LE FONTI DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA ChIESA ATTUALITà

STRUMENTI
PER L’ANIMAZIONE PASTORALE
Le fonti della dottrina
sociale della Chiesa
Attualità
della Rerum novarum
STRUMENTI
PER L’ANIMAZIONE PASTORALE
Le fonti della dottrina sociale della Chiesa
Attualità della Rerum novarum
a cura di Oreste Bazzichi, redazione de La Società
(Dopo aver passato in rassegna, a partire dal 2005, i temi più
rilevanti del “Compendio della DSC” e le affermazioni successive, in un contesto culturale rinnovato, dell’enciclica “Caritas
in veritate”, da questo numero iniziamo la presentazione dei
principali documenti del magistero sociale della Chiesa, evidenziando i punti di congiunzione delle varie problematiche
della realtà sociale che caratterizzano l’agire dei laici cristiani
oggi. Lo scopo è quello di sintetizzare e di semplificare il vasto
“corpus dottrinale”, facilitandone l’accesso e la comprensione. Il lavoro potrà essere utile sia per avere una conoscenza
articolata e cronologica della DSC su determinate tematiche di
perenne verità, sia per una visione antropologica e unitaria da
cui attingere i valori per rinnovare l’ordine temporale, iniziando dalla palingenesi personale).
1. Leone XIII precursore della Caritas in veritate
Quando si nomina Papa Leone XIII (1878 – 1903), la prima
cosa che viene alla mente è l’enciclica Rerum novarum (15 maggio 1891), dedicata alla “questione operaia”. Egli si trovò di
fronte ad una forte accelerazione dell’industrializzazione che
finì per opprimere le forze del lavoro. Per questo volle richiamare capitalisti e operai ai veri valori morali connessi alle loro
funzioni. La Rerum novarum fu, pertanto, un atto di modernità,
che conferisce a Leone XIII il primato di Papa che ha introdotto
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alla base della Dottrina sociale della Chiesa il legame tra libertà,
etica sociale e carità nelle relazioni industriali. Il concetto di carità, alla base della DSC, nella verità e nella libertà, sottolineato
da Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate (29 giugno
2009) – ultimo tassello contemporaneo della DSC – apparteneva già alla Rerum novarum nella mediazione del conflitto tra
capitale e lavoro e nella gestione dei rapporti lavorativi. C’è un
legame forte tra etica sociale e etica antropologica e bioetica.
Leone XIII, infatti, si pone a metà strada fra le parti: ammonisce
la classe operaia di non dar sfogo alla propria rabbia attraverso
le idee di rivoluzione, di invidia e di odio verso i più ricchi e chiede ai capitalisti di mitigare gli atteggiamenti verso i dipendenti,
auspicando che fra le parti sociali potesse nascere armonia e
accordo nella questione sociale. La stessa cooperazione cattolica, rilanciata, dopo 120 anni, da Benedetto XVI nella Caritas
in veritate, aveva ricevuto un decisivo impulso nella Rerum novarum, i cui contenuti hanno rappresentato il substrato ideale
nel quale il cattolicesimo sociale ha organizzato le prime forme
cooperative nella campagna e nei settori del consumo e del credito. A partire da tali contenuti si è sviluppato il vasto filone del
pensiero della cooperazione, che fa del principio dinamico della carità, una caritas in veritate i re sociali. Naturalmente, non
possiamo dimenticare che prima della Rerum novarum Leone
XIII aveva pubblicato due encicliche fondamentali1: nel 1885
l’Immortale Dei sulla costituzione cristiana degli stati e sulle
relazioni del potere civile con la Chiesa, e nel 1888 Libertas
sull’umana libertà, che viene definita “dono di Dio a cui l’uomo
sceglie di appartenere”. Quindi, è già un’anticipazione profetica
di quella concezione rilanciata da Benedetto XVI, che la libertà
si collega alla verità. Non c’è libertà senza verità. La libertà non
è fare quello che pare e piace, ma è responsabilità. L’uomo deve
assumersi la sua responsabilità di fronte alla sua coscienza, di
fronte a Dio, di fronte alla storia, di fronte alla società. E quindi
la libertà deve essere regolamentata da leggi che esprimano l’ordine con cui Dio ha creato la realtà.
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L’enciclica Rerum novarum richiama, quindi, il forte legame costitutivo tra la libertà umana e la verità. Il legame è inscindibile,
perché la libertà, se rifiuta il vincolo della verità, scade in arbitrio, si sottomette alle passioni e si autodistrugge. Per Leone XIII
la causa dell’ingiustizia sociale è proprio una libertà, nel campo
economico e sociale, sradicata dalla verità dell’uomo.
