UNIVERSITA’ PONTIFICIA SALESIANA Facoltà di Scienze dell’Educazione Curricolo di pedagogia sociale CORSO MONOGRAFICO DI SOCIOLOGIA DELLA DEVIANZA L’Inghilterra degli anni ’60: tra subculture e delinquenza giovanile Professore: Giuliano Vettorato Studentessa: Federica Pero Anno Accademico 2012 – 2013 INTRODUZIONE Lo studio delle aggregazioni giovanili, il loro contesto urbano e le loro forme, sono uno dei più antichi oggetti di preoccupazione del mondo adulto. Con il seguente lavoro si intende approfondire il tema della delinquenza giovanile inglese da quelli che furono gli anni ’60 fino ad arrivare alla delinquenza e alle subculture dei giorni d’oggi. Tutto ciò attraverso la descrizione dei fenomeni più importanti che avvennero in questo campo. Il primo capitolo tratta infatti delle subculture inglesi che hanno marchiato, a volte usando la violenza, la cultura dell’Inghilterra nel corso della storia, come gli skinheads, le bande di strada e gli hooligans. Il secondo capito approfondisce le teorie delle subculture delinquenziali dalla Scuola di Birmingham, analizzando il pensiero dei suoi “padri fondatori” Hoggart e Williams. I primi Cultural Studies per opera di Hoggart e Williams riguardano la cultura popolare di massa. L'indirizzo si consolida successivamente come corrente definita nell'area culturale britannica intorno al Centre for Contemporary Cultural Studies (CCCS) dell'Università di Birmingham, fondato dallo stesso Hoggart nel 1964. Lo scopo primario del centro era lo studio dei cambiamenti nella cultura del proletariato inglese dal secondo dopoguerra in poi e in particolare dei mutamenti nell'orientamento della gioventù della working class. Secondo Hoggart e Williams la cultura è la somma delle interrelazioni tra le pratiche sociali (cioè le azioni concretamente effettuate dagli individui sia a livello mentale che pratico). Questo approccio si basa sull'attribuzione di senso alla realtà e allo sviluppo di una cultura vista anche come insieme di significati e valori comuni. È il terzo capitolo che, dopo aver fatto una panoramica sulle teorie studiate precedentemente, studia i possibili interventi in campo educativo per apprendere la realtà odierna e cercare di migliorarla (questo sempre nei limiti perché ciò che si leggerà saranno per lo più proposte d’intervento). Nella conclusione vengono delineati i pensieri e le critiche personali riguardo l’intero studio e il lavoro svolto. 2 CAPITOLO 1: “La delinquenza giovanile e le subculture inglesi dagli anni ‘60 al giorno d’oggi” L’Inghilterra è stato il paese che ha assistito, dal dopoguerra ad oggi, al più spettacolare susseguirsi di subculture giovanili legate al tempo libero, mentre la vera e propria criminalità giovanile di banda si presentava in modo meno generalizzato e minaccioso di quanto non accadesse nelle città americane. Per di più, esistevano in Inghilterra, una tradizione di studi dedicati alla cultura della classe operaia che ne aveva più volte rilevato l’apparente paradosso: da un lato la cultura operaia manteneva intatte nel tempo caratteristiche separate e del tutto antagoniste nei confronti della cultura dominante, dall’altra aveva per lo più evitato di esprimere questo antagonismo in forma politica, assumendo posizioni di esplicito e radicale dissenso. L’adesione a una subcultura rappresentava per gli adolescenti della classe operaia un modo di risolvere problemi di identità, di autostima, di auto espressione, fuori dal contesto del lavoro o della scuola all’interno del quale erano nati. Era un modo di opporsi, anche se parziale e limitato, ad un “sistema di significato” non condiviso. Le subculture “spettacolari” inglesi si svilupparono e presero corpo sempre all’interno di un territorio geografico e simbolico con contorni precisi: il quartiere operaio o una parte di esso, il pub, lo stadio, un angolo di strada, una discoteca. Il gruppo nasceva quindi per ragioni d’appartenenza e contrasto con la classe dominante. Di seguito analizzeremo i più emergenti. 1.1 I primi skinheads Skinhead: testa rasata. È il nome di appartenenza a un movimento giovanile sorto in Gran Bretagna alla fine degli anni sessanta: si tratta di una subcultura con connotazioni estetiche, iconografiche ed ideologiche contraddistinta da generi musicali, capi d'abbigliamento, canoni comportamentali e beni di consumo peculiari. Durante la metà degli anni sessanta in Inghilterra, l'irruzione del movimento hippie provocò una scissione all'interno del movimento mod. Il primo gruppo era quello dei modaioli benestanti che vestivano abiti costosi, frequentavano il college, connotavano una passione 3 per la musica rock, facevano uso di droghe e si lasciavano coinvolgere dall'universo più in voga. Il secondo gruppo era invece costituito dai giovani della classe lavoratrice con valori più radicati e da un certo scetticismo verso gli hippies. Questi non erano particolarmente affascinati dalla musica rock e si orientavano sulla musica ska, reggae, rocksteady, soul, jazz, blues o R&B, diffusa nel Regno Unito dai rude boy, immigrati giamaicani anch'essi appartenenti alle classi più basse. La loro condizione economica, non gli permetteva l'uso di droghe costose, inoltre, non frequentavano college né indossavano vestiti all'ultima moda, anzi adattarono il loro look a quello della classe di appartenenza, anche in contrasto con i mod influenzati dal movimento hippy. Questa costola dei mod si sviluppò nelle periferie di Londra, autodefinendosi subcultura hard mod, frutto della fusione tra mod e rude boy, diversificata in parte dal movimento mod original e dai modaioli benestanti, pur conservando alcuni elementi in comune con essi, come buona parte dell'abbigliamento e la passione per gli scooter Vespa e Lambretta. L'hard mod ereditò inoltre, grazie anche all'influenza dei rude boy, un atteggiamento più aggressivo, violento, tradizionalista e orgoglioso di appartenere al proletariato e alla classe lavoratrice. L'hard mod (più tardi riconosciuto come skinhead), però, non fu un movimento politico: la posizione politica era soggettiva e non aveva a che fare con l'appartenenza alla subcultura, anche se si può notare una posizione multietnica e antirazzista dovuta alla socializzazione con i rude boy (neri) e al loro determinante contributo culturale nello sviluppo del movimento. Il movimento negli anni sessanta, dopo esser stato soprannominato in diversi modi come "nohead", "baldhead", "crophead", "egghead", "peanut", venne riconosciuto ufficialmente e definitivamente come skinhead nel 1969. Questa data ispirò un motto tutt'oggi usato tra gli skinhead original, ovvero "Spirit of '69". L'incontro tra queste due subculture giovanili nella metà degli anni sessanta, diede vita ad un nuovo modello giovanile, basato sull’ abbigliamento, l’amore per la musica, prevalentemente ska e reggae, e la fede calcistica: molti skinhead appartenevano infatti alla schiera degli hooligans. La subcultura skinhead nacque come fenomeno giovanile inglese con attitudini fortemente rivendicative della classe lavoratrice (lotta di classe), che sfociò, anche in frequenti scontri con gruppi considerati rivali: pakistani, hippie, omosessuali (lotta di razza). Questi scontri vennero sarcasticamente chiamati boot-party (risse con gli stivali). 