le basi neuropatologiche del dspt

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LE BASI NEUROPATOLOGICHE DEL DSPT
(disturbo da stress post-traumatico)
Marco Prastaro
Il lavoro che segue vuole in primo luogo essere un tentativo di riunificazione tra
due branche specialistiche nodali della pratica medica, sovente e a torto
considerate indipendentemente: neurologia e psichiatria.
Intento principe dello studio è il porre in essere una tematica di grande attualità e
risonanza psicoclinica, quale il Disturbo da Stress Post-Traumatico (DSPT),
eminentemente analizzata in chiave neuropatologica.
Il titolo dell’opera rimanda al dio greco distruggitore per antonomasia:
???? ???t???????.
Il tema della distruzione ha radici solide e ben impiantate nel fertile vetusto
terreno della Storia. Ovunque, le sue pagine, sono intrise di accadimenti che ad
essa fanno costante riferimento.
Battaglie, potere, dominio, prevaricazione sono soltanto alcuni tra i protagonisti,
figli dell’uomo, alla cui guida è Ares impetuoso. La trattazione che segue è
articolata sugli esiti devastanti - neurobiologicamente indagati - che forze
distruttrici siffatte determinano negli animi scossi di quanti, inermi, si trovano
coercitivamente esposti al loro moto travolgente. In particolare, indirizzerò
l’attenzione sull’archetipo di tali disturbi: il DSPT, appunto.
L’intero lavoro, oltre a fornire un’esauriente documentazione circa
l’ezioneuropatogenesi di tale importante affezione, è gremito di particolari
storico-letterari, chiamati a testimonianza dell’effettiva ubiquità secolare di
codesto rilevante fenomeno.
Keywords
- DSPT
- Trauma
- Stress
- Coping
- Amigdala
- Ippocampo
- Neuropsicoendocrinologia
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INDICE
1) Uno sguardo alla storia del DSPT attraverso…la
Storia
2) Alle radici del DSPT
3) Periscopio: Amigdala e DSPT a confronto
4) Eventi stressanti e malattie
5) Neuropsicopatologia del DSPT
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“Ma quando i barbari un argine avranno disteso di navi,
lungo la costa ad Artemide sacra e lunghesso la spiaggia Di
Cinosura, con folle speranza, distrutta la splendida Atene:
estinguerà poi Giustizia Insolenza, ch’è figlia di Orgoglio,
nell’avventarsi tremenda, e che tutto inghiottire presume. Bronzo
cozzar contro bronzo vedrassi, e di porpora il mare tinto per
opera d’Ares. Allora Vittoria e il Cronide Onniveggente
dell’Ellade la libertà recheranno”…
Liber VIII – Storie - 77
(in riferimento alla battaglia di Salamina)
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“I GRANDI DOLORI SONO MUTI”
Erodoto
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a storia del trauma psichico e delle sue conseguenze è vetusta come la
prevaricazione, le guerre e la distruttività dell’uomo in generale: solo
recente mente si è tentato di comprenderne la dinamica, sia sul piano psicobiologico, sia su quello socio-culturale.
Cospicue sono le attestazioni che echeggiano financo da un trascorso ormai
distante nel tempo, che indova l’affezione post-traumatica in una prospettiva
invero sfumata e atemporale, giacché invariabilmente nei secoli ricorrente.
Sappiamo così di casi singoli, come:
? quello di Carlo IX, per lunghi anni affetto da una sindrome classica di disturbo
post-traumatico da stress dopo la nota strage di San Bartolomeo (1572);
? quello di Pascal, insigne filosofo francese, che nel 1630 subì un forte trauma a
causa di un incidente occorso mentre attraversava in carrozza un ponte sulla
Senna, allorché i cavalli si imbizzarrirono e questi rischiò di precipitare nel fiume
sottostante. Negli anni che seguirono egli soffrì di una chiara forma di nevrosi
traumatica, con insonnia, incubi e la visione (quasi allucinatoria) di un abisso
sulla sua destra, che lo costrinse ad avere sempre una sedia da quel lato per
rassicurarsi. Non è chiaro se uno dei suoi più celebri aforismi: “la natura ha
terrore del vuoto”, sia stato concepito a causa di questo episodio;
? quello di Primo Levi, per sempre segnato dalla terribile esperienza vissuta nel
campo di sterminio di Auschwitz.
Situazioni ed accadimenti della vita, per il loro significato ed impatto emozionale,
possono, in talune circostanze, indurre o precipitare eventi psicologici latenti.
L’attuale sistematizzazione dei disturbi psicopatologici secondari ad accadimenti
particolari (reazioni ad eventi) è catalogata in tre grandi categorie.
I principi che sottendono questa rubricazione sono sostanzialmente tre:
- il tipo oggettivo di evento;
- la gravità della risposta del soggetto;
- l’estensione temporale delle sequele.
L
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Ad essi, rispettivamente, corrispondono:
1. Disturbi dell’Adattamento (DA): alterazioni psicopatologiche importanti ma in
genere di lieve o moderata gravità, con sintomi ad impronta per lo più ansiosa e/o
depressiva, intervenuti a seguito di un evento emozionalmente significativo con
cui sono in chiaro rapporto causale.
2. Disturbo Acuto da Stress (DAS): inquadrato come manifestazione
psicopatologica acuta consequenziale, entro poco tempo, all’esposizione ad un
avvenimento assai grave.
3. Disturbo Post-traumatico da Stress (DPTS): entità psicopatologica di gravità
consistente, sovente a lungo termine, con un quadro clinico caratterizzato da
sintomi in palese rapporto con l’esposizione ad un evento traumatico, in cui è
documentata seria minaccia per la vita, propria o di altri.
Il corollario sintomatologico tipico del DPTS è rappresentato da:
? intensa inquietudine e paura;
? orrore;
? evitamento fobico persistente del trauma e di stimoli o ricordi
ad esso associati;
? incubi e sogni angosciosi;
? persistenza della tendenza a rivivere il trauma;
? persistenza di ipervigilanza;
? compromissione della funzionalità psicosociale e lavorativa del
soggetto.
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Ne sono descritti tre tipi, secondo le modalità di insorgenza e durata:
? il primo tipo può insorgere immediatamente dopo il trauma. Il DPTS è quindi
preceduto da un DAS. I sintomi del DAS durano al massimo 1 mese mentre il
primo tipo di DPTS ha sintomi di durata da 1 a 3 mesi;
? il secondo tipo, invece, ha sintomi che durano 3 mesi o più;
? il terzo tipo, infine, ha insorgenza tardiva, mesi o anni dopo il trauma.
Il quadro dei sintomi per la diagnosi di DPTS deve persistere oltre 1 mese.
Gli eventi e le situazioni traumatiche in causa possono riguardare il singolo
individuo, un gruppo o anche una comunità, a seconda della natura dell’evento.
Ad esempio, catastrofi e disastri naturali (alluvioni, terremoti, eruzioni
vulcaniche, ecc.), o civili (situazioni di guerra e combattimento, disastri aerei o
navali, persecuzioni di massa, prigionia in campi di concentramento, attentati,
incendi di edifici, ecc.) coinvolgono gruppi o intere comunità. Stupri, omicidi,
rapine, violenza fisica, tortura, sequestri di persona, gravi incidenti
automobilistici, abuso sessuale infantile, malattie a grave rischio di vita di sé o di
un proprio figlio sono esempi, invece, che interessano il singolo individuo o unità
familiare.
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Aristotele, Etica Nicomachea – 1177b
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Con l’incedere inesorabile dei secoli, gli eventi bellici divennero cruenti oltre ogni
limite, nonché sempre meno ligi a quei principi cavallereschi che avevano
contraddistinto le eroiche vicende custodite nel Grande Libro dell’Epos.
E fu così che, a partire dal ‘500, si iniziò a notare uno spiccato incremento di
patologia neuropsichiatrica tra i soldati; soprattutto, tra le fila dei mercenari.
A lungo questa sintomatologia venne celata sotto la poetica dizione di “nostalgia”
o “sindrome del paese lontano”: in realtà, fino a non molto tempo addietro, era
praticamente inconcepibile considerare alcuni sintomi (depressione, apatia,
abulia , fobie varie ecc.) quali franche manifestazioni neuropsichiatriche, perché i
soldati sarebbero stati di certo tacciati di pusillanimità.
E ciò risulta quanto mai veritiero in quelle civiltà in cui l’ars bellica era vissuta
con sentita partecipazione, quasi venerata al pari di una divinità, poiché suprema
e concreta attentatrice della potenza di un popolo, della superiorità della sua
razza, nonché della legittima sua perpetuazione, secondo la scorta di un
inconsapevole “darwinismo socio-culturale” di massa.
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L’archetipo più conforme a codesto modus vivendi è fornito sicuramente dalla
civiltà lacedemonica . Era Sparta una potente polis greca in perenne contenzioso
con Atene, storica rivale, per il predominio della penisola ellenica.
Grazie a questa sua singolare forma mentis, tra la fine del VI e l'inizio del V secolo
a.C., Sparta ottenne l'incontrastata egemonia nel Peloponneso e, sviluppando
un'attiva politica estera sostenuta da interventi militari, pose la sua candidatura
a città guida di tutto il mondo greco.