Concludendo l’enciclica, Leone XIII scriveva: “La salvezza è
principalmente frutto di una grande effusione di carità”; essa è
“signora e regina di tutte le virtù”, è “pronta sempre a sacrificarsi per il prossimo, è il più sicuro antidoto contro l’orgoglio
e l’egoismo del secolo” (n. 35).
Di rimando, Benedetto XVI all’inizio della Caritas in veritate
aggiunge: “Caritas in veritate è principio intorno a cui ruota
la dottrina sociale della Chiesa, un principio che prende forma
operativa in criteri orientativi dell’azione morale” (n.6).
2. Struttura della Rerum novarum
Più del lavoro in sé Leone XIII affronta il problema della condizione operaia, strutturando l’enciclica in tre parti 2.
Nella prima parte sottolinea l’ingiustizia della soluzione socialista, che vuole l’abolizione della proprietà privata, di cui espone
la dottrina e i fondamenti: la dignità della persona umana, il
lavoro, la necessità della famiglia e la pace sociale, e ne rivendica
la legittimità contro coloro che la vogliono considerare un furto.
Nella seconda parte illustra le linee della dottrina sociale della
Chiesa circa le diverse classi sociali. In particolare, affronta il
tema dell’origine e della funzione delle diverse classi sociali,
proponendo la conciliazione tra di esse, perché non può esistere il capitale senza il lavoro, né il lavoro senza il capitale (n. 9);
dà significato al lavoro che è per l’uomo per poter svolgere la
propria esistenza, e quindi necessita di una giusta mercede (n.
10); finalizza il possesso e l’uso delle ricchezze al bene comune,
verso il quale nascono obblighi di carità dei datori di lavoro e
degli operai (nn. 11 - 14).
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Nella terza parte affronta gli apporti alla soluzione della questione sociale (nn. 15 – 34): l’apporto della Chiesa (educazione
e formazione), l’apporto dello Stato (attenzione alla giustizia
distributiva, intervento nella società e in speciali settori come
nella protezione della proprietà, prevenzione degli scioperi, rispetto del riposo festivo, tutela del lavoro di donne e fanciulli,
salvaguardia del diritto al risparmio), l’apporto degli operai
e dei datori di lavoro (società di mutuo soccorso e patronati,
diritto di associazione, cattolici e associazioni operaie).
Da questa sommaria esposizione del contenuto della Rerum
novarum appare chiaro che Leone XIII prospetta la questione
operaia nel suo aspetto globale, considerandola non solo tecnica o economica, ma essenzialmente morale e religiosa. Afferma infatti: “Se la società umana deve essere guarita, lo potrà
essere solo con un ritorno alla vita e alle istituzioni del cristianesimo. È solenne principio che per riformare una società in
decadenza è necessario riportarla ai principi che le hanno dato
vita” (n. 15). Per questo egli non si limita a un generico richiamo ai valori perenni del cristianesimo; entra nel merito delle
questioni sociali, tracciando norme precise relative ai comportamenti individuali e alle stesse strutture dell’ordine sociale.
3. Punti dottrinali permanenti e qualificanti della Rerum novarum
Rileggendo dopo centoventi anni la Rerum novarum si ottiene
un duplice risultato: da un lato, si rinvengono i caratteri distintivi dell’epoca in cui è stata scritta, in quanto presenta un
quadro preciso e concreto delle principali strutture della società di fine Ottocento; dall’altro, si svelano alcuni principi-guida
universali e permanenti che hanno dato l’avvio – in quanto
magna charta - alla dottrina sociale della Chiesa e nello stesso
tempo hanno lasciato una profonda traccia negli svolgimenti
storico-sociali successivi, facendo emergere i valori etici permanenti, validi ovunque e per tutti i tempi. Per meglio cogliere
e valutare la portata di questo secondo aspetto dell’enciclica,
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proponiamo alla riflessione alcuni punti dottrinali che conservano inalterata la loro efficacia e attualità.
a) La proprietà come diritto che appartiene alla natura dell’uomo.
