genesi dell`anfiteatro d`ivrea

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GENESI DELL’ANFITEATRO D’IVREA
Tra 900.000 e 18.000 anni fa, le condizioni climatiche instauratesi sulle nostre regioni furono tali da
favorire lo sviluppo ciclico dei ghiacciai. A più riprese le Alpi furono quasi completamente seppellite da
una coltre glaciale che nelle valli principali poteva superare i 1000 m di spessore e dalla quale
emergevano solo i rilievi più elevati (così come avviene ancor oggi ad esempio in Alaska).
I principali ghiacciai del versante meridionale delle Alpi, tra i quali il ghiacciaio balteo,
sopravanzarono lo sbocco dalle loro valli spingendosi anche per decine di chilometri nella pianura
padano-veneta a formare ampi lobi circondati da un complesso sistema di morene terminali.
Il ghiacciaio balteo, un
ghiacciaio vallivo composto
pedemontano(1), edificò con le
m odalità precedentemente
illustrate e durante successive
pulsazioni le morene laterali e le
cerchie concentriche terminali
che costituiscono l'attuale
Anfiteatro morenico di Ivrea che
si colloca
al terzo posto in
ordine di dimensione e forse al
primo per spettacolarità, fra gli
anfiteatri morenici del versante
meridionale delle Alpi.
(1) ghiacciaio vallivo composto pedemontano: quando la convergenza di due o più ghiacciai vallivi forma un unico corpo
glaciale che fuoriesce dalla valle per allargarsi nelle vicine
aree pianeggianti (da Selby - 1985).
A
Secondo studi recenti, i depositi
glaciali più antichi rintracciabili
nell'anfiteatro risalgono a circa un milione
di anni fa, i più recenti a 10.000 anni fa.
Tra 1.000.000 e 730.000 anni fa, il
ghiacciaio si spinse con pulsazioni
successive sempre più dentro la pianura
padana formando i rilievi biellesi di
Torrazzo, Sala Biellese e Zubiena
costituenti parte del fianco sinistro
dell'anfiteatro e, con ogni probabilità, altri
ancora sul fianco destro (attualmente
osservabili in lembi a Rueglio) e lungo il
fronte glaciale, abbandonandoli con il
successivo ritiro.
B
Tra 730.000 e 130.000 anni fa
un'altra avanzata glaciale, superò quella
precedente distruggendo gran parte delle
morene ad essa correlate e edificando lo
straordinario rilievo della Serra (Andrate,
Torrazzo, Magnano), le colline di Cavaglià,
Moncrivello, Mazzè, Cuceglio, Torre
Canavese e Colleretto Giacosa la gran
parte cioé, dell' anfiteatro morenico
attualmente esistente.
Infine, tra 130.000 e 10.000 anni fa
una successiva avanzata glaciale edificó e
abbandonò i rilievi di Burolo, Albiano, Tina
e San Martino Canavese.
Fig.11 - Ricostruzione della fronte del ghiacciaio balteo durante la
massima espansione (circa 150.000 anni fa) A e la morfologia
attuale dell’Anfiteatro morenico di Ivrea
B. Sulla destra si riconosce
la Serra, in primo piano i Laghi di Candia e Viverone (Disegno G.
Susella da AA VV, 1991: La montagna di ghiaccio. Walser Kulturzentrum Gressoney e Issime, Valle d’Aosta, Comitato Glaciologico
Italiano -Torino)
I MEANDRI ABBANDONATI DELLA DORA BALTEA
Fig.14 - Vista dalla Serra di Ivrea su meandri abbandonati.
m
n d r o
m e a
a b b a n d o n a t o
PUNTO DI
OSSERVAZIONE
Giunti al punto di osservazione si può scorgere, sulla superficie della pianura interna
dell’Anfiteatro, da una finestra di visuale lasciata libera dalla fitta vegetazione che ricopre la Serra, il
disegno di un semicerchio messo in evidenza dalla
disposizione degli appezzamenti variamente coltivati.
