Terapia: come trattare i pazienti affetti da nefropatia

Close this window to return to IVIS
www.ivis.org
International Congress of
the Italian Association of Companion
Animal Veterinarians
May 19 – 21 2006
Rimini, Italy
Next Congress :
62nd SCIVAC International Congress
&
25th Anniversary of the SCIVAC Foundation
May 29-31, 2009 - Rimini, Italy
Reprinted in IVIS with the permission of the Congress Organizers
53° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC
143
This manuscript is reproduced in the IVIS website with the permission of the Congress Organizing Committee
Terapia: come trattare i pazienti
affetti da nefropatia proteinurica
George E. Lees
Med Vet, MS, Dipl ACVIM, Collage Station, Texas, USA
IL TRATTAMENTO DELLA PROTEINURIA
RENALE IN GENERALE
Le basi teoriche per il trattamento della proteinuria renale
possono essere considerate a due livelli. In primo luogo, nella
misura in cui la proteinuria ha effetti diretti tossici proinfiammatori e profibrotici sui reni, i trattamenti che la riducono
devono alleviare questi processi dannosi e quindi rallentare la
progressione della nefropatia e migliorare l’esito clinico. Tuttavia, poiché il ruolo della proteinuria come causa diretta di
danno renale è ancora da chiarire, questo presupposto per il
trattamento della condizione rimane indimostrato a livello
meccanicistico. Al secondo livello, maggiormente orientato
all’esito della terapia (cioè focalizzato su ciò che accade, anche
se perché accade rimane poco chiaro) tutti i dati disponibili e
raccolti attraverso gli studi condotti nell’uomo e negli animali
suggeriscono la veridicità delle seguenti affermazioni:
• Nei soggetti con nefropatia cronica, una proteinuria più
elevata è associata ad esiti clinici peggiori.
• Nei soggetti con nefropatia cronica, certi trattamenti rallentano la progressione della malattia e migliorano l’esito
clinico (cioè sono “nefroprotettori”).
• Quando i trattamenti nefroprotettori sono efficaci, sono
associati ad una riduzione dell’entità della proteinuria come
risposta alla terapia, in particolare in quei soggetti che inizialmente presentano proteinuria di entità più elevata.
Ciò significa che dovremmo trattare gli animali con forme
progressive di nefropatia cronica, specialmente quelli che
presentano proteinurie di grado più elevato, con interventi
finalizzati ad essere nefroprotettori e che la riduzione della
proteinuria dovrebbe essere uno degli scopi di tali interventi. L’uso della riduzione della proteinuria come bersaglio
terapeutico è appropriato da questo punto di vista indipendentemente dal fatto che tale riduzione sia direttamente utile (perché diminuisce un danno diretto mediato dalle proteine) oppure sia puramente associato a altri meccanismi, attraverso i quali gli interventi stanno agendo in modo positivo,
e talvolta costituisca un marcatore degli stessi.
Gli interventi potenzialmente nefroprotettori che modulano
la proteinuria comprendono la somministrazione di agenti farmacologici, ed in particolare di farmaci che bloccano il sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS), nonché certe
modificazioni della dieta. Benché la riduzione della proteinuria sia un effetto di ognuno di questi interventi, nessuno di essi
svolge solo questa attività, ed anche i meccanismi con cui viene determinata tale riduzione sono molteplici ed interagenti.
Inoltre, ognuno degli interventi esercita degli effetti benefici
mediati da meccanismi che sono completamente indipendenti
da quelli sulla proteinuria. Ad esempio, gli inibitori dell’enzima angiotensina convertente (ACE) diminuiscono la produ-
zione di angiotensina II (ang-II), ma quest’ultima ha molteplici attività. Fra queste rientrano le azioni emodinamiche che
determinano un aumento della pressione capillare glomerulare ed un calo della perfusione dei capillari peritubulari. Inoltre,
l’ang-II svolge un ruolo diretto nell’alterazione della permeabilità del glomerulo alle proteine ed ha numerosi effetti non
emodinamici (ad es., induzione del rilascio di citochine, attivazione di macrofagi, stimolazione della proliferazione delle
cellule mesangiali e della formazione della matrice mesangiale, ecc..) che promuovono l’infiammazione e la fibrosi. Gli
effetti dell’ang-II sulla pressione capillare intraglomerulare e
sulla selettività della permeabilità della parete capillare
aumentano la proteinuria e gli ACE-inibitori la riducono, contrastando questi effetti. Tuttavia, gli effetti nefroprotettori della somministrazione degli ACE-inibitori possono essere
mediati in modo importante dalla limitazione degli effetti dell’ang-II, che non ha nulla a che fare con la diminuzione della
proteinuria di per sé (ad es., riducendo l’ipossia peritubulare o
limitando la stimolazione diretta dell’ang-II delle vie che portano all’infiammazione ed alla fibrosi). Inoltre, alcune modificazioni della dieta (ad es., restrizione dell’assunzione di sodio,
restrizione dell’assunzione di proteine) hanno effetti che sono
mediati in parte dall’alterazione dell’attività del RAAS. I molteplici ed interagenti meccanismi attraverso i quali gli interventi nefroprotettori funzionano in vivo rendono più difficile
definire in modo preciso il ruolo della proteinuria come
mediatore della progressione della nefropatia; tuttavia, ciò non
preclude l’impiego efficace della concentrazione delle proteine nell’urina come marcatore della risposta terapeutica.
