Ematologia 13 - Istituto di Ematologia La Sapienza

EMATOLOGIA
1
direttori della collana
Franco Mandelli, Giuseppe Avvisati
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE
DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE
CRONICHE
Anna Guarini, Francesca R. Mauro, Alessandro Pulsoni
Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia,
Università degli Studi “La Sapienza” - Roma
13
EMATOLOGIA
DIRETTORI DELLA COLLANA
Franco Mandelli, Giuseppe Avvisati
Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia
Università “La Sapienza”, Roma
ACCADEMIA NAZIONALE DI MEDICINA
REDAZIONE
P.zza della Vittoria, 15/1 - 16121 Genova
Tel. 010/5458611 - Fax 010/541761
E-mail: [email protected]
http: //www.accmed.net
DIREZIONE
Luigi Frati - Stefania Ledda
COORDINAMENTO EDITORIALE
Gabriella Allavena
PROGETTO GRAFICO
Giorgio Prestinenzi
IMPAGINAZIONE
Cristina Carbone, Giorgio Prestinenzi
SERVIZIO STAMPA
EFFE di Ugo Fraccaroli - Via Cesiolo, 10 - 37126 Verona
© 2000 Forum Service Editore s.c.a r.l.
P.zza della Vittoria, 15/1 - 16121 Genova
Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte del libro può
essere riprodotta o diffusa senza il permesso scritto dell'editore
INDICE
L’APPROCCIO DIAGNOSTICO
1
LEUCEMIA LINFATICA CRONICA
2
LEUCEMIA PROLINFOCITICA CRONICA
3
LEUCEMIA A CELLULE CAPELLUTE
4
LINFOMA SPLENICO A LINFOCITI VILLOSI
5
LEUCEMIA A LINFOCITI GRANULARI
6
LEUCEMIA LINFATICA CRONICA T
7
SINDROME DI SÉZARY
8
LINFOMI INDOLENTI
9
MIELOMA MULTIPLO
10
MACROGLOBULINEMIA DI WALDENSTRÖM
11
BIBLIOGRAFIA
12
LE DIAPOSITIVE
ABBREVIAZIONI
ATLL
BCR
B-LPC
EORTC
FAB
FICTION
adult T-cell leukemia lymphoma
B-cell receptor
leucemia prolinfocitica cronica a cellule B
European Organization for Research and Treatment of Cancer
French-American-British
Fluorescence immunophenotyping and Interphase
Cytogenetics as a Tool for Investigation Of Neoplasms
FISH
fluorescence in situ hybridization
FL
linfoma follicolare (follicular lymphoma)
HCL
leucemia a cellule capellute (hairy cell leukemia)
Ig
immunoglobuline
IL
interleuchina
LDH
lattico deidrogenasi
LGL
linfociti granulari
LLA
leucemia linfoide acuta
LLC
leucemia linfoide cronica
LPC
leucemia prolinfocitica
MALT
mucosa associated lymphoid tissue
MCL
linfoma mantellare (mantle cell lymphoma)
MF
micosi fungoide
MIF
median intensity fluorescence
NCI-WG-CLL National Cancer Institute-Sponsored Working Group
Guidelines for Chronic Lymphocytic Leukemia
NK
natural killer
PCR
polymerase chain reaction
PHA
fitoemagglutinina
RMN
risonanza magnetica nucleare
SLVL
linfoma splenico a linfociti villosi
SS
sindrome di Sézary
TC
tomografia computerizzata
TCR
T-cell receptor
TdT
terminal deossinucleotidil transferasi
T-LPC
leucemia prolinfocitica cronica a cellule T
TNF
tumor necrosis factor
TRAP
fosfatasi acida resistente all’acido tartarico
1
L’APPROCCIO
DIAGNOSTICO
L’ampliamento delle conoscenze sui linfociti ha permesso in questi
ultimi anni di caratterizzare in modo più specifico le patologie neoplastiche che originano da queste popolazioni cellulari e di classificare più
accuratamente questi disordini (Catovsky et al., 1990). In particolare,
un corretto inquadramento nosologico dei diversi disordini linfoproliferativi cronici non riveste solo un interesse accademico, ma ha importanti implicazioni sia prognostiche che terapeutiche. Infatti, a una corretta diagnosi differenziale tra i vari disordini linfoproliferativi cronici a
cellule B e T segue oggigiorno un iter terapeutico differenziato per le
diverse patologie. Va in questo senso ricordato come fino a non molti
anni addietro sotto la stessa definizione di “malattia linfoproliferativa
cronica” venivano raggruppate patologie molto differenti per caratteristiche biologiche, andamento clinico, risposta alla terapia e, in ultimo,
prognosi, che venivano, però, trattate nello stesso modo.
Le diverse patologie neoplastiche linfoidi che riconosciamo attualmente rispecchiano l’eterogeneità del sistema linfoide e tutti i
disordini linfoproliferativi, sia acuti sia cronici, originano da cellule bloccate nei vari stadi di differenziazione linfocitaria B e T.
La definizione diagnostica dei disordini linfoproliferativi cronici si avvale
di diverse metodiche che permettono una più precisa caratterizzazione
delle cellule neoplastiche. Possiamo dire che alcune di queste metodologie sono indispensabili alla definizione diagnostica, come ad esempio
l’osservazione morfologica e la caratterizzazione immunofenotipica con
anticorpi monoclonali di superficie e intracitoplasmatici valutati al citofluorimetro, mentre altre metodologie, come ad esempio l’analisi dei
geni che codificano per le immunoglobuline (Ig) e per il T-cell receptor
(TCR), si rivelano utili quando la malattia è in uno stadio iniziale e la
massa neoplastica non è ancora significativamente espansa, oppure
ancora quando vi è un dubbio tra una patologia maligna e un'espansione reattiva. Altre metodologie aggiungono utili informazioni per un
inquadramento più accurato, come ad esempio studi di citogenetica o
di genetica molecolare e l’osservazione al microscopio elettronico delle
cellule neoplastiche.
Nella Figura 1 è riportato un algoritmo che suggerisce la sequenzialità
dell’utilizzo delle varie metodologie per l’inquadramento delle diverse
malattie linfoproliferative croniche.
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
1
Figura 1 •
Proposta di un percorso diagnostico razionale nelle malattie
linfoproliferative croniche leucemizzate
• Emocromo
• Osservazione microscopica
sangue periferico
Diagnosi
• Immunofenotipo sangue
periferico
Sospetto diagnostico
Piccolo
numero
cellule
LGL
(CD3+)
LNH
HCL
Biopsia ossea
Biopsia
linfonodale
Biopsia ossea
Biologia molecolare
LLC
LPC
HCL
HCL variante
Sézary
Waldenstrom
1.1
Microscopia
elettronica
Ricerca
componente
sierica
L’EMOCROMO
Nell’iter diagnostico la valutazione dell’emocromo svolge un importante ruolo perché nei disordini linfoproliferativi cronici accanto a pazienti
che mostrano una sintomatologia clinica vi è un numero elevato di
pazienti in cui il reperto è del tutto occasionale, e assai spesso l’unico
dato alterato è rappresentato dalla presenza di una linfocitosi assoluta
e persistente. Il valore del numero assoluto di linfociti al di sopra del
quale è legittimo porre il sospetto di una patologia linfoproliferativa
cronica leucemica è oggetto di dibattito, anche se la maggior parte
degli autori fissa questo limite tra i 3–5000 linfociti/ml. La stessa cosa
si può dire per il tempo di persistenza della linfocitosi fissato al di
sopra dei 2–6 mesi (Catovsky et al., 1990; Catovsky 1997). Tuttavia la
disponibilità di metodiche di biologia molecolare rende possibile la
dimostrazione della clonalità di una popolazione linfoide, sia B che T,
anche quando è presente in quantità numericamente contenuta.
Bisogna anche ricordare che i disordini linfoproliferativi cronici non
sono sempre accompagnati da un aumentato numero circolante di
cellule linfoidi. In questi casi, l’osservazione morfologica, lo studio del
E
2
M
A
T
O
L
O
G
I
A
fenotipo immunologico, le caratteristiche della biopsia ossea e/o della
biopsia linfonodale, nel caso dei linfomi, indirizzano la diagnosi.
Un esempio paradigmatico è rappresentato dalla leucemia a cellule
capellute (HCL) (vedi oltre).
1.2
L’ASPIRATO MIDOLLARE E LA BIOPSIA OSSEA
L’aspirato midollare è la procedura consigliata per la valutazione dell’infiltrazione da parte delle cellule neoplastiche del tessuto midollare
nella maggior parte dei disordini linfoproliferativi cronici, in particolare
nella HCL, nel mieloma multiplo, nei linfomi, patologie in cui le cellule
della malattia spesso non sono circolanti. Oltre all’osservazione
morfologica delle cellule dopo colorazione con May-Grünwald/Giemsa
o con colorazioni citochimiche, è possibile procedere alla tipizzazione
fenotipica con anticorpi monoclonali delle cellule neoplastiche. Ancora
più importante per la definizione diagnostica, indispensabile per alcuni
disordini, è la biopsia ossea con la quale è possibile anche valutare la
distribuzione delle cellule neoplastiche nel tessuto osseo che è spesso
patognomonica delle singole patologie. Di nuovo caratteristica è la
HCL, patologia in cui l’aspirato midollare è spesso infruttuoso (“puntio
sicca”), così pure nei linfomi per definire lo stadio di malattia. Oggi si
possono utilizzare su preparati freschi di biopsie ossee, tecniche di
tipizzazione fenotipica e molecolare che consentono una accurata
definizione diagnostica.
1.3
LA BIOPSIA LINFONODALE
La biopsia linfonodale è una procedura che si impone quando il
paziente presenta una massa linfonodale persistente da oltre quattro
settimane e nel sangue periferico non si osserva un numero aumentato di linfociti con un fenotipo anomalo oppure quando nel sangue periferico o nel midollo osseo si osserva un numero aumentato di linfociti
che presentano un fenotipo suggestivo per la diagnosi di linfoma.
Oggi è suggerito di processare il linfonodo a fresco o dopo congelamento in azoto liquido, senza che il preparato venga fissato in
formalina, per favorire la tipizzazione con anticorpi monoclonali di
superficie che permettono di identificare le cellule mantenendo
l’architettura del tessuto. È anche possibile tipizzare e criopreservare le cellule ottenute dal linfonodo dopo averle messe meccanicamente in sospensione unicellulare. In ogni caso, è possibile anche sul
linfonodo eseguire tecniche di colorazione citochimica, caratterizzazione immunofenotipica e molecolare (Harris et al.).
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
3
1
1.4
LA MORFOLOGIA
La valutazione al microscopio ottico dello striscio di sangue periferico
o, nel caso di infiltrazione, del midollo osseo dopo colorazione MayGrünwald/Giemsa può dare suggerimenti assai utili alla classificazione
diagnostica per la presenza di alcune caratteristiche cellulari tipiche,
sia citoplasmatiche sia nucleari (Catovsky et al., 1990; Matutes et al.).
L’osservazione della taglia cellulare, della forma del nucleo, la presenza di incisure, la distribuzione della cromatina, l’evidenza dei nucleoli,
così pure la quantità e la basofilia del citoplasma, la presenza o meno
di granulazioni, la presenza di villi o estroflessioni citoplasmatiche,
sono tutti elementi utili. Vanno, inoltre, segnalati: la percentuale,
rispetto ai linfociti, dei prolinfociti, cellule di media-grande taglia, con
citoplasma basofilo e nucleolo evidente e la presenza o assenza delle
ombre di Gumprecht, macchie cellulari tipiche della leucemia linfatica
cronica. Nella Tabella 1 sono riportate le caratteristiche morfologiche
di alcuni disordini linfoproliferativi cronici.
Caratteristiche morfologiche dei disordini
linfoproliferativi B leucemizzati (TdT– )
Tabella 1
Taglia
Nucleo
Cromatina
Citoplasma
LLC*
piccola
regolare
a zolle
scarso regolare
LPC
media
regolare
nucleolo
addensata
medio regolare
HCL
media
regolare
indentato
mediamente
addensata
abbondante
“capelluto”
HCL
variante
media
regolare
nucleolo
addensata
abbondante
“capelluto”
SLVL
piccola
regolare
addensata
medio villoso
FL
piccola
clivato
addensata
indentata
molto scarso
MCL
media
irregolare
indentato
addensata
medio
irregolarmente
* Esistono forme con fenotipo classico e morfologia atipica, con
numerosi prolinfociti.
È assai importante la buona esecuzione dello striscio, possibilmente
con sangue appena prelevato, e della colorazione stessa. La valutazione
E
4
M
A
T
O
L
O
G
I
A
di un vetrino non adeguatamente allestito può essere causa di artefatti
morfologici.
È possibile anche utilizzare colorazioni citochimiche per la definizione
di alcune patologie, anche se questi metodi sono stati superati dalla
disponibilità di una vasta gamma di anticorpi monoclonali coniugati a
opportuni agenti rivelatori. È quindi possibile osservare al microscopio
ottico o a fluorescenza, la reazione specifica in piccole quote cellulari
osservando anche la morfologia. È corretto sottolineare che l’introduzione di citofluorimetri più sofisticati e, soprattutto, la possibilità di
elaborare i risultati mediante programmi computeristici più appropriati
e capaci di identificare anche piccole popolazioni, ha ridotto moltissimo ai fini diagnostici l’utilizzo della caratterizzazione ottica, soprattutto del sangue periferico, e della biopsia midollare.
1.5
GLI ANTICORPI MONOCLONALI
Nella caratterizzazione dei disordini linfoproliferativi cronici l’elemento più utile alla definizione diagnostica è sicuramente l’analisi
del fenotipo eseguita con gli anticorpi monoclonali che possono
reagire sia contro gli antigeni esposti sulla membrana cellulare che
contro quelli espressi a livello citoplasmatico e nucleare (Catovsky,
1997; Jennings et al., 1997; Knuutila, 1997; Matutes et al., 2000).
La disponibilità degli anticorpi monoclonali ha offerto un vantaggio sia
per la velocità di esecuzione che per l’accuratezza della valutazione di
un notevole numero di cellule. Il citofluorimetro permette di quantizzare l’intensità, come MIF (median intensity fluorescence), e la densità,
utilizzando biglie coniugate con quantità note di fluorescina, di espressione degli antigeni.
È possibile la caratterizzazione degli antigeni espressi in membrana su
cellule ottenute da sangue intero o dopo separazione su gradiente di
densità; inoltre, la disponibilità di anticorpi coniugati con differenti
fluorocromi permette la valutazione contemporanea di più antigeni con
una maggiore accuratezza nella definizione delle popolazioni. È così
possibile fissare e lisare delicatamente le cellule mononucleate e marcarle per gli antigeni citoplasmatici e nucleari utilizzando anticorpi
fluorescinati e anche combinarli con quelli che marcano gli antigeni di
superficie. La contemporanea marcatura di più antigeni si rivela utile
nel follow-up del paziente per il monitoraggio della malattia residua.
Considerando l’elevato numero di anticorpi monoclonali a disposizione, è necessario operare una scelta per definire il pannello di reagenti
minimo ma sufficiente per garantire una accurata diagnosi differenziale
senza ricorrere a un uso esagerato di anticorpi, che devono essere
utilizzati solo nel contesto di programmi di ricerca intesi a valutare l’espressione e l’utilità di un numero più allargato di antigeni.
