Scoperto un super-vulcano fossile ai piedi del monte Rosa Un vulcano capace di eruttare migliaia di chilometri cubici di cenere e lava vulcanica, creando crateri enormi (caldere) di decine di chilometri di diametro. Un’eruzione che poteva addirittura oscurare l’atmosfera modificando radicalmente il paesaggio locale e condizionando pesantemente il clima. E’ la recente scoperta fatta ai piedi del Monte Rosa: un super-vulcano fossile, unico al mondo. Ma ancora più eccezionale è trovare che questo «supervulcano fossile» espone tutto il suo sistema di alimentazione, «dalla cima agli inferi», come dicono soddisfatti gli scopritori, un team italo-americano che ha come rispettivi capi il geologo James Quick, prorettore all’università di Dallas, e Silvano Sinigoi, professore di petrografia all’Università di Trieste. La notizia è stata diffusa nei giorni scorsi dalla rivista internazionale Geology. Il super-vulcano di circa 13 chilometri di diametro si nascondeva ai piedi delle Alpi Occidentali, In Valsesia, la vallata alpina in provincia di Vercelli. Attivo circa 290 milioni di anni fa, è probabilmente crollato, sprofondando su se stesso e dando origine ad una caldera tra Varallo e Borgo Sesia. Le eruzioni di questo tipo di vulcano, che sorge apparentemente dove non ci sono montagne ma depressioni dette “caldere”, sono classificate tra i fenomeni naturali più violenti che esistano. Sono in grado di coprire di magma e cenere un intero continente, di minacciare le specie viventi, di cambiare per anni il paesaggio e il clima. L’ultima eruzione conosciuta di questo tipo è quella del Lago Toba, in Indonesia, avvenuta circa 74mila anni fa, che gettò la terra in un “inverno vulcanico” di diversi anni. Queste eruzioni si originano da complessi giochi di canali e camere magmatiche sotterranee che raccolgono lava incandescente sotto la crosta terrestre. L’esatto meccanismo con cui funzionano e i segnali che forniscono sono fenomeni ancora poco conosciuti dagli scienziati. Ma sembra che, grazie al vulcano della Valsesia, sia finalmente possibile capirne di più. Secondo quanto riferito, infatti, la struttura interna del vulcano piemontese pare sia ancora intatta e si trovi a ben 25 chilometri di profondità, al contrario degli altri supervulcani che l’hanno a pochi chilometri dalla superficie terrestre. Il suo studio, quindi, permetterà di collegare geofisica e geologia, di capire meglio dove viene immagazzinato il magma, da che profondità viene espulso, che percorso segue e quali segnali invia. In modo da poter formulare previsioni sempre più corrette sulle eruzioni. L’esperto rileva che è stata l’orogenesi alpina, il lungo processo di formazione dei rilievi montuosi, «a sollevare la crosta terrestre facendo emergere l’apparato sotterraneo del vulcano». La scoperta permetterà di capire meglio i fenomeni che condizionano le eruzioni, migliorando i sistemi predittivi. «Nel mondo ci sarà prima o poi un’altra esplosione supervulcanica – spiega Quick – ma non sappiamo dove. Il supervulcano della Valsesia ci aiuterà a individuarla». Ad oggi, si conoscono circa una decina di supervulcani negli stati uniti, in Giappone, Nuova Zelanda, Germania ma anche in Italia (Campi Flegrei). Il più grosso è a Yellowston, in California, e misura 70 chilometri di diametro. Southern Methodist Universityof Dallas Copyright © - Riproduzione riservata