Frege e le origini della logica matematica 1. Lo

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Pubblicato in: G. Frege, Leggi fondamentali dell’aritmetica, Teknos, Roma 1995, pp. IX-LXVI.
Frege e le origini della logica matematica
1. Lo spirito delle Leggi
Vi sono numerose opere molto citate e poco lette. Un luminoso esempio è dato dalle Leggi
fondamentali dell’aritmetica [Grundgesetze der Arithmetik] Vol. 1 (1893) e Vol. 2 (1903) di Gottlob Frege
(1848-1925), di cui in questo libro viene data parziale traduzione.
Le Leggi constano di tre parti, precedute da una lunga prefazione e da una breve introduzione e seguite
1
da un’appendice. Nella prima parte, dal titolo ‘Esposizione dell’ideografia’ (Vol. 1, §§ 1-52), si formulano le
nozioni fondamentali, gli assiomi e le regole di inferenza del sistema (detto, appunto, ideografia), si discutono
alcuni principi generali sulle definizioni e si definiscono alcuni concetti fondamentali. Nella seconda parte, dal
titolo ‘Dimostrazioni delle leggi fondamentali del numero cardinale’ (Vol. 1, §§ 53-179 e Vol. 2, §§ 1-54), si
dimostrano nel sistema vari teoremi concernenti i numeri naturali finiti e il numero infinito (cioè il numero di
tutti i numeri naturali finiti). Nella terza parte, dal titolo ‘I numeri reali’ (Vol. 2, §§ 55-245), si prospetta una
teoria dei numeri reali e si esaminano criticamente varie teorie alternative. Tale parte è, però, incompleta e si
2
chiude rimandando ad un “prossimo compito”. Questo farebbe supporre che Frege intendesse scrivere un terzo
volume dell’opera, sulla teoria dei numeri irrazionali, e in effetti sia Jourdain e Wittgenstein ebbero
l’impressione che Frege avesse questa intenzione, ma essi gli sconsigliarono di farlo perché dubitavano che un
tale volume avrebbe potuto essere “da tutti i punti di vista all’altezza del primo e del secondo per originalità e
3
acutezza”. Di fatto un terzo volume non vide mai la luce. L’opera si chiude con un’appendice in cui si dà
notizia del paradosso di Russell, se ne individuano le cause e si tenta di darne una soluzione.
Il presente volume offre una traduzione della prefazione, dell’introduzione e dei §§ 1-48, cioè di quasi
tutta la prima parte delle Leggi. Sono stati tralasciati i §§ 49-52, che contengono solo qualche esempio di
dimostrazione nel sistema.
Le Leggi sono la principale opera di Frege. La sua importanza deriva dal fatto che, insieme alla
precedente Ideografia [Begriffsschrift] (1879), di cui rappresenta il perfezionamento e il completamento, essa
ha dato origine alla logica matematica e alla ricerca sui fondamenti della matematica. Eppure, nonostante la sua
rilevanza, essa ha avuto più citazioni che attenti lettori. Certo, a ciò ha molto contribuito la scoperta del
paradosso che Russell comunicò a Frege con una lettera del 16 giugno 1902, quando il secondo volume delle
Leggi era ormai stato completato. Il paradosso era disastroso per le Leggi, perché comprometteva
definitivamente il disegno dell’opera di mostrare che tutta la matematica esistente (tranne la geometria) poteva
essere fondata sulla sola logica, disegno che si inseriva nel filone di quella concezione logicista della
1
Una traduzione di alcune sezioni della prefazione e della terza parte, e una traduzione integrale dell’appendice,
si possono trovare in G. Frege, Logica e aritmetica, a cura di C. Mangione, Torino (Boringhieri) 1965, pp. 480594.
2
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 2, rist. anastatica, Hildesheim (Olms) 1962, p. 243; trad. it. in
Logica e aritmetica, cit., p. 570.
3
G. Frege, Alle origini della nuova logica: Carteggio scientifico, Torino (Boringhieri) 1983, p. 103.
matematica le cui origini risalgono almeno a Leibniz. In particolare, secondo Leibniz, il principio di
contraddizione o di identità sarebbe bastato da solo “a dimostrare tutta l’aritmetica e tutta la geometria, cioè
4
tutti i principi matematici”. Col principio di contraddizione soltanto, però, ben difficilmente si sarebbe potuto
realizzare il disegno logicista, e nelle Leggi Frege si propone di determinare quali principi logici aggiuntivi
sarebbero necessari per farlo.
Il fallimento del suo tentativo non spiega del tutto la scarsa frequentazione dell’opera, che contrasta
col vivo interesse che, invece, specie nell’ambito della cultura anglosassone, hanno riscosso e continuano a
riscuotere altre opere di Frege, come I fondamenti dell’aritmetica [Die Grundlagen der Arithmetik] (1884), che
pure si iscrivono nel suo disegno logicista. Forse la spiegazione più plausibile sta nel fatto che, mentre altre
opere di Frege sembrano presentare più valenze, le Leggi sono così essenzialmente e indissolubilmente legate al
disegno logicista che non si prestano agevolmente ad altre letture, anche se non mancano, come vedremo,
tentativi di leggere diversamente alcuni paragrafi dell’opera.
Va subito chiarito, però, che nelle Leggi il disegno logicista non era fine a sé stesso ma era solo un
mezzo per raggiungere una finalità epistemologica più generale, cioè quella di “confutare i dubbi sulla validità
5
della nostra conoscenza matematica”. La responsabilità di tali dubbi viene individuata da Frege in perfetta
sintonia con le coeve denunce di Cantor. In una recensione, peraltro parzialmente critica, a un lavoro di
quest’ultimo, Frege dichiara di poter ripetere, “con piena approvazione, una frase dell’autore: ‘Così vediamo la
potente scepsi accademico-positivistica ora imperante in Germania, finalmente giunta anche all’aritmetica, dove
sembra trarre le ultime conseguenze che ancora le sono possibili, con il risultato più clamoroso e forse per lei
6
medesima più fatale’. Proprio così!”. Parlando di scepsi accademico-positivistica Cantor intende riferirsi in
particolare a Kronecker e a Helmholtz. Kronecker proclamava, contro Weierstrass e Cantor, che le grandezze
irrazionali e continue andavano eliminate dalla matematica e che l’uso dell’infinito attuale era infondato.
Secondo lui tutte le discipline matematiche, ad eccezione della geometria, potevano, e quindi dovevano, essere
ridotte all’aritmetica in senso stretto, e un giorno si sarebbe riusciti “a fondarle unicamente sul concetto di
numero naturale nel senso più ristretto di questo termine; così come a eliminare le modifiche e gli ampliamenti
di questo concetto (intendo qui esplicitamente le grandezze irrazionali e continue) che sono stati causati per lo
7
più dalle applicazioni della geometria e della meccanica”. Dal canto suo Helmholtz addirittura faceva entrare il
soggettivismo nel concetto stesso di numero naturale, affermando che “l’aritmetica o la teoria pura dei numeri è
8
un metodo poggiante su fatti puramente psicologici”.
Frege si unisce a Cantor nella sua lotta contro Kronecker e Helmholtz. Egli respinge la riserve sugli
irrazionali di Kronecker, che li considera “non solo come inessenziali, ma addirittura come non aritmetici, tali
cioè che le dimostrazioni condotte col loro ausilio poggiano su qualcosa che intorbida la purezza
9
dell’aritmetica”. Al contrario, secondo Frege, si deve vedere se si possa “riuscire a definire i numeri irrazionali
10
per via puramente aritmetica; e noi tenteremo di aprire una tale via”. A proposito dei dubbi sull’infinito
attuale, egli osserva che nascono dal fatto che “all’infinito vengono attribuite proprietà che non gli spettano, sia
in quanto gli si trasferiscono, come evidenti, proprietà del finito, sia in quanto si trasferisce a tutti gli infiniti una
11
proprietà che spetta solo all’infinito assoluto”. Una parte dei dubbi deriva dalla confusione che si fa tra
infinito attuale e infinito potenziale pretendendo che quest’ultimo sia un infinito in senso proprio, e a causa di
tale confusione “molti scienziati ammettono solo l’infinito potenziale. Ora Cantor felicemente mostra che
questo infinito presuppone l’infinito proprio o attuale, cioè che il ‘limite in mutamento’ non può fare a meno di
12
un percorso infinito, se deve via via mutare senza interruzione”. Le ricerche di Cantor sull’infinito attuale
4
G.W. Leibniz, Die philosophischen Schriften, a cura di C.I. Gerhardt, Hildesheim (Olms) 1965, VII, 355.
G. Currie, Frege: An introduction to his philosophy, Brighton (Harvester) 1982, p. 141.
6
G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 417.
7
L. Kronecker, ‘Über den Zahlbegriff’, Crelle Journal, vol 101 (1887), pp. 337-355.
8
H. von Helmholtz, ‘Zählen und Messen erkenntnistheoretisch betrachtet’, in Philosophische Vorträge und
Aufsätze, a cura di H. Hörz e S. Wollgast, Berlin (Akademie) 1971.
9
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 2, cit. p. 155, nota; trad. it. cit., p. 556.
10
G. Frege, op. cit., p. 155, nota; trad. it. cit., p. 556.
11
G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 414.
12
G. Frege, op. cit., p. 414.
5
2
conducono ad “un vero ampliamento della scienza, sopra tutto notevole in quanto riesce ad aprire una via
13
puramente aritmetica verso numeri infiniti superiori (potenze)”.
A proposito del saggio di Helmholtz, Frege osserva: “Ben poco mi si è presentato di meno filosofico di
questo articolo filosofico, e ben poche volte è stato più misconosciuto il senso della questione epistemologica di
14
come qui accade”. Se si prendesse sul serio l’idea di Helmholtz che l’aritmetica poggia su fatti puramente
psicologici, non si potrebbe più parlare, ad esempio, del numero 2, ma ci sarebbero tanti numeri 2 distinti
15
quante sono le persone, e così “bisognerebbe precisare ogni volta: il mio 2, il tuo, un 2, tutti i 2”. E “col
crescere di nuove generazioni di uomini, sorgerebbero sempre dei nuovi 2; e chi può sapere se essi non si
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evolverebbero coi secoli, talché il prodotto 2×2 non divenisse un giorno eguale a 5?”
A Kronecker e Helmholtz, Frege accomuna anche il primo Hussserl, secondo cui i numeri sono solo
17
“rappresentazioni, risultati di un processo o di un’attività spirituali”. Identificando i numeri con le loro
rappresentazioni simboliche, Husserl “si avvicina considerevolmente alle opinioni di Helmholtz e di Kronecker.
Il numero dovrebbe quindi mutare se venissero mutati i segni. Noi avremmo numeri del tutto diversi da quelli
18
degli antichi Greci e Romani”. Se un geografo vedesse un trattato di oceanografia in cui l’origine dei mari
venisse spiegata psicologicamente, lo vedrebbe come una bizzarria. Un’analoga impressione viene provocata a
Frege dalle opinioni sull’aritmetica di Husserl. Certo, c’è una differenza, perché “il mare è qualcosa di reale,
19
mentre il numero non lo è; ma ciò non gli impedisce di essere qualcosa di oggettivo; e questo è l’importante”.
Leggendo le opinioni di Husserl, dice Frege, “ho potuto misurare quanto estesa sia la desolazione provocata
20
dall’intrusione della psicologia nella logica, e ho ritenuto mio compito meterrne bene in luce il danno”.
Attraverso questa rovinosa intrusione della psicologia nella logica, “tutto sfocia nell’idealismo, e con la
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massima conseguenzialità nel solipsismo”.
Con i suoi argomenti distruttivi, la potente scepsi accademico-positivistica ormai imperante in Germania
apriva la porta al soggettivismo, al relativismo e allo scetticismo in matematica. Per metterla definitivamente a
tacere, si sarebbe dovuto mostrare che la conoscenza matematica poteva essere fondata su una base
assolutamente sicura e certa. Questa finalità epistemologica costituisce lo scopo ultimo, non solo delle Leggi,
ma di tutta l’opera di Frege, nella quale non risuonano molte note ma si cerca la perfezione di un’unica nota:
fondare la sicurezza e certezza della matematica.
Fin dall’Ideografia questa è la preoccupazione principale di Frege. Per lui “il riconoscimento di una
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verità scientifica passa di solito attraverso vari gradi di sicurezza”. Inizialmente una legge scientifica viene
forse indovinata a partire da un numero limitato di suoi casi particolari, ma nessuna legge scientifica può essere
stabilita conclusivamente in tal modo perché essa contiene come casi particolari infiniti casi singoli, essendo
23
una “proposizione generale”. Però, man mano che si riesce a collegarla mediante catene deduttive con altre
24
verità scientifiche, essa “viene consolidata in modo via via più sicuro”. Dunque la prima via per assicurare la
sicurezza della matematica consiste nell’organizzarla come un sistema di catene deduttive, ossia come un
sistema assiomatico, stando ben attenti, però, che nelle catene deduttive non si insinuino in alcun modo
considerazioni empiriche o intuitive ma si faccia uso solo di inferenze logiche. Infatti le considerazioni
empiriche o intuitive possono essere fonte di errore, mentre “il modo più sicuro di condurre una dimostrazione è
quello puramente logico, che, astraendo dalla natura particolare delle cose, si basa soltanto sulle leggi sulle
13
G. Frege, op. cit., p. 326.
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 2, cit. p. 140, nota; trad. it. cit., p. 552.
15
G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 259.
16
G. Frege, op. cit., p. 259.
17
G. Frege, op. cit., p. 434.
18
G. Frege, op. cit., pp. 434-435.
19
G. Frege, op. cit., p. 436.
20
G. Frege, op. cit., pp. 436-437.
21
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, rist. anastatica, Hildesheim (Olms) 1962, p. XIX; qui a p.
22
G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 103.
23
G. Frege, op. cit., p. 103.
24
G. Frege, op. cit., p. 103.
14
3
.
25
quali si fonda ogni conoscenza”. Per raggiungere il massimo della sicurezza, Frege vuole mostrare che in tutta
la matematica si può procedere “in modo puramente deduttivo, basandosi solo sulle leggi del pensiero, che sono
26
al di sopra di ogni particolarità”.
Questo, però, da solo non basta a fondare la sicurezza della matematica, perché non garantisce che gli
assiomi da cui partono le dimostrazioni siano sicuri. Infatti, secondo Frege, nel caso della geometria la
sicurezza degli assiomi è garantita dall’intuizione a priori dello spazio, perché “gli elementi di tutte le
costruzioni geometriche sono intuizioni, e la geometria si rivolge all’intuizione come fonte di tutti i suoi
27
assiomi”. Invece, per i motivi che esamineremo in seguito, questo non vale per le altre parti della matematica,
per le quali Frege non vede altra soluzione che fondarne la sicurezza sulla logica, mostrando che tutti i loro
concetti sono riducibili a concetti logici e tutti i loro teoremi sono derivabili da assiomi logici. Solo in questo
28
modo “si riesce a raggiungere la necessaria sicurezza”. Se si potesse effettuare una tale riduzione, si
29
raggiungerebbe lo scopo “di elevare al di sopra di qualsiasi dubbio la verità dei singoli teoremi”. Inoltre, per
ogni proposizione matematica, si comprenderebbe su che cosa poggia la sua giustificazione, e così si
30
giudicherebbe “la base ultima su cui è fondata la sua verità”. Questa base ultima, spera Frege, dovrebbe
risultare essere la logica.
Questa interpretazione delle Leggi, che ne individua lo scopo ultimo nella finalità epistemologica di
fondare la sicurezza e certezza della matematica, contrasta con la lettura, dovuta soprattutto a Dummett, che ha
prevalso nell’ultimo ventennio nell’ambito della filosofia anglosassone, la quale mira a creare un pedigree per
l’indirizzo analitico in essa predominante, in cui Frege figurerebbe come “il padre della ‘filosofia
31
linguistica’”. Secondo tale lettura la rilevanza delle Leggi, come di tutta l’opera di Frege, non sarebbe legata
al tentativo di conseguire uno scopo epistemologico, ma starebbe piuttosto nell’aver fatto dell’analisi dei
significati l’oggetto primario della filosofia. Anzi, lo stesso Frege avrebbe interpretato in tal modo la sua opera,
dal momento che, secondo Dummett, “per Frege il primo compito di ogni indagine filosofica è l’analisi dei
32
significati”. Dummett conviene che le Leggi siano l’opera più importante di Frege, e che “quello che è detto
33
nei Grundgesetze ha più peso di qualsiasi altra cosa”. Ma egli si riferisce a quei limitati paragrafi delle Leggi
che possono considerarsi rilevanti per l’analisi dei significati e che spesso, nell’ambito della cultura
anglosassone, vengono letti fuori del contesto e facendo astrazione dalla finalità principale dell’opera.
Secondo Dummett, per Frege l’analisi dei significati sarebbe “il fondamento di tutta la filosofia, e non
34
l’epistemologia, come Descartes ci ha erroneamente portato a credere”. La fondamentale acquisizione di
Frege starebbe “nel fatto che egli ignorò totalmente la tradizione cartesiana e fu in grado, dopo la morte, di
35
imporre la sua prospettiva a altri filosofi della tradizione analitica”. Quindi, possiamo “datare un’intera epoca
36
della filosofia a partire dal lavoro di Frege, esattamente come possiamo fare con Descartes”. Frege avrebbe
impresso una svolta anticartesiana alla filosofia, in quanto avrebbe distinto nettamente il compito di analizzare i
37
significati da quello “di stabilire che cosa è vero e quali sono i nostri fondamenti per accettarlo”. E avrebbe
considerato principale il primo compito e subordinato il secondo. Questo non significa che egli non avesse
interesse per l’epistemologia, ma solo che non individuava in essa l’oggetto primario della filosofia.
L’argomento di Dummett è del tipo seguente. È vero che lo scopo originario di Frege era quello epistemologico
25
G. Frege, op. cit., p. 103.
G. Frege, op. cit., p. 104.
27
G. Frege, Kleine Schriften, a cura di I. Angelelli, Hildesheim (Olms) 1990, p. 50.
28
G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 218.
29
G. Frege, op. cit., p. 222.
30
G. Frege, op. cit., p. 223.
31
M. Dummett, Frege: Philosophy of language, 2a ediz., London (Duckworth) 1981, p. 683.
32
M. Dummett, op. cit., p. 667.
33
M. Dummett, The interpretation of Frege’s philosophy, London (Duckworth) 1981, p. 8.
34
M. Dummett, Frege: Philosophy of language, cit., p. 669.
35
M. Dummett, op. cit., p. 667.
36
M. Dummett, op. cit., p. 669.
37
M. Dummett, op. cit., p. 667.
26
4
38
di indagare la nostra conoscenza matematica per “scoprire i fondamenti della teoria dei numeri e dell’analisi”.
Egli ritenne di individuare tali fondamenti nella logica. Ma, nel tentativo di elaborare gli strumenti logici
necessari per mettere in opera quei fondamenti, Frege “si trovò spinto verso indagini sulla teoria generale del
39
significato”. E, secondo Dummett, queste indagini finirono per assumere ai suoi occhi un ruolo così
40
preponderante che “è questa parte della filosofia che egli trattò come fondamentale per tutto il resto”. In tal
modo Frege sarebbe arrivato ad affermare il primato della teoria del significato sull’epistemologia, operando
così una svolta anticartesiana nella filosofia.
Questo argomento di Dummett si basa su una confusione tra mezzi e fini. Esso afferma che, siccome
per affrontare il problema epistemologico di stabilire i fondamenti della sicurezza e certezza della matematica
Frege ritenne necessario svolgere indagini sulla teoria del significato, per lui quest’ultima, e non
l’epistemologia, avrebbe costituito l’oggetto primario della filosofia. In questo modo Dummett scambia quello
che per Frege era solo uno strumento, per il suo oggetto primario di indagine, trascurando così ciò che lo stesso
41
Frege sottolinea con forza, e cioè che nella sua opera “quasi tutto è legato all’ideografia”. Rispetto
all’ideografia, non solo la teoria del significato non è che uno strumento, ma non è neppure lo strumento
principale, perché uno strumento certo ancor più fondamentale è il metodo assiomatico.