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
5
1
Un approccio metodologico corretto in presenza di un sospetto clinico
di disordine linfoproliferativo cronico è quello di una tipizzazione in due
fasi: inizialmente un pannello di orientamento diagnostico (B, T, clonalità B) che in un secondo tempo potrà essere ampliato per arrivare a
una diagnosi definitiva e a un corretto inquadramento etiopatogenetico.
Nel primo approccio devono essere compresi gli antigeni che definiscono la filiera di appartenenza delle cellule esaminate, ad esempio il
CD22 di membrana o citoplasmatico per la filiera B, e il CD3 di membrana o citoplasmatico per la filiera T; devono, inoltre, essere valutati il
CD19 o il CD20, le catene leggere delle Ig, espresse in membrana o
nel citoplasma, che possono definire la clonalità della patologia e
orientano la definizione diagnostica a seconda della loro densità di
espressione sulla membrana cellulare. Così pure vanno valutati in
prima battuta gli antigeni CD2, indicativo dei precursori T e NK, e CD5
che caratterizza i linfociti T come pure una piccola quota, nel normale,
di linfociti B ed è caratteristicamente positivo nelle cellule di leucemia
linfatica cronica a cellule B (LLC), il disordine linfoproliferativo (cronico
e non) più frequente. Nella diagnosi differenziale si può rivelare utile, in
alcuni casi, l’anticorpo contro l’antigene nucleare TdT, terminal
desossinucleotidil transferasi, che evidenzia una cellula linfoide
immatura. La TdT è infatti presente nelle cellule di leucemia linfoblastica acuta (LLA) mentre è sempre negativa in tutti i disordini linfoproliferativi cronici. Un’altra informazione utile per la scelta terapeutica,
può essere l’indice dello stato proliferativo cellulare che può essere
valutato con l’anticorpo monoclonale che riconosce l’antigene nucleare
Ki-67 e suggerisce indirettamente lo stato di aggressività della malattia.
Dopo aver esaminato i risultati della marcatura di questi antigeni, identificando l’origine della popolazione si proseguirà nella sua caratterizzazione ampliando il numero di anticorpi.
1.5.1
I MARCATORI DELLE CELLULE B
Sono numerosi gli anticorpi che riconoscono le cellule B e caratterizzano antigeni che si esprimono a stadi differenziativi diversi e poiché le
neoplasie B derivano da cellule congelate in un certo stadio maturativo
è possibile definire le patologie e il momento della loro espansione.
Come precedentemente riportato, tra gli anticorpi che reagiscono con
la maggior parte delle cellule B devono essere ricordati il CD22 che
caratterizza la linea linfoide B nei suoi diversi momenti maturativi. Il
CD22 si trova nel citoplasma delle cellule B più indifferenziate e successivamente durante la maturazione cellulare viene esposto sulla
membrana. L’antigene CD79b rappresenta una delle due catene polipeptidiche, l'altra è il CD79a, unite sulla superficie delle cellule alle Ig
di membrana a formare il complesso recettoriale B (B-cell receptor,
E
6
M
A
T
O
L
O
G
I
A
BCR). Sia il CD22 sia il CD79b sono presenti nel citoplasma a testimoniare l'origine B della malattia, ma sono poco espressi sulla membrana
di cellule di LLC, mentre al contrario sono generalmente espressi nei
linfomi leucemizzati e molto intensamente espressi in alcuni linfomi
come ad esempio il linfoma mantellare. Altra caratteristica delle neoplasie croniche B è la positività nel citoplasma e sulla membrana cellulare delle Ig. La densità di espressione di membrana si rivela assai utile
nella diagnostica differenziale tra la LLC e gli altri disordini linfoproliferativi cronici a cellule B. Infatti, nelle cellule di LLC vi è caratteristicamente una bassa espressione di Ig di superficie che contrasta con
quanto osservato nelle altre patologie croniche B.
Normalmente presenti sulla cellula B sono gli antigeni CD19 e il CD20;
quest'ultimo antigene ha un diverso livello di espressione nelle diverse
patologie, basso nella LLC ed elevato in alcuni linfomi, particolarmente
nel linfoma follicolare, e nella HCL.
Un altro antigene molto studiato per la definizione della cellula B,
soprattutto in passato, è l'HLA-DR, così come l’FMC7 che è di solito
assente nella LLC mentre è fortemente espresso nella leucemia prolinfocitica cronica B (B-LPC) e nella HCL. Molto utile nell’iter diagnostico è il CD23, essendo sempre positivo nella LLC. Altro antigene che
caratterizza lo stadio della cellula è il CD10, essendo espresso in cellule B immature, e risultando tipicamente presente sulle cellule del
linfoma follicolare.
Molta rilevanza è da attribuire a un altro antigene il CD5 che non è
caratteristico della cellula B, ma ne evidenzia, nell'individuo normale,
una piccola popolazione in associazione con gli antigeni CD19 o
CD20; considerando che la LLC è tipicamente CD5 positiva, è intuitivo
l'importante impatto diagnostico di questo antigene, che tra le diverse
patologie B risulta positivo solamente nelle cellule del linfoma mantellare, che però sono CD23 negative.
Vi sono poi alcuni antigeni caratteristici e quindi diagnostici di determinate patologie, quali il DB44 e il CD103, positivi nelle cellule di HCL, e
il CD11c che è però anche positivo nel linfoma splenico a linfociti villosi (SLVL). Va altresì ricordato l’antigene CD25 (catena a del recettore
dell’interleuchina 2, IL-2) che è tipicamente positivo, con un’elevata
densità di espressione, nella HCL classica, mentre la forma variante è
CD25 negativa.
L’antigene CD38 pur non essendo un antigene di linea ed esprimendo
lo stato di attivazione cellulare si è rivelato assai prezioso nella diagnostica in quanto caratterizza la cellula plasmocitoide anche in assenza
di altri marcatori della cellula B. Inoltre, nella LLC l’espressione del
CD38 è stata associata a un decorso clinico più aggressivo e a una
configurazione non mutata delle catene variabili delle Ig.
Alla luce di quanto qui sinteticamente riassunto, nella Tabella 2 è
riportata la risposta a un numero selezionato di antigeni caratterizzanti
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
7
1
Marcatori immunologici nei disordini
linfoproliferativi B leucemizzati (TdT– )
Tabella 2
CD22
CD79b
CD23
FMC7
CD5
slg
LLC
–
–
++
±
++
–
LPC
+
++
–
++
±
++
HCL
++
+
–
++
–
++
HCL
variante
++
+
–
++
–
+
SLVL
++
++
±
++
±
++
FL
++
++
±
++
±
++
MCL
++
++
–
++
++
++
– negativo o positivo in meno del 10% dei casi; ± positivo nel
10–25% dei casi, + positivo nel 25–75% dei casi; ++ positivo in oltre
il 75% dei casi.
alcune patologie B. Alcuni autori hanno anche proposto uno “score”,
cioè un sistema con cui viene dato un punteggio, che può essere positivo o negativo sulla base dell’espressione/non-espressione di un
numero relativamente limitato di antigeni, per arrivare a un più preciso
inquadramento dei disordini linfoproliferativi cronici B, soprattutto per
la LLC e per i casi in cui la definizione diagnostica si presenta complessa (vedi oltre).
1.5.2
I MARCATORI DELLE CELLULE T E NK
L’analisi dell’immunofenotipo dei disordini T non può avvalersi di anticorpi monoclonali capaci di discriminare le differenti patologie né di
marcatori immunologici in grado di definirne la monoclonalità come la
restrizione delle catene leggere delle Ig per i disordini linfoproliferativi
cronici B. Le patologie croniche T sono sempre CD3 positive e TdT
negative. Gli altri antigeni più frequentemente studiati sono il CD2,
quasi sempre espresso, e il CD7, spesso negativo nei disordini linfoproliferativi cronici T. Fatta eccezione per le espansioni di linfociti granulari (LGL) CD3 + , il CD4 è espresso in tutti i disordini linfoproliferativi
cronici T, leucemia prolinfocitica cronica a cellule T (T-LPC), sindrome
di Sézary, linfomi cutanei a cellule T e la adult T-cell leukemia lymphoma (ATLL) non presente nel nostro paese. In alcuni casi di T-LPC le
E
8
M
A
T
O
L
O
G
I
A
cellule patologiche mostrano la coespressione degli antigeni
CD4/CD8, come osservato nelle ultime fasi della differenziazione intratimica. Le espansioni LGL CD3 + sono normalmente CD8 + . Va ancora
ricordato che è possibile valutare l’espressione delle catene ab, più
frequentemente espresse, oppure gd del TCR.
Oltre alle più frequenti forme CD3 + /CD8 + , possono essere diagnosticate patologie LGL a fenotipo (e spesso funzione) NK. Queste proliferazioni sono caratterizzate dall’espansione di linfociti granulari CD3 negativi,
di solito CD2 positivi, e che esprimono gli antigeni CD16, CD56, CD57.
1.6
LA BIOLOGIA MOLECOLARE
Le tecniche di biologia molecolare hanno rappresentato un salto di
qualità nello studio delle malattie linfoproliferative, non solo perché
hanno spesso chiarito la filiera di origine della neoplasia, ma anche
perché hanno evidenziato l’origine clonale di alcuni disordini linfoproliferativi (Langerak et al., 1997). L’utilizzazione delle tecniche di biologia
molecolare non può essere definito necessario alla diagnosi dei disordini linfoproliferativi, ma è sicuramente di supporto in molti casi
(Tabella 3). Lo studio del riarrangiamento dei geni delle Ig per le cellule B e del TCR per le cellule T permette di chiarire un dubbio diagnostico in casi incerti, quando per esempio il numero delle cellule da esaminare è piccolo. L’indicazione è certamente più frequente per i disordini cronici T dove il fenotipo non è sempre suggestivo per la diagnosi.
Indicazioni diagnostiche dello studio molecolare
del riarrangiamento delle Ig e del TCR
nei disordini linfoproliferativi cronici
Tabella 3
•
Conferma della filiera cellulare di appartenenza
(cellule B o T)
•
Dimostrazione di espansione monoclonale
•
Dimostrazione di un clone neoplastico nonostante
la presenza di un piccolo numero di cellule
•
Possibilità di identificare e sequenziare il riarrangiamento
del singolo paziente
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
9
1
Le molecole delle Ig consistono di due catene pesanti (IgH) unite da
un ponte disolfuro e da due catene leggere (Igk o Igl); il dominio
variabile di IgH è codificato da un singolo esone che origina dai segmenti riarrangiati V (variable), D (diversity) e J (joining), mentre una
combinazione di segmenti genici V e J codifica i domini variabili di Igk
e Igl; il dominio costante è codificato da segmenti genici della regione
C (constant). Nei disordini linfoproliferativi cronici B è sempre possibile documentare un riarrangiamento clonale sia delle catene
pesanti sia delle catene leggere delle Ig, a conferma che le patologie sono caratterizzate dall’espansione di cellule B bloccate a un livello relativamente maturo di differenziazione. Negli anni passati lo studio
della configurazione dei geni delle Ig ha permesso di dimostrare inequivocabilmente l’origine B delle cellule di HCL, fino ad allora motivo
di dibattito scientifico.
Lo studio del riarrangiamento dei geni del TCR è un poco più complesso. Per la cellula T sono infatti conosciuti due tipi di recettore,
TCRab e TCRgd, differenti per i due tipi di catene codificate in diversi
segmenti genici (V, D J, C) che riarrangiano durante il processo di differenziazione cellulare. Le catene gd riarrangiano più precocemente
dei segmenti genici che governano le catene ab durante l’ontogenesi cellulare. In tutti i casi di disordini linfoproliferativi cronici T CD4+
si osserva il riarrangiamento delle catene b e g del TCR. Le analisi
molecolari sono state di primaria importanza per dimostrare che molte
delle espansioni a LGL CD3 + /CD8 + sono in realtà patologie neoplastiche caratterizzate dalla proliferazione abnorme di elementi granulari
monoclonali. Contestualmente, sono state altresì documentate patologie con un fenotipo quasi sovrapponibile ma con una configurazione
policlonale o, in alcuni casi, oligoclonale dei geni del TCR, a dimostrare la natura reattiva, probabilmente secondaria, dell’espansione.
Accurate indagini clinico-laboratoristiche spesso permettono di identificare patologie autoimmuni, infettive o neoplastiche alla base della
proliferazione di elementi granulari reattivi. Fino all’avvento delle analisi
molecolari del TCR vi erano persino dei dubbi che le espansioni di LGL
potessero essere tutte di natura benigna. Queste indagini non sono
estensibili alle rare espansioni granulari a fenotipo NK, cioè CD3 – ,
CD16 + , CD56 + , che essendo appunto CD3 – non presentano riarrangiamenti molecolari. Questo da un lato conferma che le cellule NK
hanno un’origine cellulare diversa e dall’altro comporta l’assenza di un
marcatore molecolare che permetta di definire la clonalità delle espansioni LGL a fenotipo NK.
Vi sono, inoltre, alterazioni molecolari che accompagnano più specificatamente alcuni disordini linfoproliferativi cronici. Questo è per esempio il caso
del riarrangiamento del gene Bcl-1 nelle cellule del linfoma mantellare oppure del riarrangiamento del gene Bcl-2 nelle cellule del
linfoma follicolare.
E
10
M
A
T
O
L
O
G
I
A
Le tecniche di analisi molecolare, utilizzabili nella diagnostica, sono
rappresentate dal metodo del Southern blot e della PCR (polymerase
chain reaction). Il primo ha una sensibilità fino a circa l’1% della popolazione studiata, si dimostra estremamente affidabile e se correttamente eseguita non conosce falsi positivi. Deve però essere testato su
popolazioni cellulari numericamente consistenti (> 3x106 ) e necessita
di alcuni giorni per ottenere una risposta. Le analisi in PCR sono più
rapide, hanno una sensibilità molto maggiore (1–100 cellule per milione), possono essere effettuate su quote cellulari ridotte e, oggigiorno,
possono essere anche quantitative, cioè possono misurare la quantità
di espressione di un determinato gene. La metodica ha il limite di possibili false positività (Tabella 4).
Oltre che utile per un accurato inquadramento diagnostico, va infine
ricordato come la presenza di un marcatore molecolare possa essere
utilizzato per il monitoraggio della malattia minima residua nell’ambito
dei sempre più frequenti programmi terapeutici che mirano all’eradicazione del clone neoplastico. Per un monitoraggio più specifico della
patologia, può essere altresì sequenziato il riarrangiamento genico di
ogni singolo paziente utilizzando quindi sonde individualizzate.
Tabella 4
1.7
Confronto tra le tecniche Southern blot e PCR per la
diagnosi del riarrangiamento dei geni Ig e del TCR
Southern blot
PCR
Campione cellulare
Campioni freschi
o congelati
Campioni freschi,
congelati, fissati
Quantità di DNA
10–15 mg/reazione
0.1 mg/reazione
Tempi di esecuzione
1–2 settimane
1–3 giorni
Limiti di sensibilità
> 5% della popolazione
1–5% della popolazione
(10–3–10–6)
Falsa negatività
Rara
Frequente per i geni Ig
Falsa positività
Rara
Frequente per problemi
di standardizzazione
LO STUDIO CITOGENETICO
Le alterazioni citogenetiche sono oggetto di studio e di valorizzazione
nelle malattie linfoproliferative croniche sia per il miglioramento dei
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
11
1
risultati ottenibili con le tecniche di citogenetica convenzionale che per
la disponibilità di nuove tecniche, come la FISH (fluorescence in situ
hybridization), e di numerose sonde specifiche (Popescu et al., 1997).
