STRUTTURA DELLA MATERIA La chimica è la scienza che studia le proprietà, la composizione e le trasformazioni delle sostanze naturali ed artificiali. Più precisamene la chimica studia la struttura della materia, le sue trasformazioni e le variazioni di energia ad esse associate. La materia è tutto ciò che ci circonda, ha massa e occupa un volume: l’aria, l’acqua, il vetro, la sabbia. La materia, però, può anche essere invisibile. Ad esempio se immergiamo una provetta capovolta, apparentemente vuota, in un recipiente peno d’acqua, l’acqua risale pochissimo nella provetta poiché questa, in realtà, è piena d’aria che è invisibile ad occhio nudo. Questa estrema variabilità della materia ha spinto l’uomo, fin dai tempi dei filosofi greci a cercare di spiegarne le caratteristiche, ma soprattutto la sua struttura microscopica. Il primo a formulare una ipotesi fu Democrito, il quale immaginò che tutta la materia fosse costituita da particelle invisibili in continuo movimento e che i diversi tipi di materia che vediamo ad occhio nudo fossero il risultato delle combinazioni di queste particelle che Democrito chiamò ATOMI, che in greco significa indivisibile. Questa però era solo una pura ipotesi dedotta da un ragionamento logico e razionale. Dovettero passare 2000 anni prima che si arrivasse ad una teoria atomica basata su fatti e prove sperimentali, formulata dal chimico inglese John Dalton. Costui esaminando le reazioni tra gli atomi e i prodotti che si ottenevano propose una teoria basata sui seguenti concetti: Gli elementi sono costituiti da particelle indivisibili chiamate atomi; Tutti gli atomi di uno stesso elemento hanno la stessa massa e dimensione; Gli atomi di elementi diversi hanno massa e dimensioni diverse; I composti chimici si firmano per unione di due o più atomi di diversi elementi; Per formare i composti gli atomi si combinano in rapporti numerici semplici espressi da numeri interi ( 1 a 1, 2 a 2, 2 a 1,….) Con il progresso della scienza ed esaminando il comportamento della materia, soprattutto studiando il comportamento in soluzione di alcune sostanze che allo stato solido non conducono la corrente elettrica, ma che in soluzione invece la conducono, il concetto di indivisibilità degli atomi vacillava. La teoria di Dalton, difatti, non dava alcuna spiegazione di questo fatto. L’unica era ammettere che l’atomo non era indivisibile, ma costituito, a sua volta, da particelle più piccole (sub atomiche) tenute insieme in quello che era chiamato atomo e fornite di cariche elettriche. L’atomo è però neutro per cui si ipotizzò che le particelle positive e negative dovevano essere in numero uguale e distribuite omogeneamente nella massa dell’atomo. L’atomo cioè, veniva considerato essere costituito da particelle elettriche positive (protoni), negative (elettroni) e neutre (neutroni) omogeneamente distribuite in una sostanza gelatinosa con una forma sferica. Questo modello, però, ebbe una breve vita, in quanto un esperimento condotto dallo scienziato neozelandese E. Rutherford ne dimostrò la sua assoluta incoerenza Le particelle α passano quasi tutte attraverso la lamina d’oro, ma alcune vengono deviate di poco o abbastanza dalla loro direzione, altre addirittura respinte. Non è possibile spiegare un simile comportamento secondo il modello atomico del Dalton. Per giustificare i risultati dei suoi esperimenti Rutherford suggerì un nuovo modello atomico: ipotizzò che tutta la carica positiva e la quasi totalità della massa fosse concentrata in un nocciolo molto piccolo il NUCLEO ATOMICO con gli elettroni che ruotano intorno ad esso descrivendo delle orbite. Il modello nucleare o planetario del Rutherford consentiva di dare una spiegazione a tutti gli esperimenti finora condotti; in particolare consentiva di spiegare l’esistenza degli ioni, dovuti