Se si dovesse prendere sul serio l’argomento di Dummett, si dovrebbe affermare che il merito di aver
operato una svolta anticartesiana nella filosofia non andrebbe attribuito a Frege ma a Locke, e che quindi si
dovrebbe datare un’intera epoca della filosofia a partire da quest’ultimo piuttosto che da Frege. Infatti, anche
Locke era partito con l’intento, tutto epistemologico, di “esaminare l’estensione e la certezza della nostra
42
conoscenza”. Ma, nel tentativo di farlo, anch’egli si trovò spinto a riconoscere che la conoscenza “ha una
connessione così stretta con le parole, che a meno che non si osservassero bene prima la loro forza e il modo
43
della loro significazione, si potrebbe dire ben poco in modo chiaro e pertinente circa la conoscenza”. Infatti
“c’è un rapporto così stretto tra le idee e le parole, e le nostre idee astratte e le parole generali hanno una
relazione così costante tra loro, che è impossibile parlare chiaramente e distintamente della nostra conoscenza,
44
che consiste tutta di proposizioni, senza considerare prima la natura, l’uso e il significato del linguaggio”.
Tuttavia nessuno potrebbe sostenere seriamente che Locke abbia operato una svolta anticartesiana
nella filosofia assegnando il ruolo primario alla teoria del significato, e questo perché il tentativo di Locke era
tutto interno alla tradizione epistemologica. Raffinate indagini sul significato erano già state condotte nel Medio
Evo, ma la novità di Locke sta proprio nel fatto che egli fece di queste indagini uno strumento per lo studio
della conoscenza. Certamente le indagini sul significato sono, per Locke, uno strumento importante, perché le
45
idee e le parole sono “i grandi strumenti della conoscenza”. Ma, nonostante la loro importanza, esse
rimangono pur sempre uno strumento rispetto al fine di indagare la questione dell’estensione e della certezza
della nostra conoscenza.
Analogamente, anche il tentativo di Frege è tutto interno alla tradizione epistemologica, perché le sue
indagini sul significato sono strumentali e subordinate rispetto allo scopo principale di fondare la conoscenza
matematica onde confutare i dubbi sulla sua validità. A tal fine egli ritiene necessario condurre indagini, per
esempio, sulla distinzione tra funzione e oggetto e sulla natura del giudizio, indagini che, da lui svolte subito
dopo la pubblicazione de I fondamenti dell’aritmetica come parte del lavoro preparatorio per le Leggi e
pubblicate in vari articoli, rifluiranno poi nell’opera principale, dal che appare evidente il loro carattere
strumentale rispetto allo scopo primario di quest’ultima. Una prova conclusiva di questa interpretazione è data
dal fatto che, come vedremo in seguito, nel momento in cui, a causa del paradosso di Russell, la teoria del
significato di Frege nelle Leggi si rivelerà inadeguata rispetto allo scopo di confutare i dubbi sulla validità della
nostra conoscenza matematica, Frege non esiterà a battere un’altra strada, non basandosi per raggiungere il suo
scopo su una nuova teoria del significato, bensì su un diverso strumento, cioè sull’intuizione a priori dello
spazio, in barba alla presunta primarietà dell’analisi dei significati.
38
M. Dummett, The interpretation of Frege’s philosophy, cit., p. 62.
M. Dummett, op. cit., p. 63.
40
M. Dummett, op. cit., p. 63.
41
G. Frege, Scritti postumi, Napoli (Bibliopolis) 1986, p. 307.
42
J. Locke, An essay concerning human understanding, III, 9, 21.
43
J. Locke, op. cit., III, 9, 21.
44
J. Locke, op. cit., II, 33, 19.
45
J. Locke, op. cit., IV, 21, 4.
39
5
La finalità epistemologica di eliminare i dubbi sulla validità della nostra conoscenza matematica spiega
la veemenza polemica di Frege, nelle Leggi e in molti altri suoi scritti, contro quel naturalismo, caratterizzato
dall’opposizione a ogni forma di a priori e dall’adesione ad un radicale empirismo, che si era venuto
affermando in Germania a partire dagli anni trenta dell’Ottocento, come reazione contro l’idealismo, e che
aveva a Jena, nella stessa università di Frege, nel naturalista e biologo Haeckel, uno dei suoi grandi sostenitori.
Nel naturalismo rientrava quella che Cantor chiamava la potente scepsi accademico-positivistica giunta ormai
anche all’aritmetica. Per esempio, con la tesi di Helmholtz secondo cui l’aritmetica era un metodo che poggiava
su fatti puramente psicologici, si affermava la tesi pericolosa che “l’aritmetica, la più esatta fra tutte le scienze,
46
dovesse proprio fondarsi sulla psicologia, ancora tanto vacillante e malsicura”. Inoltre con Helmholtz lo
psicologismo si coniugava con un’altra forma di naturalismo, cioè l’empirismo, e in tal modo si aveva un
47
“accostamento di psicologia ed empiria che non fa che aumentare l’oscurità”. Ciò che queste forme di
naturalismo avevano in comune era il rifiuto di ammettere che “il vero è tale indipendetemente dal nostro
48
riconoscimento”. Ma, non accettandolo, ogni “disputa intorno alla verità sarebbe futile. Mancherebbe un
campo di battaglia comune: ogni pensiero sarebbe racchiuso nel mondo interiore di ciascuno e una
49
contraddizione tra i pensieri dei singoli individui sarebbe come una battaglia tra noi e i marziani”. Perciò
“non si darebbe scienza, né errore, né correzione dell’errore, non si darebbe insomma niente di vero nel senso
50
comune del termine”. In contrapposizione al naturalismo, Frege vuol ancorare la conoscenza matematica a
qualcosa di assolutamente oggettivo e indipendente da noi perché, se non lo si facesse, “allora cesserebbe la
51
conoscibilità del mondo e tutto precipiterebbe in una grande confusione”.
Ciò inserisce Frege a buon diritto in quella tradizione cartesiana ignorando la quale, secondo
Dummett, egli avrebbe impresso una svolta epocale alla filosofia. Per sfuggire ai dubbi sulla validità della
nostra conoscenza matematica, Descartes ricorre addirittura a Dio. Frege non si spinge fino a tanto, ma
anch’egli vuole realizzare l’ideale filosofico di una scienza basata su principi che siano al di là di ogni dubbio.
Mentre la geometria corrispondeva a questo ideale filosofico, perché era una scienza assiomatica i cui principi
erano dati immediatamente dall’intuizione a priori dello spazio, tale ideale non era soddisfatto dalla matematica
sviluppata dal Seicento all’Ottocento, rappresentata soprattutto dall’analisi infinitesimale. Perciò Frege si pone
il problema di come far sì che anche quella parte corrisponda a quell’ideale. Contrapponendo Frege a
Descartes, Dummett afferma che “Descartes, come altri razionalisti dopo di lui, riteneva che fosse necessario
per tutta la conoscenza raggiungere la condizione che si pensava Euclide avesse conferito alla conoscenza
52
geometrica - renderla consapevolmente chiara e assolutamente certa”. Ora, è esattamente questo che, da buon
razionalista, Frege intende fare nelle Leggi per l’analisi infinitesimale.
2. L’analisi delle Leggi
Mentre Dummett ritiene che per Frege l’analisi dei significati sia il compito principale della filosofia,
un altro tipo di analisi sembra preoccupare Frege nelle Leggi, e spiega la sua esigenza di confutare i dubbi sulla
validità della nostra conoscenza matematica: l’analisi infinitesimale. Quest’ultima ha svolto un ruolo cruciale
nella scienza moderna di cui è stata lo strumento matematico fondamentale, ma, secondo Frege, questa parte
della matematica “lascia quasi tutto a desiderare, confrontata con l’ideale che non a torto ci si fa di questa
scienza, e se si considera che, per la sua stessa natura, dovrebbe essere più idonea di altre discipline ad
53
avvicinarsi al suo ideale”. Nell’analisi infinitesimale regna la più grande confusione, dal momento che
“espressioni di uso comune, come ‘funzione’, ‘variabile’, ‘eguale’, vengono spiegate in modo completamente
diverso dai vari autori, e queste divergenze non sono solo marginali, ma riguardano l’essenza stessa della
46
G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 259.
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 2, cit. p. 140, nota; trad. it. cit., p. 552.
48
G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 239.
49
G. Frege, op. cit., pp. 240-241.
50
G. Frege, op. cit., p. 240.
51
G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 216.
52
M. Dummett, Frege: Philosophy of language, cit., p. 676.
53
G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 271.
47
6
54
questione”. Avviene così che, per esempio, “un matematico spieghi l’espressione ‘integrale definito’ come un
certo valore limite di una somma. Lo stesso autore però non si fa scrupoli di adoperare quell’espressione come
55
se intendesse in realtà un complesso di segni, di cui l’integrale è una parte componente”.
Per avvicinarsi all’ideale che, secondo Frege, non a torto ci si fa della matematica, anche l’analisi
infinitesimale dovrebbe basarsi su principi assolutamente certi e indubitabili. Questo compito non può essere
realizzato ricorrendo all’intuizione geometrica, come in effetti si è fatto dal Seicento all’Ottocento e come,
secondo Frege, si continua a fare nella matematica contemporanea, per esempio con Cantor nel quale “il fattore
56
decisivo viene spostato sulla geometria, col che la teoria non è più puramente aritmetica”. L’intuizione
geometrica è affidabile nel campo delle figure finite di cui si occupa la geometria, ma non in quello delle
grandezze infinite o infinitesime che occorrono nell’analisi infinitesimale. Proprio perché ha estrapolato
l’intuizione geometrica dal campo del finito a quello dell’infinito e dell’infinitesimo, l’analisi infinitesimale è
andata incontro ad errori e persino a contraddizioni. Di qui l’esigenza di Frege di fondare l’analisi infinitesimale
su principi assolutamente sicuri e certi.
Come appare chiaro, ad esempio, da de L’Hôpital, a partire da Leibniz l’analisi infinitesimale si era
basata sui seguenti principi: 1) due quantità che differiscono solo per un infinitesimo possono essere considerate
eguali; 2) leggi che valgono per le quantità finite valgono anche per gli infinitesimi; 3) operazioni che valgono
per le quantità finite, per esempio l’addizione, possono essere ripetute un numero infinito di volte dando luogo a
57
una quantità finita. I primi due principi comportavano che gli infinitesimi fossero considerati eguali a zero in
certi contesti e diversi da zero in altri contesti, il che dava luogo a errori e contraddizioni. Anche il terzo
principio spesso dava luogo a errori e contraddizioni.
È a questa difficoltà che si riferisce Frege quando dice che, nelle parti della matematica diverse dalla
geometria, tradizionalmente si procedeva in modo meno rigoroso che non in quest’ultima, e che questa tendenza
alla mancanza di rigore “si accentuò ancora maggiormente dopo la scoperta dell’analisi superiore; da un lato
infatti parvero elevarsi difficoltà gravi, quasi insormontabili, contro ogni tentativo di esporre l’analisi in forma
rigorosa, dall’altro parve che il loro superamento non dovesse dar luogo a risultati capaci di ricompensare gli
sforzi compiuti. Tuttavia gli sviluppi ulteriori mostrarono in modo sempre più chiaro che in matematica non è
58
sufficiente una pura e semplice persuasione morale, fondata sul gran numero di applicazioni riuscite”. Qui ‘la
scoperta dell’analisi superiore’ si riferisce alla creazione dell’analisi infinitesimale; lo elevarsi di ‘difficoltà
gravi, quasi insormontabili’ si riferisce ai problemi derivanti da principi come quelli già menzionati di de
L’Hôpital; la ‘persuasione morale, fondata sul gran numero di applicazioni riuscite’ si riferisce alla
convinzione, sviluppatasi nel periodo che va dal Seicento all’Ottocento, che, nonostante l’analisi infinitesimale
poggiasse su principi incoerenti, in pratica la si poteva usare nelle applicazioni alla fisica perché funzionava in
moltissimi casi.
Le difficoltà dell’analisi infinitesimale vennero in gran parte, sebbene non del tutto, risolte nella
seconda metà dell’Ottocento, soprattutto ad opera di Weierstrass, Dedekind e Cantor, che in vario modo
mostrarono come gli infinitesimi potessero essere eliminati dall’analisi infinitesimale basandone l’intera
costruzione sull’aritmetica e realizzando così la cosiddetta aritmetizzazione dell’analisi. Per esempio, anche
secondo Dedekind l’analisi infinitesimale faceva “appello, più o meno consapevolmente, a rappresentazioni
59
geometriche o suggerite mediante la geometria”. Ora, “nessuno vorrà sostenere che una simile introduzione al
60
calcolo differenziale possa pretendere di essere scientifica. In particolare, la rappresentazione geometrica
veniva usata “nella dimostrazione del teorema che ogni grandezza costantemente ma non illimitatamente
61
crescente tende certamente a un limite”. Tale teorema poteva “essere considerato in un certo senso come un
fondamento sufficiente dell’analisi infinitesimale. Pertanto si trattava solo di scoprirne l’origine autentica negli
54
G. Frege, op. cit., p. 271.
G. Frege, op. cit., p. 272.
56
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 2, cit., p. 95; trad. it. cit., p. 530.
57
Cfr. C. Houzel, J.-L. Ovaert, P. Raymond e J.-J. Sansuc, Philosophie et calcul de l’infini, Paris (Maspero)
1976, pp. 212-3; A. Robinson, Non-standard analysis, Amsterdam (North-Holland) 1970, pp. 264-265.
58
G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 221.
59
J.W.R. Dedekind, Scritti sui fondamenti della matematica, Napoli (Bibliopolis) 1982, p. 64.
60
J.W.R. Dedekind, op. cit., p. 63.
61
J.W.R. Dedekind, op. cit., p. 63.
55
7
62
elementi dell’aritmetica”. Per farlo, occorreva “cercare il modo di definire completamente i numeri irrazionali
63
mediante i soli numeri razionali”. Questo venne realizzato da Dedekind attraverso il cosiddetto metodo delle
sezioni, in base al quale egli poté dimostrare facilmente il teorema già menzionato secondo cui una grandezza
variabile che cresce sempre ma non illimitatamente tende a un limite, dando così una fondazione aritmetica
all’analisi infinitesimale.
Al pari di Weierstrass, Dedekind e Cantor, anche Frege vuol dare una fondazione aritmetica
dell’analisi infinitesimale. Per lui “il calcolo infinitesimale, nella sua essenza, è puramente aritmetico, e non è
64
lecito, per la definizione o la giustificazione dei suoi concetti fondamentali, rifarsi alla geometria”. Ma egli
contesta che la fondazione di Weierstrass, Dedekind e Cantor sia puramente aritmetica. Il loro approccio riduce
l’analisi infinitesimale, non alla sola aritmetica, bensì all’aritmetica più la teoria degli insiemi. In tal modo si
elimina una nozione oscura, quella di infinitesimo, ma solo ricorrendo ad un’altra altrettanto oscura, quella di
insieme. Per esempio Cantor, nel trattare tale nozione, “pretende astrazioni impossibili e rimane oscuro sul
65
problema che cosa debba intendersi per ‘insieme’”. Quindi, con la fondazione di Weierstrass, Dedekind e
Cantor, si risolve un problema ma se ne crea un altro altrettanto serio. Inoltre, come abbiamo visto, Frege
contesta che, per esempio nel caso di Cantor, si eviti del tutto il ricorso a rappresentazioni geometriche.
Di fronte a questa situazione, nelle Leggi Frege prospetta una soluzione radicale: egli si propone di
fondare l’analisi infinitesimale sulla sola logica. La sua motivazione principale nel prospettare tale soluzione è
che, come abbiamo visto, per lui la logica ha la peculiarità che, astraendo dalla natura particolare delle cose, si
basa soltanto sulle leggi sulle quali si fonda ogni conoscenza. Ridurre l’analisi infinitesimale alla logica ne
darebbe una fondazione contro la quale non si potrebbero sollevare obiezioni perché, se lo si facesse, allora
nessuna conoscenza sarebbe propriamente possibile. Se il progetto di Frege avesse successo, l’aritmetica dei
numeri naturali e dei numeri reali diverrebbe “null’altro che una logica ulteriormente sviluppata, e ogni
proposizione aritmetica acquisterebbe il carattere di una legge logica, anzi di una legge dedotta. Le applicazioni
dell’aritmetica alla scienza della natura si presenterebbero come pure e semplici elaborazioni logiche di fatti
66
d’osservazione; eseguire calcoli equivarrebbe a ricavar conclusioni”.
67
Anche Dedekind parla “dell’aritmetica (algebra, analisi) solo come di una parte della logica”.
Anch’egli considera il concetto di numero del tutto indipendente dalle rappresentazioni o intuizioni dello spazio
68
e del tempo, e lo ritiene piuttosto “un’emanazione diretta delle pure leggi del pensiero”. Ma, sebbene egli
ritenga di fondare l’analisi infinitesimale sulla sola logica, in realtà non è così in quanto adopera come primitive
le nozioni di ‘insieme’ (o, come dice Dedekind, ‘sistema’) e ‘appartenenza’, cioè le nozioni primitive della
teoria degli insiemi, le quali secondo Frege, contrariamente a quanto ritiene Dedekind, non sono nozioni
puramente logiche. Il lavoro di Dedekind contraddice l’idea di basare l’analisi infinitesimale sulla logica,
“perché le espressioni che usa, ‘sistema’ e ‘una cosa appartiene ad un’altra cosa’, non sono consuete in logica e
69
non vengono ricondotte a qualcosa la cui natura logica sia riconosciuta”. Alternativamente Frege nelle Leggi
si propone di fondare l’analisi infinitesimale solo su nozioni genuinamente logiche. A tale scopo egli sviluppa
una aritmetica generalizzata, che dovrebbe permettergli di trattare tutti i tipi di numeri (naturali, razionali, reali,
complessi) basandosi unicamente su nozioni e principi logici.
Nel parlare dell’aritmetica (algebra, analisi) come una parte della logica considerando il concetto di
numero del tutto indipendente dalle intuizioni dello spazio e del tempo, Dedekind non rappresenta, però, una
posizione isolata. Contrariamente a un’opinione diffusa, la concezione di Frege di un’aritmetica generalizzata
basata solo sulla logica, totalmente distinta dalla geometria la quale richiede invece uno speciale tipo di
intuizione (l’intuizione a priori dello spazio), non costituisce una innovazione di Frege ma corrisponde a
un’idea ben presente nella matematica dell’Ottocento, da Gauss fino a Dedekind e addirittura a Kronecker,
secondo cui i numeri sono prodotti puri del nostro intelletto mentre lo spazio ha un carattere differente. Per
esempio Kronecker afferma che “non bisogna intendere la parola ‘aritmetica’ nel suo consueto significato
62
J.W.R. Dedekind, op. cit., p. 64.
J.W.R. Dedekind, op. cit., pp. 68-69.
64
G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 409.
65
G. Frege, op. cit., p. 415.
66
G. Frege, op. cit., p. 327.
67
J.W.R. Dedekind, Scritti sui fondamenti della matematica, cit., p. 79.
68
J.W.R. Dedekind, op. cit., p. 80.
69
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. VIII; qui a p.
.
63
8
limitato; si tratta in realtà di comprendere con essa tutte le discipline matematiche, tranne la meccanica e la
70
geometria, e precisamente anche l’algebra e l’analisi”. Kronecker sottolinea la radicale differenza tra
l’aritmetica in questo senso esteso, da un lato, e la meccanica e la geometria, dall’altro. E, richiamando con
evidente adesione una lettera di Gauss a Bessel del 9 aprile 1830, ricorda che “la principale differenza tra la
geometria e la meccanica, da un lato, e le rimanenti discipline matematiche qui compendiate col termine
‘aritmetica’, dall’altro, consiste secondo Gauss in questo, che l’oggetto di queste ultime, il numero, è un
prodotto puro del nostro spirito, mentre sia lo spazio che il tempo hanno anche una realtà esterna al nostro
71
spirito, le cui leggi non siamo capaci di prevedere completamente”. L’innovazione di Frege non sta, quindi,
tanto nell’aver concepito l’idea di un’aritmetica generalizzata basata solo sulla logica, quanto piuttosto nell’aver
sviluppato un apparato tecnico, cioè l’ideografia, per realizzarla e metterla così alla prova.
