Musica e giovani:tempi sociali e tempi vitali

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Musica e giovani: tempi sociali e tempi vitali
Estratti dal saggio omonimo contenuto nel volume L'Esilio Del Tempo (Meltemi, Roma, 2004)
di Edoardo Bridda e Fabrizio Manattini
Indice completo dell’opera
0. Introduzione
1. Musica, comunità e tempo dotato di senso
2. La musica giovanile: nascita, sviluppi, crisi.
2.2 Verso la rivoluzione: i ribelli inglesi
2.3 Rivoluzioni rock: gli hippy
2.4 La generazione dei No
2.5 Generation Ecstasy
3. La musica giovanile: valore di scambio e condizione umana
Introduzione
Tra le varie definizioni del concetto di musica ve n'è una che è particolarmente funzionale a questo
scritto: si tratta della definizione che ne ha dato John Cage. Piuttosto che genericamente di musica,
Cage preferisce parlare di una particolare esperienza acustica come ascolto di suoni organizzati. La
musica può essere intesa, nella sua forma più essenziale, come una serie di suoni in specifici
rapporti strutturalmente connessi. Questa semplice definizione implica che il campo dell'analisi non
guardi solo a ciò che è considerato meritevole d'ascolto, ma a tutto ciò che è organizzato, per cui si
pone immediatamente il problema di colui che manipola la materia acustica, così come di chi la
utilizza.
Il musicista, o curatore di suoni, non può essere separato dal suo contesto storico-sociale, ma, nello
stesso tempo, è anche (e più in profondità) un io emotivo, un fascio emozionale. Il musicista che
organizza e manipola le sue strutture sonore è dunque una persona inserita nella e influenzata dalla
società, ma è anche un individuo "pre-sociale", dotato di una sensibilità innata. Ciò vale
naturalmente anche per colui che usufruisce della musica. Queste due dimensioni, che fanno di ogni
individuo un essere duplice, sono anche la chiave di lettura per l'analisi delle forme musicali
giovanili, della loro evoluzione e connessione con i mutamenti nella dimensione spazio-temporale.
Nei paragrafi seguenti cercheremo allora di chiarire il senso secondo cui la musica può essere vista
come una delle forme più significative ed esemplari dal punto di vista dell'evoluzione della
condizione umana; come tutte le forme del simbolico, infatti, subisce anch'essa l'evoluzione storica
delle forme di società in cui nasce e si sviluppa. Può dunque essere considerata come un testimone
privilegiato di quel percorso evolutivo che, dal pre-moderno al moderno , sembra sempre più
evidenziare la crisi della struttura simbolica della società e, con essa, la perdita del senso della
dimensione spazio-temporale.
Per questo, come sembra emergere con una certa evidenza guardando all'universo musicale
giovanile negli ultimi quarant'anni, la musica appare come uno strumento particolarmente adatto
non solo per leggere e interpretare questa crisi, ma anche per indirizzare la ricerca in una direzione
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diversa da quella sociologica classica, verso la valorizzazione di quei livelli dell'esperienza umana
tradizionalmente trascurati e riferibili alle dimensioni profonde della sensibilità umana (Sé bios);
dimensioni che oggi, in forme ambivalenti, sembrano emergere prepotentemente e prendere corpo
proprio nei giovani.
2. La musica giovanile: nascita, sviluppi, crisi.
2.1 Il tempo delle origini: la transizione dalla civiltà contadina alla modernità in America
"Il nord, governato dall'estetica puritana, aveva reso gli uomini liberi rendendoli
stranieri; il Sud povero, che Elvis conosceva, prese forza dalla comunità"
L'America è la terra natale della musica giovanile ed è anche uno dei centri propulsivi di quella
transizione epocale che ha portato dalla comunità alla società, un passaggio tutt'altro che lineare e
omogeneo geograficamente. Senza enfatizzare l'affermazione di Wim Wenders, secondo cui "gli
americani ci hanno colonizzato il sub-conscio", possiamo sostenere che la musica nata in questa
Nazione, poi dilagata in tutto l'occidente (e oltre), è un fatto sociale particolarmente interessante
come indicatore della trasformazione delle forme simboliche avvenuta nel passaggio alla modernità.