Se ci si sposta di poco sulla strada e si spinge
lo sguardo oltre il gruppo di case in primo piano (le
stesse visibili nella foto di Fig. 14), o verso destra, in
direzione di Ivrea, si possono scorgere altri meandri
abbandonati (m), sebbene meno evidenti e interrotti
da alberi, case e strade, a disegnare ghirigori di vegetazione, come se i contadini della zona si fossero
divertiti a far gimcane con i loro trattori.
Questi semicerchi sono quanto oggi rimane
visibile degli antichi meandri della Dora Baltea progressivamente colmati e quindi abbandonati dalla
Dora stessa in tempi successivi al ritiro del ghiacciaio.
FERMATA A
F. Dora Balte
a
Fig. 15—Carta schematica delle modificazioni dell’alveo della Dora Baltea ricavata dal confronto della Carta Tecnica Provinciale (1997), del Foglio
IGM (1960) e della Carta degli Stati Sardi (1820). Le tracce dei meandri sono state ricavate dalla fotointerpretazione delle foto aeree del volo GAI del
1954, strisciata 8 fotogrammi 7192 e 7193 e strisciata 7 fotogrammi 3271 e 3272.
Tutti i corsi d’acqua, nel tempo, tendono a mutare il loro percorso migrando lateralmente e modificando
la forma dell’alveo. Tali cambiamenti sono relativamente veloci, nel senso che possono essere apprezzati alla scala della vita umana e subire improvvise accelerazioni in occasione di eventi di piena. Se, ad
esempio, con l’aiuto di punti di riferimento fissi sul territorio, si confronta il corso di un fiume attuale con
quello riportato dalle carte storiche, le differenze di percorso sono spesso così evidenti da lasciare sorpreso chi non ne sia in qualche modo avvertito.
FERMATA A
SERRA
BOLLENGO
DORA B.
Fig. 16 - Immagine aerea del settore nord-orientale dell’Anfiteatro morenico con la sua pianura interna compresa tra Serra di Ivrea e Dora Baltea.
Le frecce rosse coincidono con gli assi dei principali meandri abbandonati, le tracce dei quali sono evidenti anche ad occhio nudo (da volo GAI del
1954, strisciata 7, fotogramma 3272).
Attraverso la fotointerpretazione di fotografie aeree le tracce delle antiche migrazioni del fiume
sono visibili nei meandri abbandonati. Queste forme sono riconoscibili anche sul terreno e consentono
di raccogliere informazioni preziose sulla dinamica fluviale e sul comportamento idraulico dell’alveo.
FERMATA A
Sono molti, e spesso di difficile quantificazione, i fattori che influenzano la forma e le modalità di
migrazione dell’alveo di un corso d’acqua e sono ancor oggi oggetto di studio le complesse interazioni
che si instaurano fra i deflussi e le forme d’alveo nonché l’influenza di queste ultime sull’evoluzione del
corso d’acqua nello spazio e nel tempo.
Fig. 17 Rappresentazione schematica in pianta
e in sezione della modalità di migrazione laterale dell’ansa di un corso d’acqua (da Zaggia,
1989: Sulla morfologia dei corsi d’acqua, CNR
Padova, modificato).
Il tratto d’alveo disegnato in rosso rappresenta
la prima fase di formazione di un’ansa che può
accentuarsi evolvendosi come rappresentato
nei disegni in blu e in nero. Le frecce indicano
l’asse lungo il quale si dispongono nell’alveo i
filetti della corrente più veloce; a lato sono
riportati i disegni delle sezioni corrispondenti
rispettivamente ai tratti A-A’, B-B’ e C-C’. Dal
confronto dei disegni in pianta con le rappresentazioni in sezione si intuisce la dinamica di
migrazione dell’alveo connessa allo spostamento laterale dell’asse della corrente: si nota
cioè, che la zona più profonda dell’alveo (P) è
sita in corrispondenza dell’asse della corrente
(H) perché da questa generata. Quando il rapporto fra il massimo raggio di curvatura
dell’ansa e l’ampiezza d’alveo di un fiume sinuoso raggiunge un certo valore si innesca una
inversione della direzione di spostamento
dell’ansa, purché le condizioni al contorno lo
consentano. Tale situazione è rappresentata
dalla sezione C-C’ nella quale l’asse di deflusso veloce (H) ha abbandonato la zona profonda precedentemente generata (P) e si presenta
spostato verso l’interno dell’ansa a formare,
con il tempo, un’altra zona profonda ed a riempire contemporaneamente la zona profonda
abbandonata, invertendo così la direzione di
migrazione.