La necessità di fondare l’analisi infinitesimale sulla sola logica derivava per Frege, oltre che dal fatto
che essa, nella fondazione datane da Weierstrass, Dedekind e Cantor, richiedeva la nozione di insieme infinito
attuale, anche dalla circostanza che essa faceva uso di metodi dimostrativi che permettevano talora di
‘dimostrare’ proposizioni false, cioè proposizioni che non valevano in generale ma avevano delle eccezioni, e
che sollevavano quindi il problema di determinarne l’esatto ambito di validità. È a questa difficoltà che allude
Frege quando sottolinea che, come risposta, nella matematica contemporanea si delinea “la tendenza a dare
dimostrazioni rigorose, a tracciare con esattezza i limiti di validità dei diversi teoremi, e, per poter raggiungere
72
questo scopo, a determinare con precisione i concetti”. O quando ricorda che, attraverso la dimostrazione
rigorosa di una proposizione, “si vengono pure a riconoscere con maggiore esattezza le sue condizioni di
73
validità”.
Anche qui, per risolvere questa difficoltà occorreva, in primo luogo, determinare con precisione i
concetti riducendoli a concetti logici. Infatti, perché “una simile impresa possa avere successo, naturalmente, i
74
concetti di cui si ha bisogno devono essere afferrati con precisione”. E, in secondo luogo, occorreva dare
dimostrazioni rigorose usando solo inferenze logiche e partendo solo da assiomi logici, e per farlo occorreva
sviluppare un sistema logico adeguato, che è quello che Frege si propone di fare con la sua ideografia nelle
Leggi. Determinare i concetti con precisione non basta perché, “anche quando i concetti siano stati concepiti
con precisione, senza uno specifico strumento ausiliario sarebbe difficile, anzi addirittura quasi impossibile,
75
soddisfare i requisiti che qui dobbiamo esigere sulla conduzione delle dimostrazioni”. L’ideografia fornisce,
76
appunto, “un simile strumento ausiliario”. Frege si ripromette un fecondo impiego della sua “ideografia
ovunque debba venir dato un particolare rilievo alla connessione del processo dimostrativo, come per esempio
77
nella fondazione del calcolo differenziale e del calcolo integrale”.
La soluzione delle difficoltà dell’analisi infinitesimale prevista da Frege va vista sullo sfondo del suo
ideale del rigore, che costituisce una componente essenziale della sua ricerca di una fondazione assolutamente
sicura e certa della matematica. Questo ideale ha per Frege una tale importanza che per lui, “alla domanda in
che cosa stia propriamente il valore delle conoscenze matematiche, la risposta deve essere: meno in ciò che si
conosce che nel modo in cui si conosce, meno nella materia del sapere che nel grado della sua chiarificazione
78
teorica e della comprensione della connessione logica”. Tale ideale non sembrava trovare risonanze profonde
tra i contemporanei di Frege: “Se paragono l’aritmetica ad un albero che dispiega i propri rami verso l’alto in
una molteplicità di metodi e teoremi, mentre la radice cerca di raggiungere la profondità, mi sembra che la
79
tendenza della radice, almeno in Germania, sia piuttosto debole”. La tendenza dei rami è verso l’alto, verso i
teoremi, mentre quella della radice è verso il basso, verso la chiarificazione dei fondamenti e quindi verso il
rigore, ma persino in coloro, come Schröder, che sono orientati in questo senso, “la tendenza dei rami ha
70
L. Kronecker, ‘Über den Zahlbegriff’, cit.
L. Kronecker, op. cit..
72
G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 222.
73
G. Frege, op. cit., p. 223.
74
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. 1; qui a p.
.
75
G. Frege, op. cit., p. 3; qui a p.
.
76
G. Frege, op. cit., p. 3; qui a p.
.
77
G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 106.
78
G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 271.
79
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. XIII; qui a p. .
71
9
tuttavia di nuovo il sopravvento e, ancor prima che sia stata raggiunta una maggiore profondità, determina una
80
curvatura verso l’alto e un dispiegamento di metodi e teoremi”.
L’ideale del rigore coincide per Frege con quello del ‘sistema’, dal momento che “solo attraverso il
81
sistema si può fare piena chiarezza e ordine”. Per ‘sistema’ Frege intende ‘sistema assiomatico’: per lui il
metodo della matematica è il metodo assiomatico, e il suo ideale del rigore si ricollega all’ideale aristotelico di
una sistemazione assiomatica della conoscenza. Come Aristotele, anche Frege ritiene che la matematica esiga
“che sia dimostrato tutto quel che è e che non ci si arresti fino a che non ci si imbatte in qualcosa di
82
indimostrabile”. Questo qualcosa sono le verità primitive della matematica, nelle quali, come in un seme, è
racchiusa tutta la matematica. Perciò “solo quando conosceremo queste verità primitive avremo davvero fatto
83
chiarezza su che cos’è la matematica”. Una volta che saremo riusciti a farlo, e una volta che le proposizioni
primitive così raggiunte saranno state riconosciute come delle verità inoppugnabili, la matematica “si presenterà
84
come un sistema di verità connesse fra loro da inferenze logiche”. In quanto basata su verità primitive
inoppugnabili e derivata da esse mediante inferenze logiche incontrovertibili, la matematica risulterà essere un
sistema assolutamente sicuro e certo.
La riduzione dei sistemi ai sistemi assiomatici risulta evidente anche dal ruolo attribuito da Frege alle
definizioni. La tradizione assiomatica, da Pascal fino a Peano e Hilbert, nega alle definizioni ogni ruolo creativo
e ogni valore conoscitivo, considerandole semplici imposizioni arbitrarie di nomi e abbreviazioni. Anche per
85
Frege “le definizioni propriamente non sono creative”. Attraverso esse noi ci limitiamo ad introdurre “un
nuovo nome stipulando che esso dovrà avere lo stesso senso e lo stesso referente di qualche nome composto di
86
segni già conosciuti”. Le definizioni “introducono solamente designazioni abbreviative (nomi) delle quali si
87
potrebbe fare a meno se la lunghezza non ponesse delle invincibili difficoltà estrinseche”. Nessuna
definizione “estende la nostra conoscenza, ma è solo un mezzo per riassumere un contenuto molteplice in una
88
breve parola o segno, in tal modo rendendocelo più facile da maneggiare”. Quindi la concezione delle
definizioni di Frege si inserisce in quella della tradizione assiomatica.
La funzione dei sistemi di fare piena chiarezza e ordine in un dato corpo di conoscenze viene assolta
dai sistemi assiomatici in due modi differenti. In primo luogo, essi fissano i punti di partenza di tutte le
dimostrazioni, così come dev’essere, dal momento che “colui che inferisce deve sapere quali sono le sue
89
premesse”. E se si vuole che questi punti di partenza siano indubitabili, essi devono essere costituiti da
assiomi logici. In secondo luogo, i sistemi assiomatici stabiliscono regole logiche in base a cui si dovranno
dedurre tutti i teoremi dagli assiomi, così come dev’essere, dal momento che “per la costruzione del sistema è
90
necessario che si proceda con consapevolezza attraverso inferenze logiche”. All’ideale aristotelico di rigore
Frege aggiunge, dunque, due nuovi requisiti. Il primo è che tutte le dimostrazioni del sistema debbano constare
91
di inferenze logiche. In questo modo si va “al di là di Euclide”. Contrariamente a Euclide, dunque, Frege
92
pretende “che tutti i modi di inferire e di trarre conclusioni che vengono applicati siano specificati all’inizio”.
Così si evita che nelle dimostrazioni matematiche si trovino “passaggi che non sono eseguiti sulla base di leggi
93
logiche riconosciute, ma piuttosto sembrano basarsi su una conoscenza intuitiva”. Il secondo requisito è che,
nel caso dell’analisi infinitesimale, le proposizioni primitive del sistema debbano essere, non solo, come
80
G. Frege, op. cit., p. XIII; qui a p. .
G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 381.
82
G. Frege, op. cit., p. 335.
83
G. Frege, op. cit., p. 335.
84
G. Frege, op. cit., p. 335.
85
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. VI; qui a p.
86
G. Frege, op. cit., pp. 44-45; qui a p.
.
87
G. Frege, op. cit., p. VI; qui a p. .
88
G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 263.
89
G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 336.
90
G. Frege, op. cit., p. 335.
91
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. VI; qui a p.
92
G. Frege, op. cit., p. VI; qui a p. .
93
G. Frege, op. cit., p. VII; qui a p. .
81
10
.
.
richiede Proclo, verità autoevidenti, ma anche verità logiche, perché ci sono verità e verità e le verità logiche
sono più fondamentali, sicure e inoppugnabili di tutte le altre. Con questo secondo requisito si va, non solo oltre
Euclide, ma anche oltre Aristotele.
Per Frege non esiste alcuna legge dell’analisi infinitesimale che non possa essere ridotta alla logica, e
nelle Leggi egli si propone di verificarlo “attraverso la derivazione delle leggi più semplici dei Numeri mediante
94
mezzi solamente logici”. Ciò su cui si fonda l’analisi infinitesimale non può essere l’intuizione geometrica,
per la mancanza di rigore nelle dimostrazioni a cui questo condurrebbe, né può essere l’osservazione fisica,
95
perché in tal modo essa sarebbe “privata della sua applicabilità generale, che va molto al di là del fisico”. Non
rimane che fondarla sulla logica.
3. Il rigore delle Leggi
Per realizzare il suo ideale del rigore, nelle Leggi Frege formula un sistema assiomatico nel quale tutti
gli assiomi sono principi logici, tutti i teoremi si dimostrano a partire dagli assiomi mediante inferenze
puramente logiche, e tra i teoremi sono compresi tutti i risultati dell’analisi infinitesimale. La formulazione del
sistema avviene precisando A) il tipo di entità di cui si occupa il sistema; B) i giudizi, cioè le asserzioni del
sistema; C) gli assiomi e le regole di inferenza del sistema.
A) Le entità di cui si occupa il sistema sono costituite da funzioni e oggetti. Per Frege “gli oggetti si
96
contrappongono alle funzioni”. La distinzione tra funzioni e oggetti sta nel fatto che una “funzione di per sé è
97
incompleta, ha bisogno di completamento, è insatura”. Invece un oggetto è tutto ciò che non è una funzione,
3
quindi è completo, non bisognoso di completamento e saturo. Una funzione, per esempio 2x +x, ha bisogno di
completamento perché presenta una lacuna, rappresentata dall’argomento x. Invece un oggetto, per esempio 5,
non ha bisogno di completamento perché non presenta alcuna lacuna. L’uso, da parte di Frege, dei termini
98
‘insaturo’ e ‘saturo’ per caratterizzare funzioni e oggetti, chiaramente si ispira a una metafora chimica.
Secondo Frege si deve “risalire al tempo della scoperta dell’analisi superiore se si vuol sapere che cosa
si intese originariamente in matematica con la parola ‘funzione’. A questa domanda si ottiene la risposta: ‘Per
funzione di x si intese un’espressione di calcolo che contiene x, una formula che include la lettera x’. Perciò, ad
99
3
esempio, l’espressione 2x +x sarebbe una funzione di x”. L’unico aspetto che Frege trova insoddisfacente in
100
Per esempio non si distingue
questa definizione è che in essa non si distingue “il segno dal designato”.
101
3
A parte
2x +x, che è un’espressione di funzione, dalla funzione, che è il referente di quell’espressione.
questa distinzione, la nozione di funzione a cui Frege si richiama è quella di Euler, secondo cui “una funzione di
una quantità variabile è un’espressione analitica composta in un modo qualsiasi da quella quantità variabile e da
102
numeri o quantità costanti”.
Tale nozione era standard nel Settecento, come appare dall’Encyclopédie dove
si definisce “funzione di x, o in generale di una quantità qualsiasi, una quantità algebrica composta di tanti
103
termini quanti si vuole, nella quale x si trova in un modo qualsiasi, mescolata o non con delle costanti”.
94
G. Frege, op. cit., p. 1; qui a p. .
G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 104.
96
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. 5; qui a p.
.
97
G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 128.
98
Su questo punto cfr. E. Picardi, La chimica dei concetti. Linguaggio, logica, psicologia 1879-1927, Bologna
(il Mulino) 1994, cap. IV.
99
G. Frege, Kleine Schriften, cit., pp. 125-126.
100
G. Frege, op. cit., p. 126.
101
Frege usa le virgolette per distinguere un’espressione dal suo referente. Qui non seguiremo quest’uso,
adottando invece la prassi degli attuali manuali di logica matematica di usare le virgolette solo nei casi in cui
potrebbero nascere confusioni. Questo, in primo luogo, per evitare inutili pedanterie, e in secondo luogo, perché
l’uso delle virgolette in alcuni casi può a sua volta essere fonte di confusioni, come mostra ad esempio A.
Church, Introduction to mathematical logic, vol. I, Princeton (Princeton University Press) 1956, p. 62, nota
136.
102
L. Euler, Introductio in analysin infinitorum, in Opera omnia, a cura di F. Rudio, Leipzig (Teubner) 1911.
103
J.-B. d’Alembert, Encyclopédie, art. ‘Fonction’.
95
11
Questa nozione di funzione non va confusa con quella di Dirichlet che sta all’origine dell’attuale
nozione insiemistica secondo cui y è una funzione di x se x sta in una relazione con y tale che, “a ogni x
104
corrisponde uno e un solo y”.
La fondamentale differenza tra la nozione di funzione di Euler e quella di
3
Dirichlet sta nel fatto che, nella prima, una funzione è data da un’espressione come 2x +x, mentre nella seconda
questo non è richiesto e si considerano funzioni qualsiasi, comunque definite. La nozione di funzione di Frege è
lontana da quella di Dirichlet e dalla attuale nozione insiemistica. Egli rimane ancorato alla tradizionale nozione
di funzione del Seicento e Settecento, e questo non per mancanza di conoscenza ma per una scelta deliberata.
Frege è ben consapevole della nozione di Dirichlet, che egli descrive come quella secondo cui y è una funzione
105
di x se “ad ogni numero di un dominio x è associato un numero”.
Come egli giustamente sottolinea, il punto
106
cruciale di tale definizione è “nascosto nella parola ‘associato’ ”.
La definizione “non contiene alcuna
107
Essa, secondo Frege, “non ha alcun senso a meno che non venga
asserzione sulla legge di associazione”.
108
completata con la specificazione della legge in base a cui avviene l’associazione”.
L’unico modo per
specificarla è attraverso un’eguaglianza “in cui nel lato sinistro sta la lettera ‘y’, mentre a destra compare
109
2
un’espressione di calcolo consistente di cifre e della lettera ‘x’, come per esempio ‘y=x +3x”.
È vero che in
tempi recenti questo concetto di funzione “è stato considerato troppo ristretto. Tuttavia questo inconveniente
110
potrebbe benissimo essere evitato introducendo nuovi segni nel linguaggio dell’aritmetica”.
Per Frege, dunque, non c’è alcun bisogno della nozione di Dirichlet: basta usare espressioni in cui
compaiono nuovi segni oltre quelli tradizionalmente usati per l’addizione, la moltiplicazione, ecc.. Quali nuovi
segni egli abbia in mente viene da lui dichiarato esplicitamente quando afferma che il concetto di funzione di
Euler si è venuto estendendo perché “si è ampliato l’ambito dei tipi di calcolo che contribuiscono alla
formazione di una funzione. All’addizione, moltiplicazione, esponenziazione e alle loro inverse si sono aggiunti
111
i diversi tipi di passaggio al limite”.
Ci si è anche spinti oltre ricorrendo al linguaggio comune, “perché il
linguaggio simbolico dell’analisi non bastava quando, ad esempio, si doveva parlare di una funzione il cui
112
valore è 1 per i numeri razionali e 0 per i numeri irrazionali”.
Per quanto riguarda il primo ampliamento,
dunque, Frege continua ad assumere che una funzione debba essere data da un’espressione linguistica, anche se
di un linguaggio più ampio di quello tradizionale. Questo mostra quanto errata sia l’affermazione di Dummett
113
secondo cui Frege era pronto “ad ammettere tutte le funzioni ‘qualsiasi’ definite su tutti gli oggetti’.
Oltre a questa estensione della nozione di funzione di Euler, secondo Frege se ne è venuta operando
anche un’altra, cioè “si è ampliato l’ambito di ciò che può essere assunto come argomento e come valore di una
funzione, con l’inclusione dei numeri complessi. Conseguentemente si è dovuto anche determinare più
114
ampiamente il senso delle espressioni ‘somma’, ‘prodotto’, ecc.”.
Frege accetta anche questo tipo di
estensione, senza limitarsi però ai numeri complessi, ma ammettendo come argomenti e valori di una funzione
anche oggetti che non sono numeri: individui, come ‘Socrate’, e valori di verità, come ‘il Vero’ e ‘il Falso’. Per
apprezzare la portata di questo ampliamento va ricordato che dal Seicento all’Ottocento si assumeva
comunemente che tanto gli argomenti quanto i valori di una funzione dovessero essere numeri di qualche tipo.
Frege, invece, assume che essi possano essere anche altre specie di oggetti. In particolare, egli considera: 1)
2
funzioni i cui valori sono valori di verità, come la funzione x =1 la quale è il Vero se si prende 1 o -1 come x,
ed è il Falso altrimenti; 2) funzioni i cui argomenti sono individui qualsiasi, come la funzione ‘x è mortale’, la
quale è il Vero se come x si prende ‘Socrate’, ed è il Falso se si prende ‘Dio’; 3) funzioni i cui argomenti e i cui
104
G.L. Dirichlet, ‘Über die Darstellung ganz willkürlicher Funktionen durch Sinus- und Cosinusreihen’, in
Werke, a cura di L. Kronecker e L. Fuchs, Vol. I, Berlin (Reimer) 1889, p. 135.
105
G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 276.
106
G. Frege, op. cit., p. 277.
107
G. Frege, op. cit., p. 277.
108
G. Frege, op. cit., p. 277.
109
G. Frege, op. cit., p. 277.
110
G. Frege, op. cit., p. 277.
111
G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 131.
112
G. Frege, op. cit., p. 131.
113
M. Dummett, Frege: Philosophy of language, cit., p. 177.
114
G. Frege, op. cit., p. 131.
12
valori sono entrambi valori di verità, come la negazione, la congiunzione, l’implicazione o la quantificazione
universale (v. appresso).
Tra le funzioni in questo senso esteso, Frege ne mette in evidenza una particolare classe, che egli
chiama concetti. I concetti sono le funzioni f(x) con un solo argomento, x, i cui valori sono valori di verità.
Infatti “sembra appropriato chiamare appunto concetto una funzione il cui valore è sempre un valore di
115
2
verità”. Dunque x =1 e ‘x è mortale’ sono concetti. Si dice che un oggetto a cade sotto il concetto f(x) se f(a)
è il Vero, dove f(a) è ciò che si ottiene da f(x) prendendo a come x. Per esempio 1 e -1 cadono sotto il concetto
2
x =1, e Socrate cade sotto il concetto ‘x è mortale’. Come funzioni e oggetti sono entità assolutamente distinte,
così in particolare concetti e oggetti sono entità distinte, cioè “un oggetto non può mai essere nel contempo un
116
concetto; e un concetto sotto il quale cade un solo oggetto, non deve essere confuso con tale oggetto”.