all’acquisto o alla cessione di elettroni e d ii definire con precisione le caratteristiche degli atomi. Protoni, elettroni e neutroni sono i mattoni di cui sono fatti gli atomi, cha a loro volta sono i mattoni della materia. Le principali caratteristiche di queste particelle possono così essere riassunte: PROTONE : particella di massa unitaria e di carica elettrica positiva (+) (1,672*10-27 Kg) NEUTRONE: particella priva di carica e di massa unitaria (1,672*10-27 Kg) ELETTRONE: particella con carica elettrica negativa (-) e di massa (9,11*10-31 Kg), trascurabile nel calcolo della massa totale dell’atomo NUMERO DI MASSA (A) : rappresenta la somma del numero di protoni e neutroni NUMERO ATOMICO (Z) : rappresenta il numero di protoni presenti nel nucleo e identifica un elemento chimico ISOTOPI : nuclei con lo stesso Z, quindi dello stesso elemento, ma con un numero di neutroni diverso. Per identificare un isotopo pertanto, occorre specificare sia l’elemento chimico (Z) sia il numero di massa rappresentandolo con il simbolo chimico accompagnato da un numero in alto a sinistra che indica A. Es. 14C – Carbonio 14 con A = 14 La presenza degli isotopi porta come conseguenza che considerando una quantità discreta di materia che contiene un numero enorme di atomi non sia più possibile parlare di massa atomica, ma di massa atomica media e composizione isotopica. Il calcolo di questa grandezza è abbastanza semplice: Es. il cloro è costituito dal 75,79% di 35Cl – Massa Atomica = 5,807*10-26 Kg 24,21% di 37Cl – Massa Atomica = 6,138*10-26 Kg Per cui la massa atomica media sarà data da : Massa at. media = 5,807*10-26 Kg * (75,79/100) + 6,138*10-26 Kg* (24,21/100) = 5,887*10-26 Kg UNITA’ DI MASSA ATOMICA Avendo gli atomi una massa estremamente piccola, i chimici per semplificare i calcoli, hanno scelto per gli atomi come massa campione, non il Kg, ma il DALTON che corrisponde a 1/12 della massa più abbondante del Carbonio (12C) Essendo la massa di 12C = 1,993 * 10-26 Kg , il Dalton o Unità di massa atomica vale 1 u = (1,993 * 10-26)/(12) Kg = 1,661 * 10-27 Kg In questo modo si determina il fattore di conversione Kg u che vale 1 u 1,661 * 10-27 Kg E che permette così di convertire le masse atomiche degli elementi da Kg in u.m.a. che è anche il valore riportato nelle tabelle delle masse atomiche degli elementi. MASSA ATOMICA RELATIVA Indica il rapporto tra la massa atomica media di un elemento e la massa di 1 dalton ed è un numero adimensionale. Es. massa atomica relativa = 2,107 * 10-25 Kg = 126,9 1,661 * 10-27 Kg MOLE Le sostanze che costituiscono la materia sono il risultato delle innumerevoli combinazioni delle particelle elementari. Poiché non ha senso considerare singole particelle, dato che sono sempre in numero spropositatamente grande, si preferisce contarle a mucchietti, scegliendo opportunamente un numero a cui far corrispondere un mucchietto. Il valore numerico di un tale mucchietto rappresenta una unità fondamentale delle unità di misura del S.I. ed è chiamato MOLE. La grandezza che con essa si misura è la “quantità di sostanza” e la sua definizione è: 1 mole di sostanza è la quantità che contiene tante entità elementari quanti sono gli atomi contenuti in 0,012 Kg (12 g) di 12C. Poiché il 12C ha una massa di 1,993 * 10-26 Kg, allora 0,012 Kg = 1,993 * 10-26 Kg 6,022 * 1023 particelle elementari corrispondenti ad una mole che prende il nome di costante o numero di Avogadro MASSA MOLARE Volendo ora calcolare qual è la massa di una mole di atomi di un generico elemento basta ricordare che Massa totale = Num. Particelle * massa di 1 particella Es. nel caso degli atomi di Iodio, la massa di una mole sarà: Massa totale = 6,022 * 1023 * 2,107 * 10-25 g = 126,9 g La massa atomica dello Iodio è 126,9 uma per cui c’è concordanza numerica tra massa in grammi di una