Home / Spazio/ Speciali Viaggio ai confini del sistema solare Storia di una scoperta spaziale L’esistenza di un pianeta oltre l’orbita di Nettuno era stata prevista fin dagli anni Quaranta dell’Ottocento. Gli astronomi dell’epoca, infatti, pensavano che ci fosse un altro grande pianeta ancora sconosciuto, situato ai margini del Sistema Solare, responsabile delle perturbazioni e delle alterazioni alle orbite di Urano e Nettuno. Complessi calcoli matematici basati sulla massa nota di Nettuno indicavano, infatti, che la sua orbita, così come quella del vicino Urano, non corrispondeva perfettamente alle previsioni sul moto dei corpi del Sistema Solare. La caccia al nono pianeta si scatenò seriamente a partire dal Novecento. Percival Lowell, astronomo fondatore (1894) e direttore dell'Osservatorio di Flagstaff (Lowell Observatory), in Arizona, dedicò gli ultimi otto anni della sua vita alla ricerca del Pianeta X, espressione utilizzata per indicare un pianeta al di là di Nettuno. Lowell morì nel 1916, senza essere riuscito a dimostrare l’esistenza del pianeta mancante. Bisognerà attendere ancora 14 anni e più precisamente il 18 febbraio 1930 per dimostrare l’esistenza del Pianeta X. Quel giorno il ventiquattrenne Clyde Tombaugh era intento ad osservare corpi celesti con il comparatore a intermittenza, uno strumento che permette di confrontare immagini del cielo ottenute in momenti diversi. Clyde Tombaugh, agricoltore del Kansas con una grande passione per l’astronomia, pur non avendo mai compiuto studi formali in materia, aveva ottenuto un lavoro presso il Lowell Observatory grazie a dei disegni di Marte e Giove, che aveva realizzato con l’uso di un telescopio da lui costruito utilizzando pezzi di vecchie macchine agricole. Clyde Tombaugh con il telescopio da lui costruito utilizzando pezzi di vecchie macchine agricole. Crediti: NASA - Via Wikimedia Commons Il compito di Tombaugh era quello di trovare oggetti in movimento comparando le diverse immagini: infatti, un corpo celeste, ad esempio un pianeta, che ha percorso una certa distanza nell’arco di tempo compreso tra la cattura delle diverse immagini, sembrerà muoversi rispetto allo sfondo delle stelle fisse, passando da una fotografia all’altra. Niente di più semplice! Invece il lavoro di Tombaugh era tutt’altro che facile, per scoprire Plutone si consumò gli occhi per oltre sei mesi a scandagliare fotografie del cielo in cerca di un puntino in movimento tra milioni di corpi celesti. Dopo alcune Home / Spazio/ Speciali settimane di controlli, il 13 marzo fu annunciata ufficialmente la scoperta del Pianeta X. Mancava soltanto un nome: all’Osservatorio arrivarono numerose lettere dai fan del nuovo pianeta e inizialmente il nome candidato sembrò essere Minerva. Poi l’undicenne Venetia Burney suggerì di chiamarlo Plutone, come la divinità romana dell’oltretomba. Un nome forse un po’ oscuro e avvolto da mistero, ma che sicuramente era appropriato per un pianeta ai margini del Sistema Solare. Plutone e Caronte (il corpo celeste più piccolo) a confronto con la Terra. Crediti: Nasa Il regno dell'oltretomba di Plutone si è poi arricchito nel corso degli anni con la scoperta di nuovi corpi celesti che orbitano intorno a lui. Il 22 giugno 1978 James Christy e Robert Harrington, dall'Osservatorio Navale americano Flagstaff Station, scoprirono una piccola protuberanza sul disco di Plutone presente periodicamente nelle lastre fotografiche che lo ritraevano: si trattava di Caronte (nome del traghettatore delle anime dei defunti nell'Ade), uno dei satelliti di Plutone. Nell’ottobre 2005 gli scienziati della Johns Hopkins University di Baltimora (USA) annunciarono la scoperta di due nuove lune: Notte e Idra. Nel 2011 e nel 2012 furono individuati altri due satelliti, Stige e Cerbero, grazie alle attente osservazioni di Hubble. Tutti i nomi scelti hanno affinità con il regno dei morti: Idra è il serpente a più teste guardiano dell'oltretomba, insieme al cane policefalo Cerbero; Notte è un'antica divinità che dimorava nell'Ade; Stige è uno dei cinque fiumi infernali. Il