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§ La Guerra secondo Eraclito e Platone
Per ERACLITO (Efeso, 535 a.C. – 475 a.C.) non può esservi una pace totale,
assoluta ed eterna; esiste una pace perché prima si è verificata una guerra, e
l’armonia nel divenire è di fatto espressione di questo fortissimo ossimoro.
Egli identifica nel logos, o ragione, l’archè di tutte le cose, collocandolo alla base
di una piramide di valori al cui vertice è però una ratio universale e suprema,
dominata dalla complementarità degli opposti, che il logos addirittura comanda e
dunque determina: Secondo Eraclito il mondo non può essere considerato
assolutamente tutto positivo o negativo; esiste il male, così come il bene; la guerra
e d’altro canto la pace; la giustizia e l’ingiustizia, e così via. Insieme si
compensano e si completano, generando armonia.
L’armonia che si realizza tra le cose presenti nella realtà consiste infatti nell’unità
ed identità degli opposti in tensione tra loro.
Eraclito inoltre attribuisce alla guerra un ruolo peculiare: essa è, per il Nostro,
simbolo ed allegoria sublime di creazione, non già di distruzione. Infatti,
l’equilibrio che da essa deriva cagiona un ordinamento superiore che distingue
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déi da uomini, liberi da schiavi, al contempo ponendo addirittura le basi di una
rinnovata giustizia:
*******
Secondo PLATONE (Atene, 427 a.C. – Atene, 347 a.C.) la guerra viene intesa
come strumento indispensabile per la più generale arte politica, tesa al
mantenimento dell’ordine e della pace all’interno della polis. Egli di fatto
riconosce la naturalità e quindi la non eliminabilità della guerra. Nella fattispecie,
il Nostro pone particolare attenzione alla connessione fra guerra e politica, e di
questo tema specifico dibatte in alcune delle sue opere maggiori, quali "Le leggi" e
“La Repubblica", nonché in un dialogo intitolato "A Protagora".
La guerra è fonte di accrescimento dello Stato o, per dirla con il filosofo, mezzo
attraverso il quale si procede dallo «Stato dei porci» a quello di «Stato gonfio di
lusso». In pratica, secondo Platone, è la guerra fattore di incivilimento o, più
correttamente, strumento attraverso il quale ha inizio una parabola di progressivo
ampliamento dello Stato, nonché di un suo perfezionamento.
Il pòlemos si colloca in tal modo a fondamento della costituzione dello Stato e
della sua intestina articolazione. Pertanto, la struttura della società non può
essere disgiunta da uno stretto legame con la guerra e con la logica ad essa
sottesa.
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Altra distinzione notevole è quella tra pòlemos e stàsis. Dice l’Accademico al
riguardo:
Platone quindi istituisce un rapporto disgiuntivo tra pòlemos e stàsis: mentre,
infatti, la guerra "esterna" o pòlemos è conseguenza della necessità di arrecare
sviluppo e prosperità allo Stato, e scaturisce a sua volta dalla concordia e dalla
pace fra i membri della medesima comunità, la guerra “interna” o stàsis produce
risultati esattamente opposti, in quanto dissolve l’unità statale e deriva dalla
discordia tra i cittadini dello Stato.
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Inoltrandosi Platone ulteriormente nella distinzione tra pòlemos e stàsis
approfondisce il ragionamento non limitandosi più alla differenza fra barbari, con
i quali si combatte il pòlemos, ed elleni, fra i quali si combatte la stàsis; piuttosto,
rinvia questa differenza tra coloro che sono o si riconoscono come fratelli e coloro
che non lo sono o agiscono come se non lo fossero.
In definitiva, ammette Platone, una guerra combattuta tra fratelli diventa
inevitabilmente meccanismo di dissoluzione dello Stato e dei valori etici che ne
regolano l’intima organizzazione; ove si converta in stàsis, la guerra non è più
mèros della politica, ma sua totale e radicale negazione.
La connessione intrinseca fra politica e guerra, esplicitamente riconosciuta nel
“Protagora” e poi sviluppata ne “La Repubblica”, trova poi ne “Le Leggi” una più
rigorosa giustificazione teoretica: da un lato, infatti si ribadisce che il fondamento
della vita pubblica e della vita privata va ricercato nella guerra; dall’altro si
afferma che:
In un futuro non molto lontanto, Aristotele, di Platone discepolo, avrebbe più
esplicitamente scritto, in una delle sue opere cardine: Etica Nicomachea :
La guerra, quindi, è da stimarsi quale parte integrante e fondamentale della
politica solo se volta a reggere e a preservare ordine, stabilità e pace nell’ambito
della comunità.
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Con la Guerra di Secessione Americana (dal 12 aprile 1861 al 26 maggio 1865)
e l’introduzione delle armi da fuoco a ripetizione e di obici, prese avvio un nuovo
curioso fenomeno: l’assenza, cioè, di ferite manifeste sul corpo di numerosi
soldati deceduti in battaglia.
Tali singolari circostanze, impropriamente bollate “vento della palla di cannone”,
sulla fallace credenza che cagione dell’exitus fosse lo spostamento d’aria
provocato dalla deflagrazione, in realtà correlavano con veri e propri quadri di
“morte psicogena”. Contemporaneamente, il medico Da Costa descrisse la
presenza di sintomi neurovegetativi in parecchi soldati, denominando codesta
sindrome “cuore del soldato ” o “cuore irritabile”.
Ma non solo le guerre: spesso gravi incidenti, specialmente ferroviari,
denunciarono la possibilità di sequele psicopatologiche quale conseguenza di
eventi traumatici vissuti.
L’indicibilità del dolore profondo ha trovato, nel secolo XX, la sua metafora più
inflazionata nella parola “trauma”, vocabolo di matrice greca con accezione di
“ferita”. Dell’anima, beninteso, o “trauma psichico”, nel duplice senso di causa ed
effetto di una malattia che aggredisce ab intrinseco e violentemente il proprio
essere.
Un termine, quello di “trauma”, oggigiorno divenuto di moda, ma che espone al
rischio di banalizzare il problema e di etichettare la sofferenza umana attraverso
una formula sostanzialmente medico-scientifica e, in quanto tale, assolutamente
spoglia di qualsiasi feedback empatico.
Nel 1900, secolo di guerre e genocidi, gli studi condotti da psicologi e medici
neuropsichiatri si concentrano soprattutto sulle reazioni psicologiche traumatiche
dei soldati, manifestantesi attraverso sintomi fisici, comportamentali, cognitivi ed
emozionali, rei nel complesso di boicottarne la presenza nei combattimenti al
fronte.
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Gli studi sulle persone e sulle popolazioni colpite dalla guerra furono affrontati,
invece, molto più tardivamente e solo per particolari categorie, come quelle che
attengono al trauma dei sopravissuti ai campi di concentramento, ovvero dei
bambini inglesi e finlandesi separati dai genitori e tradotti in luoghi ritenuti più
sicuri durante il secondo conflitto mondiale.
Scrive P. Levi (in Sommersi e salvati ):
“Noi sopravvissuti siamo una minoranza anomala oltre che esigua: siamo quelli che
non hanno toccato il fondo. Chi lo ha fatto, chi ha visto la Gorgonie non è to rnato
per raccontarlo o è tornato muto ”.
Ed aggiunge:
“La demolizione condotta a termine, l’opera compiuta, non l’ha raccontata nessuno,
come nessuno è mai tornato a raccontare la sua morte ”.
A seguito degli interventi umanitari nelle guerre balcaniche e in quelle del golfo,
l’attenzione degli studiosi iniziò timidamente a rivolgersi anche alla comprensione
dei traumi psicologici che subiscono le comunità colpite dalle vicende belliche.
§ Gli albori di una “nuova” psicopatologia
Nel corso degli ultimi due secoli, il concetto di trauma ha gradualmente subito
una profonda rivisitazione, passando da lesione organica a fenomeno
psicosociale.
Verso la fine del XIX secolo il neurologo Oppenheim iniziò a parlare di “nevrosi
traumatica” per illustrare una serie di reazioni psicologiche e fisiche quali paralisi
e amnesie.
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L’avvento di una nuova era – storicamente inquadrata dalla locuzione
“Rivoluzione Industriale” e tangibilmente correlata al processo di evoluzione
economica, che da un sistema agricolo-artigianale-commerciale condusse ad uno
industrializzato, governato dall'utilizzo diffuso di macchine e fonti energetiche
inanimate (come ad esempio i combustibili fossili) – portò inevitabilmente alla
comparsa di un incremento netto di incidenti sul posto di lavoro.
Risposte sintomatiche che parevano eccessive per un infortunio venivano perlopiù
spiegate come effetti di un danno diretto alla colonna vertebrale. Nacque così il
concetto “railway spine”.
Ben presto, tuttavia, l’idea di trauma come lesione organica andò dissolvendosi.
La nevrosi traumatica non era una “vera” malattia, bensì una sorta di “messa in
scena” del paziente, che così sperava di ottenere un risarcimento.
Sulla scia di questa concezione, anche l’incremento delle reazioni postraumatiche
tra i soldati della prima guerra mondiale venne tradotto nel desiderio di questi
ultimi di allontanarsi dal fronte.
Il termine “nevrosi traumatica” lasciò pertanto il posto a quello di “nevrosi di
guerra”.
