Ilaria Castagno
Ricerca di storia
Anno scolastico 2003-2004
BONIFACIO VIII
L’EPOCA DI BONIFACIO VIII
• La lotta tra Impero e Papato nella seconda metà del XIII sec. La crisi di due istituzioni.
Mentre nell’Italia meridionale (Regno di Sicilia) si costruivano le strutture di una compagine
accentrata, nell’Italia settentrionale (Regno d’Italia) si accentuava l’autonomia comunale che da
tempo insediava l’autorità del potere imperiale: le alimentava anche il papato, sempre timoroso di
un’unione di tutta l’Italia sotto la corona sveva, che avrebbe inevitabilmente soffocato la Chiesa e
compromesso la sua libertà d’azione.
Lo scontro fu scatenato da Enrico VII ,figlio cui Federico II aveva affidato il regno di Germania,
contro il suo stesso padre; il primo infatti sosteneva che la politica del padre, totalmente incentrata
sulla Sicilia, nuoceva la stabilità del potere imperiale in Germania. Federico domò senza troppi
problemi la rivolta del figlio, nonostante l’alleanza di quest’ultimo con la Lega Lombarda.
La vittoria fu confermata nel 1241 con la sconfitta della flotta genovese, filo-papale, che stava
trasportando a Roma i vescovi francesi convocati da papa Gregorio per un Concilio che avrebbe
dovuto deporre l’imperatore: molti prelati annegarono, i rimanenti furono catturati.
Papa Gregorio morì lo stesso anno, ma il suo successore, Innocenzo IV, convocò immediatamente
un Concilio a Lione (1245), scomunicò l’imperatore proclamando inoltre una crociata contro di lui.
In tutto l’impero si scatenarono tumulti e ribellioni, cessate per l’avvento dell’improvvisa morte
dell’imperatore.
Il contrasto fra Papato ed Impero provocò nei comuni italiani la lotta tra i loro rispettivi sostenitori,
denominati guelfi e ghibellini. Tale lotta, però, traeva origine non tanto da motivi ideologici quanto
da preesistenti spaccature politiche interne al comune.
La politica audace del successore di Federico II, Manfredi, provocò la scomunica del papa il quale,
nel 1266, proclamò re di Sicilia Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia che pose fine alla dinastia
sveva.
Il nuovo dominio angioino fu particolarmente duro; fra l’altro una forte pressione fiscale fu fra le
cause della rivolta siciliana contro gli angioini che, con il passaggio dell’isola sotto il dominio
aragonese, spezzò l’unità dinastica del regno meridionale.
• Conflitto fra monarchia francese e Papato.
Alla fine del XII sec. i diretti possedimenti della monarchia francese erano assai modesti rispetto a
quelli dei grandi feudatari e ai feudi del re d’Inghilterra. Attraverso la riacquisizione del controllo
diretto di molte regioni e il potenziamento dell’amministrazione, Filippo II Augusto fece della
Francia una delle più forti monarchie dell’Occidente.
La necessità di accrescere le entrate finanziarie della corona, spinse il re di Francia Filippo IV il
Bello ad imporre decime al clero senza il consenso papale. Da ciò ebbe origine un duro e lungo
scontro tra il re ed il Papa Bonifacio VIII, scontro che coinvolse la questione della superiorità del
potere papale sul potere monarchico anche in campo temporale.
Bonifacio VIII decise di ricorrere alla sanzioni ecclesiastiche secondo lo stile di Innocenzo III:
lanciò la bolla Clericis laicos (25 febbraio 1296), con la quale vietò ai prelati francesi di
corrispondere le tasse al loro re e ai laici di imporre tasse agli ecclesiastici, pena la scomunica. Egli
pensava con ciò di guadagnare per sé tutti questi prelati che si erano sempre lamentati di venire
oppressi da eccessivi gravami fiscali, e al tempo stesso intendeva sottrarre al re i mezzi finanziari
affinché non venissero adoperati per le sue imprese guerresche contro l’Inghilterra.
Con ciò il papa interveniva da legislatore nelle sfere vitali di stati, che stavano diventando sempre
più coscienti della propria autonomia. Praticamente in seguito a questa deliberazione, i re nella
conduzione delle loro guerre sarebbero stati dipendenti dalla buona volontà del papa (che doveva
permettere di imporre tasse per la guerra).
Filippo il Bello rispose vietando qualsiasi esportazione di denaro dalla Francia all’Italia, venendo
così a paralizzare la maggior parte delle entrate finanziarie della Camera apostolica.