La storia Americana è, in estrema sintesi, il processo d'una conquista da parte di coloni che,
lasciandosi il vecchio continente alle spalle, hanno visto in questa immensa superficie del globo una
terra promessa, un territorio enorme tutto da conquistare e edificare: da qui il mito della frontiera di
tanti film Western. Fin dalle origini, dunque, ogni pioniere sbarcato nel Nuovo Mondo ha un
proprio passato su cui di fatto si è costruita la sua identità sociale; un passato che lo condiziona e
che renderà per lui naturale aggregarsi in gruppi di simili che parlano la sua lingua (o anche il suo
dialetto) e condividono i suoi costumi. Si riformeranno così in terra straniera comunità
paradigmaticamente simili a quelle lasciate in Europa. Saranno tuttavia tendenzialmente sempre
meno forti rispetto a quelle originarie, proprio perché lo spirito americano si fonda su un paradigma
potenzialmente esplosivo per le forme simboliche tradizionali: l'assoluta autonomia individuale, la
libertà del singolo in cui è implicita l'uscita dal gruppo da parte dell'individuo, il quale da sé si
costruisce il futuro al presente, giorno per giorno, coi denti e spesso col sangue, inseguendo il
proprio sogno. Proprio la libertà, come valore aggregante di una società improntata sul sogno
individuale, è la chiave di lettura di tutta la dialettica che vede da una parte il singolo individuo di
fronte al proprio sogno e dall'altra i vincoli che lo legano alla propria struttura sociale
d'appartenenza. E già questo rappresenta un'anticipazione di quello che sarà uno dei significati
sociali più potenti del rock: l'emancipazione d'un giovane che vuole abbracciare i propri sogni,
entrando inevitabilmente in conflitto prima con gli adulti e poi con tutta la società per non averglieli
concessi o per averglieli rovinati per sempre. In ogni caso, la musica rispecchia da subito questa
situazione nell'ambivalenza fra il country e il blues.
Il country è la musica che si andrà formando in America in tutte queste comunità soggette a mille
spinte centripete e centrifughe, sarà il primo segno originale di questo nascente popolo. Il country è
una macro etichetta, la sommatoria dei sotto-generi appartenenti a ciascuna di queste comunità che,
pur soggette a continui cambiamenti, mantengono salda la proprietà di quella variante del genere
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che difendono con tenacia. Di fatto, specie prima dell'avvento dei nuovi media della
comunicazione, le comunità, in particolare al Sud, sono le uniche proprietarie dei fenomeni sociosonori e questi sono un tutt'uno con la religione e la vita del paese. "La comunità [del Sud] si basava
su una economia marginale che richiedeva cooperazione, fedeltà e obbedienza per ottenere qualcosa
che assomigliasse a una vita decente; era organizzata in base alla religione, alla morale e alla
musica. La musica aiutava la comunità a stare unita, e portava con sé la tradizione e condivideva i
valori che drammatizzavano il senso di appartenenza. La musica dava piacere, speranza e rifugio" .
La musica dunque è un bene sociale e non individuale, una musica per tutti che attraversava le
differenze d'età, se non addirittura quelle di classe, ma è anche un genere musicale che "parlava a
una comunità che aveva paura di qualunque cosa, che si ritirava su se stessa, che usava la musica
come una catena che tenesse uniti tutti insieme per il meglio o per il peggio, con un sentimento che
significava che ciò che era condiviso era meno importante del fatto cruciale del condividere" . È
folk-music soggiogata da uno spirito religioso puritano, fondamentalista, dove i fatti della vita
corrispondono al peccato originale, è un mezzo per i padri che soltanto in questo modo riescono a
comunicare ai propri figli i loro peccati, nel tentativo di spiegarli e giustificarli. Questo suono
organizzato però non è l'unico del paese.
