Bartolina Orlando, Da Gorgia a Feace. Guerra e diplomazia

BARTOLINA ORLANDO
Da Gorgia a Feace. Guerra e diplomazia nella Sicilia di
fine V secolo a.C.
Il binomio guerra e diplomazia, nel mondo antico come in quello
contemporaneo, racchiude due componenti, interrelate, delle dinamiche inerenti ai
rapporti interstatali e alle relazioni internazionali: da un lato, la guerra quale irrazionale
degenerazione di violenza, dall’altro, la diplomazia quale espressione di una volontà
politica più sottile. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di due aspetti che, esplicitando
una precarietà sottesa al particolarismo delle poleis e alla frammentarietà politica che
caratterizza la natura ellenica, a volte, si incontrano e si intrecciano nella medesima
contingenza storica.
In tale fenomeno rientra quello stato di tensione e di ostilità fra la realtà dorica e
quella calcidese di Sicilia che nella seconda metà del V secolo a.C. richiede a più riprese
il coinvolgimento ateniese nell’isola. Si tratta di violente sedizioni che, riverberandosi sui
delicati rapporti interstatali fra Leontini e Siracusa e, di riflesso, sul precario equilibrio
interno alla realtà poliade leontinese, compromettono in modo irreversibile l’unità
dell’apoikia calcidese. L’atavica e fisiologica contrapposizione si traduce, sullo scorcio del
secolo, in un’impasse militare che richiede interventi diplomatici, sicelioti ed ateniesi,
improntati alla reciprocità: si pensi soprattutto alla missione del siceliota Gorgia ad
Atene e, di converso, a quella dell’ateniese Feace in Sicilia che, se pur con una diversa
finalità, richiamano uno schema chiastico e si lasciano ricondurre da una sorta di fil rouge
alla tormentata quaestio leontino-siracusana.
Nel tentativo, dunque, di contestualizzare nel loro tempo storico le due
ambascerie, riportate rispettivamente da Diodoro1 e da Tucidide,2 ricostruiamo le
vicende più significative di questi anni.
La rivalità fra le due anime del mondo siceliota affonda le sue radici, com’è noto,
già negli anni dei Dinomenidi e di Ducezio,3 secondo un consolidato ed abusato cliché:4
da una parte, le città calcidesi, instancabili nella difesa del loro territorio, dall’altra,
Siracusa, interessata ad un rilancio della politica agraria e commerciale attraverso il
controllo della fertile piana del Simeto e l’apertura di un varco nella zona dello Stretto,
1
Diod. XII 53.
Thuk. V 4-5.
3 Diod. XI 76. Per Ducezio vd. C. Miccichè, Ducezio fra Akragas e Siracusa, in Diodoro Siculo e la
Sicilia indigena, Atti del Convegno di Studi (Caltanissetta, 21-22 maggio 2005), Caltanissetta 2006, 121-134
ivi ulteriore bibliografia.
4 G. Maddoli, Il VI e il V secolo a.C., in E. Gabba - G. Vallet (a cura di), La Sicilia antica, II, 1,
Napoli 1980, 3-102, 61-67; G. Scuccimarra, Sui rapporti fra Atene e Catane fino all’inizio della spedizione in Sicilia
del 415 a.C., «RSA» XVI (1986), 17-29.
2
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crocevia di traffici.5 Alla relativa stasi dell’egemonia siracusana negli anni compresi fra il
460 e il 440 a.C., segue, dunque, un revival espansionistico della città che, tradottosi in
una costante pressione territoriale, investe Catania, prima, e Leontini, poi.6
Tuttavia, la volontà ateniese di intervenire in difesa delle consanguinee siceliote,
lungi dal costituire un semplice atto di filantropia, tradisce un più concreto interesse
territoriale, non immune da velleità commerciali. Il coinvolgimento attico nell’affaire
siceliota, a fianco di Catania e soprattutto di Leontini, trova, com’è noto, una sua ragion
d’essere nell’entente in atto e soprattutto nella stesura del trattato con quest’ultima che,
secondo le più recenti tendenze ribassiste,7 andrebbe datato intorno al 433 a.C.; esso,
infatti, rappresentando ufficialmente la fine della politica del disimpegno in Occidente,
legittima ogni coinvolgimento ateniese nell’isola.
In questa chiave va letta, in primis, una controversa testimonianza di TrogoGiustino,8 ascrivibile attraverso la mediazione di Eforo ad ambito siceliota (Antioco?
Filisto?),9 secondo cui i Catanesi, stretti dall’ingerenza siracusana, chiedono ed
ottengono il sostegno dello stratega Lampone, notoriamente legato a Pericle e coinvolto
nella fondazione di Turi.10 Pur non emergendo con chiarezza dal luogo in esame quali
ragioni potessero giustificare l’appello di aiuto da parte del centro calcidese ad Atene è,
comunque, presumibile che fra le due città intercorressero semplicemente rapporti di
philía riconducibili alla syngheneia e alla comune etnìa.