4 Bisogna precisare che non solo gli skin erano ben organizzati in squadre (crews), ma c'erano altre bande con le quali avvenivano gli scontri, fra le quali gli immigrati appartenenti ad altre subculture. Ciò avveniva per l'esigenza di spazio vitale per gruppi di persone che sceglievano l'alternativa al conformismo; senza contare che in alcuni casi nelle risse erano coinvolte anche le forze dell’ordine. Per questo motivo il potere dominante etichettò gli skinheads come principali colpevoli degli scontri con le forze dell'ordine. Di conseguenza, durante la prima metà degli anni settanta, la subcultura skinhead conobbe un graduale declino dovuto a duri interventi repressivi, quali il divieto d'ingresso negli stadi, nei bar e discoteche: si stava concludendo il suo primo ciclo vitale. In seguito all'esplosione del punk rock si ebbe un'ondata di risveglio e il revival skinhead che riprendeva gli antichi valori della prima fase, si trovò a condividere la vita di strada con la subcultura punk, che per spontaneità e irriverenza somigliò, almeno inizialmente, allo stesso germe di quella skin. 1.2 Gli scooter boys La subcultura degli scooter boy ha avuto origine nel Regno Unito nei primi anni Ottanta, emergendo dalle subculture dei mod e degli skinhead, ma era considerato un movimento separato e distinto dagli ultimi due sebbene abbia avuto molte influenze in comune. Il nome proveniva dalla forte passione per gli scooter come la Vespa e la Lambretta. Spesso organizzavano dei raduni nelle principali città britanniche, raduni che prevedono accampamenti, concerti live, musica, DJ, e varie attività relative agli scooter. Come subcultura avevano un proprio tipo di abbigliamento molto preciso: giubbotti bomber, parka, giacche di pelle o di jeans spesso adornate con toppe dei vari raduni o gare, pantaloni di jeans o mimetici, anfibi Doctor Martens, scarpe Adidas, polo, e camicie Ben Sherman. 5 1.3 Gangs e bande di strada Quello delle gangs e delle bande di strada è uno dei fenomeni inglesi più antichi, basti pensare a come Charles Dickens, nel 1837, scriveva il primo romanzo sociale Oliver Twist, romanzo in lingua inglese che metteva in rilievo i mali della società inglese ottocentesca: la povertà, il lavoro minorile, la criminalità urbana e la intrinseca ipocrisia della cultura vittoriana. La criminalità, quindi, specialmente quella organizzata in gruppi e sottoforma di gangs, è sempre stata una “macchia” presente nella cultura inglese che, con il passare del tempo, si è sviluppata e ingrandita fino ad arrivare negli Stati Uniti. Se prima (per esempio nell’età vittoriana), le bande e la delinquenza di strada erano riconducibili ad un fenomeno emerso per ragioni di povertà, la criminalità odierna, come quella degli anni ’60, alla base delle proprie fondamenta ha sempre l’unione dei membri del gruppo, ma gli atti di violenza sono il mezzo per esprimere la forza della gang, per delimitare il proprio territorio ed essere “conosciuti” fino a raggiungere i media. Proprio perché è un fenomeno con origini remote, le gangs di strada del giorno d’oggi hanno come modelli da seguire le gangs più famose che hanno fatto “la storia” della delinquenza inglese. Qui di seguito sono riportate alcuni nomi delle maggiori bande inglesi di ieri e di oggi: Tamil Snake: gang di strada inglese. I capi del gruppo ad oggi non sono stati ancora identificati sebbene all'organizzazione siano imputati diversi crimini, dalle estorsioni ad omicidi. Quality Street: una delle più influenti gang di strada a Manchester durante gli anni Sessanta e Settanta. Elephant and Castle Mob: una delle più importanti gang di strada del malaffare londinese durante il periodo compreso tra le due grandi guerre del XX secolo. Erano rivali del boss italo-inglese Charles "Darby" Sabini insieme alla gang dei Birmingham Boys. Furono soppiantati dallo stesso Sabini e dai gruppi siciliani alla fine della seconda guerra mondiale e scomparvero definitivamente dallo scenario criminale della metropoli inglese dopo qualche anno. 6 Peckham boys: gang di strada dell'area di Peckham, a Londra. La gang è composta soprattutto da ragazzi di origine afro-caraibica. I membri sono divisi in gradi: tinies, youngers e olders, a seconda dell'età, e sono circa un centinaio. Ghetto Boys: ("i ragazzi del ghetto"): gang di strada che opera nei quartieri londinesi di New Cross e Deptford . I componenti sono di origine afro-caraibica e molti dalla zona di Borough of Lewisham di Londra. La maggior parte degli elementi del gruppo sono minorenni. Birmingham Boys: ("i ragazzi di Birmingham"): importante gang di strada londinese durante gli anni venti del XX secolo. Hoxton Gang: gang di strada operante nel distretto di Soho, a Londra, nel periodo tra le due grandi guerre del XX secolo. È stata una delle tante gang che si contrappose violentemente al boss Charles "Darby" Sabini e alla mafia italiana, soprattutto per il controllo delle scommesse clandestine (come i Birmingham Boys). Oggi quello delle gangs criminali in Gran Bretagna, è un fenomeno allarmante e molto difficile da arginare nonostante la continua attività delle forze dell’ordine. Secondo l’Agenzia inglese che controlla il crimine organizzato, le gangs si concentrano principalmente intorno a Londra, Manchester, Liverpool e Birmingham, dove vengono registrati oltre il 65% degli omicidi e dei crimini, ma il fenomeno è comunque diffuso in tutta la Gran Bretagna. Di solito queste bande gestiscono il traffico di zona della droga, della prostituzione, delle scommesse clandestine, dei furti d’auto, dei furti nelle abitazioni e, recentemente, hanno cominciato anche a controllare il traffico degli immigrati attraverso la produzione illegale dei visti, necessari per tutti coloro che non provengono dalla Comunità Europea e intendono rimanere in Inghilterra. Spesso, come accade anche in Italia, sono gli stessi connazionali che sfruttano coloro che arrivano alla ricerca di una seconda possibilità. I crimini imputati alle gangs odierne sono moltissimi e il numero degli adepti sembra moltiplicarsi di anno in anno. In molti quartieri di Londra e Manchester la gente rispetta una sorta di coprifuoco e vive nel terrore di imbattersi in questi gruppi che non risparmiano nessuno. Non capita di rado di leggere sui giornali di violenze sessuali, borseggi e pestaggi 7 causati da queste bande che spesso agiscono senza un apparente motivo o sotto l’effetto di stupefacenti. Secondo un recente censimento delle forze di polizia britannica, circa un quarto dei membri delle gangs di Londra si riconosce oggi nei Bloods o nei Crips, due note bande americane che si sono contese per anni il traffico della droga a Los Angeles a colpi di pistola, seminando il panico e macchiandosi di moltissimi delitti. Secondo un’inchiesta eseguita dal quotidiano “The Sun”, moltissime bande criminali si stanno associando per cercare di appartenere a queste supergangs di cui hanno ripreso il modus operandi e persino il gergo. Secondo le statistiche dell’Osservatorio della criminalità inglese, si abbassa sempre di più l’età dei minori in possesso di un coltello o, addirittura, di un’arma da fuoco. Il quotidiano Daily Telegraph