PROGRAMMA SVOLTO ANNO SCOLASTICO 2014

PROGRAMMA SVOLTO ANNO SCOLASTICO 2014/2015
CLASSE
MATERIA __Filosofia__
III - SEZ.
U
PROF. _Tentori
Testo di riferimento: N. Abbagnano, G. Fornero, B. Burghi,
“L’ideale e il reale”, vol. 1
1. La prima filosofia della natura. Gli ionici, Pitagora,
Eraclito.
2. Le filosofie dell’Uno. Parmenide e la scuola di Elea.
3. Le filosofie del molteplice. Empedocle, Anassagora, gli
atomisti.
4. Verità e convenzione. La filosofia sofistica.
5. Socrate.
6. Platone.
7. Aristotele
o Aristotele e Platone
o La metafisica
o La logica
BERGAMO, 4 GIUGNO 2015
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GLI ALUNNI
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L’INSEGNANTE
LAVORO ESTIVO – CLASSE III U - FILOSOFIA
Per tutta la classe:
Leggere la scheda - dibattito ‘‘Dio esiste?’’ allegata al documento
e rispondere a tutte le domande proposte.
TUTTI I COMPITI SCRITTI DEVONO ESSERE PRODOTTI IN FORMATO
DIGITALE.
BERGAMO, 11 GIUGNO 2015
(GIULIO TENTORI)
Dio esiste?
di Amedeo Vigorelli
Il problema dell’esistenza di Dio è il tema principale della metafisica e della teologia scolastica. Ma esso è anche uno dei problemi che da sempre assillano l’uomo, incerto tra credenza e scetticismo, oppure alla ricerca di buone ragioni per
giustificare la fede che scaturisce da un bisogno religioso profondo. Vi proponiamo un approccio leggero all’argomento: affrontare, mediante un “gioco di
ruolo”, una tematica difficile, su cui non cessa di interrogarsi la filosofia contemporanea.
> perché è importante dimostrare l’esistenza di Dio?
> ha ragione l’insipiens?
esposizione del problema
La sfida religiosa dell’ateismo
La formulazione seria della domanda: “Dio esiste?” è
rivelatrice di un clima culturale caratterizzato da un diffuso scetticismo. Come dice l’esistenzialismo contemporaneo, nessuno crede più ormai seriamente nel “buon
Dio”. Un filosofo della prima scolastica medievale come
Anselmo d’Aosta non esitava a giudicare insipiens, ossia
stolto, colui il quale osasse dubitare, in cuor suo, dell’esistenza di Dio. Ancora oggi, all’interno delle grandi religioni monoteistiche a diffusione mondiale (giudaismo, cristianesimo, islamismo) la domanda sull’esistenza di Dio
attiene prevalentemente ai preambula fidei, alle questioni preliminari che vengono affrontate e risolte in sede
di avviamento alla religione rivelata. Oppure è intesa in un
significato apologetico, come contestazione cioè dei modi
erronei o non ortodossi di intendere la divinità.
■ Ma, al di fuori di questo specifico ambito di fede religiosa, il mondo contemporaneo pare caratterizzato da
quella che i sociologi hanno chiamato “secolarizzazione”, ossia l’avvenuto divorzio tra mondo della scienza,
della tecnica, della cultura, da un lato, e, dall’altro, mondi delle credenze e delle fedi, siano esse di tipo tradizionale e collettivo o individuale e privato. Ciò ha fatto dire
a filosofi credenti che la situazione contemporanea si avvicina, per la radicalità dell’alternativa tra fede e miscredenza, a quella delle origini cristiane.
Pagani e cristiani: chi è l’ateo,
e chi il credente?
L’esigenza di una giustificazione razionale della credenza religiosa sorge assai tardi nel mondo antico, come
effetto della crisi e del profondo travaglio spirituale che
coinvolge il paganesimo e il cristianesimo nascente nei primi tre secoli dell’Era Volgare. Un diffuso errore di pro© Pearson Italia S.p.A.
spettiva, che porta ad applicare a ritroso al mondo tardoantico le posteriori acquisizioni culturali della civiltà cristiana, è quello che contrappone il monoteismo religioso ebraico-cristiano al politeismo pagano. Solo i primi
avrebbero portato avanti la fede in un Dio unico, di natura puramente spirituale, all’epoca degli “dei falsi e bugiardi” del paganesimo, testimoniando la superiorità del proprio credo con l’eroismo e il sangue dei martiri.