A differenza del country, il blues, pur essendo anch'essa musica adulta, "parte" proprio quando la
comunità "finisce" e in questo senso è infinitamente più dannato e edonista. I bianchi avevano per
secoli tentato di sopprimere la musica nera, l'avevano giudicata blasfema, stonata, inoltre, proprio
come avevano colonizzato l'America, volevano fare lo stesso per l'identità sociale degli africani.
L'indottrinamento religioso, assieme al lavoro forzato, portarono la vita dei neri, per quasi due
secoli, a due realtà sociali ineluttabili: il campo e la chiesa. È nella prima che i neri riuscirono a
mantenere i legami con quel passato pagano che inorridiva i cristiani, ed è qui che si è sviluppato il
blues.
Il blues è un suono individuale, prodotto da colui che ha perso una comunità, più che da un
musicista che a questa si aggrappa per confortarsi e per fuggire dalle paure della solitudine; esso
incarna un suono che, finita la schiavitù (Proclama di Lincoln del 1863), si organizza su una libertà
reale solo sulla carta; è la colonna sonora d'un viaggio in treno verso il Nord, Chicago magari, verso
quel contraddittorio e pericoloso mito che l'America rappresenta. "[…] uscire dalla massa degli
schiavi significa spesso lasciare un ambiente che, se non altro, conserva i tratti della sua originaria
civiltà africana e addentrarsi in un mondo totalmente diverso, in cui contano altri valori, mentalità e
abitudini" . Il nero emigrante è solo e proprio per questo cerca nella musica non un semplice
conforto ma una controparte con cui poter dialogare con il proprio sé profondo; il blues è una
seconda pelle e questa sua caratteristica fa sì che la sua durata temporale sia pressoché infinita.
Mentre il country organizza i suoi suoni in canzoni che sono un'emancipazione dal lascito culturale
europeo , il blues si slega dalle dinamiche sociali, possiede una struttura aperta che scava nelle
cosiddette blue notes, diventa flusso della coscienza: essa dunque è una musica che si fa al presente
dove passato e futuro perdono le loro connotazioni simboliche, dove cioè lo stesso linguaggio si
ricrea in maniera soggettiva, asservito com'è al suono della parola e non più al suo significato. "Il
blues […] è musica di vita, diretta e cruda: racconta senza pudore in poche parole. Il blues non
conosce l'idealismo dei bianchi. L'amore è sesso non innamoramento, è un fatto fisico, che non
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rimanda a stati mentali (nostalgia, malinconia, eccetera). La morte è fine della vita, non passaggio
della vita all'aldilà" .
Il blues è pagano non nel senso che sia ateo, esso è religione del corpo, rito individuale dotato di un
tempo proprio sconnesso dalle strutture sociali, scudo verso un mondo ancora più precario e misero
senza la comunità. È il riflesso d'una transizione dolorosa: da un tempo sociale vissuto nelle chiese
con gli spirituals e i loro botta e risposta (dal quale quasi tutti i bluesmen provengono), a quello
individuale, dove il dialogo non avviene più con la comunità ma con un suo sostituto fisico, la
chitarra. Il bluesman e il cantautore country sono dunque figure sociali profondamente differenti sia
nello spirito che nello stile musicale, la diffidenza reciproca è il minimo che ci si possa aspettare e,
pertanto, una fusione diretta tra queste due culture non sembra fattibile senza un collante, che
s'identificherà col Ministrel Show. Il Ministrel, che fu il primo spettacolo per bianchi che assimilò
dei musicisti di colore, era un varietà ambulante, un teatrino dove oltre agli acrobati, maghi e
ballerini, si esibivano anche dei cantanti. La prima di queste manifestazioni in pianta stabile fu
inaugurata da due italiani nel 1907 a Memphis e segnò la nascita della famigerata TOBA,
"l'organizzazione che avrebbe sfruttato senza pietà decine di grandi musicisti neri" . Grazie a questi
spettacoli il blues autentico si adattò al mondo dell'intrattenimento, in una versione più gradita al
pubblico bianco, e questo evidenzia anche come la funzione della musica per i bianchi si stesse
arricchendo di una nuova realtà: in un mondo ancora fortemente comunitario, questa diventava un
mezzo per superare i limiti della comunità stessa, per saltarne fuori per un po'.