Al centro della vita sociale e quindi anche della vita lavorativa
sta la persona e i suoi diritti fondamentali, tra i quali il diritto
alla proprietà privata, la quale appartiene alla natura dell’uomo 3. L’analisi sulla proprietà viene esaminata e proposta con
estrema accuratezza, con i seguenti ragionamenti. Il diritto alla
proprietà si specifica nell’ambito della libertà di espressione e
di creatività dell’uomo. La soppressione della proprietà costituisce una obbiettiva privazione di un diritto che attiene alla
libertà dell’uomo e ne inaridisce la responsabilità morale e la
capacità di creazione sociale(nn. 4-8). La soppressione della proprietà privata altera i diritti dei proprietari, distorce le
funzioni dello Stato e disgrega l’ordine sociale. La collettivizzazione della proprietà personale danneggia l’operaio perché
gli impedisce di investire il salario e di migliorare la propria
condizione sociale; inoltre, la comunione dei beni è negativa
perché elimina la creatività e l’iniziativa individuale, inaridisce
le fonti della ricchezza, riduce l’effettiva uguaglianza ad una
generale condizione di miseria, lede i naturali diritti individuali
e minaccia la pace sociale. Lo Stato non può intervenire direttamente, né sulla persona, sostituendosi ad essa o privandola
di alcuni diritti fondamentali (socialismo), ma non può neanche entrare in quello che Leone XIII chiama il “santuario della
famiglia”. La proprietà non è solo quella del singolo, ma anche
della persona accolta nelle sue strutture espressive fondamentali (n. 6). Quindi non deve essere gravata da imposte eccessive, perché sarebbe “inumano”. Lo Stato deve proteggere la
proprietà privata (n. 21) e temperarne l’uso, armonizzandolo
con il bene comune.
b) Collaborazione tra le classi sociali.
Leone XIII, constatata l’irriducibile ostilità tra la classe proletaria e quella dei datori di lavoro, lancia una sfida, affermando
che i cristiani fin dai tempi del Nuovo testamento, propugna970 La Società n.5-6 / 2011
no la collaborazione tra le classi sociali (n. 9). Per la Chiesa il
proletario, come il datore di lavoro, sono anzitutto uomini.
Nella società, quindi, le classi sociali sono destinate per natura
ad armonizzarsi ed a equilibrarsi tra di loro: “l’una ha bisogno
assoluto dell’altra, né può sussistere capitale senza lavoro, né
lavoro senza capitale. La concordia fa la bellezza dell’ordine
delle cose, mentre un perpetuo conflitto non può dare che confusione e barbarie” (n. 9). Quindi il problema sostanzialmente
è quello di aiutare lavoratori e datori di lavoro ad avere dei
diritti e dei doveri reciproci secondo giustizia.
c) Giusto salario.
Il lavoratore ha diritto al giusto salario, perché è una persona. Il lavoro serve per vivere, è personale e necessario, ha natura
sociale. È evidente che se “volente o nolente è costretto dalla necessità ad accettare un salario più basso, il lavoratore subisce una
inaccettabile violenza contro la quale la giustizia protesta” (nn.
56-58). Il lavoro è sociale ed ha una diretta relazione non soltanto
con la famiglia, ma anche con il bene comune, perché “produce
la ricchezza degli stati” (n. 44). Il salario è giusto se permette, a
chi ne è responsabile, di mantenere degnamente una famiglia e
di assicurarle il futuro. Tale remunerazione può conseguirsi con:
il salario familiare, dato unicamente al capo famiglia in quantità
sufficiente senza far lavorare il coniuge: altri provvedimenti sociali come gli assegni familiari, gli sgravi fiscali, i contributi alla
madre che si dedica elusivamente alla famiglia, ecc.
d) Educazione dell’uomo.
La lotta, o meglio, i rapporti tra le classi, secondo il Pontefice,
si superano attraverso l’educazione degli uomini, che devono
imparare a vivere, secondo giustizia, nelle loro posizioni e nelle
loro difficoltà, tensioni, dialettiche e limiti. Una verità e una
giustizia riconosciute; in altre parole, occorre educare gli uomini alla carità, perché è soltanto la carità che supera, all’origine, tutte le opposizioni, e che avvia la vita sociale a un superamento delle tensioni e degli odi in una superiore situazione
di giustizia e di carità. Il particolare, il Papa sottolinea che la
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Chiesa ha una importante funzione educativa proprio per quei
soggetti che sono implicati nelle vicende dei conflitti sociali,
per lo più animati dai meccanismi ideologici. “Gesù Cristo –
scrive Leone XIII – ha istituito la Chiesa maestra di vita. Essa
si sforza di educare e formare gli uomini alle massime della
legge eterna, procurando che le acque salutari della sua dottrina scorrano largamente e vadano per mezzo dei vescovi e del
clero ad irrigare tutta quanta la terra” (n. 22).