SCHEMA DELL’EVOLUZIONE E DELLA MIGRAZIONE LATERALE
DELL’ANSA DI UN CORSO D’ACQUA
H
H
P
H
*
*
P
*
PUNTO DI FLESSO
La Dora Baltea, nel tratto interno all’Anfiteatro Morenico assume l’aspetto di un fiume ad alveo
sinuoso. Un corso d’acqua di questo tipo è caratterizzato da un alveo in cui si alternano zone più o meno profonde. Le zone più profonde si generano a causa dell’erosione fluviale prodotta dai vortici della
corrente che sono influenzati, fra gli altri fattori, dalla conformazione e consistenza dei sedimenti in cui
l’alveo stesso è inciso. Questi vortici comportano zone di accelerazione e decelerazione della corrente
d’acqua alternate in relazione alla sezione d’alveo. Le zone più profonde si situano in prossimità di massima curvatura di un meandro, le zone meno profonde si ritrovano invece in corrispondenza dei punti di
flesso del meandro.
Il variare della velocità della corrente comporta una diversa capacità di erosione e trasporto dei
sedimenti; l’erosione e il trasporto si innescano quindi lungo l’alveo in modo selettivo e non casuale e,
nel tempo, danno corpo al fenomeno dell’evoluzione sia dei meandri che dell’intero corso d’acqua.
FERMATA A
LA SERRA DI IVREA
Il primo incontro con la Serra d’Ivrea può avvenire a grande distanza lungo l’autostrada TorinoCourmayeur dove un cartellone segnala la presenza all’orizzonte del maestoso rilievo. A quella distanza
la Serra appare come una lunga collina talmente regolare e uniforme che, se non fosse per le dimensioni
imponenti, potrebbe sembrare opera dell’uomo e non della natura.
Fig.18 - La Serra di Ivrea vista dalla pianura interna all’Anfitetro morenico (punto di osservazione I). Sullo sfondo, l’abitato di Piverone.
Lasciata l’autostrada, l’avvicinamento alla Serra è graduale attraverso la pianura interna
all’Anfiteatro e se da un lato comporta la perdita della visione del rilievo nel suo complesso dall’altro consente di distinguere altri interessanti particolari.
Partendo dalla caratteristica piazza del municipio di Azeglio e percorrendo la pianura, il versante
interno della Serra si mostra regolare e continuo, appena addolcito in corrispondenza dell’abitato di Piverone (punto di osservazione I). La Serra in questo tratto è costituita esclusivamente da depositi accumulati durante una fase intermedia di espansione del ghiacciaIo (depositi del “Gruppo della Serra”).
Procedendo in direzione nordovest, la base del versante interno della Serra ad un tratto scompare
dietro un altro rilievo parallelo, meno elevato, ai piedi del quale sorge l’agglomerato di Bollengo. Ancora
più ad ovest, l’abitato di Burolo si inerpica su queste nuove dolci pendici (visibili dai punti di osservazione
II e III). Questa seconda collina è costituita dai depositi glaciali abbandonati dal ghiacciaio balteo in ritiro
al termine dell’ultima fase glaciale riconosciuta (depositi del “Gruppo Bollengo-Albiano”). La posizione
interna all’Anfiteatro della collina di Bollengo, rispetto al rilievo della Serra, consente infatti di considerarla di genesi più recente: si tratta infatti di una collina che si è formata circa 500.000 anni dopo il rilievo
della Serra; le pulsazioni ancora successive del ghiacciaio (delle quali però non vi è rimasta testimonianza) non sono state in grado di distruggerla.