La nozione di funzione di Euler non si limita alle funzioni con un solo argomento, ma si estende anche
a quelle con due (o più) argomenti. Tali funzioni sono date da espressioni contenenti più tipi di posti vuoti. Per
2
esempio (x+y) +y è una funzione con due argomenti, x e y. Analogamente la nozione estesa di funzione di Frege
copre anche funzioni con due (o più) argomenti. Per esempio x·y=1 e ‘x è il maestro di y’ sono funzioni di due
argomenti, x e y, i cui valori sono valori di verità. Come una funzione con un solo argomento è bisognosa di
completamento, così le funzioni con due argomenti “sono doppiamente bisognose di completamento, di modo
che si ottiene una funzione ad un argomento dopo che sia stato effettuato un completamento mediante un
117
argomento”.
Per esempio, prendendo Platone come y in ‘x è il maestro di y’, si ottiene ‘x è il maestro di
Platone’ che è una funzione con un argomento, e prendendo in quest’ultima Socrate come x si ottiene ‘Socrate è
118
Dunque le relazioni
il maestro di Platone’. Secondo Frege, è “opportuno chiamare relazioni tali funzioni”.
sono le funzioni f(x,y) con due argomenti, x e y, i cui valori sono valori di verità. Si dice che un oggetto a sta
con l’oggetto b nella relazione f(x,y) se f(a,b) è il Vero, dove f(a,b) è ciò che si ottiene da f(x,y) prendendo a
come x e b come y.
L’introduzione da parte di Frege di un’estensione della nozione di funzione di Euler conduce a un
notevole progresso rispetto all’analisi tradizionale delle proposizioni in termini di soggetto e predicato. Frege
sostituisce tale analisi con un’altra in termini di funzione e argomento. Egli sottolinea la diversità della sua
analisi rispetto a quella tradizionale, affermando che nella sua “presentazione di un giudizio non trova posto
119
una distinzione fra soggetto e predicato”.
Il limite dell’analisi tradizionale dipende dal fatto che “finora la
120
In base a essa una
logica è stata sempre troppo strettamente connessa alla lingua e alla grammatica”.
proposizione può avere un unico soggetto, il che non consente di render conto del fatto che le proposizioni
possono esprimere relazioni tra più soggetti. Come Frege sottolinea, “se si dice: ‘soggetto è il concetto di cui
121
tratta il giudizio’, ebbene, questo si adatta anche all’oggetto”.
È soprattutto considerando funzioni con più
argomenti che si può apprezzare il progresso a cui conduce l’analisi di Frege. Per esempio, secondo l’analisi
tradizionale, la proposizione ‘Socrate è il maestro di Platone’ ha come soggetto Socrate e come predicato ‘è il
maestro di Platone’, il che non chiarisce che essa esprime che tra due soggetti, Socrate e Platone, sussiste la
relazione: ‘è il maestro di’. Renderne conto diventa possibile, invece, usando la nozione di funzione di Frege, in
base alla quale la proposizione ‘Socrate è il maestro di Platone’ può essere vista come ottenuta dalla funzione di
due argomenti ‘x è il maestro di y’, prendendo Socrate come x e Platone come y. Dunque, in base all’analisi di
Frege, una proposizione può avere più soggetti, il che rende conto della sua struttura relazionale.
Oltre ad ammettere funzioni di più argomenti, Frege ammette anche funzioni di livello superiore. Negli
esempi precedenti abbiamo considerato solo funzioni i cui argomenti sono oggetti, ma si possono considerare
anche funzioni che hanno come argomenti altre funzioni. Ciò conduce a una distinzione di livello tra le
funzioni. Frege chiama “le funzioni i cui argomenti sono oggetti, funzioni di primo livello; invece si possono
122
Per
chiamare funzioni di secondo livello quelle funzioni i cui argomenti sono funzioni di primo livello”.
esempio ‘x è mortale’ è una funzione di primo livello con argomento x, che possiamo scrivere mortale(x),
115
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. 8; qui a p. .
G. Frege, op. cit., p. 3; qui a p. .
117
G. Frege, op. cit., p. 8; qui a p. .
118
G. Frege, op. cit., p. 8; qui a p
.
119
G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 111.
120
G. Frege, op. cit., cit., p. 107.
121
G. Frege, op. cit., cit., p. 111.
122
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. 37; qui a p.
.
116
13
mentre ‘Socrate è F ’ è una funzione di secondo livello con argomento F, che possiamo scrivere F(Socrate). In
mortale(x) si può prendere come x solo un oggetto, per esempio Socrate, ottenendo così la proposizione
‘Socrate è mortale’. Invece in F(Socrate) si può prendere come F solo una funzione di primo livello, per
esempio mortale(x), ottenendo così ancora la proposizione ‘Socrate è mortale’. Analogamente si possono
considerare funzioni di terzo livello, e così via.
Come si è già detto, per Frege un oggetto è qualcosa che è completo, non bisognoso di completamento
123
È
e saturo. Dunque, tra gli oggetti sono compresi “i numeri, i valori di verità, e i decorsi di valori”.
abbastanza chiaro che cosa sono i numeri e i valori di verità, ma che cosa sono i decorsi di valori? Frege non
definisce esplicitamente tale nozione, ma si limita a dire che l’espressione: ‘la funzione f(x) ha lo stesso decorso
di valori della funzione g(x)’ ha lo stesso referente dell’espressione: ‘le funzioni f(x) e g(x) per lo stesso
2
argomento hanno sempre lo stesso valore’. Per esempio le funzioni x -4x e x(x-4), poiché hanno lo stesso valore
per ogni argomento x, hanno lo stesso decorso di valori. Il decorso di valori di una funzione f(x) viene indicato
,
, 2
,
2
da Frege con la notazione x f(x). Quindi x (x -4x)= x (x(x-4)) esprime che le funzioni x -4x e x(x-4) hanno lo
stesso decorso di valori.
Nel caso dei concetti, “invece di dire ‘decorso di valori della funzione’ si può dire ‘estensione del
124
concetto’ ”.
La nozione di estensione di un concetto è, dunque, caratterizzata dal fatto che l’espressione: ‘il
concetto f(x) ha la stessa estensione del concetto g(x)’ ha lo stesso referente dell’espressione: ‘i concetti f(x) e
g(x) per lo stesso argomento hanno sempre lo stesso valore’. Per esempio il concetto ‘x è il maestro di Platone’
ha la stessa estensione del concetto ‘x è il filosofo che fu condannato per empietà a bere la cicuta nel 399 a.C.’.
Le estensioni di concetti sono dette da Frege classi (o anche insiemi).
I concetti, e in generale le funzioni, sono primari rispetto alle estensioni, rispettivemente, ai decorsi di
valori, sia dal punto di vista logico che da quello epistemologico. Sono primari dal punto di vista logico: “Infatti
io sostengo che il concetto è logicamente primario rispetto alla sua estensione, e considero futile il tentativo di
125
fondare l’estensione di un concetto come classe non sul concetto ma su singole cose”.
Sono primari dal
punto di vista epistemologico, perché solo “grazie alle nostre facoltà logiche, partendo dal concetto, ci
126
Dalla loro primarietà dal punto di vista epistemologico segue
impadroniamo dell’estensione del concetto”.
che l’unico modo che abbiamo di riconoscere un’estensione, e in generale un decorso di valori, è attraverso un
concetto, rispettivamente una funzione. Non possiamo apprendere gli oggetti logici altro che “come estensioni
127
di concetti, o più in generale come decorsi di valori di funzioni”.
Dato un concetto f(x) sotto cui cade un unico oggetto, Frege distingue tra l’estensione del concetto,
,
x f(x), e quell’oggetto. Per farlo egli introduce una funzione, che egli indica con \ , la quale, per le estensioni di
,
concetti, è definita nel modo seguente: \ x f(x) è l’oggetto che cade sotto il concetto f(x), se sotto f(x) cade un
,
,
,
unico oggetto; altrimenti \ x f(x) è x f(x). Per esempio \ x (x è il filosofo che fu condannato per empietà a bere la
, 2
, 2
2
cicuta nel 399 a.C.) è Socrate, mentre \ x (x =1) è x (x =1) perché sia 1 che -1 cadono sotto il concetto x =1.
B) Dopo aver fissato le entità di cui si occupa il sistema, Frege passa a considerare i giudizi. Per
128
giudizio egli intende “il riconoscimento della verità di un pensiero”. Esprimere un pensiero e riconoscerne la
verità sono due cose distinte. Con l’espressione 2+3=5 non si comunica se il pensiero che essa esprime sia vero
129
Perciò
o falso, ma ci si limita a riferirsi a “un valore di verità, senza che venga detto quale sia dei due”.
130
Frege introduce un “segno particolare per poter asserire qualcosa come vero”. Il segno da lui utilizzato a tale
scopo è „, quindi „ 2+3=5 asserisce che il valore di verità di 2+3=5 è il Vero. Ciò discende dalla spiegazione di
Frege dell’eguaglianza. L’eguaglianza è una funzione ζ=ξ con due argomenti, ζ e ξ, tale che il suo valore sarà
123
G. Frege, op. cit., p. 7; qui a p.
.
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. 8; qui a p.
.
125
G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 209.
126
G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 303.
127
G. Frege, Alle origini della nuova logica: Carteggio scientifico, cit., p. 194.
128
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. 9; qui a p.
.
129
G. Frege, op. cit., p. 9; qui a p.
.
130
G. Frege, op. cit., p. 9; qui a p.
.
124
14
il Vero se ζ e ξ sono lo stesso oggetto, e sarà il Falso altrimenti. Allora è chiaro che „ 2+3=5 asserisce che il
valore di verità di 2+3=5 è il Vero. Si noti che, in base alla nozione di funzione di Frege, gli argomenti della
funzione ζ=ξ sono oggetti qualsiasi, quindi possono essere valori di verità.
Per comunicare che un pensiero è falso, invece, Frege non introduce alcun segno particolare, ma
ricorre al fatto che la negazione di quel pensiero è il Vero. La negazione è introdotta da Frege come la funzione
¬ζ con un argomento, ζ, da cui “ogni valore di verità viene trasformato nel valore di verità opposto”.131
Dunque il valore della funzione ¬ζ sarà il Falso se ζ è il Vero, e sarà il Vero altrimenti. Allora possiamo usare
132
l’espressione „ ¬ζ per asserire che il valore di verità di ζ è il Falso.
Oltre alla negazione, nei giudizi possono occorrere anche altre funzioni. Tra queste, nel sistema di
Frege rivestono una particolare importanza l’implicazione e la quantificazione universale. L’implicazione è la
funzione ζ→ξ con due argomenti, ζ e ξ, che viene introdotta stabilendo che “il suo valore sia il Falso se come
ζ-argomento viene preso il Vero e come ξ-argomento viene preso un qualsiasi oggetto che non è il Vero; e che
133
in tutti gli altri casi il valore della funzione sia il Vero”. La quantificazione universale è la funzione ∀xζ(x)
con un argomento, ζ(x), il cui valore sarà il Vero se il valore della funzione ζ(x) “per ogni argomento è il Vero,
134
Qui ζ(x) è una funzione di primo livello perché i suoi argomenti x sono
e altrimenti si riferisce al Falso”.
oggetti, mentre ∀xζ(x) è una funzione di secondo livello. Accanto a questo tipo di quantificazione universale,
in cui la variabile x può assumere come valori solo oggetti, si può considerare una quantificazione universale ∀
Fζ(F) con un argomento ζ(F), il cui valore è il Vero se il valore della funzione ζ(F) per ogni argomento è il
Vero, altrimenti è il Falso. Qui ζ(F) è una funzione di secondo livello perché i suoi argomenti F sono funzioni
di primo livello, mentre ∀Fζ(F) è una funzione di terzo livello.
C) Dopo aver specificato le entità e i giudizi, Frege passa a formulare gli assiomi e le regole di
inferenza del sistema. Gli assiomi sono i seguenti, che vengono qui dati secondo la numerazione di Frege.
(I) ζ→(ξ→ζ)
Questo assioma si giustifica in base alla definizione dell’implicazione, secondo cui esso potrebbe essere il Falso
solo se ζ fosse il Vero e ξ→ζ il Falso. Ma ciò è impossibile perché, se ζ è il Vero, anche ξ→ζ sarà il Vero.
(IIa) ∀xζ(x)→ζ(a), per qualsiasi oggetto a.
Questo assioma si giustifica in base alla definizione della quantificazione universale, secondo cui esso potrebbe
essere il Falso solo se ∀xζ(x) fosse il Vero e ζ(a) il Falso. Ma ciò è impossibile perché, se ∀xζ(x) è il Vero,
allora il valore della funzione ζ(x) è anch’esso il Vero per ogni argomento, e quindi in particolare anche per
l’argomento a.
(IIb) ∀Fζ(F)→ζ(G), per qualsiasi funzione del primo livello G.
Questo assioma è un’estensione dell’assioma (IIa) al secondo livello. L’assioma esprime che “ciò che vale per
135
ogni funzione di primo livello con un argomento vale anche per una qualsiasi”.
La sua giustificazione è
analoga a quella dell’assioma (IIa).
(III) g(x=y)→g(∀F(F(x)→ F(y))).
Il significato di questo assioma risulta più chiaro considerando qualche caso particolare. Un primo caso
interessante si ottiene prendendo come g l’affermazione, cioè la funzione con un solo argomento in base a cui
ogni valore di verità viene trasformato in sé stesso. Con questa scelta di g l’assioma diventa x=y→∀F(F(x)→
F(y)), che esprime che, se due oggetti, x e y, sono eguali tra loro, allora y cade sotto ogni concetto sotto cui cade
x. Un altro caso interessante si ottiene prendendo come g la negazione. Con questa scelta di g l’assioma diventa
¬(x=y)→¬∀F(F(x)→F(y)), che esprime che, se due oggetti, x e y, sono diversi tra loro, allora y non cade
sotto ogni concetto sotto cui cade x. Questo è il principio degli indiscernibili di Leibniz, secondo cui “le cose
131
G. Frege, op. cit., p. 10; qui a p.
.
Per semplicità qui e in seguito adoperiamo, per la negazione, l’implicazione e la quantificazione universale,
invece delle notazioni originarie di Frege, quelle usate oggi più comunemente.
133
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. 20; qui a p.
.
134
G. Frege, op. cit., p. 12; qui a p.
.
135
G. Frege, op. cit., p. 42; qui a p.
.
132
15
136
che sono diverse devono differenziarsi in qualche maniera, o avere in sé qualche diversità determinabile”. Si
noti che il principio degli indiscernibili esprime l’inverso dell’implicazione precedente, x=y→∀F(F(x)→F(y)),
perché si ottiene da ∀F(F(x)→F(y))→x=y per contrapposizione. L’assioma (III) si giustifica in base alle
seguenti considerazioni. Se x=y è il Vero, allora x è lo stesso di y, quindi y cadrà sotto ogni concetto sotto cui
cade x, dunque ∀F(F(x)→F(y)) sarà il Vero. Se x=y è il Falso, allora y è diverso da x, quindi y non cade sotto
ogni concetto sotto cui cade x, dunque ∀F(F(x)→F(y)) sarà il Falso. Siccome, in tutti i casi possibili, x=y e ∀
F(F(x)→F(y)) assumono lo stesso valore di verità, ne segue che anche g(x=y) e g(∀F(F(x)→ F(y)))
assumeranno lo stesso valore di verità, dunque g(x=y)→g(∀F(F(x)→ F(y))) sarà il Vero.
(IV) ¬(ζ=¬ξ)→(ζ=ξ).
Questo assioma si giustifica perché esso potrebbe essere il Falso solo se sia ζ=¬ξ che ζ=ξ fossero il Falso,
cioè solo se ζ non fosse eguale né a ξ né a ¬ξ. Ma ξ e ¬ξ sono entrambi valori di verità e sono sempre diversi
tra loro, quindi, poiché anche ζ è un valore di verità, esso deve sempre essere eguale a ξ oppure a ¬ξ. Perciò,
se ζ non è eguale a ¬ξ, dovrà essere eguale a ξ.
,
,
(V) ( x ζ(x)= x ξ(x))=∀x(ζ(x)=ξ(x)).
,
,
Questo assioma si giustifica, secondo Frege, in base al fatto che x ζ(x)= x ξ(x) e ∀x(ζ(x)=ξ(x)) sono “dotate
137
dello stesso referente”.
In un primo momento, anzi, egli afferma che esprimono “lo stesso senso, ma in un
138
Poi, nelle Leggi, omette di dire che hanno lo stesso senso, affermando solo che hanno lo stesso
altro modo”.
referente. Tuttavia “questa omissione può non essere significativa. Egli afferma che (V) è una legge logica e che
la si ha ‘in mente, per esempio, quando si parla di estensioni di concetti’. L’omissione può semplicemente
riflettere la consapevolezza che la legge proposta era potenzialmente controversa, in quanto dichiaratamente era
meno ovvia delle altre. In considerazione delle obiezioni di Kerry, la pretesa dell’identità del senso può essere
sembrata a Frege un inutile incitamento al dubbio. Tuttavia è sorprendente che nelle Leggi Frege rinunci a
139
qualsiasi seria giustificazione della legge (V)”.
,
(VI) y=\ x (y=x).
Questo assioma si giustifica in base alla considerazione che, per ogni oggetto fissato y, la funzione con un solo
,
argomento x espressa da y=x è un concetto sotto cui cade un unico oggetto, cioè y, perciò \ x (y=x) è y e quindi
,
y=\ x (y=x) è il Vero.
Oltre agli assiomi (I)-(VI), il sistema contiene anche varie regole di inferenza, che sono di tre tipi: 1)
regole di semplificazione, per esempio regole per amalgamare sottocomponenti identici o per eliminare
parentesi; 2) regole proposizionali, per esempio il Modus ponens: da ζ e ζ→ξ si può inferire ξ; 3) regole
quantificazionali, per esempio la Generalizzazione universale: da ζ(y) si può inferire ∀xζ(x). Le regole
quantificazionali non sono formulate da Frege del tutto correttamente, e in generale le regole di inferenza del
sistema delle Leggi sono un po’ farraginose, perciò ne omettiamo qui un esame dettagliato, anche perché
l’aspetto critico del sistema non sono le regole di inferenza ma gli assiomi.
Anche senza analizzare in dettaglio le regole di inferenza, è interessante notare che, riguardo al loro
numero, le Leggi segnano un’inversione di tendenza rispetto all’Ideografia. In quest’ultima Frege aveva
adottato numerosi assiomi proposizionali e pochissime regole di inferenza, mentre nelle Leggi egli usa
pochissimi assiomi proposizionali e numerose regole di inferenza. Questo cambiamento viene giustificato da
Frege in base alla considerazione che in tal modo si ottengono dimostrazioni più brevi. Egli dichiara di aver
fatto un tacito uso della interscambiabilità dei sottocomponenti (condizioni) e della possibilità di fondere
sottocomponenti identici, e di non aver ridotto i modi di inferire e di trarre conclusioni al minor numero
136
G.W. Leibniz, Die philosophischen Schriften, cit., II, 249.
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. 7; qui a p.
.
138
G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 130.
139
T. Burge, ‘Frege on extensions of concepts, from 1884 to 1903’, The Philosophical Review, vol. 93 (1984),
pp. 3-34.
137
16
140
possibile, onde garantirsi “una maggiore libertà di movimento e per evitare eccessive lungaggini”.
Chi
conosca la sua Ideografia “sarà in grado di arguirne come anche qui si sarebbe potuto ottemperare ai requisiti
141
più severi, ma che ciò avrebbe richiesto un considerevole aumento dello spazio disponibile”.
Dopo Frege,
considerazioni in parte simili indurranno Gentzen a proseguire su questa strada, eliminando del tutto gli assiomi
e usando numerose regole di inferenza. Secondo Gentzen, in tal modo “nella maggior parte dei casi le
142
derivazioni delle formule valide sono più brevi”. E questo perché in esse solo raramente si hanno occorrenze
ripetute della stessa formula, mentre, nelle derivazioni dei sistemi basati su assiomi, “una stessa formula
143
solitamente occorre diverse volte (come parte di altre formule)”.
