1 Il pendolo di Maxwell studiato con la tecnica MBL Barbara Pecori, Dipartimento di Fisica, Università di Bologna Giacomo Torzo, Dipartimento di Fisica, Università di Padova Lo studio sperimentale del moto del pendolo di Maxwell, spesso effettuato in modo riduttivo al solo scopo di misurare il momento di inerzia di un disco, può invece essere utilizzato come ricco banco di prova sia per consolidare le conoscenze di meccanica degli allievi sia per sottolineare il ruolo dei modelli nella costruzione di conoscenza in fisica. Il moto del pendolo infatti si presta ad una descrizione abbastanza semplice tanto in termini di momenti delle forze agenti quanto in termini di conservazione dell’energia. La capacità di diversi modelli fisici di descrivere (o predire) il comportamento del sistema può essere controllata mediante l’analisi dei dati sperimentali che si ottengono collegando il pendolo di Maxwell ad un PC tramite una interfaccia seriale e due sensori (di forza e di spostamento). Si può infatti partire da un modello semplice in grado di spiegare qualitativamente il moto del pendolo, per poi arrivare ad una descrizione via via più raffinata ottenuta cercando di minimizzare, per le variabili caratteristiche del fenomeno, lo scarto tra i valori previsti dal modello teorico e i valori misurati sperimentalmente. L’alta frequenza di acquisizione caratteristica del sistema utilizzato e la versatilità del SW di elaborazione dei dati permettono poi di studiare non solo il moto di caduta e risalita del pendolo ma anche la fase di “urto” con la fine del filo, controllando sperimentalmente l’uguaglianza tra l’impulso della forza applicata dal filo al pendolo e la variazione della quantità di moto di quest’ultimo. 2 1. Cos’è il pendolo di Maxwell ? Il “pendolo” di Maxwell ha poco a che fare con il tradizionale pendolo: per definirlo con una parola sola potremmo dire che esso è uno yo-yo1. Una definizione più precisa può essere “un solido a simmetria cilindrica costituito da un disco di raggio R e da un asse di raggio r <<R attorno al quale si avvolgono due fili di uguale lunghezza. Entrambi i fili hanno uno dei capi bloccato ad una estremità dell’asse mentre l’altro si aggancia ad un sostegno fisso, cosicchè in condizioni di equilibrio stabile il corpo resta appeso con il proprio asse disposto orizzontalmente” (Figura 1). r R α Pendolo di Maxwell YO-YO Figura 1 Come nel caso dello yo-yo, se il pendolo di Maxwell viene lasciato libero dopo aver avvolto i due fili per un tratto attorno all’asse, esso comincia a ruotare e a scendere fino a che i fili si sono completamente svolti e a quel punto esso comincia a risalire tornando quasi all’altezza iniziale, compiendo in tal modo un moto quasi periodico2 di salita e discesa. Una osservazione attenta del moto può rivelarci che la dinamica di questo sistema ha poco in comune con quella del pendolo: semmai ha qualche analogia con il moto di una palla elastica che rimbalza su un pavimento rigido. 2. Perchè il pendolo “cade” così lentamente ?. L’aspetto del moto che a prima vista colpisce di più è che l’accelerazione della “caduta” è molto ridotta rispetto a quella che avrebbe un oggetto in caduta libera. Per studiare questo sistema cominciamo quindi con il formulare un modello da cui derivare una previsione teorica della accelerazione. La caratteristica saliente di questo sistema 1 Giocattolo di origine indonesiana (Filippine) costituito da due dischi uguali, di solito in legno, connessi rigidamente da un asse attorno al quale è avvolto un filo; una estremità del filo è bloccata sull’asse e l’altra è tenuta in mano dal giocatore (Webster’s New World Dictionary). 2 Il moto sarebbe periodico solo se non ci fosse dissipazione e quindi l’altezza cui il pendolo si trova alla fine della risalita fosse uguale a quella da cui è cominciata la discesa. 