Bonifacio reagì il 20 settembre inviando al re Filippo IV un’aspra missiva, in cui lo accusava di
violare le libertà ecclesiastiche e gli ricordava che l’editto non conteneva nulla di nuovo: esso dava
al papa il diritto di difendere il proprio clero, ma non escludeva la possibilità di aiutare il re
concedendo l’imposizione di tasse speciali, tanto più che Bonifacio era sempre stato amico della
Francia. Lo scritto concludeva con la minaccia che il papa sarebbe stato costretto a ricorrere a mezzi
straordinari nel caso che la Francia non avesse ceduto. Per risposta in tutto, il territorio francese,
naturalmente per iniziativa della corte, fu avviata una propaganda che rimetteva polemicamente in
discussione i rapporti fra laici e clero all’interno della chiesa. Vi si affermava inoltre che la chiesa
francese, a causa dei suoi ricchi possedimenti provenienti dai laici, aveva particolari obblighi verso
la comunità “statale” e che le pene minacciate dalla curia erano da considerarsi illegali. Nello scritto
molto diffuso Disputatio inter clericum et militem si ammetteva che il potere secolare doveva
aiutare quello ecclesiastico, ma si contestava che da tutto ciò si arrivasse a concludere che il potere
ecclesiastico fosse superiore a quello secolare. Alla chiesa clericale si consigliava perciò un ampio
processo di spiritualizzazione: la sua vocazione era la diffusione della parola e l’amministrazione
dei sacramenti, la sua preoccupazione doveva essere il regno dei cieli e non quello della terra. Infine
la chiesa doveva aiutare il re, perché questi era preposto alla sua difesa.
In seguito a questa polemica le potenze politiche si disposero diversamente: le Fiandre, minacciate
dalla Francia, si allearono all’Inghilterra, i sovrani burgundi ripresero contatto con la Germania. In
simili circostanze la cosa più conveniente per la corona francese e per i suoi consiglieri sembrò
essere un accordo con il papa, non una guerra contro di lui. D’altra parte la perdita delle entrate
francesi paralizzava la politica della curia, per cui pure essa era favorevole ad un’intesa.
Bonifacio VIII finì col rievocare gli ordini dati: in interpretazione della legge allegata ad essa si
spiegava che le tasse versate dal clero spontaneamente non avevano bisogno di approvazione
pontificia e che in caso di necessità, se non ci si poteva rivolgere in tempo al pontefice, tale
approvazione poteva essere presupposta. Quando l’episcopato francese chiese a Bonifacio VIII di
approvare delle tasse speciali, questi lo concesse per un anno.
Il re di Francia non limitò la lotta solo sul piano dottrinale; infatti mobilitò tutta la popolazione a
sostegno della rivendicazione di autonomia del papato, e giunse a far imprigionare lo stesso
Bonifacio VIII.
La vittoria del re di Francia segnava la fine dell’epoca, testimoniando la decadenza del papato e il
carattere inarrestabile del rafforzamento delle grandi monarchie.
L’intesa tra Francia e papato dopo la morte di Bonifacio VIII condusse all’elezione di vari papi
francesi , che trasferirono la loro sede ad Avignone.
• La situazione della Chiesa nel XIII sec.
Nella prima metà del XIII sec. Innocenzo III sostenne, fin dall’inizio del suo pontificato, la dottrina
secondo la quale il potere spirituale e il potere temporale sono entrambi sottomessi all’ordinamento
divino, ma che il potere spirituale è più elevato come dignità ed estensione.
I due immediati successori di Innocenzo III continuarono questa politica ma senza sviluppare molto
la dottrina.
Con Innocenzo IV intervenne una differenza considerevole. Secondo lui Cristo aveva inaugurato, e
Pietro e i suoi successori avevano perpetuato, un nuovo stile di governo del mondo attraverso
un’autorità suprema; tutte le altre autorità, compreso l’imperatore, sono al di sotto del papa. Spetta a
quest’ultimo approvare l’elezione e la deposizione degli imperatori.
Innocenzo IV, però, utilizzò il potere spirituale soprattutto a vantaggio del papato stesso, della sua
politica, delle sue concezioni e dei suoi protetti.
I papi che succedettero tra Innocenzo IV e Bonifacio VIII non furono per la maggior parte né
canonisti di formazione né uomini politici di genio.
Tuttavia i canonisti continuarono a sostenere la superiorità del potere spirituale.
Infine, Bonifacio VIII spinse fino ai limiti estremi le pretese pontificie verso l’autorità temporale.
Ciò causò uno sfacelo che compromise la reputazione del papato per più di due secoli.
Infine, per concludere, nel XIII sec. vi fu la diffusione delle eresie. Il dilagare di questo fenomeno
comportò la creazione dell’Inquisizione da parte di papa Gregorio IX, che aveva il compito di
processare i possibili eretici.
