Generalità e Definizioni

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Generalità e Definizioni
I metalli usati nella maggior parte delle tecnologie hanno grande affinità per l’ossigeno, l’acqua, lo
zolfo, l’anidride carbonica; essi perciò possono venire attaccati profondamente se non sono correttamente
impiegati o protetti. Talvolta l’attacco progredisce assai lentamente e non assume dimensioni
macroscopiche poiché sulla superficie del metalli si forma spontaneamente uno strato di ossido ( o di un
composto del metalli, per es. fluoruro ) che impedisce il progredire dell’azione ossidante. Ad esempio,
l’alluminio lasciato all’aria resiste all’ossidazione perché protetto da uno strato invisibile di ossido
trasparente. A contatto con mercurio, non forma amalgama grazie all’intervento isolante dell’ossido. Se lo
strato di ossido viene intaccato per graffiatura, il mercurio attacca il metallo nella zona scoperta e si forma
un amalgama di alluminio che si ossida con formazione di uno strato di ossido polverulento, non protettivo.
Altri metalli, es. il platino e l’argento, vengono difficilmente ossidati avendo scarsa affinità per
l’ossigeno; tali metalli sono detti nobili. Specifico è il caso dell’oro, per il quale la formazione di ossido ( o di
solfuro ) a temperatura ambiente non è un processo spontaneo, cosicchè il metallo, non solo è
apparentemente inalterabile, come nel caso degli altri metalli nobili che formano sulla loro superficie film
sottilissimi ed invisibili di ossidi, ma la sua superficie espone il reticolo cristallino del metallo. Questa
osservazione ha una grande importanza pratica e tra l’altro ha trasformato il metallo tecnico con ovvie
conseguenze sul suo mercato di metallo “prezioso” monetabile. Infatti nei contatti per circuiti elettronici
l’assenza di film, sia pure invisibili, di ossidi, solfuri, ecc. a comportamento semiconduttore, assicura una
trasmissione del segnale elettrico senza distorsioni, assicurando un valore elevato del rapporto
segnale/rumore.
La reazione dell’ossigeno con i metalli può avvenire in presenza o in assenza di acqua. L’attacco in
assenza di acqua è normalmente apprezzabile solo ad alte temperature, ma oltre un certo limite si può
ottenere la reazione inversa di decomposizione dell’ossido con riformazione del metallo; l’equilibrio:
Me + O₂  ossido

si può spostare perciò in un senso o nell’altro a seconda delle condizioni termiche e a seconda dell’affinità
del metallo per l’ossigeno. In pratica lo spostamento dell’equilibrio da sinistra verso destra riguarda i
problemi di corrosione; lo spostamento dell’equilibrio da destra verso sinistra riguarda i problemi di
metallurgia estrattiva. Ad esempio il rame, riscaldato debolmente all’aria, si ossida, ma basta il calore di
una fiamma per riformare il metallo; il ferro da facilmente ossidi che risultano molto stabili ed è quindi
necessaria l’azione della temperature dell’alto forno e di un riducente (carbone) per ottenere la riduzione
dell’ossido; per lo zinco, che ha grande affinità per l’ossigeno, è necessario arrivare fino a 1700°C per
ottenere la decomposizione dell’ossido; per l’ossido di alluminio è addirittura necessario ricorrere all’azione
della corrente elettrica per ottenerne la riduzione (processo elettrometallurgico).
L’attacco dei metalli in presenza di acqua allo stato condensato viene indicato con il termine di
“corrosione umida”; ad esempio lo zinco in soluzione neutra aerata si può corrodere:
Zn + 1/2O₂ + H₂O  Zn (OH)₂
Il pro cesso avviene spontaneamente con meccanismo di tipo elettrochimico (vedi oltre) e da luogo
al decadimento tecnologico del metallo che viene a perdere le caratteristiche intrinseche dello stato
metallico.
Il decadimento tecnologico del metallo, prodotto da un processo corrosivo, non è soltanto
connesso alla dissoluzione macroscopica del metallo (es. perforazione di un tubo) ma si riferisce anche alla
riduzione, nel senso più ampio, dell’efficienza funzionale dell’oggetto metallico; esempio di decadimento
tecnologico può essere quello dell’alluminio di ricoprimento di uno specchio riflettore che, per formazione
di ossido, si offusca e diminuisce il proprio potere riflettente; oppure la corrosione delle sedi di na valvola
con perdita della tenuta, ecc.