3 (se confrontato con il solido in caduta libera) è la rotazione necessariamente prodotta dalla presenza del filo: lo yo-yo , per scendere, deve ruotare, e quando è a “fine corsa” se continua a ruotare deve salire. Per stabilire una relazione quantitativa tra rotazione attorno all’asse e traslazione lungo la verticale definiamo innanzitutto un sistema di riferimento per individuare la posizione x del baricentro, ad esempio un asse verticale diretto verso l’alto con origine nella posizione di equilibrio stabile. In questo modo, se L è la lunghezza di ciascun filo, la coordinata del punto di sospensione è xo=L. Se quindi facciamo ruotare il disco, a partire dalla posizione di equilibrio, la distanza dal punto di sospensione xo–x(t) diminuisce (dato che i due fili si avvolgono sull’asse) e possiamo dire che tra l’angolo di rotazione α(t) e lo spostamento verticale x(t) vale la relazione : x(t)=rα(t). [1] Un modo per spiegare perchè l’accelerazione a di questo sistema deve essere minore della accelerazione di gravità g, può essere derivato dal principio di conservazione della energia. Se il disco viene lasciato libero, con i due fili ugualmente avvolti sull’asse, a partire da una altezza x1<xo, il lavoro compiuto dalla forza peso (pari alla diminuzione dell’energia potenziale ∆U=mg∆x) va ad aumentare non solo l’energia cinetica traslazionale Et=mv2/2, ma anche l’energia cinetica rotazionale Er=Iω2/2,(m è la massa del pendolo di Maxwell e I il suo momento di inerzia rispetto all’asse di simmetria). La velocità v =dx/dt di traslazione verticale è infatti legata alla velocità angolare dalla relazione v=ωr, che si ottiene derivando la [1] rispetto al tempo. Quindi per pari percorso di caduta ∆x (e quindi pari diminuzione di energia potenziale ∆U) l’energia cinetica traslazionale del pendolo di Maxwell deve essere minore di quella di un corpo in caduta libera e di conseguenza minore dev’essere la sua velocità e la sua accelerazione. Il perchè sia a < g è quindi facilmente intuibile, ma quanto vale esattamente a ? e si tratta di una accelerazione costante come per la caduta libera? La risposta può essere ricavata (nella approssimazione che assume trascurabili gli attriti e quindi la dissipazione di energia) per due strade: o utilizzando la conservazione dell’energia totale o studiando la dinamica del sistema che permette di calcolare la variazione del momento della quantità di moto rispetto all’asse di simmetria del pendolo. 3. La conservazione dell’energia La conservazione dell’energia ci dice che l’energia totale U+Et+Er resta costante durante la discesa, e quindi, posto U=mgx, Et=mv2(x)/2, Er=Iω2(x)/2, m I mk 2 1 + 2 v2 = v [2] 2 mr 2 ove v(x) è la velocità traslazionale del pendolo per ogni valore della distanza x percorsa a partire dalla situazione in cui il pendolo è fermo. L’equazione [2] mostra che il sistema si comporta come se la massa inerziale fosse m(1+I/mr2) = m k, e, risolta rispetto alla velocità, fornisce una relazione analoga a quella per la velocità terminale di un corpo in caduta libera: mgx = mv 2 / 2 + Iω 2 / 2 = v( x ) = 2g x = 2( g / k ) x = 2 a x 1 + I / ( mr 2 ) [3] 4 Il coefficiente k =1+I/mr2 è il fattore di riduzione della accelerazione a rispetto al caso di caduta libera, e il coefficiente I/mr2 =(k–1) è pari al rapporto Er/Et tra energia cinetica rotazionale e traslazionale. All’ultima eguaglianza nella relazione [3] s può giungere o per similitudine con la trattazione del moto dei gravi, o tramite la definizione di accelerazione come derivata temporale della velocità: a= 4. dv( x ) dv( x ) dx 1 g 2g = = ( x ) ±1 / 2 v( x ) = = g/k 2 dt dx dt 2 1 + I / ( mr ) 1 + I / ( mr 2 ) [4] La variazione del momento della