In ambito psicoanalitico, tra le varie posizioni, predominava l’idea di trauma
interno: la causa delle nevrosi traumatiche risiedeva nei conflitti intrapsichici
profondi dell’individuo.
Autori come Sandor Ferenczi, tuttavia, si discostarono da questa teoria e
riaffermarono, nella genesi dei disturbi, la centralità del momento traumatico.
In seguito, il concetto di trauma fu in parte tralasciato, a vantaggio di ipotesi che
non compiutamente indagavano il fenomeno, di fatto venendo mancare
l’approccio basilare di carattere neuroscientifico.
Con la fine della guerra nel Vietnam e l’impressionante serie di veterani affetti da
disturbi psichici, si è assistito ad un rinnovato interesse per la patologia da
“trauma”, che ha condotto all’inserimento, nella terza edizione del DSM del 1980,
della categoria diagnostica di “Disturbo Post-Traumatico da Stress” (PTSD:
Post Traumatic Stress Disorder).
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In vent’anni, questa nozione diagnostica si perfeziona alquanto, designando
attualmente le conseguenze non solo dei traumi delle guerre, ma anche delle
catastrofi naturali e tecnologiche, degli abusi sessuali, delle rapine, degli
incidenti, con una prevalenza che negli USA è stimata attorno all’8%.
I criteri per definire una diagnosi di “Disturbo Post Traumatico da Stress” sono
sei.
In sintesi:
1. La persona deve essere stata esposta ad un evento traumatico che ha
implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni all’integrità fisica propria o
altrui.
In tale contesto, la persona ha provato paura intensa, sentimenti di impotenza od
errore.
2. L’evento traumatico viene rivissuto in maniera persistente dalla persona che
l’ha subito o ne è stata testimone, attraverso vari modi, quali ad esempio:
- ricordi spiacevoli che comprendono immagini, pensieri e percezioni;
- sogni spiacevoli e ricorrenti dell’evento traumatico;
- reazioni comportamentali come se l’episodio si ripetesse;
- disagio psicologico intenso di fronte a situazioni che assomigliano o
simbolizzano quelle esperimentate;
- reazioni fisiologiche che simbolizzano alcuni aspetti dell’evento traumatico.
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3. La persona cerca in tutti i modi di evitare gli stimoli associati con il trauma,
come indicato in almeno tre dei seguenti elementi:
- sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma;
- sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma;
- incapacità a ricordare qualche aspetto importante del trauma vissuto;
- marcata riduzione dell’interesse e della partecipazione ad attività significative;
- sentimenti di distacco o di estraneità agli altri;
- ridotta capacità affettiva;
- riduzione delle prospettive future per una vita normale.
4. La persona prova sintomi persistenti di arausal (reazione individuale ad un
particolare stimolo), ad esempio nelle difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il
sonno; irritabilità e scoppi di collera; difficoltà a concentrarsi; ipervigilanza;
esagerate risposte di allarme.
5. La durata dei sintomi deve essere superiore ad un mese. Se il disturbo dura
sotto i tre mesi si considera acuto, dopo i tre mesi si considera cronico. Può
verificarsi un (23) disturbo ad esordio ritardato, se questo insorge dopo sei
mesi dall’evento.
6. Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o menomazione del
funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti.
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I circuiti neuronali limbici costituiscono la biologica dimora della vita emozionale
ed affettiva, avente il fulcro della sua ragion d’essere:
? sia nel rapporto con funzioni plasmate dagli apprendimenti mnemoderivati;
? sia nel legame con le attività istintive specie-specifiche, direttamente connesse
con gli automatismi viscerali controllati dall’ipotalamo e da centri specifici del
tronco encefalico.
Particolare risonanza nella patogenesi del DSPT offrono a dare, nell’ambito del SL,
soprattutto:
? l’ippocampo;
? l’amigdala.
Il primo, in quanto sede praticamente elettiva della genesi mnestica.
Il secondo, poiché fortemente legato alle pulsioni più intense e primigenie, quali:
paura, angoscia, terrore, in tale disturbo decisamente ricorrenti.
Le emozioni che quotidianamente proviamo hanno una mente propria che si
occupa di loro, e che può avere opinioni del tutto indipendenti da quelle della
mente razionale.
L’ippocampo (annesso al SL e di pertinenza del lobo temporale) è specificamente
coinvolto nella registrazione e nella comprensione degli schemi percettivi, più che
nelle reazioni emotive.
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Mentre l’ippocampo ricorda i fatti nudi e crudi, l’amigdala ne trattiene, per dir
così, il sapore emozionale. Ad esempio: nel caso in cui avessimo operato un
sorpasso rischioso, tale da suscitare un certa apprensione, è l’amigdala a
ridestare in noi le medesime sensazioni se e quando, in qualche modo, avessimo a
rivivere un’analoga circostanza.
Esemplificando: l’ippocampo è fondamentale per riconoscere in un volto quello di
un familiare. Ma è l’amigdala ad aggiungere, ad esempio, quanto o no ci stia
antipatico.
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Nei nostri cuori dimorano ferite emozionali attive, che al minimo sussulto sismico
(? esperienze che la vita comporta) emergono con un impeto pari solo alla potenza
di un vulcano in eruzione, provocando, il più delle volte, danni ingenti a noi stessi
e alle persone che più amiamo.
Il nucleo dell’amigdala, organo pari e simmetrico, deve il suo nome alla
somiglianza con una mandorla.
È collocata subito al davanti della coda del nucleo caudato, inferiormente rispetto
all’uncus e, pertanto, topograficamente sotto la “giurisdizione” del lobo temporale.
In tutte le specie animali studiate, il nucleo dell’amigdala può essere ripartito in
alcuni gruppi cellulari o sottonuclei, con architettura differente.
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Si è soliti riferirsi all’intero nucleo dell’amigdala come summa amigdalae (o
complesso amigdaloideo), in quanto non tutti i nuclei sono ben demarcabili.
Semplificando, si possono distinguere:
il gruppo sottonucleare corticomediale;
il gruppo sottonucleare basolaterale, particolarmente sviluppato nell’uomo;
il gruppo sottonucleare centrale, che fornisce per lo più proiezioni efferenti al
tronco encefalico.
L’amigdala presiede essenzialmente alle seguenti fisiologiche mansioni:
- coordina l'attività del sistema nervoso autonomo e del sistema endocrino;
- è implicata nei processi emozionali: la stimolazione di questo centro provoca
infatti delle drammatiche manifestazioni di angoscia ed evoca immagini
terrificanti.
Sintetizzando: l’amigdala funge da archivio della memoria emozionale, ed è
pertanto depositaria del contenuto stesso degli eventi; una vita senza amigdala è,
quindi, un’esistenza spoglia di significato personale.
I segnali in entrata, provenienti dagli organi di senso, permettono all’amigdala di
esaminare ogni esperienza, alla voluta ricerca, per così dire, “di guai”.
Gli input sensoriali originati dall’occhio o dall’orecchio, nella fattispecie, viaggiano
dapprima diretti al talamo; quindi, servendosi di un circuito monosinaptico,
giungono all’amigdala. Nondimeno, esiste un fascio molto sottile di fibre nervose
che si reca direttamente all’amigdala.
Un secondo segnale viene poi inviato dal talamo alla neocorteccia.
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Tale ramificazione neuronale permette all’amigdala di cominciare a rispondere
addirittura prima della neocorteccia. Quest’ultima, infatti, elabora le
informazioni attraverso un processo mediato da reti neurali composite, prima di
poterle percepire in modo davvero completo. Indi, formula una risposta, di certo
più raffinata rispetto a quella dell’amigdala, ma anche più tardiva.
É l’amigdala, in pratica, una sentinella psicologica in grado di vagliare ogni
situazione e/o percezione, in ciò costantemente guidata da un unico
interrogativo, il più primitivo: “E’ qualcosa che odio, temo, o di pericoloso?” Se la
risposta è affermativa, l’amigdala scatta ipso facto, alla stregua di un grilletto
neurale che reagisce telegrafando un messaggio di crisi a numerose regioni
encefaliche.
Quando scatta l’allarme della paura, ad esempio, l’amigdala:
? stimola la secrezione degli ormoni che innescano la reazione di combattimento
o fuga;
? mobilita i centri de l movimento;
? attiva il sistema cardiovascolare, i muscoli e l’intestino.
? Altri segnali vengono dati per secernere piccole quantità di adrenalina, oppure
al tronco cerebrale, facendo assumere al volto un’espressione spaventata, ecc.
? Simultaneamente, i sistemi mnemonici corticali vengono riorganizzati, con
precedenza assoluta al richiamo di ogni possibile informazione utile nella
situazione di emergenza contingente.
L’amigdala, inoltre, è una delle aree encefaliche maggiormente ricche di
enkefaline, pentapeptidi endogeni che si legano ai recettori cerebrali dell’oppio.
Enkefaline sono state rivenute anche nella componente amigdalo-fuga della stria
terminale.
In quanto archivio della memoria emozionale, l’amigdala analizza l’esperienza
corrente, comparando ciò che sta accadendo nel presente con quanto già
accaduto nel passato.
Il suo metodo di confronto è associativo: quando la situazione presente e quella
passata hanno un elemento chiave simile, l’amigdala lo identifica e si attiva.
Questa la cagione per cui, tale circuito è, per così dire, rudimentale: agisce prima
di avere una piena conferma.