La lotta contro le eresie non si valse solo di mezzi repressivi, ma seppe utilizzare alcune aspirazioni
dei movimenti religiosi popolari, trasformando tali movimenti in ordini religiosi ufficialmente
riconosciuti. Tipico il caso dei francescani, la cui predicazione si fondava sul rifiuto dei beni
materiali e sulla povertà assoluta.
Sempre in questo periodo si diffuse anche l’ordine dei domenicani che, particolarmente agguerriti
sul piano teologico, si impegnarono a combattere gli eretici.
• La Curia romana.
Nell’organizzazione della Curia l’epoca dei grandi papi giuristi (da Innocenzo III a Bonifacio VIII)
apportò ampliamenti e nello stesso tempo semplificazioni. Essa diventò l’apparato amministrativo e
giudiziario di un “commonwealth” spirituale, a cui lo sviluppo del diritto canonico aveva dato un
ordinamento unitario valido in tutti i paesi della cristianità. Conservarlo efficiente ed ampliarlo
divenne uno dei primi obiettivi della Curia, che, quindi, doveva svolgere le funzioni di governo, di
amministrazione e di giurisdizione. Però la decisione ultima spettava sempre al papa.
L’amministrazione era affidata alla Cancelleria e alla Camera apostolica. Le pratiche giudiziarie
erano suddivise fra la Penitenzieria (per le questioni di coscienza) e la Audentia causarum. Accanto
a questi uffici la corte pontificia disponeva ancora di una “Capella”per il servizio liturgico, anche
se i “capellani” svolgevano anche servizi di natura diplomatica.
1. IL PERSONAGGIO.
• Benedetto Caetani.
Benedetto Caetani (o Gaetani) proveniva da una nobile famiglia romana affermatisi nel XII sec. con
il ramo di Napoli, estintisi nel XV sec., quello di Pisa, Anagni e Roma, estintisi nel XVI sec. Sua
madre era nipote di Alessandro IV, la madre di Nicolò III era sua parente. Era pure imparentato con
le case degli Orsini e dei Colonna.
Nato ad Anagni, in provincia di Frosinone, nel 1240, educato presso lo zio, vescovo di Todi, studiò
ambedue i diritti a Bologna, diventò notaio curiale ed in qualità di segretario accompagnò i futuri
papi Martino IV e Adriano V nelle loro delegazioni in Francia e in Inghilterra. Nella curia ricevette
altri importanti impieghi.
Nonostante la tradizione ghibellina della sua famiglia, rimase orientato verso la Francia, cosicché
Martino IV lo nominò cardinale, prima come diacono di S. Nicolò, poi come presbitero di S.
Martino. La sua opera più importante fu la delegazione in Francia nel 1290-91. Egli riuscì a mediare
la pace con l’Aragona; con il trattato di Tarascona scongiurò lo scoppio di una guerra con
l’Inghilterra e ristabilì buoni rapporti fra la Francia e la curia. All’università di Parigi difese i diritti
degli ordini mendicanti, ai quali il clero secolare e l’università rimproveravano di disturbare con i
loro eccessivi privilegi l’ordinato svolgimento della cura d’anime nelle parrocchie. Amico della
devozione popolare (non era un teologo specializzato), aveva simpatia per l’ideale degli ordini
mendicanti.
Il suo modo di fare duro ed incontrollato nel parlare non gli procurò molti amici. Ciò nonostante i
suoi colleghi cardinali lo elessero papa, ma lo fecero perché, viste le sue qualità, lo stimarono adatto
a prendere in mano le redini di un papato gravemente compromesso da Celestino V. In lui essi
scorgevano intelligenza acuta, la conoscenza del mondo , un’ esperienza profonda negli affari
diplomatici,l’ intrepido ardimento,una volontà ferrea e straordinaria capacità di lavoro.
• Celestino V, l’abdicazione e l’elezione di Bonifacio VIII.
Celestino V fu nominato papa il 29 agosto del 1294 a L’Aquila, nella chiesa di S. Maria di
Collemaggio. Carlo II lo convinse a riportare in vigore il severo ordinamento stabilito da papa
Gregorio X per lo svolgimento del conclave,e si nominò tutore del nuovo conclave.
Il papa nominò dodici nuovi cardinali, molti dei quali proposti da Carlo, che occuparono i posti più
importanti della corte pontificia e quelli chiave dello stato della chiesa.
Nonostante l’opposizione dei cardinali, la curia si trasferì da L’Aquila a Napoli.
Fra i provvedimenti del tutto affrettati del nuovo pontefice ci furono anche ricchi privilegi per la
congregazione dei celestini. Ma il reale governo della chiesa precipitò in una grande confusione,
perché il papa restava all’oscuro delle decisioni determinanti, né aveva la forza di farsi un’idea
generale della situazione. Quando i cardinali, a cui Celestino non aveva concesso il diritto di
esprimere il proprio parere a riguardo delle ricchezze sempre più crescenti di Carlo II, gli esposero
le loro lamentele e lagnanze, il papa si rese conto delle difficoltà della situazione. Si fece
riconfermare dal concistoro che un’abdicazione dal soglio pontificio era possibile. Il 10 dicembre
emanò una costituzione sull’abdicazione del papa e il 13 dicembre del 1294 rese nota la propria
abdicazione.
