La formazione dello stato da un punto di vista economico. Dai mercati nazionali all’economia di mercato Premessa 1.Autorità/Libertà. Il diritto pubblico come lo spazio di relazioni asimmetriche. Legge vs contratto, stato vs mercato. Le coppie oppositive che ancora oggi ci accompagnano 2.Uno schema di periodizzazione 3.La creazione di mercati nazionali, risultato economico dell’abbattimento della società premoderna 4.Lavoro e terra come merci. L’economia di mercato o mercato autoregolato. 5.Il doppio movimento 6.Rendere possibile il mercato e proteggersi dal mercato: lo sviluppo della funzione amministrativa e del ruolo statale di protezione sociale 7. Legami sociali e rappresentazione collettiva dei ruoli sessuali: la nascita del “breadwinner” Premessa All’inizio del nostro percorso intorno allo stato abbiamo detto che questa forma politica si individua intorno alla realizzazione di tre componenti principali: il monopolio della forza (che reagisce al pluralismo politico medievale); il monopolio della produzione del diritto (reazione al pluralismo giuridico medievale) e la formazione di mercati nazionali. In questa parte ci soffermeremo appunto su questo aspetto dei mercati, e vedremo che la formazione dello stato è anche vicenda correlata alle forme dell’economia. Prima però dobbiamo soffermarci un attimo su come la formazione dello stato, coi caratteri che abbiamo visto sin qui (concentrazione del potere su un territorio e su un popolo) abbia portato con sé l’istituzione di una serie di coppie oppositive, di differenze, intorno alle quali si individua il diritto pubblico, da una parte, e il diritto privato, dall’altra parte. 1.Autorità/Libertà. Il diritto pubblico come lo spazio di relazioni asimmetriche. Legge vs contratto, stato vs mercato. Le coppie oppositive che ancora oggi ci accompagnano Con la formazione dello stato prende forma una relazione tra il governo di una società e la società stessa che vede l’autorità (il potere di definire ciò che è giusto e vietato; il potere di punire…) concentrarsi nella sfera del governo. I membri della società, i cittadini, ormai posti fuori dai “corpi intermedi” medievali e premoderni che facevano schermo al potere di una autorità centrale, sono 1 così collocati, rispetto al potere, in una relazione asimmetrica, che li vede destinatari di comandi e precedetti obbligatori e cogenti che hanno la forza di imporsi loro indipendentemente dal loro consenso e dalla loro volontà, sono eteronomi, sono dettati da altri. Il diritto pubblico nasce come studio di queste relazioni asimmetriche. Opposto al diritto pubblico si costruisce lo spazio del diritto privato. Il diritto privato riguarda la sfera delle relazioni tra pari, delle relazioni paritetiche, perché delle relazioni tra privati, che sono supposti uguali tra di loro. Lo strumento del diritto privato è il contratto; il contratto è un accordo tra due parti (due persone) per regolare i loro affari e interessi in un modo volontario, cioè sulla base del reciproco consenso. Il diritto privato è lo spazio dell’autonomia, del darsi regole da sé. Concettualmente, un ordinamento giuridico poteva tenere insieme al proprio interno due sfere rette da principi così diversi assegnando al diritto pubblico una prevalenza sul diritto privato, una prevalenza che si esprimeva così: i privati possono dare vita a contratti, e i contratti possono avere forza obbligante per le parti (di tanto che poi, se una delle parti non adempie agli obblighi nascenti dal contratto, l’altra può chiamarla davanti a un giudice dello stato per farne accertare la responsabilità e soddisfare le proprie ragioni) in quanto la legge statale ciò riconosce, in quanto la legge riconosce l’esistenza dei contratti e assegna ai contratti quella certa efficacia. In questo ordine di idee, l’autonomia privata esiste all’interno di una specie di autorizzazione pubblica, il che ribadisce in qualche modo la superiorità, la generalità e l’universalità del contenitore pubblico (la legge) rispetto alle manifestazioni di autonomia privata. Questo si può vedere anche tenendo conto che esistono due figure generali di contratto: i contratti tipici e i contratti atipici. I contratti tipici sono quelli che sono previsti, descritti e sistematizzati nella legge (nel codice civile specialmente): il codice dà ad essi un nome, ne descrive il contenuto e l’oggetto, ne definisce gli effetti, cioè gli obblighi e i diritti che quel contratto fa sorgere per i contraenti, ne descrive la funzione