UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA LAUREA IN SCIENZE MOTORIE ++ TESI DI LAUREA RUOLO DELL’ESERCIZIO FISICO NELLA PREVENZIONE PRIMARIA DEL DIABETE TIPO 2: ASPETTI MOLECOLARI RELATORE CH.MO PROF. FEDERICO SCHENA LAUREANDO GINETTO BOVO ANNO ACCADEMICO 2001-2002 Questo documento può essere liberamente distribuito a patto di non modificarlo in nessuna sua parte. Indirizzo internet: http://digilander.libero.it/bovoginetto INDICE Introduzione Aspetti generali a) Insulina ed esercizio b) Insulino resistenza Fattori prerecettoriali, recettoriali (genetici) e postrecettoriali nello sviluppo dell’insulino resistenza a) fattori prerecettoriali: TNF alfa, Adiponectina, Obesità, Leptina, Amilina, Bilancio Energetico, sFFA; b) fattori recettoriali (genetici); c) fattori postrecettoriali: 1) Recettori e trasduzione del segnale: brevi caratteristiche generali; 2) GLUT4; 3) Trasporto e metabolismo del glucosio nel muscolo scheletrico; 4) Trasduzione intracellulare del segnale insulinico; 5) Effetti dell’esercizio fisico nella trasduzione intracellulare dei segnali insulinici; 6) Sistemi non insulino dipendenti in grado di potenziare il trasporto e il metabolismo del glucosio nel muscolo scheletrico (AMP Kinasi e MAP Kinasi) ed effetti dell’esercizio fisico. Conclusioni A Primo Riccardo Bovo INTRODUZIONE (Zimmet 2001, Booth 2002) Nel libro “Oxford Textbook of Public Health” – Ed. 2002 – è scritto testualmente che l’inattività fisica (sedentarietà) è uno dei maggiori fattori di diffusione della malattia diabetica tipo 2 e dell’obesità. Attualmente il diabete tipo 2 colpisce dal 3 al 5% della popolazione sia nei paesi sviluppati che di quelli in via di sviluppo. E’ noto che, in genere, tra il manifestarsi della malattia e la sua diagnosi passano almeno 5 ÷ 10 anni. Per questo motivo si pensa che allo stato attuale una stessa percentuale di persone sarebbe affetta da malattia senza esserne a conoscenza. Inoltre, l’OMS informa che nei prossimi 10 anni l’incidenza del diabete tipo 2 è destinata a raddoppiare a causa dell’aumento percentuale dei soggetti in sovrappeso anche nei paesi in via di sviluppo. Secondo recenti risultati ottenuti dal Finnish Diabetes Prevention Study è stato dimostrato che il rischio di patologia diabetica può essere ridotto di ben il 58% mediante programmi mirati che includano anche l’esercizio fisico. La malattia è conseguente a fattori genetici con più o meno spiccate componenti ambientali ed è spesso caratterizzata da una concentrazione plasmatica media di insulina essenzialmente normale o anche elevata. La malattia si manifesta nella popolazione dopo i 30 anni. Due sono, fino ad oggi, i principali fattori chiave responsabili conosciuti: l’insulino resistenza e l’obesità. Su queste due principali cause di diabete tipo 2 l’esercizio fisico produce degli effetti positivi importanti (riduzione della massa adiposa, aumentata sensibilità all’insulina, ecc.). Nonostante il contributo in senso patologico del fattore genetico, il diabete tipo 2 può essere ampiamente prevenuto. Il genoma umano è stato evolutivamente programmato per l’esercizio fisico. L’inattività fisica, caratteristica dello stile di vita moderno, è ampiamente responsabile della diffusione di questo tipo di malattia. Il mancato movimento fisiologico interagisce direttamente con il genoma determinando l’attivazione di fattori patologici iniziali che conducono progressivamente verso la malattia conclamata. E’ stimato che entro l’anno 2020 ci saranno nel mondo approssimativamente circa 250 milioni di persone affette da diabete tipo 2. L’insulina è un ormone fondamentale per regolare la quantità di zuccheri nel sangue dopo i pasti e a digiuno. Le cellule dei pazienti diabetici sono incapaci di assorbire il glucosio, che rimane nel sangue raggiungendo livelli pericolosi per la salute in quanto può contribuire a glicolisare irreversibilmente alcune importanti proteine. Il diabete determina l’incapacità dell’organismo di ossidare il glucosio. Conseguentemente sia l’insulina che il glucosio si accumulano nel sangue. I valori glicemici normali o patologici a digiuno sono i seguenti: 70÷115 mg/dl nei soggetti normali; 115÷140 mg/dl nei soggetti con ridotta tolleranza agli idrati di carbonio; 140 mg/dl nei pazienti diabetici. Secondo un articolo apparso nella rivista “Nature” del 13 dicembre 2001 i dati relativi alla diffusione nel mondo della malattia diabetica e le relative previsioni sono i seguenti: - anno 2000: 151 milioni (n. di persone con diabete) - anno 2010: 221 milioni (n. di persone con diabete) incremento 46%. ASPETTI GENERALI Insulina ed esercizio fisico (Marliss 2002, Zierath 2000 Shulman 2002) L’insulina determina il metabolismo generale e l’omeostasi energetica mediante l’interazione centrale e periferica con i recettori insulinici la cui attivazione risulta coinvolta nella regolazione della sensibilità. Generalmente la concentrazione dell’insulina plasmatica diminuisce in corso di esercizio fisico sia per effetto di una aumenta eliminazione epatica sia a causa di una ridotta secrezione mediata dalla stimolazione dei recettori alfa adrenergici cui si lega l’andrenalina a livello delle cellule beta dell’insula pancreatica. In vitro è stato dimostrato che la captazione del glucosio durante la contrazione avviene mediante un meccanismo insulino indipendente e che l’insulina e la contrazione muscolare hanno effetti additivi sul trasporto del glucosio. Bassi livelli di glicogeno limitano la prestazione sportiva per cui diventa straordinariamente importante la resintesi di questo carboidrato dopo l’esercizio fisico. Se nel periodo immediatamente seguente la seduta di attività fisica non vengono introdotti i carboidrati la ricostituzione delle scorte di glicogeno è non solo rallentata ma anche incompleta. I possibili meccanismi coinvolti nella migliorata sensibilità dei recettori insulinici dopo esercizio fisico potrebbero essere i seguenti. In corso di attità fisica si determina, per effetto degli ormoni catabolici (glucagone, catecolamine, cortisolo, GH), un aumento dell’attività glicogenolitica ed una concomitante riduzione dell’attività glicogenosintetica. Conseguentemente dopo esercizio fisico, il basso livello di glicogeno favorisce in ultima analisi il miglioramento della sensibilità dei recettori insulinici in quanto si determina un aumento della captazione del glucosio, necessario per la sintesi del glicogeno, e un aumento dell’attività dell’enzima glicogenosintetasi (GS) nella sua forma attiva defosforilata. A riposo, gli elevati livelli di glicogeno esercitano un’azione inibitoria sulla traslocazione delle proteine trasportatrici del glucosio (GLUT4) e sulla glicogenosintetasi sia direttamente che indirettamente dalle molecole trasduttrici del segnale insulinico. Dopo esercizio si verifica esattamente la situazione opposta in cui bassi livelli di glicogeno stimolano la traslocazione delle GLUT4, la captazione del glucosio, la trasformazione dell’UDP-glucosio in glicogeno. Quest’ultima situazione si accompagna transitoriamente ad una inevitabile aumentata sensibilità dei recettori insulinici. L’enzima glicogenosintetasi (GS) catalizza la reazione dell’UDP-glucosio in