ha riportato recentemente che, secondo Scotland Yard, al momento ci sono oltre 1.500 gangs composte da adolescenti dediti al crimine, che posseggono coltelli e armi da fuoco e non esitano ad utilizzarli. Le gangs delimitano i loro territori, lasciando graffiti ovunque con la loro firma o il codice postale che li identifica. Ogni anno negli ospedali inglesi arrivano circa 5mila persone con ferite da arma da taglio o vittime di pestaggi. Spesso questi reati sono commessi da ragazzini dodicenni, che per una banale lite si accoltellano fino alla morte. Inoltre, secondo un rapporto diffuso dal Ministero dell’Interno inglese, esistono ben 2.800 gang criminali attive nelle strade e nei quartieri periferici di Londra, Manchester, Birmingham, Bristol, Leeds e Liverpool e, secondo ammissioni fatte dalla stessa polizia al Times, le forze di sicurezza non sono in grado di fronteggiare efficacemente la situazione a causa della mancanza di equipaggiamenti e di analisi approfondite del fenomeno, dell’inadeguatezza della sorveglianza delle strade e della carenza di un reale coordinamento fra le forze dell’ordine. Al giorno d’oggi le autorità britanniche hanno preso pienamente coscienza del problema e hanno iniziato a fronteggiare la situazione, anche grazie a consulenze rese dagli esperti dell’FBI e delle polizie di New York e Los Angeles sul fenomeno delle gang. L’attività delle forze dell’ordine inglesi si muove su un doppio binario: da un lato, è stata inaugurata una campagna di informazione da parte di psicologi e ufficiali di polizia nelle scuole dei quartieri più disagiati, onde privare le bande del terreno fertile per poter attecchire nelle coscienze dei più giovani, limitando l’attività di reclutamento di nuove leve; dall’altro, 8 è stata lanciata un’offensiva a tutto campo dalla polizia e dalla magistratura, a livello non più locale ma nazionale, utilizzando i modelli di coordinamento interforze già collaudati con successo nelle azioni di contrasto al terrorismo, quali la Serious Organized Crime Agency (SOCA), l’agenzia preposta alla repressione del crimine organizzato in tutto il Regno Unito. 1.4 Gli hooligans La parola hooligans nasce nei primi decenni del Novecento. Riguardo l’origine della parola ci sono varie ipotesi: potrebbe derivare dalla "Hooley's Gang", banda di delinquenti nata nel quartiere londinese di Islington, oppure dal termine irlandese "hooley" che significa festa sregolata. Il fenomeno degli hooligans associato al football si diffonderà solamente alla fine degli anni Sessanta. Alla fine dell’Ottocento con la regolarizzazione del gioco, a seguito della fondazione della football association, in Inghilterra il calcio diviene uno sport professionistico e di conseguenza seguitissimo. Le bande giovanili di inizio secolo portano alle partite i comportamenti ed i linguaggi usati nelle strade, appropriandosi quindi del football che diventa sport per la working class, la classe operaia. Sono i ragazzi dell’età vittoriana, i victorian boys che, fieri di essere temuti dalle classi più agiate, monopolizzano l’ambiente circostante il gioco del calcio, dando luogo ai primi disordini con tentativi di invasioni di campo ed insulti a giocatori ed arbitri. Giornali dell’epoca di Londra e di Glasgow documentano svariati disordini: per la strada le bande attuano rappresaglie a chiunque attraversi la strada che loro giudicano di loro proprietà (il cosiddetto “holding the street”). Il passaggio alla partita di football è automatico e nessuno quindi deve attraversare lo spazio attorno al campo di gioco. Lo scenario degli “ hooligans” di inizio Novecento cambia radicalmente con l’inizio della prima guerra mondiale. I campionati di calcio vengono sospesi e, quando si torna a giocare, il pubblico che segue il football non proviene più esclusivamente dalla working class: sono presenti membri delle classi più altolocate. Per questo motivo che nasce il mito del tifoso inglese sportivo ed educato che resisterà fino agli inizi degli anni ’60. E’ in questi anni che anche le donne si avvicinano per la prima volta al fenomeno calcio. 9 Mentre l’Inghilterra assiste impotente allo sgretolarsi dell’impero coloniale tornano alla ribalta i ragazzi della working class, che accentuando lo stile dei victorian boys, creano una rough working class ( rude classe operaia ) dando luogo al fenomeno giovanile dei teddy boys. Sono ragazzi che vogliono recuperare i valori di inizio secolo quali il maschilismo, il sessismo ed appunto la rudezza. Intorno agli stadi tornano violenza e disordini, specie nei derby tesissimi (anche per ragioni religiose) tra Celtic e Rangers a Glasgow e tra Liverpool ed Everton a Liverpool. Ma l’Inghilterra agli inizi degli anni Sessanta è l’ombelico del mondo: moda, musica, tecnologia, tutto quello che nasce in Inghilterra diviene tendenza. Nasce in questi anni, come spiegato precedentemente, il movimento skinheads che si approprierà delle football ends (le curve degli stadi inglesi) alla fine degli anni Sessanta. Si comincia a vedere negli stadi una nuova tipologia di tifoso: capelli rasati, sciarpe con i colori della propria squadra, giubbotto imbottito e ai piedi anfibi con punta in metallo. E’ proprio quest’ultima caratteristica che da origine al nome del nuovo gruppo giovanile: vengono soprannominati i boot boys (boot, stivale) e il loro credo è la violenza. Gli skinheads considerano lo stadio un luogo d’aggregazione, un punto fermo dove poter affermare la propria autorità basandosi sulla violenza. Questi ragazzi si conoscono a prescindere dallo stadio, spesso fanno parte di gangs di strada dei vari sobborghi cittadini, odiano visceralmente i mods, colpevoli secondo loro di sminuire la figura rude e maschilista della classe operaia. Le football ends (le tribune poste dietro le porte degli stadi inglesi) diventano territorio skinheads e i vecchi tifosi, anziani e pacifici, vengono in fretta emarginati ed allontanati. E’ in questo momento storico che nascono i primi nomi per le gangs da stadio. Sono nomi che incutono volutamente timore: ad esempio Headhunters (cacciatori di teste) tifosi del Chelsea, Zulu Warriors (guerrieri Zulu) tifosi del Birmingham, Suicide Squad (squadra suicida) tifosi del Burnley, Red Army (armata rossa) tifosi del Manchester United, e gli Inter City Firm tifosi del West Ham. Nello stesso momento anche le ends prendono per la prima volta un nome: nascono la Kop di Liverpool, la North Bank di Londra (sponda Arsenal), la Shed sponda Chelsea, la Stretford End del Manchester. Conseguenza di ciò sono le battaglie fra gruppi di tifoserie avversarie, che hanno l’unico e solo obiettivo di prendere letteralmente la end (take an end) mettendo in fuga il gruppo nemico. 