quantità di moto. Allo stesso risultato si arriva usando l’equazione che uguaglia il momento delle forze esterne T alla derivata del momento angolare L : dL T= [5] dt Se calcoliamo il momento angolare rispetto all’asse di simmetria, dobbiamo tener conto solo della tensione τ dei fili3, dato che possiamo pensare la forza peso applicata al baricentro (Figura 2) e quindi con momento risultante nullo rispetto all’asse. In definitiva il momento totale delle forze agenti, che produce la rotazione è : T=τ r. τ ω mg Figura 2 Il momento angolare è L=Iω,e la sua derivata vale dL/dt =Idω/dt=I(a/r). Quindi la relazione[5] può essere riscritta: τ r = (I/r) a [6] D’altra parte, applicando la seconda legge di Newton per la forza risultante mg–τ agente sul sistema, otteniamo una seconda relazione che lega tensione e accelerazione: mg–τ =ma [7] Ovviamente ciascuno dei due fili è soggetto a τ/2, ma come si è già notato tutto avviene come se avessimo un solo filo verticale teso lungo la verticale passante per il baricentro (cme nel caso dello Yo-Yo). I due momenti torcenti perpendicolari al piano verticale contenente l’asse di simmetria nel pendolo di Maxwell sono uguali ed opposti ed hanno quindi risultante nulla. 3 5 Eliminando dalle due relazioni [6] e [7] l’incognita τ otteniamo di nuovo il risultato fornito dalla relazione [4] [8] a = g [m / (I/r2 +m)]=g/k Il fattore k=1+ I/mr2, di cui viene ridotta la accelerazione del pendolo di Maxwell, rispetto a quella di un corpo che cade soggetto solo alla forza peso, può essere molto maggiore dell’unità. Infatti, se in una prima approssimazione (che vedremo essere valida per r<<R) trascuriamo il momento di inerzia dell’asse del pendolo rispetto a quello del disco, possiamo stimare I≈mR2/2, ovvero k≈1+(1/2)(R/r)2 [9] Se vogliamo che il nostro yo-yo scenda molto lentamente (k>>1) dobbiamo perciò scegliere un rapporto elevato tra diametro del disco e diametro dell’asse. Il moto avviene ad accelerazione costante, come per i corpi in caduta libera, ma è come se il campo gravitazionale “efficace” fosse ridotto del fattore k. 5. Apparato sperimentale. Il pendolo e il suo interfacciamento Se interfacciamo un pendolo di Maxwell ad un Personal Computer mediante un sensore di posizione (sonar) ed un sensore di forza, possiamo studiarne la cinematica e la dinamica con accuratezza e verificare le previsioni del modello sopra delineato. Noi abbiamo usato due tipi di interfacce particolarmente adatte per l’impiego didattico (ULI II e PASCO 500)4, dotate di un software, per la visualizzazione e la manipolazione dei dati acquisiti, facile da usare ed insieme potente, e che comunicano con il PC attraverso la porta seriale RS2325 4 Si tratta di interfacce “intelligenti”, dotate di microprocessore per la gestione ottimizzata dei dati raccolti, prodotte rispettivamente della Vernier Software (distribuitore EDUSA,POBox 510224, USA, [email protected]) e della PASCO Scientific (distribuitore ELItalia, Milano, fax:02-2362467) 5 Nel Macintosh si possono usare le porte modem o stampante, nel PC-IBM le porte COM1 o COM2. 6 sensore di forza sonar interfaccia Figura 3 Il pendolo è costituito da un sottile disco metallico con un foro al centro in cui passa un asse fissato al disco mediante una vite. L’asse è ricavato da una barretta metallica tornita e forata come illustrato in figura 4 per realizzare un pendolo di Maxwell con diversi valori del rapporto R/r. Alle estremità di ciascuna sezione sono praticati due sottili fori trasversali (1 mm) nei quali possano passare i due fili che sostengono il pendolo. cappio viti di blocco r1 l r2 fori per filo r3 l l asse puleggia s Figura 4 (sistemare) Abbiamo agganciato il pendolo ad un sensore di forza mediante un filo sottile e robusto (lenza in dacron) lungo circa 1 metro, alle cui estremità sono stati ricavati due cappi abbastanza lunghi da permetterne l’allacciamento all’asse come in figura 4 (si 7 infila nel foro ciascun cappio e si fa passare l’anello di filo uscente dal foro attorno all’asse). A seconda della coppia di fori usati si ottengono diversi valori di R/r . 