In ogni caso il decadimento del materiale metallico è di natura chimica ed irreversibile ed avviene
nel tempo con una certa gradualità, che del resto è una delle caratteristiche più peculiari dei processi
naturali; si può concludere perciò che per “corrosione” si intende un fenomeno spontaneo ed irreversibile
di graduali decadimento tecnologico del materiale metallico per interazione chimico fisica con l’ambiente
che lo circonda.
La corrosione può essere di due tipi a seconda che avvenga in presenza di acqua allo stato
condensato, o in assenza di acqua allo stato condensato. In quest’ultimo si parlo spesso di corrosione
“secca” contrapposta alla corrosione “umida” del primo caso. La corrosione del ferro in vapore saturo o in
una soluzione acquosa sono esempi di corrosione in presenza di acqua condensata, mentre la corrosione
del ferro in vapore surriscaldato (assenza di acqua allo stato condensato) o in gas ad alta temperatura sono
esempi di corrosione “secca”. Forma intermedia potrebbe essere considerata quella del metallo in presenza
di solvente non acquoso condensato per cui il processo di corrosione può assumere aspetti caratteristici sia
della corrosione umida che della corrosione secca.
Morfologie di Corrosione
La natura elettrochimica della corrosione porta alla realizzazione di forme diverse di attacco, in
dipendenza dalla maggiore o minore tendenza alla localizzazione delle aree anodiche e catodiche e delle
densità di corrente fluenti attraverso gli elementi galvanici. Ciò è determinato dal concorso di una serie di
fattori ambientali, metallografici, meccanici e geometrici il cui differente contributo crea le premesse per la
realizzazione delle differenti forme di attacco. L’identificazione delle forme di corrosione è di assoluta
necessità per la diagnosi delle cause che hanno determinato il processo corrosivo e può venir fatta in base
alla seguente classificazione:
1. Corrosione generalizzata
2. Corrosione localizzata
3. Corrosione selettiva
La corrosione generalizzata interessa tutta la superficie del metallo e si traduce in un
assottigliamento più o meno veloce della parete metallica a contatto con l’elettrolita; a seconda della
maggiore o minore uniformità di attacco superficiale si distingue tra corrosione generalizzata uniforme e
disuniforme.
La corrosione localizzata interessa parti limitate della superficie metallica e si realizza con
formazione di cavità che, a seconda del rapporto diametro esterno/profondità, vengono indicati con
terminologie diverse: ulcere, crateri, “pits”, cricche.
I pits, a loro volta, possono risultare penetranti o cavernizzati a seconda della loro maggiore o
minore tendenza alla penetrazione in senso rettilineo. Le cricche, a seconda che seguano o non seguano
come via preferenziale i bordi del grani, si distinguono in intergranulari od in transgranulari.
La corrosione selettiva produce la dissoluzione preferenziale di parti determinate del metallo che
per ragioni chimiche o metallografiche risultano più facilmente attaccabili; si usa distinguere tra corrosione
cristallografica, intergranulare ed interdentritica a seconda che il materiale corroso preferenzialmente
risulti una determinata specie cristallina, il bordo dei grani e le zone immediatamente adiacenti, oppure il
materiale interdentritico. Un’altra forma di corrosione selettiva, il “dealloying”, si realizza quando si verifica
la dissoluzione preferenziale di uno dei componenti di una lega (es. dezincificazione degli ottoni,
denichelazione dei Cupronickels, ecc.), lasciando un residuo inconsistente e spugnoso dell’altro metallo
della lega.
Andamento della corrosione nel tempo
Essendo la corrosione il graduale decadimento delle proprietà tecnologiche di un materiale
metallico essa ha il “tempo” come parametro caratterizzante.
L’andamento nel tempo dipende dai fattori elettrochimici e fisici che intervengono durante il
processo di corrosione. In particolare si possono indicare quattro andamenti tipici rappresentativi:
1. Processi a velocità costante. Corrispondo ad es. al processo di assottigliamento della parete di un
recipiente senza l’intervento di fenomeni accelleranti o rallentanti, per cui è possibile prevedere la
vita di un’apparecchiatura per semplice applicazione di una legge cinetica lineare. E’ il caso, ad
esempio, della dissoluzione del ferro in acido cloridrico, o dei processi di corrosione in regime di
corrente limite di dissusione.