Affinché l’amigdala dichiari lo stato di emergenza basta solo che pochissimi
elementi della situazione presente ricordino quelli di una pregressa circostanza
pericolosa.
L’amigdala può reagire con delirio di collera o di paura prima che la neocorteccia
sappia effettivamente cosa stia occorrendo, e questo perché l’emozione grezza
viene scatenata in modo indipendente dal pensiero razionale, e prima di esso.
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Mentre l’amigdala lavora per scatenare una reazione ansiosa e impulsiva, altre
aree del cervello emozionale si adoperano per produrre una risposta correttiva,
più consona alla situazione.
L’interruttore cerebrale che smorza gli impulsi sembra trovarsi all’estremo di un
importante circuito diretto alla neocorteccia: precisamente ai lobi prefrontali e
frontali.
Quest’area cerebrale neocorticale consente di dare ai nostri impulsi emotivi una
risposta più analitica o appropriata, modulando l’amigdala e le altre aree
limbiche.
Quando si scatena un’emozione, nel giro di qualche istante i lobi prefrontali
eseguono la reazione che ritengono migliore fra una miriade di possibilità, in base
al criterio del rapporto rischio/beneficio. Ad esempio: quando attaccare, quando
darsi alla fuga o anche quando calmarsi, persuadere, cercare comprensione,
tergiversare, provocare sensi di colpa, indossare una maschera di spavalderia,
essere sprezzanti, ecc.
Concludendo, in un certo senso sono insiti in noi due cervelli, due menti, e,
quindi, due diversi tipi di intelligenza: quella razionale e quella emotiva.
Il nostro modo di comportarci nella vita è determinato da entrambe. La
complementarietà del SL e della neocorteccia, dell’amigdala e dei lobi prefrontali
(destro e sinistro), è un parametro essenziale e necessario alla corretta
affermazione di un’intelligenza superiore in quanto, soprattutto, versatile e
polivalente. I collegamenti della summa amigdalae sono assai numerosi.
Vie amigdaloidee di interconnessione
In senso lato, l'amigdala riceve essenzialmente due categorie di connessioni:
1. da una parte, accoglie proiezioni nate dalle aree sensoriali primarie e dalle aree
associative secondarie (via corticale);
2. dall'altra, riceve informazioni sensoriali provenienti da vari nuclei talamici (via
sottocorticale o talamica).
L'informazione visiva può arrivare alle aree sensoriali primarie ed alle aree
associative secondarie attraverso la via retino-genicolo-striata (via corticale) ed
essere successivamente inviata alle strutture sottocorticali o ai nuclei talamici
posteriori, che inviano a loro volta l'informazione all'ipotalamo e all'amigdala (via
sottocorticale).
Le due vie, oltre ad essere anatomicamente diverse, svolgono funzioni diverse nel
processo di analisi dell'informazione emotiva.
? La via talamica invia un'informazione molto povera sulle caratteristiche dello
stimolo, anche se sufficiente ad iniziare una risposta emotiva (32) indífferenziata.
Va qui ricordato che l'amigdala può dare origine a risposte emotive anche perché
capace di inviare informazioni efferenti al sistema autonomico e neuroendocrino,
al sistema piramidale ed extrapiramidale, risultando quindi in grado di modulare,
tra gli altri, il sistema neurovegetativo e motorio.
? Al contrario, l'informazione che giunge all'amigdala dalla via corticale è molto
dettagliata, in relazione alle caratteristiche percettive e semantiche dello stimolo,
e serve al soggetto per allestire una risposta adeguata alla situazione.
La via talamica è molto più veloce rispetto a quella corticale e, in conseguenza di
ciò, si è pensato che essa, oltre a fornire una prima risposta emotiva, serva a
preparare l'amigdala a ricevere informazioni più dettagliate ed esaustive sulla
natura dello stimolo da parte delle strutture corticali, che presiedono
all'identificazione degli attributi percettivi e semantici.
Se l'amigdala può accedere in via diretta e preferenziale al significato emotivo di
uno stimolo, pervenuto attraverso la via talamica, indipendentemente dalla via
corticale, allora è possibile spiegare il fenomeno del processamento della valenza
emotigena dello stimolo stesso in assenza del riconoscimento degli attributi
percettivi e semantici.
Nondimeno, malgrado i due tipi di elaborazione senso-percettiva possano agire in
parallelo, ci sono situazioni in cui si assiste al prevalere di uno sull'altro.
Ladavas, Cimatti, Del Pesce e Tuozzi hanno presentato in visione subliminale
degli stimoli emotigeni (sessuali e disgustosi) e neutri (oggetti e paesaggi), seguiti
a loro volta da uno stimolo non strutturato con funzione di mascheramento. In
questo caso l'elaborazione emotigena può avere luogo indipendentemente
dall'elaborazione percettiva e semantica.
Questi risultati possono essere spiegati alla luce del modello della doppia via
proposto da Le Doux (1986). Attraverso la via talamica, l'informazione arriva
all'amigdala, che esegue un'analisi molto essenziale dello stimolo, estraendo ed
elaborando solo le informazioni emotive più rilevanti.
Il prodotto di questo processamento è consapevole, mentre non lo è la sua
derivazione. Affinché si abbia consapevolezza anche della sua derivazione, infatti,
è necessario che l'informazione venga analizzata dalle strutture corticali, e,
successivamente, giunga all'amigdala attraverso la via corticale. E’ solo a questo
livello che è possibile riconoscere gli attributi simbolici dello stimolo, analizzare i
cambiamenti fisiologici prodotti dall'evento e preparare una risposta volontaria
congrua alla situazione.
Il nostro comportamento emotivo può essere guidato sia dalle strutture
sottocorticali, sia da quelle corticali.
33
Le strutture sottocorticali sono dotate di programmi neuromotori innati che
possono generare, in risposta a stimoli appropriati, un set specifico di risposte
espressive ed autonomiche, soprattutto per alcune delle emozioni di base.
Questo livello di analisi corrisponde a quello descritto da Leventhal come
“schematic level”, nel senso che le informazioni codificate e successivamente
recuperate collimano a esemplari prototipici di una emozione. Detto processo ha
la caratteristica appunto di essere automatico ed il prodotto può non essere
rappresentato nella coscienza, cioè può essere del tutto inconsapevole. La via
corticale invece invia l'informazione all'amigdala solo dopo che l'informazione è
stata codificata ed analizzata da strutture corticali che ne hanno permesso
l'identificazione consapevole. E’ solo grazie a questo tipo di informazioni che
possiamo organizzare una risposta complessa ed adeguata alla situazione. Questo
secondo livello di analisi corrisponderebbe a quello descritto da Leventhal come
“conceptual level”.
I risultati forniti dalla neuropsicologia suggeriscono che la valutazione del
significato emotivo non possa essere considerata un processo unico, bensì il
prodotto di elaborazioni diverse ed indipendenti tra loro, confermando quindi il
concetto di modularità del sistema emotivo.
Inoltre, alcune di queste elaborazioni, cioè quelle relative alle emozioni di base,
generano uno specifico set di risposte emotive a stimoli specifici, sono
automatiche, preprogrammate e operanti già alla nascita.
Al contrario, quelle che svolgono un ruolo di controllo e di modulazione della
risposta emotiva seguono lo sviluppo socioculturale dell'individuo, anche se
dipendenti dallo sviluppo funzionale del sistema nervoso.
34
Riassumendo: possiamo riscontrare a livello del nucleo amigdaloideo almeno tre
circuiti:
1. Circuito talamo-amigdala
Porta rapidamente informazioni all’amigdala, stazione di controllo delle risposte
alla paura. Attiva risposte motorie collegate alla paura.
2. Circuito talamo-cortex-amigdala
Reca le informazioni all’amigdala più lentamente, ma permette in questo modo
agli stimoli esterni di essere prima appresi dai centri cognitivi. Attiva pertanto
risposte più ponderate.
3. Circuito ippocampo-amigdala
L’ippocampo, coinvolto nella genesi mnestica, può accumulare nel tempo
informazioni relative al significato emozionale degli stimoli esterni percepiti.
Questo tipo di memoria può stimolare la paura a livello amigdaloideo.
35
Afferente o circuiti amigdalopeti
Afferenze verso l’amigdala provengono da molteplici diverse regioni encefaliche.
In genere, una particolare afferenza raggiunge solo uno o pochi sottonuclei. Tale
circostanza, come nell’analogo dispositivo efferente, rende ragione della specificità
anatomica e funzionale di ogni singolo sottonucleo appartenente al complesso
amigdaloideo.
Ai sottonuclei corticomediali giungono principalmente afferenze da fonti
limbiche sottocorticali, tra cui:
? bulbo olfattorio;
? nuclei settali;
? nuclei ipotalamici (VM, AIL);
? nuclei intralaminari del talamo;
? nucleo del letto della stria terminale
? ampi nuclei a monoamina del tronco encefalico.
Ai sottonuclei basolaterali giungono specialmente afferenze da:
? ampie zone di corteccia associativa sensitiva;
? corteccia prefrontale;
? corteccia del cingolo;
? subiculum.