6. Una analisi sperimentale del moto. In figura 5 è mostrata una registrazione della posizione, della velocità e della accelerazione del pendolo6, e della tensione del filo verso il tempo durante il moto. Figura 5 (sistemare) I dati si riferiscono ad un pendolo di ottone di raggio R=47.5 mm, spessore 3 mm e massa totale m=227 g. Le lunghezze dei tre tratti di asse con diversi diametri è l=20 mm, ed i tre raggi sono r1=5 mm, r2=3.17 mm e r3=2 mm, rispettivamente. I dati sono stati registrati con il filo avvolto sulle sezioni dell’asse con raggio r3. Si vede subito che la funzione x(t) è una successione di parabole, come quella che si otterrebbe registrando il moto di una pallina che rimbalzi sul pavimento. L’andamento della velocità nel tempo è infatti una successione tratti di rette con pendenza negativa costante (pari al valore della accelerazione) separati da brevissimi tratti in cui la accelerazione assume un valore positivo molto grande. A prima vista sembra che la velocità cambi segno istantaneamente in corrispondenza dei valori minimi della altezza (cioè negli istanti in cui il filo è tutto svolto). Ciò non è esatto, come vedremo più in dettaglio in seguito. Vediamo ora quanto dovrebbe valere la accelerazione in base al nostro modello: la relazione [8] esprime la accelerazione in funzione di I, r, e g, ci basta quindi solo calcolare il momento di inerzia per stimare a. 6 Velocità e accelerazione sono automaticamente calcolate con i dati di x(t) dal pacchetto software. 8 Il momento di inerzia rispetto all’asse per un cilindro omogeneo di densità ρ, raggio R e spessore s vale I=πR4sρ /2. Per il nostro pendolo, che è composto di quattro cilindri coassiali, si ha : r 4 + r24 + r34 2 l I = ( πρ / 2)[ R 4 s + (r14 + r24 + r34 )2 l] = ( πρR 4 s / 2)1 + 1 R4 s [10] Il termine in parentesi grafa vale nel nostro caso circa 1.9×10-3, che possiamo trascurare rispetto all’unità. E’quindi giustificato approssimare I con il momento di inerzia del solo disco: I≈mR2/2,e porre k≈1+(R/r)2/2. Con i valori da noi usati (R=47.5 mm, r=2 mm) otteniamo k≈283 e a= 0.035 m/s2, Figura 6 Il valore misurato (a in figura 6) conferma l’ordine di grandezza della nostra previsione, ma il valore sperimentale risulta in eccesso di oltre il 20% . L’approssimazione fatta per il calcolo di I è dell’ordine di 0.2% e una correzione che tenga conto del momento di inerzia dell’asse andrebbe a ridurre ancora di più il valore teorico di a. Per “far tornare i conti” dobbiamo allora ipotizzare che nella costruzione del nostro modello sia stato trascurato qualche aspetto del fenomeno studiato. Osserviamo allora che nella relazione [1] abbiamo assunto nullo lo spessore del filo, che nel nostro caso ha invece uno spessore di circa 0.4 mm. Se supponiamo che la lunghezza del filo che si avvolge sull’asse resti costante al centro della sezione del filo stesso7, allora il valore efficace del raggio dell’asse che abbiamo usato va aumentato di metà del diametro del filo8, cioè 0.2 mm, e questo porta il valore di k a 232, e il valore previsto dell’accelerazione diventa a =0.042 m/s2. =0.044m/s2 7 Facciamo cioè l’ipotesi che il filo sia un cilindro solido perfettamente elastico, sottoposto ad una tensione costante, e ad una flessione con raggio di curvatura r.. 8 Questa ipotesi può essere verificata qualitativamente ripetendo la misura con un filo più sottile e con uno più spesso. 