10 Il dato sconcertante è la facilità con cui queste bande generano scontri all’interno e all’esterno dello stadio, dando vita al panico tra il pubblico pacifico. Motivo di tale facilità è la completa impreparazione delle forze dell’ordine alla nuova ondata di violenza. Moltissime sono le partite interrotte per le invasioni di campo, facilitate dalla totale assenza di barriere a bordo campo. In funzione di ciò la televisione inglese, tramite la trasmissione “Match of the day”, inizia a trasmettere le immagini delle partite e il fenomeno diventa visibile all'intera nazione che chiede provvedimenti. Vengono sistemate barriere per isolare le curve, sperando di arginare il fenomeno delle invasioni di campo, le forze dell’ordine vengono impiegate dentro e fuori gli stadi e vengono introdotte le telecamere a circuito chiuso. Le misure adottate non frenano però la violenza, al massimo la spostano in luoghi vicini agli stadi. Gli organi di stampa fanno da cassa di risonanza alle violenze hooligans, ma a questi ragazzi leggere le loro gesta sui giornali non fa altro che piacere. Nascono poi le rivalità fra gruppi, specie nei derby londinesi fra West Ham, Milwall, Tottenham, Arsenal e Chelsea, gruppi londinesi che però fanno squadra quando dal nord scendono le bande organizzate del Manchester o del Liverpool. Si creano così i cosiddetti gemellaggi: gruppi che aiutano altri nel tentativo di contenere e superare l’altro, spesso per vendicare sconfitte subite negli scontri precedenti. Il primo morto accertato in conseguenza del fenomeno hooligan è datato 1974 e nello stesso anno si verificano anche i primi incidenti di tifosi inglesi all’estero. Altri morti si registrano nel 1976 e nel 1977 e paradossalmente tifare e cantare all’inglese diventa una moda nelle tifoserie di tutta Europa. È nel 1974, dopo un’invasione di campo nel derby Manchester City-Manchester United, che vengono elevate le barriere di separazione intorno alla Streetford End, operazione che oltre a unire e a dare il senso di orgoglio per l’isolamento dai tifosi normali, fa crescere il loro prestigio tra tutte le ends (curve) del Paese. Verso la fine degli anni Settanta si assiste ad una inversione di tendenza del fenomeno violenza che innescha un meccanismo perverso nella classe politica e nei mass media: ci si convince che gli hooligans vanno messi sullo stesso piano delle mode giovanili quali i mods e i punk e che, come nascono, muoiono. Ciò autorizza a non prendere provvedimenti su misura né a reprimerli con asprezza. Tali considerazioni, molto superficiali, si dimostrano come il classico boomerang per la società inglese che assisterà agli anni più duri e difficili della piaga hooligans. Piaga che è 11 ben presente anche in Galles, quando a seguito di una partita, un tifoso muore. Ne seguono altri e la politica e l’opinione pubblica tornano a parlare di fenomeno da arginare con provvedimenti seri. Alcune tifoserie, in particolare quelle del Chelsea, del Leeds e del West Ham, allacciano rapporti con il Fronte Nazionale di estrema destra, che vedevano le ends come un possibile reclutamento politico e un attivo braccio armato. È così che la politica inglese addossa la colpa della violenza negli stadi all’estrema destra, continuando a sottovalutare il fenomeno di ribellione e caos generato dalle tifoserie britanniche. Lo stesso Fronte nazionale non metterà mai radici profonde nelle ends, anche perché gli stessi tifosi rifiutano il sistema gerarchico esistente in politica: il gruppo è gruppo e agisce in massa, senza un ordine né un vero e proprio capo e sono gli stessi hooligans a rifiutare imposizioni dall’esterno. Anche la nazionale inglese non rimane esente dal fenomeno hooligans e sono proprio gli anni Ottanta che registrano incidenti di tifosi al seguito della squadra dei tre leoni. Ogni volta che un club inglese, o la nazionale, gioca all’estero, si instaura un clima di tensione e di guerriglia urbana, spesso alimentato dagli organi di informazione, in primis quelli britannici, che nella maggior parte dei casi ingigantiscono anche fatti occasionali e marginali contribuendo alla nomina, spesso a torto, di “feccia d’Europa” dei supporters inglesi. Nonostante le nomine negative attribuite, il “fenomeno” degli hooligans sarà uno dei più copiati dai tifosi di tutta Europa. 12 CAPITOLO 2: “ Le teorie delle subculture delinquenziali della Scuola di Birmingham” La letteratura sociologica che si occupa dello studio del fenomeno delle bande in connessione con il tema delle subculture giovanili, parte dall’Inghilterra, nello specifico dalla Scuola di Birmingham, e approfondisce lo studio delle prime forme di resistenza a partire dagli anni Cinquanta. L’analisi dei fenomeni di gruppo giovanili basati sulla costruzione di un’immagine comune e di gusti e stili capaci di identificare il gruppo, e non necessariamente intesi come devianti, risale proprio in questi anni e l’Inghilterra ne è assoluta protagonista: in quel periodo infatti fa la sua comparsa un’enorme varietà di culture spettacolari, le cui caratteristiche si differenziano però da quelle americane per la minore violenza e i caratteri meno minacciosi. In Inghilterra, inoltre, i quartieri operai hanno mantenuto una particolare organizzazione urbana e gli studi legati alla cultura operaia hanno una radicata tradizione. Il Centre for Contemporary Cultural Studies (CCCS), la Scuola di Birmingham, fondato da Richard Hoggart nel 1964 e in seguito diretto da Stuart Hall, fa riferimento alla teoria marxista e in particolare alla teoria dell’egemonia di Gramsci, dove per egemonia ci si riferisce a una situazione in cui un’alleanza provvisoria di certi gruppi sociali può esercitare una “autorità sociale totale” su altri gruppi subordinati, attraverso la conquista e la regolamentazione del consenso, in modo che il potere delle classi dominanti appaia insieme legittimo e naturale. La sfida all’egemonia che le sottoculture rappresentano non è emessa in maniera diretta, bensì in “maniera obliqua”, attraverso i principi di unità e coesione della cultura dominante che contraddice il principio del consenso. Uno stile sottoculturale è definito quindi attraverso la selezione, la combinazione e la ricontestualizzazione di oggetti, simboli e parole appartenenti a orizzonti culturali differenti, rimossi dal loro contesto originario, privati di alcuni dei loro caratteri convenzionali e riutilizzati dai membri del gruppo in un insieme nuovo e coerente nel quale acquistano uno speciale significato. Questa violazione simbolica dell’ordine sociale è, secondo gli studiosi di Birmingham, tipica della cultura della classe operaia e viene analizzata secondo alcune direttrici teoriche ben precise. Innanzitutto, la classe sociale, e non l’età o la generazione, è l’elemento esplicativo della produzione di subculture giovanili. 