Le informazioni in entrata trasmesse a mezzo della via talamica raggiungono
l’amigdala più rapidamente delle informazioni sensoriali trasmesse dalla
corteccia. Per la qual cosa, le afferenze talamiche dirette possono mediare le
risposte emozionali più elementari, che compaiono dopo brevi latenze, e possono
preparare l'amigdala alla ricezione di informazioni più sofisticate sulla
rappresentazione cognitiva delle emozioni provenienti dai centri superiori, come la
corteccia prefrontale ventromediale.
36
Efferenze o circuiti amigdalofughi
Il principale sistema in uscita del nucleo amigdaloideo è rappresentato dalla
tenia semicircolare (insieme di fibre nervose poste fra talamo e nucleo caudato),
deputata al trasporto delle efferenze a partenza dai sottonuclei corticomediali.
Questo fascio, emergendo dall’estremità posteriore dell’amigdala, decorre verso
l’indietro lungo la parete supero-laterale del corno temporale del ventricolo
laterale, essendo posto medialmente alla coda del nucleo caudato; circonda
quindi il polo posteriore del talamo e, piegando verso l’alto, si immette nel solco
opto-striato del pavimento della cella media del ventricolo laterale, dove si dirige
in avanti. A livello circa del foro interventricolare del Monro da’ luogo ad un
fascetto che passa a costituire la stria midollare del talamo e mette capo al nucleo
dell’abenula; genera poi fibre che fanno capo alla commessura anteriore e che
sono destinate al nucleo amigdaloideo eterolaterale; emette ancora altre fibre che
si recano al setto pellucido. Piega infine verso il basso, dove termina
nell’ipotalamo periventricolare.
Efferenze dai sottonuclei basolaterali proiettano, attraverso la via
amigdalofugale ventrale, ad estese regioni corticali, tra cui:
? cortex del cingolo;
? cortex temporale inferiore;
? cortex entorinale;
oltreché alle regioni limbiche subcorticali, tra cui:
? nuclei ipotalamici;
? nuclei settali;
? nucleo basale colinergico nella sostanza innominata.
37
Il sottonucleo centrale dell'amigdala proietta ad aree corticali implicate nella
rappresentazione delle emozioni e a territori sottocorticali, deputati alla
modulazione fine del comportamento emozionale.
Dal complesso sottonucleare basolaterale, regione preposta alla ricezione delle
afferenze di natura soprattutto sensoriale, le informazioni vengono trasmesse al
sottonucleo centrale, che rappresenta il centro efferente principe dell'amigdala
nelle proiezioni dirette verso talune regioni diencefaliche e del tronco cerebrale.
Nella fattispecie, il sottonucleo centrale proietta all'ipotalamo laterale e alle
regioni del tronco dell'encefalo che regolano le risposte del sistema nervoso
autonomo agli stimoli con valenza emozionale.
Inoltre, il nucleo centrale proietta direttamente e indirettamente (attraverso il
nucleo proprio della stria terminale) al nucleo paraventricolare dell'ipotalamo, che
media le risposte neuroendocrine agli stimoli che inducono paura e stress. Per il
tramite di queste connessioni, la stimolazione
elettrica del nucleo centrale provoca aumento della frequenza cardiaca, della
pressione arteriosa e della frequenza del respiro, al pari di quanto si osserva nel
condizionamento della paura. Di converso, la lesione di questo nucleo blocca le
risposte del sistema nervoso autonomo che hanno luogo durante il
condizionamento della paura.
Il sottonucleo centrale proietta anche ad aree corticali associative, soprattutto alla
corteccia orbitofrontale e al giro del cingolo. Questa proiezione è fondamentale per
la percezione cosciente delle emozioni. In particolare, il sottonucleo centrale
svolge un notevole ruolo funzionale nella regolazione dello stato di vigilanza e
nelle modificazioni della frequenza cardiaca ad esso associate.
Le modificazioni dello stato di vigilanza sarebbero mediate dalle proiezioni del
nucleo centrale dell'amigdala al nucleo basale.
Le lesioni della corteccia orbitofrontale e della parte anteriore della corteccia del
cingolo provocano modificazioni della responsività agli stimoli con valenza
emozionale. Se la lesione è circoscritta alla corteccia orbitofrontale, nei primati si
osserva una riduzione del normale livello di aggressività e delle risposte
emozionali. A volte, questi animali non manifestano affatto rabbia e ira quando,
nel corso dell'addestramento, non ricevono la ricompensa che si aspettano.
Inoltre, la stimolazione elettrica della corteccia orbitofrontale provoca la comparsa
di numerose risposte del sistema nervoso autonomo (incremento della pressione
arteriosa, dilatazione delle pupille, salivazione e inibizione delle contrazioni
gastro-intestinali). Osservazioni siffatte suggeriscono che quest'area corticale è
implicata nella regolazione del livello di vigilanza generale.
38
Infine, lesioni che comprendono anche la corteccia associativa limbica riducono
altresì l'intensità del dolore cronico intrattabile. La corteccia limbica medierebbe,
dunque, pure tale manifestazione del comportamento emozionale.
Le interazioni fra l'amigdala, l'ipotalamo, il tronco dell'encefalo e il sistema
nervoso autonomo, da una parte, e l'amigdala e le cortecce frontale e limbica,
dall'altra, determinano la comparsa di esperienze definite emozionali.
In conclusione, gli stimoli nocivi e quelli piacevoli hanno un duplice effetto. In
primo luogo, attivano l'amigdala che, a sua volta, provoca la comparsa di risposte
da parte del sistema nervoso autonomo e di quello endocrino. Tali risposte
vengono integrate a livello dell'ipotalamo e modificano lo stato interno. In questo
modo, preparano l'organismo all'attacco, alla fuga, all'esperienza sessuale o ad
altri comportamenti adattativi. Dette reazioni interne sono relativamente semplici
da eseguire e non richiedono alcun controllo cosciente.
39
4
40
Non più all’interno del cuore, bensì nel cervello risiede la vera dimora dell’anima,
sostiene Shakespeare, alludendo alla linea sottile che separa la salute dalla
malattia mentale. Tutti proviamo talora sentimenti come tristezza e
preoccupazione; quando esse divengono insopportabili e non compiutamente
motivate, tuttavia, si scivola nelle emozioni patologiche, che l’animo logorano di
quanti abbiano la (s)ventura di esserne affetti.
Ansia e paura sono strettamente imparentate. Ambedue configurano reazioni a
circostanze nocive o potenzialmente tali. Solitamente, l’ansia si distingue dalla
paura per la mancanza di uno stimolo esterno che provochi la reazione: in
pratica, è essa la paura interna del mondo esterno. L’ansia è stata anche
descritta come una paura irrisolta .
In questo contesto, la paura sarebbe da porre in relazione con i comportamenti
atti a fuggire e/o evitare una situazione minacciosa, e si muterebbe in ansia
quando e se, detti comportamenti, verrebbero in qualche modo impediti.
41
Paura e ansia rappresentano reazioni normali a un pericolo reale o immaginario,
e non sono di per sé condizioni patologiche. Se, tuttavia, divengono frequenti e
più durature di quanto sia ragionevole attendersi in determinate circostanze, e se,
soprattutto, sono di ostacolo ad una vita normale, si è in presenza di un disturbo
della paura/ansia. Sono, questi, disordini caratterizzati da sentimenti di forte,
prolungata angoscia interiore e dall’evitamento, da parte del soggetto affetto, delle
situazioni che potrebbero produrli.
La fobia è la paura di uno stimolo o di una situazione specifica, eccessiva rispetto
alla minaccia che individuano. Gli attacchi di panico sono periodi di ansia e di
disagio, in cui il soggetto colpito spesso si sente soffocare. Diversamente dalla
fobia, un attacco di panico non è facilmente prevedibile, né collegabile a un
peculiare stimolo e/o situazione esterna.
Nei disordini ossessivo-compulsivi, pensieri invadenti e persistenti inducono a
osservare alcuni rituali altrettanto ricorrenti, da riprodurre con rigore ed estrema
precisione. Questi comportamenti coatti dovrebbero neutralizzare l’ansia ma non
risultano alfine appropriati, configurando così risposte eccessive rispetto alla
situazione che dovrebbero antagonizzare.
Infine, ciò che a noi più tange: i disturbi da stress post traumatico (DPTS).
Trattasi, detto semplicemente, di una grave forma di stato ansioso, provocata
dalla presenza di stimoli intervenuti durante l’esplicazione del trauma o che sono
in qualche modo ad esso riconducibili. È frequente nei reduci di guerra ma anche
nelle vittime di violenze sessuali o fisiche o di quanti si sono per ventura trovati
ad assistere a catastrofi naturali. Vengono evitate sistematicamente le situazioni e
perfino i pensieri che possono evocare il trauma.
42
“Non riesco a liberarmi di questi ricordi!
Le immagini affluiscono con dettagli nitidi, e sono scatenate dalla cose più
banali: da una porta che sbatte, dall’odore della carne di maiale cotta. Ieri
sera sono andato a letto e, per una volta, dormivo proprio bene. Poi … c’è
stato un colpo di fulmine fragoroso. Mi sono subito svegliato, raggelato di
paura. Mi sono ritrovato in Vietnam…Ho le mani gelate, sono in un bagno di
sudore. Sento che mi si rizzano i capelli sulla nuca. Non riesco a respirare,
ho il cuore che batte…C’è un altro colpo di fulmine che mi fa sobbalzare, al
punto che cado dal letto…”
Queste frasi, pronunciate da un veterano reduce della guerra del Vietnam, ben
inquadrano il dramma della sintomatologia che affligge quanti colpiti dal DSPT.