9 Se alternativamente usiamo il valore sperimentale di k=g/a=223 per calcolare il valore efficace del raggio r troveremmo r =2.26 mm, corrispondente ad un filo di spessore 0.5 mm. Questo può insegnarci che i dettagli che a prima vista sembrano trascurabili si rivelano a volte più importanti del previsto. In questo caso infatti la correzione dovuta allo spessore finito del filo introduce una correzione del 27%, molto maggiore di quella relativa al momento di inerzia dell’asse ( 0.2%, che possiamo continuare a trascurare) . BISOGNA USARE UN DISCO OMOGENEO 10 7. Il “peso” del pendolo in condizioni statiche e dinamiche Chiunque si sia cimentato in un tuffo nell’acqua da una certa altezza ha provato il senso di vuoto dovuto alla improvvisa “assenza di peso” nella caduta libera. Nel caso della “caduta frenata” del pendolo di Maxwell è possibile mettere in evidenza questa “variazione di peso” ? Il sensore di forza cui il pendolo è attaccato misura continuamente la tensione del filo in funzione del tempo, e quindi è possibile registrare l’evoluzione τ(t), ad esempio se teniamo il pendolo bloccato con un altro filo, che ad in certo istante tagliamo per dare inizio alla caduta. Cerchiamo di valutare l’ordine di grandezza di tale variazione, per capire se ha senso tentare di misurarla con l’apparato che abbiamo a disposizione. La forza misurata con il pendolo fermo dev’essere uguale alla forza peso τo=mg, mentre quando il pendolo cade essa vale τ1=mg–ma=m(g–g/k)=mg(1–1/k). La variazione relativa che vogliamo apprezzare è quindi ∆τ/τ=(τo–τ1)/τ=k–1. Con un limite di sensibilità del sensore di forza9 ∆F/F≈ 0.5%, possiamo apprezzare l’effetto cercato solo se k<200, ovvero se R/r<√(400)≈20. Con R =47.5 mm dobbiamo usare r>2.4 mm. Scegliamo quindi r=r2=3.17mm, e un pendolo di l’alluminio La massa del pendolo è ora 80 g e quindi τo=0.785N; R =47.5 mm, k=101 e ∆τ/τ≈10–2, ovvero ci aspettiamo di rilevare una variazione di forza dell’ordine di τok≈8×10–3N. Figura 7 (pendolo di alluminio) 9 La risoluzione dell’interfaccia è migliore di 0.1%, ma il rumore introdotto dalle vibrazioni e la presenza di derive termiche e temporali rendono poco attendibili misure con risoluzioni migliori di 0.5%. 11 In figura 7 è mostrata la registrazione della posizione e della forza prima e dopo l’inizio della caduta: il valore medio della tensione è rispettivamente τo=0.786 N e τ1=0.778 N . La differenza è proprio il valore aspettato. La perturbazione nel grafico τ(t) all’inizio della caduta è dovuta all’azione della forbice che taglia il filo che blocca il pendolo. 7. Il teorema dell’impulso Nel paragrafo 6 avevamo osservato che quando il pendolo arriva a “fine corsa” la sua velocità lineare sembra cambiare verso istantaneamente, quando “collide con la fine del filo” . In coincidenza con questo urto con l’invisibile parete posta al livello x=0, si può osservare che il sensore di forza registra un picco. Cosa accade più esattamente? Il pendolo scendendo ha acquistato una quantità di moto mv lungo la verticale e diretta verso il basso, e quando il filo è tutto svolto esso tende ad allungarsi per consentire al pendolo di proseguire il suo moto. Questo allungamento, per effetto della legge di Hooke, sviluppa una forza contraria alla direzione del moto che accelera (verso l’alto) il pendolo. Con l’aumentare della tensione del filo cresce anche l’accelerazione, ed entrambe raggiungono un massimo in corrispondenza del valore x=0. A questo punto la velocità è nulla e il baricentro del sistema comincia a salire. La tensione comincia a diminuire, ma l’accelerazione è ancora diretta verso l’alto e la velocità (positiva) cresce fino a che la tensione del filo torna ad essereτ1 (cioè quella che esso aveva durante la discesa con il filo arrotolato sull’asse). A questo punto la velocità del corpo ha cambiato di