A un miglioramento delle conoscenze ha anche contribuito l’ottimizzazione delle tecniche di coltura che utilizzano stimoli più specifici che
consentono la messa in ciclo della cellula linfoide neoplastica, ad
esempio per le cellule di leucemia linfatica cronica il CD40 ligando e
l’IL4. Precedentemente, la possibilità di mettere in ciclo le cellule neoplastiche delle malattie linfoproliferative era particolarmente difficile e
l’uso di stimoli aspecifici come la fitoemoagglutinina (PHA) o l’IL2 finiva
per stimolare i linfociti T e B normali riducendo di molto la possibilità di
ottenere informazioni sulle cellule patologiche. In questi ultimi anni
sono state acquisite numerose nuove conoscenze sulle alterazioni cromosomiche in corso di diversi disordini linfoproliferativi cronici, particolarmente a carico delle LLC (Dohner H et al., 1993). Tra le anomalie
cromosomiche che si presentano con una elevata frequenza nei disordini linfoproliferativi cronici e caratterizzano determinate patologie si possono ricordare la trisomia del cromosoma 12 e le aberrazioni del braccio lungo del cromosoma 13 nella LLC, la traslocazione t(14;18) in circa
l’85% dei linfomi follicolari che porta all’eccessiva espressione dell’oncogene Bcl-2, e aberrazioni a carico del cromosoma 14 nelle cellule
mielomatose. Oltre ad aprire importanti interrogativi biologici, alcune di
queste informazioni hanno anche rilevanti implicazioni prognostiche.
La FISH può essere applicata non solo sui cromosomi in metafase e
sui nuclei in interfase, ma anche su preparazioni citologiche e su
sezioni di tessuto criopreservate o fissate in paraffina. Naturalmente,
questo ha permesso di ottenere informazioni in un numero maggior di
casi. Per esempio nella LLC, la trisomia del cromosoma 12 è stata evidenziata nel 30% dei casi analizzati, contro il 10–15% segnalato con le
tecniche di studio del cariotipo precedentemente utilizzate (Kobayashi
et al., 1994). Utilizzando tecniche di FISH, anomalie cromosomiche
sono riscontrabili nel 60–70% dei casi di LLC.
Una modificazione ulteriore di questa tecnica ha portato alla cosiddetta FICTION (Fluorescence immunophenotyping and Interphase
Cytogenetics as a Tool for Investigation Of Neoplasms) che consiste in
una FISH associata a tecniche di riconoscimento immunofenotipico
delle cellule esaminate e consente di comprendere in quale cellula è
presente una determinata alterazione (Weber-Matthiesen et al., 1993)
(Tabella 5). È stato così possibile dimostrare che la trisomia del cromosoma 12 è caratteristica delle cellule neoplastiche e non di linfociti
B o T normali nella LLC.
Le indagini citogenetiche non sono strettamente necessarie per una
corretta diagnosi di un disordine linfoproliferativo cronico, ma possono risolvere casi in cui vi siano dubbi diagnostici ed esistano alterazioni citogenetiche caratteristiche di una determinata patologia.
E
12
M
A
T
O
L
O
G
I
A
Tabella 5
1.8
Tecnica FICTION, una nuova tecnologia diagnostica
per lo studio delle anomalie citogenetiche:
scopi di utilizzo
•
Caratterizzazione immunofenotipica di cloni cellulari
tumorali con definite aberrazioni cromosomiche
•
Definizione degli stadi di differenziazione delle cellule
tumorali
•
Identificazione dei precursori cellulari da cui si origina la
popolazione neoplastica
•
Caratterizzazione immunofenotipica delle cellule che
circondano il tumore e hanno cariotipo normale
•
Caratterizzazione di piccole masse tumorali all’interno di un
tessuto normale
LA MICROSCOPIA ELETTRONICA
Lo studio morfologico con tecniche di microscopia elettronica può fornire ulteriori conferme di un sospetto diagnostico di alcuni disordini
linfoproliferativi cronici. La microscopia elettronica permette, infatti, di
mettere in evidenza caratteristiche della cellula patologica che la
microscopia ottica può solo suggerire, oppure che l’immunofenotipo
può far ipotizzare. Ad esempio, permette di dimostrare l’esistenza dei
villi sulle cellule neoplastiche nella diagnosi di un SLVL oppure può
confermare le protrusioni filamentose citoplasmatiche delle cellule della
HCL, come pure evidenziare il nucleo cerebriforme delle cellule della
sindrome di Sézary. In microscopia elettronica possono essere altresì
utilizzate anche tecniche di citochimica o di immunocitochimica per
una migliore caratterizzazione delle cellule patologiche.
Certamente, le indagini in microscopia elettronica di un preparato cellulare non sono necessarie per un corretto inquadramento etiopatogenetico di un disordine linfoproliferativo cronico, ma possono, in alcuni
casi, offrire una più precisa documentazione per la diagnosi.
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
13
1
2
LEUCEMIA LINFATICA
CRONICA
La leucemia linfatica cronica (LLC) rappresenta la forma di leucemia
di più frequente riscontro nell'adulto rappresentando da sola il 30%
circa di tutte le leucemie dell'adulto nell’Europa orientale e
nell'America del nord.
2.1
QUADRO CLINICO
La maggioranza dei pazienti ha più di 55 anni mentre circa un quinto
dei pazienti ha < 55 anni. La LLC è più frequente tra i soggetti di
sesso maschile essendo il rapporto maschi/femmine di 2:1.
Nella maggior parte dei casi la LLC è asintomatica e la diagnosi è del
tutto occasionale, posta quindi in pieno benessere in presenza di un
esame emocromocitometrico che mostra la presenza di una linfocitosi.
Solo nelle forme più avanzate il quadro clinico è caratterizzato dalla
presenza di sintomi sistemici quali l'astenia, il dimagramento, la sudorazione notturna e la febbre.
Anche l'esame clinico è estremamente variabile potendo comprendere
quadri del tutto negativi e quadri in cui sono apprezzabili organomegalie anche importanti. L'obiettività clinica è l'espressione del progressivo accumulo dei linfociti leucemici nelle linfoghiandole, nella milza e
nel fegato. Pertanto nei pazienti affetti da LLC è possibile osservare
adenomegalie superficiali e profonde, splenomegalia ed epatomegalia.
Gli stadi avanzati di malattia sono frequentemente caratterizzati da
quadri di pancitopenia dovuti a un'insufficiente attività mielopoietica
correlata direttamente alla infiltrazione leucemica o a meccanismi di
tipo autoimmune.
2.2
CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE
E IMMUNOFENOTIPICHE
La diagnosi di LLC è piuttosto semplice poiché si basa essenzialmente
sulla valutazione citomorfologica e immunologica dei linfociti presenti
nel sangue periferico. I criteri per la definizione di diagnosi di LLC cui si
farà riferimento sono quelli stabiliti nel 1996 dal National Cancer
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
15
Institute-Sponsored Working Group Guidelines for Chronic Lymphocytic
Leukemia (NCI-WG-CLL) (Cheson et al., 1996). Il primo criterio su cui si
basa la diagnosi di LLC è un incremento del numero dei linfociti nel
sangue periferico e che questo sia persistente nel tempo.
I linfociti hanno l'aspetto prevalente dei linfociti piccoli e maturi, presentano scarso citoplasma e cromatina nucleare addensata a zolle. Un
aspetto caratteristico degli strisci di sangue di pazienti affetti da LLC è
la presenza di ombre nucleari dette ombre di Gumprecht (Figura 2).
Accanto ai piccoli linfociti, possono essere osservati linfociti più grandi
nucleolati, i prolinfociti, linfociti a citoplasma più ampio, linfociti con
nucleo clivato, linfociti con le caratteristiche degli immunoblasti e dei
linfoblasti (Catovsky
et al., 1990). Secondo la classificazione
proposta dal FrenchAmerican-British
Figura 2 • LLC
(FAB) Cooperative
Group (Bennett et
al., 1989) la diagnosi
citomorfologica di
LLC "tipica" si pone
in presenza del 90%
o più di piccoli linfociti. Secondo questa
classificazione quadri citomorfologici in
cui sono rappresentati più del 10% di
linfociti con aspetti
diversi dal piccolo
linfocito non sono
compatibili con la
diagnosi di LLC “tipica”. Dal punto di vista morfologico risulta ben definita la leucemia prolinfocitica (LPC) (Melo et al., II , III, 1986) in cui l'aspetto dei linfociti periferici è quello del prolinfocito e che si identifica
anche con un proprio quadro immunofenotipico e clinico. Accanto a
questa forma, ve ne sono altre in cui è possibile osservare una quota
superiore al 10% di linfociti con aspetti diversi dal piccolo linfocito. In
queste condizioni è appropriata la diagnosi di LLC a citomorfologia
"atipica". In rapporto alle caratteristiche citomorfologiche dei linfociti
del sangue periferico sono state definite da alcuni autori delle varianti
della LLC, le cosiddette forme “atipiche”: la LLC/LPC, la LLC di tipo
misto a “large lymphocytes” o a “cleaved lymphocytes” (Criel et al.,
1997). La presenza di un quadro citomorfologico "atipico" sembra correlarsi generalmente a una prognosi più sfavorevole (Oscier et al.,
1997).
E
16
M
A
T
O
L
O
G
I
A
La popolazione dei linfociti coinvolti nella LLC esprime antigeni di
membrana propri della linea B: CD19, CD20 e CD23. Pur appartenendo alla linea B, i linfociti leucemici esprimono sulla loro membrana un
antigene espresso dai linfociti T, il CD5. La popolazione coinvolta nella
LLC è monoclonale, esprime infatti catene leggere di un solo tipo, k
oppure l. Un altro aspetto importante che contraddistingue i linfociti
leucemici è la bassa densità di espressione delle Ig di superficie.
Questa caratteristica, così come la infrequente espressione degli antigeni FMC7 (Catovsky et al., 1991) e CD79b (Zomas et al., 1996) di più
comune osservazione in altre malattie linfoproliferative come la LPC e
le fasi leucemiche di linfomi non-Hodgkin, è importante e va considerata quando si pone
un problema di dia gnosi differenziale
(Tabella 1) . Per una
corretta identificazioTabella 6
LLC: sistema score
ne delle diverse
dell’immunofenotipo
malattie linfoproliferative è stata proposta
Marker
LLC
una valutazione del
fenotipo immunologiCD5
+
co dei linfociti seconCD23
+
do uno “score”.
Questo sistema attriCD79b
–
buisce un punteggio
FMC7
–
di uno in presenza di
kol
±
una delle seguenti
Punteggio: 5/5 = LLC classica;
condizioni: CD5 posi4/5 = quadro compatibile con LLC.
tività, CD23 positiModificato da: Matutes et al.,
vità, FMC7 negatività,
Leukemia, 1994, 8: 1640.
CD79b negatività,
debole intensità di
espressione delle
SmIg (Tabella 6)
(Matutes et al., 1994). Recentemente, è stata segnalato il significato
prognostico sfavorevole della espressione dell’antigene CD38, marker
di attivazione linfocitaria (Damle et al., 1998).
2.3
BIOPSIA OSTEOMIDOLLARE E LINFONODALE
Il midollo presenta costantemente un'infiltrazione di piccoli linfociti, la
cui entità è variabile in rapporto all'entità della malattia. La biopsia
osteomidollare è un esame che permette, sulla base del tipo di modalità
di infiltrazione linfocitaria, una valutazione diagnostica differenziale nei
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
17
2
confronti di altri disordini linfoproliferativi anch'essi caratterizzati da
linfocitosi periferica. Inoltre, la biopsia osteomidollare offre informazioni
prognostiche poiché ai diversi tipi di modalità di infiltrazione linfocitaria
del midollo, diffuso e non diffuso (Rozman et al., 1984), si correlano non
solo stadi diversi di malattia ma anche differenti probabilità di sopravvivenza. La biopsia linfonodale non è necessaria nell’iter diagnostico della
LLC qualora siano già chiaramente diagnostiche le indagini citomorfologiche e immunologiche condotte sulla popolazione dei linfociti presenti
nel sangue periferico. La biopsia linfonodale è necessaria nei casi in cui
non è possibile un chiaro inquadramento diagnostico sulla base dell’esame del sangue periferico e quando nel decorso della malattia si presenti un quadro clinico suggestivo per trasformazione in linfoma ad alto
grado di malignità (sindrome di Richter) (Giles et al., 1998).
Il quadro istologico che appare alla biopsia di un linfonodo in corso di
LLC non è sostanzialmente differente da quello che viene osservato in
caso di linfoma linfocitico.
2.4
DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Un problema di diagnosi differenziale si pone nei confronti di altre sindromi linfoproliferative leucemiche quali la LPC, il SLVL, la fase leucemica di alcuni linfomi non-Hodgkin: il linfoma linfocitico, il linfoma follicolare, il linfoma mantellare. Ognuna di queste differenti malattie linfoproliferative è caratterizzata da un proprio quadro clinico e da proprie
caratteristiche citomorfologiche e immunofenotipiche che consentono
agevolmente di distinguere queste forme leucemiche dalla LLC.
Quando possibile è sempre indicata per un corretto inquadramento
diagnostico la valutazione istologica su tessuto infiltrato da malattia.
La biopsia linfonodale e quella osteomidollare consentono generalmente la definizione della diagnosi. Nella tabella 2 sono riportate le caratteristiche immunofenotipiche che caratterizzano alcune malattie linfoproliferative croniche con cui può porsi il problema di una diagnosi differenziale.
2.5
CARATTERISTICHE CITOGENETICHE
E MOLECOLARI
Lo studio citogenetico e quello molecolare, per l'impegno e il costo
che comportano non costituiscono attualmente esami di routine da
richiedere nella valutazione dei pazienti affetti da LLC. Questi esami
solitamente eseguiti nell'ambito di programmi di ricerca, hanno dato
finora contributi importanti di ordine patogenetico ed hanno anche offerto
informazioni di utilità prognostica. L'analisi citogenetica rivela una altera-
E
18
M
A
T
O
L
O
G
I
A
zione del cariotipo in circa la metà dei pazienti affetti da LLC (Juliusson
et al., 1990). La presenza di alcune alterazioni del cariotipo identifica
infatti sottogruppi di pazienti a diversa prognosi (Dohner et al., 1995).
Osservando il decorso clinico e la sopravvivenza dei pazienti in rapporto
alle caratteristiche citogenetiche è stato infatti attribuito un significato
prognostico sfavorevole alla presenza di alterazioni quali la 17q– e la
17p – , mentre pazienti con 13q – e +12q possono essere considerati a
prognosi più favorevole. Non è stato finora identificato un marker molecolare specifico per la LLC. Benché nella LLC non vi siano alterazioni
strutturali del gene Bcl-2 la proteina Bcl-2 risulta eccessivamente espressa nell’ 85% dei casi (Hanada et al., 1993) e questo potrebbe avere un
ruolo nell’alterare i meccanismi che regolano il processo di apoptosi.
Il gene del retinoblastoma, il c-myc, l'espressione della proteina p-53,
l'eccessiva espressione della p27 sono state osservati in pazienti con
prognosi sfavorevole (Cordone et al., 1998; Vrhovac et al., 1998). Dati
recentissimi di due studi concordano nell’indicare che pazienti con
configurazione germline dei geni per la sintesi delle catene pesanti
delle Ig (geni IgV) hanno una prognosi significativamente peggiore
rispetto a quelli che presentano invece la presenza di mutazioni somatiche (Damle et al., 1998; Hamblin et al., 1998). In uno dei due studi è
stata, inoltre, riportata una correlazione tra l’espressione dell’antigene
CD38 e la configurazione germline non mutata dei geni IgV.