Educare, quindi, i lavoratori ad essere persone che lavorano,
ma con i propri diritti: diritto al riposo, ad avere una abitazione adeguata, ad esercitare la propria genitorialità, ecc. Il lavoratore non è soltanto quello che entra in fabbrica o in ufficio
alle otto del mattino ed esce alle otto di sera; non è soltanto
un prestatore d’opera, ma è un uomo con le sue convinzioni
religiose e culturali, con le sue responsabilità familiari, sociali e
civili. La Chiesa, quindi, non propone l’ostilità, ma la collaborazione, non l’egoismo, ma la carità, che per essere tale, deve
essere rispettosa della giustizia 4.
e) Funzione dello Stato.
Secondo la Rerum novarum, se lo Stato rimane neutrale nel
dinamismo sociale che determina gli interessi ed i diritti dei
cittadini, offende la giustizia che rende a ciascuno il suo. Nel
tutelare i diritti dei privati, la parte più debole del corpo sociale richiede un’attenzione particolare, perché la parte che
detiene ed esercita il potere economico, fortr per se stessa, ha
meno bisogno di essere aiutata. Il principio di solidarietà è
fondamentale per la concezione cristiana dell’organizzazione
sociale e politica. Leone XIII lo chiama amicizia. Pio XI lo definisce carità sociale. Paolo VI amplia il concetto alle moderne
dimensioni della questione sociale e parla di civiltà dell’amore. La “questione operaia” identificava la terribile condizione,
imposta dal nuovo processo di industrializzazione. I processi
di trasformazione economica, sociale e politica producono gli
stessi mali, anche oggi, nel mondo.
Lo Stato non è padrone della società. Lo Stato non è padrone
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delle famiglie. “La prosperità della nazione – osserva Leone
XIII – deriva dai buoni costumi, dal buon assetto delle famiglie, dall’osservanza della religione e della giustizia, dall’imposizione moderata ed equa della distribuzione dei pubblici
oneri”(n. 29). Gli obblighi ed i limiti dell’intervento dello Stato, descritti dall’enciclica, sono molteplici. In sostanza, lo Stato
deve mettere nelle condizioni i cittadini perché il bene comune
possa essere realizzato pienamente. E aggiunge che “a nessuno
è lecito violare la dignità dell’uomo”, che il riposo festivo è
una necessità (n. 33), che il lavoro deve essere proporzionato
alle forze dell’uomo (n. 34), che il lavoro di donne e bambini
deve essere “particolarmente tutelato” (n.35), che il lavoratore
deve avere un giusto salario (36), che non si può imporre “con
la violenza o la frode un salario ingiusto” (n. 37).
f) Rapporto con le ideologie.
La Rerum novarum denuncia con fermezza l’ingiustizia prodotta dai mutamenti sociali che hanno diviso la società in due
classi, anche se entrambe formano la realtà unitaria dello Stato.
I proletari, al pari dei ricchi cittadini per diritto naturale, sono
la parte più numerosa del corpo sociale. Lo Stato ha il dovere
di assicurare il benessere dei lavoratori per garantire la giustizia
commutativa che vuole si dia a ciascuno il suo. Lo scopo delle
leggi e delle istituzioni è trattare con imparzialità i cittadini e
concretare equamente la giustizia distributiva.
In ogni società, il bene sociale dipende dalla virtù, al cui esercizio occorre una quantità di beni materiali: siccome il loro lavoro
produce i beni che costituiscono la ricchezza degli stati, la partecipazione degli operai alla ricchezza che producono è giusta.
Dopo aver affermato l’esigenza di correggere in profondità il
sistema socio-economico determinato dalla concezione liberista (in quanto esaltazione e idealizzazione della libertà), l’enciclica condanna senza riserve l’ideologia socialista, che prevede
l’abolizione della proprietà privata, radice del male sociale, a
cui viene sostituita la proprietà collettiva e l’eguale distribuzione degli utili (n. 3). Su questo punto il quadro storico, l’intuin.5-6 / 2011 La Società 973
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zione e le previsioni della Rerum novarum sono sorprendentemente ratificati dagli avvenimenti conseguenti alla caduta del
muro di Berlino il 9 novembre 1989.
Considerazioni conclusive.