In Frege è presente anche un’altra idea che verrà poi ripresa da Gentzen, cioè quella secondo cui,
mediante le regole di inferenza del sistema delle Leggi, i passaggi delle dimostrazioni matematiche che non
sono eseguiti sulla base di leggi logiche riconosciute e che sembrano basarsi su una conoscenza intuitiva, “sono
144
scomposti in semplici passaggi logici”.
Questo, per Frege, costituisce un importante progresso perché “nel
passaggio a nuovi giudizi non ci si deve mai accontentare, come finora i matematici hanno fatto quasi sempre,
che il passaggio appaia chiaramente giusto, bensì lo si deve scomporre nei passaggi logici semplici di cui è
145
composto, che spesso non sono affatto pochi”. Anche Gentzen, attraverso le sue regole di inferenza, cercherà
di scomporre le dimostrazioni matematiche in passaggi logici semplici, tanto semplici da non essere più
ulteriormente analizzabili. Come osserva Prawitz, “sembra lecito affermare che una dimostrazione costruita
mediante le inferenze atomiche di Gentzen è completamente analizzata, nel senso che difficilmente si può
146
immaginare la possibilità di scomporre le sue inferenze atomiche in inferenze più semplici”.
4. La caduta delle Leggi
La formulazione del sistema delle Leggi va incontro ad almeno due difficoltà, che riguardano entrambe
la nozione di decorso di valori.
1) La prima difficoltà deriva dal fatto che i decorsi di valori sono introdotti nel sistema attraverso
l’assioma (V), il quale non ci dice che cosa sono i decorsi di valori, non li determina univocamente, ma ci dice
solo quando due funzioni hanno lo stesso decorso di valori. Che esso non determini univocamente i decorsi di
valori ha come conseguenza che noi non possiamo “decidere se un oggetto che non ci viene dato come tale sia o
no un decorso di valori, e a quale funzione esso appartenga, né possiamo in generale decidere se un dato
decorso di valori abbia una data proprietà, a meno che non sappiamo che questa proprietà è connessa ad una
147
proprietà della funzione corrispondente”.
Per vedere che l’assioma (V) non determina univocamente i decorsi di valori basta considerare una
funzione g(x) che soddisfa le due seguenti condizioni:
(1) ∀x∀y((x=y)=(g(x)=g(y))),
(2) ∀x¬ x=g(x).
,
,
,
,
Dall’assioma (V) e da (1) segue che ∀x(ζ(x)=ξ(x)), x ζ(x)= x ξ(x) e g( x ζ(x))=g( x ξ(x)) hanno tutte lo stesso
,
,
referente. Invece da (2) segue che ¬ x ζ(x)=g( x ζ(x)), cioè che il valore della funzione g(x) per il decorso di
,
valori x ζ(x) come argomento non è eguale a quel decorso di valori. Se ne conclude, allora, che il referente di
,
x ζ(x) non è determinato univocamente. Dunque il referente di un decorso di valori non è determinato
140
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. VI; qui a p.
.
G. Frege, op. cit., p. VI; qui a p. .
142
G. Gentzen, ‘Ricerche sulla deduzione logica’, in D. Cagnoni (a cura di), Teoria della dimostrazione,
Milano (Feltrinelli) 1981, p. 91.
143
G. Gentzen, op. cit., p. 91.
144
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. VII; qui a p.
.
145
G. Frege, op. cit., p. 1; qui a p.
.
146
D. Prawitz, ‘Idee e risultati nella teoria della dimostrazione’, in D. Cagnoni (a cura di), Teoria della
dimostrazione, cit., p. 138.
147
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. 16; qui a p.
.
141
17
univocamente se esiste una funzione “il cui valore per un decorso di valori come argomento non sia sempre
148
eguale al decorso di valori stesso”.
Per risolvere il problema di determinare univocamente i decorsi di valori, la soluzione più ovvia
sarebbe di darne una definizione esplicita, introducendo il decorso di valori di una funzione f(x) come una
classe di coppie ordinate (x,y), dove y è il valore che la funzione f(x) assume per l’argomento x. Ma questo
richiederebbe di spiegare che cosa sono le classi. Ora, secondo Frege esistono solo due concezioni delle classi,
149
“che possiamo caratterizzare nel modo più chiaro con le espressioni ‘aggregato’ e ‘estensione del concetto’”.
La prima concezione è inadeguata, per cui si deve adottare la seconda. Una classe non può essere concepita
come un aggregato perché quest’ultimo è una riunione in un tutto di oggetti del nostro pensiero. Infatti, in primo
150
luogo, “un tutto, un sistema, viene sempre tenuto insieme di relazioni, che sono essenziali”. Per esempio, “un
esercito è distrutto quando viene meno la sua coesione, anche se i singoli combattenti continuano a vivere. Al
contrario, per la classe sono indifferenti le relazioni in cui stanno reciprocamente gli oggetti ad essa
151
In secondo luogo, “dal fatto che sia dato un tutto, non è ancora determinato quali delle sue
appartenenti”.
parti siano da prendere in considerazione. Come parti di un reggimento posso considerare i battaglioni, le
152
compagnie o i singoli soldati”.
Invece, quando “è data una classe, allora è determinato quali oggetti
appartengono ad essa. Alla classe dei numeri primi appartengono solo numeri primi, ma non la classe dei
153
numeri primi della forma 4n+1; questa classe non è infatti un numero primo”. Dunque, alla nozione di classe
154
come aggregato manca “la rigorosità che si deve sempre esigere in matematica”.
Oltre a queste ragioni di ordine generale, vi sono due esempi che mostrano l’inadeguatezza del
concepire le classi come aggregati. Il primo esempio è dato dalla classe vuota. Se si ammette, come è
necessario, tale classe, allora “non è certamente possibile riguardare gli oggetti (individui, enti) che
155
appartengono alla classe come ciò che la determina”.
Invece, la classe vuota non causa alcun problema se si
concepiscono le classi come estensioni di concetti, perché con tale concezione ciò che determina una classe
“sono le note caratteristiche, cioè le proprietà di cui un oggetto deve godere per appartenere ad essa. Può allora
accadere che queste proprietà si contraddicano l’una con l’altra oppure che non vi sia alcun oggetto che le
riunisca in sé. La classe in tal caso è vuota, senza essere però per questo meno degna di considerazione dal
156
punto di vista logico”.
Il secondo esempio è dato dalle classi infinite, che non possono essere concepite
come aggregati a causa della finitezza dell’intelletto umano, che non ci permette di riunire in un tutto infiniti
oggetti del nostro pensiero. Invece le classi infinite non causano alcun problema se si concepiscono le classi
come estensioni di concetti, per esempio “il numero che spetta al concetto ‘numero naturale finito’ è un numero
157
infinito”.
A causa delle difficoltà a cui va incontro la concezione delle classi come aggregati, difficoltà che,
invece, non sorgono concependole come estensioni di concetti, Frege ritiene che si debba adottare quest’ultima
concezione. Ciò comporta immediatamente che non si possa definire il decorso di valori di una funzione come
una classe di coppie ordinate. Infatti, sarebbe circolare definire i decorsi di valori come classi, cioè come
estensioni di concetti, e nello stesso tempo definire le estensioni di concetti come decorsi di valori.
Per questo motivo Frege tenta di dare una diversa soluzione al problema di determinare univocamente
i decorsi di valori. Secondo lui, l’importante non è sapere che cosa sono i decorsi di valori, ma quali proprietà
dei decorsi di valori sono necessarie per lo sviluppo del sistema delle Leggi. Ora, i decorsi di valori sono
oggetti, ed essi, intanto svolgono un ruolo nel sistema, in quanto possono comparire come argomenti di
funzioni. Perciò le proprietà dei decorsi di valori che occorre conoscere per lo sviluppo del sistema si riducono
a una sola: quale valore assumono le funzioni del sistema quando prendono decorsi di valori come argomenti?
148
G. Frege, op. cit., p. 16; qui a p.
.
G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 301.
150
G. Frege, Alle origini della nuova logica: Carteggio scientifico, cit., p. 194.
151
G. Frege, op. cit., p. 194.
152
G. Frege, op. cit., p. 194.
153
G. Frege, op. cit., p. 194.
154
G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 302.
155
G. Frege, Alle origini della nuova logica: Carteggio scientifico, cit., p. 145.
156
G. Frege, op. cit., p. 145.
157
G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 324.
149
18
Basta, dunque, che per ogni funzione del sistema “venga determinato quali siano i suoi valori quando ha come
158
argomenti decorsi di valori, come è determinato per tutti gli altri argomenti”.
Ora, tutte le funzioni del
sistema sono formate a partire da alcune funzioni base, le funzioni primitive del sistema, per cui ci si può
limitare a considerare queste ultime. A loro volta, tutte le funzioni primitive del sistema si possono ridurre a una
sola, cioè all’eguaglianza. Dal momento che “così si è ricondotto tutto alla considerazione della funzione ξ=ζ,
159
domandiamoci quale valore essa abbia quando come argomento compare un decorso di valori”.
Più in
generale domandiamoci quale valore di verità abbia l’eguaglianza ξ=ζ per ogni argomento possibile, ξ e ζ.
Ora, se entrambi gli argomenti, ξ e ζ, sono decorsi di valori, l’assioma (V) ci dice che l’eguaglianza ξ
=ζ è il Vero se le funzioni corrispondenti a tali decorsi di valori hanno sempre lo stesso valore per lo stesso
argomento, e il Falso altrimenti. Se entrambi gli argomenti sono valori di verità, allora l’eguaglianza ξ=ζ è il
Vero se ξ e ζ sono lo stesso valore di verità, mentre è il Falso altrimenti. Se uno degli argomenti, per esempio ξ
,
,
, è un decorso di valori, diciamo x ρ(x), mentre l’altro non lo è, allora l’eguaglianza ξ=ζ ha la forma x ρ(x)=ζ
dove ζ non è un decorso di valori. Questo caso può essere trattato facilmente osservando che nel sistema
160
compaiono “come oggetti solo i valori di verità e i decorsi di valori”.
Perciò si può supporre che ζ sia un
valore di verità. Ma si possono sempre identificare i valori di verità, il Vero e il Falso, con due decorsi di valori
distinti qualsiasi, cioè “è sempre possibile stipulare che un decorso di valori arbitrario sia il Vero, e che un altro
,
,
,
161
Quindi l’eguaglianza x ρ(x)=ζ si riduce alla forma x ρ(x)= x σ(x),
arbitrario decorso di valori sia il Falso”.
e così si ritorna al caso i cui entrambi gli argomenti sono decorsi di valori. Tale caso, come si è già detto, è
,
,
trattato dall’assioma (V), in base al quale x ρ(x)= x σ(x) è il Vero se ∀x(ρ(x)= σ(x)) è il Vero, e il Falso
altrimenti.
Frege sostiene che in questo modo “abbiamo determinato i decorsi di valori nel modo più ampio che
162
qui sia possibile”.
Ma è davvero così? La risposta è negativa perché, per determinare quale sia il valore
dell’eguaglianza quando uno dei suoi due argomenti è un decorso di valori, Frege fa uso dell’assioma (V). Ora,
come come vedremo tra poco, l’assioma (V) sta all’origine del paradosso di Russell.
Ma, anche indipendentemente dal paradosso di Russell, la soluzione di Frege appare comunque
insoddisfacente. Essa si basa su un principio assunto in un primo momento da Frege, il cosiddetto principio del
163
contesto, secondo cui “le parole significano qualcosa soltanto entro il contesto di una proposizione”.
Il
principio assicura che le proprietà dei decorsi di valori che sono necessarie per lo sviluppo del sistema sono
quelle espresse dalle proposizioni del sistema in cui occorrono decorsi di valori. Ora, in tali proposizioni i
decorsi di valori possono comparire solo come argomenti di funzioni, per cui l’unica loro proprietà che occorre
conoscere è quale valore assumano le funzioni del sistema quando prendono decorsi di valori come argomenti.
Ma, nel caso dei decorsi di valori, il principio del contesto confligge radicalmente con le ragioni del disegno
logicista di Frege. Quest’ultimo esige che, per eliminare tutti i dubbi sulla validità della nostra conoscenza
matematica, i principi logici debbano essere assolutamente sicuri e certi, e perciò che le proprietà degli oggetti
logici debbano essere assolutamente chiare e trasparenti. Gli oggetti logici devono presentarsi a noi “come
oggetti che sono dati direttamente alla nostra ragione, oggetti che essa può scrutare fin nelle più profonde
164
intimità, poiché le appartengono integralmente”.
Ma il principio del contesto non assicura che l’assioma (V)
determini univocamente i decorsi di valori, bensì solo che esso sia sufficiente per determinare quell’unica loro
proprietà che è necessaria per lo sviluppo del sistema. Tutte le altre proprietà rimangono indeterminate, per cui
non si può affatto dire che i decorsi di valori, in quanto oggetti logici, siano oggetti che la ragione può scrutare
fin nelle più profonde intimità perché le appartengono integralmente.
158
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. 16; qui a p.
G. Frege, op. cit., p. 17; qui a p.
.
160
G. Frege, op. cit., p. 17; qui a p.
.
161
G. Frege, op. cit., p. 17; qui a p.
.
162
G. Frege, op. cit., p. 18; qui a p.
.
163
G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 299.
164
G. Frege, op. cit., p. 344.
159
19
.
Il fatto che molte proprietà dei decorsi di valori rimangano indeterminate, mentre tutte le proprietà
degli oggetti dati direttamente alla ragione sono completamente determinate, significa che ci devono essere
proprietà dei decorsi di valori che non sono date direttamente alla ragione, e che quindi quest’ultima da sola
non può afferrare. Verosimilmente considerazioni del genere stanno all’origine dell’accentuata tendenza di
Frege, a partire dalle Leggi, a considerare le proprietà degli oggetti logici come indipendenti dal nostro
riconoscerle come tali: se l’assioma (V) permette di determinare solo alcune proprietà dei decorsi di valori,
mentre molte altre rimangono indeterminate perché la ragione da sola non può afferrarle, allora è naturale
concluderne che le proprietà dei decorsi di valori non dipendono dalla nostra ragione. Tali proprietà, non solo
sono indipendenti dal nostro riconoscerle come tali, ma sono anche del tutto indipendenti dal nostro pensarle.
165
In effetti, esse “sono atemporali
Esse sussistono “già da prima e non solo dal momento della loro scoperta”.
166
e aspaziali nella loro essenza”.
2) La seconda difficoltà relativa ai decorsi di valori è data dal paradosso di Russell. Per rendersi conto
di come esso sorga nel sistema, osserviamo che è facile vedere che l’assioma (V) è equivalente al cosiddetto
principio di comprensione:
,
∀y(f(y)=y∈ x f(x)),
,
,
dove ∈ indica l’appartenenza, e in particolare y∈ x f(x) esprime: y appartiene al decorso di valori x f(x). Tale
,
principio asserisce che, per ogni funzione f(x), esiste un oggetto, cioè x f(x), che è il decorso di valori di quella
funzione. In particolare, per ogni concetto, esiste un oggetto che è l’estensione di quel concetto. Prendiamo
allora nel principio di comprensione il concetto ¬x∈x come f(x). Si ottiene
,
∀y(¬y∈y=y∈( x ¬x∈x)),
,
da cui in particolare, prendendo x ¬x∈x come y, segue
,
,
,
,
¬( x ¬x∈x)∈( x ¬x∈x)=( x ¬x∈x)∈( x ¬x∈x),
che è una contraddizione.
Più informalmente, la contraddizione si ottiene nel modo seguente. Come sopra, nel principio di
,
comprensione prendiamo ¬x∈x come f(x). Consideriamo il concetto y∈( x ¬x∈x), con argomento y. Ora, per
ogni concetto è determinato quale sia il suo valore di verità per ogni argomento, quindi dev’essere determinato
,
,
quale sia il valore di verità del concetto y∈( x ¬x∈x) quando si prende x ¬x∈x come argomento y. Dunque
,
,
,
,
( x ¬x∈x)∈( x ¬x∈x) dev’essere un valore di verità, e quindi il Vero o il Falso. Se ( x ¬x∈x)∈( x ¬x∈x) è il
,
,
,
,
Vero, allora per il principio di comprensione si ottiene ¬( x ¬x∈x)∈( x ¬x∈x). Se ( x ¬x∈x)∈( x ¬x∈x) è il
,
,
,
Falso, allora ¬( x ¬x∈x)∈( x ¬x∈x), dunque di nuovo per il principio di comprensione si ottiene ( x ¬x∈x)∈
,
( x ¬x∈x). In entrambi i casi dall’ipotesi segue la sua negazione, e quindi si ha una contraddizione.
Analizzando il paradosso di Russell, si vede che esso trae origine da due diversi fattori: A) il principio
di comprensione, il quale permette di formare, a partire dal concetto ¬x∈x, un oggetto corrispondente, cioè la
,
sua estensione x ¬x∈x; B) l’assunzione che, per ogni concetto del sistema, debba essere determinato quale sia
,
il suo valore di verità per ogni argomento, il che permette di affermare che, per il concetto y∈( x ¬x∈x),
,
dev’essere determinato quale sia il suo valore di verità quando si prende x ¬x∈x come argomento y. Perciò,
per evitare il paradosso di Russell, si deve abbandonare o il principo A) oppure l’assunzione B).
Ora, abbandonare l’assunzione B) significherebbe rinunciare al principio del terzo escluso, perché è a
causa di tale principio che per ogni concetto del sistema è determinato quale sia il suo valore di verità per ogni
argomento. In effetti il principio del terzo escluso è dimostrabile nel sistema, e di esso si fa uso per concludere
165
166
G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 240.
G. Frege, op. cit., p. 242.
20
,
,
,
,
che ¬( x ¬x∈x)∈( x ¬x∈x)=( x ¬x∈x)∈( x ¬x∈x) è una contraddizione. Ma rinunciare al principio del terzo
escluso contraddice l’idea di Frege che “il concetto deve essere nettamente delimitato; di ogni concetto deve
167
valere che o cade o non cade sotto quel concetto. Non può darsi indeterminatezza”.
Il principio del terzo
escluso esprime, appunto, “l’esigenza che il concetto sia rigorosamente delimitato. Un qualunque oggetto ∆
168
cade sotto un concetto oppure non cade sotto di esso: tertium non datur”.
Inoltre, se il principio del terzo
,
escluso non valesse per i concetti quando si prende una classe x ¬x∈x come argomento, allora si dovrebbero
169
considerare “le classi - e anzi i decorsi di valori in generale - come oggetti impropri”.
Le classi non
potrebbero comparire come argomenti di tutte le funzioni. Ma sembra “oltremodo difficile stabilire un completo
sistema di leggi mediante le quali poter decidere in generale quali oggetti sarebbe lecito assumere come
170
argomenti di quali funzioni”.
Per questo motivo, invece di abbandonare l’assunzione B), Frege preferisce abbandonare il principio
A), rinunciando ad assumere che, per ogni concetto, esista un oggetto corrispondente, cioè la sua estensione.
Questa soluzione richiede di “riconoscere le estensioni concettuali o classi come oggetti nel vero e pieno
significato di questa parola, concedendo però nello stesso tempo che la concezione finora accettata
171
dell’espressione ‘estensione di un concetto’ debba essere sottoposta a revisione”.
Abbandonando
l’assunzione B), Frege dà implicitamente ragione a Cantor che, recensendo I fondamenti dell’aritmetica, lo
aveva criticato osservando che non per ogni concetto esiste un oggetto corrispondente, cioè la sua estensione,
dal momento che “l’estensione di un concetto è determinata quantitativamente solo in certi casi; infatti è vero
che, ove sia finita, le spetta un numero determinato; ma d’altra parte per una tale determinazione il concetto
172
A questa critica Frege aveva risposto accusando Cantor di non aver capito la
‘numero’ dev’essere già dato”.
sua definizione di numero di un concetto. La critica di Cantor sarebbe stata pertinente se la sua definizione
avesse implicato che il numero delle lune di Giove era l’estensione del concetto ‘luna di Giove’, ma essa
implicava invece che il numero delle lune di Giove era l’estensione del concetto ‘equinumeroso col concetto
‘luna di Giove’’, dunque in essa non interveniva affatto la “determinazione quantitativa dell’estensione del
173
Così Frege non aveva colto l’avvertimento di Cantor che non per ogni concetto esiste un oggetto
concetto”.
corrispondente, avvertimento che, se raccolto, avrebbe potuto evitargli di andare incontro al paradosso di
Russell. Ora, con la scoperta del paradosso, egli può vedere a sue spese la fondatezza di quell’avvertimento.