Si tratta ad ogni modo di un intervento che va posto in ordine logico e
cronologico con la successiva spedizione di Lachete e di Careade, attestata, se pur con
significative divergenze, da Tucidide11 e da Diodoro12 per il 427 a.C. Anche in questo
caso motivo pretestuoso del coinvolgimento ateniese nell’isola diventano gli appetiti
territoriali siracusani a detrimento dei centri calcidesi, legati alla capitale attica da
un’alleanza ufficiale e soprattutto da un legame di indissolubile solidarietà; ma se dalle
pieghe del brachilogico dettato tucidideo13 si evince qualche allusione ad una
problematica ambasceria degli alleati dei Leontinii, alla quale avrebbe potuto prendere
parte anche la componente catanese, il resoconto di Diodoro14 focalizza soprattutto
l’attenzione del lettore sulla presenza dei soli Leontinii e su Gorgia, loro portavoce.15
5
Vd. C. Ampolo, La funzione dello Stretto nella vicenda politica fino al termine della guerra del Peloponneso,
in Lo stretto crocevia di culture, Atti del XXVI Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto-Reggio
Calabria, 1986), Napoli 1993, 45-71.
6 Maddoli, Il VI e il V secolo, cit., 71 ss.; Scuccimarra, Sui rapporti, cit., 25.
7 Per il trattato di alleanza stipulato fra Leontini ed Atene nel 433 a.C. vd. S. Cataldi, I prescritti dei
trattati ateniesi con Reggio e Leontini, «AAT» CXXI (1987), 63-72; Id., Prospettive occidentali allo scoppio della guerra
del Peloponneso, Pisa 1990, 29-65; P. Anello, Segesta e Atene, in Giornate Internazionali di Studi sull’area elima, Atti
del convegno (Gibellina, 19-22 sett. 1991), Pisa-Gibellina 1992, 63-98, 65. Contra F. Raviola, Fra continuità e
cambiamento Atene, Reggio e Leontini, in L. Braccesi (a cura di), Hesperìa 3. Studi sulla grecità d’Occidente, Roma
1993, 88-97, 95.
8 Iust. IV 3, 4.
9 Cataldi, Prospettive, cit., 142; L. Burelli Bergese, Catanienses quoque (Iust. IV 3,4-4, 3), in S. Cataldi
(a cura di),
Ricerche sulla seconda spedizione ateniese in Sicilia, Alessandria 1992, 63-79.
10 Per un profilo di Lampone vd. diffusamente Cataldi, Prospettive, cit., 135 ss.
11 Thuk. III 86.
12 Diod. XII 53-54.
13 Thuk. III 86.
14 Diod. XII 53.
15 Per la presenza di Gorgia ad Atene alla guida della delegazione siceliota vd. soprattutto G.
Scuccimarra, Note sulla prima spedizione ateniese in Sicilia (427-424 a.C.), «RSA» XV (1985), 23-52; S.
Cagnazzi, Tendenze politiche ad Atene. L’espansione in Sicilia dal 458 a.C. al 415 a.C., Bari 1990, 44-70. Qualche
in Cataldi (a cura di),
cit.,
ragguaglio anche in B. Chiavarino,
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Secondo il racconto dell’Agirinense16 e della sua fonte generalmente individuata
in Timeo,17 i Leontinii, oppressi dalla guerra e stretti dai Siracusani, paventano di vedere
la loro città conquistata con la forza dall’antagonista dorico ed inviano una richiesta di
soccorso ad Atene attraverso una delegazione guidata dal loro concittadino più illustre.
L’intervento diplomatico ad Atene di Gorgia, e dell’accompagnatore Tisia come
attestato da Pausania,18 si inserisce in un tessuto politico e sociale composito ed
eterogeneo diviso fra un’anima moderata e conservatrice, incline al mantenimento dello
status quo ed un’anima riformista e radicale, aperta a nuove esperienze militari.19 Tuttavia,
un semplice appello di aiuto, davanti alle resistenze dell’entourage oligarchico afferente a
Nicia, notoriamente refrattario all’idea di aprire un nuovo teatro militare nell’isola,20
finisce con il palesare l’abilità diplomatica del Siceliota, che incanta con la sua vis
dialettica,21 com’è noto a Diodoro,22 l’incredula platea ateniese, notoriamente adusa alle
prove oratorie più disparate.