■ Questa visione stilizzata (e profondamente antistorica)
delle vicende che porteranno all’imporsi definitivo del cristianesimo nei secoli del tardo impero e del Medioevo,
non dà conto della frequente inversione dei ruoli, nel conflitto dottrinale che oppone (a partire dal II secolo) i filosofi pagani agli apologisti cristiani, con reciproche accuse
di empietà e di ateismo. Nella diffusa mentalità politicosociale del tempo – anzi – è proprio nei riguardi dei cristiani che si appunta più di sovente l’accusa di “ateismo”, che si trasforma in facile occasione di persecuzione politica, nei momenti di più drammatica crisi economica o sociale. Ancora agli inizi del III secolo Tertulliano,
Padre della Chiesa, così ricorda l’antico pregiudizio pagano nei confronti del presunto “ateismo” dei primi cristiani, i quali avrebbero scatenato sul mondo la giusta ira degli dèi, con il loro rifiuto di riconoscere la divinità dell’imperatore romano: «Se il Tevere inonda la città o se il Nilo
non inonda i campi, se il cielo sta fermo o la terra si muove, se c’è la carestia, se c’è la peste, la prima reazione è “I
cristiani ai leoni!”» (Tertulliano, Apologeticum, 40).
L’esistenza di Dio, problema teologico:
dalla apologetica alla patristica
I filosofi pagani del II secolo, come il neoplatonico Celso, autore del Discorso vero, si scandalizzano dell’assenza di una elaborata teologia nel cristianesimo primitivo.
a cura di F. Cioffi, G. Luppi, A. Vigorelli, E. Zanette,
A. Bianchi, S. O’Brien; Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori
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Dibattiti
Diffuso soprattutto nei ceti popolari, esso appare loro come una superstizione barbarica, originata dallo spirito settario del vecchio ebraismo. La fede, pistis – cui fa cenno
di continuo Paolo, in polemica con la sapienza dei filosofi – è giudicata la forma più bassa ed elementare di credenza, di doxa (nel significato svalutativo, proprio di Platone). Una fede cieca, fondata sulla credulità popolare, sul
sentito dire, che si alimenta di superstizione e fanatismo.
Lo stesso eroismo dei martiri cristiani, che affrontano la
morte pur di non tradire la propria fede, appare come un
oscuro legame di setta, frutto di una mentalità fanatica.
Sulla mania di segretezza delle prime conventicole cristiane insiste malevolmente la propaganda pagana: tra il
popolino sono diffuse le più fantasiose versioni del culto
cristiano dell’eucarestia, come pure la diceria che nelle loro feste religiose si praticano culti di sangue (si “mangiano i bambini”).
■ È per rispondere agli attacchi dei filosofi pagani che si
sviluppa con Giustino, a partire dalla fine del II secolo, il
movimento degli apologisti. Essi si sforzano di mostrare
la concordanza di fondo del cristianesimo con le opinioni religiose e morali più valide del paganesimo (oltre
al fondamentale lealismo politico dei cristiani nei confronti dell’impero). Ma l’edificazione di una vera e propria
teologia cristiana richiederà oltre due secoli. Essa attingerà
alla filosofia pagana, in particolare neoplatonica, per trovare un punto di accordo tra monoteismo e fede in Cristo
(logos divino incarnato e morto sulla croce, per espiare i
peccati degli uomini). Questo sarà il compito dei Padri della Chiesa, tra i quali Agostino occupa un posto centrale.
della riflessione razionale sul dato di fede rivelata (intelligo ut credam), è quella tra dimostrazione a posteriori
o a priori dell’esistenza di Dio. La dimostrazione deve
cioè partire da qualche constatazione d’esperienza, per
elevarsi, mediante un procedimento argomentativo logicamente inconfutabile, alla conclusione che Dio esiste effettivamente? Oppure deve risolversi in un processo di
chiarificazione razionale del dato intuitivo di fede (l’idea
di Dio), che si svolge mediante una pura deduzione razionale di concetti, senza alcun ricorso all’esperienza? La
questione verrà affrontata nel corso di tutta la filosofia scolastica, tanto medievale quanto moderna, e solo in Kant
essa troverà una soluzione critica, che porrà in luce le debolezze di entrambe le impostazioni. Avrete modo di approfondire la questione nel corso dello studio della filosofia. Ora provate a riflettere, utilizzando come punto di partenza le sollecitazioni offerte, da un lato, da un pensatore
contemporaneo, dall’altro dal vostro primo contatto con il
celebre “argomento ontologico” di Anselmo.