glicogeno nel muscolo scheletrico. In relazione alla tappa riguardante il trasporto di glucosio, l’attività dell’enzima GS costituisce il fattore limitante nella conversione del glucosio in glicogeno. La GS è regolata sia da fattori allosterici (principalmente glucosio 6-fosfato) sia da modificazioni covalenti mediante fosforilazione e defosforilazione reversibili che determinano rispettivamente l’inattivazione o l’attivazione della GS. L’attivazione dell’enzima GS avviene attraverso l’inattivazione della kinasi che agisce sulla GS stessa, ma anche mediante l’attivazione delle GS fosfatasi che risulta principalmente coinvolte nelle proteine fosfatasi I (PPI). L’insulina e l’esercizio fisico sono due importanti regolatori fisiologici di attività della GS, nonostante i sottostanti meccanismi non siano stati completamente compresi. La stimolazione insulinica dell’enzima GS molto probabilmente coinvolge la deattivazione della GSK3 e l’attivazione del PPI. Si è pensato per qualche tempo che il glicogeno muscolare fosse un potente inibitore della GS, ma è stato evidenziato anche che alti livelli di glicogeno possono ridurre la potenziale attività dell’insulina di attivazione della GS. Molto recentemente, lo sviluppo di anticorpi specifici in grado di riconoscere la fosforilazione dei siti specifici della GS hanno aggiunto importanti informazioni riguardanti l’attività di questo enzima sia nel diabete tipo 2 che negli effetti attivati dall’esercizio fisico. L’insulina non stimola la captazione del glucosio nel fegato, ma inibisce la glicogenolisi e la gluconeogenesi, e stimola la glicogenosintesi regolando in questo modo il livello di glicemia a digiuno. I tessuti cosiddetti “insulino indipendenti” quali il cervello e le cellule beta pancreatiche, possono essere importanti nell’omeostasi del glucosio. Insulino resistenza (Shulman 2000, Chakravarthy 2002, Kahn 2000) L’insulino resistenza consiste in una ridotta risposta dei tessuti periferici (adiposo, epatico, muscolare) all’azione dell’insulina che si lega con una minore affinità al suo specifico recettore. Il muscolo scheletrico è stato indicato come il sito più importante di resistenza all’insulina nel diabete tipo 2. I livelli di GLUT4 aumentano in seguito all’allenamento atletico sia nei soggetti normali che nei pazienti NIDDM che vanno incontro ad un aumento delle sensibilità del muscolo all’insulina. L’insulino resistenza è uno dei fattori chiave responsabile dell’iperglicemia ed è la conseguenza di numerose anormalità metaboliche associate alle malattie cardiovascolari (sindrome da insulino resistenza anche in assenza di diabete conclamato). I meccanismi coinvolti nell’insulino resistenza sono multifattoriali e solo parzialmente compresi. Fra questi risulta particolarmente importante l’aumentata disponibilità degli acidi grassi (sFFA) per i danni da questi provocati a livello del sistema muscolare. Il ruolo degli sFFA nel diabete tipo 2 è particolarmente evidente nei soggetti obesi che hanno diverse anormalità del metabolismo lipidico. L’esercizio fisico tramite l’aumentata captazione del glucosio ematico può contribuire nei soggetti con insulino resistenza a migliorare l’omeostasi glicemica. L’insulino resistenza è un aspetto fondamentale nell’eziologia del diabete tipo 2 ed è anche legata, tramite meccanismi diversi all’ipertensione, all’iperlipemia, all’aterosclerosi, alla policisti dell’ovaio. L’insulino resistenza nell’obesità è manifestata da un diminuito trasporto e metabolismo del glucosio negli adipociti o nel muscolo e da una peggiorata soppressione della produzione epatica di glucosio. Anche se le cause primarie del diabete tipo 2 sono tuttora sconosciute, l’insulino resistenza è comunque uno dei principali fattori nello sviluppo di questa malattia. L’insulino resistenza non è più la causa ma è l’effetto (es. di un deficit della sintesi del glicogeno a livello muscolare) e consiste essenzialmente in un difetto nella trasduzione del segnale in un punto della catena che va dal recettore fino alla parte terminale della sequenza di reazioni che determina i vari effetti metabolici. La combinazione di parecchi effetti associati risultano in un debole segnale di trasduzione, insufficiente a generare una risposta totale di assunzione di glucosio. Il sistema muscolare è il principale tessuto responsabile dell’insulino resistenza . Il muscolo scheletrico è stato indicato come il sito più importante di resistenza all’insulina, (fibre rosse o aerobiche in particolare) nel diabete tipo 2. Fra i fattori che contribuiscono all’insulino resistenza vi è anche il cambiamento energetico inteso come rapporto fra ATP ed il prodotto ADP libero e fosfato inorganico: APT/ADP libero + Pi libero. Recenti dati ottenuti da vari gruppi di pazienti hanno evidenziato un nuovo meccanismo di insulino resistenza: un diminuito effetto dell’insulina nello stimolo del flusso ematico. Sono state evidenziate alcune ricerche in cui il meccanismo opposto può elevare l’insulino sensibilità negli individui allenati aerobicamente. Alcuni ricercatori hanno dimostrato l’esistenza di recettori insulinici nell’endotelio vascolare dei muscoli scheletrici. Questo può significare che la maggior densità dei capillari nei muscoli allenati può migliorare l’azione insulinica nei soggetti attivi che, ovviamente, hanno una frazione significativa di fibre lente (ossidative) nei muscoli sottoposti ad esercizio. Alcuni studi hanno dimostrato che questo profilo si accompagna a uno stato di migliore insulino sensibilità. FATTORI PRERECETTORIALI, RECETTORIALI (GENETICI) E POSTRECETTORIALI (INTRACELLULARI) NELLO SVILUPPO DELL’ INSULINO RESISTENZA (Zierath 2000) Lo stato di insulina resistenza si determina da una profonda disregolazione delle azioni metaboliche intracellulari dell’insulina nei tessuti insulino dipendenti (stimolazione della glicogenosintesi, lipogenesi e proteino sintesi, inibizione della lipolisi, glicogenolisi, proteolisi, ecc). L’insulino resistenza è una condizione tipica nello sviluppo del diabete tipo 2, così come nell’obesità e in altre condizioni patologiche. In essa possiamo distinguere fattori prerecettoriali, recettoriali (difetti genetici) e postrecettoriali (intracellulari) in grado di determinare lo sviluppo di insulino sensibilità. L’insulino resistenza nell’obesità e nel diabete tipo 2 è caratterizzata da difetti a molti livelli in cui è possibile constatare una diminuita concentrazione dei recettori insulinici e della loro rispettiva attività chinasica, una diminuita concentrazione e fosforilazione degli IRSs, una diminuzione dell’attività della PI 3-Kinasi, una diminuita traslocazione delle proteine GLUT4 coinvolte nel trasporto del glucosio, una diminuita attività degli enzimi intracellulari, ecc. Nei soggetti allenati si osserva una riduzione della secrezione di insulina che è espressione di una maggiore sensibilità dei tessuti all’ormone e quindi, in termini pratici significa minor probabilità di sviluppare uno stato di insulino resistenza. Fattori prerecettoriali TNF alfa (Steensberg 2001, Saltiel 2001) Serve a limitare l’espansione della massa adiposa. E’ prodotto dagli adipociti e dalle cellule infiammatorie e svolge un ruolo