Come evidenzia giustamente Greil Marcus: "la musica era anche una fuga dalla comunità e la
musica rivelò il suo lato nascosto" ; nel momento in cui lo spettacolo cominciava a diventare
intrattenimento sempre locale ma diffuso in tutta la nazione, nascevano nel contempo musicisti
professionisti girovaghi i quali, a differenza dei dilettanti vicini di casa che portavano i loro violini e
chitarre nei picnic in campagna, "riempivano il gap tra l'idea sentimentale che la comunità aveva di
se stessa e il mondo esterno, quello proibito; artisti in grado di portare la comunità oltre se stessa
perché avevano il talento e il coraggio di trascenderla" .
In sostanza, prima che i moderni media - quali la radio, la televisione e ora anche internet approdassero nelle nostre case, dentro il nostro ambiente privato e domestico, l'unico modo per
distrarsi dalla vita di tutti i giorni era quello di uscire e andare a vedere i carri ambulanti (quando
erano in città), oppure entrare nei Vaudeville, l'evoluzione dei Ministrel (ma sempre teatri di serie B
dove, di certo, la gente "per bene" non metteva piede). La musica non è ancora un fenomeno
acustico organizzato a sé, staccato dalla vita del paese, e la sua natura vincolata al sociale le
conferisce un senso chiaro e condivisibile, forse magico: "[il Sud] È il solo posto nel Paese dove sia
stato in cui puoi guidare per l'autostrada, di notte, e se ascolti, avvertirai della musica", disse una
volta Robbie Robertson, "non so dire se proviene dalle persone o dall'aria. È una cosa viva ancorata
al posto" .
La musica ancorata al sociale, proprietà della comunità, non canned-sound mediatico riprodotto
meccanicamente in casa, fatto imprescindibilmente collettivo e non dominio di pochi; il tempo della
musica che corrisponde al tempo di chi la suona e l'ascolta. Eppure, nonostante i rapporti di
inclusione/esclusione delle comunità rurali del Sud che tenevano ben lontana la musica dei neri e
rinforzavano tramite la ripetizione rituale il sound folk dei bianchi, attraverso il virus dei musicisti
professionisti provenienti dall'esterno (Hank Williams, Robert Johnson), si era aperto un varco per
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una curiosa devianza. Il mito di una terra promessa poteva realizzarsi al di fuori della comunità, per
alcuni e rigorosamente giovani, utilizzando proprio quell'edonismo e quella strafottenza dei cantanti
di colore, più viscerali, arditi e sprezzanti del pericolo di qualsiasi stanco e fatalista musicista
country. La comunità è certo calore, famiglia e tradizioni ma è pur sempre fame, cibo cattivo,
malattie, vulnerabilità, destino classista, impossibilità di tagliarti i capelli come vuoi, d'essere ciò
che desideri, altro da quel sé che la comunità ti ha detto di essere.
Elvis Presley, prima che Sam Phillips lo scoprisse, era un ragazzetto di campagna costretto a
tagliarsi i capelli dopo che il parrucchiere aveva chiuso bottega, lo chiamavano ironicamente The
Hillibilly Cat ed era considerato una nullità bianca, una sorta di caricatura dei produttori di Whisky.
La comunità sa essere ben spietata con chi cerca di deviare dallo status quo. D'altra parte ci vuole
tutta l'ingenuità di un ragazzo di campagna per credere - ci troviamo nella rurale e comunitaria
Tupelo, Memphis nei primi anni cinquanta - di aiutare la famiglia ad uscire dalla miseria lavorando
duro in un genere musicale come quello degli odiati neri. Eppure il periodo è quello giusto: Sam
Phillips, proprietario di una piccola etichetta discografica di Memphis, la Sun, che dal 1951
produceva giovani cantanti blues di colore, stava giusto cercando "un bianco che avesse la voce di
un nero per fare un miliardo di dollari" .