Poiché il principio di comprensione è equivalente all’assioma (V), abbandonare il principio A)
significherebbe abbandonare tale assioma. Per giustificare questa soluzione, Frege cerca di accreditare l’idea di
aver sempre nutrito forti dubbi sull’assioma (V). Questo, però, non appare molto plausibile dal momento che,
prima della scoperta del paradosso di Russell, egli affermava, a proposito del suo sistema: “Come confutazione
riconoscerei solo che qualcuno mi mostrasse con i fatti che un edificio migliore e più duraturo possa essere
costruito sopra convinzioni fondamentali diverse, oppure che qualcuno mi mostri che i miei principi conducono
174
a conseguenze palesemente false. Ma ciò non riuscirà a nessuno”.
Invece proprio questo sarebbe riuscito a
Russell. È vero che in quella fase Frege dichiarava che, per quanto gli era dato di vedere, avrebbero potuto
175
Ma con questo non intendeva
sorgere dubbi solo sulla sua “legge fondamentale sul decorso di valori (V)”.
dire di dubitare che (V) fosse una legge logica, ma solo che, se qualcuno avesse voluto contestare i suoi
assiomi, la contestazione avrebbe potuto riguardare al massimo la sua legge fondamentale (V), perché questa
forse non era “stata ancora espressamente enunciata dai logici, sebbene la si abbia in mente, per esempio,
176
quando si parla di estensioni di concetti”. Del resto che, prima della scoperta del paradosso di Russell, Frege
non dubitasse della legge fondamentale (V), e addirittura la ritenesse una legge logica, risulta da una sua
167
G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 380.
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 2, cit., p. 69; trad. it. cit., p. 501.
169
G. Frege, op. cit., p. 254; trad. it., cit., p. 576.
170
G. Frege, op. cit., p. 255; trad. it., cit., p. 577.
171
G. Frege, op. cit., pp. 255-256; trad. it., cit., p. 578.
172
G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 112.
173
G. Frege, op. cit., p. 112.
174
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. XXVI; qui a p.
.
175
G. Frege, op. cit., p. VII; qui a p.
.
176
G. Frege, op. cit., p. VII; qui a p.
.
168
21
177
esplicita dichiarazione: “Io la ritengo puramente logica”.
Già precedentemente egli aveva affermato: “Che
ora sia possibile concepire la generalità di un’eguaglianza tra valori di funzioni come un’eguaglianza, e cioè
come un’eguaglianza tra decorsi di valori, a mio avviso non è dimostrabile, ma dev’essere riconosciuto come
178
una legge logica fondamentale”.
La ragione per cui, per Frege, l’assioma (V) era una legge logica era, come
,
,
abbiamo visto, che secondo lui ∀x(ζ(x)=ξ(x)) e x ζ(x)= x ξ(x) avevano lo stesso referente.
Dopo la scoperta del paradosso di Russell, Frege cambia un po’ le carte in tavola dichiarando, circa
l’assioma (V), di non essersi mai “nascosto che esso non è così evidente come tutti gli altri e come propriamente
179
si deve esigere da una legge logica”.
E aggiunge: “Infatti ho accennato a questa debolezza anche a pagina
180
VII della prefazione al primo volume”.
Ma a pagina VII, subito dopo l’affermazione che una eventuale
contestazione degli assiomi del sistema avrebbe potuto riguardare solo la legge fondamentale (V) perché questa
non era stata ancora espressamente enunciata dai logici, si trova solo la dichiarazione che Frege considera (V)
una legge puramente logica.
Per trovare una via di uscita al paradosso, Frege cerca di trarre il massimo di indicazioni possibili
dall’assioma (V). Ora, tale assioma è la congiunzione di due implicazioni. La prima, cioè
,
,
(Va) ∀x(ζ(x)=ξ(x))→( x ζ(x)= x ξ(x)),
esprime che, se due funzioni hanno sempre lo stesso valore per lo stesso argomento, allora hanno anche lo
stesso decorso di valori. La seconda, cioè
,
,
(Vb) ( x ζ(x)= x ξ(x)) →∀x(ζ(x)=ξ(x)),
viceversa esprime che, se due funzioni hanno lo stesso decorso di valori, allora hanno anche sempre lo stesso
valore per lo stesso argomento. In un primo momento Frege pensa che la responsabilità del paradosso debba
attribuirsi a (Va), cioè “che non sempre sia permessa la trasformazione della generalità di un’eguaglianza in
181
un’eguaglianza di decorsi di valori”.
Ma successivamente egli si convince che tale responsabilità vada
182
ricercata in (Vb). Per lui ora “l’errore può trovarsi solo nella nostra legge (Vb), che quindi dev’essere falsa”.
Anzi egli dimostra che (Vb) è realmente la causa dell’errore, e perciò ne conclude che “nulla impedisce la
trasformazione della generalità di un’eguaglianza in un’eguaglianza di decorsi di valori; solo la trasformazione
183
inversa è da riguardare come non sempre lecita”.
Avendo individuato l’origine del paradosso di Russell in (Vb), Frege cerca di escogitare una via di
uscita e crede di trovarla nei due assiomi seguenti, che dovrebbero prendere il posto di (Vb):
,
,
,
(V’b) ( x ζ(x)= x ξ(x))→∀y(¬y= x ζ(x)→(ζ(y)=ξ(y)))
,
,
,
(V”b) ( x ζ(x)= x ξ(x))→∀y(¬y= x ξ(x)→(ζ(y)=ξ(y)))
Qui (V’b) esprime che, se due funzioni ζ(x) e ξ(x) hanno lo stesso decorso di valori, allora esse hanno anche
sempre lo stesso valore per lo stesso argomento, tranne quando l’argomento sia il decorso di valori di ζ(x).
Analogamente (V”b) esprime che, se due funzioni ζ(x) e ξ(x) hanno lo stesso decorso di valori, allora esse
hanno anche sempre lo stesso valore per lo stesso argomento, tranne quando l’argomento sia il decorso di valori
di ξ(x).
Frege non sembra nutrire dubbi sul fatto che in tal modo si evitino i paradossi, perché afferma che,
184
sostituendo (Vb) con (V’b) e (V”b), “non sorge alcuna contraddizione”.
Quest’affermazione è corretta se
viene intesa nel senso che, con questa modifica del sistema, non sorge il paradosso di Russell, ma non lo è in
assoluto perché, anche se la sostituzione blocca il paradosso di Russell, essa non impedisce il sorgere di una
nuova contraddizione. Infatti, usando (V’b) e (V”b), nel sistema risultante si può dimostrare che esiste al
177
G. Frege, op. cit., p. VII; qui a p.
.
G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 130.
179
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 2, cit., p. 253; trad. it. cit., p. 575.
180
G. Frege, op. cit., p. 253; trad. it., cit., p. 575.
181
G. Frege, Alle origini della nuova logica: Carteggio scientifico, cit., p. 185.
182
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 2, cit., p. 257; trad. it. cit., p. 581.
183
G. Frege, op. cit., p. 257; trad. it., cit., p. 582.
184
G. Frege, op. cit., p. 265; trad. it., cit., p. 593.
178
22
massimo un oggetto. D’altra parte nel sistema si può anche dimostrare che i due valori di verità, il Vero e il
185
Falso, sono distinti tra loro, e quindi esistono almeno due oggetti. Si ha così una contraddizione.
Dunque la
soluzione di Frege del paradosso di Russell non offre una reale via di uscita.
5. Le nuove tavole della legge
Sebbene non vi sia alcuna prova che Frege sia mai stato consapevole della possibilità di derivare una
nuova contraddizione nel suo sistema modificato sostituendo (Vb) con (V’b) e (V”b), ciò nonostante egli non
dev’essere stato molto soddisfatto della sua soluzione se, col passare degli anni, finì per abbandonarla. La
ragione di ciò sta probabilmente nel fatto che, ovviamente, egli si preoccupava che, bloccando il paradosso di
Russell, non venisse impedita nel sistema la dimostrazione di risultati matematici già noti. Per verificarlo si
186
sarebbe reso “necessario un controllo su tutte le proposizioni fin qui trovate”.
Ora, anche da un primo rapido esame appare evidente che, nel sistema risultante dalla sostituzione di
(Vb) con (V’b) e (V”b), non si può più dimostrare che ogni numero naturale ha un successore. Per la sua
elementarità e importanza nell’aritmetica dei numeri naturali, è verosimile che questa proprietà sia stata una
delle prime di cui Frege abbia controllato la dimostrabilità nel sistema, e perciò “è probabile che Frege si sia
187
reso conto molto rapidamente dell’inutilità della sua soluzione”.
Questo deve averlo indotto ad
abbandonarla. Naturalmente, che nel sistema non si possa dimostrare che ogni numero naturale ha un
successore, va inteso nel senso: non lo si può dimostrare senza far uso del fatto che il sistema è incoerente.
Infatti, poiché il sistema è incoerente, in esso si può dimostrare qualsiasi cosa. Ma Frege non sapeva che il suo
sistema fosse incoerente, né ovviamente sarebbe stato soddisfatto che qualcosa fosse dimostrabile nel sistema
solo in virtù della sua incoerenza.
La dimostrabilità nel sistema di una proprietà dei numeri naturali così fondamentale come quella che
ogni numero naturale ha un successore, ovviamente era essenziale per il programma di Frege di fondare
l’analisi infinitesimale sulla logica: un sistema in cui non fosse stata dimostrabile una proprietà così elementare
non sarebbe stato idoneo per una tale fondazione. È ragionevole supporre che, essendosi reso conto che la sua
soluzione del paradosso di Russell non permetteva di dimostrare la proprietà in questione, e quindi di realizzare
il suo disegno logicista, e non riuscendo a trovare una soluzione alternativa, alla fine egli si sia convinto che non
esistevano altre soluzioni e che il disegno logicista era irrealizzabile.
Questa conclusione deve aver trovato conforto in altri tentativi contemporanei di fondazione della
matematica, come la teoria dei tipi di Russell (1908) o la teoria assiomatica degli insiemi di Zermelo (1908),
che sebbene evitassero i paradossi noti e permettessero di dimostrare tutti i risultati della matematica esistente,
188
tuttavia richiedevano l’uso di assiomi non logici e quindi, dal punto di vista di Frege, erano inaccettabili.
189
Tali tentativi si basavano su una concezione ‘genetica’ degli insiemi che era “aliena a Frege”.
Questi tentativi gli ricordavano che anche la sua soluzione, oltre ad andare incontro alla difficoltà già ricordata
sul successore, sotto questo aspetto non era priva di pecche. Infatti, mentre l’assioma (V), secondo Frege, era
giustificato dal punto di vista della sua teoria del significato, egli non poteva dire altrettanto per i nuovi assiomi
(V’b) e (V”b). La loro giustificazione non si basava sulla sua teoria del significato, ma solo sulla considerazione
pragmatica che essi permettevano di evitare il paradosso di Russell. Sia (V’b) che (V”b) si limitavano a
,
,
introdurre eccezioni nei casi y= x ζ(x) e y= x ξ(x), rispettivamente, ma chiaramente si trattava di una soluzione
185
Cfr. B. Sobocinski, ‘L’analyse de l’antinomie russellienne par Lesniewski’, Methodos, vol. 1 (1949), pp. 94107, 220-228, 308-316; W.V. Quine, ‘On Frege’s way out’, Mind, vol. 64 (1955), pp. 145-159; P.T. Geach,
‘On Frege’s way out’, Mind, vol. 65 (1956), pp. 408-409.
186
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 2, cit., p. 265; trad. it. cit., p. 594.
187
M. Dummett, Frege: Philosophy of language, cit., p. xli.
188
Per una presentazione di questi sistemi, oltre che per una riformulazione molto modernizzata del sistema di
Frege, si rimanda, ad esempio, a W.S. Hatcher, Fondamenti della matematica, Torino (Boringhieri) 1973.
189
C. Parsons, ‘Some remarks on Frege’s conception of extensione’, in M. Schirn (ed.), Studien zu Frege I.
Logik und Philosophie der Mathematik, Stuttgart-Bad Cannstatt (Frommann-Holzboog) 1976, p. 277.
23
ad hoc. Se qualche pianeta non avesse soddisfatto le leggi della meccanica newtoniana, sarebbe stato illusorio
risolvere la difficoltà dicendo che le leggi della meccanica valevano per tutti i corpi celesti tranne che per quel
pianeta: eppure, questo è esattamente quanto facevano (V’b) e (V”b). Il carattere ad hoc della soluzione
ripropone a Frege la questione: “Come intendiamo gli oggetti logici, in particolare i numeri? A che titolo siamo
190
autorizzati a riconoscere i numeri come oggetti?”
A ciò Frege non sa dare una risposta soddisfacente, anche
se è convinto di essere sulla buona strada: “Anche se la soluzione di questo problema non è così avanzata come
191
io pensavo nel comporre questo volume, non dubito tuttavia che sia stata trovata la via per giungere ad essa”.
Più in generale, il fatto che Frege debba ricorrere a una soluzione ad hoc, mostra che egli non è
riuscito ad individuare una soluzione del paradosso di Russell basata su principi radicalmente nuovi e alternativi
rispetto all’assioma (V). Egli continua a non vedere come l’aritmetica possa essere fondata sulla sola logica, e
come i numeri possano essere compresi e trattati come oggetti logici, se non è “permesso - almeno in modo
192
condizionale - passare da un concetto alla sua estensione”.
In una lettera a Russell egli così esprime la sua
angustia: “Qui si tratta della domanda: come concepiamo oggetti logici? e io non ho trovato altra risposta che
questa: li concepiamo come estensioni di concetti, o più in generale come decorsi di valori di funzioni. Non ho
mai negato che ciò comporti difficoltà, che sono ancora aumentate dalla Sua scoperta della contraddizione; ma
193
quale altra via ci può essere?”.
Di fronte all’accumularsi di queste difficoltà che sollevano pesanti dubbi sul disegno logicista, Frege si
dibatte a lungo e cerca di resistere, ma alla fine è costretto ad arrendersi all’evidenza e si risolve ad
abbandonare tale disegno. Con lucidità e coraggio egli riconosce che tutti i suoi “sforzi di far chiarezza sulle
questioni che circondano la parola ‘numero’, i singoli numerali e i segni numerici, sono terminati, a quanto
194
pare, in un completo insuccesso”.
Il progetto di fondare l’analisi infinitesimale sulla logica è fallito. Questo
non significa che Frege rinunci ad assegnare alla logica un ruolo nella matematica, ma egli abbandona la pretesa
che gli assiomi del sistema possano essere, oltre che, come voleva Proclo, verità autoevidenti, anche verità
logiche. La logica rimane per lui solo come un’istanza di igiene dimostrativa, cioè come l’esigenza che tutte le
proposizioni di un sistema matematico debbano essere dedotte dagli assiomi solo mediante inferenze logiche,
senza far appello a considerazioni intuitive.
L’insuccesso degli sforzi di Frege richiede che il sistema delle Leggi venga abbandonato, perché, se il
195
sistema “accettato fino ad ora si mostra insufficiente, va demolito e sostituito con un nuovo edificio”.
Abbandonarlo, per Frege, significa non basarsi più sulla sua teoria del significato. Questa, infatti, lo ha indotto
,
,
ad assumere che ∀x(ζ(x)=ξ(x)) e x ζ(x)= x ξ(x) abbiano lo stesso referente, e quindi che (V) sia una legge
logica. Questo comporta che, per ogni concetto, debba esistere un oggetto corrispondente, cioè la sua
estensione, ma il paradosso di Russell dimostra che “questa trasformazione di un concetto in un oggetto è
196
L’analisi dei significati è tanto più insidiosa in quanto “l’espressione ‘l’estensione del
inammissibile”.
197
concetto F ’ sembra essere del tutto naturale a causa del suo impiego molteplice”.
L’articolo determinativo
ingenera l’impressione che con questa espressione si stia designando un oggetto, mentre invece non v’è alcun
oggetto che possa essere così designato, e “di qui sono nati i paradossi della teoria degli insiemi, che hanno
198
annientato quella teoria”.
Lo stesso Frege è stato indotto in tale errore: “Io stesso, nel tentativo di fondare
199
logicamente i numeri, sono stato vittima di quest’inganno col voler concepire i numeri come insiemi”.
Ciò
190
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 2, cit., p. 265; trad. it. cit., p. 594.
G. Frege, op. cit., p. 265; trad. it., cit., p. 594.
192
G. Frege, op. cit., p. 253; trad. it., cit., p. 575.
193
G. Frege, Alle origini della nuova logica: Carteggio scientifico, cit., p. 194.
194
G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 411.
195
G. Frege, op. cit., p. 429.
196
G. Frege, Alle origini della nuova logica: Carteggio scientifico, cit., p. 68.
197
G. Frege, op. cit., p. 70.
198
G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 416.
199
G. Frege, op. cit., p. 416.
191
24
200
mostra “quanto sia facile impantanarsi: il che purtroppo è capitato anche a me”.
E così accadde che, dopo il
201
completamento delle Leggi, gli “crollò l’intero edificio”.
Non vedendo come sottrarsi alle insidie dell’analisi dei significati, Frege decide di battere una strada
completamente differente. La sua teoria del significato era solo un mezzo rispetto al fine di assicurare la
sicurezza e certezza della matematica, ed egli la abbandona non appena individua un altro mezzo. Questo
mostra quanto fuorviante sia l’interpretazione di Dummett secondo cui per Frege il compito primario della
filosofia sarebbe l’analisi dei significati. Nel suo nuovo tentativo di fondazione Frege deve dare una risposta
alla domanda: se non si può fondare l’analisi infinitesimale sulla logica, su che cosa la si può fondare? La
risposta a cui, dopo lunga meditazione, egli approda è: sull’intuizione a priori dello spazio, su quella stessa
intuizione a priori dello spazio che egli precedentemente aveva ritenuto inadatta a tale scopo. Questo è il nuovo
mezzo a cui egli ora intende ricorrere in sostituzione della sua teoria del significato. In base a quest’ultima egli
aveva ritenuto che da un concetto si potesse passare a un oggetto (la sua estensione), e che quindi la ‘fonte
conoscitiva logica’ potesse darci degli oggetti, ma il paradosso di Russell gli ha insegnato che “attraverso
202
questa fonte conoscitiva soltanto non ci è dato alcun oggetto”.
La fonte conoscitiva logica in particolare non
ci dà alcun numero, ci dà solo concetti. Con i concetti che essa ci fornisce, “non abbiamo i numeri
dell’aritmetica, non abbiamo oggetti, ma concetti. Come è possibile pervenire in maniera ineccepibile da quei
203
No, i numeri
concetti ai numeri dell’aritmetica? O forse che i numeri dell’aritmetica non ci sono affatto?”
dell’aritmetica ci sono, ma non ci vengono dati dalla fonte conoscitiva logica, bensì da un’altra fonte
conoscitiva, l’intuizione a priori dello spazio.
Il richiamo a quest’ultima non costituisce una novità per Frege, perché compare già nella sua
dissertazione di dottorato a Göttingen del 1873, nella quale egli afferma che la geometria si fonda “su assiomi
204
che derivano la loro validità dalla natura della nostra facoltà di intuizione”.
All’inizio, invece, questa gli era
sembrata una base insufficiente per l’aritmetica. Già nella sua dissertazione per la libera docenza a Jena del
1874 egli dichiarava che, “poiché l’oggetto dell’aritmetica non ha alcuna intuitività, i suoi principi non possono
205
derivare dall’intuizione”.