economico-sociale, quello che quel contratto serve a fare. Esempio classico del contratto tipico è la compravendita: la legge regola la compravendita, dice che chi vende deve consegnare il bene e chi compra deve pagarlo … e si capisce cha la funzione economico-sociale di questo contratto è la circolazione economica dei beni. I contratti atipici sono quelli che non hanno già un nome e dei contenuti regolati dalla legge, ma che via via nascono dalla realtà degli scambi economici, i quali, anche in relazione alle nuove scoperte di beni e materiali, alle nuove forme di produzione, alle nuove tecnologie ecc. fanno sempre nascere nuove esigenze e nuove possibilità di utilizzo, commercializzazione di beni e prestazioni. La legge ammette che i privati possano regolare come vogliono i loro rapporti economici anche consentendo il ricorso a forme contrattuali atipiche, nuove, ma pone dei limiti: non 2 possono essere validi contratti (cioè contratti il cui mancato adempimento dia titolo a ricorrere al giudice) quelli che vanno contro a certi limiti, per esempio l’ordine pubblico, il buon costume, o il divieto di commercializzare parti del proprio corpo, che l’ordinamento definisce. La coppia oppositiva autorità (pubblico)/libertà (privato); eteronomia (pubblico)/autonomia (privato) può anche essere espressa come la forma oppositiva tra STATO, sfera dell’autorità, e MERCATO, sfera della libertà. E’ appunto sulle valenze, sul significato e sulla credibilità di questa coppia oppositiva che ci porta il terzo elemento della formazione dello stato, appunto il tema del rapporto tra stato ed economia. E’ un tema che ci permetterà anche di prendere contatto con la funzione amministrativa dello Stato, e, probabilmente, anche di darci ragione di tanti aspetti contradditori, per cui noi stessi possiamo sentire lo stato come un regolatore invadente, ma in qualche modo anche come un attore protettivo, pensiamo che debba fornire una certa protezione sociale alle persone. Molte ragioni di questa immagine complessa stanno appunto nel rapporto tra lo stato e il mercato. Di questo rapporto io adotterò principalmente l’interpretazione che è stata offerta da Karl Polanyi in un celebre e discusso volume, “La grande trasformazione”, apparso per la prima volta nel 1944, che mi pare fornisca importanti proposte e spunti di discussione. Alcune pagine estratte da questo libro sono parte integrante del programma d’esame per i frequentanti e sono reperibili in copisteria della facoltà. Altri passaggi di questo libro li citerò di seguito, con l’indicazione della pagina da cui sono estratti. 2.Uno schema di periodizzazione E’ bene tornare a darci alcune coordinate di periodizzazione temporale. Ho detto varie volte che la formazione politica “stato” nasce con le monarchie nazionali (le monarchie assolute) del XV XVI secolo e ha un suo apogeo, raggiunge la sua manifestazione classica piena, che poi viene tradotta nelle categorie del diritto pubblico, tra la fine dell’età moderna/inizio dell’età contemporanea (rivoluzione francese/rivoluzione industriale) e la prima guerra mondiale. Noi possiamo chiamare stato assoluto quello delle monarchie nazionali e stato liberale quello dalla rivoluzione francese alla prima guerra mondiale. Da un punto di vista economico le monarchie assolute corrispondono alla creazione dei mercati nazionali e all’ideologia del mercantilismo; lo stato liberale corrisponde invece alla realizzazione di una economia di mercato (o “mercato autoregolato”) basata sul principio che tutto è commerciabile, tutto può essere messo sul mercato come merce, e, in particolare, che sono merci non solo le cose prodotte per essere messe sul mercato (gli ortaggi, la frutta, i tessuti o le scarpe o le energie) ma anche il lavoro, la terra e la moneta. 3 La tesi che Polanyi suggerisce, e che anche noi adottiamo per discuterla, è che in questo processo che va dalla creazione dei mercati nazionali alla creazione dell’economia di mercato lo stato che ruolo ha giocato? Ha giocato un ruolo duplice: esso ha reso possibile il realizzarsi di queste condizioni dell’economia (il mercato nazionale; l’economia di mercato) ma al tempo stesso ha lottato contro le conseguenze socialmente distruttive che queste condizioni dell’economia hanno implicato. 