I disturbi visuo-spaziali

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I disturbi visuo-spaziali
Barbara Sini*, Roberta Cavaglià**
*
Ricercatrice dell’Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Psicologia. Psicoterapeuta e analista SIPI. Specializzata in Psicopatologia dell’apprendimento
**
Psicologa, dottore di ricerca in psicologia, specializzata in Psicopatologia dell’Apprendimento
Cosa avviene nell’alunno quando si accosta a del materiale da apprendere?
Quali sono i meccanismi che sottendono le abilità deficitarie in alunni
con disturbo visuo-spaziale?
I disturbi visuo-spaziali sono piuttosto diffusi tra gli alunni, seppur non siano ancora stati classificati come disturbi specifici dell’apprendimento (DSA).
La motivazione principale è da ricercarsi nella complessa interpretazione della loro natura,
nonché nella loro influenza sugli apprendimenti. Prima di addentrarci nella descrizione
delle caratteristiche che presenta l’alunno con disturbo visuo-spaziale, è necessario
comprendere i meccanismi che sottendono le abilità deficitarie in questi alunni. Rifacendoci al modello “a cono rovesciato” proposto da Cornoldi (2007; Fig.1), le diverse abilità
vengono pensate come distribuite a livelli gerarchici differenti.
Figura 1. Modello delle componenti dell’intelligenza o “a cono rovesciato” (Cornoldi, 2007)
Nella sistematizzazione del suo modello, Cornoldi individua un livello di base, denominato “livello delle abilità semplici”, all’interno del quale possono essere distinti, tra gli altri, contenuti
di natura verbale e contenuti di natura visiva e spaziale.
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I processi di elaborazione delle informazioni visive e spaziali vengono appunto definiti processi visuo-spaziali e implicano tanto processi di percezione visiva e spaziale
pura e semplice, quanto di organizzazione, manipolazione e integrazione di tali componenti
in un tutt’uno strutturato che consente poi, di accedere a livelli di controllo delle informazioni
via via sempre più complesse.
Tornando ad una descrizione generale del modello, si passa dunque dalla percezione e manipolazione delle informazioni, ad esempio verbali o visuo-spaziali (livello delle abilità semplici),
all’acquisizione delle abilità strumentali della lettura, della scrittura e del calcolo (livello delle
abilità specifiche). Si procede poi nell’acquisizione di capacità di produzione scritta e di risoluzione dei problemi, come pure di comprensione (livello delle abilità generali), fino ad un livello di complessità molto elevato (livello di controllo massimo), in cui la distinzione tra contenuti
di natura diversa non è più influente, ma è possibile utilizzare risorse cognitive ed emotive per
valutare e riflettere sui propri processi di apprendimento, le proprie capacità e i propri stati
motivazionali rispetto all’apprendere nel suo complesso, aspetti che sono racchiusi in quella
che viene denominata metacognizione.
Il modello “a cono rovesciato”, dunque, è un’utile rappresentazione di quanto avviene
nell’alunno quando si accosta a del materiale da apprendere, in quanto tiene conto tanto della
maggiore o minore specificità del contenuto delle informazioni, quanto del livello di complessità implicato nelle diverse funzioni, quelle che nel modello vengono identificate con la
dimensione verticale.
Questo modello può essere applicato ai disturbi dell’apprendimento, e nel caso dei disturbi
visuo-spaziali, questi ultimi sembrerebbero essere trasversali a numerose abilità,
specifiche e generali, quali soprattutto la matematica, il disegno, ma anche la pianificazione e l’organizzazione percettiva degli stimoli, necessarie per l’esecuzione
di compiti più complessi quali il problem-solving, la scrittura spontanea e la comprensione.
Che cosa si intende per memoria di lavoro (ML)?
L’elaborazione di tutte le informazioni, sia a livello delle abilità semplici e specifiche sia a livello delle abilità generali sia, infine, a livello di massimo controllo, viene effettuata dalla memoria, nello specifico dalla memoria di lavoro. La memoria di lavoro, concetto introdotto per la
prima volta da Baddeley e Hitch (1974), è un magazzino di memoria a breve termine in grado
di mantenere ed elaborare le informazioni provenienti dall’esterno.
La ML si suddivide in Memoria di Lavoro Verbale (MLV) e Memoria di Lavoro
Visuo-Spaziale (MLVS).
In che modo le capacità visuo-spaziali sono implicate tanto nei processi
di apprendimento, quanto nei processi di adattamento all’ambiente?