La pianura tra Azeglio e Bollengo offre l’opportunità di godere del panorama della Serra e del fianco sinistro dell’Anfiteatro. Spostandosi in bicicletta, di cascina in cascina e percorrendo un itinerario ad
anello tra i campi coltivati, è possibile osservare, con un po’ di fortuna, anche il volo dell’airone.
FERMATA B
...in bici ai piedi della Serra...
LA FREISA
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LEGENDA
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PERCORSO CICLABILE
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DIREZIONE PROPOSTA
PERCORSO
AUTOMOBILISTICO
POBBIETTA
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STRADA PROVINCIALE
O STATALE
79
I
STRADA STERRATA
RIO, BIALERA
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PARTENZA - ARRIVO
LAGO DI CAVA
FRAZIONE, CANTONE,
CASCINA
Fig. 19 – Carta orientativa del percorso ciclabile.
1 Km
AZEGLIO
PUNTO DI OSSERVAZIONE
FERMATE B-C
Fig.20 – Il fianco sinistro dell’Anfiteatro morenico tra Burolo e Bollengo. I puntini blu sottolineano il profilo della Serra, quelli rossi la morena più recente del Gruppo Bollengo-Albiano (punti di osservazione II e III).
Fig.21 - Schema della sedimentazione dei detriti ai margini del ghiacciaio (da
Gianotti, 1996: Bessa paesaggio ed evoluzione geologica delle grandi aurifondine biellesi. Eventi&Progetti Ed., modificato).
morena di Bollengo - Albiano in
formazione
la Serra d’Ivrea
detrito
ghiacciaio
substrato
Lo schema vuole dare un’idea
del processo geologico che ha portato
alla conformazione attuale del fianco
sinistro dell’Anfiteatro Morenico,
“fotografando” uno stadio intermedio
del processo di edificazione.
La Serra (contrassegnata con i
pallini azzurri) già in posto funge da
bastione sul fianco del quale poggiano
e si accumulano i detriti abbandonati
dal ghiacciaio che hanno iniziato a
formare la morena di Bollengo
(contrassegnata con i pallini rossi).
In questo stadio il ghiacciaio balteo non si è ancora ritirato e quindi il
processo di edificazione della morena
di Bollengo è ancora in corso.
FERMATA
C
Risalendo la Serra, scollinando e scendendo in direzione
dell’abitato di Zimone, una piccola
valle si interpone inaspettata tra il
cordone morenico più esterno della
Serra ed un’altra morena, più antica
ed ancora più esterna, edificata nel
corso della massima espansione del
ghiacciaio balteo di cui si abbia testimonianza (morena appartenente
al “Gruppo di San Michele-Borgo”).
Si tratta di un segmento di
valle intermorenica asciutta dal fondo piatto, una sorta di grondaia naturale, troncata a monte e a valle
che, nel corso della formazione
dell’anfiteatro morenico, fungeva da
scaricatore glaciale consentendo il
deflusso delle acque di fusione del
ghiacciaio.
Fig.22 - Vista da monte della suggestiva vallecola intramorenica tra Zimone e Magnano.
Sulla sinistra la morena esterna, sulla destra la Serra. In primo piano: il fondo piatto e un
masso erratico parzialmente inglobato nei sedimenti.
PUNTO DI OSSERVAZIONE
GHIACCIAIO
SC
AR
IC A
TO
RE
MORENA
Fig. 23 - Nel disegno i puntini azzurri indicano uno scaricatore glaciale
attivo.
FERMATA D
LA ZONA DEI CINQUE LAGHI DI IVREA
Fig. 24 - Vista panoramica dei laghi di Ivrea.
Dal sagrato della chiesa di S.
Pietro Apostolo di Andrate e dalla
strada che collega Andrate a Nomaglio,
si gode di una vista particolarmente
scenografica dei laghi di Ivrea: il Lago
Nero, il Lago Pistono, il Lago Sirio e il
Lago Campagna. Rimane nascosto alla
vista il Lago San Michele.