3.La creazione di mercati nazionali, risultato economico dell’abbattimento della società premoderna Un mercato nazionale altro non è che un mercato - cioè uno spazio economico dove circolano e vengono scambiati beni – i cui confini corrispondono ai confini politici di uno stato, di una nazione. Creare un mercato nazionale significa rendere aperti gli scambi dentro i confini della nazione, significa che dentro quei confini le merci possono circolare, essere vendute o comprate senza incontrare limiti o ostacoli. Siccome lo stato è politicamente la creazione di una autorità centrale su un territorio e un popolo, risultante dall’abbattimento dei corpi intermedi medievali, e siccome i corpi intermedi medievali, città, campagna, piccolo regno esprimevano la propria autonomia politica e di governo anche nel regolare la propria economia, si comprende abbastanza facilmente come creare uno spazio politico nazionale abbia significato anche creare uno spazio economico nazionale. L’età feudale e moderna era caratterizzata da mercati locali, che erano le città e da mercati “di lunga distanza” dove avvenivano gli scambi tra mercanti “globali” i cui commerci si svolgevano tra parti lontanissime del mondo. Gli interessi della classe mercantile cozzavano contro quelli delle città commerciali. Queste ultime non potevano controllare l’operato dei mercanti, che non erano cittadini, non erano sottoposti alla loro giurisdizione. “ La città era un’organizzazione di cittadini, essi soltanto avevano il diritto di cittadinanza e il sistema poggiava sulla distinzione tra cittadini e non cittadini. Né i contadini della campagna né i mercanti di altre città erano naturalmente cittadini, ma, mentre l’influenza politica e militare della città rese possibile trattare con i contadini dei dintorni, rispetto ai mercanti stranieri tale autorità non poteva essere esercitata” (p.83). La possibilità che i mercanti mettessero sul mercato cittadino tipologie e quantità di merci e fissassero prezzi a piacer loro, senza il controllo della città, metteva a rischio l’equilibrio del mercato cittadino; merci prodotte in città potevano perdere acquirenti e valore; o la moneta di scambio non valere improvvisamente più niente davanti al prezzo esorbitante di un certo bene. Perciò le città medievali e premoderni si impegnarono in una potente politica protezionistica nei 4 confronti dei flussi mercantili. Divieti e dazi di importazioni, il divieto che un mercante vendesse al minuto le sue merci sul mercato cittadino esprimevano la resistenza delle città alla naturale esigenza del mercante di portare le sue merci sul mercato cittadino e su tutti i mercati. “Per gli approvvigionamenti alimentari, la regolamentazione implicava l’applicazione di metodi come la pubblicità obbligatoria delle transazioni e l’esclusione di mediatori per controllare il commercio ed evitare i prezzi troppo alti. Una tale regolamentazione, tuttavia, era efficace soltanto relativamente al commercio tra la città e i suoi dintorni immediati. Le spezie, il pesce salato o il vino dovevano essere trasportati da lontano e rientravano quindi nel dominio del mercante straniero e dei suoi metodi capitalistici di commercio all’ingrosso. Questo tipo di commercio sfuggiva ai regolamenti locali e tutto ciò che si poteva fare era di escluderlo per quanto possibile dal mercato locale. La completa proibizione della vendita al minuto da parte di mercanti stranieri aveva questa funzione. Tanto più aumentava il volume del commercio capitalistico all’ingrosso, tanto più rigorosamente veniva applicata la sua esclusione dai mercati locali per quanto riguardava le importazioni. “(p. 83). Emerge da qui che gli interessi del nascente stato e quelli dei capitalisti commercianti andarono a coincidenza, dato che le possibilità di espansione del commercio erano legate all’ampliamento dei mercati e cioè all’abbattimento delle barriere protezionistiche delle città che attraverso quelle barriere esprimevano il loro autogoverno politico e proteggevano il livello dei prezzi al proprio interno. “i cittadini ostacolavano con tutti i mezzi a loro disposizione l’inclusione della campagna nell’area del commercio e l’apertura di un commercio indiscriminato tra le città dello stesso paese. Fu questo sviluppo a forzare lo stato territoriale e a proporsi come strumento della ‘nazionalizzazione’ del mercato e come creatore del commercio interno. L’azione deliberata dello stato nei secoli quindicesimo e sedicesimo impose il sistema mercantile alle città e ai principati ancora ferocemente protezionistici. Il mercantilismo distrusse il consunto particolarismo del commercio locale e intermunicipale abbattendo le barriere che separavano questi due tipi di