L’individuazione del target terapeutico della proteinuria
richiede una valutazione seriale dell’entità della stessa prima
e durante il trattamento e la specificazione di appropriati
valori di riduzione della proteinuria che ci si prefigge di raggiungere. Per valutare l’entità della proteinuria viene raccomandato l’impiego del rapporto proteine:creatinina nell’urina (UPC), ma, a causa della variabilità di questo parametro
da un giorno all’altro, si deve prendere in considerazione il
ricorso al valore medio di 2-4 determinazioni dell’UPC (in
giorni diversi) come misura più attendibile dell’entità della
proteinuria di un animale nelle condizioni prevalenti (ad es.,
valori basali, durante il trattamento, ecc…). Non sono ancora state pubblicate le linee guida specifiche e basate sull’evidenza per stabilire quanto tempo si debba aspettare nei cani
e nei gatti prima di valutare la risposta della proteinuria al
trattamento e quale sia la riduzione della proteinuria che si
intende raggiungere. In uno studio, sono state necessarie
fino a 4 settimane per ottenere pienamente gli effetti delle
modificazioni della dieta sull’UPC nel cane. In un’altra
indagine, la rivalutazione dell’UPC dopo 30 giorni di trattamento con enalapril è stata utilizzata per determinare se la
144
dose iniziale del farmaco fosse sufficiente o dovesse essere
aumentata. Quindi, è ragionevole suggerire che la valutazione della risposta dell’UPC ad un intervento antiproteinurico
dovrebbe iniziare circa un mese dopo l’avvio del trattamento; tuttavia, esistono alcuni dati che indicano che nei pazienti umani il massimo effetto antiproteinurico di una terapia
con un ACE-inibitore può richiedere fino a 3 mesi. Si ignora se la riduzione della proteinuria debba essere mirata ad
ottenere un valore specificato di UPC (ad es., UPC < 2,0)
oppure una specifica riduzione proporzionale del valore pretrattamento (ad es., UPC < 50% del valore iniziale). Una
riduzione del 50% dell’UPC è stata utilizzata come target
terapeutico nella prova clinica sul trattamento con enalapril
di cani proteinurici che ha dimostrato benefici effetti, per cui
è ragionevole impiegare una riduzione di questa entità come
traguardo minimo, almeno fino a che non saranno disponibili maggiori dati. Tuttavia, può anche darsi che l’effetto sul
risultato clinico sia tanto migliore quanto più è elevata la
riduzione della proteinuria (cioè quanto più questo valore di
UPC si avvicini ai limiti dell’intervallo di riferimento normale), ma non sono disponibili dati derivanti da studi clinici
condotti nel cane e nel gatto su questo argomento.
TRATTAMENTI SPECIFICI
DELLA PROTEINURIA RENALE
NEL CANE E NEL GATTO
Inibitori dell’enzima angiotensina c
onvertente
Nell’uomo, diverse grandi indagini cliniche controllate
condotte utilizzando differenti ACE-inibitori e coinvolgendo
pazienti colpiti da varie nefropatie hanno dimostrato l’esistenza di effetti nefroprotettori e di un miglioramento degli esiti
clinici attribuibili a questo intervento. Anche se gli ACE-inibitori hanno molti effetti, le analisi multivarianti dei risultati di
questi studi hanno dimostrato che questi agenti possiedono
degli effetti benefici che sono associati alla loro attività antiproteinurica e sono indipendenti dalla loro azione antipertensiva. Gli effetti degli ACE-inibitori sono stati studiati nel cane
e nel gatto con nefropatie ad insorgenza spontanea a sperimentalmente indotte. È stata segnalata una prova randomizzata e controllata con placebo sul trattamento con enalapril in
cani con glomerulonefrite idiopatica (UPC > 3,0, livelli sierici di creatinina < 3,0 mg/dl). I cani trattati con enalapril hanno ricevuto il farmaco (0,5 mg/kg ogni 12-24 ore) per 6 mesi
e tutti i soggetti dello studio sono stati anche trattati con una
modificazione della dieta e la somministrazione di acido acetilsalicilico a basse dosi. In questo studio, la terapia con enalapril ha abbassato la pressione sistolica, ridotto la proteinuria
e migliorato l’esito (cioè ha ridotto la frequenza degli aumenti della concentrazione sierica di creatinina ≥ 0,2 mg/dl dopo
6 mesi di trattamento). In un’altra indagine, l’enalapril (2