segno. Questo “urto con la fine del filo” avviene in un tempo relativamente breve (∆t≈ 0.16 secondi, cfr. figura 8) cosicchè ad occhio appare come istantaneo. v2 v1 Figura 8 (dati delle figure 5 e 6 ottone) La seconda legge di Newton può fornire una previsione quantitativa della velocità dopo l’urto in funzione della velocità prima dell’urto e della forza di interazione fi(t) sviluppata nella collisione. La relazione fi=ma=m(dv/dt) si può anche scrivere in forma 12 integrale: m∆v = ∫ fi (t )dt che ci assicura che la variazione della quantità di moto nell’urto uguaglia l’integrale dell’impulso fidt. La forza di interazione nel nostro caso è pari alla variazione ∆τ della tensione del filo prodotta dalla “collisione” . ================= Abbiamo visto già che prima della collisione la tensione vale τ1=mg(1–1/k) e quindi, dato che il sensore misura sempre la tensione τ(t), la variazione della forza elastica che si sviluppa nell’urto può essere scritta fi(t)=τ(t)–τ1 ≈F(t)–mg, ove F(t) è la forza misurata dal sensore. La legge di Hooke ci consente di scrivere τ=K ∆x, ove K è la costante elastica del doppio-filo e ∆x l’allungamento. Poichè mg=K∆x1, ove x1 è l’allungamento in condizioni di equilibrio stabile, possiamo scrivere fi=K∆X, con ∆X=∆x–∆x1. Se per il momento trascuriamo la rotazione durante l’impulso possiamo considerare il pendolo come un sistema massa-molla, ed aspettarci che il moto sia una oscillazione armonica la cui pulsazione ω è determinata esclusivamente dalla costante elastica e dalla massa: ω=√K/m. In questa approssimazione, ci aspettiamo che la forza di interazione (tensione del filo) abbia anch’essa un andamento all’incirca armonico, e questo ci permette di ricavare una stima di K dalla misura della durata dell’impulso ∆t. Dal grafico di figura 8 possiamo stimare ∆t≈0.16 s, e nell’ipotesi fatta poniamo ∆t≈T/2, ove T è il periodo di questo moto armonico, ed ω=2π/T =la sua pulsazione. Questa stima del periodo T≈0.32 s fornisce il valore ω2=K/m≈400 s–1, e , nota la massa m≈0.23 kg, otteniamo la stima di K≈90 N/m Se ora scriviamo per lo spostamento ∆X(t) della massa m dalla posizione x=0 (pari all’allungamento per effetto della “collisione”) la relazione [11] ∆X(t) = A sinωt = ∆Xmax sinωt, ove A è l’allungamento massimo del filo, per ricavare la velocità deriviamo rispetto al tempo ottenendo la relazione v(t) = Aω cosωt = vmax cosωt [12] ove Aω è il valor massimo della velocità, che possiamo stimare ancora usando il grafico di figura 8: Aω ≈ 0.1 m/s. Questo ultimo risultato ci consente di stimare il valor massimo dell’allungamento: A= Aω /ω ≈ 0.1 / 20 =5 mm, valore ragionevole. Per verificare la attendibilità delle stime fatte sin qui, vale la pena di vedere se le misure di accelerazione durante la collisione forniscono risultati compatibili. Deriviamo rispetto altemo anche la relazione [12], ottenendo: a(t) = A ω2 sinωt = amax sinωt, [13] Le nostre stime ci fanno prevedere che il valor massimo della accelerazione dovrebbe essere amax = A ω2 ≈ 0.005×400 =2 m/s2. Ebbene dal grafico di figura 6 vediamo che questo è proprio il valore misurato. La stima che abbiamo fatto per la costante elastica del filo K≈90 N/m può essere ora confrontata con quella fornita dal valore della forza massima registrato durante la collisione (τmax≈0.45 N in figura 8) diviso per il massimo allungamento stimato K= τmax/ ∆Xmax ≈ 90 N/m. 13 Anche questo confronto risulta soddisfacente, e ciò conferma che il modello proposto per la descrizione della collisione è abbastanza realistico. 