Se confrontassimo questi spunti di Leone XIII con alcune straordinarie pagine della Caritas in veritate di Benedetto XVI, vedremmo che sostanzialmente nel 1891 come oggi la Chiesa afferma che ha le condizioni per poter educare l’umanità a vivere
tutti gli aspetti della vita, soprattutto quelli così determinanti per
la vita sociale, come il bene comune e i lavoro. Questo il contributo di allora e di oggi di Leone XIII. Il suo magistero e quello
di Benedetto XVI si illuminano reciprocamente per indicare il
futuro, che è la civiltà della verità e dell’amore. Di fronte ad un
magistero così lucido, profondo e lungimirante, che ha formato
generazioni di cristiani che hanno saputo impegnarsi nella vita
culturale, sociale, politica ed economica in tutta una serie di realizzazioni come le scuole, il modello dell’economia di mercato, la
cooperazione, le casse mutue, ecc., non c’era forse miglior modo
coerente di rivisitarlo e di rileggerlo – a centoventi anni dalla sua
promulgazione – se non evidenziando i punti dottrinali intramontabili. Quanto si verifica sui mercati finanziari da tre anni a
questa parte (i subprime,hedge funds, euribor, società off-shore,
leverage, rating, i grandi raids, il pericolo di default degli stati)
rappresenta un cambiamento di mentalità – al di fuori di ogni
fondamento etico – dei managers e degli operatori finanziari, che
guardano di più al profitto facile, derivante dal mercato finanziario, che alla solidità – certamente più faticosa e impegnativa –
dell’economia reale. Difatti, le operazioni finanziarie, impiegate
solo per fare altro denaro, hanno finito per trasformare rapidamente l’economia in prodotti finanziari globalizzati. La ripresentazione e la rilettura della Rerum novarum può essere l’occasione
per il mondo laico, operante negli affari e disattento alle istanze
etiche, di riflettere sulla responsabilità sociale che l’esercizio della
libertà nei processi sociali ed economici comporta.
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Note
I documenti sociali prima della Rerum novarum si limitavano a condannare
i peccati ed a precisare l’insegnamento del decalogo. I principali sono: l’enciclica Mirari vos (1832) di Gregorio XVI (1831 – 1846) contro l’indifferentismo e
gli abusi della libertà di coscienza, di stampa e di pensiero; le encicliche di Pio
IX (1846 – 1878) Qui plurimo (1846) e Noscitis et nobiscum (1848) sui moti
rivoluzionari e le tendenze estremiste, nonché l’enciclica Quanta cura (1864)
con l’annesso Sillabo contro gli errori del modernismo; le encicliche di Leone XIII: Arcanum (1880) sui fondamenti della società umana, la famiglia, il
matrimonio, Diuturnum (1881) sull’origine del potere civile, Quod apostolici
muneris (1878) contro gli errori del socialismo, Sapientiae christianae (1890)
sui principali doveri del cittadino cristiano e nel 1901 l’enciclica Graves de
communi sul giusto concetto di democrazia cristiana e la sua azione sociale.
2
Per approfondire le tematiche affrontate dall’enciclica Rerum novarum
si rimanda, selezionando dalla copiosa letteratura esistente, alle seguenti
pubblicazioni: G. Girardi, Marxismo e cristianesimo, Cittadella Editrice,
Assisi 1969; J. M., Per una teologia dell’epoca industriale, Cittadella, Assisi
1973; A. Ardigò, Toniolo: il primato della riforma sociale, Ettore Cappelli,
Milano 1978; R. Coste, I cristiani e la lotta di classe, Città Nuova Editrice,
Roma 1981; M. Chenu, La dottrina sociale della Chiesa, origine e sviluppo, Queriniana, Brescia 1982; J. Y. Calvez, Economia, uomo, società, Città
Nuova Editrice, Roma1991; O. Bazzichi, Cent’anni di Rerum novarum,
AVE, Roma 1991; G. Manzone, Invito alla dottrina sociale della Chiesa,
Borla, Roma 2004. Suggeriamo, inoltre, il pregevole lavoro di raccolta sistematica compiuta dai monaci di Solesmes, apparso in Italia con il titolo:
Insegnamenti pontifici, Edizioni Paoline, Roma 1957 – 1960.
3
La difesa della proprietà privata caratterizza la Rerum novarum. La proprietà privata è un diritto naturale. L’affermazione netta, non mediabile, è radicalmente alternativa alla concezione comunista, che ne teorizza l’abolizione.
4
La saggezza di Leone XIII nel confrontarsi con le ideologie (marxismo e
liberalismo) e con i regimi totalitari è stata di grande lungimiranza, perché
non ha posto la Chiesa al centro delle istituzioni e della politica, ma in una
centralità di tipo educativo. In questo modo ha potuto difendere la sua libertà di presenza nella società e il suo diritto fondamentale all’educazione.
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