2. Processi autostimolanti. Si riferiscono ai casi di intervento di fattori che stimolano la dissoluzione
del metallo. Così , ad esempio, per l’intervento di fenomeni di idrolisi dei prodotti di corrosione (es.
FeCl₃ nella corrosione marina del ferro) che producono acidità libera a contatto con il metallo;
oppure per azione catodica delle impurezze che affiorano e si accumulano sulla superficie del
metallo durante la sua dissoluzione (es. zinco in acido cloridrico).
3. Processi autorallentanti. Si riferiscono ai casi di intervento di fattori che rallentano la dissoluzione
del metallo. Così, ad esempio, per intervento di alcalinità prodotta dal processo catodico di
riduzione dell’ossigeno che può provocare la precipitazione dei Sali calcarei sulle pareti interne
delle condutture, rendendo difficoltosa la diffusione dell’ossigeno sulla superficie metallica.
4. Processi che tendono ad annullarsi per intervento di fenomeni di passività che modificano lo stato
chimico della superficie del metallo.
Il processo di corrosione assume, dopo un certo periodo di tempo, velocità praticamente nulla.
Da quanto sopra descritto è evidente che quando si deve studiare l’intensità di un processo
di corrosione è necessario considerare le condizioni attuali del proc esso stesso.
La velocità del processo di corrosione è data dalla tangente alla curva nel punto
rappresentativo delle condizioni di funzionamento del sistema al tempo considerato.
L’estrapolazione dei dati di corrosione nel tempo richiede la conoscenza, caso per caso,
della curva che da la progressione della corrosione nel tempo.
Corrosione per fatica
GENERALITà
La frattura provocata in un materiale metallico dalla simultanea azione di sforzi di intensità variabile
e di un ambiente chimico viene comunemente indicata come corrosione per fatica. L’effetto fratturante
provocato dalla corrosione per fatica non deve venir confuso con quello provocato più semplicemente dei
fenomeni di fatica che dipendono esclusivamente dall’applicazione di sforzi di intensità variabile al
materiale metallico senza l’intervento di azione chimica.
Per la corrosione per fatica, la situazione inerente alle forze agenti sul materiale metallico è quindi
assai differente rispetto a quanto si verifica per la tensocorrosione per la quale le forze agenti sono
esclusivamente di natura statica.
Le forze che determinano l’insorgenza di corrosione per fatica si manifestano, normalmente, in
forma ciclica, alternata o pulsante, indicando come forze alternate quelle che nel tempo cambiano
continuamente di segno inducendo alternativamente stati di compressione e di tensione, e come forze
pulsanti quelle che variano ciclicamente nel tempo ma che non cambiano il proprio segno inducendo,
alternativamente nel metallo, stati di maggiore e minore tensione.
In ogni caso, comunque, sia per la tensocorrosione che per la corrosione per fatica, l’intensità
massima delle forze agenti può essere di gran lunga inferiore al limite di snervamento del materiale
metallico. Si ricorda, a tal proposito, che le proprietà meccaniche di maggior rilievo di un metallo
sottoposto a fatica sono la “resistenza a fatica” e il “limite di fatica”; la prima indica la forza massima
applicabile ad un metallo, per un certo numero di cicli, senza provocare rottura; la seconda, che è
caratteristica per i metalli ferrosi, è la forza massima al di sotto della quale un materiale può
presumibilmente sopportare un numero indefinito di cicli. Oltre che dalle grandezze inerenti la forza
applicata ed alla natura del metallo, il limite e la resistenza a fatica possono dipendere anche dallo stato
superficiale del metallo per il quale, ad esempio, la presenza di un intaglio, può portare alla diminuzione
delle proprietà di resistenza meccanica. Per i materiali non ferrosi, la resistenza alla fatica risulta
ulteriormente diminuita mentre non esiste praticamente la possibilità di realizzazione di un limite per
fatica. L’insorgenza di corrosione per fatica peggiore notevolmente le proprietà di resistenza dei materiali
metallici e, nel caso di materiali ferrosi, può ridurle a valori comparabili con quelle di materiali non ferrosi.
Gli ambienti chimici promotori di corrosione per fatica sono generalmente ambienti a blanda azione
corrosiva, molto simili a quelli promotori di tensocorrosione, e che, in assenza di tensioni applicate,
avrebbero causato soltanto limitata azione di attacco.