9. Calcolo del periodo Abbiamo visto nel paragrafo 2 che il moto del nostro sistema è come quello di un grave in caduta libera in un campo gravitazionale ridotto di un fattore k rispetto a quello normale. Il tempo di caduta di un grave da una altezza h è t=√(2h/a). Quindi nel nostro caso avremo t=√(2kh/g), e se trascuriamo la dissipazione (approssimando ad h la altezza h’ a cui il corpo risale dopo un ciclo) il periodo del moto diventa : T=2t=√(8k/g)√h= 2 2 h . g/k [14] Il periodo quindi è proporzionale alla radice quadrata dell’ampiezza. La relazione [14] ci suggerisce l’unica analogia con il pendolo classico, in cui il periodo l , ove l è la lunghezza del pendolo. Nel pendolo di Maxwell, il di oscillazione è 2π g rapporto tra lunghezza e accelerazione di gravità è sostituito dal rapporto tra la lunghezza del filo e la “accelerazione di gravità ridotta” g/k, e il fattore 2π è sostituito dal fattore 2√2. 9. Conservazione e dissipazione dell’energia La relazione [2] esprime la conservazione dell’energia totale durante la discesa e la risalita del pendolo: possiamo provare a vedere come evolve nel tempo l’energia totale calcolata secondo tale relazione con i valori di velocità registrati in figura 6, e usando il valore sperimentale k=223. Figura 9 E’ subito evidente che la relazione [2] non è in grado di descrivere correttamente la conservazione dell’energia durante tutto il moto. E non solo perché si vede un graduale 14 rallentamento del moto ed una diminuzione progressiva dell’energia totale E (come già sappiamo la dinamica del sistema reale contiene termini dissipativi) ma anche perchè, in corrispondenza delle collisioni con la fine del filo, il valore calcolato di E (grossolanamente costante durante la discesa) si azzera momentaneamente per poi tornare al valore precedente all’urto. Potremmo osservare che ciò che manca nella relazione [2] è il termine dovuto alla energia elastica che viene immagazzinata nella variazione di tensione del filo (messa in evidenza dal sensore di forza). Il contributo dell’energia elastica durante la collisione potrebbe essere scritto Ee=∆τ(x)∆X, ma questo non basterebbe a rimuovere i “buchi” di energia nel nostro grafico. Infatti il valor massimo dell’energia elastica è pari al valor massimo di Et≈Er/k<<Er. La ragione di un così vistoso errore nella misura della energia ottenuta con il nostro metodo risiede invece nel fatto che noi ricaviamo proprio il valore di Er da misure di velocità traslazionale, cosa perfettamente lecita durante discesa e salita ma non durante la collisione. Durante la collisione la velocità traslazionale, che ha raggiunto il suo valor massimo, cala, si annulla, e cresce in direzione opposta fino a raggiungere il suo massimo negativo. Invece la velocità angolare (da cui dipende Er) resta circa costante in prossimtà del suo massimo valore. Dissipazione coeff. attrito viscoso: si può ricavare dalla costante di tempo? (supposto sia efettivamente un esponenziale si ha circa 77 secondi)... massa≈227g, rapporto raggi≈20 Si potrebbe cercare una sistematica variazione della accelerazione, con un massimo attorno a v≈0 (i.e. x=max) e minimi attorno a vmax (i.e. x≈0), e la differenza di accelerazione corrisponderebbe al momento torcente dell’attrito viscoso. In tal caso... La variazione di energia potenziale tra due massimi successivi si può stimare come lavoro compiuto da una forza di attrito proporzionale alla velocità x1 x1 t1 x0 x0 t0 ∆U01 = ∫ fa dx = − ∫ kv( x )dx = − k ∫ v(t )2 dt Mi aspetto cioè che i valori dei decrementi di ampiezza dei rimbalzi ∆xi siano proporzionali agli integrali di v2 in un periodo Grosso modo questa ipotesi è confermata dai dati sperimentali: sia i decrementi che gli integrali calano quasi linearmente nel tempo (anche se su tempi brevi come 20 secondi è difficile distinguere un andamento esponenziale da uno lineare...). BISOGNA ACQUISIRE ALMENO PER 1 MINUTO (almeno 15 periodi) 10. Conclusioni (Ribadire che la tecnica on-line consente questo tipo di laboratorio...)