I laghi sono incastonati in morbidi
rilievi verdeggianti di castagni, querce,
betulle, ontani e numerose altre
essenze. I rilievi e i colori della
vegetazione che circondano i laghi
sembrano essere stati appositamente
creati per dar loro maggiore risalto.
I laghi sono ospitati in conche
rocciose esarate dal ghiacciaio nel
corso dell’ultima pulsazione glaciale.
La zona dei laghi è quindi impostata
entro quel che resta del bastione
roccioso che costituiva l’antica soglia
glaciale allo sbocco della valle.
PUNTO DI OSSERVAZIONE
Quali rocce potevano resistere alla
potente azione esaratrice del ghiacciaio
balteo? Solo rocce particolarmente "dure"
potevano sostenere un’azione di tale portata,
dure come quelle che costituiscono appunto il
substrato in quest'area. Queste rocce, presenti
con continuità appena al di sotto di una sottile
coltre di copertura, si possono osservare
sporadicamente, in piccoli affioramenti, oppure
in dossi isolati che emergono dalla pianura,
spesso in modo inaspettato e con forme
particolari.
FERMATA E
Fig. 25 - Vista da valle del dosso che si erge nei pressi di Villa De La Pierre a Biò.
PUNTO DI OSSERVAZIONE
Una prima visione diretta delle
rocce del substrato si può cogliere a
Biò, nei pressi di Villa De La Pierre alla
base dell’estrema propaggine del versante sinistro della Valle d’Aosta.
Si tratta di un dosso subtondeggiante che si erge sulla pianura,
come la cappella di un enorme fungo.
Filari di vite sorretti da caratteristici tutori in pietra(1) lo avvolgono a spirale sfruttando lo scarso suolo a disposizione.
Il dosso è costituito da micascisti
eclogitici appartenenti ad un insieme di
rocce metamorfiche (2) denominato
“Zona Sesia-Lanzo”, (perché affiorante
tra la Val Sesia e le valli di Lanzo). I micascisti eclogitici si presentano
all’esterno bruno rossicci a tratti ricoperti di scagliette argentee traslucide e brillanti. Difficile da rompere, all’interno sono a grana fine, grigio-verdina, con lamelle di quarzo.
(1) detti “Töpiun” dai locali.
Fig. 26 - Un campione di micascisto eclogitico.
DOSSO
(2) Rocce di diversa origine, le caratteristiche e
l’aspetto delle quali sono stati trasformati nel tempo
da modificate condizioni di temperatura, pressione o
dal contatto con fluidi.
FERMATA F
Salendo sulle pendici del Monte
Albagua, a nord ovest del Lago Sirio, a
3,5 km circa di distanza dal dosso di Villa
De La Pierre, oltre ad godere di uno
stupendo panorama del lago e dei rilievi
circostanti si ha modo di camminare su
rocce metadioritiche( 1) dall’aspetto
massivo, scure in superficie, chiare in
frattura, completamente diverse da quelle
precedentemente descritte. Esse
affiorano sulla sommità del rilievo in
plaghe levigate dall’azione del ghiacciaio
e rugose sui fianchi. Si tratta di roccia
metamorfica appartenente ad un
complesso denominato Zona IvreaVerbano.
Fig. 27 - Il Lago Sirio dalle pendici del Monte Albagua.
(1) Rocce di origine magmatica intrusiva (Vedi scheda Fermata P) grigio scure qui eccezionalmente chiare per abbondanza di plagioclasio e metamorfosate.
PUNTO DI
OSSERVAZIONE
Figg. 28 e 29 - Le metadioriti del Monte Albagua come si
presentano sui fianchi (sopra) e sulla sommità levigata
(destra).
Le rocce che affiorano nella zona dei laghi di Ivrea sono una
testimonianza dei complicati processi che hanno portato alla
formazione della catena alpina. Il loro studio ha consentito di
aggiungere importanti tasselli di conoscenza al difficile puzzle della
geologia alpina.
