GRANDE SCISMA e la Chiesa in Italia

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Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa
Dizionario Storico Tematico La Chiesa in Italia
Volume I - Dalle Origini All'Unità Nazionale
Roma 2015
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Voce pubblicata il 20/01/2015 -- Aggiornata al 20/01/2015
GRANDE SCISMA e la Chiesa in Italia
Autore: Tommaso di Carpegna
Nel periodo compreso tra il 1378 e il 1417 si verificò il «Grande Scisma » o «Scisma d’Occidente»,
durante il quale due (in una fase anche tre) pontefici rivendicarono contemporaneamente la propria
rispettiva legittimità, trovando ciascuno largo seguito nei paesi della Cristianità occidentale. Gregorio XI,
che nel 1377 aveva riportato la Sede apostolica da Avignone a Roma, morì il 23 marzo 1378. Poiché la
gran parte del Sacro Collegio era composta da cardinali francesi intenzionati a riportare il papato in
Francia – e poiché ad Avignone ancora permanevano molti uffici di Curia – i romani, per assicurarsi la
residenza del papa a Roma, chiesero a gran voce che il nuovo pontefice fosse romano, o “almanco”
(almeno) italiano. Dietro le forti pressioni dei banderesi (i capi della Felice Società dei Balestrieri e dei
Pavesati, cioè del partito popolare che governava Roma), l’8 aprile 1378 i sedici partecipanti al conclave
(undici francesi, uno spagnolo e quattro italiani) elessero Bartolomeo Prignano – Urbano VI, che non era
un cardinale ma l’arcivescovo di Bari. Avendo investito il Collegio cardinalizio di aspre critiche e avendo
dichiarato di non voler più spostare la sede papale, nei mesi successivi Urbano VI si alienò il favore di
quasi tutti (dodici su sedici) i cardinali che lo avevano eletto. Questi si riunirono a Fondi e, dichiarata
l’elezione nulla in quanto avvenuta in un clima intimidatorio, il 20 settembre 1378 elessero papa il
cardinale Roberto di Ginevra, che prese il nome di Clemente VII e che l’anno successivo si stabilì
nuovamente ad Avignone con la propria Curia. Da allora si ebbero due “obbedienze” e due serie
continuative di pontefici, uno residente a Roma (Urbano VI, Bonifacio IX, Innocenzo VII, Gregorio XII),
l’altro ad Avignone (Clemente VII, Benedetto XIII). Una prima composizione dello scisma fu tentata nel
Concilio di Pisa (1409), durante il quale i padri conciliari deposero i due pontefici contrapposti e i
cardinali presenti, dissidenti di entrambi gli schieramenti e chiamati “unionisti”, ne elessero un terzo,
Alessandro V. Di fatto, anziché risolversi la situazione divenne ancora più complessa e le obbedienze da
due divennero tre. Il successore di Alessandro V, Giovanni XXIII, ottenne l’obbedienza della Scandinavia,
dell’Ungheria e dell’Impero, tenne un concilio a Roma (1412-1413) e poi uno a Costanza (1414-1415).
Poiché gli altri due papi non si erano presentati, a Costanza Giovanni XXIII si riteneva in condizione di
vincere la contesa. Essendosi però disfatta la sua alleanza con Sigismondo re di Boemia, che era il vero
promotore del Concilio e che considerava i tre papi su un piano di parità, Giovanni XXIII finì con l’essere
deposto (29 maggio 1415). Il papa romano Gregorio XII inviò allora la sua dichiarazione di rinuncia al
papato (4 luglio 1415), conferendo al Concilio l’autorità per porre termine allo scisma. Il papa avignonese
Benedetto XIII, invece, non si piegò e venne formalmente deposto il 26 luglio 1417. Seguì, l’11 novembre,
l’elezione di un nuovo papa, decisa da ventitre cardinali delle tre obbedienze: Martino V (Oddone
Colonna, 1417-1431), che fu accettato da tutti tranne che da una minoranza ancora fedele a Benedetto
XIII (eletto nel 1394, morto nel 1422).