Per meglio comprendere i processi di elaborazione delle informazioni di natura visiva e quelli
di natura spaziale può essere utile fare riferimento alla distinzione tra processi visivi e processi spaziali introdotta da Ungerleider e Mishkin (1982) nell’ambito della psicologia della percezione. Secondo questo modello possiamo differenziare un sistema-cosa (“what” system)
da un sistema-dove (“where” system). Il primo serve ad indentificare le caratteristiche
specifiche dell’oggetto percepito: colore, forma, dimensione e tessitura, il secondo permette
di coglierne le caratteristiche spaziali: distanza assoluta dell’oggetto da sé (rappresentazione
egocentirca) o relativa (rappresentazione allocentrica, posizione degli oggetti gli uni rispetto
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agli altri), posizione dell’oggetto nello spazio, relazioni tra dimensioni di diversi oggetti, e così
via. Tale distinzione è presente anche a livello neurobiologico in quanto è stato possibile identificare due differenti circuiti cerebrali che hanno entrambi origine nella corteccia visiva primaria e proiettano le informazioni mediante un fascio ventrale, attraverso la corteccia temporale, nel caso del sistema-cosa e mediante un fascio dorsale, attraverso la corteccia parietale
inferiore, nel caso del sistema-dove. Tale distinzione sembra inoltre discriminare tra processi
non solo di natura percettiva, ma anche rappresentazionale, vale a dire quando si producono
immagini mentali (Levine, Warach e Farah, 1985; Farah, 1988).
Questa distinzione conduce ad importanti e pratiche conoscenze sul modo in cui le capacità visuo-spaziali sono implicate, tanto nei processi di apprendimento, quanto nei
processi di adattamento all’ambiente: da un lato, la codifica e il processamento di informazioni visive sono fondamentali per pianificare il movimento (sistema visuo-motorio), ad
esempio per raggiungere ed afferrare gli oggetti, mentre le informazioni spaziali permettono
di costruire rappresentazioni e immagini mentali per comprendere le caratteristiche spaziali
dell’ambiente e potervisi orientare al suo interno (Milner e Goodale, 1995); dall’altro, ci sono
evidenze empiriche, che emergono da studi condotti su persone cieche congenite, che dimostrano come le rappresentazioni visuo-spaziali non sono necessariamente generate da percezioni visive, ma anche da altre sorgenti sensoriali, quali quelle uditive (si pensi alle descrizioni
verbali) o quelle tattili (Inton e Peterson, 1999; Cornoldi e Vecchi, 2000; Vecchi, Tinti et al., 2004;
Cavaglià, in corso di pubblicazione). Questi due aspetti possono essere importanti per comprendere come le difficoltà visuo-spaziali siano strettamente correlate alle abilità
motorie, quali la coordinazione oculo-manuale, la coordinazione motoria implicata
nella programmazione di azioni complesse o nella motricità fine (con conseguenti
disabilità nella grafia), o alle abilità di orientamento nell’ambiente necessarie per
adattarsi a situazioni nuove e sconosciute.
Per quanto riguarda, infine, gli aspetti di comprensione delle relazioni spaziali tra gli oggetti, se,
come abbiamo visto, la capacità di organizzazione degli stimoli visivi e spaziali e la costruzione
di immagini mentali non coincide perfettamente con i meccanismi di percezione visiva, allora il
sistema semantico acquista un ruolo rilevante (Cornoldi e Vecchi, 2003). Ciò spiegherebbe
la difficoltà dei soggetti con deficit visuo-spaziali a compiere inferenze per la comprensione di testi in cui sono riportate informazioni spaziali e visive, o in cui è necessario decodificare informazioni verbali di posizione e di orientamento (si vedano, ad
esempio, le difficoltà di apprendimento in primis della geometria e della geografia,
ma anche di materie in cui è richiesta la manipolazione mentale di informazioni spaziali: descrizione di ambienti, di luoghi, di spostamenti nello spazio ecc.).
Da questi brevi cenni sul funzionamento delle abilità visuo-spaziali è possibile, dunque, desumere come il semplice fatto di acquisire le sensazioni che provengono dalle stimolazioni visive
non è in grado di spiegare, da solo, il complesso processo di elaborazione delle informazioni
visuo-spaziali che è in realtà un fenomeno più complesso, costruttivo, di integrazione e di organizzazione delle diverse afferenze che provengono dal sistema percettivo visivo, ma non solo.
Cosa avviene nella Memoria di Lavoro Visuo-Spaziale (MLVS)?
Qual è il suo ruolo nell’apprendimento?