CARATTERISTICHE
Quando le forze cicliche agenti risultano uniformemente distribuite su una certa parte della
superficie metallica, la corrosione per fatica si manifesta con la formazione di famiglie di cricche
transgranulari filiformi e poco ramificate, disposte come per la tensocorrosione, perpendicolarmente alla
direzione dello sforzo. Nel caso, viceversa, che le caratteristiche geometriche del metallo siano tali da
provocare una concentrazione degli sforzi su una zona limitata, si verificherà preferenzialmente una sola
cricca, la cui velocità di penetrazione sarà assai più alta che nel caso di insorgenza di gruppi di cricche. In
caso di applicazione di sforzi di torsione, si potranno avere cricche ad orientamento incrociato; nel caso,
infine, di tensioni biassali, come ad esempio quelle agenti su un tubo sottoposto a frequenti shock termici,
si potrà avere insorgenza si cricche longitudinali e trasversali.
Nonostante nella maggioranza dei casi la corrosione per fatica si manifesti con cracking trans
granulare, in alcuni casi può verificarsi rottura intergranulare. Ciò si verifica in caso di deformazione plastica
subita precedentemente del metallo per cui il cracking può seguire, almeno parzialmente, la via dei piani di
scorrimento, oppure quando le caratteristiche di aggressività del mezzo corrosivo sono molto alte e di per
sé avrebbero esercitato, anche se molto più lentamente, azione di attacco selettivo ai bordi dei grani; in
questo ultimo caso l’azione dello sforzo ciclico assume più che altro una funzione acceleratrice di un
processo lento già in corso. Altre volte la morfologia della cricca dipende dall’intensità dello sforzo come ad
esempio nel caso della corrosione per fatica del rame all’aria, per cui sforzi maggiori tendono a produrre
cracking intergranulare, sforzi minori producono cracking transgranulare, sforzi intermedi producono
cricche a morfologia mista.
FATTORI INFLUENZANTI LA CORROSIONE PER FATICA
A) Fattori meccanici:
L’insorgenza di corrosione per fatica dipende dalla realizzazione di condizioni specifiche assai meno
critiche di quanto osservato per la tensocorrosione; ciò a causa del ruolo di maggior peso giocato dal
fattore meccanico e della molteplicità di forme con cui quest’ultimo può esplicare la sua influenza,
come ad esempio il numero totale di cicli applicati, la loro frequenza , la loro ampiezza, ecc. In
particolare, la soppressione del limite di fatica, che può caratterizzare un metallo in condizioni di
corrosione per fatica, riduce a valori finiti il numero di cicli applicabili, mentre l’abbassamento di tali
limiti riduce l’ampiezza dei cicli applicabili senza intervento di rottura. E’ poi interessante osservare che
la frequenza dei cicli assume per la corrosione per fatica un ruolo importantissimo, e ciò in contrasto
con quanto si verifica per la fatica per la quale non si osserva una sostanziale influenza della frequenza.
Ciò perché nella corrosione per fatica, per questioni di ricambio di soluzione e di attività anodica
all’apice delle cricche, a parità di ampiezza, i cicli lenti risultano assai più efficaci dei cicli veloci, essendo
favorito un più regolare ricambio della soluzione nella cricca ed una conseguente maggio efficacia del
processo elettrochimico di dissoluzione anodica all’apice.
Ne consegue che, mentre per la determinazione della resistenza a fatica è sufficiente determinare
il numero di cicli di una determinata ampiezza che porta a frattura, nella corrosione a fatica è
necessario tener conto anche del fattore frequenza dei cicli.
Una conseguenza di grande valore tecnologico di questo fatto sta nella possibilità di ridurre a tempi
assai brevi le prove di laboratorio atte a determinare la resistenza a fatica (aumentando la frequenza e
determinando il numero di cicli che porta a rottura) e nella impossibilità di fare la stessa cosa per la
corrosione per fatica per la quale, quindi, è necessario, per ottenere risultati attendibili, riprodurre in
laboratorio le condizioni di ampiezza e di frequenza delle condizioni naturali di impiego dei materiali, il
che implica tempi di testing assai lunghi e costi di esercizio assai alti.