Partendo dal presupposto che il trauma del DSPT è uno stimolo incondizionato
straordinario, il disturbo può essere spiegato attraverso il sistema mediato
dall’amigdala concernente la paura condizionata.
43
§ Patobiologia dell’evento stressante
Quando subiamo una situazione stressante, le GHIANDOLE SURRENALI
immettono nel sangue ormoni steroidei, il prototipo dei quali è rappresentato dal
cortisolo.
Gli steroidi surrenali aiutano l’organismo a mobilitare le proprie risorse
energetiche per affrontare al meglio la situazione di stress. Nella fattispecie, si
verifica un quadro biochimico volto al catabolismo periferico di composti ad alta
energia, quali: glucidi, lipidi, protidi, i cui elementi base sono da ultimo
convogliati al fegato per favorire le operazioni di sintesi maggiormente richieste.
Al contempo, l’AMIGDALA interviene in modo critico al fine di controllarne il
rilascio.
Quando l’amigdala avverte un pericolo, invia messaggi all’IPOTALAMO, il quale,
ipso facto, comunica con l’IPOFISI. La risultante di tutte queste attività finemente
coordinate è il rilascio nel torrente ematico di un ormone denominato ACTH, che
affluisce nei surreni e ivi induce la sintesi degli ormoni steroidei di cui sopra.
Oltre a raggiungere le sue mete preferenziali nel corpo, gli ormoni steroidei,
veicolati dal sangue, raggiungono il cervello, dove si legano a recettori specifici siti
nell’IPPOCAMPO, AMIGDALA, CORTEX PREFRONTALE etc.
È ormai risaputo che i recettori per gli ormoni corticosteroidi presenti in sede
ippocampale fanno parte di un sistema a feedback negativo in grado di
controllare a monte la quantità di ormoni surrenalici rilasciata. Di converso, il
circuito a cui fa capo l’amigdala è alimentato da un sistema a feedback positivo.
In situazioni di stress, pertanto, l’antagonismo generato fra i circuiti ippocampale
ed amigdaloideo determina un’altamente efficace aggiustamento che esita da
ultimo in una delicata e mirata coordinazione ad ogni livello.
Tuttavia, se l’evento stressante si protrae eccessivamente, l’ippocampo non solo
diviene incapace di controllare esattamente il rilascio ormonale, ma risulta
financo inadatto a svolgere le sue attività di routine. I ratti stressati, ad esempio,
sono incapaci di apprendere e ricordare le (44) procedure comportamentali,
imprescindibilmente legate all’ippocampo e al suo corretto funzionamento.
Per di più, lo stress interferisce anche con la capacità di generare un
potenziamento a lungo termine in sede ippocampale.
Infine, negli esseri umani lo stress danneggia anche le funzioni della memoria
esplicita cosciente.
Recenti acquisizioni hanno dimostrato che uno stress grave ma temporaneo può
indurre un raggrinzimento nei dentriti di pirenofori contenuti nell’ippocampo.
Questo cambiamento morfostrutturale risulta reversibile purché lo stress non
perduri nel tempo. In caso contrario, i pirenofori ippocampali avvierebbero
irrimediabilmente un processo sclerotico, così determinando un deficit
mnemonico permanente.
Sussisterebbe una significativa correlazione fra gli steroidi surrenali e i
cambiamenti fisiopatologici dell’ippocampo, che sistematicamente correlano con il
deficit delle funzioni mnestiche.
Infatti, nonostante sia ormai risaputo che le persone affette dalla malattia di
Cushing abbiano problemi di memoria, solo attualmente studi mirati hanno
mostrato come, anche nel loro caso, l’ippocampo regredisca volumetricamente.
Quindi, nonostante a volte lo stress (per lo più in acuto) aiuti il consolidamento
dei ricordi espliciti: li corrobora, se protratto può addirittura distruggere la
memoria esplicita. Disponiamo ora di una spiegazione plausibile di questo
fenomeno paradosso: la memoria è probabilmente rafforzata da un evento
stressante lieve, a mezzo degli effetti specifici dell’epinefrina. Nondimeno, uno
stress abbastanza intenso e prolungato può innalzare il livello degli steroidi
surrenali fino a causare un deterioramento funzionale dell’ippocampo.
I ricordi coscienti espliciti sono ricostruzioni che mescolano le informazioni
immagazzinate nella memoria a lungo termine e lo stato mentale in cui ci si trova
nel momento del ricordo.
Malgrado la formazione di tracce mnestiche valide non accompagni sempre un
episodio stressante, tuttavia è ugualmente possibile che un (45) soggetto affetto
da DSPT lamenti un recupero di esperienze pregresse e familiari, non
necessariamente veritiere. In pratica: il ricordo riaffiorato è falso.
Sicuramente esistono vittime di incidenti atroci che, inizialmente amnesiche,
hanno riacquistato col tempo la memoria, così da riuscire gradualmente a
rappezzare frammenti di ricordi. Ma distinguere tra ricordi reali e fabbricati sulla
base dell’autocoscienza può essere rischioso. “Tra rievocazioni vere e false c’è la
stessa differenza che fra gioielli veri e falsi” ha detto Salvador Dalì. E a volte “sono
i gioielli falsi a risultare più sfavillanti di quelli autentici”.
Per quanto sappiamo, lo stress non interferisce con le operazioni dell’amigdala.
Addirittura, potrebbe anche potenziarne le funzioni. È quindi del tutto possibile
avere pochi ricordi coscienti di un’esperienza traumatica e al contempo formare
ricordi emotivi inconsci, impliciti e violentissimi, attraverso il condizionamento
alla paura mediato dal nucleo amigdaloideo.
Purtroppo, queste tipologie di paura risultano particolarmente resistenti per
indole all’eradicazione, ed essere così delle fonti inconsce di ansia intensa, la cui
influenza, opaca e perversa, permane vita natural durante. Tuttavia, non c’è
modo alcuno in cui essi si possano convertire in ricordi espliciti; come si è detto,
se questi non si sono formati, non si possono poi recuperare.
In conclusione, quindi, pare che Freud avesse ragione nel dire che determinati
aspetti delle esperienze traumatiche sono talvolta immagazzinati in sistemi della
memoria non direttamente accessibili alla coscienza.
Gli effetti debilitanti dello stress intenso sulla memoria cosciente esplicita di un
trauma sono a doppio taglio: la stessa quantità di stress che può condurre
all’amnesia post-traumatica, può anche di converso amplificare i ricordi inconsci
o impliciti che si formano durante il trauma.
In una ricerca attuata di recente, ad alcuni ratti sono stati iniettati steroidi
surrenali a livelli tali da riprodurre artificialmente uno stress molto acuto. Si è
quindi osservato un clamoroso incremento dei valori del fattore (46) di rilascio
della corticotropina (CRF) nella regione dell’ipotalamo che controlla il rilascio
dell’ormone da stress ACTH da parte dell’ipofisi. Il CRF è infatti il
neurotrasmettitore che stimola il rilascio di ACTH.
L’aumento del CRF in questo circuito riflette il mancato controllo del feedback
negativo sugli ormoni dello stress da parte dell’ippocampo: una volta che nel
sangue gli steroidi surrenali raggiungono un livello critico, i circuiti
dell’ippocampo cominciano a vacillare. In queste stesse condizioni, si verifica
invece un forte aumento del CRF per opera del feedback positivo esercitato dal
nucleo centrale dell’amigdala.
Particolare rilevanza fisiobiologica nel fenomeno dell’estinzione delle risposte alla
causa stressante riveste la CORTECCIA PREFRONTALE MEDIALE, più
intimamente legata all’emotività rispetto alla controparte laterale (specializzata
invece in ambito cognitivo).
La corteccia prefrontale mediale, infatti, riceve segnali in entrata da molteplici
regioni corticali sensoriali, nonché dall’amigdala; quindi, rimanda connessioni a
quest’ultima ed anche a numerose aree verso cui l’amigdala stessa invia
proiezioni. Rappresenta pertanto una cruciale stazione di smistamento impulsi a
significato per lo più modulatorio.
Anche la corteccia prefrontale può essere alterata dallo stress. Recenti studi
hanno dimostrato che, al pari dell’ippocampo, essa fa da contrappeso a un
eccessivo rilascio di ormoni corticosteroidi. Poiché lo stress prolungato provoca
un collasso delle funzioni di controllo del sistema a feedback negativo, è
plausibile che, oltre all’ippocampo, ne risenta anche la corteccia prefrontale.
Nel caso in specie, una “serrata” della corteccia prefrontale indotta dallo stress
potrebbe allentare i freni dell’amigdala e rendere il nuovo apprendimento più
potente e più resistente all’estinzione.
Addirittura, potrebbe finanche consentire che paure condizionate ormai estinte
tornino ad esprimersi.
47
Studi attuali hanno registrato l’attività neurale dell’amigdala durante il
condizionamento e l’estinzione. Dopo il condizionamento, aumenta la risposta
delle singole cellule allo stimolo condizionato (uno stesso segnale in entrata
produce un segnale maggiore in uscita). Inoltre, le singole cellule sviluppano delle
interconnessioni più solide, sicché quando una emette una scarica, la emettono
anche le altre. Questi neuroni interconnessi sono stati chiamati “assemblea di
cellule”.