Tale processo di integrazione e organizzazione delle informazioni, come abbiamo accennato,
ha luogo in quella che viene denominata Memoria di Lavoro Visuo-Spaziale (MLVS)
che, ad un livello più elementare, provvede, secondo il modello sopra descritto (Logie, 1994),
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a mantenere le informazioni di natura visiva, nel deposito visivo (visual cache), per un lasso
di tempo sufficiente affinchè esse possano essere associate ed integrate alle informazioni di
natura spaziale mediante il copista interno (inner scribe), mentre, ad un livello più complesso,
la MLVS è in grado di compiere ulteriori elaborazioni del materiale visuo-spaziale, integrando sia le informazioni che provengono da altre fonti percettive, oltre a quelle visive (uditive
e tattili), sia quelle che sono contenute in un magazzino di lunga durata, vale a dire quelle
depositate nella memoria a lungo termine (per il riconoscimento di stimoli familiari o precedentemente acquisiti).
Il disturbo visuo-spaziale implica però anche difficoltà di manipolazione e integrazione delle informazioni in cui è maggiormente implicato il processo di memoria,
vale a dire quando lo stimolo non è più accessibile all’esplorazione ed è dunque
richiesta una sua rievocazione.
Gli studiosi che hanno esplorato la capacità di rievocazione immediata di stimoli visuo-spaziali, concordano nel suddividere la MLVS in attiva e passiva (Cornoldi e Vecchi, 2003).
Quando si parla di MLVS passiva si fa riferimento ad una sorta di magazzino temporaneo
delle informazioni visuo-spaziali, cui attingere per portare a termine compiti di rievocazione
o di riconoscimento puro e semplice, mentre quando si parla di MLVS attiva ci si riferisce
ad un vero e proprio processo di elaborazione di rappresentazioni mentali di stimoli che può
essere più o meno complesso a livello visivo o a livello spaziale. Gli strumenti che permettono
di valutare la MLVS consistono in prove in grado di misurare tanto le abilità della memoria
visiva passiva, quanto quelle della memoria visiva attiva. La memoria di lavoro spaziale, oltre
ad essere suddivisa in attiva e passiva, può essere ulteriormente distinta in sequenziale e
simultanea (Cornoldi, Vecchi, 2003).
Negli ultimi decenni numerosi studi sperimentali hanno dimostrato il ruolo della MLVS nei
processi di apprendimento, in particolare nell’apprendimento della matematica (per una
rassegna si veda Raghubar et al., 2010).
In questa materia, infatti, la MLVS fungerebbe da lavagna mentale, come un supporto alla
rappresentazione numerica; pensiamo ad esempio ai compiti aritmetici e all’incolonnamento
di numeri (D’Amico & Guarnera, 2005; DeStefano & LeFevre, 2004; McLean & Hitch, 1999).
Lo studio di Kyttälä e Lehto (2008) ha messo in evidenza il ruolo, nello specifico, della MLVS passiva nei processi di elaborazione numerica implicati tanto nel calcolo
mentale, quanto nella risoluzione dei problemi. Le abilità di MLVS, nel complesso, sono
in grado di predire le abilità di problem-solving già in età prescolare (Passolunghi & Mammarella, 2010) ed, in particolare, la capacità di risolvere i problemi non verbali (Rasmussen &
Bisanz, 2005). Una recente ricerca di Alloway e Passolunghi (2011) si è posta l’obiettivo di indagare la relazione tra le varie componenti della ML e le abilità matematiche in un gruppo di
bambini di sette anni e in uno di bambini di otto anni. Da questo studio emerge come i diversi
sistemi della ML siano diversamente coinvolti nelle competenze aritmetiche e matematiche a
seconda dell’età e quindi della scolarizzazione dei bambini. A sette anni, la ML Verbale sembra essere connessa unicamente alle abilità di ordinamento numerico, in cui l’alunno deve
ordinare cifre in ordine crescente e decrescente. A otto anni invece, sarebbe la MLVS ad avere
un ruolo preponderante nel predire la quasi totalità delle abilità matematiche e aritmetiche,
ovvero l’ordinamento di numeri, il calcolo scritto, il calcolo a mente, l’enumerazione, il dettato
di numeri.
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In sintesi, quali sono le difficoltà che uno studente con difficoltà visuo-spaziali
può incontrare a scuola?
Possiamo affermare che un bambino con difficoltà visuo-spaziali riscontra difficoltà nell’allineare i numeri in colonna e nella lettura direzionale delle operazioni,
commette errori di lettura dei segni matematici (ad esempio confonde l’orientamento
spaziale di e ), elimina o aggiunge passaggi nelle procedure, fa difficoltà nei resti
e nei riporti, può presentare disturbi di grafia e di memoria che hanno forti implicazioni nella risoluzione di calcoli e problemi (Cornoldi et al., 1997).