mole di sostanza e massa in dalton dell’entità elementare di quella sostanza. Il risultato non è una coincidenza fortuita, ma ripetendo il calcolo per altri atomi si ottiene sempre la stessa concordanza. Di conseguenza avendo: 1 mole * = 6,022 * 1023 * 1,661 * 10-27 Kg = 10-3 Kg = 1,000 g Una mole di dalton pesa 1 g, per cui una mole di un qualunque multiplo del Dalton (cioè una qualunque massa atomica) corrisponde ad una massa, in g, che coincide numericamente con il multiplo stesso. Questa proprietà consente di introdurre la grandezza “massa molare” che è la massa di una mole di particelle e rappresenta / indica la massa in grammi pari alla sua massa atomica espressa in dalton. La massa molare si misura in g/moli IL MODELLO ATOMICO DI BOHR Ritornando a considerare la struttura dell’atomo ipotizzata, il modello atomico di Rutherford però, non spiegava alcuni fatti; per esempio, come mai la luce emessa dall’idrogeno a temperature elevate, scomposta da un prisma dà luogo a 4 radiazioni visibili. Poiché ad ogni lunghezza d’onda della radiazione è associata una particolare energia, bisogna ammettere che l’atomo di idrogeno possieda nel campo di valori di energia corrispondenti alla luce visibile solo 5 livelli energetici e non una distribuzione continua di energia. Allo stato fondamentale l’atomo di idrogeno ha il suo elettrone nel livello energetico 1; quando il calore eccita l’elettrone, cioè ne aumenta l’energia, questo sale ad uno degli altri 4 livelli. Poi l’elettrone decade nuovamente allo stato fondamentale, liberando sotto forma di luce un’energia pari alla differenza tra il livello cui è arrivato e il livello 1. Affermare tutto questo significa asserire che l’energia dell’elettrone nell’atomo di idrogeno non è continua, ma quantizzata. Nel caso degli altri elementi, gli elettroni sono più di uno e vanno a disporsi sulle varie orbite permesse secondo un numero massimo di elettroni per orbita dato dalla relazione 2n2 dove n è il livello energetico. In definitiva gli aspetti fondamentali dell’atomo di Bohr sono: Tutta la massa dell’atomo si trova nel nucleo centrale Il nucleo è costituito da protoni e neutroni Il raggio del nucleo è circa 10.000 volte più piccolo di quello dell’atomo Le orbite permesse agli elettroni non sono infinite. A ogni orbita corrisponde un livello di energia crescente man mano che ci si allontana dal nucleo Ogni orbita può ospitare fino a 2n2 elettroni ( n è il numero quantico dell’orbita) Gli elettroni riempiono le orbite a cominciare da quella più interna. CONFIGURAZIONE ELETTRONICA La successiva evoluzione del modello di Bohr fu una conseguenza della individuazione delle peculiari caratteristiche dell’elettrone: massa trascurabile e proprietà ondulatorie. Cioè l’elettrone ha una sua lunghezza d’onda e il suo movimento può essere descritto mediante le funzioni che descrivono matematicamente le onde. Inoltre a causa della sua natura ondulatoria, non è possibile definire esattamente la posizione di un elettrone quando esso si muove in una certa direzione. Di conseguenza, per l’elettrone, sia particella che onda, non si può definire con esattezza la posizione e la velocità; invece si può determinare la probabilità di trovare l’elettrone in un certo punto in un certo istante. La conseguenza è che gli elettroni a cui sono associati determinati livelli di energia, non percorrono orbite definite intorno al nucleo, ma si muovono nello spazio intorno al nucleo e le regioni dello spazio in cui vi è una elevata probabilità di trovare l’elettrone è chiamata ORBITALE. Riassumendo, secondo il modello planetario di Bohr In un atomo esistono diversi livelli energetici collocati a distanze crescenti dal nucleo. I livelli energetici principali sono numerati cominciando dal livello più vicino al nucleo (n = 1) e ogni livello può contenere