Nel conclave seguito alla rinuncia di Celestino V, Benedetto Caetani, cioè papa Bonifacio VIII, fu
eletto all’unanimità, dopo che il primo eletto, il cardinale Matteo Rosso Orsini, aveva rinunciato.
• Papa Bonifacio VIII.
Il 24 dicembre del 1294, dieci giorni dopo le dimissioni di Celestino V, secondo le disposizioni in
vigore dal tempo di Gregorio X, si riunì a Castelnuovo di Napoli un Conclave: da esso, Benedetto
Caetani fu nominato papa con il nome di Bonifacio VIII.
Il nuovo papa licenziò i funzionari di curia insediati da Carlo II, pose la propria residenza a Roma,
dove fu incoronato il 23 gennaio 1295 nella basilica di S. Pietro alla presenza della nobiltà romana,
di Carlo II e di suo figlio Carlo Martello.
Dichiarò non validi tutti i privilegi concessi dal suo predecessore; ma i prelati da lui nominati
poterono mantenere il loro titolo onorifico. Anche tutte le concessioni di prebende non ancora
concretamente realizzate furono abolite. Egli affidò l’amministrazione delle casse della curia a tre
banche fiorentine, cosicché i prelati della Camera ebbero solo il compito del conteggio e fu così
evitato ogni abuso nel pagamento e nella riscossione. L’amministrazione finanziaria fu riordinata e
sottoposta a regole più severe; il movimento degli affari ecclesiastici aumentò e tuttavia alla fine del
suo pontificato le disponibilità liquide erano rilevanti. Sotto il suo governo, la città di Roma rimase
tranquilla; ma lo stato pontificio sperimentò la sua mano forte. Molte rivolte comunali furono
dominate; in numerosi luoghi il papa si fece eleggere signore della città. Dai tempi di Innocenzo III
lo stato della chiesa non aveva più avuto un sovrano tanto potente.
Dapprima Bonifacio cercò di risolvere il problema della Sicilia. Alla fine del 1293, Carlo II aveva
concordato con Giacomo d’Aragona lo sgombero della Calabria e dopo tre anni la restituzione della
Sicilia al papa, in compenso Giacomo ricevette in sposa la figlia di Carlo. La Sicilia sarebbe poi
stata data a Carlo. Federico, che governava la Sicilia al posto di Giacomo, doveva sposare Caterina
di Courtenay, erede della corona latina di Costantinopoli. I suoi consiglieri presero con Bonifacio i
relativi accordi (20 giugno 1295), che inclusero anche la pace fra Carlo II e Giacomo d’Aragona.
Dopo di ciò Giacomo avrebbe dovuto sgomberare la Calabria, consegnare la Sicilia al papa
ricevendo in sposa la figlia di Carlo II assieme ad una ricca dote, Valois avrebbe rinunciato
all’Aragona e la chiese gli avrebbe assicurato tutto il suo favore. Questa sarebbe stata una soluzione
soddisfacente per la curia e Bonifacio si impegnò energicamente per raggiungerla. Ma la cosa fallì
a causa della Francia, che non lasciò libera Caterina di Courtenay, di Federico e dei siciliani, i quali,
per timore degli Angiò, elessero re Federico e lo incoronarono a Palermo il 26 marzo 1296.
Bonifacio annullò deluso sia l’elezione che l’incoronazione e decise di conquistare la Sicilia con
l’aiuto di Giacomo. Ma questi esitava, avviava trattative, pretendeva come feudo pontificio la
Sardegna e la Corsica, nonché convenienti aiuti finanziari. Nel frattempo Federico aveva
conquistato la Caloria e gran parte della Puglia. Allora il papa strinse alleanza con Giacomo, con
Napoli e con Costanza contro Federico; la guerra fu fissata per l’estate 1297.
In quello stesso periodo vi era una guerra fra l’Inghilterra e la Francia che mirava alla conquista
delle province inglesi sul continente (Guienna e Guascona). Da ricordare la bolla Clericis laicos,
emanata dallo stesso Bonifacio VIII, di cui però se ne è parlato precedentemente.