L’obbedienza all’uno o all’altro pontefice rappresentò una componente essenziale del gioco politico tra i
regni, largamente condizionato anche dalla contemporanea guerra dei Cento Anni. L’Inghilterra, i paesi
scandinavi, l’Ungheria e la Polonia tennero per il papa di Roma, mentre la Francia, la Scozia, i regni
spagnoli, il ducato di Savoia e la Sicilia furono di obbedienza avignonese; la Francia ritirò peraltro la
propria obbedienza a Benedetto XIII nel periodo 1398-1404. L’Impero, invece, fu grossomodo diviso in
due: romana la parte orientale, avignonese quella occidentale.
Come in altre aree europee (Brabante, Paesi Bassi, Portogallo), estremamente composito e mobile fu il
quadro delle obbedienze in Italia, dove «il pontefice era pure capo di uno stato italiano, sovrano tra
sovrani» (Brezzi 1944, p. 397, saggio al quale si rimanda per la presentazione dell’articolata situazione
politica). Nella penisola italiana, lo scisma provocò o peggiorò uno stato di guerra continua e la sua storia
è compendiabile in numerose e distinte fasi.
Nella prima fase (1379-1384) i due contendenti si affrontano soprattutto in Italia centrale. Il 27 aprile
1379, per intercessione di Caterina da Siena, capitola Castel Sant’Angelo, fino ad allora in mano ai
“clementini”, e il 30 aprile Alberico da Barbiano, al comando degli “urbanisti”, sbaraglia a Marino i
mercenari bretoni. Nel frattempo, i cardinali rimasti neutrali, che sono tutti italiani, cercano di mediare e
iniziano a proporre l’ipotesi di un concilio. Clemente VII, che molto deve alla casa di Francia, prospetta la
creazione di un “regno di Adria” da conferire a Luigi d’Angiò, riservando al papato solamente Roma e il
Lazio (Sabina, Patrimonio, Campagna e Marittima) e destando preoccupazione soprattutto a Firenze.
Anni dopo, avendo rafforzato le proprie posizioni, il pontefice cambierà idea. Firenze, accarezzata da
entrambe le parti, si risolve a favore di Urbano e viene attaccata da Enguerrand de Coucy. La campagna
militare si volge a favore della repubblica, consentendole la definitiva conquista di Arezzo. Ma l’ago della
bilancia e il luogo di maggior tensione è rappresentato, da allora, dal regno di Napoli, dove lo scisma
assume rapidamente la forma di una contesa dinastica tra due rami della casa d’Angiò. La regina
Giovanna alterna il proprio sostegno ai due contendenti e alla fine dichiara proprio erede Luigi d’Angiò,
alleato di Clemente, mentre Urbano gli contrappone Carlo di Durazzo. Luigi, però, muore nel 1384.
La seconda fase (1385-1389) è quella di massima incertezza. Carlo di Durazzo entra in conflitto con
Urbano VI e il partito di coloro che sostengono quest’ultimo si lacera. Firenze è nel dubbio se passare
dalla parte di Clemente, ma poi desiste. Roma insorge sotto la guida di Francesco dei Prefetti di Vico,
senza però abbracciare il partito clementino. Urbano VI giunge a chiedere aiuto a Carlo VI di Francia e
ad allearsi con i baroni napoletani pur di allontanarli da Clemente VII. Carlo di Durazzo muore nel 1386 e
lascia erede il piccolo Ladislao, di cui papa Urbano esige la tutela. I Visconti di Milano si mantengono in
una posizione ambigua, come fanno anche altri signori italiani, i quali sfruttano l’una o l’altra obbedienza
per il loro immediato tornaconto: per esempio Antonio di Montefeltro passa brevemente all’obbedienza di
Clemente VII per forzare la mano a Urbano VI nella scelta del vescovo di Urbino. Di converso, i suoi
avversari Malatesta sono fedeli del papa avignonese.
Terza fase (1389-1392): morto Urbano VI (15 ott. 1389), viene eletto il napoletano Bonifacio IX (Pietro
Tomacelli), che porta avanti una strategia di ricompattamento della sua obbedienza. Egli riporta alla
normalità i rapporti con Napoli facendo incoronare il giovanissimo Ladislao. Il papa romano riesce a
garantirsi la fedeltà di tutti gli stati italiani, benché questi rimangano antagonisti l’uno contro l’altro, ed
evita di inserirsi in posizione netta nella contesa tra Firenze e Milano.