importante nell’insorgenza dell’insulino resistenza e dell’aterogenesi. La sua produzione è inibita dall’interleukina 6 (IL-6), che è una citochina prodotta in corso di esercizio dai muscoli coinvolti nella contrazione in quantità correlata all’intensità e alla durata dello sforzo e dal livello endomuscolare di glicogeno. Bassi livelli di glicogeno favoriscono la produzione di IL-6 che ha diversi effetti: a livello del tessuto adiposo favorisce la lipolisi dei trigliceridi e inibisce la produzione di TNF alfa che ha un ruolo patogenetico nell’insorgenza dello stato di insulino resistenza e a livello epatico favorisce la glicogenolisi. La sintesi di TNF alfa è aumentata negli adipociti dei soggetti obesi ed è il responsabile della fosforilazione della serina degli IRS-1, determinando in questo modo una riduzione dell’attività dei recettori tirosina-chinasici e quindi dello stato di insulino resistenza. Nei roditori, reagenti anti TNF alfa migliorano significativamente l’insulino resistenza; nell’uomo alcuni limitati studi hanno invece documentato che questo meccanismo non produce nessun o scarsi effetti sull’insulino resistenza. Il TNF alfa aumenta inoltre la degradazione delle sfingomieline la cui concentrazione risulta correlata positivamente con l’obesità. Adiponectina (Acrp30) (Berg 2001, Saltiel 2001) Sono stati identificati un cospicuo numero di fattori coinvolti nel metabolismo energetico che sono espressi esclusivamente o in forma predominante e rilasciati dal tessuto adiposo. L’Acrp30 è uno di questi fattori che risulta coinvolto nel controllo sistemico dell’insulino sensibilità ed è costituito da una proteina di 247 aminoacidi. Recentemente è stato osservato che elevando farmacologicamente i livelli di Acrp30 si determina un transitorio abbassamento dei livelli glicemici, mentre nei soggetti obesi e diabetici di tipo 2 sono stati evidenziati bassi livelli plasmatici di adiponectina indicando in questo modo una correlazione con l’insulino resistenza. Questo effetto viene principalmente ottenuto attraverso una riduzione del rilascio del glucosio da parte del fegato in conseguenza di una migliorata insulino sensibilità. In laboratorio sono stati prodotti modelli che si basano su roditori che esprimono elevati livelli di Acrp30 tre o quattro volte superiori ai livelli normali che risultano caratterizzati da una notevole sensibilità dei recettori insulinici, da un diminuito livello plasmatico degli FFAs, da una ridotta quantità di trigliceridi nei muscoli e nel fegato e da una aumentata espressione dei geni coinvolti nell’ossidazione degli acidi grassi e nella spesa energetica. Questi tipo di studi dimostrano il coinvolgimento diretto e indiretto dell’Acrp30 nel metabolismo dei carboidrati e dei lipidi e quindi sulla sensibilità insulinica. Per quanta riguarda gli effetti dell’esercizio fisico non accompagnato a riduzione di peso non sono state osservate modificazioni significative dei livelli plasmatici di adiponectina in contraddizione con un paio di abstracts presentati a San Francisco (USA) nella Diabetes Conference 2002 in cui invece si mette in evidenza che l’attività fisica determina un incremento di questa proteina. Obesità (Khan 2000, Booth 2002) Un soggetto viene considerato obeso quanto il suo peso corporeo supera del 20% rispetto a quello raccomandato per una data altezza. L’obesità consiste in una espansione della massa adiposa oltre i limiti fisiologici causando, molto spesso (80% dei casi), uno stato di insulino resistenza i cui meccanismi non sono ancora ben chiari. La prevalenza di diabete è circa tre volte maggiore nelle persone obese. L’insulino resistenza è la conseguente iperinsulinemia, oltre ad essere causate dall’obesità, possono contribuire esse stesse allo sviluppo eccessivo della massa adiposa. La funzione degli adipociti può essere considerata anche come ghiandola endocrina, con ampi effetti in altri organi incluso il cervello. Il rilascio di una notevole quantità di molecole che includono ormoni quali la leptina, le citochine come il TNF alfa, e i substrati quali gli FFA permettono al tessuto adiposo di avere un ruolo fondamentale nel bilancio energetico dell’organismo e nell’omeostasi glucidica. Le sfingomieline (ceramide) risultano positivamente correlate all’obesità. L’adiponectina (acrp30) è un fattore rilasciato dal tessuto adiposo che ha un’importante funzione nel metabolismo energetico ed è coinvolta nel controllo della sensibilità sistemica dell’insulina. Un aumento farmacologico di questo fattore ha dimostrato un ridotto livello glicemico da diminuito rilascio epatico di glucosio in conseguenza della migliorata sensibilità all’insulina. L’ossidazione degli FFA non solo provvede a fornire energia ai tessuti, ma implica anche una ridotta utilizzazione del glucosio. Questo effetto regolatore degli FFA è conosciuto come ciclo glucosioacidi grassi. L’obesità può essere parzialmente spiegata come iperfagia e ridotta attività fisica che determinano un bilancio energetico positivo con deposito di energia chimica sotto forma di trigliceridi nell’organismo. Il tessuto adiposo è l’organo più importante per il deposito dei lipidi. Miglioramenti metabolici associati ad una riduzione della massa adiposa includono dei cambiamenti riguardanti il metabolismo dei carboidrati e dei lipidi che possono ridurre il rischio di sviluppare malattie quali il diabete e le patologie cardiovascolari generalmente associate ad una obesità distrettuale localizza a livello dell’addome (obesità viscerale). L’obesità viscerale in particolare interagisce con l’inattività fisica incrementando in questo modo il rischio di malattia coronarica e di diabete tipo 2, che è un altro fattore di rischio indipendente di malattia delle coronarie. Secondo alcuni recenti studi, l’obesità si associa ad un peggioramento del sistema di trasferimento interno del segnale insulinico determinando nell’adipocita una diminuita attività del trasduttore IRS-1, che contribuisce ovviamente allo sviluppo di insulino resistenza. Da sottolineare un paradosso molto importante. Sia l’eccesso che l’assenza di tessuto adiposo causano insulino resistenza mettendo in evidenza la complessità di questa correlazione. Il tessuto adiposo, considerato oggi come un organo endocrino, svolge funzioni complesse (vedi es. secrezione della leptina ed effetti multipli da essa prodotti, ecc.). Conoscenze scientifiche prodotte nell’ultimo decennio hanno evidenziato importanti aspetti biologici degli adipociti che come ghiandola endocrina finiscono per produrre i loro effetti in altri organi, in particolare a livello del sistema nervoso centrale. Il rilascio di una varietà di sostanze quali la leptina, il TNF alfa e substrati quali gli FFAs permettono al tessuto adiposo di svolgere un ruolo importante nell’omeostasi del glucosio e nel bilancio energetico del soggetto. Nella opulenta società moderna, l’obesità ha raggiunto proporzioni epidemiche per cui si rende necessario, ai fini della prevenzione delle patologie ad essa associate, spostare l’equazione relativa all’assunzione ed utilizzazione energetica verso una ridotta scorta lipidica offrendo in questo una grande opportunità di modificare positivamente