FERMATA G
200 milioni di anni fa, l’area dell’attuale
sommersa dall’acqua di un ampio mare chiamato
continenti di forma diversa da quella attuale, gli
trasformati successivamente, e in milioni di anni,
Europa e Africa.
anfiteatro morenico era
Tetide interposto tra due
stessi che si sarebbero
negli attuali continenti di
TETIDE
CROSTA CONTINENTALE
EUROPEA
crosta oceanica
crosta
continentale
superiore
O
4 km
MANTELLO
LITOSFERICO
0
mantello superiore
680±20 km
mantello
inferiore
nucleo
esterno
2900 km
nucleo
interno
Fig. 30 - Sezione schematica dell’interno della
Terra.
CROSTA CONTINENTALE
AFRICANA
MOHO
LITOSFERA
6370 km
CROSTA OCEANICA
130 milioni di anni fa, a causa della deriva verso nord-est della zolla
litosferica del continente africano, dovuta alla sua caratteristica di galleggiare sul
mantello spostandosi per complicati processi fisici che là avvengono, la Tetide si
restringe fino a chiudersi nel corso dei successivi 80 milioni di anni.
L’avvicinamento delle due zolle è reso possibile dallo sprofondamento della
zolla europea al di sotto di quella africana.
SEDIMENTI MARINI
DELLA TETIDE
MOHO
MOHO
M
OH
Se da qualsiasi punto della pianeta si perforasse
la roccia verticalmente per raggiungere il centro della
0
Terra ci si troverebbe ad attraversare una successione
di “strati” a diversa composizione e spessore: la crosta
(oceanica o continentale), il mantello superiore con un
livello più rigido esterno (che insieme alla crosta forma
la litosfera) il mantello inferiore, il nucleo esterno, il nu- 20-25 km
cleo interno. Il limite superiore del mantello è chiamato crosta
continentale
MOHO.
Nei pressi d’Ivrea la ricerca geofisica ha scoper- inferiore
to che la MOHO si attesta, in modo anomalo, appena a
circa 15 km di profondità sebbene la zona di Ivrea sia
ubicata all’interno di un continente. Il motivo di tale anomalia è da ricercare nella storia geologica dell’area e
in particolare nell’orogenesi alpina (il complesso processo che ha portato al sollevamento delle Alpi e che
ha causato la risalita della litosfera verso la superficie).
Quando le zolle europea ed africana
entrano in collisione, la crosta oceanica si
disgrega in cunei, i sedimenti marini e le rocce continentali si deformano in scaglie che si
piegano e si accavallano. Nel corso dei successivi 30 milioni di anni, l’intero complesso di
cunei, scaglie accavallate e piegate si innalza
a causa della compensazione isostatica favorita dal rallentamento dell’avvicinamento delle
zolle, formando così la catena alpina.
MOHO
MOHO
FERMATA G
Nella zona dei laghi di Ivrea gli accavallamenti e le deformazioni dovuti alla collisione delle zolle
europea ed africana sono resi più comprensibili, e in qualche modo visibili, dall’affioramento in contatto,
e nel raggio di pochi chilometri, di litotipi molto differenti fra loro per genesi ed età.
Le rocce policrome di origine sedimentaria e vulcanica della chiesa di San Rocco a Montalto Dora,
di seguito descritte, quelle metamorfiche di Villa De La Pierre e del Monte Albagua sono “frammenti” di
zolla africana originatisi in tempi differenti, a profondità diverse e a seguito di molteplici processi chimicofisici, dislocati e posti a contatto nel corso della formazione della catena alpina.
Dal sagrato della chiesetta di San
Rocco a Montalto Dora, si può ammirare il
castello che sovrasta il paese ed osservare rocce variamente colorate molto diverse
da quelle finora descritte.
L’insieme policromo appare curioso
e, unito al castello, conferisce alla zona un
aspetto fiabesco.