Nel maggio del 1297 era sorti conflitti tra il papa e la casa Colonna. L’occasione era stata offerta
dalla privata politica patrimoniale di Bonifacio , che investiva il suo denaro liquido nell’acquisto di
terreni andando così contro gli interessi dei Colonna. Concretamente era in gioco il possesso della
località Ninfa, confinante con il territorio di Norma, che il papa aveva già quasi interamente
acquistato. Nello stesso tempo i cardinali Colonna osteggiavano il papa riguardo alla Sicilia, perché
da tempo essi appartenevano al partito degli Aragonesi. Inoltre erano alleati di Federico. Ambedue
le cose, la politica patrimoniale della famiglia ed il suo atteggiamento politico, indussero il papa ad
invalidare l’acquisto di Ninfa da parte dei Colonna e ad allontanarli dalla regione comperando quei
terreni per la propria famiglia. Ma la somma dell’acquisto fu rubata da Stefano Colonna; il papa,
sdegnato, pretese subito la restituzione del denaro, la consegna del colpevole, come garanzia per il
futuro, la cessione delle piazzeforti dei Colonna nella Campania. Questi, però, si dichiararono
disposti alla sola restituzione del denaro. Dopo tre giorni di inutile attesa, Bonifacio passò
all’attacco: dichiarò invalida la loro separazione dai conventuali, ordinata da Celestino, e li integrò
di nuovo nell’ordine, cosa che esasperò la loro avversione per lui. Si diede inizio contro il papa ad
una vasta campagna di calunnie, alla quale si unirono tutti i suoi nemici; l’opposizione si trasformò
in una congiura contro Bonifacio VIII, condotta dai Colonna. Ciò spiega la durezza del suo
intervento il 9 maggio 1297: i Colonna restituirono il denaro, ma ciò nonostante il papa dichiarò i
due cardinali decaduti dalla loro carica e li scomunicò. Pene corrispondenti furono inflitte anche ai
componenti della loro famiglia e ai loro sostenitori sia ecclesiastici che civili. I Colonna invece
passarono al contrattacco: deposero sull’altare di S. Pietro un documento di protesta, nel quale
sostenevano che Bonifacio non era un papa legittimo e chiedevano la convocazione di un concilio
generale, che, unitamente ad altri argomenti, avrebbe dovuto chiamare in giudizio Bonifacio per
l’omicidio del suo predecessore. Il 23 maggio il papa rinnovò il suo verdetto contro i Colonna e il 9
luglio l’inquisizione fu incaricata di aprire un processo contro di loro. La ribellione di questi ultimi
contro i provvedimenti pontifici trovò sostegno nella corona francese. In un ampio promemoria essi
riassunsero tutte le accuse contro il papa, invitando la chiesa universale a convocare un concilio
ecumenico che decidesse la deposizione e la punizione di Bonifacio VIII. La delegazione francese
era al corrente di tutto ciò e quindi si sentiva in una favorevole posizione di partenza per trattare con
la curia. A fare le spese di questa intesa tra il papa e la Francia, furono i Colonna, che non trovarono
più nella delegazione francese il sostegno sperato; inoltre il fronte contrario a Bonifacio si disgregò,
i cardinali si trovarono disposti per una dichiarazione di solidarietà al papa ed il ministro francese
pretese da parte dei suoi una docile sottomissione. Infine fu proclamata la crociata contro i Colonna
che furono costretti alla resa.
La durezza dimostrata dal papa contro questa famiglia compromise molto il suo prestigio
nell’opinione pubblica, favorendo quella serie di diffamazioni che oscurò la memoria di Bonifacio
VIII nella storia.
L’impresa contro il ribelle Federico di Sicilia si dilungò senza alcun esito negli anni 1297-99,
perché il re Giacomo di Aragona, nonostante gli ingenti aiuti finanziari concessigli dalla curia, non
aveva fatto nessun serio tentativo per indebolire la posizione del fratello.
Solo quando Bonifacio cominciò a trattare con Carlo di Valois per ottenere l’aiuto necessario per
l’impresa, Giacomo attaccò con grande spiegamento di forze, giungendo il 5 luglio 1299. Bonifacio
ne rimase deluso e sdegnato tanto che i suoi rapporti con gli Aragonesi erano sul punto di rottura.
Bonifacio si interessò anche alla politica tedesca: dopo l’elezione del successore di Adolfo di
Nassau, Alberto d’Austria, Bonifacio ribadì il suo diritto di esaminare l’idoneità dell’eletto e la
legalità dell’elezione avvenuta all’unanimità. intanto si distanziò da Alberto e avviò lunghe
trattative, nel corso delle quali il papa, in cambio del riconoscimento di Alberto, pretendeva il
distacco della Toscana dall’impero.
Quando i principi renani, nell’aprile del 1301, si ribellarono ad Alberto, che nel frattempo era
diventato alleato della Francia, Bonifacio non esitò ad allearsi con essi. Ma quando vide che il
conflitto con la Francia si esasperava, si ritirò dal conflitto. Il 30 aprile 1303, con la bolla Aeterni
Patris, Bonifacio riconobbe Alberto come re di Roma e futuro imperatore. In cambio il re promise
la difesa e l’obbedienza verso il pontefice, giuramento che fu rinnovato il 13 luglio 1303.