13 In secondo luogo, la produzione di subcultura, e non la devianza, spiega il comportamento giovanile di banda. Le subculture nell’Inghilterra di quegli anni sono dunque nuove e mutevoli espressioni della tradizionale cultura operaia, ed esprimono antagonismo simbolico nei confronti della cultura egemone: quella della classe media. Le subculture, infine, pur essendo alimentate e generate dall’industria culturale, assumono una posizione di autonomia e di iniziativa anche nei confronti della moda, indirizzandone i movimenti e usandola in modo imprevedibile e innovativo. Non si tratta dunque di sostituire l’appartenenza di classe all’età, ma di analizzare le precise modalità secondo cui l’età agisce come mediazione della classe sociale. La resistenza alla cultura dominante diventa un modo per attribuire significato alla propria marginalità. In più le reazioni dei giovani della working class, agli ambiti classici di negoziazione tra classe ed età (scuola, lavoro, famiglia), si presentano congiuntamente ad un altro ambito della vita: quello del tempo libero. Il tempo del divertimento è considerato il luogo del tradizionale risarcimento per i membri della classe operaia, il momento che fornisce gratificazioni che non possono essere soddisfatte né sul lavoro né nello studio. L’appartenenza di classe trova in questo contesto diverse forme di espressione in cui esercitare delle scelte, determinare la propria autonomia, tentare di assumere maggiore controllo sulle proprie condizioni di vita. Le subculture mod e skinhead, per esempio, vengono interpretate come opposizioni simboliche che permettono la ricostruzione di un’identità minacciata: i mod sono una caricatura dell’immagine di correttezza che la cultura dominante associa all’immagine di ascesa sociale; gli skinhead effettuano lo stesso procedimento in senso inverso: riassumono nel loro stile rozzo e provocatoriamente maschile i classici valori della cultura operaia. L’esistenza delle nuove sottoculture giovanili è quindi, per gli studiosi della Scuola di Birmingham, manifestazione dell’antica cultura operaia. Di questa le varie subculture continuano a presentare quell’atteggiamento di opposizione e di separatezza nei confronti della classe dominante. L’attenzione che la scuola pone alle differenziazioni interne alla cultura giovanile, precedentemente mai analizzate, è importante: non tanto quello posto alle differenze di classe, bensì a quelle territoriali, etniche e generazionali. La resistenza simbolica messa in atto dalle sottoculture permette così di conquistare tempo e spazio (sociale e simbolico), marcando i confini di un proprio territorio all’interno della 14 città/metropoli: il vicolo, la strada, la discoteca, la notte, l’automobile, lo stadio, il “doing nothing”. Riassumendo in forma schematica i fondamenti teorici dei Cultural Studies, è possibile individuare quattro concetti chiave: l’ideologia che riguarda il rapporto vissuto dagli uomini con il mondo; l’egemonia, secondo la prospettiva di Gramsci e correlata al concetto di cultura popolare; l’autonomia della cultura e dell’ideologia; il genere, inteso come modalità di fruizione e come pratica d’uso dei testi mass-mediatici. 2.1 Hoggart Nasce a Leeds, in Inghilterra, studia nell’università della sua città natale e nel 1946 inizia la sua carriera accademica nell’università di Hull (1946-1959), carriera che continua a Leicester (1959-1962). Hoggart ebbe modo di vivere a presa diretta con la cultura proletaria, sia per le sue origini che per il suo intenso coinvolgimento in iniziative di educazione degli adulti. Proprio per questo motivo il suo interesse si muove verso la progressiva scomparsa di una genuina cultura popolare e sulle modalità di funzionamento della società urbana dell’epoca, società caratterizzata da forme di aggregazione sempre più complesse. Nel suo testo, The uses of literacy, del 1957, analizza sia come stesse avvenendo, in modo progressivo, la scomparsa della sua “vecchia” classe lavoratrice e come, invece, ne stesse affiorando una “nuova”. Il libro è infatti diviso in due parti: “l’ordine vecchio” e “l’ordine nuovo”. Nell’ordine vecchio egli descrive la cultura della classe lavoratrice della sua infanzia (anni Trenta) come una cultura “viva e tradizionale”; mentre nell’ordine nuovo afferma la minaccia della cultura tradizionale della classe lavoratrice dalle nuove forme di divertimento di massa degli anni Cinquanta. I dati descritti che provano il declino culturale rappresentato dalla cultura popolare degli anni ’50, sono tutti materiali raccolti durante la sua attività di lettore e ricercatore universitario: il vecchio ordinamento si basa sull’esperienza personale, il nuovo sulla ricerca accademica. L’oggetto del suo attacco non è il “declino morale” della classe lavoratrice, ma quello che egli percepisce come il declino della “serietà morale” della cultura prodotta per la classe 15 lavoratrice. Conferma però la sua fiducia nella classe operaia a resistere a gran parte delle manipolazioni della cultura di massa: è convinto che essa è dotata di una forte capacità di sopravvivenza ai cambiamenti, adattandosi e assimilando tutto ciò che volesse del nuovo, e ignorando tutto il resto. Hoggart descrive l’estetica della classe lavoratrice come l’interesse per il dettaglio privato del quotidiano , un interesse verso ciò che fosse già conosciuto. Inoltre, il consumatore operaio, non cerca una via di fuga dalla vita ordinaria, come invece fa l’uomo della classe dominante, ma ricerca la sua intensificazione. È il nuovo divertimento degli anni ’50 a sovvertire quest’estetica: i piaceri del divertimento di massa non solo sono irresponsabili, ma distruggono la stessa cultura di base della classe lavoratrice più antica e sana. In questo modo Hoggart anticipa la dinamica molto sfaccettata delle trasformazioni cui sarebbe di lì a poco andata incontro la cultura operaia e urbana inglese, con gli effetti della massificazione e della americanizzazione dei consumi. Le ricerche di Richard Hoggart, quindi, analizzano la cultura popolare come una strategia di resistenza agli effetti congiunti della cultura dominante e della cultura di massa. Hoggart, pur sostenendo di non essere animato da un intento politico quanto dalla preoccupazione del declino in Inghilterra delle istituzioni di famiglia, di comunità e di classe, utilizza una serie di strumenti e indicazioni mutuati dall’antropologia nell’analisi del folklore che assumono un carattere inequivocabilmente politico. Ciò fu determinante per la nascita della Università di Birmingham, dove fonda, nel 1964, il Center for Contemporary Cultural Studies del quale è direttore fino al 1973 per poi essere sostituito da Stuart Hall. Sia Richard Hoggart che gli altri esponenti del Cultrual Studies non hanno una formazione prettamente sociologica: Hoggart è un esperto di letteratura inglese così come Raymond Williams, a cui pure si ispirano i primi lavori della Scuola di Birmingham. 16 2.2 Williams Nasce a Llanfinhangel Crucorney, un paese del Galles, nei pressi di Abergavenny. La famiglia di Williams è piuttosto modesta. Suo padre lavora come segnalatore presso la cabina della stazione ferroviaria del suo villaggio. I suoi avi erano semplici contadini oppure operai, quindi è presente una forte consapevolezza della propria collocazione sociale, dove il senso di una organic community era molto vivo. Williams assolve agli obblighi scolastici superiori frequentando la King Henry VIII Grammar School di Abergavenny. Poi, entra al Trinity College a Cambridge. Nell’inverno del 1940, davanti agli avvenimenti della Seconda Guerra Mondiale, interrompe gli studi per arruolarsi nell’esercito: è assegnato, con il grado di ufficiale, all’artiglieria Anti-Tank. Inviato in Normandia all’indomani del D-Day, segue l’esercito in Germania, sino al 1945. Nel 1946, torna a Cambridge e trova lavoro per alcuni anni come tutor nei corsi per l’educazione degli adulti presso l’University of Oxford. Nel 1958, pubblicando lo studio “Culture and Society”, acquisisce la reputazione di studioso della cultura nell’epoca della società industriale, confermata nel 