“Che cos’è l’uomo nella natura? Un nulla in confronto all’infinito, un tutto in confronto al nulla, un qualcosa di mezzo fra nulla e tutto”. Blaise Pascal, Pensieri Il progetto di questa mostra nasce da un’attenta riflessione che il pittore Fabrizio Cordara in sinergia con Angelo Garoglio per il Museo delle Scienze Naturali di Torino ha attuato sulla natura piemontese. L’uomo del Duemila ha costruito le proprie gabbie: catturato in una rete di tecnologie, di mutamenti di priorità, di perdizione, può trovare la catarsi solo tramite un ritorno alle origini. Per Cordara i boschi del nostro territorio rappresentano il farmaco capace di curarci dalle cattive abitudini, dall’oblio che ci ha colpito facendoci dimenticare le nostre radici. Il contatto con la natura è indispensabile per l’uomo: egli ritrova se stesso, riesce a vedere il prossimo ed il mondo con occhi diversi. Le opere dell’artista raffigurano vette di montagne che fungono da collegamento tra cielo e terra, colline avvolte dalla foschia, giardini, specchi d’acqua,fitti boschi squarciati da sprazzi di luce. Dell’uomo non c’è traccia, in apparenza. Ma la corteccia degli alberi è la sua pelle e un ponte testimonia il suo passaggio, la presenza umana in un habitat che pare incontaminato, puro, perfetto nella propria atavica bellezza. Quest’ultima è nei lavori di Cordara, nelle sue tecniche miste (olio su fondi acrilici) che presentano inserti come: frammenti di stoffa, juta, pagine di quotidiani, scontrini fiscali, segatura e ruggine. È il connubio natura‐ambiente antropomorfizzato. È la dimostrazione tangibile di come l’una non possa fare a meno dell’altro. Perché, come sostiene Lèvinas, non siamo gettati in questo mondo, ma siamo noi la dimora dalla quale si parte e alla quale si torna. Gianluigi Giampuzzi