Quarta fase (1392-1394): dopo avere a lungo assunto una politica ambigua, Gian Galeazzo Visconti, che è
parente della casa reale di Francia e ha bisogno del sostegno di quel regno per portare avanti la sua
politica espansiva, passa dalla parte di Clemente VII, che però risponde tiepidamente.
Quinta fase (1394-1398): Clemente muore il 16 settembre 1394 e gli succede Benedetto XIII, Pedro de
Luna. Si verifica un rivolgimento delle alleanze: i Visconti, che ricevono il titolo di duca di Milano,
passano dalla parte imperiale mentre Firenze si allea con la Francia, con l’impegno di cooperare per
riportare l’unità della Chiesa, ma senza per questo disconoscere il papa romano. In generale, però, i
politici fiorentini tendono a volere il papa a Roma, mentre i milanesi sono tendenzialmente alleati dei
francesi.
Al principio del secolo XV – sesta fase – si ha un periodo di breve stabilità e di equilibrio tra i contendenti,
dovuto anche al rafforzamento di Bonifacio IX, che nel 1398 ottiene la definitiva sottomissione del
comune di Roma, e di Benedetto XIII, che rinsalda il proprio partito, cui nel 1406 aderisce anche la
repubblica di Genova. Tuttavia, il papa romano è visto sempre più come un fantoccio del re di Napoli:
anche Innocenzo VII, succeduto a Bonifacio IX nel 1404 e morto nel 1406, è originariamente un suddito
napoletano. Di converso, il papa avignonese è ritenuto sempre più un emissario del re di Francia.
Per questo si fa sempre più strada (settima fase) l’idea – promossa in Italia soprattutto da Firenze – di
accordarsi su un terzo candidato che permetta di governare autonomamente lo Stato della Chiesa
consentendo il ristabilirsi dell’equilibrio nella penisola. I romani fanno sapere di non volere né un
napoletano né un fiorentino. Viene eletto un veneziano, Angelo Correr – Gregorio XII (30 novembre
1406), proveniente da uno Stato che, benché in attrito per alcune questioni locali, ha sempre parteggiato
per il papa romano. Le interrotte trattative tra i due pontefici riprendono, ma sono ostacolate da Ladislao
re di Napoli.
Nel 1408-1409 – ottava fase – si apre la via conciliare, con un appello a entrambi i pontefici di rinunziare
alla tiara promosso soprattutto dalla Francia. Firenze desidera ancora un terzo papa che sia distante
dalla politica napoletana (poiché tale non si è rivelato Gregorio XII) e offre Pisa come luogo d’incontro tra
i cardinali delle due obbedienze. Il 23 marzo 1409 ha inizio il Concilio di Pisa, dove il 26 giugno viene
eletto Pietro Filargio – Alessandro V, proposto come figura di compromesso in quanto si tratta di un
francescano che ha insegnato a Parigi ed è stato arcivescovo di Milano. Luigi II d’Angiò accetta il nuovo
pontefice e così fanno Venezia e Firenze, mentre Ladislao di Durazzo, che in quel momento occupa Roma,
ne contesta la legittimità. Dopo una guerra e un tentativo di intesa generale favorito da Venezia (1411), il
nuovo papa Giovanni XXXIII, succeduto nel 1410 ad Alessandro V, alterna l’alleanza con i due
contendenti al trono di Napoli Luigi d’Angiò e Ladislao di Durazzo. Convoca un concilio a Roma (1413),
ma senza ottenere risultati.
Entra allora prepotentemente in scena (ultima fase) Sigismondo re di Boemia, che è avversario di
Ladislao e intenzionato a chiudere definitivamente la disputa, ormai giunta a un grado di estenuazione.
Viene dunque convocato un concilio a Costanza, in terra dell’Impero, fuori dall’Italia e dalla Francia.
Sigismondo è visto con ostilità da Firenze, Napoli e Venezia, mentre nello Stato pontificio si ha un
periodo di anarchia del quale si avvantaggia Braccio da Montone, che riesce a ritagliarsi un vasto
dominio personale. Il Concilio di Costanza è, per gli stati italiani, un tempo di attesa, durante il quale il
loro intervento diretto è limitato. Nella penisola tutti salutano con favore l’elezione di Martino V (1417),
papa di antica famiglia romana che mette fine allo scisma.