2.6
ALTRE INDAGINI DA CONSIDERARE
ALLA DIAGNOSI
In una piccola percentuale dei casi di LLC la linfocitosi si associa ad
anemia e/o piastrinopenia. Queste possono essere espressione di una
insufficiente attività mielopoietica secondaria all'infiltrazione leucemica
del midollo o anche essere su base autoimmune. Nel caso che l’anemia sia associata a segni di emolisi quali un incremento dei valori della
bilirubina indiretta, della lattico deidrogenasi (LDH), della conta dei
reticolociti, è importante la esecuzione del test di Coombs, affinché
sia possibile identificare la eventuale presenza di autoanticorpi antieritrocitari che quasi sempre sono delle IgG e molto più raramente
delle IgM. Un’altra condizione da considerare in presenza di citopenia
è l’ipersplenismo che può essere presente nelle forme di LLC caratterizzate da importante splenomegalia.
L’elettroforesi proteica con l'ausilio dell'immunofissazione permette di
dimostrare in una piccola percentuale dei casi la presenza di una
paraproteina che può essere di tipo IgG o IgM. Una ipogammaglobulinemia è frequente soprattutto nei pazienti con malattia più estesa e
tende a essere più spiccata nel decorso della malattia. Utili alla diagnosi, per il significato prognostico ad esse correlato, sono la deter-
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
19
2
minazione del valore della LDH e della b2-microglobulinemia.
Una corretta valutazione dell'entità dell'estensione della malattia non
può prescindere da una valutazione di tipo radiologico. Per una valutazione di base possono essere sufficienti anche la sola radiografia del
torace e un'ecografia dell'addome, tuttavia, una valutazione mediante
esame TC offre informazioni di maggiore dettaglio sulle dimensioni
delle adenomegalie profonde.
2.7
VALUTAZIONE DELLO STADIO
La definizione dello stadio di malattia si propone di dare una misura
dell'entità della massa leucemica. Questa viene "misurata" tenendo
conto non solo della linfocitosi, ma soprattutto dell'eventuale presenza
di adenomegalie, di splenomegalia, di epatomegalia, di anemia, di
trombocitopenia. Nella pratica attuale sono due i sistemi di stadiazione
comunemente impiegati: quello proposto da Rai e collaboratori nel
1975 (Tabella 7) e quello proposto da Binet e collaboratori nel 1977
(Tabella 8).
Classificazione della LLC in stadi secondo Rai
Tabella 7
E
20
M
A
T
Stadio
Stadiazione secondo Rai
0
Aumento dei linfociti nel sangue (> 5000/mL)
e nel midollo (> 40%)
I
Come stadio 0 associato a linfoadenomegalia
II
Come stadio 0 associato a splenomegalia ± epatomegalia
con o senza linfoadenomegalia
III
Come stadio 0 + anemia (Hb < 11 g/dL) con o senza
epato-spleno-adenomegalia
IV
Come stadio 0 + trombocitopenia (Plt < 100000/mL)
con o senza anemia (Hb < 11 g/dL) ed
epato-spleno-adenomegalia
O
L
O
G
I
A
Classificazione della LLC in stadi secondo Binet
Tabella 8
Stadio
Stadiazione secondo Binet
A
Linfocitosi (> 5000/mL) e < 3 aree linfonodali coinvolte
B
Linfocitosi (> 5000/mL) e ³ 3 aree linfonodali coinvolte
C
Linfocitosi (> 5000/mL) + anemia (Hb < 10 g/dL) e/o
trombocitopenia (Plt < 100000/mL) indipendentemente
dal numero di aree linfonodali coinvolte
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
21
2
LEUCEMIA
PROLINFOCITICA
CRONICA
3
La leucemia prolinfocitica cronica (LPC) è una malattia linfoproliferativa che nel 80% dei casi è sostenuta dalla proliferazione monoclonale
di linfociti B e nel 20% dei casi di linfociti T aventi le caratteristiche
morfologiche del prolinfocita. Per la diagnosi morfologica di LPC viene
richiesto che almeno il 55% dei linfociti abbiano le caratteristiche del
prolinfocita (Bennett et al., 1989).
3.1
QUADRO CLINICO
L’età mediana dei pazienti è più elevata che per la LLC essendo di 70
anni; i pazienti sono più frequentemente di sesso maschile, essendo
anche per la LPC il rapporto maschi:femmine di 2:1. La LPC si presenta di solito con le caratteristiche di una malattia in fase avanzata
sin dalla diagnosi (Melo et al., I, 1986; IV, 1987). Nella maggior parte
dei pazienti, è presente una splenomegalia importante spesso associata a epatomegalia, mentre è più rara l'osservazione di linfoadenomegalie. Nelle forme di T-LPC è possibile osservare la presenza di
infiltrati cutanei di tipo papuloso.
3.2
CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE,
IMMUNOFENOTIPICHE E CITOGENETICHE
Il quadro ematologico è caratterizzato da una linfocitosi periferica in
genere importante con valori anche superiori a 200000/ml che si associa ad anemia e piastrinopenia di entità variabile. Nella Tabella 9
sono confrontate le caratteristiche cliniche e biologiche della LLC e
della B-LPC.
Nella B-LPC i linfociti sono di taglia maggiore del piccolo linfocito che
caratterizza la LLC, hanno un citoplasma relativamente più abbondante e tenuemente basofilo, e all’interno del nucleo presentano cromatina meno addensata e un nucleolo ben evidente (Bennett et al., 1989;
Melo et al., II–III, 1986; Catovsky et al., 1990). I linfociti esprimono
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
23
elevata densità di Ig di superficie ed esprimono fortemente gli antigeni
CD20, CD22 e FMC7, mentre il CD5 risulta espresso in circa un terzo
dei casi e gli antigeni CD23, CD11c, CD103 risultano negativi (Melo et
al., 1986). In circa il 60% dei casi di B-LPC lo studio citogenetico
mostra una trisomia del cromosoma 14 (Pitmann et al., 1983).
Nella T-LPC i prolinfociti hanno meno citoplasma e quindi maggior rapporto nucleo/citoplasma. Il nucleolo può essere più facilmente messo
in evidenza alla microscopia elettronica e in alcuni casi il nucleo assume aspetto convoluto. I linfociti risultano essere CD2 positivi con fenotipo CD4 positivo nel 75% dei casi, mentre più rara è la espressione
del CD8 o l’espressione combinata del CD4 e CD8. Di solito è espresso il CD7 mentre sono negativi CD1, HLA-DR e la TdT.
Caratteristiche cliniche e biologiche
della B-LLC e della B-LPC
Tabella 9
B-LLC
B-LPC
Caratteristiche
morfologiche
Piccoli linfociti con scarso
citoplasma e nucleo a
cromatina addensata
Linfociti con abbondante
citoplasma, nucleo con
cromatina fine e nucleolato
Caratteristiche
immunologiche
SmIg +
CD5 + 95%
CD20 +
CD23 +
FMC7 ±
SmIg ++++
CD5 –
CD20 ++++
CD23 –
FMC7 ++++
Caratteristiche
cliniche
Età mediana 65
Rapporto maschi/femmine 2:1
Splenomegalia ±
Linfocitosi < 100000/ml
Anemia e
trombocitopenia < 15%
Età mediana 70
Rapporto maschi/femmine 2:1
Splenomegalia ++++
Linfocitosi > 100000/ml
Anemia e
trombocitopenia > 80%
E
24
M
A
T
O
L
O
G
I
A
4
LEUCEMIA A CELLULE
CAPELLUTE
La leucemia a cellule
Figura 3 • HCL
capellute o tricoleucemia, conosciuta
con l’acronimo HCL
(hairy cell leukemia)
è una entità clinicopatologica ben definita caratterizzata
dalla proliferazione
di cellule B mature
con lunghe protrusioni citoplasmatiche riconoscibili al
microscopio ottico,
ma molto più evidenti al microscopio
a contrasto di fase e
al microscopio elettronico (Catovsky et al., 1990, Matutes et al.,
1994a) (Figura 3).
4.1
QUADRO CLINICO
La HCL è una patologia che colpisce l’adulto e il sesso maschile in
proporzione maggiore (4:1). Presenta sintomi non-specifici, quali astenia, in alcuni casi emorragie o infezioni; quasi sempre è presente splenomegalia, alcune volte accompagnata da epatomegalia.
4.2
CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE,
IMMUNOFENOTIPICHE E MOLECOLARI
L’emocromo evidenzia sempre una citopenia, molto spesso a carico di
tutte le filiere cellulari, causata sia dall’invasione midollare da parte
delle cellule neoplastiche che soprattutto dalla fibrosi midollare dovuta, probabilmente, anche a fattori rilasciati dalle cellule stesse, quali
citochine con attività mielotossica.
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
25
La diagnosi, sospettata alla luce del quadro clinico-ematologico, deve
essere posta sulla base della biopsia ossea. Questa mostra una diffusa infiltrazione da parte delle cellule capellute con un caratteristico
aspetto lasso e un ben definito anello citoplasmatico che determinano
una zona chiara attorno alle cellule. All’osservazione microscopica
questa immagine risulta patognomonica della malattia e permette la
diagnosi differenziale. Nella maggior parte dei casi, è presente un limitato numero di cellule capellute circolanti; mentre una linfocitosi è di
riscontro poco frequente. Anche l’aspirato midollare non è sufficiente
per la diagnosi, soprattutto perché può risultare spesso in una “puntio
sicca”, dovuta oltre che all'infiltrazione leucemica, alle fibre di reticolina che derivano dalla fibronectina prodotta dalle cellule stesse che
invadono il midollo. Un aspetto caratteristico della distribuzione delle
cellule può essere spiegato dalla presenza dei recettori di adesione
sulla membrana che possono interagire con le cellule dell’endotelio e
condizionare la disseminazione. Infatti, il numero delle cellule circolanti
è di regola basso e anche il coinvolgimento dei linfonodi è molto raro.
Morfologicamente, le cellule presentano dimensioni medio-grandi con
un diametro compreso tra 10 e 20 mm, citoplasma abbondante e i
caratteristici villi. Il nucleo è eccentrico con una forma rotondeggiante
o indentata, il citoplasma è basofilo con rare granulazioni azzurrofile;
raramente è presente un nucleolo.
Le cellule di HCL hanno la proprietà di reagire in modo specifico a una
reazione citochimica, denominata fosfatasi acida resistente all’acido
tartarico (TRAP), che visualizza piccoli granuli irregolari distribuiti in
modo diffuso nel citoplasma cellulare.
La tipizzazione immunofenotipica mostra una positività agli antigeni
della cellula B, CD22, CD19 e CD20, CD79a. Inoltre, le cellule sono
positive per le Ig, ristrette per le catene leggere, espresse in superficie
ad alta densità, e per l’FMC7. Ma gli antigeni che possono essere
definiti specifici sono il CD11c, il CD25, il DB44 e il CD103. Le cellule
sono ovviamente negative per la TdT, ma anche per CD10, CD23 e
normalmente per il CD5 (Matutes et al., 1994a; Robbins et al., 1993;
de Totero et al., 1993).
Morfologicamente, si può porre il quesito di una diagnosi differenziale
con il SLVL, ma in quest’ultimo le cellule sono negative per gli antigeni
CD25, DB44 e CD103, anche se sono positive per l’antigene CD11c
(Matutes et al., 1994b).
Non ci sono molti dati di citogenetica che riguardano l’HCL, anche se
sono segnalate alcune alterazioni tra cui il coinvolgimento del cromosoma 5 descritto in circa il 30% dei pazienti (Cuneo et al., 1994).
Lo studio molecolare non ha un’indicazione diagnostica nella HCL; in
ogni caso, è evidente che le cellule hairy mostrano un riarrangiamento
clonale dei geni delle Ig (Hagland et al., 1994).
Esiste una rara forma variante di HCL che rappresenta circa il 10%
E
26
M
A
T
O
L
O
G
I
A
delle HCL (Cawley et al., 1980; Dunphy et al., 1996; Zinzani et al.,
1990). Le caratteristiche generali sono simili, anche se frequentemente
i pazienti sono più anziani ed è meno marcata l’incidenza nei maschi. I
pazienti presentano una importante splenomegalia che dà spesso sintomi clinici, hanno alla diagnosi un numero di globuli bianchi circolanti
nella maggioranza dei casi >10000/ml. È sempre possibile aspirare il
midollo osseo, che presenta un’infiltrazione variabile tra il 5–80%. La
biopsia ossea mostra sempre la presenza di un’infiltrazione nella maggior parte dei casi interstiziale.
La diagnosi differenziale con la classica HCL è basata fondamentalmente sull'osservazione morfologica e sulle differenze di positività ai
marcatori di membrana. Infatti, le cellule neoplastiche si presentano
con una morfologia simile a quella dei prolinfociti, un nucleo rotondo
con nucleolo evidente e un citoplasma abbondante con numerosi villi.
L’immunofenotipo ricalca quello della HCL classica, eccetto che per la
negatività per il CD25.
Lo studio della biologia molecolare mostra l’espressione del trascritto
del gene c-myc, che qualcuno mette in relazione con la resistenza
della HCL variante alla terapia con IFNa (Sainati et al., 1990; Lehn et
al., 1986).
Le conoscenze sulla citogenetica di questa patologia sono scarse;
sono state segnalate anomalie numeriche e strutturali, anche se è raro
il coinvolgimento del cromosoma 5 a differenza di quanto osservato
nella HCL classica.
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
27
4
5
LINFOMA SPLENICO
A LINFOCITI VILLOSI
Il linfoma splenico a linfociti villosi (SLVL) rappresenta una patologia
linfoproliferativa la cui identità è stata definita solo recentemente
(Catovsky et al., 1990; Melo et al., 1987). Ha un’incidenza che è stata
valutata essere il 10% delle malattie linfoproliferative B leucemiche ed
è classificato tra i linfomi non-Hodgkin a basso grado di malignità.
5.1
QUADRO CLINICO
Sono interessati dal SLVL soggetti adulti di età generalmente superiore
a 60 anni (Mulligan et al., 1991). Il quadro clinico è dominato da una
splenomegalia associata ad alterazioni dell’emocromo. La splenomegalia di solito è piuttosto importante, ma in rari casi può essere anche
modesta e apprezzabile solo ecograficamente. Se presenti, l’epatomegalia e le adenomegalie non sono comunque di entità rilevante.
Alla linfocitosi, di solito non molto importante, e che varia tra
10–40000/ml, può associarsi frequentemente anemia e trombocitopenia talvolta su base anche autoimmune. Circa la metà dei pazienti
mostra la presenza di una componente monoclonale di tipo IgG o IgM.
5.2
CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE,
IMMUNOFENOTIPICHE E CITOGENETICHE
Una quota dei linfociti periferici, generalmente superiore al 25%, è
caratterizzata dalla presenza ai poli cellulari di estroflessioni citoplasmatiche che danno a questi elementi un aspetto villoso. I linfociti
sono di media taglia, presentano citoplasma basofilo, hanno un nucleo
tondo con cromatina addensata e frequentemente è apprezzabile un
piccolo nucleolo.
All’esame dell’immunofenotipo il quadro è quello di una popolazione
monoclonale di tipo B che nella maggioranza dei casi risulta essere
fortemente CD22 positiva, ma CD5 e CD23 negativa, con positività del
CD79b e del FMC7 (Tabella 2). In casi meno frequenti con positività
del CD5 o del CD23 (20–30%) si può porre il problema di una diagnosi
differenziale con la LLC, mentre in quelli con positività del CD25 (25%)
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
29
si pone un problema di diagnosi differenziale con la HCL.
