismo – p. 209
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Il carattere strutturale dell’ideologia
Più che essere fondata su concetti specifici, su verità con pretese oggettive, l’ideologia è una serie di
strutture della coscienza, di forme della rappresentazione, attraverso le quali l’uomo filtra il
rapporto reale con le proprie condizioni di esistenza; è proprio la creazione di una forma mentale
che permette di rapportarsi a qualsiasi oggetto, a qualsiasi esperienza mediante specifiche strutture
logiche inconsce che fondano poi le rappresentazioni concettuali razionali.
“L’ideologia è sì un sistema di rappresentazioni, ma queste rappresentazioni non hanno il più delle
volte nulla a che vedere con la «coscienza» per lo più sono immagini, a volte anche concetti, ma
soprattutto strutture, e come tali si impongono alla stragrande maggioranza degli uomini senza
passare attraverso la loro «coscienza». Sono oggetti culturali percepiti-accettati-subiti che agiscono
sugli uomini attraverso un processo che sfugge loro. Gli uomini «vivono» la loro ideologia come il
cartesiano «vedeva» o non vedeva – se non la fissava – la luna a 200 passi: niente affatto come una
forma di coscienza, bensì un oggetto del loro «mondo», come il loro «mondo» stesso”.
Marxismo e umanismo – p. 208
L’esigenza di adeguazione alle proprie condizioni di esistenza
L’ideologia così definita è allora eterna, elemento ineliminabile di qualsiasi società. E questa è una
conseguenza stessa di tutta la dialettica materialista: una volta negata l’essenzialità umana,
scompare anche il rapporto antitetico tra la verità oggettiva e la rappresentazione soggettiva, ridotta
a semplice errore teoretico derivato da una condizione di alienazione; i due ambiti invece
camminano ora paralleli, la sfera inconscia affianco alla realtà cosciente. Con il mutare delle
condizioni reali di esistenza, infatti, l’ideologia compie proprio quella funzione di adattamento alla
nuova realtà storica, o meglio è lo strumento della perenne adeguazione al continuo movimento di
trasformazione del reale.
L’impossibilità di un uso strumentale dell’ideologia, l’esempio della borghesia
Se ogni ideologia è inconscia, elemento essenziale di ogni società ed espressione delle difficoltà e
delle esigenze dell’uomo in ogni epoca storica, è escluso che possa avere una funzione puramente
strumentale; l’utilizzo strumentale di qualcosa, infatti, implica un rapporto cosciente con l’oggetto.
Così, in una società divisa in classi, non si può ridurre l’ideologia della classe dominante a semplice
strumento funzionale al mantenimento del dominio di classe. Sebbene infatti i valori ideologici
dominanti siano sempre i principi della classe al potere, e quindi siano l’espressione mistificata di
specifiche relazioni di dominio, la stessa classe dominante non è cosciente di tale realtà, bensì vive
il proprio rapporto con il mondo all’interno stesso dell’ideologia. Ogni classe dominante crede
fortemente nella propria rappresentazione ideologica, e solo così l’ideologia può svolgere la
funzione di preservare il dominio della classe al potere.
Althusser porta l’esempio della borghesia:
“Nell’ideologia della libertà, la borghesia vive così esattamente il suo particolare rapporto con le
proprie condizioni di esistenza, ossia il suo rapporto reale (il diritto dell’economia capitalista
liberale) investito però di un rapporto immaginario ( tutti gli uomini sono liberi, compresi i
lavoratori liberi). La sua ideologia consiste in questo gioco di parole sulla libertà, che tradisce tanto
la volontà borghese di mistificare i suoi sfruttati («liberi») per tenerli a freno con il ricatto della
libertà, quanto il bisogno della borghesia di vivere la sua dominazione di classe come la libertà dei
suoi stessi sfruttati. Come un popolo che ne sfrutta altri non può essere libero, così una classe che si
serve di un’ideologia le è essa stessa soggetta”.
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Marxismo e umanismo – p. 210
Il rapporto reale di sfruttamento di classe viene investito di un rapporto immaginario in cui il mondo
è rappresentato come il mondo della libertà universale; il diritto borghese è propriamente lo
strumento ideologico privilegiato per la conservazione del dominio di classe borghese.