passaggio da pianeta a pianeta nano Il 29 luglio 2005 la posizione del pianeta Plutone cominciò a scricchiolare. Infatti, Mike Brown del California Institute of Technology scoprì Eris (dal nome della dea greca della discordia), un pianeta nano ghiacciato che si trova nella fascia di Kuiper, una regione situata oltre l’orbita di Nettuno, costituita da migliaia di piccoli corpuscoli ghiacciati, residui della formazione del Sistema Solare. Eris è un oggetto delle dimensioni simili a quelle di Plutone, anzi all’inizio appare più grande, tanto che nell’astronomo comincia a sorgere il dubbio se Plutone sia effettivamente un pianeta come gli altri. In realtà questo dilemma risale agli anni Settanta, quando furono messe a punto tecniche più raffinate per stimare la massa e la dimensione dei corpi celesti. A ogni nuova misurazione, Plutone risultava essere sempre meno simile a un pianeta canonico, diventando di volta in volta più piccolo. Nel 1992 David Jewitt e J. Luu dell'Università delle Hawaii scoprirono Home / Spazio/ Speciali uno strano oggetto, ribattezzato 1992 QB1, un piccolo corpo celeste ghiacciato di dimensioni simili a un asteroide, in orbita attorno al Sole a una distanza pari a una volta e mezzo quella di Nettuno. QB1 è stato il primo indizio che altri oggetti simili a Plutone (per quanto riguarda la composizione di ghiaccio e roccia) popolavano le zone più esterne del Sistema Solare. Dal 1992 a oggi sono stati trovati quasi un centinaio di oggetti come QB1: questo sciame di corpi celesti è oggi conosciuto come Fascia di Kuiper, dal nome Gerard Kuiper, che per primo propose l'esistenza di tale cintura. Tornando a Eris, fu subito chiaro che o lo si doveva classificare come pianeta, oppure Plutone avrebbe dovuto essere riclassificato. Gli astronomi erano inoltre convinti che si potesse riuscire a scoprire altri oggetti delle dimensioni del nono pianeta e, quindi, il numero di pianeti con caratteristiche simili a Plutone sarebbe cresciuto rapidamente. La questione fu oggetto di un acceso dibattito durante la XXVI Assemblea Generale dell'Unione Astronomica Internazionale dell'agosto del 2006 che portò alla definizione di una nuova categoria di corpi celesti, i pianeti nani, creata ad hoc dagli astronomi per tener conto di ciò che l’esplorazione sistematica e continua del Sistema Solare sembrava evidenziare, ovvero che alcune caratteristiche di Plutone non sono solo una sua prerogativa, ma appartengono anche ad altri corpi che orbitano intorno al Sole. A partire dal 24 agosto 2006 l’immagine che avevamo del nostro Sistema Solare, costituito da nove pianeti, è cambiata e Plutone è stato “declassato” a pianeta nano. Ma quali sono dunque le differenze tra pianeta e pianeta nano? Per definire un pianeta si utilizza il fatto che la gravità, essendo una forza centrale (Forze centrali sono definite quelle forze che agiscono su un corpo in modo che la loro retta d’azione sia sempre diretta verso un punto ben definito dello spazio detto “centro” della forza), tende a costituire corpi di forma sferica. Gli astronomi hanno deciso di chiamare pianeta quegli oggetti che orbitano intorno al Sole e che hanno massa sufficiente, e quindi gravità sufficiente, per avere una forma sferica e per aver “ripulito” la loro orbita da tutti i piccoli corpi nelle vicinanze. Plutone è sempre rientrato in questa categoria a fatica perché non soddisfaceva l’ultimo requisito, trovandosi all’interno della fascia di Kuiper. Ad oggi l’Unione Astronomica Internazionale riconosce cinque pianeti nani: Plutone, Cerere, Haumea, Makemake ed Eris. Una missione ai confini del Sistema Solare Dal giorno della sua scoperta, nel 1930, il pianeta nano Plutone è sempre rimasto al di fuori della nostra portata, la sua superficie avvolta da un mistero impenetrabile anche per i telescopi più potenti. Ed è proprio per svelare questi misteri e conoscere meglio i confini del nostro Sistema Solare che il 19 gennaio 2006 la Nasa ha lanciato da Cape Canaveral, in Florida, la sonda New Horizons in direzione di Plutone. Obiettivo della missione: compiere un flyby