Finora non è stato dimostrato un quadro specifico di alterazioni citogenetiche. In una minoranza di casi è stata documentata la presenza di
alterazioni citogenetiche osservate in altri tipi di patologia linfoproliferativa, quali la trisomia 3 (17%), la t(11;14) (15%) e la trisomia 12 (3%).
5.3
ISTOLOGIA SPLENICA E BIOPSIA
OSTEOMIDOLLARE
È tipico il quadro di un interessamento splenico, prevalentemente a
carico della polpa bianca, di tipo nodulare con componente a piccole
cellule al centro e cellule più grandi nella periferia del nodulo. Nella
polpa rossa è possibile osservare un interessamento nodulare simile di
entità variabile. La biopsia osteomidollare rivela un'infiltrazione linfocitaria non molto importante, di solito di tipo nodulare e intrasinusoidale
con aspetti talvolta di tipo paratrabecolare.
E
30
M
A
T
O
L
O
G
I
A
LEUCEMIE A LINFOCITI
GRANULARI
Secondo quanto suggerito da Loughran (Loughran et al., 1993) e
anche recentemente dalla "Revised European-American Lymphoma
Classification" (Harris et al., 1994) delle leucemie a linfociti granulari,
anche denominate come “large granular lymphocyte (LGL) leukemias”,
vanno considerate due diverse entità in rapporto al tipo di derivazione
cellulare: LGL a fenotipo T CD3 + e LGL a fenotipo NK.
6.1
ESPANSIONI LGL CD3 +
6.1.1
QUADRO CLINICO
È la forma più comune di espansione LGL (Lamy et al., 1998) e si
osserva in soggetti non giovani, essendo l'età media di 60 anni. Il
decorso è solitamente indolente e la diagnosi del tutto occasionale,
anche se in alcuni pazienti viene posta in occasione di infezioni secondarie alla granulocitopenia presente in circa un terzo dei casi
(Dhodapkar et al., 1994). Può essere presente epatomegalia e/o splenomegalia. È possibile documentare la presenza di un’altra patologia
in circa il 40% dei casi: frequentemente un'artrite reumatoide, ma
anche altre patologie di tipo autoimmune come l'anemia emolitica
autoimmune. Un'espansione LGL può anche essere associata a patologie diverse di tipo ematologico: mieloma multiplo, gammopatia
monoclonale, mielodisplasia e malattie linfoproliferative. Infine, espansioni LGL possono essere osservate anche in corso di tumori solidi.
6.1.2
CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE E IMMUNOFENOTIPICHE
La diagnosi di queste patologie si basa sull'osservazione di una linfocitosi persistente, sostenuta dalla presenza di linfociti con nucleo rotondo o reniforme e ampio citoplasma contenente granuli azzurrofili
(Figura 4). Il numero assoluto di queste cellule si attesta di solito su
valori superiori a 2000/ml, ma sono descritti anche casi caratterizzati
da un numero inferiore di linfociti granulari (Semenzato et al., 1997).
Il fenotipo immunologico delle LGL più comunemente osservato è
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
31
6
caratterizzato dalla
positività per gli antigeni
CD3,
CD8,
CD16, CD57, TCRab.
In alcuni casi, è stata
osservata la positività
per l'antigene CD4 in
assenza o in presenza della positività per
l'antigene CD8 e in
casi ancora più rari
sono state osservate
forme a fenotipo
CD3+, CD8–, CD4–.
La natura clonale
delle LGL è dimostrabile mediante analisi molecolare (Southern blot o PCR) che mette in
evidenza la presenza del riarrangiamento dei geni TCRb o TCRg.
Il quadro ematologico può essere caratterizzato frequentemente da
granulocitopenia grave (45%), piastrinopenia (20%), anemia (48%). In
alcuni casi, anemia e piastrinopenia possono riconoscere un'eziologia
di tipo autoimmune. Granulocitopenia e piastrinopenia possono essere
anche l’espressione di una condizione di mielodisplasia. Quote variabili
d'infiltrazione midollare da parte di LGL sono documentabili all'aspirato midollare e alla biopsia osteomidollare. Lo studio proteico può rilevare la presenza di una proteina monoclonale o anche di una ipergammaglobulinemia di tipo policlonale.
Figura 4 • LGL
6.1.3
DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Espansioni di linfociti granulari di tipo non clonale, e quindi con configurazione germinale dei geni del TCR, sono state descritte in associazione a patologie di tipo diverso; tra queste, soprattutto le infezioni di
tipo virale, in particolare le infezioni da virus dell'epatite B e C. Non
infrequenti le forme non clonali secondarie a malattie autoimmuni, a
malattie linfoproliferative e di tipo neoplastico.
6.2
ESPANSIONI LGL A FENOTIPO NK
Sono state descritte due condizioni diverse aventi fenotipo NK, la linfocitosi cronica a fenotipo NK e la leucemia a linfociti granulari a fenotipo
NK.
E
32
M
A
T
O
L
O
G
I
A
6.2A LINFOCITOSI CRONICA A FENOTIPO NK
6.2A.1 QUADRO CLINICO
È piuttosto rara e interessa prevalentemente i soggetti non giovani
essendo l'età mediana di 60 anni (Tefferi et al., 1994). È una malattia a
decorso indolente in cui è rara la presenza di organomegalia. Talvolta
è stata osservata in corso di vasculiti (poliarterite nodosa, glomerulonefrite, vasculiti orticarioidi) di aplasia eritroide pura, di granulocitopenia e piastrinopenia.
Anche per questa forma è stata postulata una possibile eziologia di
tipo virale (Zambello et al., 1995).
6.2A.2 CARATTERISTICHE IMMUNOFENOTIPICHE
Il numero mediano di cellule granulose non è generalmente elevato
attestandosi su valori di 2000/ml. Il fenotipo immunologico più comunemente osservato è CD2 + , CD16 + , CD56 + , CD3 – , CD4 – , CD8 – con
debole espressione del CD57. Nella maggior parte dei casi studiati, è
stata suggerita la clonalità della popolazione NK poiché questa esprimeva un solo tipo dei recettori espressi dalle cellule a fenotipo NK
(Moretta et al., 1994).
6.2B LEUCEMIA A LINFOCITI GRANULARI
A FENOTIPO NK
6.2B.1 QUADRO CLINICO
Questo tipo di leucemia interessa i pazienti più giovani essendo l'età
mediana di 39 anni. Si presenta in forma di una malattia linfoproliferativa aggressiva con linfocitosi di solito superiore a 10000/ ml associata
ad anemia e piastrinopenia gravi, sintomatologia emorragica da coagulopatia intravascolare disseminata, epatosplenomegalia, ascite, interessamento gastroenterico e talvolta anche del sistema nervoso centrale (Fernandez et al., 1986).
6.2B.2 CARATTERISTICHE IMMUNOFENOTIPICHE
Generalmente, il fenotipo immunologico delle cellule granulose è CD3– ,
TCRab – , TCRgd – , CD4 – , CD8 + , CD16 + , CD56 + e CD57 variabilmente
espresso.
Nella metà dei casi studiati è stato possibile documentare la presenza
di un'infezione da EBV, ed è stata postulata una responsabilità eziologica diretta del virus poiché mediante analisi di tipo molecolare all’interno delle cellule granulose sono stati documentati EBV-RNA e antigeni nucleari EBV correlati (Kawa-Ha et al., 1989).
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
33
6
7
LEUCEMIA LINFATICA
CRONICA T
La leucemia linfatica cronica a T linfociti (T-LLC) è una forma estremamente rara di cui si è solo recentemente ammessa l'esistenza (Hoyer
et al., 1995; Wong et al., 1996). Rappresenta l’1% delle leucemie linfatiche croniche a linfociti piccoli e maturi.
7.1
QUADRO CLINICO
Il quadro clinico è frequentemente caratterizzato da organomegalie,
talvolta anche importanti, associate a linfocitosi il cui valore mediano
si attesta su valori di 45000/ml. In alcuni pazienti è stato osservato un
interessamento cutaneo sotto forma di lesioni di tipo eritematoso.
7.2
CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE, IMMUNOFENOTIPICHE
E MOLECOLARI
Nella T-LLC vi sono nel sangue periferico linfociti apparentemente
maturi di piccola taglia, nucleo tondo od ovale con modeste irregolarità del suo contorno del tipo di una piccola incisura. La cromatina
nucleare è addensata e talvolta può essere riconoscibile un piccolo
nucleolo. Il citoplasma è scarso, leggermente basofilo e soprattutto
privo di granulazioni. La percentuale di infiltrazione linfocitaria a livello
midollare è risultata variabile dal 15 al 90%. L’immunofenotipo dei
linfociti corrisponde a quello di linfociti maturi CD3 + , CD4 + talvolta
anche CD8 + con negatività del CD16, CD56 e CD57.
Indagini molecolari hanno mostrato la costante presenza del riarrangiamento del gene TCRb. Dal punto di vista citogenetico è stata
osservata in alcuni casi un'alterazione a livello del 14q32.
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
35
LA SINDROME DI
SÉZARY
8
La sindrome di Sézary (SS) descritta per la prima volta nel 1948 da
Sézary e da Bouvrain (Sézary et al., 1948) rappresenta una condizione
clinica che si riassume nella triade: eritrodermia, adenomegalie, linfocitosi. È una malattia sistemica dovuta alla compromissione da parte di
linfociti neoplastici a immunofenotipo T dell’epidermide, dei linfonodi,
del sangue. Questa sindrome è classificata tra i linfomi a derivazione
dai T linfociti (Willemze et al., 1997; Harris et al., 1994) ed è inquadrata
come un linfoma cutaneo di stadio avanzato in considerazione dell'estesa compromissione cutanea e leucemica avente caratteristiche biologiche e cliniche comuni con la micosi fungoide (MF) essendo dovute
entrambe alla proliferazione neoplastica di linfociti a fenotipo T helper.
8.1
QUADRO CLINICO
La SS è una patologia rara che interessa soggetti prevalentemente di
sesso maschile e di età adulta. Il quadro clinico è dominato dall'eritrodermia diffusa, intensamente pruriginosa con esfoliazione cutanea
importante a cui possono aggiungersi gradi variabili di ipercheratosi
palmare e plantare, distrofia ungueale, alopecia. Frequentemente è
possibile documentare anche adenomegalie ed epatosplenomegalia
(Wieselthier et al., 1990).
8.2
CARATTERISTICHE CITOMORFOLOGICHE,
IMMUNOFENOTIPICHE E MOLECOLARI
È possibile osservare nel sangue periferico due tipi di cellule leucemiche: cellule più grandi denominate cellule di Sézary e cellule di dimensioni più piccole dette cellule di Lutzner (Catovsky et al., 1990). Le cellule mostrano scarso citoplasma e nucleo indentato spesso convoluto
con aspetto cerebriforme soprattutto nella variante cellulare di dimensioni maggiori. Questi aspetti della morfologia nucleare possono essere più facilmente documentabili alla microscopia elettronica.
L'infiltrazione midollare è di solito limitata. L’esame istologico delle
lesioni cutanee rivela la presenza di infiltrati linfocitari tipicamente epi-
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
37
dermotropi sotto forma di clusters che sono denominati microascessi
di Pautrier.
I linfociti mostrano fenotipo di tipo T helper: CD2+ ; CD3 + , CD5 + , CD4 +
CD8 – . Solo in rarissimi casi la popolazione leucemica esprime il CD8.
È possibile dimostrare la clonalità della popolazione leucemica
mediante analisi molecolare che permette di documentare il riarrangiamento dei geni del TCR.
Secondo i criteri EORTC, per la diagnosi di SS è richiesta la presenza
nel sangue periferico di una popolazione T clonale con incremento
significativo del rapporto CD4/CD8 (>10) (Willemze et al., 1983).
Non sono state identificate finora alterazioni specifiche del cariotipo da
correlare alla SS.
E
38
M
A
T
O
L
O
G
I
A
9
LINFOMI INDOLENTI
I linfomi a piccole cellule, solitamente caratterizzati da un decorso clinico indolente, rappresentano circa il 40% di tutti i linfomi nonHodgkin. Comprendono un gruppo eterogeneo di entità clinico-patologiche sempre meglio definite negli ultimi anni grazie al miglioramento
delle tecniche immunologiche, citogenetiche e molecolari.
9.1
QUADRO CLINICO
Nella maggior parte dei casi il sintomo di presentazione è la comparsa
di tumefazioni linfonodali non dolenti, prevalentemente nelle stazioni
del collo. Sintomi sistemici della malattia (febbre, dimagrimento, sudorazione profusa) sono presenti in meno del 25% dei casi; quando presenti, sono solitamente associati con stadi avanzati di malattia. Meno
frequentemente la malattia si presenta con sintomi legati a specifiche
sedi di localizzazione: nelle localizzazioni al tratto gastroenterico vi
può essere dolore addominale, nel 30% dei casi un sanguinamento
franco, più raramente ostruzione o perforazione intestinale. Citopenie
significative si manifestano solo in caso di infiltrazione midollare estesa. La leucemizzazione non è infrequente (40–70%) e può costituire il
primo segno della malattia.
9.2
PROCEDURE DIAGNOSTICHE
La biopsia linfonodale rappresenta la procedura diagnostica principale. Agobiopsie e agoaspirati delle tumefazioni linfonodali
sono da scoraggiare in quanto il campione limitato può non comprendere lesioni focali, non consente l’esame dell'architettura del
linfonodo e limita la possibilità di utilizzare procedure diagnostiche più
elaborate. Nel caso di malattie caratterizzate all’esordio da infiltrazione midollare o del sangue periferico, utili indicazioni diagnostiche possono venire dall’esame citomorfologico, immunofenotipico e molecolare su campioni ottenuti in queste sedi.
L’estensione della malattia deve essere valutata con un accurato
esame fisico, con l’uso di una diagnostica per immagini (ecografia,
TC, RMN, ecc.) e con una biopsia osteomidollare. Un'accurata stadiazione della malattia è di importanza fondamentale in quanto l’atteggiamento terapeutico e la prognosi sono differenti negli stadi localizzati
rispetto agli stadi più avanzati. Nella Tabella 10 sono elencate le pro-
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
39
cedure di stadiazione indicate nei linfomi a basso grado di malignità;
nella Tabella 11 sono indicati i criteri di stadiazione dei linfomi secondo Ann-Arbor, tuttora comunemente utilizzati (Carbone et al., 1971).
Accertamenti indicati per la stadiazione
dei linfomi indolenti
Tabella 10
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Anamnesi accurata ed esame obiettivo con particolare attenzione alla presenza o meno di sintomi B, fattori di rischio per HIV, infezioni, terapia immunosoppressiva, malattie autoimmuni
Emocromo con piastrine e formula leucocitaria
Esami ematochimici di routine, comprendenti LDH, acido urico, creatinina,
VES, b2-microglobulina, ecc.
Ecografia delle stazioni linfonodali superficiali e dell’addome, TC total body
Esame citologico, immunofenotipo, citogenetica, ricerca di specifici riarrangiamenti genici sul materiale patologico ove indicato
Agoaspirato e biopsia osteomidollare
Esofagogastroduodenoscopia nei pazienti con interessamento dell’anello del
Waldayer o sintomi addominali
Esame citologico e immunofenotipico su eventuali liquidi del terzo spazio
(pleura, peritoneo)
Procedure radiologiche specifiche se indicate (scintigrafia con gallio, Rx o
RM di segmenti scheletrici, ecc.)