E, a maggior ragione, l’intuizione gli sembrava incapace di fondare l’infinito. Ora,
invece, la sua posizione cambia totalmente. Egli sostiene che, nel fondare l’aritmetica, poiché “la fonte
conoscitiva logica da sola non ci può fornire presumibilmente alcun numero, siamo rinviati alla fonte
206
conoscitiva geometrica”.
E, analogamente, laddove riconosciamo l’infinito a pieno titolo, “abbiamo bisogno
207
Infatti, “dalla fonte della conoscenza
di una fonte conoscitiva speciale, e tale è appunto quella geometrica”.
208
geometrica sgorga anche l’infinito nel senso proprio e rigoroso del termine”.
Questo perché “ogni segmento
209
di una retta, ogni circonferenza, contiene infiniti punti, e per ogni punto passano infinite rette”.
La finalità di Frege rimane sempre la stessa: confutare i dubbi sulla validità della nostra conoscenza
matematica, fondandola su principi assolutamente sicuri e certi. Quello che cambia è il fondamento: non più la
logica, ma l’intuizione a priori dello spazio. Per lui ora “aritmetica e geometria, e quindi l’intera matematica nel
suo complesso, scaturiscono da un’unica fonte conoscitiva, ossia la fonte geometrica, che assurge così al rango
di fonte conoscitiva matematica per eccellenza, in cui è sempre implicitamente compresa, naturalmente, la fonte
210
conoscitiva logica”.
La sua precedente netta distinzione tra la geometria e il resto della matematica
scompare, aritmetica e geometria diventano un tutto omogeneo, crescono “dallo stesso terreno e, precisamente,
200
G. Frege, Alle origini della nuova logica: Carteggio scientifico, cit., 70.
G. Frege, op. cit., p. 70.
202
G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 428.
203
G. Frege, op. cit., p. 402.
204
G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 1.
205
G. Frege, op. cit., p. 50.
206
G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 428.
207
G. Frege, op. cit. p. 422.
208
G. Frege, op. cit., p. 421.
209
G. Frege, op. cit., p. 421.
210
G. Frege, op. cit., p. 428.
201
25
dal terreno della geometria, così che tutta l’aritmetica è, propriamente, geometria. La matematica appare così
211
fortemente unitaria nella sua essenza”.
Nel suo nuovo tentativo di fondazione della matematica, Frege non costruisce il campo dei numeri
212
“prendendo le mosse dai numeri interi positivi”. Egli, invece, si dirige “direttamente alla meta finale, ossia ai
213
numeri complessi”.
Frege, infatti, vuole definire direttamente l’intero sistema dei numeri complessi, che
include come sottoinsiemi i numeri reali e i numeri naturali. Alla base del suo nuovo tentativo sta l’osservazione
di Gauss secondo cui, se si fanno corrispondere a “segmenti orientati nel piano di base numeri complessi, il
rapporto di due segmenti dà come risultato un numero complesso, indipendentemente dal segmento scelto come
214
Ispirandosi a questa osservazione di Gausss, Frege si propone di chiamare “numero il
segmento-unità”.
215
rapporto di due segmenti, includendovi così automaticamente i numeri complessi”.
I numeri complessi,
quindi, verranno introdotti come rapporti di segmenti in un dato piano, detto piano di base.
Per far ciò Frege introduce un nuovo sistema che dovrà prendere il posto di quello delle Leggi. Le
nozioni fondamentali del sistema sono i concetti di punto, retta e piano e la relazione che “è espressa dal
216
seguente enunciato: Il punto A è simmetrico al punto B rispetto alla retta G ”.
Usando queste nozioni, Frege
definisce la relazione: ‘Il triangolo MAB è simile al triangolo PQR’. In termini di tale relazione, egli introduce
la definizione: “Se O è l’origine e A è il punto terminale (nel piano di base), e il triangolo OAC è simile al
217
Qui per origine e punto
triangolo PQR allora dico che: Il punto C corrisponde al rapporto PQ : PR”.
terminale Frege intende due punti fissati nel piano di base. Si può dimostrare il seguente teorema: “Se il
triangolo OAC è simile al triangolo PQR e se il triangolo OAD è simile al triangolo PQR, allora D e C sono il
medesimo punto; oppure: Se il punto C corrisponde al rapporto PQ : PR, e se il punto D corrisponde al rapporto
218
PQ : PR, allora C e D sono il medesimo punto”.
In base a questo teorema, ogni rapporto di segmenti nel
piano di base può essere rappresentato mediante un unico punto C in tale piano. Un numero complesso può,
allora, essere identificato con questo punto C. In questo modo Frege ritiene di poter introdurre i numeri
complessi, e, a partire da essi, tutti gli altri tipi di numeri.
La ragione di questo modo di introdurre i numeri complessi sta nel fatto che Frege non li può
introdurre semplicemente come rapporti di segmenti di una retta, così come aveva fatto con i numeri reali nelle
219
Leggi, dove aveva “concepito i numeri reali come rapporti di grandezze”. Se “ci si volesse limitare ai numeri
reali, li si potrebbe considerare come rapporti di segmenti di una retta, intendendo con ciò segmenti orientati,
220
con una distinzione fra punto iniziale e punto terminale”.
Si potrebbero allora far scorrere a piacimento i
221
Al
segmenti lungo la retta, senza introdurre “con ciò alcun cambiamento essenziale per la matematica”.
222
contrario, per introdurre i numeri complessi, “invece di una retta si deve prendere un piano”.
Infatti,
limitandosi a considerare rapporti di segmenti di una retta, non si ottengono altro che numeri reali, perciò per
introdurre i numeri complessi li si deve concepire come rapporti di segmenti nel piano di base. In virtù del
teorema sopra menzionato, ogni numero complesso potrà allora essere rappresentato mediante un unico punto
nel piano base. Il punto in questione non dipenderà solo dalla grandezza dei segmenti, bensì anche dall’angolo
con cui essi sono orientati nel piano di base.
È difficile valutare appieno questo nuovo approccio di Frege perché esso è appena abbozzato e la
morte gli impedì di svilupparlo. Quel che si può dire è che esso appare piuttosto artificioso come fondazione
della matematica. Indipendentemente dal suo successo, ci si può interrogare sulle ragioni che stanno alla sua
211
G. Frege, op. cit., p. 425.
G. Frege, op. cit., p. 429.
213
G. Frege, op. cit., p. 429.
214
G. Frege, op. cit., p. 429.
215
G. Frege, op. cit., p. 429.
216
G. Frege, op. cit., p. 430.
217
G. Frege, op. cit., p. 431.
218
G. Frege, op. cit., pp. 431-432.
219
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 2, cit., p. 155; trad. it. cit., p. 557.
220
G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 429.
221
G. Frege, op. cit., p. 429.
222
G. Frege, op. cit., p. 429.
212
26
base. Ora, certo, l’idea di fondare la sicurezza e certezza della matematica sull’intuizione a priori dello spazio è
suggerita a Frege dall’istinto di conservazione. Di fronte al paradosso di Russell, la prudenza gli consiglia di
ritirarsi su un terreno sicuro, e che cosa v’è di più sicuro dell’intuizione a priori dello spazio?
Questo, per Frege, rappresenta una palinodia rispetto alle riserve da lui precedentemente espresse su
Kant. È stato affermato che “dopo il 1884 il debito di Frege verso la filosofia kantiana diventa sempre più
tenue, e la variante di realismo che egli elabora negli anni della maturità e della vecchiaia lo porterà agli
antipodi della concezione kantiana, avvicinandolo sempre di più (probabilmente a sua insaputa) al punto di
223
Al contrario, la posizione a cui Frege approda nella vecchiaia segna una resa totale a
vista di Bolzano”.
Kant, sia pure a un Kant mal interpretato e frainteso. Già nel 1884, ne I fondamenti dell’aritmetica, Frege era
stato prodigo di riconoscimenti verso Kant: “Affermando che le verità geometriche sono sintetiche a priori, egli
224
ha saputo per primo comprendere la loro vera natura”.
Certo, Kant ha sbagliato nell’attribuire quella stessa
natura alle verità aritmetiche, ma ciò non toglie “nulla di essenziale ai suoi meriti. L’importante era infatti per
lui che vi fossero giudizi sintetici a priori: ha ben poca importanza che essi si presentino solo nella geometria o
225
anche nell’aritmetica”.
Quest’unico errore di Kant può essere rimediato attraverso il tentativo di mostrare
che l’aritmetica consta di giudizi analitici, e questo tentativo non va visto in opposizione a Kant, ma va visto
226
Ora, al termine della sua vita, Frege fa
piuttosto come “un miglioramento del punto di vista di Kant”.
ammenda anche di quell’unica sua riserva su Kant, riconoscendo che anche le verità aritmetiche sono sintetiche
a priori. Non per nulla, a proposito del nuovo punto di vista di Frege, il filosofo neo-kantiano Hönigswald
osservava compiaciuto che “lo spirito che lo permea e i risultati metodici ai quali esso giunge, corrispondono
227
totalmente alle nostre aspirazioni e ai nostri desideri”.
Non solo Frege si arrende a Kant, ma addirittura lo scavalca, ponendo l’intuizione a priori dello spazio
a fondamento, non solo della geometria, ma dell’intera matematica. In quest’ultima, secondo Frege, deve
sempre “intervenire una conoscenza a priori. Ma non deve trattarsi necessariamente, come supponevo all’inizio,
di una conoscenza che deriva da principi puramente logici. Può trattarsi anche di una conoscenza che scaturisce
228
dalla fonte conoscitiva geometrica”. Facendo scaturire, a differenza di Kant, anche le verità aritmetiche dalla
fonte conoscitiva geometrica, Frege non coinvolge nella sua fondazione dell’aritmetica anche l’intuizione a
priori del tempo, ma pone alla sua base solo quella dello spazio. È vero che egli ammette che “accanto
all’elemento spaziale si deve riconoscere anche l’elemento temporale. Anche ad esso corrisponde una fonte
229
conoscitiva e anche da esso creiamo l’infinito”.
Tuttavia a questa fonte conoscitiva Frege non assegna alcun
ruolo nel suo nuovo tentativo di fondazione della matematica.
Sostituire, nella fondazione della matematica, la logica con l’intuizione a priori dello spazio,
dev’essere costato molto a Frege perché contraddiceva le convinzioni di una vita. Se, prima, Frege stabiliva una
netta separazione tra aritmetica e geometria, ora, invece, egli ribalta completamente questa posizione. Quello
che più sorprende è che questo ribaltamento avvenga senza che egli senta il bisogno di spiegare e giustificare
per quale motivo le ragioni per cui prima considerava l’intuizione geometrica una base inaffidabile per l’analisi
infinitesimale, ora non valgano più. Ciò dimostra che la sua preoccupazione principale, non solo non era quella
di sviluppare una analisi dei significati, ma non era neppure quella di collocare la matematica in un quadro
epistemologico prefissato. Egli è disposto a non basarsi più sulla sua teoria del significato e ad abbandonare
totalmente il quadro epistemologico logicista adottandone un altro opposto, quando si rende conto che tutto
questo non basta per assicurare quello che davvero gli sta a cuore e che costituisce il suo scopo primario:
confutare i dubbi sulla validità della nostra conoscenza matematica, fondandola su basi assolutamente sicure e
certe. Questo mostra che per Frege tale scopo fa aggio su tutto il resto: sia sulla sua teoria del significato che sul
quadro epistemologico logicista.
In Frege la sostituzione di quel quadro epistemologico con un altro in cui l’intuizione a priori dello
spazio prende il posto della logica, non dipende da una sua particolare preferenza per un approccio kantiano
alla conoscenza, ma semplicemente dal desiderio di vedere la matematica posta su una base sicura con qualche
223
E. Picardi, La chimica dei concetti. Linguaggio, logica, psicologia 1879-1927, cit., p. 48.
G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 330.
225
G. Frege, op. cit., p. 330.
226
G. Frege, op. cit., p. 348.
227
G. Frege, Alle origini della nuova logica: Carteggio scientifico, cit., p. 67.
228
G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 425.
229
G. Frege, op. cit., p. 422.
224
27
mezzo. O, per meglio dire, con qualsiasi mezzo. Se Frege finì per ricorrere all’intuizione a priori dello spazio,
non è per una sua particolare predilezione per quel quadro epistemologico, che faceva a pugni con le
convinzioni di una vita, ma solo perché “il ricorso alla conoscenza sintetica a priori sembrava essere il solo
230
mezzo rimastogli”. Egli riteneva che la matematica dovesse essere “assolutamente sicura dal dubbio scettico;
era per salvare la matematica da questi dubbi che egli aveva sviluppato la sua tesi logicista e aveva elaborato la
231
sua critica dello psicologismo”. Fu questa “richiesta di certezza che indusse il primo Frege a formulare il suo
232
oggettivismo, e il Frege successivo a ripiegare sulla conoscenza sintetica a priori della matematica”.
Garantire la sicurezza e certezza assoluta della matematica era il fine, rispetto al quale, adottare un quadro
epistemologico piuttosto che un altro, ricorrendo alla logica o all’intuizione a priori dello spazio, era solo un
mezzo.
In questa luce va vista la posizione di Frege, che non discende dall’adesione totale ad un quadro
epistemologico privilegiato da cui dipendono tutte le sue scelte successive. La posizione di Frege ne discende
tanto poco che, dopo la scoperta del paradosso di Russell, egli non solo non usa più la sua teoria del significato,
ma rinuncia all’idea “che l’aritmetica sia un ramo della logica e che, di conseguenza, tutto in aritmetica debba
233
Può darsi che Frege trovasse particolarmente congeniale il
venir dimostrato in modo puramente logico”.
quadro epistemologico logicista, ma è un fatto che egli non esitò ad abbandonarlo non appena fu posto di fronte
all’alternativa: conservare il quadro epistemologico logicista e rinunciare alla sicurezza e certezza assoluta della
conoscenza matematica, oppure salvarle e fare a meno di quel quadro. Questo suo comportamento risulterebbe
inspiegabile se il suo fine ultimo non fosse stato quello di confutare i dubbi sulla validità della nostra
conoscenza matematica, realizzando l’ideale filosofico di una scienza basata su principi assolutamente sicuri e
certi, bensì quello di privilegiare l’analisi dei significati o di collocare la matematica in un quadro
epistemologico prefissato.
Tale suo comportamento diventa ancor più chiaro se si considera che, fin dall’inizio, la sua adesione al
quadro epistemologico logicista aveva un carattere dichiaratamente sperimentale. Che l’aritmetica potesse
essere fondata sulla sola logica era per lui solo un’ipotesi che egli voleva verificare attraverso le sue indagini.
Frege comincia a verificarla nell’Ideografia, dove pone il compito di “indagare fino a che punto si possa
234
procedere nell’aritmetica in modo puramente deduttivo”.
L’ideografia è lo strumento da lui creato a tale
scopo, ma nell’Ideografia ne compare solo un frammento il quale, sebbene basti ad analizzare l’inferenza
logica, non è sufficiente per analizzare in termini logici i concetti di numero naturale, numero razionale, numero
reale e numero complesso. Come egli dichiara, “l’ulteriore prosecuzione del cammino indicato, l’illuminazione
235
In seguito al
dei concetti di numero, di grandezza, ecc., debbono formare oggetto di successive ricerche”.
lavoro svolto negli anni immediatamente successivi, culminante ne I fondamenti dell’aritmetica, l’ipotesi
comincia ad apparirgli probabile, ma non più di tanto. È vero che Frege afferma che dalle sue indagini si può
236
concludere che, “molto probabilmente, le verità aritmetiche sono di natura analitica e a priori”.
Ma egli
riconosce di non poter “pretendere di aver reso altro che probabile la natura analitica delle proposizioni
aritmetiche; al punto attuale, infatti, è ancora possibile dubitare che la loro dimostrazione possa venir
237
completamente ricondotta a pure leggi logiche”.
Solo con un articolo pubblicato due anni dopo, Sulle teorie formali dell’aritmetica [Über formale
Theorien der Arithmetik] (1896), egli sembra essersi definitivamente convinto della verità dell’ipotesi, tanto da
affermare che “tutte le proposizioni aritmetiche possono essere derivate soltanto da definizioni in modo
238
puramente logico”.
Ma, come unica giustificazione di questa convinzione, egli si limita a dire che “le
239
Esse,
proposizioni fondamentali su cui si basa l’aritmetica non possono applicarsi solo ad un’area limitata”.
230
G. Currie, Frege: An introduction to his philosophy, cit., p. 187.
G. Currie, op. cit., p. 186.
232
G. Currie, op. cit., p. 186.
233
G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 427.
234
G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 104.
235
G. Frege, op. cit., p. 108.
236
G. Frege, op. cit., p. 348.
237
G. Frege, op. cit., pp. 330-331.
238
G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 103.
239
G. Frege, op. cit., p. 103.
231
28
invece, “devono estendersi a tutto il pensabile; e siffatte proposizioni estremamente generali possono a buon
240
diritto essere ascritte alla logica”.
Frege ha l’impressione di aver dato una vera e propria dimostrazione
dell’ipotesi solo alcuni anni dopo, nelle Leggi, ma si tratta di un’impressione infondata, perché ben presto il
paradosso di Russell rivelerà tutta la fragilità della sua presunta dimostrazione. Così l’ipotesi riacquisterà lo
statuto di proposizione soltanto probabile, e le indagini successive convinceranno Frege che essa, dopo tutto, è
indimostrabile, e dev’essere abbandonata e sostituita con una nuova ipotesi. L’averla considerata come una
mera ipotesi spiega la relativa disinvoltura e mancanza di approfondite giustificazioni con cui Frege rinunciò al
quadro epistemologico logicista per adottarne un altro totalmente differente e contrastante.
6. L’eredità delle Leggi
Se l’intento fondamentale delle Leggi, di basare tutta la matematica contemporanea eccetto la
geometria sulla logica, è fallito, per quale motivo quest’opera rimane così importante per la storia della logica?
La sua rilevanza, insieme a quella dell’Ideografia, deriva da alcuni suoi fondamentali contributi, che
rappresentano altrettante pietre miliari nella storia della logica e il cui interesse va al di là del programma
logicista di Frege.
C’è chi, come Putnam, sostiene polemicamente che, per alcuni di tali contributi, si possono trovare
anticipazioni nella logica precedente o contemporanea, e si spinge fino a dire che “la logica del primo ordine (e
241
Putnam sminuisce il ruolo di Frege nello
il suo studio metamatematico) sarebbe esistita senza Frege”.
sviluppo della logica matematica, affermando che “Peirce e Schröder furono il discrimine per il mondo logico
prima dei Principia Mathematica di Russell e Whitehead (o un discrimine - la scuola di Hilbert era già in
242
movimento)”.
Invece, secondo Putnam, Frege non sarebbe stato un discrimine. Ora, che alcuni dei contributi
di Frege si possano trovare isolatamente in altri autori precedenti o contemporanei è senz’altro vero, ma questo
non diminuisce il ruolo di Frege perché solo con lui essi sono stati composti in un tutto unico, dando luogo a
un’originale nuova forma di logica, a quel nuovo paradigma logico che è stato dominante nell’ultimo secolo.
Putnam sostiene che “oggi l’opera di Frege viene talora svilita (si intende, le acquisizioni logiche di Frege; le
243
azioni di Frege come filosofo non sono mai state così alte)”.
Al contrario, un equilibrato giudizio su Frege
dovrebbe riconoscere che, “si pensi quel che si voglia della filosofia della matematica di Frege, resta in ogni
244
caso la sua opera propriamente logica, che ha dato di colpo a questa scienza la sua forma moderna”.
Senza pretendere di enumerare tutti i contributi di Frege nelle Leggi e nell’Ideografia, ci limiteremo
qui ad indicarne tre che appaiono particolarmente rilevanti, sottolineandone però nello stesso tempo alcuni
limiti.