il decorso della patologia umana. In corso di esercizio fisico, specialmente di bassa o moderata intensità il tessuto adiposo provvede a fornire una parte considerevole di substrati al muscolo scheletrico (30÷90%). Durante l’attività fisica di moderata intensità la lipolisi nel tessuto adiposo aumenta di due o tre volte rispetto al valore basale. Inoltre, la percentuale di acidi grassi riesterificati nel tessuto adiposo diminuisce e conseguentemente un’aumentata quantità di acidi grassi vengono forniti ai muscoli in attività. I principali stimolatori della lipolisi in corso di esercizio fisico sono costituiti da un aumento dell’attività del sistema nervoso simpatico adrenergico e da una diminuzione della concentrazione di insulina. Alcuni studi inoltre dimostrano che la sensibilità del tessuto adiposo alla risposta adrenergica aumenta nel corso di una singola seduta di esercizio fisico. I soggetti allenati, in corso di esercizio, ossidano una maggiore quantità di acidi grassi rispetti ai soggetti sedentari. Gli effetti dell’allenamento sull’attività dell’enzima lipasi ormono sensibile (HSL), che costituisce il fattore limitante nella lipolisi, ha effetti contrastanti in quanto sono stati evidenziati aspetti che determinano un aumento e una diminuzione di attività. Studi scientifici documentano che la lipolisi nel tessuto adiposo da soppressione insulinica è più sensibile nei soggetti allenati rispetto ai sedentari. Gli FFAs sono prodotti durante la lipolisi dei trigliceridi in molti tessuti e fino a tempi recenti non è stato possibile valutare direttamente in corso di esercizio fisico il ruolo relativo dei vari depositi. La quantità delle scorte del tessuto adiposo intraddominale si correla direttamente con l’insulino resistenza ed è considerata un fattore importante nello sviluppo del diabete tipo 2, dell’iperlipemia e dell’ipertensione arteriosa. L’ossidazione generale degli acidi grassi aumenta in risposta all’esercizio e raggiunge il suo picco massimo a circa il 60% della VO2 max. Inoltre, l’ossidazione lipidica aumenta con la durata dell’esercizio caratterizzato da moderata intensità. L’esercizio incrementa lipolisi sia nel tessuto adiposo sia nei muscoli coinvolti nella contrazione, mentre gli FFA plasmatici derivanti dai trigliceridi contribuiscono nel periodo postprandiale solo molto parzialmente al metabolismo dell’esercizio. Leptina (Zaccaria 2002; Gabriely 2002, Nindl 2002, Saltiel 2001) La concentrazione serica di leptina è ridotta in presenza di un bilancio energetico negativo. La leptina è una proteina scoperta nel 1994 che è espressa e prodotta dal tessuto adiposo ed ha la funzione di controllare l’assunzione degli alimenti mediante l’attivazione di segnali di sazietà a livello ipotalamico (neuropeptide Y), che è il centro di controllo dell’appetito nel cervello. In condizione di equilibrio energetico la leptina è considerata un buon indice della quantità di grasso depositata nell’organismo, mentre in condizioni di sbilancio la leptina non può più essere considerata un marker fedele della quantità di energia chimica di tipo lipidico presente in un determinato soggetto. Infatti, nel digiuno prolungato caratterizzato da un bilancio energetico negativo la concentrazione di leptina è diminuita, mentre nella sovralimentazione in cui si determina un bilancio energetico positivo il livello di leptina è aumentato. Solo l’esercizio fisico estremo che determina un elevato dispendio energetico è in grado di ridurre la concentrazione di leptina. I risultati contradditori sulle risposte della leptina ai vari tipi di esercizi potrebbero essere spiegati sulla base delle differenti procedure sperimentali (es. protocolli di esercizi, dieta prima e durante esercizio fisico, ritmi circadiani). Il digiuno prolungato provoca una caduta della leptina a partire dalla 12a ora. La somministrazione cronica di leptina fa diminuire l’assunzione di cibo determinando conseguentemente una riduzione della massa adiposa in particolare a livello viscerale, con un parallelo significativo miglioramento dell’azione dell’insulina a livello epatico e periferico. La leptina dal p.v. molecolare è un peptide di 16-K prodotto dagli adipociti che può modulare molte alterazioni metaboliche associate ai processi di invecchiamento (obesità, cambiamento della distribuzione adiposa, insulino resistenza). La somministrazione cronica di leptina fa diluire l’assunzione cibo e induce una riduzione della massa adiposa a livello viscerale con un parallelo significativo incremento dell’azione epatica e periferica dell’insulina. Le azioni principali della leptina riguardano il controllo dell’assunzione alimentare, la massa adiposa e la sua espressione genica a livello degli adipociti. La leptina comunica lo stato delle scorte energetiche dell’organismo al SNC. L’invecchiamento e l’obesità determinano uno stato di leptino resistenza con conseguente aumento del livello plasmatico della leptina stessa. I soggetti obesi presentano alte concentrazioni di leptina nel tentativo di ridurre l’introduzione calorica alimentare e di aumentare la termogenesi, entrambi meccanismi fisiologici di rimozione dell’energia chimica. La leptina funziona non solo come segnale di sazietà e di soppressione dell’appetito, ma anche tramite i suoi recettori presenti nelle cellule e nei vasi di recente formazione interviene nel modulare l’attività immunologia ed emodinamica. Con l’invecchiamento aumentano i livelli plasmatici di leptina che determinano uno stato di resistenza all’azione della stessa leptina e possono spiegare perché le persone anziane presentano un’obesità di tipo addominale accompagnata spesso da insulino resistenza. Amilina (Kraemer 2002) L’amilina è un ormone polipeptidico di 37 aminoacidi cosecreto con l’insulina dalle cellule beta pancreatiche delle Isole del Langherhans in risposta agli stimoli alimentari. Esercita la sua azione sul controllo glicemico post prandiale essenzialmente traimite i seguenti meccanismi: a) soppressione della secrezione di glucagone che è uno dei più potenti stimoli della glicogenesi a livello epatico; b) modulazione della disponibilità dei nutrienti nel transito stomaco-duodeno; c) riduzione di assunzione di cibo mediante stimolazione dei rispettivi recettori ad alta densità localizzati nel SNC la cui stimolazione è in grado di anticipare il senso di sazietà e quindi di limitare l’assunzione di cibo e la relativa introduzione calorica. Nei pazienti diabetici tipo 2 il deficit parziale di amilina, che tende ad accumularsi al di fuori della cellula beta assumendo le caratteristiche tintoriali dell’amilodie, contribuisce a determinare uno sbilanciamento glicemico dovuto ad un alterato rapporto fra entrata ed uscita di glucosio. Protocolli di esercizio fisico intermittente di moderata e media intensità hanno dimostrato degli importanti aumenti plasmatici di amilina. Bilancio energetico (Khan 2000) Ci sono evidenze scientifiche che incriminano il bilancio energetico positivo derivante da un eccesso di assunzione calorica alimentare oppure da un ridotto dispendio energetico da inattività quale fattore centrale nello sviluppo dell’insulino resistenza e nella patogenesi di molte altre malattie