Per l’anno 1300 Bonifacio VIII indisse un giubileo. Il nome era derivato dall’anno giubilare
descritto nell’Antico Testamento. Alcune voci diffusesi alla fine del 1299, avevano parlato di grandi
indulgenze, che si sarebbero potute ottenere in San Pietro all’inizio del nuovo secolo: per questo fin
dai primi giorni del nuovo anno erano affluite a Roma numerose schiere di pellegrini. Soltanto in
seguito di fronte a queste manifestazioni il papa si lasciò a indurre ad emettere il 22 febbraio 1300
la bolla Antiquorum habet fidem: chi in quest’anno, dopo essersi confessato, avesse visitato (i
cittadini romani trenta volte, i pellegrini quindici volte) le basiliche dei due principi degli apostoli,
avrebbe ricevuto la completa remissione della pena temporale dovuta per i propri peccati.
Al giubileo si aggiungeva un grande vantaggio: poiché il diritto penitenziale del medioevo, con tutte
le sue censure e i casi riservati, aveva finito per diventare troppo complicato, una volta tanto un
simile alleggerimento delle difficoltà nel ricevere l’assoluzione doveva essere sentito da tutti come
un vero beneficio. L’idea ottenne infatti un’enorme risonanza: i pellegrini affluirono a Roma da
tutta la cristianità per visitarvi le tombe degli apostoli e guadagnarne l’indulgenza; per un istante
Roma ritornò ad essere il centro della cristianità.
Al papa il giubileo portò un aumento di prestigio nei confronti dei re occidentali, con i quali aveva
dissensi politici. L’incontestato prestigio della Sede Apostolica e la sua autorità religiosa trovarono
un’inaspettata conferma. In Bonifacio aumentò ancor più la consapevolezza del proprio valore, e
questo lo portò a perdere le giuste proporzioni della realtà politica contemporanea, come apparve
ben presto nella riapertura del conflitto con la Francia.
Ciò che lo fece scoppiare fu un incidente di poca importanza: primo vescovo della diocesi di
Pamiers diventò il prevosto del canonicato di St. Antonin, dom Bernardo Saisset. Il re non era stato
interpellato e neppure il vescovo di Tolosa, dalla ripartizione della cui diocesi era in parte sorta
Pamiers. Già da prevosto il nuovo vescovo aveva avuto difficoltà con il re per il patronato di
Pamiers, che egli esercitava assieme al conte di Foix. Quando Filippo IV, che per qualche tempo
aveva assunto il patronato, lo ridiese al conte di Foix, il vescovo di Saisset si oppose appellandosi al
papa. Inutilmente questi aveva esposto le sue proteste al re e inflitto al conte le pene ecclesiastiche.
In seguito ad alcune imprudenti espressioni di critica sul conto del re, il vescovo fu citato davanti al
consiglio di stato e condannato al carcere. Il risultato fu la scomunica da parte del papa, al quale fu
anche chiesta la destituzione e la punizione del vescovo. Senza esaminare la questione, Bonifacio
chiese immediatamente la sua liberazione (5 dicembre 1301). Con la bolla Salvator mundi, egli
ritirò i privilegi concessi al re, perché aveva violato la libertà e l’immunità della chiesa. Inoltre
convocò l’episcopato francese, i capitoli cattedrali e i maestri di teologia e di diritto canonico per un
sinoso speciale indetto a Roma per il 1 Novembre 1302. anche il re vi fu invitato. La lettera, Asculta
fili, a lui rivolta conteneva tutti i capi d’accusa della chiesa contro la corona e i suoi sostenitori.
Inoltre si doveva parlare dell’assoluta superiorità del potere papale su qualsiasi autorità civile. Si
trattava dunque di un dibattito di questioni di principio.
Invece di giustificarsi il re Filippo era disposto alla lotta: non permise che la lettera fosse pubblicata
e al suo posto fece diffondere una sua contraffazione, Deum time, in cui a nome del papa si
comunicava deformato ed esagerato il contenuto della lettera tenuta nascosta.
Contemporaneamente fu resa nota anche una presunta risposta del re (Sciat maxima tua fatuitas), in
cui praticamente si affermava che il re non era sottomesso a nessuno negli affari temporali.