Criteri di stadiazione dei linfomi non-Hodgkin
secondo Ann Arbor
Tabella 11
Stadio
I
Definizione
Interessamento di una singola stazione linfonodale o di una singola
sede extranodale (IE)
II
Interessamento di due o più stazioni linfonodali dalla stessa parte
del diaframma o di una sede extranodale (IIE) e una o più stazioni
linfonodali dalla stessa parte del diaframma
III
Interessamento di stazioni linfonodali sia sopra che
sottodiaframmatiche, che possono essere accompagnate
da localizzazioni extranodali (IIIE), da interessamento splenico (IIIS),
o da ambedue (IIIES)
IV
Interessamento diffuso o disseminato di uno o più organi
extralinfonodali, con o senza interessamento linfonodale associato
Sintomi
sistemici (B): Febbre > 38°, sudorazione notturna, perdita di peso del 10%
negli ultimi 6 mesi
E
40
M
A
T
O
L
O
G
I
A
9.3
CLASSIFICAZIONE
La recente classificazione WHO (Harris et al., 1999) (Tabella 12)
aggiorna le classificazioni precedentemente elaborate (REAL
Classification-1994; Updated Kiel Classification-1992; Working Formulation-1982) (Harris et al., 1994; Lennert et al., 1992) tenendo conto
del progressivo affinamento delle tecniche diagnostiche e della correlazione con la clinica.
Nei linfomi maligni è possibile riconoscere stretti rapporti con i vari
compartimenti e stati funzionali del sistema immunitario.
Classificazione WHO dei linfomi indolenti
Tabella 12
Leucemia linfoide cronica/Linfoma a piccoli linfociti
• Leucemia prolinfocitica B
• Linfoma linfoplasmocitoide
• Linfoma splenico della zona marginale (con o senza linfociti villosi)
• Leucemia a cellule capellute
• Mieloma/Plasmocitoma
• Linfoma della zona marginale extranodale (MALT)
• Linfoma della zona marginale nodale (con o senza cellule B monocitoidi)
• Linfoma follicolare (gradi I–III)
Linfoma follicolare cutaneo
Linfoma centrofollicolare diffuso
• Linfoma mantellare
•
9.4
LINFOMA B A PICCOLI LINFOCITI
È la variante linfonodale, non leucemica, della LLC. Dal punto di vista
clinico interessa l’età avanzata, è caratterizzata da un decorso indolente e può coinvolgere linfonodi, milza, fegato, midollo osseo.
Istologicamente è costituito da piccoli linfociti con cromatina addensata, anche se è possibile incontrare clusters di cellule di più grandi
dimensioni (prolinfociti e paraimmunoblasti). Lo studio dell’immunofenotipo (debole sIgM + , IgD ± , marker pan B + , CD5 + , CD23 + , CD43 + ,
FMC7 – ) è molto utile nei casi con morfologia atipica, e per la conferma
della diagnosi. Dal punto di vista molecolare le cellule sono caratterizzate dal riarrangiamento dei geni per le immunoglobuline.
Alterazioni citogenetiche sono incostanti e generalmente coinvolgo-
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
41
9
no i cromosomi 11, 12 e 13 con delezioni e traslocazioni.
La progressione della malattia si può verificare per l’incremento della
quota prolinfocitaria, o per la trasformazione in un linfoma ad alto
grado di malignità (sindrome di Richter).
9.5
LINFOMA LINFOPLASMOCITICO/IMMUNOCITOMA
Dal punto di vista clinico è poco frequente (1–2% dei linfomi nodali),
caratteristico dell’età avanzata, può coinvolgere il midollo osseo, i
linfonodi, la milza e talvolta il sangue periferico. Può essere associato
a produzione di una paraproteina IgM nel siero e in tal caso possono
essere presenti le manifestazioni cliniche della macroglobulinemia di
Waldenström (sindrome da iperviscosità, vedi oltre). Può essere
accompagnato da anemia emolitica autoimmune o crioglobulinemia.
Soprattutto in alcune regioni italiane è stata riportata una frequente
associazione con l’infezione da virus dell’epatite C, tanto da far ipotizzare un possibile ruolo patogenetico del virus in questa varietà di linfoma (Mazzaro et al., 1996).
Il quadro istologico è caratterizzato da un'infiltrazione di tipo diffuso,
senza pseudofollicoli, o talvolta proliferazione nell’area interfollicolare.
Gli elementi patologici sono rappresentati da linfociti linfoplasmocitoidi
(con abbondante citoplasma basofilo), ma sono presenti anche piccoli
linfociti e plasmacellule. Talvolta possono essere osservati anche rari
immunoblasti, cellule epitelioidi e mastociti.
L’immunofenotipo si caratterizza per la forte espressione citoplasmica
e di membrana delle Ig (usualmente IgM, raramente IgA o IgD), positività
dei marker pan-B, negatività del CD5, CD10 e CD23, CD43 ± . Lo studio
dell’immunofenotipo è importante per distinguerlo da altre forme di
linfoma a piccole cellule che possono talvolta presentare una maturazione in senso plasmocitico (linfoma a piccoli linfociti, linfoma follicolare).
Dal punto di vista molecolare sono presenti il riarrangiamento dei
geni per le Ig e mutazioni somatiche. Nel LLP è stata descritta la
t(9;14) (p13;q32) coinvolgente il fattore di trascrizione specifico delle
cellule B, PAX-5 e il locus delle catene pesanti delle Ig.
Nel corso della malattia si può raramente osservare una trasformazione in linfoma a grandi cellule B (solitamente immunoblastico).
9.6
LINFOMA MANTELLARE
Clinicamente il linfoma mantellare si presenta soprattutto nel paziente
anziano, prevalentemente nei maschi. Rappresenta il 5–6% di tutti i
linfomi. Nella classificazione di Kiel veniva compreso nella categoria del
linfoma centrocitico. L'identificazione del linfoma mantellare è tanto più
E
42
M
A
T
O
L
O
G
I
A
rilevante in quanto caratterizzato da una prognosi che si discosta, per
la maggiore aggressività, da quella delle altre varietà di linfomi indolenti.
La maggior parte dei pazienti si presenta infatti con una malattia disseminata (stadio III o IV): linfoadenopatie multiple, con coinvolgimento
dell’anello del Waldayer, frequente interessamento midollare e della
milza. Non sono rare localizzazioni extranodali, in particolare a livello
del tratto gastroenterico.
Dal punto di vista istologico vi è sovvertimento della normale architettura linfonodale con infiltrazione di tipo diffuso o vagamente nodulare da parte di elementi cellulari di piccola-media taglia con nucleo
indentato, cromatina moderatamente dispersa, rari nucleoli. L’indice
mitotico è variabile, abitualmente basso, talvolta elevato.
Possono essere distinte diverse varianti istologiche (Zucca E et al.,
1994):
• variante blastica: cellule simili a centroblasti con cromatina finemente
dispersa e alto indice mitotico, frequente aspetto a “cielo stellato”
• variante pleiomorfa: predominanza di cellule di taglia medio-grande
talvolta con nucleo inciso, di aspetto centroblastico
• variante a piccole cellule: predominanza di cellule di piccola-media
taglia con nucleo tondo e cromatina più addensata.
L’immunofenotipo si caratterizza per positività delle sIgM (con
espressione intensa), generalmente IgD + , CD5 + , CD10 – , CD23 – , solitamente CD43 + , CD11c – , ciclina D1 + . Nei casi con immunofenotipo atipico (CD5 – o CD23 + ), oltre alla tipica morfologia occorre ricorrere alla
dimostrazione dell’espressione della ciclina D1 (Zucca E et al., 1994).
Dal punto di vista molecolare e citogenetico nel linfoma mantellare
si osserva il riarrangiamento dei geni delle Ig e l’assenza di mutazioni
relative alla zona variabile delle Ig; nella maggior parte dei casi è presente la t(11;14)(q13;q32) coinvolgente il locus per le catene pesanti
delle Ig e il locus Bcl-1. Questa traslocazione risulta nell'aumentata
espressione del gene CCND1/PRAD1, che codifica per la ciclina D1:
una proteina che interviene nella regolazione del ciclo cellulare, non
espressa nelle cellule linfoidi normali. La possibilità di identificare quest'alterazione dipende dalla metodica impiegata: impiegando tecniche
quali PCR, Southern blot o citogenetica classica, la possibilità di identificarla va dal 35 al 70%, mentre viene rilevata nel 100% dei casi
usando la FISH. A livello proteico o dell’RNA, l’espressione della ciclina D1 viene rilevata nel 90% dei casi.
È difficile fare diagnosi di linfoma mantellare con il solo criterio morfologico: nelle forme tipiche la diagnosi differenziale va posta con il linfoma a piccoli linfociti e con il linfoma follicolare, nella variante blastica
con il linfoma linfoblastico, nella variante pleiomorfa con i linfomi diffusi
o follicolari a grandi cellule B, nella variante a piccole cellule con il
linfoma della zona marginale.
Da queste considerazioni emerge la fondamentale importanza di uti-
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
43
9
lizzare tecniche quali lo studio dell’immunofenotipo, analisi di
citogenetica e biologia molecolare per una corretta diagnosi.
9.7
LINFOMI FOLLICOLARI
Rappresenano la varietà più frequente fra i linfomi indolenti e comprendono circa il 30% di tutti i linfomi non-Hodgkin. Clinicamente si presentano soprattutto in individui anziani, ma non sono infrequenti anche
nel giovane adulto. Nella maggior parte dei casi alla diagnosi la malattia si presenta già in stadio avanzato, con interessamento linfonodale,
della milza, del midollo osseo; raramente coinvolge sedi extranodali. Il
decorso è estremamente indolente, ma, con le strategie terapeutiche
attualmente a disposizione, tuttora incurabili. La mediana di sopravvivenza è di 7–9 anni. Nel corso della malattia la trasformazione in linfoma B a grandi cellule è frequente (fino al 60% dei casi).
La diagnosi morfologica è relativamente semplice per il tipico aspetto
follicolare (nodulare). Gli elementi cellulari possono essere di piccolamedia taglia con nucleo inciso e scarso citoplasma (centrociti) o di
grandi dimensioni con nucleo rotondo, nucleoli, e citoplasma basofilo
(centroblasti). Gli elementi di piccole dimensioni sono di solito predominanti. In base alla percentuale di cellule di grandi dimensioni i linfomi
follicolari (FL) possono essere suddivisi in 3 gradi; pur essendo tale
suddivisione discutibile per la scarsa riproducibilità fra diversi osservatori (sarebbe probabilmente più opportuna una suddivisione in 2 soli
gradi), nella recente classificazione WHO è stata conservata così come
era stata introdotta nella precedente REAL classification per non introdurre elementi di confusione:
•
•
•
Grado I: 0–5 centroblasti per campo, ad alto ingrandimento
Grado II: 6–15 centroblasti per campo, ad alto ingrandimento
Grado III: > 15 centroblasti per campo, ad alto ingrandimento.
Lo studio dell’immunofenotipo mostra: positività per le Ig di superficie, positività per i marker pan-B, CD5 – , CD10 + , CD23 ± , CD43 – , positività per la proteina espressa dal Bcl-2 e dal Bcl-6. La proteina Bcl-2
può essere presente in altre varietà di linfomi indolenti, ma non nelle
forme reattive.
Dal punto di vista citogenetico e molecolare la t(8;14)(q32;q21) è
presente nel 70–95% dei casi di linfomi follicolari; in questa traslocazione il locus Bcl-2 viene a trovarsi giustapposto al gene che codifica
per le catene pesanti delle Ig. Ne consegue l'iperespressione della
proteina Bcl-2, che verosimilmente gioca un ruolo nella trasformazione
neoplastica del clone cellulare in quanto dotata di azione anti-apoptotica. Altri eventi genetici sono comunque necessari per la trasformazione neoplastica.
Oltre alla t(8;14) si osserva il riarrangiamento dei geni per le Ig, con
E
44
M
A
T
O
L
O
G
I
A
mutazione delle regioni variabili. Possono essere osservate anche
mutazioni della p53, e riarrangiamento o iperespressione del c-myc in
caso di trasformazione in varietà più aggressive.
Il linfoma follicolare primitivo della cute presenta caratteristiche cliniche e biologiche che lo distinguono dalle forme nodali. Si presenta
spesso come unica lesione a livello del dorso anche se sono possibili
lesioni cutanee multiple e in altre sedi. La prognosi è migliore con un
decorso più lento rispetto alle forme nodali, e una buona risposta a
terapie locali. L’aspetto istologico è simile ma non è presente la
t(14;18) né il riarrangiamento del Bcl-2.
9.8
LINFOMA DELLA ZONA MARGINALE
La definizione di questa varietà di linfoma è relativamente recente.
Inizialmente è stato considerato nella varietà associata alle mucose
("mucosa associated lymphoid tissue", MALT type) identificata negli
anni 80 da Isaacson (Isaacson et al., 1983). Successivamente sono
state identificate le varietà nodali (Sheibani et al., 1988) e splenica
(Schimdt et al., 1992). Queste ultime, considerate entità provvisorie
nella REAL classification, figurano come entità riconosciute nella classificazione WHO.
I linfomi tipo MALT sono relativamente frequenti (7% di tutti i linfomi),
mentre più rare sono le altre varietà.
Dal punto di vista clinico il linfoma della zona marginale extranodale
tipo MALT può originare dal tratto gastroenterico (stomaco, più raramente intestino) dalle ghiandole salivari, dalle vie respiratorie, dalla
tiroide, dagli annessi oculari, dalle ghiandole mammarie, dal fegato,
dalle vie urinarie, dal timo e dalla cute.
Vi è spesso una preesistente patologia infiammatoria cronica con componente autoimmune (gastrite da Helicobacter pilori, sindrome di
Sjögren, tiroidite di Hashimoto, borreliosi). I linfomi tipo MALT originano solitamente in sedi normalmente prive di tessuto linfoide, in cui un
infiltrato linfoide è stato indotto dalle patologie suddette. Almeno in
una fase iniziale il processo linfomatoso è sostenuto dalla patologia di
base e può regredire con la risoluzione di quest’ultima.
La malattia è tipicamente indolente e spesso localizzata. Tuttavia non
è raro un aspetto disseminato già alla diagnosi e l’infiltrazione midollare (presente nel 17% dei casi) (Thieblemont et al., 2000).
Dal punto di vista istologico, l’aspetto citologico è eterogeneo con
elementi cellulari diversi associati in proporzioni variabili: piccole cellule con nucleo irregolare tipo centrociti (più frequenti nelle forme MALT),
piccole cellule con nucleo più regolare e citoplasma chiaro (cellule B
monocitoidi), cellule simili a piccoli linfociti, piccole cellule con diffe-
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
45
9
renziazione plasmocitoide, plasmacellule, una variabile proporzione di
cellule di dimensioni medio-grandi tipo centroblasti o immunoblasti;
sono inoltre sempre presenti cellule dendritiche follicolari.
L’infiltrazione inizia nella zona marginale per poi estendersi all'area
interfollicolare o ai follicoli.
L’immunofenotipo si caratterizza per la positività per le Ig di membrana ristrette per le catene leggere. La catena pesante è IgM con o
senza coespressione delle IgD o IgG, mostra marker pan-B + , CD5 – ,
CD10 – , CD23 – , CD43 ± , Bcl-2 + , ciclina D1 – . Lo studio dell’immunofenotipo è essenziale per la diagnosi differenziale con altri tipi di linfoma
non-Hodgkin indolenti.
Dal punto di vista citogenetico e molecolare sono presenti il riarrangiamento dei geni per le Ig, nonché mutazioni somatiche. Le più frequenti alterazioni citogenetiche comprendono la trisomia 3 (60% dei
casi), la trisomia 18 e anomalie strutturali di 1q.