A) Frege ha sostituito la tradizionale analisi delle proposizioni in termini di soggetto e predicato con
un’analisi in termini di funzione e argomento. Ciò ha permesso di sbloccare la situazione in cui si era
impantanata la logica tradizionale aristotelica, che non riusciva a render adeguatamente conto della natura
relazionale delle proposizioni. Questa analisi è stata essenziale per il cambiamento della forma della logica, e
solo grazie a essa si è potuto sviluppare una adeguata teoria della quantificazione.
Ciò costituisce un sostanziale progresso anche rispetto alla logica di Boole, perché in questa
sostanzialmente la struttura della proposizione non veniva analizzata più approfonditamente di quanto facesse
Aristotele in termini delle forme A, E, I, O. Grazie alla sua analisi delle proposizioni, Frege formula un
linguaggio articolato che permette di esprimere contenuti matematici, e non semplicemente, come Boole, un
calcolo delle relazioni algebriche tra proposizioni. Giustamente Frege sottolinea che la sua ideografia è “in
245
grado di esprimere, non soltanto le forme logiche come la lingua simbolica di Boole, ma pure un contenuto”.
Essa costituisce “una lingua characterica, destinata innanzi tutto alla matematica, e non un calculus, limitato
246
alla logica pura”.
Attraverso essa, Frege non vuole “rappresentare in formule una logica astratta, ma
240
G. Frege, op. cit., p. 103.
H. Putnam, Realism with a human face, Cambridge, Mass. (Harvard University Press) 1990, p. 258.
242
H. Putnam, op. cit., pp. 259-260.
243
H. Putnam, op. cit., p. 259.
244
R. Blanché, La logica e la sua storia, da Aristotele a Russell, Roma (Astrolabio) 1973, p. 372.
245
G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 332, nota.
246
G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 82.
241
29
esprimere un contenuto con dei segni scritti, in un modo più preciso e più distinto di quanto sia possibile fare
247
con delle parole”. Il contenuto che egli vuole esprimere è, appunto, la matematica.
Naturalmente questo non significa che, nello studio delle proposizioni, l’analisi di Frege rappresenti il
punto di arrivo definitivo. Certo, essa non fornisce una rappresentazione adeguata della struttura delle
proposizioni del linguaggio comune. Questo viene riconosciuto dallo stesso Frege che, a proposito delle
caratteristiche più raffinate di quest’ultimo, dichiara: “[Esse] non trovano alcunché di corrispondente nel mio
248
linguaggio di formule”.
Invece delle proposizioni del linguaggio comune, Frege vuole analizzare le
proposizioni dei linguaggi scientifici, e non pretende neppure di farlo in modo esauriente, ma solo quanto basta
per studiare la relazione fondamentale che sussiste tra le proposizioni di un sistema assiomatico: la relazione di
conseguenza logica. Come afferma Frege, nella sua analisi delle proposizioni dei linguaggi scientifici “viene
preso in considerazione soltanto ciò che ha influenza sulle possibili conseguenze. Tutto ciò che è necessario per
la deduzione esatta è espresso con completezza; ciò, invece, che non è necessario non viene per lo più neppure
249
indicato”.
Ma, anche come analisi delle proposizioni dei linguaggi scientifici per trattare la relazione di
conseguenza logica, la rappresentazione delle proposizioni di Frege ha seri limiti, perché è spesso goffa,
inefficiente e poco maneggevole. Questo risulta chiaramente, ad esempio, dall’esperienza accumulata negli
ultimi quarant’anni usando la rappresentazione di Frege nella meccanizzazione dell’inferenza o in altre
applicazioni dell’informatica e dell’intelligenza artificiale. I limiti dell’analisi di Frege hanno spinto, e
continuano a spingere, a cercare modi di rappresentazione delle proposizioni più agili ed efficienti, come per
esempio le reti semantiche o i cosiddetti frames, e questa ricerca è essenziale per il progresso futuro della
logica. Ma è indubbio che l'analisi di Frege rimanga un punto di riferimento e un termine di paragone obbligato
per ogni ricerca nel campo.
B) Frege ha introdotto la nozione di sistema formale. Questa, come lo stesso Frege sottolinea,
costituisce un perfezionamento della nozione aristotelica ed euclidea di sistema assiomatico, perché con essa
vengono esplicitati sia il linguaggio del sistema che i suoi assiomi e le sue regole di inferenza. Ciò rappresenta
davvero una fondamentale innovazione: prima non esisteva nulla del genere. Per rendersene conto basta rilevare
l’incomprensione per la nozione di sistema formale mostrata da Peano nella sua recensione delle Leggi, nella
quale critica Frege per aver dimostrato delle leggi logiche nel suo sistema. Peano gli obietta che le sue
“dimostrazioni sono illusorie. Invero, siccome queste regole sono già le più semplici regole di ragionamento,
per dimostrarle o si dovranno applicare queste regole stesse, o altre più complicate. In ogni caso si fa un giro
250
Come rileva Frege, l’incomprensione di Peano trova riscontro nelle sue opere, per esempio nel
vizioso”.
251
fatto che nel Formulaire di Peano “il modo di condurre la dimostrazione stia sullo sfondo”.
Questo “risulta
anche dalla mancanza di regole di inferenza; infatti le formule della prima parte del Formulaire non possono
252
offrire in cambio alcun sostituto”.
D’altra parte assumere, come fa Frege, che tutta la conoscenza matematica, eccetto la geometria, debba
essere rappresentata nel sistema delle Leggi, se è un’importante innovazione, costituisce anche una grossa
limitazione. Dal momento che Frege si prefigge di confutare i dubbi sulla validità della nostra conoscenza
matematica, egli non si preoccupa di indagare l’esperienza matematica nella sua totalità, considerando ad
esempio, accanto alla questione della giustificazione della conoscenza matematica, anche quella della sua
acquisizione, cioè della scoperta matematica. Quello che gli preme è solo di mostrare le basi della certezza
matematica. L’uso dei sistemi formali è ideale a tale scopo, perché attraverso essi, “per la mancanza di lacune
nella catena di inferenze, si ottiene che ogni assioma, ogni presupposto, ipotesi o come lo si voglia chiamare,
sul quale si basa una dimostrazione, viene portato alla luce; e in questo modo si acquisisce un fondamento per
253
giudicare la natura epistemologica della legge che viene dimostrata”.
Ma ciò lo induce a trascurare quegli
aspetti dell’esperienza matematica, come la scoperta, che non sono legati alla giustificazione. Tali aspetti non
possono essere rappresentati nei sistemi formali, e il concentrarsi sulla giustificazione non spinge ad elaborare
247
G. Frege, Begriffsschrift und andere Aufsatze, a cura di I. Angelelli, Hildesheim (Olms) 1964, p. 97.
G. Frege, Logica e aritmetica, cit., p. 111.
249
G. Frege, op. cit., p. 111.
250
G. Peano, Opere scelte, Vol. II, a cura di U. Cassina, Roma (Cremonese) 1958, p. 194.
251
G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 224.
252
G. Frege, op, cit., cit., p. 224.
253
G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Vol. 1, cit., p. VII; qui a p.
.
248
30
gli strumenti logici necessari per analizzarli: in effetti, invano si cercherebbero tali strumenti nell’opera di
Frege.
C) Frege ha dato la prima assiomatizzazione della teoria della quantificazione. La sua
assiomatizzazione, non tanto quella delle Leggi quanto quella della precedente Ideografia, lungi dall’essere una
mera curiosità storica, è in uso ancor oggi. Le assiomatizzazioni della teoria della quantificazione che si trovano
negli attuali manuali di logica matematica sono varianti più o meno inessenziali di quella dell’Ideografia.
I contributi B) e C) richiedono qualche precisazione. Essi non significano che la nozione di sistema
formale di Frege, o la sua concezione della teoria della quantificazione, coincidano con quelle della logica
matematica attuale. Frege non accetta la nozione di universo del discorso di De Morgan, Boole e Schröder. Per
lui il sistema delle Leggi ha come dominio l’intero universo, il dominio universale, cioè le sue variabili x
possono assumere come valore qualsiasi oggetto. La nozione di universo del discorso comporta che si possano
considerare più universi del discorso. Un universo del discorso comprende soltanto quello che si sceglie di
considerare in un dato istante e in un dato contesto, dunque gli universi del discorso possono essere cambiati a
volontà. Invece per Frege è fuor di questione che si possano “cambiare gli universi. Non si può neppure dire che
egli si limiti a un universo. Il suo universo è l’universo. Ovviamente, non necessariamente l’universo fisico,
254
perché per Frege alcuni oggetti non sono fisici. L’universo di Frege consiste di tutto quel che c’è, ed è fisso”.
Ciò ha due importanti conseguenze: 1) per Frege le proposizioni del sistema delle Leggi non
contengono alcun vocabolario non logico, i segni per le funzioni o gli oggetti che occorrono in esse non sono
schemi a cui si può assegnare a piacimento qualsiasi valore, ogni proposizione ha un significato fisso e in essa
non si può reinterpretare alcun segno; 2) nulla “deve, o può, essere detto al di fuori del sistema. E in effetti
255
Frege non pone mai alcuna questione metasistematica (coerenza, indipendenza degli assiomi, completezza)”.
Infatti, dal momento che la logica coincide col sistema delle Leggi, tutto ciò che può essere detto dev’essere
detto nel sistema. Se la logica è il sistema universale in cui si deve condurre ogni discorso razionale, non esiste
alcun tribunale esterno alla logica dal quale la logica possa essere giudicata. Perciò non si può porre alcuna
questione metasistematica sulla logica, cioè sul sistema delle Leggi.
Che il sistema delle Leggi abbia come dominio l’intero universo, che le proposizioni del sistema non
contengano alcun vocabolario non logico e che non si possa porre alcuna questione metasistematica sul sistema,
è una scelta obbligata nella prospettiva logicista di Frege, nella quale si suppone che il sistema delle Leggi sia
un sistema universale per tutta la logica (e quindi tutta la matematica). L’esclusione della geometria dal sistema
è inessenziale, perché essa può comunque essere sviluppata nel sistema via un’interpretazione. Ma dopo il
fallimento del disegno logicista, e soprattutto dopo la scoperta del teorema di incompletezza di Gödel (che
implica che, non solo non può esistere alcun sistema universale basato sulla sola logica, ma non può esistere
alcun sistema universale tout court, per tutta la matematica), queste assunzioni di Frege diventano insostenibili,
e in effetti sono state lasciate cadere dalla logica matematica successiva. In questa sono state introdotte le
seguenti modifiche: 1) si è abbandonata l’idea che possa esistere un sistema universale per tutta la matematica;
2) si è abbandonato l’universo unico di Frege e si è tornati agli universi del discorso (multipli) di De Morgan,
Boole e Schröder; 3) si è abbandonata l’assunzione che le proposizioni di un sistema non contengano alcun
vocabolario non logico, si sono distinti un vocabolario logico costituito da segni come ¬,→,∀ e un
vocabolario non logico comprendente segni per le funzioni e per gli oggetti, e corrispondentemente si sono
distinti gli assiomi del sistema in assiomi logici e assiomi non logici; 4) si è abbandonata l’assunzione che non
si possa porre alcuna questione metasistematica sul sistema, in particolare si è posto il problema se
l’assiomatizzazione della teoria della quantificazione data da Frege sia completa nel senso metasistematico che
essa permetta di dimostrare tutte le conseguenze logiche degli assiomi.
Questo implica che, nella logica matematica attuale, la teoria della quantificazione viene considerata
“come uno schematismo logico o una logica sottostante, una logica applicabile a ogni area matematica
particolare, nel modo seguente: si specificano un vocabolario e particolari assiomi in questo vocabolario, e si
usano casi degli assiomi quantificazionali e le regole di inferenza per ottenere risultati peculiari a quella
256
particolare area”.
La logica sottostante costituisce un sistema che è completo nel senso metasistematico già
precisato. Ne segue che la attuale concezione dei sistemi formali non è quella di Frege: essa è, piuttosto, quella
di Hilbert. In particolare, la odierna concezione della teoria della quantificazione non è quella di Frege. Per
254
J. van Heijenoort, Selected essays, Naples (Bibliopolis) 1985, p. 13.
J. van Heijenoort, op. cit., p. 13.
256
W.D. Goldfarb, ‘Logic in the Twenties: the nature of the quantifier’, The Journal of Symbolic Logic, vol. 44
(1979), p. 352.
255
31
quest'ultimo la teoria della quantificazione non può essere una logica sottostante dal momento che la logica
coincide con l’intero sistema. Per questo motivo appare fuorviante l’affermazione di Dummett secondo cui “il
257
calcolo di Frege era un sistema formale nel senso moderno”.
Non è detto che il punto di vista sui sistemi formali della logica matematica attuale costituisca
necessariamente un progresso rispetto a quello di Frege. In particolare, relativamente alla concezione
metasistematica della completezza, la posizione di Frege, sia pure per la ragione sbagliata (cioè per la pretesa
universalistica implicita nel suo assunto logicista), offre una prospettiva più aperta e ragionevole. Secondo
Frege il sistema delle Leggi è completo, sebbene non in senso metasistematico, ma solo nel senso empirico che
essa permette di dimostrare tutti i risultati della matematica esistente. Noi dobbiamo cercare di farci bastare gli
assiomi del sistema in ogni occasione, ma se, ad un certo punto, risultasse che essi non bastano più perché non
permettono di derivare qualche verità matematica, allora dovremmo chiederci “se ci siamo imbattuti in una
verità che proviene da una fonte di conoscenza non logica, se si deve ammettere un nuovo modo di inferenza, o
258
se forse il passo proposto non dovrebbe essere compiuto affatto”.
Se concludessimo che si deve ammettere
un nuovo modo di inferenza, allora dovremmo estendere il sistema delle Leggi aggiungendo nuovi assiomi.
Dunque Frege sembra suggerire una concezione aperta della logica (e della matematica), in base a cui il sistema
universale delle Leggi non dev’essere considerato come un sistema definitivo, ma pittosto come un sistema
sempre estensibile ogniqualvolta se ne prospetti la necessità. In tal modo egli mostra che, anche rimanendo nel
quadro della logica matematica, la attuale concezione hilbertiana dei sistemi formali non è l’unica possibile.
In base a questa concezione aperta della logica, non è detto che tutti i principi della logica siano ormai
conosciuti e che non se ne possano in futuro determinare di nuovi. Ciò ben si sposa con la tesi di Frege secondo
cui la nozione di verità logica è indefinibile perché, con qualsiasi spiegazione della forma: ‘l’enunciato A è vero
se ha queste e queste proprietà, oppure sta nella tal relazione con la tal cosa’, si sarebbe “sempre ricondotti al
problema se è vero che A ha la proprietà in questione o se sta nella tal relazione con la tal cosa. La verità è
evidentemente qualcosa di così primitivo e semplice che è impossibile ricondurla a qualcosa di ancora più
259
Il fatto che il predicato ‘essere vero’ sia indefinibile non significa che non possiamo conoscerne
semplice”.
alcune proprietà. Come dice Frege, noi possiamo “mettere in luce ciò che è proprio del nostro predicato
260
confrontandolo con altri predicati”.
E, oltre alle proprietà già note, potremo forse conoscerne anche altre in
futuro, fermo restando che non riusciremo mai ad esaurirle tutte.
Che noi possiamo conoscere alcune proprietà della nozione di verità logica è provato, secondo Frege,
dal fatto possiamo determinare che gli assiomi del sistema delle Leggi sono verità logiche. Ciò vale in
particolare per l’assioma (V). Come si è visto, esso non ci dice che cosa sono i decorsi di valori, non li
determina univocamente: ci dice soltanto sotto quale condizione due funzioni hanno lo stesso decorso di valori.
Tuttavia questo è sufficiente per determinare quelle proprietà dei decorsi di valori che sono necessarie per
sviluppare l’ideografia, e in particolare per mostrare che la matematica si basa solo sulla logica. Anche se noi
non conosciamo tutte le proprietà degli oggetti (decorsi di valori) a cui l’assioma (V) intende applicarsi, e anche
se non possediamo una definizione della verità logica, quelle proprietà dei decorsi di valori che noi conosciamo
sono sufficienti per farci riconoscere che l’assioma (V) è una verità logica (o almeno così riteneva Frege prima
della scoperta del paradosso di Russell). Come la logica non ci permette di conoscere che cosa sono i decorsi di
valori ma ci fa conoscere alcune loro proprietà sufficienti per lo sviluppo della matematica, così essa non ci dice
che cos’è la verità logica, ma ci fa conoscere alcune sue proprietà che sono sufficienti per riconoscere che gli
assiomi dei Grundgesetze sono verità logiche.
In generale, la concezione di Frege della logica differisce fortemente da quella della logica matematica
attuale perché, a differenza di questa, lega strettamente la logica all’epistemologia. Per la logica matematica
odierna la logica è solo una logica sottostante, priva di contenuto, e “le verità logiche sono completamente
generali, non nel senso che sono le verità più generali sul contenuto logico, ma piuttosto nel senso che non
261
Per
riguardano alcun argomento in particolare, che non parlano di alcun ente o tipo di ente in particolare”.
Frege, invece, la logica ha un contenuto. Certo, essa non si occupa del contenuto di alcuna particolare scienza
naturale, perché non si può pretendere che “si addentri nella specificità delle singole discipline e dei loro
257
M. Dummett, Frege: Philosophy of language, cit., p. xxxiv.
G. Frege, Kleine Schriften, cit., p. 221.
259
G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 235.
260
G. Frege, op. cit., p. 235.
261
W.D. Goldfarb, ‘Logic in the Twenties: the nature of the quantifier’, cit., p. 353.
258
32
262
oggetti”.
Tuttavia essa ha un contenuto perché ci indica “quanto v’è di più generale, di valido in tutti i campi
263
del pensiero”.
La logica si occupa di qualcosa, cioè delle proprietà più generali dell’universo. Perciò si può
264
dire che essa “è la scienza delle leggi più generali dell’esser vero”.
Quindi le leggi logiche sono
assolutamente generali perché esprimono proprietà che valgono per tutti gli oggetti dell’universo. È chiaro
quanto questa concezione di Frege dipenda da quella di Kant secondo cui “la logica generale riguarda tutti gli
265
oggetti in generale”.
Da questo segue che per Frege la logica non è semplicemente uno schematismo generale che bada solo
alla correttezza dell’inferenza, senza preoccuparsi della verità delle proposizioni che occorrono in essa. Per la
logica matematica attuale una proposizione viene considerata una conseguenza logica di un insieme di premesse
quando è vera in ogni interpretazione in cui le premesse sono vere. Quindi una proposizione può essere una
conseguenza logica di premesse false. Per Frege, invece, la relazione di conseguenza logica sussiste solo
quando le premesse sono vere, perché “da premesse false non si può dedurre assolutamente nulla. Un semplice
266
pensiero, che non sia riconosciuto come vero, non può affatto costituire una premessa”.
Perciò, quando la
logica viene usata per dedurre una conclusione da premesse false, esse viene applicata in modo improprio. In tal
267
caso non si ha una deduzione ma una “pseudodeduzione”.
Questa posizione di Frege discende dalla sua
visione epistemologica della logica, secondo cui questa deve servire ad eliminare i dubbi sulla validità della
nostra conoscenza matematica, mostrando che le proposizioni matematiche sono sicure e certe perché si
ottengono, mediante la sola logica, a partire da premesse riconosciute come vere. Deduzioni da premesse false
non possono essere usate a questo scopo, e quindi devono essere bandite in quanto pseudodeduzioni. Anche
qui, lo stretto legame istituito da Frege tra logica ed epistemologia mostra che, anche rimanendo nel quadro
della logica matematica, la attuale concezione dei rapporti tra logica ed epistemologia non è l’unica possibile.
CARLO CELLUCCI
262
G. Frege, Scritti postumi, cit., p. 234.
G. Frege, op. cit., p. 234.
264
G. Frege, op. cit., p. 234.
265
I. Kant, Logica, a cura di M. Capozzi, Napoli (Bibliopolis) 1990, p. 15.
266
G. Frege, Alle origini della nuova logica: Carteggio scientifico, cit., p. 96.
267
G. Frege, op. cit., p. 23.
263
33
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