commercio non concorrenziale ed aprendo quindi la strada ad un commercio nazionale che ignorava sempre di più la distinzione tra città e campagna così come quella tra le varie città e province” (p. 85). Lo stato nazionale, quindi, si propose come strumento di nazionalizzazione del mercato e come creatore del commercio interno. Ciò fece sì che lo stato “mercantilista” funzionò anche in modo molto “interventista”, tanto che proprio la definizione di “stato interventista” è una di quelle con cui lo stato assoluto è passato alla storia. Si trattò di uno stato interventista sia nel senso di impegnato nello svolgimento di attività in negativo, nel senso del togliere, del rimuovere barriere, dazi, ostacoli alla circolazione dei beni e quindi di regolamentare nel senso di disporre il venir meno di istituti e regole che operassero nel senso della chiusura dei mercati; ma anche di interventi attivi o in positivo volti a introdurre regolamentazioni nuove o nuovi istituti la cui principale funzione era quella di evitare i rischi che apparvero subito coessenziali alla apertura concorrenziale dei mercati, il 5 rischio della formazione di monopoli che, governando l’offerta dei beni ne facessero i prezzi anche e soprattutto nel caso di beni essenziali (il pane) e di monopoli sottoposti oltretutto, date le oscillazioni del mercato, al rischio di scomparire, comportando squilibri generali. “Che la concorrenza debba condurre alla fine al monopolio era una verità già ben compresa a quel tempo ed inoltre il monopolio era temuto allora anche più che in tempi successivi perché esso riguardava spesso beni necessari alla sopravvivenza e diventava dunque facilmente un pericolo per la comunità” (p. 86) 4.Lavoro e terra come merci. L’economia di mercato o mercato autoregolato. I processi di apertura e di liberazione di mercato che hanno accompagnato la creazione dello stato furono comunque molto rallentati dal permanere di due condizioni che saranno abbattute solo tra le fine del ‘700 e la prima metà dell’’800 e cioè le restrizioni al commercio della terra e le restrizioni al commercio del lavoro. La possibilità di sottoporre questi “beni” alle regole dello scambio economico e alla forma del contratto ne segnò l’uscita dalla regolazioni tradizionali che vedevano sia il lavoro che la terra assolvere a funzioni sociali ed essere legati a organismi sociali (le grandi estensioni terriere non recintate che offrivano pascoli e legnatico per la collettività; il lavoro agricolo come contropartita del rapporto di protezione signorile; il lavoro artigianale organizzato nelle corporazioni che gestivano l’offerta, la definizione delle condizioni e delle retribuzioni), La riduzione al contratto delle forme di gestione della terra e del lavoro fu un portato della rivoluzione industriale, con la quale nasce l’economia di mercato. “Ma come potrà essere definita la rivoluzione [industriale] stessa? Qual era la sua caratteristica fondamentale? Era il sorgere delle città industriali, il formarsi degli slums, le lunghe ore lavorative dei bambini, i bassi salari di certe categorie di lavoratori, l’aumento progressivo della popolazione, oppure la concentrazione delle industrie? Noi sosteniamo che tutti questi cambiamenti erano meramente secondari rispetto ad un cambiamento fondamentale, l’istituzione dell’economia di mercato, ed inoltre che la natura di questa istituzione non può essere pienamente afferrata se non ci si rende conto dell’effetto della macchina su di una società commerciale. (…) Una volta che macchine e imponenti complessi venivano impiegati per la produzione in una società commerciale, l’idea di un mercato autoregolato doveva necessariamente prendere forma. (…) Poiché le macchine complesse sono costose esse non rendono a meno che non vengano prodotte grandi quantità di merci. Esse possono essere fatte funzionare senza che si abbia una perdita soltanto se lo sbocco delle merci è ragionevolmente assicurato e se la produzione non deve essere interrotta per mancanza delle materie prime necessarie ad alimentare le macchine. Per il commerciante questo significa che tutti i fattori implicati devono essere in vendita, cioè che essi debbono essere disponibili nelle quantità necessarie a chiunque sia disposto a pagarle. (…) Questa trasformazione implica un cambiamento nelle motivazioni dell’azione da parte dei membri della società: al motivo della sussistenza deve essere sostituito quello del guadagno. 