In un discorso concistoriale il papa svelò e condannò le macchinazioni del re, affermando che elgi
non pretendeva per sé nessun autorità feudale sulla Francia, ma che poteva chiamare a rendiconto il
re ratione peccati. Minacciò di deporre Filippo IV e rinnovò la convocazione del sinodo speciale. In
esso però non furono prese delle deliberazioni. Forse fu discussa la bolla Unam sanctam, che fu
pubblicata poco dopo, il 18 novembre 1302. Essa diventò il documento più discusso di questo
pontificato e forse anche di tutto il governo pontificio nel medioevo. Vi sono espressi i seguenti
pensieri: esiste solo una chiesa e fuori di essa non c’è salvezza; il suo unico capo è Cristo, che opera
attraverso il suo rappresentante Pietro e i suoi successori; ambedue le spade, quella spirituale e
quella temporale, appartengono alla chiesa: la prima è usata dalla chiesa, la seconda dal re, ma
subordinatamente alle indicazioni dei sacerdoti. Il potere spirituale è superiore in dignità a quello
temporale, ha autorità per istituirlo e per giudicarlo nel caso che pecchi, il massimo potere spirituale
può essere giudicato soltanto da Dio. Chi gli si oppone, si oppone a Dio; perciò per essere salvo
ogni uomo deve essere soggetto al pontefice romano.
La famosa frase conclusiva proveniva da San Tommaso: “Dichiariamo e definiamo che ogni uomo,
per giungere alla salvezza, deve essere necessariamente sottomesso al Romano Pontefice”. Questa
proposizione può venir intesa nel suo giusto significato e contiene allora l’insegnamento abituale,
sempre conservato nella Chiesa e valido ancora oggi: il papa è vicario di Cristo e, perciò, tutti i
cristiani, anche se rivestiti di sovranità, gli sono sottoposti. Tuttavia, espressa in quel particolare
momento e con quella forza, essa poteva far pensare che il papa pretendesse un diretto potere di
governo su tutta la Francia.
Filippo sfruttò l’imprudenza del papa per fingersi ingiustamente aggredito nei suoi diritti sovrani e
brigò per ottenere la sua deposizione, fino ad appellarsi ad un concilio generale e al papa futuro. Per
predisporre l’opinione pubblica, egli fece portare in pieno parlamento, a Parigi, le più assurde
accuse contro Bonifacio: che era simoniaco ed eretico; negava che i francesi avessero le anime
immortali; aveva persino dichiarato che preferiva essere un cane piuttosto che un francese; che
aveva assassinato Celestino V; che si occupava di magia ed aveva un demonio al suo servizio.
Naturalmente tali sciocchezze non furono credute da tutti, nemmeno in Francia. Ma Bonifacio capì
che andava creandosi dei nemici da tutte le parti, e che quelle calunnie erano estremamente
pericolose.
Il 13 aprile 1303, Filippo IV venne scomunicato, ma ciò non cambiò al situazione: il re dichiarò
ormai evidente la necessità di un concilio e manifestò la sua volontà di convocarlo. L’approvazione
dell’assemblea fu generale; il verbale delle discussioni fu diffuso e furono raccolti i discorsi di
approvazione. Da Anagni, Bonifacio respinse ogni accusa, emanò una serie di bolle contro Filippo
IV e i suoi consiglieri, infine preparò il documento Super Petri solio, in cui si affliggeva
solennemente la scomunica al re e si scioglievano tutti i suoi sudditi dal giuramento di fedeltà: esso
doveva essere reso noto l’8 settembre 1303.
Alla vigilia di questo giorno ci fu il famoso assalto ad Anagni, portato a termine dal cancelliere
reale francese Guglielmo di Nogaret e da Sciarra Colonna, capo del casato avverso al papa. Furono
invase le abitazioni dei cardinali e il palazzo pontificio.Dopo aver fatto irruzione, manu militari,
negli appartamenti pontifici – è in questa circostanza che si verificò, secondo molti, l’oltraggio dello
schiaffo al Pontefice da parte di Sciarra Colonna - chiesero al papa di ritirarsi dalla carica, di
restituire onori e possedimenti ai Colonna, di consegnare lo stato della chiesa ai cardinali più
anziani. Bonifacio respinse tutte queste proposte ed offrì in cambio la vita. Nogaret non permise che
Sciarra Colonna accettasse l’offerta, a lui interessava il papa vivo per portarlo in Francia dove
sarebbe stato giudicato. Nella città, che dapprima si era unita ai congiurato, gli umori cambiarono:
Bonifacio fu liberato e i congiurati scacciati. Il papa abbandonò Anagni e si rifugiò a Roma sotto la
protezione della famiglia degli Orsini.Vi giunse il 25 settembre, ma già il 12 ottobre in Vaticano
soccombette al dolore e alla delusione di Anagni. Fu sepolto nella cappella di San Pietro da lui
costruita, in un sepolcro che, ancora in vita, aveva fatto scolpire da Arnolfo di Cambio.