L’ideologia nella società comunista
E in una società senza classi? Se l’approccio ideologico al mondo non è
altro che la coscienza vissuta dell’uomo con il mondo, è palese che
anche qui si deve realizzare una speciale forma ideologica, che non
potrà non essere radicalmente diversa da quella della società di classe,
poiché non deve più preservare il dominio di classe, bensì dovrà
essere strumento funzionale alla vita di ogni singola sfera sociale.
Dice Althusser:
“Nell’ideologia la società senza classi vive l’inadeguazione-adeguazione del suo rapporto col
mondo, in essa e attraverso essa opera la trasformazione della «coscienza» degli uomini, ossia del
loro atteggiamento e della loro condotta per metterli all’altezza dei loro compiti e delle loro
condizioni di esistenza.
In una società classista l’ideologia è il relè attraverso il quale, e l’elemento nel quale il rapporto tra
gli uomini e le loro condizioni di esistenza si regola a beneficio della classe dominante. In una
società senza classi l’ideologia è il relè attraverso il quale, e l’elemento nel quale il rapporto tra gli
uomini e le loro condizioni di esistenza è vissuto a vantaggio di tutti gli uomini”.
Marxismo e umanismo – p. 211
La funzione ideologica del’umanismo
Ritorniamo ora al concetto di umanismo: la sua esistenza è giustificata quindi proprio nell’ambito
della relazione della coscienza vissuta con il mondo oggettivo; è il sintomo di aspirazioni, desideri,
esigenze della coscienza vissuta in relazione a specifiche condizioni di esistenza. Per questo, con il
mutare delle condizioni storiche, è mutato il senso dell’umanismo.
Umanismo borghese della persona nel momento di affermazione della
borghesia rivoluzionaria.
Umanismo socialista come ideologia di classe del proletariato.
Momento storico in URSS in cui l’umanismo socialista tende di nuovo a coincidere con
l’umanismo borghese della persona.
Il saggio Marxismo ed umanismo prende spunto infatti proprio dal ripresentarsi di concezioni
ideologiche e umaniste in URSS alla fine del periodo staliniano che devono essere necessariamente
indice di difficoltà e frustrazioni sorte proprio su tale terreno storico determinato: problemi legati al
periodo del “culto della personalità”, problemi legati alla realizzazione del socialismo in un solo
paese…
“Proprio questa inadeguatezza tra i fini storici e le loro condizioni può spiegare il ricorso
all’ideologia socialista. In realtà, i temi dell’umanismo socialista indicano l’esistenza di problemi
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reali: problemi storici, economici, politici e ideologici nuovi, che il periodo staliniano aveva relegati
nell’ombra, ma che pure ha prodotto, producendo il socialismo; problemi delle forme
d’organizzazione economiche, politiche e culturali corrispondenti al livello di sviluppo raggiunto
dalle forze produttive del socialismo; problemi delle nuove forme dello sviluppo individuale, in un
nuovo periodo della storia in cui lo Stato non si assume più, mediante la coercizione, la direzione o
il controllo del destino di ciascuno, in cui ogni uomo ha ormai obiettivamente la scelta, ossia il
difficile compito di divenire da solo ciò che è. I temi dell’umanismo socialista (libero sviluppo
dell’individuo, rispetto della legalità socialista, dignità della persona, ecc.) sono il modo in cui i
sovietici e gli altri socialisti vivono i loro rapporti con questi problemi, ossia con le condizioni nelle
quali essi si pongono”.
Marxismo e umanismo – p. 213
L’eterno movimento dialettico di scienza e ideologia
Stabilire il limite tra scienza ed ideologia significa allora specificare le condizioni di validità di
determinati concetti. Come la conoscenza delle contraddizioni oggettive di una società non può in
alcun modo essere di aiuto a vivere in determinate contraddizioni, così l’il concetto di umanismo
può essere la rappresentazione proprio di quelle esigenze della coscienza che oltrepassano
l’individuazione delle condizioni oggettive.
Tali rappresentazioni ideologiche devono essere sottoposte alla critica scientifica e superate, ma ciò
non potrà frenare la nascita necessaria di nuove ideologie, quali risposte iniziali al sopravvenire di
nuove problematiche legate alle sempre mutevoli e mutate situazioni storiche.
In questo continuo darsi e superarsi di ideologia e scienza si definisce lo specifico rapporto tra
soggettività e oggettività e si compie continuamente l’infinito movimento della storia.
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