6 Tutti le transazioni devono essere trasformate in transazioni monetari e… tutti i redditi devono derivare dalla vendita di qualcosa. Niente di meno di tutto questo è implicato dal semplice termine ‘sistema di mercato’. La trasformazione della precedente economia a questo sistema è così completa che assomiglia più alla metamorfosi del bruco che non a qualunque altra alterazione che possa essere espressa in termini di crescita e sviluppo continuo. Si confrontino ad esempio le attività di vendita del mercante-produttore con le sue attività di acquisto; le sue vendite riguardano soltanto prodotti elaborati e sia che egli riesca o meno a trovare gli acquirenti il tessuto sociale non ne viene necessariamente influenzato. Ma ciò che egli compra sono materie prime e lavoro, natura e uomo. La produzione per mezzo della macchina in una società commerciale implica in realtà una trasformazione che può essere paragonata a quella della sostanza umana e naturale della società, in merci. La conclusione per quanto macabra è inevitabile: niente di meno potrà bastare allo scopo: ovviamente lo sconvolgimento causato da questi strumenti spezzerà i rapporti dell’uomo e minaccerà di annientamento il suo ambiente naturale” (p. 55-56). Nelle pagine del testo di Polanyi che formano oggetto della dispensa da fotocopiare sono evidenziate le conseguenze sociali dell’economia di mercato, effetti “tremendi”, che si condensano nella rottura dei legami sociali: la liquidazione delle “organizzazioni non contrattuali della parentela, del vicinato, della professione e del credo”. 5.Il doppio movimento Nasce da qui secondo Polanyi il “doppio movimento” che descrive l’azione dello stato in rapporto al mercato. Da una parte, lo stato rende possibile l’instaurazione dell’economia di mercato, istituendo quei meccanismi che consentono la contrattualizzazione dei rapporti economici, dall’altra parte, in reazione all’azione distruttiva sui legami sociali che è propria del mercato, lo stato opera in controtendenza rispetto al mercato. Anche, ma non solo, sotto la spinta delle nuove classi sociali (il proletariato) in cui “gli sradicati urbani” avevano cercato di ricostituire una propria identità sociale, lo stato, già nel corso dell’’800, sviluppa politiche di intervento sociale che si rivolgono a rispondere, o ad arginare, le più vistose e perturbanti aberrazioni del mercato. Erano le “legislazioni restrittive” che per esempio, negli anni 1860 in Inghilterra, inclusero: - la considerazione come reato l’impiego nelle miniere di ragazzi sotto i dodici anni che non frequentassero le scuole o non fossero in grado di leggere e scrivere la concessione agli ispettori della Poor Law del potere di obbligare alla vaccinazione la autorizzazione ai comitati locali di fissare le tariffe dei mezzi di trasporto la dichiarazione di illegalità delle miniere con un unico pozzo di ventilazione nomina di ispettori per la salubrità o insalubrità degli alimenti legge per impedire la sofferenza e la morte di bambini messi a spazzare condutture troppo strette legge sulle malattie contagiose, ecc. 7 I sostenitori del libero mercato ne trassero argomenti per accusare lo stato di mettere intralci al libero mercato; e il fallimento globale dell’economia degli anni ’30 del secolo XX fu spesso attribuito anche al fatto che il libero mercato non aveva mai potuto funzionare veramente come libero a causa dei lacci protezionistici. Nacque allora una distinzione tra diritto pubblico, e stato, come sfera dell’autorità, e mercato come sfera della libertà che può apparire estremamente capziosa ma che ricorre ancora oggi e sulla quale faremo qualche osservazione più avanti. 6.Rendere possibile il mercato e proteggersi dal mercato: lo sviluppo della funzione amministrativa e del ruolo statale di protezione sociale Per ora possiamo fermarci a mettere a fuoco questa evidenza, che emerge anche dal tenore degli interventi protezionistici che ho esemplificativamente richiamato sopra: l’attività statale che da un lato rende possibile il mercato e dall’altra si impegna a “proteggere la società” dalla portata distruttiva dei meccanismi di quest’ultimo si compie nel prender forma di crescenti compiti amministrativi statali, cioè nella creazione di istituti, di procedure e di organi preposti all’assolvimento di compiti che lo stato considera propri nei confronti della collettività. L’idea moderna e contemporanea di stato non esisterebbe infatti senza la nozione di amministrazione. L’amministrazione sarà quell’apparato di persone, servizi, istituti e