Omelia Secondi Vespri Epifania per inizio clausura papale

Omelia di mons. Dante Lafranconi
Vescovo di Cremona
Cattedrale di Cremona
6 gennaio 2011
Pontificale nella solennità
dell’Epifania del Signore
DALLA LUCE DELLA STELLA ALLA LUCE DELLA FEDE
Durante questo tempo di Natale abbiamo più di una volta ascoltato il testo del Vangelo di Giovanni che
afferma: “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo”. In effetti il Natale ha
concentrato la nostra attenzione su questo evento: la luce vera venuta nel mondo. Oggi siamo in un certo
senso sollecitati a cogliere le conseguenze di questo fatto, di questa luce illumina ogni uomo.
I magi, protagonisti del Vangelo appena proclamato (Mt 2, 1-12), sono dei modelli di persone illuminate. Il
loro percorso, che li ha condotti a riconoscere e adorare il Signore Gesù, è paradigma del percorso
dell’uomo che cerca e desidera di essere illuminato da Cristo: questi misteriosi saggi dell’Oriente sono
stati condotti dalla luce della stella alla luce della fede. Ripercorriamo, dunque, il loro itinerario per
cogliere delle sollecitazioni per la nostra vita.
Alla ricerca della verità
Il loro cammino inizia dopo aver osservato una stella, una realtà che rientra nell’ordine naturale delle
cose. Il misterioso astro ha acceso in loro la voglia di ricercare qualcosa, il desiderio di trovare una
risposta a quegli aneliti più profondi che, come ogni uomo, conservano nel cuore. È bello che non
abbiano chiuso gli occhi o liquidato affrettatamente le aspirazioni che il misterioso segno celeste aveva
suscitato in loro: se è vero, infatti, che Dio viene incontro all’uomo per farsi conoscere è altrettanto vero
che l’uomo deve tenere aperti gli occhi della sua intelligenza e del suo cuore per scorgere il suo arrivo.
A Gerusalemme la stella scompare dai loro occhi: questo fatto, però, non li fa desistere o tornare indietro,
anzi si danno da fare per continuare il loro percorso alla ricerca della verità. A chi chiedere indicazioni se
non agli esperti di quel paese? Così i Magi si rivolgono a Erode e attraverso di lui interrogano i sapienti di
corte che, consultate le Scritture, individuano in Betlemme il luogo della nascita del Re dei Giudei. Avuta
questa risposta i Magi si rimettono in cammino: in quel momento ricompare la stella, che li conduce
esattamente nel luogo dove si trova il Signore Gesù. Il Vangelo termina la narrazione dicendo che essi
“prostratisi lo adorarono”.
Nella grotta di Betlemme, dunque, si conclude il percorso che li ha condotti dalla luce della stella alla
luce della fede, cioè a quella luce che ha permesso loro di riconoscere in quel bambino il Salvatore
dell’umanità. È interessante notare che proprio questi personaggi riconoscono il Figlio di Dio: loro che
non hanno avuto un’educazione secondo la tradizione del popolo d’Israele, loro che non conoscono le
profezie e che ignorano il Dio che si è rivelato attraverso Abramo e i profeti.
Non tutto ciò che è vero è sperimentabile
Noi tutti avvertiamo l’appello al bene, il desiderio della verità, il gusto di ciò che è bello: si tratta di
bisogni naturali, rispondenti alla natura dell’uomo. Essi corrispondono, in qualche maniera, alla luce della
stella che ha dato inizio al cammino dei saggi d’Oriente: sono proprio questi desideri che spingono
l’uomo verso la ricerca dell’assoluto, del trascendente, del bene nella sua pienezza, della gioia che non ha
fine, della promessa garantita dalla fedeltà di Dio.
Nel nostro tempo spesso anche persone che si professano cristiane, che non hanno assolutamente rifiutato
Dio, hanno, però, la tentazione di relegarlo nel mondo dell’immaginario, dell’inconoscibile. Il Papa in un
recente discorso sosteneva che «anche oggi ci sono uomini che non escludono semplicemente l’esistenza
di Dio, ma la considerano come qualcosa di insicuro, che non ha alcun ruolo essenziale nella propria vita.
Veramente reale appare a questi uomini ciò che è empirico, ciò che è materialmente afferrabile. È questa
la realtà secondo cui ci si orienta: il reale è ciò che è afferrabile, sono le cose che si possono calcolare».