A priori e a posteriori:
l’opera della scolastica
La distinzione fra teologia rivelata e teologia razionale o naturale sarà invece fondamentale per la scolastica del Medioevo. Un conto è ciò che di Dio crediamo per
fede, in quanto è contenuto nelle Sacre Scritture ed è garantito dalla tradizione della Chiesa apostolica (per esempio la Trinità). Un conto è ciò che di Dio possiamo sapere
o dimostrare per via di puro ragionamento, utilizzando la
sana ratio di cui si servivano anche i filosofi pagani (per
esempio Platone, che si avvicinò molto al monoteismo).
La domanda “Dio esiste?” può essere finalmente impostata in termini razionalmente autonomi. Essa ha ormai
perduto quella radicalità che assumeva nelle epoche di crisi, come quella di trapasso tra antichità e Medioevo. In un
mondo ormai caratterizzato dalla coesistenza, sia pur conflittuale, delle tre grandi “religioni del Libro” (ebraismo,
cristianesimo, islamismo), lo sforzo dei teologi per chiarire all’intelletto le ragioni della fede può partire da solidi
presupposti di senso comune.
■ L’alternativa fondamentale, che si delinea fin dagli inizi
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a cura di F. Cioffi, G. Luppi, A. Vigorelli, E. Zanette,
A. Bianchi, S. O’Brien; Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori
discussione
QUESTIONE 1
Perché è importante dimostrare l’esistenza di Dio?
Uno dei maggiori filosofi cattolici contemporanei, il francese Jean Guitton, ha scritto parole molto significative e
inquietanti sull’odierno clima culturale, che egli caratterizza come dominato da un “silenzio sull’essenziale”: non
tanto il silenzio dei mistici sul Dio ineffabile, ma il colpevole silenzio degli uomini di cultura (persino dei credenti) nell’affrontare la domanda essenziale su Dio.
“
In un’epoca in cui le scienze umane arrivano a penetrare nelle zone dell’inconscio, dove nulla rimane nascosto di quelle profondità che ci sono state rivelate da Freud e Marx, appare strano
veder aumentare nelle nostre società ciarliere il silenzio su ciò che è essenziale.
Mi stupisco del silenzio su Dio.
Questo silenzio su Dio lo si ritrova anche tra i cristiani. È strano questo silenzio sul primo oggetto della fede e sull’ultimo oggetto della ragione. Strano, se è vero, come pensava Leibniz citando
santa Teresa, che la saggezza consiste nel vivere come se non ci fossero che due esseri, tutti e due
unici: Io e il mio Creatore. Ai giorni nostri, tra i maestri del pensiero, chi discute di Dio? E, dopo
l’età delle caverne, c’è forse stata un’epoca in cui su questo pianeta Dio sia stato più sepolto? A
un punto tale che si sente dire che il problema di Dio non si pone, perché non ha più senso.
J. Guitton, Silenzio sull’essenziale. Riflessioni di un pensatore cristiano
■Condividete lo stupore di Guitton per il silenzio (si potrebbe anche dire per l’afasia) della cultura
contemporanea su Dio? Oppure ritenete che si tratti del tipico modo di parlare di un vecchio credente, che non vuole stare al passo con la moderna mentalità scientifica e politicamente corretta, che
invita a un “pudico silenzio” su ciò di cui non si può parlare con documentata certezza? Alcune domande vi possono orientare in questa ricerca:
a. Vi siete mai chiesti seriamente il significato di termini come “credente” o “ateo”? Pensate che il
problema dell’esistenza di Dio debba riguardare più il primo o il secondo?
b. Vi sembra di vivere in un mondo (famiglia, società, nazione) in cui prevale l’integralismo religioso (ossia l’unità di fede religiosa e politica, fede religiosa e morale ecc.) oppure la secolarizzazione (ossia la separazione e il tendenziale divorzio tra i due ambiti)? Fate alcuni esempi.
c. La fede in Dio, secondo voi, esaurisce l’ambito delle possibili credenze religiose, oppure vi sono o
vi sono state nel mondo e nella storia altre forme di “fedi” alternative (per esempio certe ideologie
politiche)?
d. Secondo voi, è possibile dimostrare, con argomenti razionali, l’esistenza di Dio? Oppure è meglio
lasciare il problema in un ambito “fideistico”, rispettando tutte le opinioni sull’argomento come
ugualmente vere o indifferenti?
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a cura di F. Cioffi, G. Luppi, A. Vigorelli, E. Zanette,
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Dibattiti
GIOCO DI RUOLO
Ha ragione l’insipiens?