procedure orientati 1) alla crescente regolamentazione della vita economica (organizzazione dei mercati, dei loro spazi fisici, delle regole fiscali di prelievo della ricchezza); lo stato svolge inoltre una funzione di raccolta di informazioni (La statistica) e una funzione materiale di realizzazione di strutture materiali (opere pubbliche, strade, ferrovie) che sono entrambe precondizioni dell’esistenza del mercato, la prima perché offre quella conoscenza della società che fin da subito ( e oggi come oggi più che mai ) si rivela essenziale per il successo delle intraprese economiche e la seconda perché contribuisce a creare fisicamente lo spazio del mercato e la dimensione della nazione (aperta e comunicante al proprio interno); 2) alla predisposizione di servizi alla società che in precedenza erano forniti dalle strutture sociali del feudo o della città: si pensi al forno, al frantoio, ai lavatoi che nelle grandi proprietà terriere erano garantiti e mantenuti dal proprietario feudale come contropartita del lavoro agricolo della comunità; queste condizioni di salvaguardia dalla fame e dai bisogni essenziali di sostentamento non sono più reperibili nell’economia di mercato, ma allora l’intervento 8 sociale statale si dirige comunque a garantire un minimo di condizioni di esistenza (con forme che cambieranno nel tempo e nei luoghi: dai sussidi ai poveri all’obbligo di lavorare e di risiedere in ospizi pubblici, le Workhouses, per i lavoratori privi di una residenza fissa; i regolamenti sull’igiene, la creazione degli ospedali) e un minimo di chances in un mondo nel quale il destino di ciascuno non è più segnato dall’appartenenenza di ceto (istruzione obbligatoria minima). L’amministrazione ha dunque sempre assolto a funzioni sociali, per quanto modestissime potessero essere nell’’800 rispetto alla dimensione che quelle funzioni prenderanno nello stato “sociale” del secondo dopoguerra. Per iterazione-reazione con l’operare dell’economia di mercato lo stato e di meccanismi che lo stato stesso aveva innescato (abbattimento dei corpi intermedi e dei modi tradizionali di vivere) lo stato diventava la sede della attività di protezione sociale, e troverà in questo ruolo gran parte della sua legittimazione, del suo radicamento (del senso di affezione e di identificazione che i cittadini provano verso di esso). 7. Legami sociali e rappresentazione collettiva dei ruoli sessuali: la nascita del “breadwinner” La tesi di Polanyi sul doppio movimento (azione del mercato – reazione dello stato) è una tesi interessante che sicuramente ci aiuta a pensare la profondità, l’impatto sulle vite individuali e sui sistemi di rappresentazione collettiva di fenomeni come l’economia di mercato e lo stato. Tuttavia, c’è da chiedersi se la sua analisi non possa essere spinta anche da qualche altra parte rispetto a dove la conduce lui, c’è da chiedersi se una delle eredità che l’ottocento liberale ci ha lasciato non la troviamo anche nella costruzione dei ruoli sociali degli uomini e nelle donne, nella costruzione di “stereotipi” che assegnano l’uomo alla vita pubblica e al lavoro e la donna alla sfera privata della riproduzione e della cura. Quando Polanyi dice che il mercato tendeva a rompere le strutture non contrattuali cita per esempio la struttura della parentela, cioè di quell’insieme di relazioni di sangue uno dei cui compiti è di fornire una rete di assistenza ai suoi membri, oltre che di identificazione sociale. Ma probabilmente egli avrebbe anche potuto citare direttamente la struttura familiare, la famiglia, la prima rete di nessi e di protezione individuale. La costruzione dello stato, come abbiamo visto, avviene creando gli “individui”, i cittadini, che isolati e tolti dalle loro relazioni cetuali o territoriali divengono tutti “uguali davanti alla legge”. Una radicata e millenaria struttura che aveva visto riservare agli uomini la 9 appartenenza alla sfera pubblica rese automatico che il cittadino fosse pensato implicitamente come “uomo”, cioè come maschio; in altri termini, che le forme di partecipazione alla vita pubblica fossero, oltre che, inizialmente, riservate a certi ceti (diritto di voto riservato alla borghesia ricca e colta) comunque riservate agli uomini (il suffragio universale maschile viene sempre prima del suffragio universale femminile). Una altrettanto radicata e millenaria struttura faceva della famiglia un insieme di relazioni che metteva capo all’uomo, il pater familias, e ne faceva l’oggetto di una sua