al massimo 2n2 elettroni Ogni livello energetico è suddiviso in sottolivelli indicati secondo le lettere s, p, d, f ciascuno dei quali contiene un numero diverso di orbitali o s contiene 1 orbitale o p contiene 3 orbitali o d contiene 5 orbitali o f contiene 7 orbitali Ogni orbitale può contenere al massimo 2 elettroni con spin (rotazione intorno al proprio asse) opposti. Secondo le regole di riempimento di orbitali, sottolivelli e livelli è possibile definire per ogni elemento la configurazione elettronica (disposizione degli elettroni) di tutti gli atomi utilizzando una regola molto semplice; la regola della diagonale LA TAVOLA PERIODICA Oltre alla determinazione della struttura della materia, parallelamente gli scienziati erano interessati alla classificazione logica e scientifica degli atomi. Diversi furono i tentativi e i metodi utilizzati, ma sicuramente il sistema di classificazione degli elementi di Mendeleev secondo la loro massa atomica crescente costituì un punto di riferimento per tutti i chimici. Mendeleev sistemò in una tabella gli elementi allora conosciuti incolonnandoli in gruppi che avevano proprietà chimiche simili, anche se erano presenti degli spazi vuoti dovuti agli elementi non ancora conosciuti. Attualmente non esistono più spazi vuoti e le incongruenze che erano presenti sono state superate riformulando la tavola periodica secondo il Numero atomico crescente e la massa atomica. La tavola periodica è costituita da righe orizzontali dette periodi, mentre le linee verticali sono dette gruppi; i periodi sono numerati da 1 a 7 i gruppi da Ia a VIIA + gas nobili. Tale tavola periodica fu costruita tenendo conto delle proprietà osservate sperimentalmente e della loro periodica regolarità; oggi è possibile spiegare il perché di tale regolarità. Infatti esiste una correlazione tra la configurazione elettronica di ciascun elemento e la posizione che esso occupa nella tavola periodica. Si può pertanto dividere la tavola in blocchi che prendono il nome dal sottolivello occupato dagli elettroni più esterni: Elementi del blocco s Sono gli elementi appartenenti alle prime due colonne della tavola periodica; presentano bassa energia di ionizzazione così da rendere facile l’allontanamento degli elettroni di valenza formando ioni positivi e composti ionici. Per reazione con l’acqua formano ossidi basici Elementi del blocco p Presentano varietà di comportamento. Gli elementi in basso a sinistra sono tipicamente metallici (Sn, Pb); quelli in alto a destra sono non-metalli che tendono ad acquistare elettroni per completare il guscio di valenza. Formano quindi composti molecolari quando si combinano tra loro, mentre diventano anioni se si combinano con i metalli. Elementi del blocco d Sono gli elementi dei gruppi centrali della tavola e si chiamano anche metalli di transizione. Sono tutti metalli che possono perdere un numero variabile di elettroni, diventando cationi con diverso numero di ossidazione. In particolare, negli stadi di ossidazione maggiori, quando gli elettroni messi in gioco sono più di tre, i legami che si formano sono essenzialmente covalenti e i composti sono quelli tipici dei non-metalli. I LEGAMI CHIMICI Gli atomi si combinano tra di loro per formare aggregati di atomi chiamati molecole, i quali contengono una situazione di minima energia, in cui sono stabili. Per molti elementi la configurazione più stabile corrisponde all’ottetto (2 elettroni s e 6 elettroni p) nel livello energetico più esterno che gli atomi ad eccezione dei gas nobili, non possiedono, ma cui possono giungere cedendo, acquistando o condividendo elettroni con altri atomi. Il risultato è un agregato di due o più atomi (molecole) con un contenuto di energia inferiore a quello dei singoli atomi che lo costituiscono e quindi più stabile e con la presenza di