Dopo aver studiato la prima scolastica, vi sarete certamente chiesti che valore hanno, per gli uomini di oggi, le
questioni che si ponevano i filosofi del Medioevo. Può
sembrare singolare che persone di grande cultura, che costituivano una autentica élite sociale, un’estrema minoranza in un mondo di semianalfabeti, riponessero le mag-
giori ambizioni nella conquista della fede religiosa e dedicassero tutti i loro sforzi intellettuali nella dimostrazione
del fatto che Dio esiste. Per accostare in modo leggero (ma
non per questo superficiale) la difficile materia teologica,
potete servirvi di questo gioco di ruolo, ispirato alla celebre disputa tra Anselmo e il monaco Gaunilone.
I personaggi
■
Anselmo d’Aosta
Anselmo, nato ad Aosta nel 1033, giunge nel monastero
di Bec (in Normandia) a ventisei anni, richiamato dalla fama dell’insegnamento di Lanfranco di Pavia, che attraeva
discepoli da ogni parte del mondo. Divenuto monaco
(1060) ricopre per quindici anni la carica di priore (106378) del monastero di Bec, e per altri quindici (1078-93)
quella di abate. Nel 1093 succede a Lanfranco come arcivescovo di Canterbury, in Inghilterra, dove difende con
grande energia le prerogative della Chiesa contro la politica della monarchia plantagenetica, durante la celebre
lotta per le investiture. Affronta anche l’esilio, ma muore
in fama di santità a Canterbury nel 1109. All’epoca in cui
scrisse il Monologion e il Proslogion si trovava ancora nel
monastero di Bec.
■
Gaunilone
Monaco di Bec, rivolge alcune obiezioni scettiche all’argomento ontologico sull’esistenza di Dio, affrontato nel
Proslogion. Se Dio esiste, perché risulta contraddittorio
con la definizione dell’essere perfettissimo («ciò di cui non
si può pensare nulla di più grande») il pensarlo non esistente, allora dobbiamo dire che hanno ragione tutti quelli che parlano delle “isole felici”, di cui non si può pensare nulla di maggiore e più perfetto, anche se nessuno le ha
mai viste!
■ Insipiens
(lo stolto, o meglio: l’incredulo)
Nei Salmi (13, 1; 52, 1) viene a più riprese definito “stolto” colui il quale «dice in cuor suo: Dio non esiste». Ci si
riferisce non tanto all’ateo, nel senso odierno del termine,
ma al credente negli idoli del politeismo religioso antico,
cui gli ebrei oppongono un rigido monoteismo. Anselmo
intende per insipiens colui il quale non ha un’idea adeguata di Dio: l’incredulo o chi ha dubbi di fede. Ma nella
polemica contro Gaunilone non esita ad applicare anche
a lui questo epiteto, usando un argomento ad hominem:
proprio tu, monaco devoto e obbediente, che nella fede rivolgi la tua invocazione a Dio, l’essere perfettissimo, affermi di non comprendere ciò che si deve intendere con
tale espressione?
■Scegliete uno dei tre ruoli dei protagonisti della discussione, adattandoli anche a un diverso con-
testo. L’abate potrebbe essere un teologo o un insegnante di religione dei nostri giorni. Gaunilone non
deve necessariamente essere un monaco, ma un filosofo che rifiuti per definizione il procedimento a
priori nella dimostrazione dell’esistenza di Dio. L’insipiens non è necessariamente l’ignorante, che
non capisce il senso delle parole “Dio esiste”, ma può essere chiunque sollevi dubbi radicali sulla fede: l’ateo o l’incredulo.
■Formulate con precisione l’argomento ontologico, e discutetene le implicazioni dai tre punti di vista. Come argomenterebbe Anselmo? Come contro-argomenterebbe Gaunilone? Perché l’insipiens
è tale? Che cosa potrebbe dire in contrario, a propria discolpa?
■Allargate ora il gioco – rendendolo, da faceto, serio – al problema sollevato da Guitton nella propria denuncia dell’“assordante silenzio” della cultura di oggi di fronte al problema di Dio. Che responsabilità ha la filosofia in tale silenzio? È perché i filosofi non hanno sufficiente coraggio, nell’assumere come razionale e sostenibile l’ipotesi dell’esistenza di Dio, che il problema stesso diviene insolubile? O è perché i filosofi hanno preteso troppo, in passato, di dimostrare qualcosa di indimostrabile, che ora paiono condannati all’afasia?
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