metaboliche. Con l’invecchiamento si verifica una graduale riduzione del metabolismo basale, non accompagnato molto spesso da una proporzionale riduzione dell’assunzione dei nutrienti alimentari. Il tessuto adiposo, considerato oggi come un organo endocrino, riveste un ruolo fondamentale in grado di dire che cosa fare ad altri organi che si occupano di accumulare energia. L’effetto dell’allenamento nel mantenimento di un equilibrato bilancio energetico è un importante aspetto nella prevenzione del diabete tipo 2, così come di altri tipi di patologie. SFFA (Shulman 2000, Saltiel 2001, Sihna 2002) Gli FFA sono mobilizzati dal tessuto adiposo e vengono ossidati dal muscolo e dagli altri tessuti dell’organismo.Viaggiano nel plasma trasportati dall’albumina la cui concentrazione esercita un ruolo parziale nel controllo dell’ossidazione lipidica nel muscolo. Non solo, l’ossidazione degli FFA esercita entro determinate condizioni anche un controllo sul tasso di utilizzazione ed ossidazione del glucosio. Il ciclo glucosio-acidi grassi ha quindi un ruolo nell’insulino resistenza e nel disturbo metabolico ad esso associato. L’ossidazione degli FFA può inibire l’utilizzazione del glucosio e del glicogeno. L’allenamento determina la capacità di indurre una aumentata rimozione dei TG dal circolo. Una notevole percentuale dei grassi ossidati durante l’esercizio è di provenienza intramuscolare. Molti dei rimanenti grassi ossidati provengono dagli FFA originati dal tessuto adiposo. Ci sono molte evidenze scientifiche nelle quali si dimostra che gli FFA vengono captati dal muscolo tramite la mediazione di uno specifico sistema di trasporto. A causa della scarsa solubilità, il 99% degli FFA si trova nel plasma legato all’albumina che manifesta un’alta affinità per questo tipo di lipide. In condizioni di iperlipemia un’alta percentuale del flusso totale di FFA avviene tramite la via della diffusione passiva. La sostituzione alimentare degli acidi grassi saturi con gli insaturi determina un minore accumulo di tessuto adiposo a livello addominale e conseguentemente migliora l’insulina sensibilità. Quando gli acidi grassi nei muscoli e nel fegato non sono sufficientemente utilizzati, il loro accumulo non solo impedisce all’organismo di consumare calorie ma può portare all’insulino resistenza, che aumenta il rischio di sviluppare diabete. Elevati livelli di FFA sono caratteristiche di obesità, insulino resistenza e diabete tipo 2. L’insulino resistenza è uno dei maggiori fattori nella patogenesi del diabete tipo 2 e recenti studi hanno dimostrato una forte correlazione fra l’aumento della concentrazione plasmatica degli acidi grassi e molti stati di insulino resistenza, fra cui il diabete tipo 2 e l’obesità. E’ stata osservato, anche a digiuno, una correlazione inversa fra concentrazione degli acidi grassi e insulino sensibilità, supportanto l’ipotesi che un alterato metabolismo lipidico può contribuire a determinare un ulteriore stato di insulino resistenza nei pazienti diabetici. Inoltre, alcuni recenti studi effettuati tramite biopsia muscolare o tramite NMR hanno dimostrato una forte correlazione fra accumulo intracitoplasmatico di trigliceridi nella cellula muscolare e insulino resistenza. Sembra che il meccanismo tramite il quale gli FFA inducono insulino resistenza sia costituito da una maggiore proporzione di acidi grassi saturi dei fosfolipidi di membrana e dalla quantità e saturazione degli acidi grassi intramiocellulari. Infatti, gli acidi grassi saturi, quali l’acido palmitico, specificatamente inibiscono l’attivazione della PKB e conseguentemente anche la captazione cellulare del glucosio mediata dall’insulina e la capacità di sintesi del glicogeno. L’attività fisica determina l’attivazione del catabolismo generale inducendo quindi un incremento della lipolisi nono solo nel tessuto adiposo ma anche a livello muscolare. Per un certo periodo di tempo si è pensato che il principale meccanismo coinvolto nella lipolisi intramuscoalre fosse determinato dalla lipoproteina lipasi intracellulare. Comunque, questo enzima è sintetizzato come una proteina secretoria e non ha un appropriato ottimo pH. Queste caratteristiche non sono applicabili alla lipasi ormono sensibile del tessuto adiposo, che recentemente è stata trovata anche nel muscolo. La lipasi ormono sensibile nel muscolo può essere simultaneamente fosforilata e attivata dalla proteina kinasi cAMP dipendente. La degradazione dei trigliceridi e del glicogeno nel muscolo può essere regolata da enzimi, rispettivamente lipasi ormono sensibile e glicogeno fosforilasi, che sono attivati in parallelo e sotto il duplice controllo del calcio e degli ormoni. Ci sono infatti evidenze scientifiche che dimostrano l’attivazione simultanea, nel muscolo, della lipoproteina lipasi (LPL) e della lipasi ormono sensibile. La cellula adiposa è importante nella regolazione metabolica generale quanto rilasciando gli FFAs riduce la captazione del glucosio da parte del muscolo, la secrezione insulinica delle cellule beta e aumenta il rilascio ematico del glucosio da parte del fegato. La cellula adiposa secerne anche le “adipokine” quali ad esempio la leptina, l’adiponectina e il TNF, che regolano l’assunzione di cibo, la spesa energetica e l’insulino sensibilità. Fattori recettoriali Recettore per l’insulina (Gomperts 2002) Il recettore per l’insulina è una glicoproteina costituita da due subunità alfa completamente extracellulari che legano l’insulina e da due subunità beta che possiedono attività tirosina chinasica. Dopo il legame con l’insulina, a seguito probabilmente di un cambiamento conformazionale fra unità alfa e unità beta che si propaga attraverso la membrana cellulare, si determina un processo di autofosforilazione dei due specifici residui Tyr localizzati sul lato citoplasmatico delle due subunità beta (regione protein chinasica). La reazione catalizzata dall’enzima proteina tiroxina chinasi (PTK) è la seguente: residuo Tyr + ATP → TyrP + ADP A seguito di questa attivazione molte proteine chiave intracellulari vengono fosforilate da una serie di reazioni a catena la cui sequenza è la seguente: IRS-1 (substrato recettore insulico-1), PI3-Kinasi (fosfatidilinositolo - 3 Kinasi, classe IA), PIP2 (fosfatidilinositolo difosfato), PIP3 (fosfatidilinositolo trifosfato), PKB (proteina kinasi B), PKC (proteina Kinasi C). La fosforilazione di queste proteine è essenziale per la determinazione cellulare dell’insulina sui seguenti eventi biologici: a) stimolazione della trascrizione o repressione dei geni del DNA a livello del nucleo; b) stimolazione della sintesi proteica; c) stimolazione intracellulare dei processi anabolici e inibizione di quelli catabolici (carboidrati, lipidi, proteine); d) traslocazione delle unità di trasporto del glucosio dal citoplasma alla membrana cellulare e tubuli a T. Questo recettori possono essere geneticamente difettosi e determinare quindi insulino resistenza. Fattori genetici e acquisiti possono profondamente influenzare la sensibilità dei recettori insulinici. Difetti genetici dei recettori insulinici sono piuttosto rari, ma rappresentano la forma più severa di insulino resistenza. Fattori postrecettoriali (intracellulari) (Lodish 2000, Gomperts 2002) Recettori e trasduzione del segnale: brevi caratteristiche generali L’informazione nei sistemi biologici viene trasferita mediante segnali e recettori aventi affinità chimico o fisica. I segnali sono solitamente di tipo molecolare (es. insulina, ecc), ma possono anche essere di tipo non molecolare (es. luce, suoni, onde elettromagnetiche, variazione di potenziale elettrico di membrana). I recettori sono complessi proteici o glicoproteici la cui funzione primaria consiste nel raccogliere e trasmettere l’informazione biologica proveniente da altre molecole chimiche. Essi possono essere localizzati sulle membrane delle cellule bersaglio che si legano con molecole di natura proteica non in grado di attraversare la membrana cellulare (es. insulina), e recettori intracellulari che si legano invece a molecole di natura lipidica in grado di attraversare la membrana plasmatica grazie alle loro caratteristiche di idrofobicità (es. ormoni steroidei, ecc..). I recettori di membrana per funzionare necessitano di un trasduttore, detto anche secondo messaggero, che trasferisce il segnale dalle membrana ai sistemi che devono essere attivati dentro la cellula (effettori biologici). Essi sono molto importanti in quanto possono intervenire nella modulazione dell’informazione sia in senso qualitativo che quantitativo. I trasduttori del segnale consentono di amplificare enormemente l’azione di ogni singolo recettore attivato, ma sono possibili anche effetti di retroazione inibitoria, che nel caso specifico dei recettori insulinici può portare allo sviluppo di insulino resistenza. In condizioni fisiologiche normali, a seguito del legame insulina recettore si attiva una proteina chinasi che, tramite la fosforilazione di proteine, innesca l’attivazione di una serie di funzioni biologiche ma nello stesso tempo, però, il recettore stesso viene fosforilato in una preciso sito aminoacidico con conseguente disattivazione della sua funzione (meccanismo di feed-back negativo). Questo significa perdita di affinità di legame fra recettore e l’insulina, cioè sviluppo di insulino resistenza che è la causa principale preliminare essenziale che precede diverse importanti patologie metaboliche fra cui il diabete tipo 2. GLUT4 (Booth 2002, Zierath 2002) L’insulina è un’importante molecola segnale che aumenta il trasporto di glucosio nel tessuto adiposo e nel muscolo mediante la stimolazione della traslocazione delle proteine GLUT4 dai siti intracellulari alla membrana plasmatica. Le GLUT4 si trovano in vescicole che continuamente si trasferiscono dai depositi intracellulari alla membrana plasmatica. L’insulina aumenta il trasporto transmembrana del glucosio aumentando l’esocitosi delle vescicole contenenti GLUT4. Recenti evidenze scientifiche dimostrano che queste vescicole si muovono fino ad agganciarsi e a fondersi con la membrana plasmatica. Anche questi processi si effettuano comunque sempre sotto il controllo insulinico. La quantità di GLUT4 proteine è il fattore primario che determina il massimo tasso di glucosio che può essere trasportato all’interno della cellula muscolare. Perciò è importante capire come l’esercizio fisico regola l’espressione del GLUT4. La capacità di trasporto del glucosio attraverso la membrana cellulare dipende, nel muscolo scheletrico, principalmente dall’insulina e dalla contrazione muscolare in cui il contenuto di glicogeno ha un importante ruolo regolativo. La cascata tradizionale di reazioni riguardano la PI-3 kinasi e la PKB quali enzimi chiave, ma altri trasduttori alternativi comprendono la proteina kinasi C. Le GLUT4 costituiscono nel tessuto adiposo un elemento chiave nel trasporto dello zucchero. Normalmente, l’insulina stimola i muscoli e le cellule adipose a traslocare le GLUT4 verso la membrana cellulare, per far iniziare il trasporto di glucosio attraverso il doppio strato di fosfolipidi ad esso impermeabile verso l’interno della cellula dove viene trasformato in carboidrati complessi e grasso oppure ossidato. La riduzione delle GLUT4 nelle cellule adipose va considerata come un importante fattore di rischio nello sviluppo della resistenza insulinica che costituisce il primo passo verso la patologia diabetica. Le GLUT4 nel muscolo scheletrico sono il maggior trasportatore di glucosio. In contrasto con gli altri trasportatori di glucosio che costitutivamente risiedono nella membrana cellulare, le GLUT4 fanno da shuttle fra la il citoplasma e la membrana cellulare. In condizioni basali la distribuzione delle vescicole delle GLUT4 è prevalentemente intracellulare. A seguito della stimolazione mediata dall’insulina, oppure dalla contrazione muscolare, si verifica una ridistribuzione delle GLUT4 per cui nel giro di qualche minuto una larga frazione di esse si trova sulla superficie della membrana cellulare o sui tuboli a T. Le GLUT4 sono costituite da un polipeptide composto da 509 aminoacidi che è codificato da un gene localizzato nel cromosoma 17. Queste proteine trasportatrici sono presenti ad elevati livelli nei tessuti insulino dipendenti quali il muscolo scheletrico e il tessuto adiposo. L’esercizio fisico determina un incremento di captazione di glucosio da parte del muscolo scheletrico. La contrazione muscolare induce un aumento della sensibilità e dell’azione insulinica. Il meccanismo dell’aumentata captazione di glucosio durante e dopo esercizio non è attualmente ben conosciuto. I fattori che potrebbero essere coinvolti comprendono il MAF (muscolar activity factors), un aumento del flusso sanguigno nei muscoli sottoposti ad esercizio, un aumento del legame dell’insulina e cambiamenti nella concentrazione citoplasmatica del calcio. Poiché nel muscolo il trasporto del glucosio è il fattore che più limita l’ossidazione del glucosio stesso, la regolazione di questo sistema gioca un ruolo fondamentale nel corso dell’esercizio. Recentemente, molti studi hanno dimostrato che una singola seduta di esercizio fisico può aumentare il numero e l’attività intrinseca delle proteine trasportatrici di glucosio presenti nella membrana plasmatica delle cellule muscolari (effetti acuti dell’esercizio). L’allenamento determina come effetto un aumento dell’abilità dell’insulina di stimolare la captazione di glucosio nei tessuti insulino dipendenti (muscolo, tessuto adiposo). Nel muscolo scheletrico, le proteine GLUT4 costituiscono il sistema di trasporto del glucosio più rilevante. Le proteina GLUT4 sono traslocate da una localizzazione intracellulare, quale ad esempio i microsomi a bassa intensità, alla membrana plasmatica con la quale si fonde per rilasciare le proteine coinvolte nel trasporto del glucosio dall’esterno verso il citoplasma. Le GLUT4 sono distribuite nel muscolo scheletrico, nel tessuto adiposo bruno e bianco e nel muscolo cardiaco. Nel muscolo le GLUT 4 potenziano il trasporto transmenbrana del glucosio sia per effetto mediato dall’insulina (legame recettore insulina, IRS-1, PI 3-Kinasi, stimolazione traslocazione GLUT4) sia per effetto derivante dalla contrazione muscolare. IRS-1 e PI 3-Kinasi sono componenti essenziali per la stimolazione dell’insulina delle GLUT4 nel muscolo scheletrico e non costituiscono