In altri termini si tratta, da parte dello storico, di una scoperta laudatio delle
qualità retoriche e dell’eloquio forbito del retore di Leontini, la cui verve oratoria si
presenta estremamente originale e ricercata sia per l’impostazione sia per il carattere
della costruzione, ricca di metafore e di funambolismi letterari. L’abilità dialettica del
sofista, che sintetizza l’esperienza retorica siceliota, travalica, infatti, ogni finalità
meramente giuridica dei primi retori e si connota come tesa ad una dimensione più alta
in cui la parola diviene quasi un’arte magica. Attraverso escamotages letterari ed artifizi
retorici il Siceliota presenta le sue richieste ed invita gli Ateniesi a sostenere la causa dei
Leontinii in nome dell’alleanza e di quell’affinità di stirpe che lega indissolubilmente un
centro calcidese ad un altro. La reazione dell’assemblea, com’è prevedibile, riflette le
contraddizioni latenti nella realtà sociale e politica della comunità ateniese, tanto che la
Cagnazzi23 non esclude un insanabile dissidio ed un agone oratorio fra i leaders
antagonisti, Cleone e Nicia, sia sul piano personale che su quello politico: l’uno, sedotto
dall’eloquenza del sofista ed affascinato dalla prospettiva di un nuovo impegno militare
in Sicilia che avrebbe ostacolato i traffici commerciali e l’approvvigionamento granario
della città lacedemone, l’altro, strenuo difensore dei privilegi di oligarchi e
filolacedemoni.
Tuttavia, a dispetto di una tradizione storica avara,24 è tutt’altro che peregrina,
secondo la stessa studiosa,25 l’ipotesi che la spedizione del 427 a.C., perorata da Gorgia,
81-97, 90-91; I. Moneti, Il presunto processo contro Lachete, «CCC» XIV (1993), 245-254, spec. 246, n. 5; G.
Vanotti, Leontini nel V secolo, città di profughi, in M. Sordi (a cura di), Coercizione e mobilità umana nel mondo
antico, CISA XXI, Milano 1995, 87-106, spec. 96, n. 19.
16 Diod. XII 53.
17 Per l’ascendenza timaica del luogo qualche ragguaglio in N. Luraghi, Enesidemo di Pateco (per la
storia della tirannide in Sicilia), in L. Braccesi (a cura di), Hesperìa 3, cit., 53-65, 59.
18 Paus. VI 17, 8.
19 Per una dicotomia sociale e politica di Atene all’arrivo della delegazione siceliota si pronuncia
Cagnazzi, Tendenze, cit., 43 ss.
20 Cagnazzi, Tendenze, cit., 46-47.
21 Per l’abilità dialettica e per lo stile retorico di Gorgia vd. P. Segal, Gorgias and the Psychology of the
Logos, «CPh» LXVI (1962), 98-155. Importanti considerazioni sulla nascita della retorica in L. Pernot, Le
cause dell’invenzione della retorica, «AAP» LVI (2007), 381-392, spec. 389-392.
22 Diod. XII 53.
23 Cagnazzi, Tendenze, cit., 46 ss.
24 Ci si riferisce soprattutto al silenzio sospetto di Tucidide, poiché questi tace, volutamente, ogni
coinvolgimento di Gorgia nella vicenda. Secondo F. Grosso, Ermocrate di Siracusa, « Kokalos» XII (1966),
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abbia incontrato il consenso dell’entourage democratico afferente a Cleone, che non
rimane impermeabile alle lusinghe del retore e decide di avallare l’invio di contingenti
militari in Sicilia a sostegno dei Leontinii. In questa chiave sarebbe presumibile, allora,
che gli interessi del demagogo e le istanze democratiche del suo gruppo si siano
incontrate ed intrecciate con l’abilità diplomatica e con l’attività culturale del sofista,
consacrato quale abile ambasciatore dalla pagina diodorea. È lo stesso storico,26 infatti,
ad attribuire l’esito positivo della missione al fascino travolgente dell’eloquenza di
Gorgia e soprattutto alla volontà ateniese di conquistare la fertile terra e i fiorenti
mercati dell’isola, temi indubbiamente legati alle battaglie politiche e al battage
propagandistico dei democratici.