Gli ambiti maggiormente compromessi, oltre alla matematica, sono quelli che implicano le abilità grafiche: il disegno di un bambino con difficoltà visuo-spaziali appare
povero, spesso con rapporti spaziali e proporzioni non corrette e, nel complesso, non adeguato all’età; si evidenziano problematicità nella copia di figure e nella produzione spontanea.
In geometria si riscontra una rilevante difficoltà nel riconoscimento di forme e nella trasformazione delle figure, sia a livello di immagine mentale, che di realizzazione grafica. Anche
le difficoltà nella rappresentazione spaziale, in particolare la rilevazione delle posizioni degli
elementi nello spazio e, come abbiamo visto, i problemi di orientamento ad essa connessi,
possono compromettere la corretta acquisizione dei rapporti topologici, la capacità di assumere il proprio punto di vista mentre si osserva e l’abilità di rappresentarsi il luogo osservato.
È problematico, per questi allievi, l’apprendimento della geografia in quanto è richiesto l’utilizzo di mappe o la comprensione di simboli e rappresentazioni schematiche.
A questo proposito è molto importante, per l’insegnante, sapere che non è affatto
utile, per un bambino con difficoltà visuo-spaziali, la rappresentazione di concetti
mediante schemi, tabelle, diagrammi o ricorrere alle illustrazioni per comprendere meglio il contenuto di un testo.
La MLVS sembra inoltre avere un ruolo importante in altri domini. Seppure un alunno con
disturbo visuo-spaziale non abbia difficoltà strumentali nella lettura e nella scrittura (Cornoldi et al., 1997), può tuttavia subire un certo rallentamento nell’acquisizione di tali abilità, nei
primi anni di scolarizzazione, per poi riallinearsi con i compagni dalla terza elementare in poi
(Tressoldi e Vio, 2012). Ciò è dovuto alle difficoltà visuo-percettive che non consentono, talvolta, di individuare il corretto orientamento delle lettere (confusione tra b/d e p/q).
La difficoltà nell’organizzazione delle informazioni visuo-spaziali induce ad una scarsa capacità di pianificazione dello spazio del foglio, tanto nel disegnare, quanto nello scrivere. Non è
raro, ad esempio, che l’allievo con disturbi visuo-spaziali faccia fatica a copiare alla lavagna
per la mancata corrispondenza tra lo spazio della lavagna e lo spazio del foglio che, necessariamente, non coincidono. Tale difficoltà nel pianificare lo spazio si traduce anche in difficoltà
nell’organizzare il proprio lavoro scolastico mediante l’uso degli strumenti appropriati, nel
pianificare il lavoro e l’esecuzione progressiva del compito, come pure nel tenere in ordine le
proprie cose.
Questi alunni possono presentare, come abbiamo accennato, deficit percettivo-motori, che si
traducono nell’incapacità di coordinare azioni complesse, motricità fine e autoregolazione nei
comportamenti. Accade spesso, infatti, che i bambini con difficoltà visuo-spaziali presentino
comportamenti socio-emotivi inappropriati. Secondo gli studi di Rourke (1989), questi bambini incontrano difficoltà nel momento in cui devono interpretare gli elementi non verbali della
comunicazione, quali la gestualità, la mimica e le espressioni facciali.
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Indicazioni e suggerimenti pratici utili per gli studenti con disturbo visuo-spaziale
A questo proposito, riporteremo alcune tra le principali modalità e strategie di intervento
suggerite dal prezioso contributo di Cornoldi e collaboratori (Abilità Visuo-Spaziali, Cornoldi
et altri,1997), i quali hanno messo a punto un training dedicato alla promozione dello sviluppo
della memoria visuo-spaziale, e a cui si rimanda il lettore per poter consultare ed utilizzare con
gli alunni le schede proposte nel volume. In quest’opera si suggerisce, in generale, di aiutare
l’alunno a migliorare la codifica degli stimoli, a selezionare solamente le informazioni rilevanti, ad utilizzare le immagini mentali per lo svolgimento degli esercizi.
Per quanto concerne poi le specifiche aree, nel caso della matematica, si raccomanda di far pianificare i passaggi necessari a svolgere i calcoli, proporre esercizi che
aiutino l’alunno ad incolonnare correttamente i numeri, far leggere e riconoscere
rapidamente i numeri. Nel caso del disegno, si consiglia di far fare esercizi per esercitare la manualità e le abilità di base, nonché fornire materiali prima di svolgere
i disegni. La competenza socio-emotiva può essere ottimizzata aiutando l’alunno a
comunicare con la sola mimica, senza la parola, o proponendo il riconoscimento di
espressioni facciali delle emozioni.
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