di Plutone e raggiungere la Fascia di Kuiper. Torniamo indietro al 2006 e seguiamo il viaggio effettuato da New Horizons prima di raggiungere Plutone. Il 7 aprile 2006 la sonda ha sorvolato Marte, a maggio ha raggiunto la fascia degli asteroidi, da cui ne è uscita in ottobre dello stesso anno. Si è poi diretta alla volta di Giove. Gli astronomi della Nasa avevano calcolato che per incontrare Giove la sonda sarebbe dovuta partire necessariamente entro i primi 23 giorni di gennaio. L’obiettivo era quello di utilizzare il potente campo gravitazionale del gigante gassoso come fionda gravitazionale, una tecnica di volo spaziale che utilizza la gravità di un pianeta per alterare il percorso e la velocità di un veicolo spaziale. L'incontro ravvicinato con Giove ha incrementato la velocità di New Horizons di circa 4 km/s, inserendo la sonda in una traiettoria più veloce verso Plutone e facendole risparmiare circa quattro anni di viaggio. Dopo il passaggio di Giove, New Horizons è entrata in uno stato di ibernazione, in cui è rimasta per quasi tutto il tempo restante del viaggio. Tutti gli strumenti sono stati spenti per risparmiare energia, la sonda si limitava ad un rapporto settimanale sulle condizioni generali ed uno quindicinale con dati telemetrici. Dopo aver oltrepassato l’orbita di Saturno nel 2008, di Urano nel 2011 e di Nettuno nel 2013, il 6 dicembre 2014 New Horizons è stata risvegliata dall’ultima ibernazione e ha iniziato le operazioni di approccio a Plutone. A causa della velocità di arrivo e della scarsa attrazione gravitazionale del pianeta nano, la missione non prevedeva l’entrata in orbita (sarebbe occorsa una “frenata” che il motore non avrebbe potuto effettuare), ma un semplice flyby, avvenuto con successo il 14 luglio 2015 alle 13:49.57 ora italiana. Dopo il passaggio di Plutone, la sonda continuerà il suo viaggio verso la Fascia di Kuiper. Come è fatta New Horizons? New Horizons è grande quanto un pianoforte e pesa 478 kg. E’ dotata di alcuni sofisticati strumenti, in grado di studiare Home / Spazio/ Speciali la composizione dell'atmosfera di Plutone, di riprendere immagini ad alta risoluzione attraverso le quali si potrà ricostruire la geologia e la morfologia di Plutone e Caronte, di analizzare la ionosfera e le particelle cariche, di osservare i quattro satelliti minori Stige, Notte, Cerbero e Idra e molto altro ancora. Scopriamoli in dettaglio: • LORRI (Long Range Reconnaissance Imager) è una fotocamera digitale ad alta risoluzione che lavora nel campo del visibile e permetterà di ottenere una mappatura dettagliata della superficie di Plutone e Caronte. • SWAP (Solar Wind Around Pluto) ha il compito di raccogliere informazioni sull’interazione di Plutone con il vento solare, il flusso di particelle cariche emesso dal Sole. • PEPSSI (Pluto Energetic Particle Spectrometer Science Investigation) è uno spettrometro che ha il compito di misurare la composizione e la densità del plasma (ioni) intorno all’atmosfera di Plutone. • Alice, uno spettrometro per l’ultravioletto progettato per catturare le firme spettrali (Ogni superficie riflette la radiazione in maniera differente in funzione della lunghezza d’onda. Questa radiazione viene chiamata firma spettrale della superficie) caratteristiche dei diversi elementi presenti e di misurare temperatura e pressione in funzione dell'altitudine, ha il compito di caratterizzare l’atmosfera di Plutone e scoprire se Caronte ne possiede una. • SDC (Student Dust Counter) ha il compito di andare a caccia di polveri, cioè dei microscopici grani di materiale proiettati nello spazio in seguito a collisioni tra asteroidi, comete e anche oggetti della Fascia di Kuiper durante il lungo viaggio di New Horizons. • Rex (Radio Science Experiment) è un radiometro passivo che ha il compito di raccogliere le emissioni radio della superficie di Plutone per ricavare informazioni sulle differenze di temperature e la composizione atmosferica. • Ralph è uno spettrometro che lavora nel campo del visibile e del vicino infrarosso, che rappresenta gli “occhi” di New Horizons.