D’altra parte, i contorni del soggiorno ateniese di Gorgia appaiono sfumati e
confusi, soprattutto se visti alla luce di una controversa notizia di Platone,27 tratta
dall’Ippia Maggiore, secondo cui il retore, in occasione della nota ambasceria del 427 a.C.,
accanto agli impegni ufficiali per conto dei Leontinii, avrebbe esercitato la sua
professione di maestro, se pur con prezzi proibitivi, ai giovani rampolli ateniesi e a
quell’entourage culturale, di cui presumibilmente, come avremo modo di verificare a
breve,28 avrebbe potuto fare parte anche lo stesso Feace. Leggiamo insieme il passo:
«Gorgia, il sofista di Leontini, venne qui pubblicamente come ambasciatore
della sua patria, perché era il più capace dei Leontini a occuparsi degli interessi
comuni e davanti al popolo ottenne gran fama con i suoi ottimi discorsi e in
privato, tenendo conferenze e intrattenendosi con i giovani, guadagnò e ricavò
molti soldi da questa città.» (Trad. G. Cambiano)
Si tratta di un luogo sostanzialmente scevro da indizi cronologici e da indicazioni
temporali esplicite che impediscono al moderno studioso di avanzare con certezza una
seria ipotesi di datazione per il soggiorno ateniese dell’oratore rispetto all’ambasceria del
427 a.C. Pertanto, il confronto con le indicazioni di Diodoro,29 notoriamente avvezzo a
contrarre la cronologia, secondo cui, dopo i successi metropolitani, il retore avrebbe
fatto immediato ritorno in Sicilia, si profila come inevitabile. Tuttavia, Garnons
Williams,30 alla luce di una serie di passi tratti dai frammenti e dalle commedie di
Aristofane, sostiene che la permanenza del retore nella città attica sarebbe riferibile al
periodo immediatamente precedente all’assenso dell’assemblea ateniese alle richieste dei
Leontinii e che l’entourage di adepti e di accoliti, che aveva attratto attorno a sé attraverso
102-143 «non era intenzione di Tucidide raccontare per filo e per segno le vicende della prima spedizione
ateniese del 427-424 a.C.»
25 Cagnazzi, Tendenze, cit., 47. Contra D. Kagan, The Archidamian War, Ithaca-London 1974, 182183.
26 Diod. XII 53, 5; 54, 1: «Alla fine persuase gli Ateniesi ad allearsi con i Leontini … votarono di
inviare forze alleate ai Leontini, adducendo come pretesto la necessità e la richiesta dei loro consanguinei,
in realtà con la mira di conquistare l’isola.» (Trad. I. Labriola).
27 Plat. Hipp. mai. 282 b.
28 Vd. infra, n. 51.
29 Diod. XII 53, 5: «Così egli, conquistatasi l’ammirazione in Atene per la sua arte retorica, fece
ritorno a Leontini.» (Trad. I. Labriola).
30 B.H. Garnons Williams, The Political Mission of Gorgias to Athens in 427 a.C., «CQ» XXV (1931),
52-56: «Gorgias supplementes his public speeches by giving lessons in sophistry to the young men, and
there can be little doubt that he used the influence he gained as a teacher to further the public object of
his mission».
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l’esercizio della sua attività, avrebbe avuto un ruolo determinante per l’esito positivo
della missione diplomatica.
A dispetto delle omissioni di Tucidide, il sofista siceliota sembra, quantomeno
nella pagina diodorea,31 aver rivestito un ruolo di rilievo nel coinvolgimento ateniese
nella quaestio dei Leontinii; d’altra parte, è presumibile che, dietro al motivo pretestuoso
di soccorrere i consanguinei in difficoltà, si nasconda la reale volontà dei demagoghi
democratici di conquistare la Sicilia e di controllare le risorse granarie e gli empori
dell’isola per imprimere una svolta positiva alle ostilità che da anni opponevano Sparta
ed Atene nei teatri di guerra metropolitani. Con questo obiettivo vengono, allora, inviati
in Occidente contingenti militari alla guida di Lachete e di Careade, prima, di Pitodoro,
Sofocle ed Eurimedonte, poi;32 tuttavia, dal racconto sostanzialmente concorde di
Tucidide33 e di Diodoro34 relativo agli scontri in atto si evince in modo inequivocabile
che la presenza attica nell’isola si risolve nel 424 a.C. in un nulla di fatto, tanto che a
Gela, città simbolo della ritrovata solidarietà e della politica pansiceliota di Ermocrate
siracusano,35 protagonista indiscusso della pagina tucididea,36 si arenano le velleità di
Atene nell’isola e si infrange, se pur ancora non in modo definitivo, ogni ambizione di
conquista territoriale proprio su richiesta di quei centri calcidesi, Catanesi per Giustino,37
Leontinii per Diodoro,38 che ne avevano invocato l’intervento.