Phillips era cresciuto, proprio come Elvis, in una piantagione dell'Alabama e fin da piccolo aveva
sentito il sound dei neri e quello dei bianchi; fortemente convinto della potenza dei primi capì che,
in un'America uscita vittoriosa e entusiasta da una guerra mondiale, ci voleva qualcosa di energico e
moderatamente sovversivo per guadagnarci sopra. In sostanza, si trattava non d'investire sulla
tradizione, sulla comunità, con cui si potevano fare soltanto profitti circoscritti, ma su qualcosa di
trasversale che toccasse tutti senza appartenere a qualcuno in particolare: qualcosa che avesse un
più alto valore di scambio. Elvis Presley entra negli studi del Sun, lavora duro, vuole che il sound
sia esattamente quello dei neri, non si accontenta della prima versione di un brano, prova e riprova,
fino a cinquanta volte, uno stesso pezzo e a quell'epoca, non essendoci i multitraccia, ogni errore da
parte di qualsiasi musicista faceva saltare l'intera sessione di registrazione. La fortuna di Elvis è
dunque un mix di abilità canore e presenza scenica, elementi entrambi indispensabili del nascente
sistema dello spettacolo.
Intanto, nel Nord del paese, capitalisticamente avanzato e meno ancorato alle strutture sociali
tradizionali, si stava formando una nuova categoria sociale che non era ancora riconosciuta
ufficialmente ma che viveva nel mito cinematografico con film come Il selvaggio (1954) e
Gioventù Bruciata (1955). Mentre Elvis faceva rock 'n' roll per garantire ai suoi un sostentamento,
vi erano giovani nordisti tutt'altro che mansueti. La loro ribellione si scontrava, feroce, proprio
contro il mondo genitoriale, gli adulti, i pilastri dell'educazione, l'interfaccia tra le vite neoarrivate e
la comunità. Nel Nord le strutture della società tradizionale si stavano disgregando e il ribellismo di
questi nuovi individui, né adolescenti né adulti, erano lì a dimostrare che l'educazione veniva messa
in discussione, negata, lasciando spazio ad un malcelato nichilismo e sofferenza per nulla legati alla
fame o alla miseria. Mentre Elvis affermava: "quando ero ragazzo ero l'eroe dei fumetti e dei film.
Sono cresciuto credendo in un sogno. Adesso lo sto vivendo. Questo è tutto quello che un uomo può
chiedere" , stava emergendo una nuova categoria sociale che in quei sogni non ci credeva affatto e
non capiva neppure in cosa altro credere. Ebbene, la fede di questi Brando e Dean fu il Rock 'n'
Roll.
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In questo nuovo genere che mescolava molto di nero e un po' di bianco, trasferirono le loro
frustrazioni e, se non altro, pensarono che attraverso di esso potessero soddisfare i loro appetiti
sessuali così palesemente tabù nel Paese. Tutto il rock futuro porterà con sé questo intreccio: il
bianco che vuol esser nero, che lo copia, lo snatura, lo castra della sua "sfacciata" sessualità; e,
d'altra parte, il nero, saccheggiato dal bianco (ora anche culturalmente), che cerca di trovare nelle
sue radici musicali una propria strada, utilizzando la musica o come un mezzo per accorciare le
distanze tra questo mondo e l'aldilà (la terra promessa dove tutti saranno "una cosa sola"), oppure
come strumento per rivendicare il diritto di essere neri e, nei suoi eccessi, superiori ai bianchi (come
nel caso eclatante dei Public Enemy). Comunque sia, per molto tempo nella musica giovanile, la
musica è la traccia di questi incontri-scontri, in essa possiamo tracciare la loro storia, trovarne un
tempo sociale. Non il country ma il blues rivoluzionò il mondo giovanile: la musica degli ex-schiavi
neri, che avevano contribuito forzatamente alla colonizzazione dei bianchi, fu quella che cambiò lo
stile di vita dei giovani del ventesimo secolo.
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