parte del meccanismo tramite il quale l’esercizio fisico, cioè la contrazione muscolare, stimola la traslocazione delle GLUT4. La traslocazione è comunque solo la prima tappa del movimento delle GLUT4 dal pool vescicolare del citoplasma. Le altre tappe comprendono l’aggangio (docking) e la fusione delle GLUT4 con la membrana plasmatica, cui segue l’internalizzazione e l’endocitosi da parte del pool vescicolare. Difetti del movimento delle GLUT4 possono contribuire a peggiorare lo stato di insulino resistenza nel muscolo a causa di una parziale insufficienza delle GLUT4 di traslocare, di agganciarsi e di fondersi con la membrana plasmatica. Trasporto e metabolismo del glucosio nel muscolo scheletrico (Zierath 2002) Il trasporto del glucosio, nel muscolo scheletrico, può essere attivato da 2 vie indipendenti: la via mediata dal legame insulina recettore e la via mediata dalla contrazione muscolare (quest’ultima è costituita da due sistemi di attivazione AMPKinasi e MAP kinasi). Il muscolo scheletrico è quantitativamente il più importante tessuto coinvolto nel mantenimento dell’omeostasi glucidica; capta circa l’80% del glucosio disponibile in seguito all’ingestione dello stesso. Sono state fornite prove dirette che dimostrano che deficit nel trasporto del glucosio e nella traslocazione delle proteine GLUT4 sono responsabili diretti dell’insulino resistenza. Le GLUT4 sono essenziali non solo per lo stimolo dell’insulina, ma anche per l’ipossia/esercizio (contrazione). Il livello di attività fisica è legato al miglioramento dell’omeostasi glicemica. L’allenamento ha effetti multipli sul metabolismo del glucosio e sull’espressione genica a livello muscolare. L’espressione di tutte le proteine di trasporto è maggiore nelle fibre ossidative rispetto a quelle glicolitiche . Questo potrebbe significare che i muscoli con prevalente metabolismo aerobico sono più colpiti dalle malattie metaboliche quali ad esempio il diabete. Trasduzione intracellulare del segnale insulinico (Pessin 2000, Lodish 2000, Zierath 2002) L’insulino resistenza si può determinare a causa di difetti nei meccanismi intracellulari di trasduzione del segnale dalla membrana cellulare verso l’interno della cellula. Al riguardo è essenziale illustrare i meccanismi che operano internamente alla cellula tenuto conto che il muscolo, in caso di insulino insensibilità, è il tessuto che più di ogni altro contribuisce allo sviluppo dell’insulino resistenza di carattere generale. Sistema insulino dipendente A livello muscolare, così come negli altri tessuti insulino dipendenti, il glucosio per attraversare la rispettiva membrana cellulare bisogna che l’insulina si leghi al suo rispettivo recettore. Questo è costituito da una glicoproteina in cui sono presenti due subunità alfa rivolte verso la parte esterna della cellula e due subunità beta rivolte invece verso il citosol, cioè la parte interna, tenute insieme da due ponti disulfurici. L’insulina, legandosi alla parte esterna del recettore, cioè alle componenti alfa, determina una variazione conformazionale del recettore a livello delle due subunità beta con conseguente attivazione del recettore tirosina-chinasi localizzato nelle due subunità beta (auotofosforilazione). In questi ultimi anni sono stati fatti studi importanti per identificare gli eventi postrecettoriali in grado di attivare le azioni biologiche finali che caratterizzano il metabolismo intracellulare dell’insulina. Tali reazioni riguardano l’attivazione dei substrati insulinici 1 e 2 (IRS 1 e 2 ), della fosfatidilinositolo 3 Kinasi (PI 3-Kinasi), della proteina kinasi B (PKB) e C (PKC), del fosfatidilinositolo difosfato (PI2) e fosfatidilinositolo trifosfato (PI3). Substrati recettore insulina (IRS1 e 2) La trasduzione intracellulare del segnale insulinico consiste in una serie di eventi complessi che coinvolgono effettori di natura proteica che regolano le diverse risposte cellulari. La via della trasduzione del segnale insulinico non è necessariamente lineare in quanto c’è un alto grado di reciproca influenza fra i trasduttori di segnali. L’IRS1 e 2 che si attivano immediatamente dopo il legame insulina recettore si fanno da tramite fra lo stesso recettore e gli eventi molecolari a cascata finalizzati ad attivare le varie risposte metaboliche (azioni intracellulari dell’insulina). Le molecole costitutive degli IRS contengono numerosi siti tirosinici che diventano fosforilati dopo stimolazione insulinica giocando un ruolo selettivo nella regolazione della risposta metabolica nei tessuti insulino dipendenti (fegato, muscolo, tessuto adiposo). Fosfatidilinositolo 3 kinasi (PI 3-kinasi) ed effettori Il fosfatidilinositolo 3 kinasi (PI3-Kinasi) è uno degli intermedi molecolari più caratterizzati che si lega da una parte agli IRS1 e 2 e dall’altra ad altre molecole coinvolte nella trasduzione intracellulare del segnale insulinico. La PI 3-kinasi associata alla fosforilazione tirosinica degli IRSs dopo stimolazione insulinica catalizza la formazione del fosfatilinositolo trifosfato (PIP3 trifosfato), che serve quale regolatore allosterico del fosfatidilinositolo kinasi dipendente (PI 3-kinasi). Questo enzima ha un ruolo importante nel trasporto del glucosio mediato dalle GLUT4, cioè dal complesso proteico che potenzia il trasporto del glucosio attraverso la membrana cellulare (traslocazione delle GLUT4). I meccanismi di questo processo non sono ancora ben chiari. Sembra che la PI 3-kinasi attivi un’altra proteina kinasi B o C che determinerebbe successivamente la traslocazione delle GLUT4 e conseguentemente una aumentata captazione del glucosio a livello della membrana. L’attività della PI 3-kinasi conseguente al legame recettore insulina nel muscolo scheletrico è peggiorata nei pazienti affetti da diabete tipo 2 e nei soggetti obesi mettendo in evidenza il ruolo determinante dello stato di insulino resistenza nelle due patologie sopra citate. Una persistente sensibilità all’insulina è osservabile nel muscolo anche dopo parecchie ore dalla fine di una singola seduta di allenamento. L’aumentata attività della PI 3-Kinasi da elevata fosforilazione tirosinica nelle ore immediatamente dopo esercizio fisico può parzialmente contribuire al persistente incremento di captazione del glucosio. L’esercizio fisico regolare aumenta l’attività della PI 3-kinasi nel muscolo scheletrico. Poiché la PI 3-kinasi è un importante sistema che interviene nel regolare l’assunzione del glucosio, questo meccanismo può notevolmente contribuire a migliorare le azioni intracellulari dell’insulina nel muscolo scheletrico. L’allenamento determina un aumento generalizzato della captazione del glucosio ematico. Questo effetto è correlato con l’aumentata espressione proteica delle GLUT4 come risposta adattiva nell’espressione e funzione delle molecole chiave attivate in conseguenza del legame recettore insulina. Anche se le conoscenze attuali sulla trasduzione dei segnali che regolano la captazione del glucosio sono limitate, stanno tuttavia per essere messe in evidenza importanti meccanismi che mediano il trasferimento intracellulare di questa molecola. IRS1 e 2 ed esercizio L’IRS1 e 2 sono importanti mediatori chimici dei segnali nel