La componente catanese è ancora protagonista, quantomeno nel testo
dell’epitomatore di Trogo,39 di una folkloristica delegazione ad Atene, dai tratti surreali e
dagli accenti drammatici, costituita da ambasciatori sui generis che, vestiti a lutto e
trasandati nella barba e nei capelli, commuovono gli Ateniesi raccolti in assemblea e
collaborano alla condanna degli strateghi, probabilmente Pitodoro, Sofocle ed
Eurimedonte nel 423 a.C., se la lettura e la cronologia della Burelli Bergese si rivelassero
attendibili.40 Si tratta di un luogo estremamente controverso che, pur se inserito in una
ricostruzione evenemenziale farraginosa, sembra confermare la tendenza alla reciprocità
nelle relazioni in atto fra i centri calcidesi dell’isola e la capitale attica negli anni
precedenti al grande intervento del 415 a.C. A dispetto di una tradizione storica oscura,
la notizia di una delegazione catanese ad Atene in questa contingenza storica potrebbe
trovare, comunque, una raison d’être proprio nel mutato scenario politico isolano
posteriore all’allontanamento improvviso degli Ateniesi e nel viaggio di Feace ormai
prossimo; tuttavia, la presenza dei Catanesi, laddove sarebbe più opportuna quella dei
31
Diod. XII 53.
Ancora valide le valutazioni per il primo intervento ateniese nell’isola di H.D. Westalke,
Athenian Aims in Sicily 427-424 B.C., « Historia» IX (1960), 385-402.
33 Thuk. III 86 ss. a cui va aggiunto un frammento papiraceo di Filisto (FGrHist. 577 F 2) nel
quale si attestano operazioni militari a Catania. Per la lettura del papiro vd. Scuccimarra, Note, cit., 30 ss.
34 Diod. XII 54.
35 Per un resoconto dettagliato e per una disamina particolareggiata sulla figura di Ermocrate vd.
soprattutto Grosso, Ermocrate, cit., 102-143; G. Fontana, Alcune considerazioni su Ermocrate siracusano, in
Scritti sul mondo antico in memoria di F. Grosso, Roma 1981, 151-163; M. Sordi, Ermocrate di Siracusa: demagogo e
tiranno mancato, ibid., 595-600.
36 Thuk. IV 58 ss. riporta l’arringa pronunciata da Ermocrate davanti al parterre siceliota. Per un
profilo di Ermocrate vd. ancora un frammento di Timeo (FGrHist 566 F 22) trasmesso da Polibio.
37 Iust. IV 3, 7.
38 Diod. XII 54, 7.
39 Iust. IV 4, 1.
40 Burelli Bergese, Catanienses, cit., 70.
32
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,41 finisce con il costituire un interrogativo al quale il moderno
studioso difficilmente può sottrarsi.
D’altra parte, al di là di questa isolata attestazione, è sufficientemente
documentato da Tucidide42 ed in parte da una controversa tradizione diodorea43 che
l’epilogo del conflitto a vantaggio dell’antagonista siracusano se risolve, da un lato, le
ostilità in atto fra la realtà dorica e quella calcidese dell’isola, acuisce, dall’altro, le
contraddizioni politiche e sociali interne a Leontini.44 Nell’apoikia siceliota, divisa da una
sorta di dicotomia sociale fra un’anima conservatrice (dynatoi) e una democratica (demos),
si avvia, infatti, un processo che punta all’estensione della cittadinanza e alla
ridistribuzione dei possessi fondiari; la riforma agraria di impronta palesemente
democratica suscita l’intolleranza dei dynatoi che, attraverso l’intervento di Siracusa,
chiedono ed ottengono l’allontanamento del demos dalla città. Tuttavia, in seguito alla
diaspora dei Leontinii i dynatoi abbandonano il centro, divenuto ormai, attraverso un
sinecismo per dirla con Moggi,45 parte dello stato siracusano, e, trasferitisi a Siracusa,
ricevono la cittadinanza; dal centro dorico ancora i dynatoi si ritirano a Focee e a Bricinne
da dove, riunitisi con il popolo espulso, iniziano la guerra contro i Siracusani. In questa
contingenza storica, sembrerebbe affondare, dunque, le sue radici l’intervento di Feace,46
almeno secondo quanto attestato da Tucidide47 che ne costituisce l’unica fonte;
l’Ateniese, infatti, con l’obiettivo dichiarato di salvare i
e di
ricomporre la frattura interna al centro, che investe ormai i precari equilibri interstatali
con il centro dorico, punta soprattutto a ricostituire una coalizione filoateniese ed
antisiracusana disgregatasi in seguito alla risoluzione antiateniese e filosiracusana del 424
a.C.
Se l’individuazione dell’Ateniese per il delicato incarico diplomatico in Italia e in
Sicilia trova soprattutto una sua ragion d’essere nei pregressi legami di ospitalità e di
prossenia che lo legavano all’Occidente greco, come attestato da Diodoro,48 da un
epigramma di Dionigi Calco49 e dall’Erissia ps-platonico,50 non è da escludere che anche
41
Scuccimarra, Sui rapporti, cit., 26, n. 39.
Thuk. V 4-5.