Mentre la risposta delle singole cellule allo stimolo condizionato diminuisce
durante l’estinzione, a volte le interconnessioni condizionate permangono.
Le assemblee di cellule all’interno dell’amigdala o tra l’amigdala e le aree corticali
potrebbero costituire un aspetto importante della memoria implicita a lungo
termine, resistente all’estinzione, creata dal condizionamento alla paura.
48
5
49
Epidemiologia
La prevalenza del DSPT varia in modo molto considerevole secondo le popolazioni
osservate. Nella popolazione generale, essa bascula fra lo 0,5 e l’1%. I soggetti di
sesso femminile sono colpiti due volte di più rispetto a quelli di sesso opposto.
Fra i tipi di trauma più comuni: l’assistere all’uccisione o al grave ferimento di
qualcuno, stupri e violenze sessuali, essere coinvolti in un disastro naturale o
civile.
Tra gli uomini sono riportati inoltre traumi di guerra, prigionia, rapimento,
tortura, deportazioni etc.
Un trauma, acuto ed intenso, precipuamente ad impatto psichico, viene trasdotto
in modificazioni biologiche che perdurano ad anni di distanza.
La trattazione che segue offre una disamina strutturata dei fattori
eziopatogenetici maggiormente implicati nel DSPT e nelle conseguenze sistemiche
cui esso sovente si associa.
I fattori potenzialmente coinvolti per un maggior rischio di sviluppo di DPTS sono
almeno tre:
? la gravità oggettiva dell’evento stressante;
? il possibile ruolo di fattori pre-esistenti relativi all’individuo;
? alcune caratteristiche della risposta psichica immediata al
trauma.
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Molti studi concordano nel ritenere che la gravità oggettiva dello stressor sia il
fattore più importante. In particolare, l’aspetto di maggior rilievo è il grado di
esposizione diretta dell’individuo all’evento o situazione traumatica. In una stessa
circostanza, come ad esempio una rapina, un attentato terroristico, un sisma ad
intensa magnitudo, il singolo fattore eziologico più importante di DSPT non è la
mera esposizione all’evento, bensì il grado del proprio coinvolgimento diretto:
maggiore è la partecipazione, emotiva prima ancora che fisica, maggiore sarà il
rischio di DPTS.
§ Acquario Semeio-Sintomatologico del DSPT
- Incubi notturni
- Flashback
- Evitamento fobico
- Anedonia
- Evitamento di memorie “sgradevoli”
- Intorpidimento emozionale
- Irritabilità
- Ansia
- Disturbi della concentrazione
- Disturbi del sonno
- Ipervigilanza
§ Modificazioni dell’espressione genica stress-relata nel SNC
Lo stress, com’è noto, modula anche l’espressione di geni in vari organi e nel
cervello. È ritenuto molto probabile che l’azione a lungo termine dello stress sul
cervello sia mediata dalla regolazione di attività di trascrizione ed espressione
di geni specifici. I meccanismi sono diversi e molteplici, non tutti ancora
pienamente compresi.
Allo stato attuale, l’attivazione genica in sede cerebrale – seguitamente
all’esposizione ad uno stressor congruo - è stata provata sperimentalmente negli
animali; nell’uomo, è stimata evento patobiologico plausibile e fondamentale di
(51) DSPT, strettamente correlata all’azione dei corticosteroidi sui recettori
centrali, con induzione alla trascrizione di talune componenti proteiche
specifiche, tra cui le heat shock proteins.
Un sito particolarmente interessato sarebbe il locus coeruleus (LC).
Una condizione di stress intenso ed acuto conduce normalmente ad un
incremento del firing dei neuroni del locus coeruleus.
Una condizione di stress cronico, di contro, porta a sovra-regolazione del sistema
dell’AMP ciclico e dell’espressione della tiroxina idrossilasi. L’azione degli
antidepressivi, di norma, tende a normalizzare, previa riduzione, il firing a livello
del LC e sottoregolare il sistema dell’AMPc.
§ Possibili circuiti neurali implicati
Le due aree cerebrali su cui recentemente più si è focalizzata l’attenzione sono
l’amigdala e l’ippocampo.
52
Per quanto attiene il rapporto tra reazione emozionale, reazione di stress, e
memoria, uno degli organi a livello centrale maggiormente implicato è certamente
l’amigdala. In essa sono modulate reazioni di paura, processo di
condizionamento, estinzione, sensibilizzazione, fenomeni di kindling, e il richiamo
di memorie traumatiche.
L’amigdala ha connessioni con la corteccia prefrontale, la formazione
ippocampale e quella reticolare. A livello sottocorticale, fondamentali sono le
connessioni verso l’ipotalamo e l’ipofisi; a valle, verso il sistema nervoso vegetativo
periferico, a riprova dell’intimo nesso tra memorie traumatiche e correlati biologici
periferici (ipervigilanza, ipo- e iper-attivazione di sistemi neuroendocrini,
iperreattività adrenergica).
Un’altra area implicata nel DPTS è l’ippocampo. Sono state segnalate immagini
di risonanza magnetica con riduzioni di volume dell’ippocampo, probabilmente
esito di involuzione neuronale di tipo distrofico, secondario alla protratta azione
dei glucocorticoidi, generati dall’esposizione cronica a stressors sui neuroni
ippocampali.
§ Alterazioni neurovegetative e biochimiche periferiche
La maggior parte degli studi sotto stimolo o sollecitazione palesano costantemente
uno stato di iperattivazione catecolaminergica, con iperreattività
neurovegetativa ortosimpatica.
Dati psicofisiologici siffatti sono in accordo con il riscontro clinico di soggetti in
genere ipervigili, nervosi, che dormono poco o hanno sonno disturbato, talora con
reazioni impulsivo-esplosive verso familiari ed estranei in risposta alla minima
pressione, con tendenza a proteggersi da queste reazioni, chiudendosi in se
stessi, assumendo sedativi o psicostimolanti che caricano e desensibilizzano il
sistema ortosimpatico.
53
Nell’ambito delle modificazioni centrali è stato stigmatizzato il ruolo del sistema
NA ed A. Tale sistema è alterato in modo assai rilevante anche in sede periferica,
ove figura persistente elevazione della NA e della A plasmatiche, come peraltro
documentato dall’aumentata escrezione urinaria nelle 24 ore di catecolamine e
suoi metaboliti. L’esposizione intensa, protratta e ripetuta a shock determina una
stato di ipersensibilità cronica del sistema adrenergico, che segue la fase di
attivazione acuta, con deplezione delle catecolamine.
È stata proposta un’ipotesi di deplezione catecolaminergica indotta dallo shock
traumatico, che spiegherebbe molti aspetti del DPTS. Molti suoi sintomi nell’uomo
sono infatti simili a quelli della sindrome di deplezione catecolaminergica
osservata sperimentalmente nell’animale.
Particolare rilievo hanno i dati relativi ai recettori ? -2 adrenergici piastrinici,
giudicati un sensibile indice della funzionalità del sistema adrenergico. Alcuni
studi hanno riscontrato una sottoregolazione recettoriale ? -2 adrenergica a livello
piastrinico e beta-adrenergica a livello linfocitario. Il dato correla con l’esistenza di
una protratta esposizione a catecolamine circolanti. Da cui, l’utilità degli
antidepressivi nell’approccio terapeutico, poiché responsabili di ripristinare la
funzionalità recettoriale adrenergica centrale e periferica.
E’ stato proposto di utilizzare l’attività adenil-ciclasica delle piastrine come
possibile marcatore biologico del disturbo. La disfunzione potrebbe non solo
essere secondaria e mediata da alterazioni del sistema adrenergico, ma forse
intrinseca, a livello di trasduzione del segnale dell’AMP ciclico.
§ PsicoNeuroEndocrinologia
Uno studio che ha indagato il bioritmo circadiano del cortisolo plasmatici ha
riscontrato, nei soggetti affetti da DSPT, bassi livelli di ormone, specialmente
nella tarda sera e al mattino presto, con notevoli fluttuazioni (malgrado i bassi
livelli).
Vari studi hanno messo in luce un’ipersoppressione della cortisolemia in
risposta al test di soppressione con desametasone. (54)
L’ipersoppressione è stata peraltro rilevata, contrariamente ad ogni aspettativa,
anche in comorbilità con depressione maggiore.
Poichè l’ipersoppressione al desametasone non è stata riferita per nessun altro
disturbo psichiatrico, è stato suggerito che essa possa essere un marcatore
psiconeuroendocrino del DPTS.
Appiattita altresì la risposta dell’ACTH in seguito a stimolazione con CRF. Tali
dati indicano una situazione di ipofunzionalità basale con iperreattività dell’asse
HPA (ipotalamico-pituitario-surrenale) in seguito a stimolazione, e sono stati
interpretati come dipendenti da una condizione di incrementato feedback
negativo secondario alla sensibilizzazione al trauma.
§ Valutazioni laboratoristiche
Allo stato attuale delle conoscenze, marcatori in grado di denunciare a livello
clinico-diagnostico un probabile DSPT sono:
- l’iperreattività psicofisiologica a stimoli specifici;
- l’iperattivazione catecolaminergica periferica;
- la ridotta escrezione urinaria di cortisolo;
- l’iperfunzione tiroidea.