1961 con la pubblicazione di “The Long Revolution”. E’ subito invitato a tornare a Cambridge, per assumere la cattedra di Professor of Drama, peraltro da lui retta dal 1974 al 1983. Nel 1973 è, per un anno, Visiting Professor of Political Science presso la Stanford University, dove compie gli studi sulla televisione come forma culturale e tecnologia delle comunicazioni di massa. Nel 1983, lascia Cambridge per ritirarsi a Saffron Walden, nel suo amato Galles. I concetti chiave per comprendere le teorie di Williams sono i seguenti: Culture (Cultura). Williams scrive: “L’idea di cultura poggia su una metafora: curare lo sviluppo naturale. E in verità, è sullo sviluppo, come metafora e come fatto, che in definitiva si deve porre l’accento.” In che modo? Quando si parla di cultura e di comunicazione il pensiero va immediatamente al concetto di “comunità”. Nella società industriale, però, convivono due nozioni di comunità: una di servizio, propria delle classi medie, l’altra di solidarietà, specifica delle classi lavoratrici. La cultura di massa sintetizza l’una con l’altra disattivando l’idea di “mutua responsabilità attiva” che è parte della comunità come servizio, enfatizzando il 17 servizio (sociale) come prestazione di funzioni. Da qui, i Cultural Studies affermano che la cultura dominante, da un lato, influenza in modi diversi i diversi gruppi sociali, dall’altro, è alla base di un processo di conflitto e negoziazione tra i gruppi sociali. Ideology (Idéologie, Ideologia). Ritenendo questo termine indispensabile nell’analisi sociologica per la sociologia della cultura, Williams chiede di interrogarne l’uso, per vedere se è usato per descrivere le credenze formali e consapevoli di una classe sociale o di un gruppo sociale; o la visione del mondo di una classe o di un gruppo, ovvero gli atteggiamenti, le abitudini, i sentimenti, i comportamenti e gli impegni inconsapevolmente assunti. L’analisi, allora, deve investire l’area delle prospettive generali in cui si manifesta la “cultura mutevole” di un classe sociale a valenza storica: in proposito, occorre considerare: 1) la “falsa apparenza” vissuta; 2) la pratica sociale reale; 3) la produzione culturale manifesta. In tal modo, Williams focalizza il senso del termine “ideologia” nel rapporto tra il peso dell’uso linguistico, il senso delle credenze organizzate e la produzione culturale che scaturisce dalla riproduzione sociale di tali credenze. Inteso come produzione di significati da parte delle credenze o delle istituzioni culturali storiche o delle organizzazioni di genere – tra cui occorre annoverare anche i mezzi di comunicazione di massa –, il concetto di “ideologia” ha avuto un ruolo centrale all’interno dei Cultural Studies. A ciò, va associato il concetto di “egemonia”, ripreso dalle opere di Antonio Gramsci, come forma di controllo sociale esercitata essenzialmente tramite la sovrastruttura sociale (tradizioni, credenze, cultura letteraria, arti, ecc). Al riguardo, Wiliams parla invece di “superstruttura”, riferendosi alle istituzioni culturali; alle forme culturali di consapevolezza; alle pratiche politiche e culturali. Mass Communication (Comunicazioni di massa). L’industrializzazione della società, la concentrazione urbana delle classi lavoratrici e l’avvento della società di massa hanno rappresentato una minaccia per la cultura. Le comunicazioni di massa sono il prodotto più evidente della democrazia contemporanea che fa ricorso ai nuovi mezzi di comunicazione (stampa popolare, telegrafo, fotografia, pubblicità, fumetti, cinema, radio, televisione) come fattori di progresso tecnico e formula politica di governo della comunicazione per le masse. 18 Circa gli effetti, Williams scrive: “Se il nostro scopo è l’arte, l’educazione, la trasmissione di informazioni o opinioni, la nostra interpretazione sarà nei termini dell’essere razionale e interessato. Se, d’altra parte, il nostro scopo è l’influenzare (persuadere un gran numero di persone ad agire, sentire, pensare, conoscere in un determinato modo), la formula adatta sarà quella delle masse.” Ma la comunicazione non è solo trasmissione, è anche ricezione, quindi risposta. Quindi dobbiamo chiedere alla scienza della comunicazione di interrogarsi sul suo modo di essere, da un lato, sulle capacità di comunicare dei mezzi di comunicazione, dall’altro. Technology and Cultural Form (Tecnologia e Forma culturale). Sono i due capisaldi che fanno della televisione il mezzo principale delle comunicazioni di massa nella seconda metà del Novecento. La televisione è una formazione culturale ad alto sincretismo, generata da una nuova tecnologia che polarizza degli assetti economici, interessi sia privati che pubblici, sistemi di produzione e dinamiche di distribuzione e consumo, e forme di tipo drammatico. La televisione in quanto tecnologia culturale “ha cambiato il mondo”: è un mezzo di massa per l’informazione e l’intrattenimento; trasforma le istituzioni e le forme di relazione sociale; cambia la nostra percezione del reale, quindi le relazioni interindividuali ed il rapporto con il mondo; muta la scala e la forma della nostra società; sottrae vitalità ed importanza agli altri mezzi di comunicazione; deprime i processi di vita familiare e sociale; fornisce in maniera centralizzata le risorse per l’intrattenimento, la formazione dell’opinione, i modelli di comportamento; incrementa l’economia del consumo di tecnologie per la vita domestica; esalta i fattori di passività psicologica e inferiorità culturale; è a servizio dello sfruttamento sociale dei bisogni di una società grande, complessa, ma atomizzata. A Williams è riconosciuto il merito di avere introdotto, da una parte, gli studi culturali anglosassoni all’opera di Antonio Gramsci, nonché il concetto di “ideologia come cultura”; dall’altra, aver promosso la connessione tra gli studi storici della cultura industriale, la sociologia culturale e la sociologia dei mezzi di comunicazioni di massa. 19 2.3 Altre teorie Secondo Sherif, psicologo statunitense a cui si devono importanti contributi alla psicologia sociale e alla ricerca sulla formazione dei gruppi, le bande di adolescenti sono un fenomeno costante e normale delle società, che diventa particolarmente visibile nelle periferie delle grandi città ma che riguarda in realtà, tutti gli strati sociali. Secondo la sua ricerca, anche quando queste aggregazioni svolgono attività illegali, non è quasi mai l’attività illegale in se stessa ciò che costituisce la ragione centrale dell’aggregazione: alla base di tutte le aggregazioni giovanili sembra esistere sempre quel bisogno di socialità e di reciproco riconoscimento che solo il gruppo dei pari può soddisfare, anche se poi il gruppo stesso può assumere fisionomie molto diversificate, in rapporto anche alle risorse culturali esistenti in un certo contesto spazio-temporale. Gli elementi che strutturano, e definiscono, un gruppo sono: l'organizzazione di ruoli e status, la divisione funzionale, la stratificazione delle posizioni ricoperte e del potere correlato, un complesso di norme e valori regolanti i comportamenti individuali e collettivi. Ogni gruppo non ha vita isolata, ma opera in situazioni di scambio con altri aggregati. Per effetto