B) Fattori ambientali e casistica
Per gli acciai, che sono i materiali più direttamente interessati al problema, gli ambi enti promotori
di corrosione per fatica sono molteplici e per lo più contenenti ossigeno (per l’acqua dolce o marina, le
acque di caldaia o di condensa, vapore, gli olii lubrificanti, ecc.), e possono agire sia in condizioni
normali di esercizio, sia quando accidentalmente e per brevi periodi di tempo vengono a contatto con il
metallo. Ciò spiega la varietà dei casi nei quali può insorgere corrosione per fatica e la disparità delle
apparecchiature che ne possono venire coinvolte; ad esempio gli alberi porta eliche delle navi qualora
per un motivo qualsiasi vengano a contatto c on acqua marina; gli apparati di perforazione dei pozzi
petroliferi qualora attraversino falde acquose saline o sulfuree; i cavi di funivie in località marina;
oleodotti sottoposti a variazione frequenti di pressione interna; fasci tubieri di scambiatori di calore
posti in vibrazione dalla circolazione del liquido di raffreddamento o dalla vicinanza di apparati di
pompaggio non perfettamente bilanciati, per i quali si può verificare rottura in prossimità degli innesti
con le piastre tubiere ecc. A questo proposito è interessante ricordare come per ostacolare tali moti
vibratori si usino diaframmi intermedi che, se montati malamente, possono deformare i tubi
scambiatori provocando insorgenza di tensocorrosione.
Merita particolare menzione la possibilità di corrosione per fatica nelle caldaie per produzione di
vapore surriscaldato nelle quali, a causa delle condizioni variabili di scambio termino provocate dalla
presen za di un velo fluttuante di vapore in prossimità della parete metallica, si possono verificare
surriscaldamenti locali temporanei, e conseguenti variazioni delle tensioni locali. Effetto simile può
essere causato dalla caduta intermittente di acqua su pareti calde di tubi o altre apparecchiature; in
tali condizioni gli acciai austenitici, malgrado le loro doti di resistenza alla corrosione, si mostrano
maggiormente suscettibili alla corrosione per fatica di quelli ferritici, a causa della loro minor
conducibilità termica (che favorisce i surriscaldamenti locali) e del loro maggior coefficiente di
dilatazione termica (che favorisce l’insorgenza di tensioni locali).
Infine è da ricordare che condizioni estreme di queste fenomenologie, vero confine tra
tensocorrosione e corrosione per fatica, sono quelle che si realizzano per le strutture sottoposte a
condizioni di fatica con cicli estremamente lenti (decine di secondi) che si verificano per strutture di
massa ragguardevole esposte all’azione del moto ondoso o di correnti sottomarine (navi, strutture per
estrazione petrolifera off-shore, condotte sottomarine sospese, ecc.) per le quali l’insorgenza di
criccatura può portare ad effetti catastrofici dopo tempi di esposizione estremamente brevi (corrosione
per fatica oligociclica).
MECCANISCO
La somiglianza delle condizioni che determinano l’insorgenza di tensocorrosione e di corrosione per
fatica, e cioè la necessità dell’azione contemporanea di forze meccaniche e chimiche, è identificata da
molte caratteristiche comuni che determinano il meccanismo di formazione di questi due tipi di corrosione.
Così come già fatto per la tensocorrosione, anche per la corrosione per fatica si può parlare di questi due
stadi susseguenti, rispettivamente di innesco e di sviluppo del cracking, sottolineando però il fatto che nella
corrosione per fatica i processi d’innesco sono favoriti dalla presenza dello stato dinamico cui è stato
sottoposto il film protettivo superficiale per cui le zone maggiormente sollecitate risultano densamente
popolabili da pitting o da attacco selettivo ai bordi dei grani da cui, in un secondo tempo, può iniziare e
propagarsi il cracking vero e proprio. Ciò favorisce la distribuzione degli sforzi su più punti e la crescita di
famiglie di cricche la cui velocità di penetrazione risulta assai più bassa che nel caso di concentrazione degli
sforzi su un punto solo come comunemente osservabile nelle rotture per fatica (senza intervento del mezzo
corrosivo) in cui la cricca ha per lo più origine da una imperfezione superficiale e risulta per lo più isolata. La
presenza del pitting iniziale, considerata da questo punto di vista, avrebbe perciò, agli effetti
dell’instaurazione di corrosione per fatica, anche una funzione molto simile a quella di un intaglio sulla
superficie metallica durante una misura di resistenza a fatica che di per sé può abbassare notevolmente la
resistenza ed il limite di fatica del metallo. Una volta innescato, il processo di corrosione per fatica procede
nell’interno del metallo con un meccanismo assai simile a quello già descritto per la tensocorrosione, che
prevede la presenza di una zona anodica in una limitatissima zona in fondo alla cricca, la possibilità di
infragilimento del metallo sul fronte di avanzamento, la maggior reattività chimica del metallo
maggiormente sollecitato meccanicamente, unitamente all’intervento di modificazioni strutturali e
metallografiche dovute alla presenza della tensione applicata o ad una precedente deformazione
meccanica. Dal canto suo, la natura ciclica dello sforzo applicato, oltre agli effetti puramente meccanici,
favorisce il ricambio della soluzione nella cricca ed il rifornimento dell’ossigeno nelle zone più interne per
cui anche le pareti laterali della cricca assumerebbero un notevole ruolo catodico.
