24 Ottobre 2010 Teatro Marcello e Ghetto

Appunti di viaggio
Dall Teatro Marcello al Portico D’
D’O
Da
Ottavia
Il Teatro di Marcello
IL TEATRO DI MARCELLO
Giulio Cesare progettò la costruzione di un teatro, destinato a rivaleggiare con quello edificato nel
Campo Marzio da Pompeo. Alla morte del dittatore tuttavia erano solo state gettate le fondamenta.
I lavori furono ripresi da Augusto, che riscattò con il proprio denaro un'area ancora più vasta con
l'occupazione di una parte del Circo Flaminio e lo spostamento e la ricostruzione degli edifici sacri
circostanti, come l'antico tempio di Apollo.
Costituisce uno dei più antichi edifici per spettacolo romani giunti fino a noi, nel quale l'articolazione
del teatro romano appare già del tutto delineata, con la "cavea" a pianta semicircolare sorretta da
articolate sostruzioni. Muri a raggiera, collegati da volte a botte inclinate sotto i gradini della cavea,
vengono interrotti da due ambulacri concentrici, uno esterno, che si apre con arcate e uno più interno
("Ambulacro dei Cavalieri").
Il teatro poteva ospitare circa 15.000 spettatori e fino a 20.000 in condizioni di massimo affollamento,
stima che coinciderebbe con quanto riportato nei Cataloghi Regionari.
La struttura dei fornici si ripete a gruppi di sei: uno con rampa in leggera salita conduce all'ambulacro
più interno, due affiancati ospitano le rampe per salire e scendere dai piani superiori, mentre altri tre
comunicano tra loro. Oltre l'ambulacro interno i fornici proseguono con vani lunghi e stretti e di altezza
minore. Gli ambienti più esterni, suddivisi da tramezzi in muratura probabilmente in epoca giulioclaudia, furono probabilmente utilizzati come botteghe sin dagli inizi. Un ambiente centrale presenta
sulla volta una decorazione in stucco bianco articolata in tondi e ottagoni con figure di repertorio, che
fu realizzata probabilmente nella seconda metà del II secolo.
La scena, celebrata per la sua sontuosità e più volte restaurata, è completamente perduta. Si
presentava rettilinea e con un portico di sei colonne verso l'esterno. Ai lati della scena erano due
"Aule regie", ambienti absidati coperti con volte a crociera: in quella di sinistra restano ancora in piedi
un pilastro e una colonna. Dietro la scena si trovava una grande esedra, dove avevano trovato posto i
due tempietti ricostruiti della Pietas e di Diana.
La facciata in travertino presenta tre ordini, i due inferiori con le arcate inquadrate da un ordine di
semicolonne doriche al piano terreno e ioniche superiormente. Originariamente le arcate erano 41 e
le semicolonne 42.In epoca medioevale venne man mano occupato da piccole costruzioni e si
trasformò in un castello fortificato, inizialmente di proprietà dei Pierleoni e poi passato ai Faffo e
quindi (dal XIII secolo) ai Savelli, che fecero edificare da Baldassarre Peruzzi il palazzo tuttora
esistente sopra le arcate della facciata. Nel XVIII secolo ne divennero proprietari gli Orsini, fino agli
espropri degli anni '30 e ai successivi lavori di liberazione, con i quali furono eliminate le numerose
botteghe e abitazioni che occupavano le arcate e lo spazio circostante; contemporaneamente i fornici,
allora interrati per circa 4 m di altezza, vennero sterrati. I restauri comportarono il consolidamento di
una parte delle arcate interne, con speroni in mattoni, e il rifacimento di parte della facciata, con
ripresa dello schema architettonico delle arcate in pietra sperone.
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! Il primo utilizzo del nuovo
edificio per spettacoli risale
all'anno 17 a.C., durante i ludi
saeculares ("ludi secolari").
Nel 13 a.C. il nuovo edificio
venne ufficialmente
inaugurato con giochi
sontuosi e dedicato a Marco
Claudio Marcello, il nipote,
figlio della sorella Ottavia, che
Augusto aveva designato
come erede, dandogli in
moglie la propria figlia Giulia,
ma che era morto
prematuramente. In questa
occasione sulla scena del
teatro furono collocate quattro
colonne di marmo africano,
prese dalla casa di Marco
Emilio Scauro sul Palatino e
una statua di Marcello in
bronzo dorato.
! L'altezza originaria doveva
raggiungere i 32,60 metri
circa (oggi la parte superstite
ne misura circa 20). L'uso dei
vari ordini architettonici in un
medesimo edificio prendeva
ispirazione dall'architettura di
epoca sillana (ad esempio dal
Tabularium)
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IL PORTICO D’OTTAVIA
Nel 179 a.C. il censore Marco Emilio Lepido dedicò il tempio di Giunone Regina, probabilmente un
tempio di tipo italico, su alto podio. La statua di culto della dea, come riferisce Plinio, era opera dello
scultore Timarchide.