La presenza durevole dello scisma è ritenuta una delle concause del turbamento spirituale dell’epoca,
caratterizzata da forti attese escatologiche e apocalittiche, molto evidenti per esempio nelle predicazioni
in volgare. L’incertezza su chi sia il vero pontefice investe tutti gli ambienti sociali. La morte improvvisa
del giovane Gregorio XI a Roma viene da molti considerata una punizione divina per aver desiderato di
riportare – sacrilegamente – il papato lontano dalla città apostolica. Nel 1389, papa Urbano VI decide di
indire un giubileo per l’anno successivo (1390), ma Benedetto XIII lancia la scomunica sui pellegrini. Nel
1399-1400 si diffonde in tutta Italia il movimento dei Bianchi, pervaso di forti attese millenariste, e nel
1400 si celebra un giubileo spontaneo che segna la presenza a Roma di moltissimi pellegrini francesi. I
papi delle diverse obbedienze sono identificati, dagli avversari, come l’Anticristo (cfr. il commento ai
Vaticinia de summis pontificibus in Rusconi, 53-57), e le profezie escatologiche sono profondamente
collegate con la propaganda politica. In realtà, i contendenti hanno larghe risorse per operare: il papa
romano in quanto Roma è capitale dello Stato pontificio e luogo del pellegrinaggio ad limina; il papa
francese in quanto Avignone e il contado Venassino permangono il centro di tutta l’immensa rete che
amministra la fiscalità e i benefici ecclesiastici. Lo scisma si chiude con il consolidamento del pontefice in
quanto sovrano di uno Stato regionale italiano, ma altresì con l’indebolimento ormai definitivo del papato
inteso come istituzione universale. La stessa figura del pontefice perde il carattere “gregoriano” di
detentore della plenitudo potestatis: il 6 aprile 1415 il Concilio di Costanza decreta la superiorità del
concilio sul papa.
Benché gli storici abbiano dibattuto e dibattano ancora (soprattutto nella storiografia francese) sulla
legittimità delle rispettive posizioni, in realtà la Chiesa cattolica riconosce oggi come legittima la sola
successione romana cha va da Urbano VI a Martino V: tanto che nel secolo scorso Angelo Roncalli
assunse nuovamente il nome di Giovanni XXIII. Senza pretendere di valutare la dimensione teologica,
l’interpretazione storica non potrà mai uscire dall’impasse se, invece di continuare a parlare di volta in
volta di papi e di antipapi, non si persuaderà a considerare l’intera vicenda come una storia di papi
contrapposti.
Fonti e Bibl. essenziale
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patria», 67 (1944), 391-450; J. Favier, Les finances pontificales à l’époque du Grand Schisme d’Occident
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crisi della società, profezia ed Apocalisse in Italia al tempo del grande scisma d’Occidente (1378-1417),
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Urbano VI nei primi anni del Grande Scisma – alcune piste di ricerca, in A. Rigon – F. Veronese (edd.),
L’età dei processi. Inchieste e condanne tra politica e ideologia nel ’300. Atti del convegno di studio
svoltosi in occasione della XIX edizione del Premio internazionale Ascoli Piceno, Ascoli Piceno, Palazzo
dei Capitani, 30 novembre-1 dicembre 2007, Istituto storico italiano per il medio evo, Roma 2009, 247304; J. Rollo-Koster, Th. M. Izbickii (edd.), A Companion to the Great Western Schism (1378–1417), Brill,
Leiden-Boston 2009; A. Jamme, J. Chiffoleau (edd.), La Papauté et le Grand Schisme (Avignon / Rome).
Langages politiques, impacts institutionnels, ripostes sociales et culturelles, Actes du colloque
internationa, Avignon, 13-15 nov. 2008, Collection de l’École française de Rome, Rome in corso di stampa
[2013].
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A cura della Redazione
Cantiere Storico: “La Chiesa in Italia”
integrazioni, complementi, aggiornamenti alla Voce da parte di Autori diversi
Immagine: Basilica superiore di San Francesco d’Assisi, affresco di Cimabue, particolare: la scritta
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