43 Diod. XII 54, 7; 83, 1.
44 Per le contraddizioni sociali e politiche di Leontini vd. A. Passerini, Riforme sociali e divisioni di
beni nella Grecia del IV secolo a.C., «Athenaeum» VIII (1930), 273-298, 277; M. Moggi, I sinecismi interstatali
greci, Pisa 1976, 206 ss.; M. Dreher, La dissoluzione della polis di Leontini dopo la pace di Gela (424 a.C.), «ASNP»
s. III, XVI (1986), 637-660 con particolare attenzione ad un’analisi comparata fra la tradizione tucididea e
quella diodorea; S. Berger, Great and Small Polis in Sicily: Syracuse and Leontinoi, «Historia» XL (1991), 129142, spec. 135-137; R. Vattuone, ‘Metoikesis.’ Trapianti di popolazioni nella Sicilia greca fra il VI e il IV secolo
a.C., in M. Sordi (a cura di), Emigrazione e immigrazione nel mondo antico, CISA XX, Milano 1994, 85-95;
Vanotti, Leontini, cit., 99-102.
45 Moggi, Sinecismi, cit., 208-209.
46 Per un profilo di Feace vd. soprattutto S. Cataldi, I proponenti del trattato fra Atene e Segesta e le
correnti politiche ateniesi, «Kokalos» XXVIII (1992), 3-31, spec. 7 ss.; G. Vanotti, La carriera politica di Feace, in
L. Braccesi (a cura di), Hesperìa 5. Studi sulla grecità d’Occidente, Roma 1995, 121-143; M. Giangiulio, Atene e
la Sicilia occidentale dal 424 al 415 a.C., in Seconde Giornate Internazionali di Studi sull’Area Elima, Atti del
Convegno (Gibellina, 1994), Pisa-Gibellina 1997, 865-887; L. Piccirilli, Feace di Acarne riesaminato,
«Kokalos» XLI (1995), 3-19.
47 Thuk. V 4, 1-4.
48 Diod. XI 25, 3 in cui si attribuisce ad un omonimo Feace, architetto e curatori dei lavori ad
Agrigento, la ricostruzione della città voluta da Terone dopo Imera.
49 Dion. Chalc. fr. 4 Diehl=Athen. XV 669 a. Per l’identificazione fra Feace ed il vecchio amico
venuto da lontano vd. Vanotti, La carriera, cit., 127; Cataldi, I proponenti, cit., 8, n. 27; P. Cobetto Ghiggia,
Contro Alcibiade, Introduzione, testo critico, traduzione e commento, Pisa 1995, 43, n. 147.
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il suo lignaggio notoriamente aristocratico e la sua forma mentis di matrice rigidamente
sofistica, al di là delle riserve relative alle sue capacità dialettiche avanzate da una parte
della tradizione, abbiano costituito un requisito imprescindibile per il conseguimento
dell’importante incarico. Feace apparteneva, infatti, a quell’élite, costituita dai giovani
rampolli dell’Atene bene, che non lesinava risorse per la propria formazione retorica e
letteraria.51 D’altra parte, se la lettura del luogo di Platone condotta in precedenza si
rivelasse corretta,52 sarebbe tutt’altro che peregrina la congettura che anche Feace,
proprio durante il soggiorno ateniese del retore di Leontini e dell’accompagnatore Tisia,
avesse fatto parte del nutrito gruppo di accoliti e di adepti raccoltosi attorno al Siceliota
e, in via del tutto ipotetica, che, proprio in funzione di queste buone frequentazioni,
venisse individuato qualche anno dopo ad Atene quale arbitro ideale per sanare la
frattura interna all’apoikia calcidese. In questa chiave è presumibile, allora, che il suo
eloquio, affinato dalla ricercatezza dei sofisti, unito alla capacità di persuadere e di
orchestrare il consenso tipica di ogni ambasciatore, si rivelasse determinante per la
gestione della delicata missione siceliota; si tratta, comunque, di una lettura che, in
assenza di testimonianze probanti e dirimenti, è destinata, almeno per il momento, ad
essere relegata nel campo della ricostruzione congetturale.
Tuttavia, attraverso il luogo tucidideo in parte succitato,53 cerchiamo di
ricostruire le dinamiche del viaggio occidentale di Feace.54 L’Ateniese, dunque, con due
navi e due anonimi accompagnatori, prima della stagione del mare clausum, segue la rotta
convenzionale che attraverso lo Ionio collega la Grecia all’Occidente greco, e, con una
navigazione di cabotaggio, costeggia la Magna Grecia e la parte orientale dell’isola.
Dopo aver ormeggiato a Catania la nave, la delegazione ateniese procede verso
Camarina che, insofferente per sua natura al giogo dorico, accoglie le proposte di Feace
ed avalla, ancora una volta dopo il 427 a.C., una coalizione contro Siracusa.