Dio, la fede, la religione, pur rientrando tra quei valori di cui l’animo umano ha bisogno, proprio perché
non sono afferrabili secondo i cliché della conoscenza empirica spesso vengono, se non rinnegati,
certamente relegati nel mondo della fantasia e dell’irraggiungibile. L’esperienza dei Magi, invece, ci
insegna a non chiudere gli occhi sui bisogni interiori che ciascuno porta dentro di sé così che la ricerca
della verità si protragga anche al di là di quello che è materialmente sperimentabile.
Ai tanti cristiani che, pur non avendo rinnegato il loro battesimo e rifiutato la fede, si mostrano così
guardinghi, estremamente cauti nell’accedere al Signore Gesù e nel riconoscere la sua parola come vera e
autentica vorrei dire: non chiudete gli occhi, non eliminate sbrigativamente ciò che il vostro cammino di
iniziazione cristiana vi ha fatto conoscere! Siate saggi come i Magi che cercano, che affrontano
l’itinerario interiore alla ricerca di una verità certa e sicura anche se non del tutto comprensibile alla
ragione umana.
L’intimo appello della coscienza
Mi verrebbe anche da chiedermi – ed è la seconda riflessione che mi suggeriscono i Magi – che cosa li ha
resi così convinti nel percorrere il loro cammino anche quando la stella scompare dai loro occhi. Credo
che la risposta risieda nell’onestà della loro ricerca e nel desiderio profondo che guidava la loro
coscienza: tutto ciò non li ha fermati di fronte alle difficoltà. La stessa esperienza accade anche a noi: ciò
che la ragione ci dice e ciò che il cuore ci ispira non è sufficiente per farci capire determinate situazioni,
come il dolore, le catastrofi naturali o l’odio dell’uomo che dissennatamente distrugge altri uomini.
Proprio davanti a questi fatti la luce della nostra ragione si oscura e i sentimenti del nostro cuore si
smarriscono: è ciò che succede ai Magi quando la stella scompare dal cielo. A sostenere il loro cammino,
così come il nostro, c’è solo l’intimo appello della coscienza a cercare a ogni costo la verità. Ma qui
entriamo in un ambito molto delicato: spesso quando si parla di coscienza si intende qualcosa di
estremamente soggettivo, labile, individuale, mentre la coscienza è quanto di più nobile l’uomo possieda,
è l’istanza suprema nella ricerca della verità. Vorrei citare ancora alcune parole del Papa, pronunciate
dinanzi alla Curia Romana durante la presentazione degli auguri natalizi: «Coscienza significa la capacità
di verità dell’uomo. La capacità di riconoscere proprio negli ambiti decisivi della sua esistenza, quali
sono gli ambiti della religione e della morale, la verità. La coscienza, la capacità dell’uomo di riconoscere
la verità, gli impone con ciò al tempo stesso il dovere di incamminarsi verso la verità, di cercarla, di
sottomettersi a essa, laddove la incontra. Coscienza è capacità di verità e obbedienza nei confronti della
verità che si mostra all’uomo quando cerca con cuore sincero».
Inondati dalla gioia della verità
Dalla vicenda dei Magi impariamo anche noi a perseguire ciò che la profondità del nostro animo interiore
ci sollecita: la ricerca della verità senza stancarci, della luce vera che è Cristo. Noi non possiamo che
godere profondamente di questa conoscenza: è questa, in fondo, la nostra condizione di cristiani, questo è
il bello della nostra fede. Noi siamo i privilegiati ai quali il Signore ha voluto manifestare se stesso e,
grazie alla rettitudine di una coscienza che non ha disdegnato di cercarlo e di conoscerlo sempre più
profondamente, la nostra vita è stata inondata dalla bellezza e della gioia della verità. Questa nostra
condizione è in qualche maniera riflessa nella prima lettura (Is 60, 1-6), un brano stupendo che descrive
Gerusalemme, e quindi la Chiesa, come una comunità illuminata dal Signore, traboccante della sua
grazia, nel pieno godimento di ciò che ha ricevuto; un godimento, però, che la città non tiene solo per se
stessa, ma che comunica agli altri. Diceva un giorno Gesù: «Non si accende una lucerna per metterla sotto
il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa» (Mt 5, 15): questa è la
dignità di noi cristiani, questa è la grazia che il Signore ci ha fatto! Non teniamo nascosta la nostra luce,
non celiamo il bene che abbiamo ricevuto dalla Chiesa, dal cammino in cui Dio ci ha seguito passo passo
per portarci poi all’approdo di una conoscenza vera, intima e convinta della sua Parola. Se oggi si alza
spontaneo il ringraziamento per il dono della fede, fiorisca anche l’impegno di essere testimoni di questa
luce, senza presunzioni, ma con estrema umiltà.
Il testo, ripreso dalla registrazione, non è stato rivisto dall’Autore
e conserva pertanto il tono discorsivo della parola viva