Nel 143 a.C. Quinto Cecilio Metello Macedonico, dopo aver celebrato un trionfo nel 146 a.C. sulla
Macedonia, fece erigere un tempio dedicato a Giove Statore su progetto dell'architetto greco
Ermodoro di Salamina: il tempio venne dedicato entro il 131 a.C., anno in cui Metello rivestiva la
carica di censore. Il tempio viene descritto da Vitruvio come un vero periptero di tipo greco, il primo
edificio sacro costruito interamente in marmo a Roma.
Contemporaneamente venne ricostruito anche il precedente tempio di Giunone Regina e i due
edifici vennero inseriti nel "portico di Metello" (porticus Metelli), un recinto con portici sui quattro lati
(quelli laterali a due navate), ornato da opere d'arte greche. Tra queste era celebre la turma
Alexandri, ossia le 24 statue equestri dei compagni di Alessandro Magno morti nella battaglia del
Granico, opera di Lisippo, che Metello aveva asportato come bottino di guerra da Dion, in
Macedonia.
Vi era inoltre esposta la statua in bronzo di Cornelia, madre dei Gracchi, celebre per essere stata la
prima statua femminile esposta in pubblico a Roma.
Tra il 27 e il 23 a.C. si ebbe una radicale ricostruzione del complesso, finanziata con il bottino della
vittoria sulla Dalmazia da Ottaviano, che lo dedicò a nome della sorella Ottavia (porticus Octaviae).
I templi furono probabilmente rimaneggiati e nuovamente dedicati.
Nell'80 il complesso subì danni in seguito ad un incendio e venne probabilmente restaurato da
Domiziano. Nel 203 il portico, e probabilmente anche i templi, vennero ricostruiti, probabilmente con
la stessa pianta, e nuovamente dedicati da Settimio Severo e Caracalla ("portico di Severo" o
porticus Severi), dopo le distruzioni dovute ad un incendio (forse quello del 191). Nel 442 subì i
danni di un terremoto, in seguito ai quali due delle colonne del propileo di ingresso vennero
sostituite dall'arcata tuttora esistente. Intorno al 770 a partire dal propileo di ingresso venne
edificata la chiesa di San Paolo in summo circo, poi Sant'Angelo in Pescheria, tuttora esistente.
Sono attualmente visibili i resti dell'ingresso centrale sul lato verso il Circo Flaminio, nella
ricostruzione severiana. Altri ingressi simili dovevano essere presenti al centro degli altri tre lati.
L'ingresso aveva due facciate uguali e simmetriche, esterna e interna, con quattro colonne tra due
pilastri a capitelli corinzi figurati, con un'aquila al posto del fiore dell'abaco.
Attualmente la mancanza del tetto mostra il lato interno del frontone, con numerosi blocchi di
reimpiego della fase precedente: l'utilizzo di marmo pentelico per alcuni dei blocchi, come nel Foro
di Nerva di Domiziano, ha fatto pensare che gli elementi provengano dal restauro di epoca flavia.
Sui fianchi l'ingresso presenta pareti in laterizio, in origine rivestite da lastre in marmo bianco, con
arcate che mettevano in comunicazione il propileo con i portici esterni. Anche i pilastri e l'intradosso
dell'arcata erano rivestiti di lastre di marmo. Sui fianchi gira la trabeazione della facciata, che viene
più oltre sostituita da elementi in tufo destinati ad essere ricoperti in stucco. La copertura
presentava tegole e antefisse di marmo. I resti del porticato esterno, chiuso sul fondo da un muro,
comprendono fusti di marmo cipollino e di granito grigio alternati, con capitelli corinzi.
Durante il medioevo il propileo, ha ospitato il mercato del pesce
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!Alla costruzione sono legati
i nomi di Sauro e Batraco,
probabilmente gli scultori
incaricati della sua
decorazione, che avrebbero
lasciato come firma la
rappresentazione di una
lucertola (saurus) e di una
rana.
!Sull'architrave della facciata
fu incisa la seguente
iscrizione che ricorda il
restauro di Settimio Severo e
Caracalla:"L'imperatore
Cesare Augusto Lucio
Settimio Severo Pio
Pertinace Arabico
Adiabenico, Partico Massimo,
nella sua undicesima potestà
tribunizia, salutato undici
volte imperatore, console per
la terza volta, padre della
patria e l'imperatore Cesare
Augusto Marco Aurelio
Antonino Pio Felice, nella sua
sesta potestà tribunizia,
console e proconsole, hanno
restaurato (questo portico)
danneggiato da un incendio”.
(batrachus).
! È ancora visibile una
lapide con l’iscrizione:le teste
dei pesci più lunghi di questa
lapide, pinne comprese,
devono essere date ai
conservatori.
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