signoria privata. Principi come l’uguaglianza di tutti davanti alla legge non scalfirono affatto questo assetto. Il diritto tendeva a fermarsi davanti alle relazioni familiari, a ereditarle nel loro carattere verticale e patriarcale modellatosi nei millenni. Se l’abbattimento delle strutture cetuali creava l”individuo” come controparte dell’autorità statale, quest’ultima identificando nel maschio il suo individuo modello e non toccando la struttura patriarcale della famiglia lasciava ad ogni uomo una forte compensazione alla perdita di tutta una serie di nessi che egli aveva fino a quel momento potuto rintracciare nel villaggio, nella corporazione, nel legame di fedeltà feudale e via discorrendo: gli lasciava uno spazio di signoria privata, un insieme di potestà (la patria potestas) che lo stato non toccava. Una signoria privata espressa in forti messaggi simbolici (la trasmissione del cognome paterno, per esempio) e non privi di valenze economiche (la dipendenza femminile dall’economia maritale; l’istituto della dote). Dall’altra parte operava il mercato, distruttore di legami sociali perché portatore del messaggio che ogni individuo ha il suo lavoro almeno, che tutto il lavoro deve essere disponibile, che ogni struttura che disincentivi l’ingresso sul mercato (i sussidi pubblici, ma anche le reti familiari protettive non meno che gli istituti tradizionali di uso civico dei pascoli) è pericolosa per il mercato medesimo. Il mercato opera spregiudicatamente: mette al lavoro la forza lavoro, che può essere offerta da uomini, donne, bambini; per il mercato non faceva (e non fa) molta differenza, anzi, per pulire condutture avere dieci anni ed essere gracilini è un buon titolo da mettere nel curriculum (diremmo oggi). Lo stato compie il suo movimento di protezione della società, e precisamente protegge alcuni soggetti in modo speciale: i bambini e le donne. La protezione di questi soggetti dal mercato equivale spesso a una loro esclusione dal mercato, una loro non impiegabilità in certi settori o in certi lavori (classico per le donne il divieto di lavorare di notte). Bambini e donne vengono 10 assimilati nel parametro dei soggetti deboli che devono specialmente essere difesi dal mercato. Questo significava una introiezione del femminile come condizione “svantaggiata” e “bisognosa di tutela”, e la creazione di un reticolato di norme che, a ragione o a torto, rendevano per le donne più difficile che per gli uomini l’accesso al lavoro; rendeva più difficile per la donna che per l’uomo morire schiacciata sotto il torchio quanto guadagnarsi da vivere in modo indipendente, vale a dire contribuiva a tenere le donne a casa. Il doppio movimento di cui parla Polanyi (azione del mercato – difesa dello stato, due movimenti che hanno per teatro la società, i modi di essere, di vivere, di pensarsi, di stare in relazione) ha avuto come risultato la codificazione sociale delle differenze tra i sessi in termini di vantaggio/e svantaggio, di normalità/eccezione (il lavoratore è normalmente uomo, le prestazioni di lavoro si commisurano su quelle di cui è capace un uomo), e in questo modo ha protetto il “mondo degli uomini” dal rischio di perdere che cosa, di perdere la possibilità di appoggiarsi sulle donne, di avere almeno una donna al proprio servizio, perché il più disgraziato dei proletari questo aveva almeno: una donna al proprio servizio, quantomeno sessuale, che dipendeva da lui per il proprio mantenimento. Non è un caso che gli anni a partire dalla rivoluzione francese, gli anni che fondano quelle ideologie individualiste di cui la forma politica stato si farà portatrice e su cui funzionerà il mercato, sono anche gli anni della costruzione culturale della maternità, una costruzione culturale che insiste sulla specificità della donna nella dedizione alla cura e alla educazione dei figli. Quando l’”individuo” moderno e contemporaneo si forma, accanto a lui prende vita la famiglia costituita intorno alla donna, un doppio che si prende cura di lui. La lotta dello stato contro la portata distruttiva del mercato sarà anche protezione e riaffermazione della famiglia come legame sociale ultimo che funziona sulla esclusione delle donne dal mercato del lavoro. La famiglia fondata sul modello del maschio che porta lo stipendio (breadwinner) e della donna casalinga viene costruita dall’operare della rivoluzione industriale, del mercato, dell’individualismo politico, dello stato e rappresentata come il legame sociale ultimo e intoccabile. 11