di questo collegamento, ogni aggregazione sociale muta la sua struttura nel corso del tempo e le variazioni longitudinali avvengono a scopo di perfezionare l'adattamento all'esterno. Moscovici, psicologo e sociologo degli anni ’50, ritiene che tutte le persone possono essere sia fonte che bersaglio di influenza sociale anche se in misura diversa e in funzione del loro status. Secondo lo psicologo-sociologo, spesso la coscienza di appartenere ad un gruppo minoritario, sollecita l’assunzione di atteggiamenti innovativi e di comportamenti di rottura che tracciano le linee di un’identità sociale, elaborata dai membri, in una auto rappresentazione più gratificante. Quando il gruppo minoritario non vive la propria condizione in modo decisamente negativo, ma la marginalità viene accettata e rivalutata positivamente, può accadere che il gruppo ricorra a diversi strumenti per darsi un’immagine sociale alternativa, in opposizione ai caratteri dominanti nella società più vasta. La visione di Farrington rientra in quella della “carriere criminali” e la sua teoria viene inserita nell’ambito delle teorie psicologiche della criminalità. Gli studi effettuati hanno permesso di costruire una nuova teoria mettendo in luce che la delinquenza è solamente uno 20 degli elementi di una più ampia sindrome antisociale che ha inizio nell’infanzia e persiste nell’età adulta. Secondo Farrington il comportamento criminale è spesso preceduto da forme di antisocialità infantile come bullismo o aggressività, atti di crudeltà, da iperattività e disattenzione. È poi seguito da forme di antisocialità adolescenziale, come atti di vandalismo, rifiuto scolastico, danneggiamento a cose e persone, dall’uso di sostanze stupefacenti. La tappa successiva è seguita da forme di antisocialità adulta: come il maltrattamento dei figli o l’abuso di alcool. Questa però non accade sempre: non tutti i bambini che nell’infanzia mostrano aggressività o disattenzione saranno poi ragazzi violenti o pessimi genitori. Tutto dipende dall’ambiente in cui si vive, dalle persone che si frequentano e dal modo in cui si sceglie di vivere la propria vita. Questi sono aspetti molto importanti che verranno approfonditi nel prossimo capitolo. 21 CAPITOLO 3: “Le teorie di ieri e la realtà di oggi: le possibili soluzioni in campo educativo” I fenomeni descritti nel primo capitolo, quelli delle gangs di strada, delle bande criminali e degli hooligans, sono fenomeni appartenenti a sottoculture prettamente giovanili: sono sempre di più i giovani che aderiscono a questi “stili di vita”. Ma perché? La condizione adolescenziale e giovanile richiede la soddisfazione di particolari bisogni, che riguardano soprattutto la formazione della personalità, l’integrazione nella società e nel gruppo dei pari, il contatto con persone significative di riferimento ecc. Ogni determinazione dei compiti di sviluppo, inoltre, deve tener presente il contesto culturale, il livello di evoluzione sociale, le aspettative ed i compiti sociali attribuiti da quella società a questa determinata età. È noto come l’adolescenza sia quella fase d’età in cui il rapporto tra individuo e società si fa particolarmente conflittuale. È la fase in cui il ragazzo sente il bisogno di “rischiare”: si tratta di condotte che consentono all’adolescente di mettere alla prova le proprie abilità e competenze, di concretizzare i livelli di autonomia e di controllo che ha acquisito precedentemente e di sperimentare nuovi stili di comportamento. Tuttavia questa sperimentazione del rischio può portare il ragazzo a mettere in atto comportamenti dannosi per se stesso e per gli altri, comportamenti devianti. Attraverso la trasgressione, probabilmente vuole comunicare il suo stato di disagio per le risposte che non riceve dalla società, o che non trova adeguate ai suoi bisogni. L’atto deviante sarebbe quindi parte di un’azione comunicativa che vuole informare la società (quella degli adulti) del suo stato di disagio. Comunicazione che avviene colpendo i bersagli ritenuti più cari alla società degli adulti: la proprietà, l’ordine, la salute, le figure o i luoghi istituzionali ecc. Dare una possibile soluzione in campo educativo a questo fenomeno così allargato e discusso sarebbe troppo, in tal caso penso che sarebbero già stati presi i dovuti provvedimenti, ma si potrebbe suggerire qualche idea da poter mettere in pratica per prevenire il disagio e il rischio di devianza. Il comportamento deviante è un implicito atto d’accusa alla società che nega ai giovani interessati quelle risorse che dovrebbero essergli garantite per il raggiungimento degli obiettivi inderogabili. Se così è, diventa un’implicita domanda educativa che si rivolge in primis alle azioni educative. Per combattere il disagio educativo, però, non basta l’impegno 22 di qualche educatore specializzato e professionista poiché si tratta di ricostituire un rapporto con la società gravemente compromesso; e questo è un tipo di disagio che va contrastato con l’azione preventiva e promozionale. L’elemento guida che deve sorreggere questa azione preventiva è l’idea di cambiare qualcosa, e quindi il cambiamento. Una prima soluzione potrebbe essere quella di fare del territorio interessato al disagio una “comunità educante”: è necessario che il ragazzo ritrovi la comunità che l’attuale società in cui vive non rappresenta più. Tutto sta nel diventare consapevoli delle potenzialità educative del territorio preso in considerazione, accrescerle e aiutare a valorizzarle. Creare una rete tra le varie realtà presenti sul territorio incrementando la loro relazione, per esempio, accrescerà il servizio educativo attivando quei processi e quelle capacità per affrontare i problemi comuni e la soddisfazione dei bisogni. Una seconda soluzione, visto che stiamo parlando per la maggior parte di ragazzi, si potrebbe creare nelle scuole. A livello ambientale si dovrebbe creare quel clima scolastico positivo e di supporto incentrato sulla cooperazione, sull’autostima e sul rispetto per gli altri; sotto il profilo della programmazione, invece, si potrebbero convincere gli insegnanti ad inserire nella loro programmazione attuale dei progetti aventi tematiche che interessano il mondo dei ragazzi, magari facendo intervenire terze persone esperte nella tematica scelta per approfondire meglio il tema. A livello individuale, infine, l’istituzione scolastica potrebbe offrire supporto (magari con figure professionali d‘aiuto) agli alunni che presentano difficoltà di adattamento o dei veri disturbi. Si potrebbero quindi progettare delle attività finalizzate ad intervenire in modo più globale possibile sulla formazione della personalità dei ragazzi e sull’acquisizione di quegli strumenti che diano loro la capacità di auto-governarsi in un cammino di crescita di sempre maggiore autonomia e responsabilità. In un certo senso la scuola dovrebbe diventare un luogo finalizzato a scoprire ed esprimere le risorse interiori dei ragazzi. Una terza ipotesi d’intervento è centrata sul gruppo dei pari, questo perché le relazioni d’amicizia sono molto importanti per i ragazzi, soprattutto nel delicato periodo dell’adolescenza. Nel gruppo si impara a relazionarsi con il mondo e a trovare l’equilibrio