Il linfoma della zona marginale nodale, con o senza cellule B monocitoidi è stato inizialmente descritto in donne anziane, spesso affette da
sindrome di Sjögren, come malattia localizzata, verosimilmente originata dalle ghiandole salivari. Nella forma nodale tuttavia la malattia è più
spesso disseminata e la prognosi è meno buona che nelle forme MALT
o splenica.
Il linfoma splenico a linfociti villosi è stato precedentemente descritto.
E
46
M
A
T
O
L
O
G
I
A
MIELOMA MULTIPLO
10
Il mieloma multiplo è una patologia relativamente frequente: rappresenta l’1–2% di tutte le malattie tumorali e circa il 15% delle emopatie
maligne. L’incidenza in Italia è di 5.7 casi ogni 100000 abitanti nei
maschi e 5.0 nelle femmine. È una malattia dell’anziano, con una età
mediana alla diagnosi riportata fra i 65–70 anni. Origina dalla trasformazione neoplastica di una cellula B attraverso una serie di eventi solo
in parte noti, fra cui l’attivazione di oncogeni o l’inattivazione di geni
oncosoppressori.
10.1 QUADRO CLINICO
La presentazione della malattia all’esordio è estremamente variabile: in
circa il 30% dei casi la diagnosi è casuale, mentre negli altri casi la
malattia viene rivelata dalla presenza di dolori ossei con fratture patologiche, dalla comparsa di anemia, meno frequentemente da una insufficienza renale acuta, infezioni, ipercalcemia (Tabella 13).
La sintomatologia clinica del mieloma origina sostanzialmente dai
seguenti elementi che possono assumere un ruolo estremamente
variabile nei diversi pazienti: sintomi legati all’infiltrazione midollare,
alla componente monoclonale, al riassorbimento osseo.
L’infiltrazione midollare da parte delle cellule mielomatose può comportare: anemia, leucopenia, piastrinopenia.
La componente monoclonale può essere responsabile di emodiluizione
e di aumento della viscosità ematica e della sintomatologia che ne
consegue: cefalea, vertigini, sindrome emorragica, microemorragie
retiniche, sonnolenza, obnubilamento.
Il riassorbimento osseo, dovuto all'infiltrazione da parte del tessuto
Sintomi di esordio nel mieloma multiplo
Tabella 13
•
•
•
•
Riscontro casuale in paziente asintomatico
Dolori ossei, fratture patologiche
Anemia
Insufficienza renale acuta
Infezioni
Sindrome ipercalcemica
Altro
}
30 %
35 %
20 %
15 %
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
47
tumorale e alla produzione di fattori umorali capaci di stimolare l’attività osteoclastica (IL-1b, linfotossina, TNFa), è responsabile delle
caratteristiche lesioni osteolitiche visibili con la radiologia convenzionale. Possono essere isolate, multiple, talora disseminate a tutte le sedi
ossee contenenti midollo rosso. L’impiego della RMN rende inoltre
visibili lesioni più fini, con aspetti tipo sale e pepe, e rimaneggiamento
diffuso della matrice ossea. La demineralizzazione ossea diffusa e le
lesioni osteolitiche possono essere complicate da fratture patologiche
con conseguente dolore osseo, deformità, limitazioni funzionali talora
notevolissime. Conseguenza del riassorbimento osseo è anche l’ipercalcemia: se lieve (<12 mg/dl), è generalmente asintomatica; se moderata (12–15 mg/dl), comporta astenia, adinamia, nausea; se grave (>15
mg/dl), l’ipercalciuria provoca insufficienza renale acuta e disidratazione potenzialmente fatali se non trattate prontamente.
Altri sintomi possono essere conseguenza di complicanze diverse: sintomi neurologici possono derivare da compressioni sul midollo spinale
o altre strutture nervose a seguito di crolli vertebrali; una neuropatia
può presentarsi in caso di amiloidosi secondaria a mieloma: la sindrome del tunnel carpale è generalmente legata ad amiloidosi del retinacolo fibroso dei flessori del polso con compressione del nervo mediamo. È descritta anche una polineuropatia sensitivo-motoria progressiva nel 3–5% dei pazienti con mieloma.
Nella Tabella 14 sono riportate le indagini necessarie per un corretto
inquadramento diagnostico del mieloma. I criteri diagnostici proposti
dal South Western Oncology Group nel 1975 sono tuttora utilizzati
(Tabella 15).
10.2 CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE
E IMMUNOFENOTIPICHE
Gli elementi cellulari possono variare da forme anaplastiche altamente
immature a elementi di aspetto identico alle plasmacellule mature. Il
grado di differenziazione cellulare sembra essere correlato con la prognosi.
Dal punto di vista immunofenotipico sia le plasmacellule normali che
quelle mielomatose sono caratterizzate dalla intensa espressione dell’antigene CD38 (il più tipico antigene plasmacellulare). Oltre al CD38
le cellule mielomatose esprimono in modo variabile altri antigeni legati
alla differenziazione B cellulare (Ig di superficie e intracitoplasmatiche,
CD10, CD19, CD20, CD23), possono esprimere in modo variabile alcuni antigeni mieloidi o cellulari T (CD33, CD14, CD2, CD4), molecole di
superficie legate ai meccanismi di adesione delle cellule fra loro e alle
strutture stromali (integrine e selectine, fra cui CD56, CD54, CD49e,
E
48
M
A
T
O
L
O
G
I
A
Procedure diagnostiche nel mieloma multiplo
Tabella 14
•
Anamnesi ed esame obiettivo
•
Studio proteico
Elettroforesi sierica
Immunofissazione
Dosaggio Ig
Elettroforesi e immunofissazione
urine
Emocromo
Chimica clinica
Albumina
Creatinina
Calcemia
b2 microglobulina
LDH
Proteina C reattiva
Agoaspirato e biopsia
osteomidollare
Diagnostica per immagini
Rx dello scheletro
RMN
•
•
•
•
Ricerca precedente MGUS,
valutazione del “performance
status”
Valutazione qualitativa e
quantitativa della componente
monoclonale
Ricerca citopenie periferiche
Valutazione della funzionalità
renale, della calcemia,
dell’attività della malattia
Valutazione della plasmocitosi
midollare
Ricerca lesioni osteolitiche
Criteri diagnostici nel mieloma multiplo
Tabella 15
Criteri maggiori
Diagnosi istologica di plasmocitoma
Plasmocitosi midollare > 30%
Componente monoclonale
IgG > 3.5 g/dl
IgA > 2.0 g/dl
CM urinaria k o l > 1.0 g/24 ore
Criteri minori
Plasmocitosi midollare 10–30 %
Componente monoclonale (livelli inferiori)
Lesioni osteolitiche
Riduzione delle Ig normali
IgM < 50 mg/dl
IgA < 100 mg/dl
IgG < 600 mg/dl
La diagnosi richiede la combinazione di un criterio maggiore e uno
minore (nel caso che l’unico criterio maggiore sia la diagnosi istologica il criterio minore deve essere diverso dal primo), o la combinazione di tre criteri minori che debbono includere sia la plasmocitosi
midollare sia la presenza della componente monoclonale.
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
49
10
CD49d), e antigeni coinvolti nei segnali fra cellula e cellula (HLA-DR,
CD28, CD40, CD80, CD100, B7, ecc). Nella Tabella 16 sono elencati i
più tipici antigeni espressi sulle plasmacellule normali e mielomatose.
A scopo diagnostico, al fine di differenziare le plasmacellule maligne
da quelle normali è utile valutare alcune specifiche associazioni antigeniche: l’analisi contemporanea del CD19 e del CD56 sembra in grado
di differenziare le plasmacellule normali (CD19 + , CD56 – ) da quelle
patologiche (CD19 – , CD56 + ) (Harada et al., 1993).
Antigeni espressi sulle plasmacellule normali
e sulle cellule di mieloma
Tabella 16
Antigene
Plasmacellule normali
Mieloma
–
+
–
+
–
±
+
+
–
+
+
+
–
+
+
±
+
±
–
±
±
+
+
+
+
±
+
±
+
+
sIg
cIg
CD10
CD19
CD20
CD23
CD38
B-B4
CD56
CD54
CD49e (VLA5)
CD49d (VLA4)
HLA-DR
CD44
Han PC1
10.3 ANOMALIE PROTEICHE
Una componente monoclonale (proteina M) e/o la presenza di catene
leggere libere (proteina di Bence-Jones) è presente virtualmente nella
totalità dei casi di mieloma. Raramente la componente M è costituita
da frammenti di Ig o da mezze molecole. La distribuzione delle varie
classi di Ig nelle varie forme di mieloma riflette più o meno la concentrazione delle Ig normali nel siero (Tabella 17). Nell’11–25% dei casi
non è possibile evidenziare un picco all’elettroforesi proteica: nelle
forme a catene leggere un piccolo picco è raramente identificabile,
mentre è frequente una ipogammaglobulinemia. Nelle forme IgG, IgA e
micromolecolari (Bence-Jones) le catene leggere k e l sono omoge-
E
50
M
A
T
O
L
O
G
I
A
Tabella 17
Distribuzione delle varie classi di Ig in 632 pazienti
con mieloma e confronto con la concentrazione
delle Ig normali nel siero
IgG
IgA
IgD
IgE
Catene leggere
Mieloma
Ig normali nel siero
61 %
19 %
2%
–
17 %
52 %
37 %
0.6 %
0.03 %
–
neamente distribuite, mentre nel più raro mieloma IgD sono prevalenti
le forme a catena leggera l. Nelle forme micromolecolari l’escrezione
urinaria delle catene leggere è influenzata da una serie di fattori legati
anche alla funzionalità renale e può variare da pochi milligrammi fino a
30–40 grammi nelle 24 ore.
Nell’1% circa dei pazienti con mieloma non è possibile identificare una
componente M serica né urinaria. Generalmente in questi casi studi di
immunofluorescenza consentono di dimostrare la capacità di produrre
Ig o parti di esse da parte delle cellule, ma l’incapacità di secernerle
(mieloma non secernente) (Ameis et al., 1976).
10.4 CARATTERISTICHE CITOGENETICHE
Un cariotipo anormale si osserva nel 30–50% dei casi (Luc Lai et al.
1995). Tuttavia l’analisi della aneuploidia effettuata con tecniche citofluorimetriche e la ricerca di anomalie citogenetiche effettuata mediante FISH rivelano la presenza di anomalie citogenetiche nell’80–90% dei
pazienti (Tabernero et al., 1996). Feinman et al., hanno riportato la
presenza di anomalie cromosomiche nel 27% dei casi, un cariotipo
normale nel 31%, mentre il 42% non era valutabile (Feinman et al.
1997). Tra le anomalie cromosomiche numeriche o strutturali riportate,
particolare interesse rivestono quelle che coinvolgono il cromosoma 13
(presenti nel 43% dei pazienti con anomalie citogenetiche). La completa o parziale delezione del 13 è infatti più comunemente osservata in
pazienti con malattia in stadio avanzato ed è associata a prognosi sfavorevole (Facon et al. 1999).
10.5 DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Una componente monoclonale può essere presente in altre condizioni
patologiche come la gammopatia monoclonale di significato incerto
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
51
10
(MGUS), la macroglobulinemia di Waldenström e la malattia delle catene pesanti.
Plasmocitosi reattive si possono osservare in patologie infettive o flogistiche croniche, situazioni allergiche, epatopatie croniche, patologie
autoimmuni.
Lesioni osteolitiche possono essere osservate in tumori ossei primitivi,
linfomi, metastasi ossee di neoplasie solide (mammella, prostata, polmone, ecc.).
10.6 STADIAZIONE
Tuttora utilizzata è la stadiazione di Durie e Salmon (Durie et al., 1975)
che si propone di calcolare la massa tumorale in base a semplici parametri clinici (Tabella 18) identificando 3 stadi di diverso significato
prognostico.
Stadiazione secondo Durie e Salmon
Tabella 18
Stadio
Criteri
I
tutti i seguenti:
• Emoglobina > 10.5 mg/dl
• Calcemia < 12 mg/dl
• Assenza di lesioni osteolitiche
o unica lesione
• CM ridotta:
IgG < 5.0 g/dl
IgA < 3.0 g/dl
Bence–Jones < 4g/24 ore
II
casi che non rientrano in I e III
III
•
•
•
•
E
52
M
A
T
almeno 1 dei seguenti:
Emoglobina < 8.5 mg/dl
Calcemia > 12mg/dl
Presenza di 3 o più lesioni litiche
CM elevata:
IgG > 7.0 g/dl
IgA > 5.0 g/dl
Bence–Jones > 12g/24 ore
A
Creatinina < 2 mg/dl
B
Creatinina > 2 mg/dl
O
L
O
G
I
A
Massa cellulare
stimata (x 1012/m2)
< 0.6
0.6–1.2
> 1.2
10
10.7 FORME SOLITARIE
(PLASMOCITOMA LOCALIZZATO)
Forme localizzate di plasmocitoma si possono presentare a livello
osseo (plasmocitoma solitario dell’osso) o a livello dei tessuti molli
(plasmocitoma extramidollare). Per definizione non è presente in queste forme plasmocitosi midollare; una modesta componente monoclonale prodotta dalle cellule tumorali può invece essere presente. In uno
studio su 54 pazienti con plasmocitoma localizzato, la CM era presente nel 47% delle forme ossee e soltanto nel 9% di quelle extraossee
(Galieni et al., 1995).
Nelle forme ossee la lesione è più spesso localizzata a livello del rachide, delle coste o del bacino, anche se è possibile a qualunque livello
scheletrico. L’età di insorgenza è più giovanile rispetto al mieloma e vi
è un più frequente interessamento del sesso maschile. La sintomatologia di esordio è solitamente legata al dolore osseo o a sintomi compressivi. La diagnosi è necessariamente istologica, su biopsia della
lesione. È importante escludere con certezza altre lesioni osteolitiche a
distanza mediante RMN. La prognosi è migliore rispetto alle forme
sistemiche, anche se nel corso della malattia una evoluzione in mieloma multiplo si verifica nel 60–70% dei casi.
Le forme extraossee, anch’esse più frequenti nei maschi e in età più
giovanile rispetto al mieloma, si presentano soprattutto a livello delle
vie aeree superiori (seni paranasali o mascellari, rinofaringe, laringe),
ma si possono osservare anche a livello linfonodale, tonsillare, gastrico
e cutaneo.
La sintomatologia è legata all’effetto di massa e a compressione sulle
strutture circostanti. La prognosi è migliore rispetto alle forme ossee e
l’evoluzione in mieloma multiplo più rara (10–15%).
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
53
MACROGLOBULINEMIA
DI WALDENSTRÖM
La macroglobulinemia di Waldenström (MW) deriva dalla proliferazione
clonale di un elemento cellulare B con maturazione in senso plasmacellulare capace di sintetizzare IgM, le cui attività biologiche sono
responsabili della maggior parte dei caratteristici sintomi clinici. La
macroglobulinemia di Waldenström corrisponde a livello linfonodale al
linfoma linfoplasmocitico/immunocitoma della REAL classification e al
linfoma linfoplasmocitico della classificazione WHO (vedi sopra).
L’incidenza della malattia è circa un sesto di quella del mieloma.
L’incidenza aumenta progressivamente con l’età (Groves et al., 1998).
Sono stati descritti numerosi casi di aggregazione familiare della
malattia, o associazione con altre malattie linfoproliferative (Linet et al.,
1993) tanto da far ipotizzare una qualche forma di predisposizione
genetica. Tuttavia legami con specifiche alterazioni genetiche non
sono a tutt’oggi noti.