Ad Anagni non venne colpita la potenza politica o magari militare del papato, che fu sempre nulla,
ma la sua reputazione morale. Il fatto che si sia potuto commettere un oltraggio simile, e ancor più
che restasse impunito, dimostra che l’atteggiamento dei governanti nei riguardi della religione stava
per mutarsi alla radice. Mentre prima per loro la religione era un dovere come per ogni altro fedele,
ora comincia a diventare un semplice fatto da inserire, come qualsiasi altro, nei loro calcoli politici.
In questo senso Anagni va considerato nella storia della chiesa come la fine del medioevo.
Ci si potrebbe domandare di chi sia stata la colpa della sconfitta del papato. Da quest’ultima non
possiamo certamente scagionare Bonifacio VIII. Con tutto il suo rigoroso senso del diritto, egli non
seppe dare alle proprie azioni quella forza di persuasione che devono avere le azioni di un papa.
I suoi provvedimenti di politica ecclesiastica restarono per lo più senza successo o si rivelarono
critici per la curia. Ma le sue deliberazioni riguardanti la vita interna della chiesa sopravvissero al
suo pontificato. Anzitutto la pubblicazione del Liber sextus a completamento della raccolta di
decretali compiuta da Gregorio IX, poi l’ordinamento della situazione caotica dell’amministrazione
della curia, infine la sua presa di posizione nella controversia fra gli ordini mendicanti ed il clero
secolare, da lui espressa nella bolla Super cathedram (18 febbraio 1300).
Le principali affermazioni contenute in questa bolla sono le seguenti: i mendicanti possono
predicare indisturbati nelle proprie chiese e sulle pubbliche piazze, invece nelle chiese parrocchiali
solo con il permesso del parroco; per poter confessare devono chiedere il permesso al competente
vescovo locale, che lo può concedere solo per il territorio della sua diocesi; il rifiuto di tale
permesso da parte di singoli vescovi può essere eventualmente annullato da una decisione
pontificia; nei casi riservati i mendicanti non possono avere poteri maggiori di quelli dei parroci; è
loro concesso il diritto di seppellire nelle proprie chiese chiunque lo richieda, tuttavia un quarto
delle imposte dovute spetta come parte canonica al parroco competente.
Come si vede erano norme ben ponderate, caratterizzate da imparzialità. Con queste norme
Bonifacio deluse gli ordini mendicanti, ma non era certo loro nemico. La bolla fu per breve tempo
soppressa da Benedetto IX, ma rinnovata da Clemente V, e da allora nelle sue linee essenziali ha
mantenuto fino ad oggi il suo valore.
A Roma Bonifacio fondò un’università (giugno 1303), come studio generale, chiamato più tardi
Sapienza. Impartì disposizioni perché fossero riordinati con cura l’archivio vaticano e la biblioteca.
Il destino del papa, però, non si concluse con la sua morte: il processo a Bonifacio VIII non
impegnò soltanto i pontificati successivi : infatti è stato detto che i suo atti non sono ancora chiusi a
tutt’oggi. Incontestate restano le sue eminenti doti giuridiche e amministrative, la sua grande abilità
nel governare la curia, l’intenso lavoro che pretendeva da sé e dai suoi collaboratori. Celebrate
furono la sua vasta cultura, la sua conoscenza della sacra scrittura; ma la natura imperiosa del suo
essere, ciò che fu definito la sua superbia e il suo disprezzo per gli uomini, non gli procurarono
nessun vero amico. Gli insuccessi delle sue iniziative politiche tradiscono in lui una certa incapacità
nel valutare le situazioni concrete, difetto che non sembra estraneo neppure alla formulazione delle
sue bolle riguardanti questioni di principio. Il suo nepotismo lo pose alla pari di tanti suoi
predecessori, solo che in lui tutto assunse forme più drastiche. Come giudice e legislatore egli fu per
tutti i suoi contemporanei una figura quanto mai eminente ed influente, ma certo non ha potuto
essere venerato come padre della cristianità. Gli spirituali gli rimasero a lungo ostili, anche se a
lungo andare le leggi da lui emanate hanno portato agli ordini mendicanti più vantaggi dei tanti
privilegi concessi loro dai suoi predecessori. La sua memoria fu oscurata dalla spregiudicata
propaganda dei suoi nemici e dai ripetuti tentativi di sottoporlo, anche dopo la morte, al processo
per eresia. Alcuni rimproveri a lui rivolti non furono certo immeritati, anche se esasperati
dall’eccessiva animosità.
Nel complesso però Bonifacio VIII fu un papa considerevole, degno di essere nominato assieme ad
Innocenzo III ed Innocenzo IV.
Ilaria Castagno
BIBLIOGRAFIA.
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Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto, Manuale di storia, Laterza, Roma 1988, pp. 272-286;
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