Anche Agrigento, raggiunta via mare, segna, probabilmente per pregressi
rapporti di ospitalità con Feace, un nuovo traguardo positivo. Tuttavia, la missione si
arena davanti alle resistenze di Gela, inducendo l’Ateniese a sospendere bruscamente
l’operazione diplomatica e a riprendere la strada del ritorno; il centro rodio, già sede del
congresso del 424 a.C., si mantiene coerente con la precedente svolta filosiracusana
respingendo la prospettiva di una coalizione contro la città dorica. La missione, dunque,
si avvia all’epilogo. Il percorso di ritorno si svolge per via di terra, attraverso l’enclave
sicula, da dove Feace, dopo essere passato a rassicurare gli abitanti di Bricinne,
raggiunge Catania e probabilmente la sua nave.
La delegazione arriva in Magna Grecia dove, come lascia presumere Tucidide,55
l’Ateniese era già stato in precedenza; il soggiorno italiota registra, tuttavia, un
significativo successo con i Locresi che, notoriamente vicini a Siracusa e già ostili agli
Ateniesi in occasione della pace di Gela, accettano, probabilmente a causa di una
50
Ps-Plat. Eryx 392 a. in cui si attestano frequentazioni siceliote di Erasistrato, nipote di Feace.
Qualche ragguaglio sul contesto sociale di Feace in Giangiulio, Atene, cit., 869, 883 nn. 23-24
ivi ulteriore bibliografia.
52 Vd. supra, n. 27.
53 Thuk. V 4, 5-6; 5, 1-3.
54 Per la missione di Feace vd. S. Settis, Una testa di Medma da Atene a Ginevra, in
Nuove ricerche e studi sulla Magna Grecia e la Sicilia antica in onore di P.E. Arias, II, Pisa 1982, 393-403; C.
Ampolo, Gli Ateniesi e la Sicilia nel V secolo a.C. Politica e diplomazia, economia e guerra, «Opus» XI (1992), 2536.
55 Thuk. V 5, 1.
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Bartolina Orlando, Da Gorgia a Feace. Guerra e diplomazia nella Sicilia di fine V secolo a.C.
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situazione di ostilità latente e di tensione locale con Messina, Ipponio e Medma,56 le
profferte di Feace.
Si registrano, dunque, esiti provvisori e precari [Camarina ed Agrigento
(Catania?) in Sicilia e Locri in Magna Grecia] che si rivelano incapaci di sortire effetti
concreti e durevoli sia sul piano politico che su quello militare; il bilancio dell’ambasceria
è, infatti, mediocre poiché si tratta di risultati parziali e temporanei, nel solco di quella
svolta filosiracusana che già qualche anno prima aveva indotto gli Ateniesi a lasciare
l’isola.
A questo punto il confronto fra il noto luogo tucidideo e la chiusa della Contro
Alcibiade dello ps-Andocide,57 nel caso in cui Feace venga identificato con l’anonimo
oratore che pronuncia il discorso, si profila, pertanto, quale inevitabile per il moderno
studioso. L’Ateniese, coinvolto in una procedura di ostracismo, pronuncia fittiziamente
la sua difesa a detrimento di Alcibiade58 e, nel tentativo di indirizzare verso quest’ultimo
l’esilio decennale, ripercorre i suoi trascorsi privati e pubblici. In questa chiave va,
dunque, letta la chiusa del discorso,59 in cui l’oratore, richiamando i successi diplomatici
maturati durante la sua carriera, allude, se pur en passant, al medesimo accadimento e
delinea il profilo dell’ambasciatore perfetto. Leggiamo insieme il passo:
«Voglio ora ricordarvi il mio passato: fui ambasciatore in Tessaglia, in
Macedonia, in Molossia, in Tesprozia, in Italia e in Sicilia e là vi riconciliai chi vi
era ostile, altri vi resi amici, altri ancora allontanai dai vostri nemici. Se questo
fosse stato il comportamento di tutti gli ambasciatori vi rimarrebbero pochi
nemici e avreste molti alleati.» (Trad. S. Feraboli)
Quanto riportato dalla chiusa,60 pur se riferito anche ai successi diplomatici
conseguiti in Tessaglia, Macedonia, Molossia e Tesprozia (dove le frequentazioni di
Feace sono, comunque, attestate e sufficientemente documentate) e non solo a quelli
maturati in Sicilia e in Magna Grecia, suona come un palese tentativo dell’oratore di
alterare il significato reale della missione e di presentare un traguardo diplomatico
mediocre quale risultato di rilievo.