Alla luce di queste considerazioni, l’influenza dell’ossigeno nella corrosione per fatica risulta ancora
una volta evidente per la duplice funzione da esso esercitata sia come fattore di localizzazione per i processi
di innesco, sia come fattore cinetico e di bilanciamento del processo anodico. Numerose prove di
laboratorio condotte per materiali ferrosi in atmosfera di gas inerte confermano infatti un notevole
aumento della resistenza alla corrosione per fatica negli ambienti disaerati.
PROTEZIONE E PREVENZIONE
In generale, la maggior difficoltà per lo studio dei processi di corrosione per fatica e per la loro
prevenzione sta nella difficoltà di riprodurre in laboratorio i fattori (specialmente meccanici) che possono
intervenire in pratica. Comunque si può affermare che l’uso di materiali, notoriamente resistenti alla fatica,
non ha effetto in caso di corrosione per fatica. Per i materiali convenzionali possono, in generale, valere
molte delle norme già indicate per la tensocorrosione come ad esempio la modifica del disegno delle
apparecchiature (specialmente efficace contro i movimenti vibratori), l’applicazione di trattamenti termici
di distensione, l’introduzione di stadi di compressione per martellatura o pallinatura superficiale ecc. L’uso
di rivestimenti protettivi organici o metallici (pitture o depositi galvanici) è condizionato dall’elasticità del
materiale ricoprente, dalla sua impermeabilità e resistenza a fatica, e dai parametri geometrici dello strato
ricoprente rispetto al metallo base per cui ad esempio depositi di nichel, creando stati di tensione sul
materiale sottostante, possono risultare acceleranti mentre l’effetto inverso viene generalmente osservato
per i depositi di zinco o di cadmio che per altro possono inoltre offrire al materiale base la propria azione di
protezione catodica. A tale riguardo è necessario, però, far osservare come i ricoprimenti di cadmio siano in
pratica da preferirsi a quelli di zinco per la moderazione dell’azione da essi esercitata in senso catodico, che
limita la possibilità di presenza di idrogeno in superficie, possibilità che comunque esiste, però, nel caso di
qualsiasi tipo di deposito galvanico e che obbliga, a deposizione avvenuta, a trattamenti di desorbimento.
L’uso di inibitori può risultare efficace in alcuni casi, come ad esempio per i cromati o per alcuni olii
emulsionabili, i quali però si dimostrano inefficaci in soluzione fortemente saline che ne impediscono
l’emulsionificazione. Anche l’uso di agenti bagnanti risulta talvolta assai efficace; però, al contrario dei
rivestimenti e degli inibitori che esercitano azione contrastante per i processi di innesco, questi ultimi
producono condizioni di generalizzazione dei processi di attacco superficiale dal quale il cracking ha poche
possibilità di formazione.
L’uso di protezione catodica con correnti esterne, nei limiti consentiti dalla quantità di idrogeno
producibile in superficie, può risultare mezzo assai efficace di protezione. Purtroppo, però, per la
particolarità dell’attacco, per la difficoltà di applicazione in zone interne e per pezzi di piccole dimensioni
(es. alberi delle pompe), l’applicazione pratica di tale tipo di protezione è assai limitata. Maggiori possibilità
offre viceversa la protezione catodica tramite l’applicazione di strati a carattere anodico come
precedentemente osservato per i depositi di zinco e cadmio.
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