muscolo scheletrico. Sono stati messi in evidenza gli effetti dell’allenamento che inducono un aumento di attività degli IRS 1 e 2 osservabili fino a 16 ore dalla fine della seduta di esercizio. Effetti dell’esercizio fisico nella trasduzione intracellulare dei segnali insulinici (Chakravarth 2002, Zierath 2000) L’esercizio fisico acuto determina fra l’altro un aumento del trasporto del glucosio a livello della membrana del muscolo scheletrico tramite l’attivazione di un processo di traslocazione delle GLUT4 non insulino dipendente. Così effetti immediati dell’esercizio fisico acuto sulla omeostasi glucidica avvengono primitivamente a livello del traffico GLUT4 piuttosto che tramite un’elevata trasduzione mediata dal meccanismo insulinico (IRS1 e 2, PI 3-Kinasi). Parecchie ore dopo la fine di una seduta di allenamento, nel muscolo scheletrico persiste un aumento del trasporto di glucosio da aumentata sensibilità insulinica. Gli effetti dell’esercizio fisico sono osservabili anche fino a 16 ore dopo. Misurazioni effettuate in questo periodo riflettono dei cambiamenti a livello di espressione genica (aumentata o soppressa), che avvengono in risposta anche ad una singola seduta di attività motoria. L’allenamento sembra contribuire ad aumentare la sensibilità dei recettori insulinici mediante un incremento di attività dei mediatori coinvolti nella trasduzione del segnale post recettoriale. L’aumento del trasporto di glucosio insulino mediato sembra essere correlato ad un incremento dei mediatori a livello degli IRS1 e 2 e PI 3-Kinasi. Questo è particolarmente importante poiché l’attività degli IRS 1 e 2 e della PI 3-Kinasi è peggiorata nei pazienti affetti da diabete tipo 2 e nei soggetti obesi. L’esercizio fisico induce anche l’attivazione della GSK3 le cui conseguenze fisiologiche riguardano l’aumentata sintesi di glicogeno, anche se questo sembra essere solo una parte del meccanismo riguardante la regolazione glicogenosintetica. E’ molto probabile che la GSK3 abbia un ruolo nella regolazione dei processi addizionali metabolici e trascrittivi. Capire i meccanismi tramiti i quali si traducono i segnali biochimici e meccanici in risposte metaboliche e trascrittive è essenziale per una migliore comprensione degli adattamenti benefici del muscolo scheletrico in risposta all’esercizio. Sistemi non insulino dipendenti in grado di potenziare il trasporto e il metabolismo del glucosio nel muscolo scheletrico (AMP Kinasi e MAP Kinasi) (Zierath 2002, Aronson 1997) I due sistemi, AMPK e MAPK, vengono attivati nel muscolo scheletrico direttamente dalla contrazione dove sono in grado di determinare mediante meccanismi diversi significativi effetti per quanto riguarda il trasporto del glucosio attraverso la membrana ed intervenire direttamente sulla espressione genica di proteine in grado di migliorare il metabolismo dello zucchero. Esistono fra i due sistemi, la cui attività è completamente indipendente dal legame recettore insulina, delle interazioni reciproche, ad esempio l’AMPK è in grado di interferire con l’MAPK sui rispettivi substrati che andranno a regolare l’attività genica. Attivazione dell’AMP proteina Kinasi L’AMP Kinasi è una proteina eterotrimerica composta da una subunità alfa catalica e da due subunità beta e gamma non cataliche. E’ attivata dallo stress cellulare associato ad una deplezione di ATP . L’AMPK è una proteina che ha il compito di monitorare lo stato energetico della cellula e di attivare eventualmente i necessari processi metabolici finalizzati a riportare ad un livello normale le concentrazioni dei fosfati altamente energetici. Pertanto un incremento di attività dell’AMP Kinasi è correlato con i seguenti parametri: aumentata attività di traslocazione delle GLUT4 e quindi del trasporto del glucosio nel muscolo scheletrico; aumentata ossidazione degli acidi grassi liberi nel muscolo scheletrico; diminuita lipogenesi e lipolisi negli adipociti; diminuita sintesi di acidi grassi liberi e colesterolo negli epatociti. Recenti risultati scientifici hanno evidenziato il ruolo centrale dell’AMP Kinasi nella regolazione dell’omeostasi glucidica in risposta all’esercizio. L’attivazione dell’AMP kinasi (AMPK) è coinvolta quale importante mediatore che potenzia il trasporto del glucosio a seguito della contrazione muscolare scheletrica. Anche se l’attività dell’AMPK non sembra essere incrementata in risposta all’insulina, costituisce tuttavia nel muscolo scheletrico uno dei regolatori critici degli eventi metabolici in risposta all’esercizio. Recenti evidenze scientifiche documentano il ruolo centrale dell’AMPK nella regolazione dell’omeostasi glucidica in risposta all’esercizio fisico. Infatti, l’esercizio fisico di varia intensità , preferibilmente di tipo aerobico, induce un incremento di attività dell’AMPK intervenendo in questo modo nella regolazione dell’assunzione di glucosio in risposta all’esercizio. Poiché l’AMPK sembra incrementare il metabolismo del glucosio da meccanismi insulino indipendenti, questa via costituisce una strategia alternativa per incrementare la rimozione del glucosio dal circolo ematico negli stati di insulino resistenza, muscolare o generale. MAPK (Mitogenic Activated Protein Kinasi) e trasduzione dei segnali (Widegren 2001) E’ questo il secondo sistema che, a livello muscolare, è attivato dallo stress cellulare indotto dalla contrazione, dalle citochine, dai fattori di crescita. E’ costituito da tre sistemi separati posti in parallelo, cioè ERK 1/2, p38 MAPK e JNK la cui attività può dipendere sia da fattori locali che sistemici o da entrambi. In futuro si cercherà di identificare i vari componenti che intervengono nell’attivazione di questo sistema il cui fine ultimo è quello di regolare l’attività trascrittiva tramite i rispettivi fattori e quindi l’espressione genica associata al miglioramento intracellulare del metabolismo del glucosio. Il MAPK riveste un ruolo importante negli adattamenti a lungo termine che avvengono nel muscolo scheletrico a seguito dell’esercizio fisico ripetuto con importanti effetti anche per quanto riguarda la differenziazione e proliferazione cellulare. CONCLUSIONI Le conclusioni sono le seguenti. E’ possibile contrastare l’incidenza della patologia diabetica facendo svolgere alla popolazione un’adeguata attività fisica abituale in grado di modificare positivamente proprio quei fattori molecolari che risultano coinvolti nella genesi dell’insulino resistenza. Lo stile di vita attuale porta sempre più verso l’inattività fisica, cioè verso l’assenza di forme fisiologiche di stress cellulare in grado di mantenere l’equilibrio biodinamico, e quindi verso l’acquisizione, molto spesso inconscia, di uno dei principali fattori di rischio di malattia non solo del diabete tipo 2. Un doveroso ringraziamento a mia moglie Laura e a mio figlio Alberto per la loro insostituibile collaborazione tecnica. BIBLIOGRAFIA Aroson D, Violan AM, Dufresne DS, Zangen D, Fielding AR, Goodyear LJ. Exercise stimulates the mitogen-activated protein kinase patway in human skeletal muscle. J. Clin. Invest. 1997 6: 1251-1257. Berg AH, Combs TP, Xueliang DU, Brownlee M, Scherer PE. 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