tra l’affermazione della propria identità e quella degli altri. Il gruppo però può influenzare i comportamenti del singolo sia in positivo sia in negativo. Il forte senso di appartenenza e 23 lealtà che si sviluppa all’interno di questo, a volte, impedisce al singolo di sottrarsi alle proposte e di mantenere il proprio punto di vista, con il rischio dell’esclusione e l’accusa di essere un “traditore”. Il comportamento deviante si manifesta soprattutto in quei gruppi che fanno della violenza e della trasgressione il loro codice di comportamento, stiamo parlando, quindi, dei fenomeni descritti precedentemente: delle bande, delle gangs e della realtà hooligans. Se si fa parte già di questa realtà non è facile intervenire perché a volte lo stretto legame che si instaura all’interno tra i vari componenti è talmente forte che impedisce ogni tipo intervento. Difficile ma non impossibile, soprattutto se si interviene prima che un ipotetico gruppo di formi. In questo caso diventano necessari progetti educativi per insegnare ai giovani come gestire il proprio tempo libero, fornendo spazi, momenti, attività in cui possano esprimere al meglio le loro risorse. Una possibile esperienza da proporre potrebbe essere quella della “peereducation”: in questo modello di educazione i coetanei con determinate esperienze, assumono il compito di stimolare in modo positivo i compagni. Un’altra soluzione non troppo invasiva potrebbe essere l’animazione di strada perché viene effettuata sul posto, senza che i ragazzi debbano “spostarsi” o lasciare i loro luoghi abituali. L’importante è capire che il gruppo è importante per l’adolescente perché soddisfa bisogni d’affiliazione o di appartenenza, di indipendenza dagli adulti e di organizzazione autonoma. La cosa fondamentale è favorire la canalizzazione della devianza in forme espressive creative e costruttive, evitando quelle distruttive. È vero che stiamo parlando di fenomeni che hanno radici ben salde, ma è anche vero che iniziare pian piano vedendo anche un piccolo risultato (che potrebbe essere l’apertura di un centro giovanile che coopera, ad esempio con una palestra, nelle periferie di Manchester o Londra), potrebbe essere l’inizio di un intervento più grande. Tutto sta nella volontà di chi effettua il progetto e successivamente l’intervento educativo, e in quella dei destinatari. 24 CONCLUSIONE: “ Pensieri e critiche personali alle teorie studiate” La delinquenza giovanile è una realtà che è sempre stata presente in qualsiasi società: è parte di essa. Ho scelto come argomento quello della delinquenza e delle subculture in Inghilterra a partire dagli anni ’60 perché, si sa, quelli furono gli anni della grande rivoluzione giovanile. Se in passato la delinquenza e la nascita di nuovi gruppi e bande era legata, la maggior parte delle volte, alla povertà delle classi più basse, negli anni ’60 tutto ciò si verificò per pura contestazione a quella che era la classe dominante. Anche se a fare propria questa “rivoluzione” erano i giovani della classe operaia, il loro obiettivo non era quello di agire in modo violento verso gli esponenti della classe dominante, il loro intento era quello di evidenziare alla società dell’epoca la propria cultura, il proprio modo di vivere, i propri valori e il proprio modo di essere. Da qui, il boom delle nuove tendenze, dei nuovi modi di vita e di comunicazione giovanile. È proprio per questo che mi sono interessata al tema: la realtà giovanile mi è sempre interessata, specialmente nelle varie forme di aggregazione. È stato interessante vedere come gli studi dell’Università di Birmingham interpretavano le forme culturali dei gruppi e dei soggetti subalterni della società: attraverso lo studio delle “pratiche culturali” andavano a studiare quei processi di costruzione della soggettività. Ma è stato ancor più interessante studiare come le ideologie dei diversi gruppi sono cambiate nel tempo: il movimento degli skinhead, per esempio, usava la violenza solo per l’esigenza dello spazio: le risse nascevano tra gruppi di persone che sceglievano l'alternativa al conformismo, e quando qualcuno di questi varcava il loro territorio, la risposta era la violenza. Oggi le cose sono cambiate: chi appartiene al movimento skinhead si ritiene razzista e addirittura nazista, facendo proprie tutte le teorie assurde riguardo la superiorità della razza ariana, l’inferiorità di altre e così via. Inoltre l’essere violenti verso gli altri è una delle caratteristiche fondamentali dell’essere un “testa rasata”. Gruppi come le gangs di strada e gli hooligans sono tutt’ora presenti nella società inglese e per alcuni paesi sono diventati esempi da seguire (un esempio sono le gangs americane e il movimento ultras italiano). 25 Se negli anni ’60 i giovani prendevano parte a gruppi o movimenti che andavano contro la cultura dominante, era per sottolineare la propria cultura e la propria diversità alla società. Al giorno d’oggi i ragazzi prendono parte a gruppi o a determinati movimenti perché la loro paura, il più delle volte, è quella di rimanere emarginati dalla società: essere parte di una di queste realtà significa “essere qualcuno”, appartenere a una specifica “famiglia”, avere una propria identità. Ciò sta a significare che i ragazzi, di qualsiasi nazionalità essi siano, hanno bisogno di identificarsi in qualcosa o in qualcuno: soprattutto nella delicata età dell’adolescenza tutto ciò dona al ragazzo quell’identità e quel senso di appartenenza che lo rende sicuro di se e forte. Il problema è quando il ragazzo entra a far parte di un gruppo delinquente o che, comunque, usa la violenza come mezzo di comunicazione. È proprio per questo motivo che tutte le istituzioni dovrebbero attuare una politica di prevenzione della delinquenza, attuando progetti in vari ambiti che diano la possibilità ai ragazzi di avere una solida e valida formazione personale ed essere, quindi, in grado di incanalare tutte le proprie energie in qualcosa di costruttivo e positivo per se stessi e per la società in cui vivono. Il cambiamento è possibile e migliorare si può. 26 INDICE Introduzione…………………...…………………………………………………………pag 2 CAPITOLO 1: “ La delinquenza giovanile e le subculture inglesi dagli anni ‘60 al giorno d’oggi”…………………………………………………………………………………...pag 3 1.1 I primi skinheads……………………………………………………………………..pag 3 1.2 Gli scooter boys…………………………...…………………………………………pag 5 1.3 Gangs e bande di strada…………………………………………………………..…pag 6 1.4 Gli hooligans………………...……………………………………………………….pag 9 CAPITOLO 2: “ Le teorie delle subculture delinquenziali dalla Scuola di Birmingham”…………………………………..………………………………………..pag 13 2.1 Hoggart………………………………………………………………….………….pag 15 2.2 Williams………………………………………………………………………….…pag 17 2.3 Altre teorie………………………………………………………………………….pag 20 CAPITOLO 3: “ Le teorie di ieri e la realtà di oggi: le possibili soluzioni in campo educativo”………………………………………………………………………………pag 22 CONCLUSIONE: “ Pensieri e critiche personali alle teorie studiate…………….…….pag 26 BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA…………………………………………………….pag 28 27 BIBLIOGRAFIA CAIOLI, CALABRO’, FRABONI, LECCARDI, TABBONI, VENTURI, Bande: un modo di dire, Ed. 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