una forza che unisce gli atomi chiamata “Legame Chimico”. A seconda del modo cui si raggiunge tale situazione di contenuto minimo di energia parliamo di: Legame ionico Un atomo strappa ad un altro uno o più elettroni. Il risultato è la formazione di due ioni di carica opposta: il catione (+) corrisponde all’elemento che perde elettroni e l’anione (-) quello che li ha acquistati. Gli ioni così formati, di carica opposta, si legano dando luogo ai cristalli ionici. I composti ionici più semplici si formano quando si combinano metalli e non metalli. I primi diventano cationi, cedendo gli elettroni più esterni, mentre i secondi diventano anioni, acquistando elettroni fino a completare l’ottetto. Legame covalente Il legame si forma tra atomi di non-metalli nessuno dei quali è disponibile a perdere elettroni per cui il completamento del guscio di valenza viene raggiunto tramite la condivisione di un certo numero di elettroni che si chiamano elettroni di legame. Gli atomi che si legano insieme costituiscono una nuova particella che si chiama MOLECOLA. I composti molecolari sono tutti costituiti da molecole. Nel caso più semplice il legame covalente è costituito da una coppia di elettroni; quando le coppie elettroniche sono 2, si parla di doppio legame e di triplo legame quando le coppie condivise sono 3. In alcuni casi un atomo mette in compartecipazione una coppia di elettroni con un atomo che manca di due elettroni, formando ancora un legame covalente che, questa volta prende il nome di LEGAME COVALENTE DATIVO. Un’altra forma particolare di legame covalente è il LEGAME METALLICO. Si tratta del legame che tiene insieme tutti gli atomi di un metallo quando questo è allo stato elementare. In questo caso gli atomi formano cationi della stessa carica, mettendo in comune gli elettroni di valenza, che distribuiti nell’intera struttura, costituiscono la colla che mantiene insieme tutti i cationi. Legami deboli o intermolecolari Quando si forma una molecola, gli atomi che la costituiscono sono legati tra loro con legami covalenti, ma la distribuzione degli elettroni di legame non è paritetica, per cui gli atomi alle due estremità del legame diventano uno parzialmente positivo e l’altro parzialmente negativo. Si dice allo re che il legame è POLARE e la molecola costituisce un dipolo elettrico. I dipoli elettrici si attirano in modo simile agli ioni generando una forza di legame di interazione dipolo – dipolo con una energia chiaramente inferiore a quella del legame ionico, poiché le cariche elettriche sono solo parziali. Anche quando le molecole non sono polari, tuttavia, il fatto che gli elettroni siano in continuo movimento produce quelli che si chiamano dipoli istantanei, che sono all’origine delle FORZE DI LONDON la cui intensità dipende dalla polarizzabilità delle nuvole elettroniche, cioè da quanto queste si distorcono in presenza di campi elettrici. Ovviamente l’energia di tali legami è più bassa di quella della interazione dipolo – dipolo dovuta ai dipoli permanenti. Tutte queste forze sono indicate col nome di FORZE DI VAN DEL WAALS e influiscono su importanti proprietà delle sostanze, come la temperatura di fusione ed ebollizione o sulla tendenza a sciogliersi in un dato solvente. Legame ad idrogeno Si stabilisce tra molecole che hanno l’idrogeno legato ad un atomo molto elettronegativo, cioè, F, O, N. questi elementi posseggono coppie di elettroni di legame non condivise, dette COPPIE SOLITARIE. Tale situazione determina la formazione di un “ponte” di idrogeno tra due molecole ad una delle quali è legato con legame covalente, mentre dall’altra si lega attirando verso di se gli elettroni di una coppia solitaria. L’energia del legame a idrogeno è la maggiore tra quelle delle forze intermolecolari arrivando a circa 1/10 dell’energia del legame covalente.