11.1 QUADRO CLINICO
I principali sintomi e segni alla diagnosi sono indicati nella Tabella 19
(Mc Callister et al., 1967). Le manifestazioni cliniche della macroglobulinemia di Waldenström sono dovute a due componenti: l’infiltrazione
dei tessuti da parte delle cellule tumorali e gli effetti della paraproteina
IgM (Tabella 20).
L’infiltrazione midollare da parte delle cellule neoplastiche è responsabile dell'anemia e della possibile pancitopenia. A livello di altri organi
produce effetti assimilabili a quelli di altre forme di linfoma indolente.
Le lesioni osteolitiche caratteristiche del mieloma sono eccezionali
nella MW.
Le manifestazioni cliniche più tipiche della MW sono quelle derivanti dalle proprietà fisico-chimiche e immunologiche delle IgM
monoclonali che inducono:
• una sindrome da iperviscosità (astenia, cefalea, disturbi visivi, sanguinamento, disturbi mentali fino al coma, alterazioni dei vasi retinici)
• una sindrome emorragica legata all’interferenza con fattori coagulativi (V, VII, VIII) (Farhangi et al., 1986) e all’interferenza con le funzioni
piastriniche
• una sindrome di tipo autoimmune tra cui la più frequente è la neu-
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
55
11
Frequenza di sintomi e segni presenti alla diagnosi
in pazienti affetti da macroglobulinemia
di Waldenström
Tabella 19
•
Sintomi
%
Segni
%
Astenia
Emorragie
Dimagrimento
Sintomi neurologici
Disturbi visivi
Fenomeno di Raynaud
44
44
23
11
8
3
Epatomegalia
Splenomegalia
Anomalie del fundus oculi
Adenopatie
Anomalie neurologiche
Porpora
38
37
37
30
17
15
ropatia periferica (presente nel 17% circa dei casi) dovuta in circa la
metà dei casi a una attività anticorpale diretta contro una glicoproteina associata alla mielina (MAG) (Ropper et al., 1998)
crioglobulinemia di tipo I: si riscontra nel 7–29% dei pazienti, ma è
sintomatica solo nel 50% di essi. La precipitazione nei piccoli vasi
soprattutto in seguito all’esposizione al freddo produce il fenomeno
Manifestazioni cliniche
della macroglobulinemia di Waldenström
Tabella 20
Infiltrazione di organi e tessuti da parte delle cellule tumorali
Midollo osseo
Fegato
• Milza
• Linfonodi
• Polmoni
• Tratto gastroenterico
• Reni
• Cute
• CNS
• Fundus oculi
•
•
Effetti legati alle caratteristiche fisico-chimiche e immunologiche
della componente monoclonale IgM
Sindrome da iperviscosità
Crioglobulinemia tipo I
• Sindrome emorragica
• Polineuropatia
• Anemia da crioagglutinine
• Amiloidosi AL
• Deposizione tissutale di IgM
•
•
E
56
M
A
T
O
L
O
G
I
A
•
•
•
di Raynaud, acrocianosi, porpora, ulcere malleolari, fino a lesioni
necrotiche delle estremità
crioglobulinemia di tipo II dovuta all'attività anticorpale anti-Ig (fattore reumatoide) della componente monoclonale. È spesso associata
a infezione da HCV; la precipitazione degli immunocomplessi a bassa
temperatura produce effetti che vanno dalla semplice porpora benigna alle vasculiti sistemiche gravi complicate da artralgie, fenomeno
di Raynaud, glomerulonefrite membrano-proliferativa e insufficienza
renale (Brouet JC et al., 1974)
crioagglutininemia: si verifica quando la componente monoclonale
ha attività diretta contro antigeni eritrocitari (frequentemente I/i)
(Pruzanski et al., 1977) producendo una anemia emolitica cronica
prevalentemente extravascolare che può esacerbarsi con l’esposizione alle basse temperature
deposizione in organi e tessuti: la deposizione di aggregati amorfi
a livello della membrana basale cutanea produce una patologia bollosa, a livello della lamina propria o sottomucosa della cute produce
lesioni cutanee papulo-nodulari. A livello dell’intestino può provocare
diarrea, malassorbimento, emorragie. L’amiloidosi è rara nella MW,
ma se presente può manifestarsi con miocardiopatia, epatomegalia,
sindrome nefrosica, neuropatia periferica, ecc.
Nella Tabella 21 sono sintetizzate le procedure diagnostiche utili per
l’inquadramento diagnostico della MW.
11.2 CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE
E IMMUNOFENOTIPICHE
L’infiltrazione midollare comprende piccoli linfociti, cellule linfoplasmacitoidi e una proporzione variabile di plasmacellule mature. Il clone cellulare B implicato nella MW presenta la possibilità di maturazione intraclonale fino allo stadio di plasmacellula. Tutti questi elementi cellulari
esprimono le stesse IgM di superficie o intracitoplasmatiche; una porzione variabile esprime anche sIgD. La maggior parte di esse esprime
CD19 e CD20; una intensa espressione del CD38 è presente sugli elementi a morfologia plasmacellulare e sugli elementi intermedi. Il CD23
e il CD43 sono solitamente assenti. Il CD5 è espresso in circa la metà
dei casi (Jensen et al., 1991).
11.3 CARATTERISTICHE CITOGENETICHE
E MOLECOLARI
A causa della rarità della malattia i dati disponibili sono limitati. La fre-
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
57
11
Procedure diagnostiche utili nella
macroglobulinemia di Waldenström
Tabella 21
Emocromo
Esame microscopico
del sangue periferico
• Elettroforesi serica e urinaria
• Immunofissazione serica
• Viscosimetria
• Fondo dell’occhio
• Ricerca e tipizzazione
crioglobuline
• Fattore reumatoide
• PT, PTT
• Agoaspirato e biopsia
osteomidollare
• Immunofenotipo su midollo
o sangue
• TC total body
• Biopsia linfonodale
• RMN del rachide /
segmenti scheletrici
• PCR (primer specifici per
la regione variabile)
•
•
Anemia, piastrinopenia
Rouleaux, elementi patologici circolanti
Ricerca CM
TipizzazioneCM
Ricerca iperviscosità
Alterazioni microcircolatorie
Ricerca crioglobuline tipo I e II
Frequente nella crioglobulinemia tipo II
Ricerca anomalie coagulative
Ricerca infiltrazione midollare
Ricerca/tipizzazione cellule neoplastiche
Ricerca organomegalie, linfomegalie
Diagnosi istologica
Ricerca lesioni osteolitiche
Monitorizzazione della malattia
quenza di anomalie citogenetiche varia fra il 15 e il 90% dei casi. Sono
state riportate anomalie cromosomiche diverse, ma nessuna specifica
(Palka et al. 1987). In singoli casi è stata osservata la
t(14;18)(q32;q21) coinvolgente il gene Bcl-2 e la t(8;14)(q24.1;q32)
coinvolgente il gene c-myc. La t(9;14)(p13;q32) si riscontra nel 50%
dei casi di linfoma linfoplasmocitico, soprattutto nei casi associati a
MW; ne può conseguire la deregolazione del gene PAX-5, che svolge
un ruolo importante nel controllo della proliferazione e differenziazione
cellulare B (Iida et al., 1986).
11.4 DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Una paraproteinemia IgM può essere riscontrata in altre situazioni
patologiche quali MGUS IgM, linfomi e altre malattie linfoproliferative,
LLC, amiloidosi primaria, crioagglutininemia, mieloma IgM.
I confini fra MGUS IgM e macroglobulinemia di Waldenström non sono
definiti in modo univoco: sono stati proposti livelli variabili tra i diversi
autori sulla concentrazione della componente monoclonale e sull'infiltrazione linfoplasmocitoide midollare come soglia tra una forma e l’altra.
E
58
M
A
T
O
L
O
G
I
A
Di fatto la distinzione fra MGUS e macroglobulinemia di Waldenström è
affidata alla presenza o meno di sintomi clinici e alla evolutività del
quadro laboratoristico e clinico nel tempo.
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
59
11
BIBLIOGRAFIA
12
Cap. 1 - L’approccio diagnostico
Catovsky D et al., The Lymphoid Leukaemias, Butterworths, London, 1990
Catovsky D, Rev Clin Exp Hematol, 1: 3, 1997
Dohner H et al., Leukemia 7: 516, 1993
Jennings D et al., Blood 90: 2863, 1997
Harris NL et al., Blood 84: 1361, 1994
Knuutila S, Br J Haematol 96: 2, 1997
Kobayashi H et al., Blood 84: 3473, 1994
Langerak AW et al., Rev Clin Exp Hematol 3: 3, 1997
Matutes E et al., Rev Clin Exp Hematol 4: 22, 2000
Popescu NC et al., Cancer Genet Cytogenet 97: 73, 1997
Weber–Matthiesen K et al., Cytogenet Cell Genet 63: 123, 1993
Cap. 2 - Leucemia linfatica cronica
Bennett JM et al., J Clin Path 42: 567, 1989
Binet JL et al., Cancer 48: 198, 1981
Catovsky D et al., The Lymphoid Leukaemias, London, Butterworths, 1990
Catovsky D et al., Blood 58: 406, 1991
Cheson B et al., Blood 87: 4990, 1996
Criel A et al., Br J Haematol 97: 383, 1997
Cordone I et al., Blood 91: 4342, 1998
Damle RN et al., Blood 92: 431a, 1998
Dohner H et al., Blood 89: 2516, 1995
Giles FJ et al., Sem Oncol 25: 117, 1998
Hamblin TJ et al., Blood 92: 515a, 1998
Hanada M et al., Blood 82: 1820, 1993
Juliusson G et al., N Engl J Med 323: 720, 1990
Matutes E et al., Leukemia 8: 1640, 1994
Matutes E et al., Blood 535a (abstr. 2394), 1997
Mauro FR et al., Blood 94: 448, 1999
Melo JV et al., (I) Br J Haematol 63: 377, 1986
Oscier DG et al., Br J Haematol 98: 934, 1997
Rai KR et al., Blood 46: 219, 1975
Rozman C et al., Blood 64: 642, 1984
Vrhovac R et al., Blood 91: 4694, 1998
Zomas AP et al., Leukemia 10: 1966, 1996
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
61
Cap. 3 - Leucemia prolinfocitica cronica
Catovsky D et al., Lancet 2: 232, 1973
Melo JV et al., (I) Br J Haematol, 63: 377, 1986
Melo JV et al., (II) Br J Haematol, 64: 77, 1986
Melo JV et al., (III) Br J Haematol, 64: 469, 1986
Melo JV et al., (IV) Br J Haematol, 65: 23, 1987
Pittman S et al., Cancer Genet Cytogenet 9: 355, 1983
Tsai LM et al., Cancer 54: 463, 1984
Cap. 4 - Leucemia a cellule capellute
Catovsky D et al., “The Lymphoid Leukaemias”, Butterworths, London, 1990
Cawley JC et al., Leuk Res 4: 547, 1980
Cuneo A et al., Leuk Lymphoma 15: 167, 1994
de Totero D et al., Blood 82: 528, 1993
Dunphy CH et al., Am J Hematol 53: 121, 1996
Hagland U et al., Blood 83: 2637, 1994
Lehn P et al., Blood 68: 967, 1986
Matutes E et al., Blood 83, 1558, 1994a
Matutes E et al., Leuk Lymphoma 14 (suppl1): 57, 1994b
Robbins BA et al., Blood 82: 1277, 1993
Sainati L et al., Blood 76: 157, 1990
Zinzani PL et al., Haematologica 75, 54, 1990
Cap. 5 - Linfoma splenico a linfociti villosi
Catovsky D et al., Semin Hematol 36: 148, 1999
Melo JV et al., Leukemia 1: 294, 1987
Mulligan SP et al., Br J Haematol 78: 206, 1991
Cap. 6 - Leucemia a linfociti granulari
Dhodapkar MV et al., Blood 84: 1620, 1994
Fernandez LA et al., Blood 67: 925, 1986
Harris NL et al., Blood 84: 1361, 1994
Kawa–Ha K et al., J Clin Invest 84: 51, 1989
Lamy T et al., Cancer Control 5: 25, 1998
Loughran TP et al., Blood 82: 1, 1993
Moretta L et al., Adv Immunol 55: 341, 1994
Semenzato G et al., Blood 89: 256, 1997
Tefferi A et al., Blood 84: 2721, 1994.
Zambello R et al., Leukemia 9: 1207, 1995
Cap. 7 - Leucemia linfatica cronica T
Hoyer JD et al., Blood 86: 1163, 1995
Wong KF et al., Br J Haematol 93: 157, 1996
E
62
M
A
T
O
L
O
G
I
A
Cap. 8 - Sindrome di Sézary
Catovsky D et al., The Lymphoid Leukaemias, Butterworths, London, 1990
Harris NL et al., Blood, 84: 1361, 1994
Sezary A et al., Bull Soc Fr Dermatol Syph, 45: 254, 1948
Wieselthier JS et al., J Am Acad Dermatol 22: 381, 1990
Willemze R et al., Blood 90: 354, 1997
Willemze R et al., J Invest Dermatol 81: 392, 1983
Cap. 9 - Linfomi indolenti
Carbone PP et al., Cancer Res 31: 1860, 1971
Harris NL et al., J Clin Oncol 17: 3835, 1999
Harris NL et al., Blood 84: 1361, 1994
Iacsson P et al., Cancer 52: 1410, 1983
Lennert K et al., Histopathology of NHL. New York: Springer–Verlag, 1992
Mazzaro C et al., Cancer 77: 2604, 1996
Sheibani K et al., Cancer 62: 1531, 1988
Schmid C et al., Am J Surg Pathol 16: 455, 1992
Thieblemont C et al., Blood 95: 802, 2000
Zucca E et al., Ann Oncol 5: 507, 1994
Cap. 10 - Mieloma multiplo
Ameis A et al., Can Med Assoc J 114: 889, 1976
Durie BGM et al., Cancer 36: 842, 1975
Feinman et al., Hematol Oncol Cl N Am 11: 1, 1997
Facon T et al., VII Int. Multiple Myeloma Workshop Abst. 17, 1999
Harada H et al., Blood, 81: 2658, 1993
Galieni P et al., Ann Oncol 6: 687, 1995
Luc Lai J et al., Blood 85: 2490, 1995
Tabernero D et al., Am J Pathol 149: 153, 1996
Teoh G et al., Hematol Oncol Cl N Am 11: 27, 1997
Cap. 11 - Macroglobulinemia di Waldenström
Brouet JC Am J Med 57: 775, 1974
Farhangi M et al., Semin Oncol 13: 366, 1986
Groves FD et al., Cancer 82: 1078, 1998
Iida S et al., Blood 88: 4110, 1996
Jensen JS et al., Am J Hematol 37: 20, 1991
Linet MS et al., Leukemia 7: 1363, 1993
McCallister BD et al., Am J Med 43: 394, 1967
Palka G et al., Cancer Genet Cytogenet 29: 261, 1987
Pruzanski W et al., N Engl J Med 297: 538, 1977
Ropper AH et al., N Engl J Med 338: 1601, 1998
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CRONICHE
63
12
Si ringrazia Schering-Plough S. p. A.
Divisione di Biologia Molecolare
per il sostegno offerto
per la realizzazione del volume
Depositato Min. San. 24/10/2000
MATERIALE PROMOZIONALE
VIETATA LA VENDITA
Finito di stampare nel mese di dicembre 2000
Servizio Stampa
EFFE di Ugo Fraccaroli - Verona