§ Modello neurobiologico
La neurobiologia del DPTS è imperniata sul sistema ansia-paura, sui circuiti
della memoria e su circuiti efferenti neuroviscerali, con modificazioni
sintomatiche e neuroendocrine assai peculiari.
Assunto cardine del modello biologico è che le manifestazioni sintomatologiche
del DSPT siano una conseguenza di adulterazioni a carico dei circuiti neurali che
regolano la processazione di stimoli in entrata , il sistema dell’ansia-paura, il
complesso mnesico, i processi associativi e le vie efferenti ad essi relati.
55
Le modificazioni biologiche periferiche sarebbero dunque espressione di una
stabilmente corrotta omeostasi neurale a monte, cagionata dall’esposizione al
trauma e dalle sue conseguenze. Siffatte strutture e circuiti coinvolti concernono
principalmente, sostanza grigia periacqueduttale, locus coeruleus, talamo,
amigdala, ippocampo, ipotalamo, ipofisi, corteccia orbitofrontale.
Intrigante l’evidenza clinico-radiologica di decremento volumetrico a carico delle
aree ippocampali.
Ricerche effettuate su diverse specie animali hanno rivelato che l’esposizione ad
alti livelli di glucocorticoidi conduce ad un decremento delle diramazioni
dendritiche nella regione CA3 dell’ippocampo, ad alterazioni nella porzione
terminale delle strutture sinaptiche, al depauperamento neuronale, ad
un’inibizione della rigenerazione ippocampale. Codesto fenomeno è confermato
dai deterioramenti cognitivi, dai sintomi depressivi e dalle riduzioni nei volumi
ippocampali appurati in soggetti affetti da sindrome di Cushing.
56
Invece, nei pazienti con Disturbo Post-Traumatico da Stress, la tossicità pare
scaturisca da un diverso meccanismo. Uno studio, infatti, ha mostrato che la
quantità totale di cortisolo plasmatico è più basso nei pazienti con DPTS
rispetto ai soggetti depressi e ai gruppi di controllo.
Inoltre, alcune misurazioni dei livelli di cortisolo eseguite in prossimità dell’evento
traumatico (campioni di sangue prelevati a 1-5 h dal trauma) hanno comprovato
la presenza di valori scarsi di cortisolo.
Dallo studio di cui sopra si evince che il meccanismo di atrofia ippocampale è
dovuto ad un’alterazione dell’asse Ipotalamo-Ipofisi-Surrene, indotta non già da
elevati livelli di cortisolo, bensì da un incremento del feedback negativo dell’asse
stesso. Infatti, nei soggetti affetti da DPTS sono stati rivelati
bassi livelli di cortisolo, ma un numero aumentato di recettori ed un’elevata
sensibilità dei recettori stessi. I bassi livelli di cortisolo altro non sono che la
diretta conseguenza di un aumento del feedback che il cortisolo esercita sulla
ghiandola pituitaria e sull’ipotalamo.
Da ciò possiamo affermare che aumentando la sensibilità dei recettori
ippocampali per i glucocorticoidi, aumenta pure la vulnerabilità dell’ippocampo
all’atrofia anche in assenza di elevati livelli di glucocorticoidi.
Quindi: è l’attivazione dei recettori (e non propriamente il livello di cortisolo) che
porta alla cascata di eventi, il cui risultato è la degenerazione neuronale.
Concludendo, lo stress agisce in modo decisivo sui fenomeni plastici ippocampali,
modificandone per prima il normale assetto molecolare.
L’influenza che lo stress esercita sulla sopravvivenza cellulare interessa molteplici
meccanismi e vie metaboliche, spesso concatenati fra loro. L’azione dello stress
sembra implicare il metabolismo e la captazione del glucosio, il sistema della
serotonina, il GABA, l’incremento del glutammato e del Ca2+intracellulare, la
mancata regolazione della via apoptotica, la down-regulation dei fattori neurotrofici,
con particolare riferimento al Brain-Derived Neurotrophic Factor (BDNF). Lo stress
genera infatti un decremento del BDNF nel lobo limbico. E pare che la diminuzione
di questo fattore di crescita contribuisca in modo importante all’atrofia delle
strutture limbiche, ippocampo in primis.
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§ Principi di Terapia Medica
Ad oggi, nessun farmaco è in grado, in termini assoluti, di debellare il problema.
Nondimeno, una classe di molecole particolari, utilizzate un tempo soprattutto
contro la depressione maggiore: triciclici, ha riportato i risultati clinici migliori,
con notevole sollievo ed attenuazione della sintomatologia.
Altri composti utilizzati con profitto sono gli agenti antikindling, quali valproato e
carbamazepina, i quali promettono bene soprattutto nel controllo di taluni
sintomi del DSPT.
Infine, reca giovamento anche l’assunzione di farmaci antiadrenergici, come
propanololo e clonidina.
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Nota di approfondimento:
COPING e BENESSERE
Il concetto di coping, che può essere tradotto con “fronteggiamento”, “gestione
attiva”, “risposta efficace”, “capacità di risolvere i problemi”, denota
l’insieme di strategie mentali e comportamentali poste in essere per contrastare
una certa situazione.
La capacità di coping si riferisce non soltanto alla risoluzione pratica dei
problemi, ma anche alla gestione delle proprie emozioni e dello stress, derivati
dal contatto con i problemi.
Insomma: è il coping una strategia fondamentale per il conseguimento del
benessere e presuppone un’attivazione comportamentale dell’individuo, che lo
renda protagonista della situazione e non soggetto passivo.
I meccanismi individuali di adattamento si relazionano sia alla capacità di
attivare le risorse interne preesistenti, sia a quella di adottarne nuove, ossia alla
possibilità di imparare e allargare il proprio “repertorio di strategie”.
In questa direzione si inserisce il concetto di empowerment, capacità individuale
di praticare e rendere operative le proprie risorse individuali, verso e per il
raggiungimento di uno stato di benessere.
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Criteri diagnostici per il Disturbo Post-Traumatico da Stress
A La persona è stata esposta ad un evento traumatico nel quale erano presenti
entrambe le caratteristiche seguenti:
1 la persona ha vissuto, ha assistito o si è confrontata con un evento o con eventi
che hanno implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia
all’integrità fisica propria o di altri
2 La risposta della persona comprendeva paura intensa, sentimenti di impotenza,
o di orrore.
Nota Nei bambini questo può essere espresso con comportamento disorganizzato
o agitato.
B L’evento traumatico viene rivissuto persistentemente in uno (o più) dei seguenti
modi:
1
ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell’evento, che comprendono immagini,
pensieri, o percezioni. Nota Nei bambini piccoli si possono manifestare giochi
ripetitivi in cui vengono espressi temi o aspetti riguardanti il trauma
2 sogni spiacevoli ricorrenti dell’evento. Nota Nei bambini possono essere presenti
sogni spaventosi senza un contenuto riconoscibile
3
agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando (ciò include
sensazioni di rivivere l’esperienza, illusioni, allucinazioni, ed episodi dissociativi di
flashback, compresi quelli che si manifestano al risveglio o in stato di
intossicazione). Nota Nei bambini piccoli possono manifestarsi rappresentazioni
ripetitive specifiche del trauma
4 disagio psicologico intenso all’esposizione a fattori scatenanti interni o esterni
che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico 5
reattività fisiologica o esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che
simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico.
C Evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della
reattività generale (non presenti prima del trauma), come indicato da tre (o più)
dei seguenti elementi:
1 sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma
2 sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma
3 incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma
4 riduzione marcata dell’interesse o della partecipazione ad attività significative
5 sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri
6 affettività ridotta (per es., incapacità di provare sentimenti di amore)
7 sentimenti di diminuzione delle prospettive future (per es. aspettarsi di non
poter avere una carriera, un matrimonio o dei figli o una normale durata della
vita).
D Sintomi persistenti di aumentato arousal (non presenti prima del trauma),
come indicato da almeno due dei seguenti elementi:
1 difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno
2 irritabilità o scoppi di collera
3 difficoltà a concentrarsi
4 Ipervigilanza
5 esagerate risposte di allarme
E La durata del disturbo (sintomi ai Criteri B, C e D) è superiore a 1 mese.
F Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o menomazione nel
funzionamento sociale, lavorativo o
di altre aree importanti.
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BIBLIOGRAFIA
- Luigi Ranzato: Derive psichiatriche croniche: il disturbo post traumatico da stress
- Nicola Lalli: Trauma psichico e stress: una revisione criti ca del PTSD
- Netter: Atlante di Neuroscienze
- Bear - Connors - Paradiso: Neuroscienze – Esplorando il cervello
- Cattaneo: Anatomia del sistema nervoso centrale e periferico
- Gray: Anatomia Umana – Sistema Nervoso
- Burt: Trattato di Neuroanatomia
- Ledoux: Il cervello emotivo
- Pinel: Psicobiologia
- Adams – Victor: Principi di neurologia
- Bottaccioli: Psiconeuroendocrinoimmunologia
- Cassano - Pancheri - Pavan - Pazzagli - Ravizza - Rossi - Smeraldi – Volterra:
Trattato italiano di Psichiatria
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