La delegazione, infatti, secondo il dettagliato resoconto tucidideo,61 pur
approdando a qualche esito parziale e temporaneo, oscurato di fatto dallo scarso
successo finale, si connota soprattutto in Sicilia quale mediocre, tanto da indurre Feace,
davanti alle resistenze di Gela, ad abbandonare l’isola e gli abitanti di Leontini, ormai
dispersi, al loro destino. D’altra parte, al di là del fatto che le riflessioni sull’abilità di
Feace siano relative a tutte le località menzionate o solo all’Italia e alla Sicilia citate per
ultime secondo un ordine che probabilmente non riflette quello cronologico, la chiusa
dell’orazione62 presenta indubbiamente anche la missione occidentale quale frutto di una
indiscussa capacità politica e diplomatica e l’Ateniese quale modello per tutti gli altri
ambasciatori. Si tratta, tuttavia, di una requisitoria, ascrivibile con buona probabilità al
56
Settis, Una testa di Medma, cit., 395 ss.
Ps-And. IV 42.
58 L’orazione, accolta nel corpus andocideum, è considerata da parte della critica, da una parte,
autentica e coeva alle vicende esposte e, dall’altra, fittiziamente ambientata e riconducibile ad un contesto
cronologico posteriore; si pronunciano per queste ipotesi rispettivamente F. Gazzano, Contro Alcibiade,
Genova 1995 e Cobetto Ghiggia, Contro, cit., con approfondita rassegna bibliografica.
59 Ps-And. IV 42.
60 Ibid.
61 Thuk. V 4-5.
62 Ps-And. IV 42.
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debutto del IV secolo a.C. e fittiziamente ambientata nell’ambito di una procedura di
ostracismo, secondo una linea difensiva tesa, da un lato, ad idealizzare, a dispetto di
Alcibiade, la figura dell’oratore e, dall’altro, a volgerne in positivo tutti i trascorsi
personali e politici attraverso una disinvolta rilettura degli accadimenti storici di V secolo
a.C. Le parole dell’ oratore si scontrano, infatti, con la ricostruzione événementielle di una
tradizione storica63 che presenta, in occasione del grande intervento del 415 a.C., città
quali Camarina e Catania in Sicilia, Locri in Magna Grecia, ostili nei confronti degli
Ateniesi.
L’ obiettivo antisiracusano di Feace non viene, dunque, pienamente raggiunto e
si arresta proprio a Gela nell’alveo di quella tendenza che già nel 424 a.C. aveva
vanificato la presenza ateniese nell’isola, animosamente caldeggiata da Gorgia. In
entrambi i casi, nonostante le indubbie capacità diplomatiche e l’impegno profuso dal
sofista di Leontini, prima, e da Feace di Acarne, poi, per avallare un’interferenza di
Atene nell’affaire siceliota, le velleità metropolitane, mal celate dietro al motivo
pretestuoso della syngheneia, si scontrano e si infrangono davanti alla resistenza
siracusana, prodromo di una tendenza che, fra qualche anno, si profilerà in modo più
chiaro.
D’altra parte, con l’inaspettato epilogo della missione di Feace fallisce anche «il
tentativo di restituire un’identità civica ai Leontini»64 che vengono, da un lato, assorbiti
dallo stato siracusano, dall’altro, dispersi in altri centri sicelioti; ci si riferisce, in
particolare, agli esuli democratici che, riparati in territorio elimo secondo la Giuffrida,65
prenderanno parte, proprio insieme ai delegati segestani, alle ambascerie del 416 a.C.
(418 a.C.?) ad Atene. Tuttavia, il motivo pretestuoso di ristabilire in patria i Leontinii
della diaspora, lungi dall’esaurirsi con Feace, finisce – quantomeno nella propaganda
ateniese – per diventare uno slogan ricorrente e per costituire il Leitmotiv delle trattative
diplomatiche, prima, e delle campagne nell’isola, poi,66 come si evince, in modo
inequivocabile proprio dalle pieghe del puntuale resoconto tucidideo67 relativo al grande
conflitto del 415 a.C.
Bartolina Orlando
Università degli Studi di Palermo
Dip. di Beni Culturali
Viale delle Scienze-Ed.12
Facoltà di Lettere e Filosofia
90128 Palermo
[email protected]
on line dal 23.05.2010
63 Thuk. VI 75 ss. e Diod. XIII 4, 2 attestano che Camarina non si schiera a fianco di Atene ed
ancora Thuk. VI 50-51 e Diod. XIII 4, 2 presentano una Catania ostile.
64 Vanotti, Leontini, cit., 101.
65 M. Giuffrida, Leontini, Catane e Nasso dalla seconda spedizione al 415 a.C., in
Miscellanea di studi classici in onore di E. Manni, IV, Roma 1980, 1139-1156.
66 Vattuone, ‘Metoikesis’, cit., 88; Vanotti, Leontini, cit., 101 ss.
67 Sono gli stessi abitanti di Leontini in Tucidide (VI 19) a perorare presso gli Ateniesi la causa
del loro rientro in patria.
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