mg/kg ogni 12 ore) ha ridotto la proteinuria e rallentato la progressione della malattia nei cani con nefropatia ereditaria
legata al cromosoma X (XLHN, X-linked hereditary nephropathy). In un differente studio su cani con XLHN, tuttavia,
una dose più bassa di enalapril [5 mg per os ogni 12 ore (fino
ad una dose massima di 2 mg/kg), che ha portato ad una dose
media di partenza di 1,85 mg/kg in cuccioli di un mese che è
53° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC
diminuita sino ad una dose media di 0,2 mg/kg ogni 12 ore
man mano che i cani crescevano durante lo studio] non ha
avuto effetto sulla proteinuria o sulla progressione della
malattia. Presi insieme, questi due studi nei cani con XLHN
dimostrano che la dose dell’ACE-inibitore che viene somministrato può avere importanti effetti sui risultati ottenuti; tuttavia, il dosaggio che era efficace in uno studio era più elevato
di quello che spesso viene raccomandato per l’impiego clinico nel cane. È stato anche dimostrato che l’enalapril (0,5
mg/kg ogni 12 ore) riduce la proteinuria e rallenta la progressione delle lesioni istologiche nei cani con un modello di rene
residuo di insufficienza renale. Al contrario, la somministrazione di benazepril (a parecchie dosi, fino a 1-2 mg/kg ogni 24
ore) non ha avuto alcun effetto sulla proteinuria nei gatti con
modello di rene residuo di insufficienza renale, ma il trattamento con benazepril ha ridotto la pressione sistolica ed ha
modificato favorevolmente le emodinamiche intrarenali. Tuttavia, i risultati iniziali di una prova clinica in gatti con nefropatie spontanee hanno indicato che il trattamento con benazepril (0,5-1,0 mg/kg ogni 24 ore) ha manifestato effetti antiproteinurici, ma prolungava significativamente la sopravvivenza solo in un piccolo sottogruppo di gatti che inizialmente
presentavano livelli di proteinuria più elevati (UPC > 1).
Modificazioni della dieta
L’assunzione di proteine è uno dei fattori dietetici che influiscono sull’entità della concentrazione urinaria di proteine osservata negli animali con proteinuria glomerulare. In generale, il
consumo di una maggior quantità di proteine aumenta la perdita delle stesse con l’urina, mentre una riduzione del consumo la
diminuisce, ma bisogna evitare la malnutrizione proteico-calorica. L’assunzione ottimale di proteine con la dieta nei cani e nei
gatti con nefropatie proteinuriche non è stata ben definita, specialmente nel contesto della concomitante terapia farmacologica (ad es., somministrazione di un ACE-inibitore). Inoltre,
ammesso che esistano, non sono stati studiati gli effetti sulla
progressione della nefropatia derivanti dalle correzioni della
dieta volte a limitare la perdita di proteine con le urine nei cani
o nei gatti con un’imponente proteinuria. Al contrario, è stato
dimostrato che l’assunzione con la dieta di lipidi (ed in particolare le quantità relative ed assolute di acidi grassi n-3 ed n-6
assunti con la dieta) influisce sulla proteinuria e sulla progressione della nefropatia nel cane.
Letture consigliate
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Lees GE, Brown SA, Elliott J, Grauer GF, Vaden SL. Assessment and
management of proteinuria in dogs and cats: 2004 ACVIM Forum Consensus Statement (Small Animal) J Vet Intern Med 2005;19:377-385.
Lefebvre HP, Toutain PL. Angiotensin-converting enzyme inhibitors in
the therapy of renal diseases. J Vet Pharmacol Therap 2004;27:265-281.
Grauer GF, Greco DS, Getzy DM, et al. Effects of enalapril versus
placebo as a treatment for canine idiopathic glomerulonephritis. J Vet
Intern Med 2000;14:526-533.
Brown SA, Finco DR, Brown CA, et al. Evaluation of the effects of
inhibition of angiotensin converting enzyme with enalapril in dogs with
induced chronic renal insufficiency. Am J Vet Res 2003;64:321-327.
Burkholder WJ, Lees GE, LeBlanc, et al. Diet modulates proteinuria
in heterozygous female dogs with X-linked hereditary nephropathy. J
Vet Intern Med 2004;18:165-175.
Brown SA, Brown CA, Crowell WA, et al. Effects of dietary polyunsaturated fatty acid supplementation in early renal insufficiency in
dogs. J Lab Clin Med 2000;135:275-286.