Il sagrato della chiesa è riparato da
uno sperone roccioso verdastro costituito
da rocce di origine sedimentaria (meta
arenarie e metaconglomerati); se si risale
lo sperone, a contatto con le metaarenarie, spiccano inaspettatamente delle rocce
biancastre (dolomie). Raggiunta la sommità, se si sposta l’attenzione sul panorama
circostante, si possono scorgere ammassi
rocciosi rossi-violacei (vulcaniti) che interrompono in modo vistoso la continuità delle arenarie verdi vicine.
Fig. 31 - La chiesetta di San Rocco vista
dall’alto dello sperone; in primo piano il
contatto litologico sottolineato dal puntinato rosso.
PUNTO DI
OSSERVAZIONE
Fig. 32 - Particolare del contatto
tra le dolomie biancastre e le
arenarie verdi.
FERMATA H
Percorrendo i numerosi sentieri
che si inoltrano nei boschi che
circondano i laghi di Ivrea, tra il Lago
Sirio e il Lago Pistono si raggiunge un
settore di bosco caratterizzato da un
singolare fenomeno: saltando a piè pari,
il terreno è così elastico che rimbalza
facendo oscillare all’unisono le piante
circostanti. Questo luogo, conosciuto
come ”le terre ballerine”, è in realtà una
torbiera che occupa un lembo dello
scomparso Lago Coniglio prosciugato
artificialmente per lo sfruttamento della
torba. La torbiera, ormai quasi
completamente mimetizzata dalla
vegetazione, all’inizio del secolo scorso
era infatti coltivata quale combustibile
per le industrie siderurgiche della vicina
Pont Saint Martin.
Fig. 33 - Le terre ballerine
Fig. 34 - La torba
La torbiera è un fondo di lago o di palude dove si
accumulano ammassi vegetali che, decomponendosi
parzialmente per mezzo di batteri in ambiente anaerobico(1), subiscono un lento processo di carbonizzazione, dando luogo alla torba. La torba è un aggregato di
color bruno-nerastro, spugnoso, poco coerente, imbevuto di acqua che dopo l’essicazione può essere utilizzato come combustibile o come migliorativo delle proprietà assorbenti del terreno di coltura.
PUNTO DI OSSERVAZIONE
(1)L’ambiente anaerobico è un ambiente
privo di ossigeno.
FERMATA I
IL MONTE NERO
PUNTO DI OSSERVAZIONE
Fig. 35 - Vista da ovest della sommità rocciosa del
Monte Nero con le chiome verde scuro di alcuni
esemplari di Pinus nigra.
Poco a monte di Ivrea si erge il rilievo
isolato del Monte Nero, un grande dosso montonato caratterizzato dal profilo a “dorso di
cetaceo”. Il Monte Nero rappresenta uno degli
esempi meglio conservati del modellamento
esercitato dal ghiacciaio balteo sui gabbri del
substrato roccioso nella zona di Ivrea.
Il dosso presenta una sommità arrotondata e, visto dall’alto, disegna una grande ellisse con l’asse maggiore disposto nord – sud
coerentemente con la direzione di scorrimento
del ghiacciaio.
Dalla cima del Monte Nero si gode di
uno splendido panorama a 360° su Serra di
Ivrea, Castello di Montaldo Dora, Laghi Sirio e
San Michele, città di Ivrea.
FERMATA L
Fig. 36 - Masso erratico granitico sul dosso montonato del Monte Nero.
Fig. 37 - Esemplari di pino nero.
Gironzolando sulla sommità del Monte Nero,
l’attenzione è attirata da un blocco di roccia di colorazione
molto più chiara rispetto a quella bruno rossiccia della superficie su cui si cammina. Il contrasto cromatico si spiega
con la diversa natura litologica del blocco roccioso (granito)
rispetto a quella del dosso che lo sostiene (gabbro).
Poiché nella zona non affiorano graniti, come si spiega la presenza di questo blocco? Si tratta di un “masso erratico”, cioè di un frammento roccioso trasportato dal ghiacciaio e da questo abbandonato lontano dal luogo di origine
al momento della fusione.
Per avere un’idea della distanza minima percorsa dal
blocco (ma potrebbe aver percorso molta più strada), si
pensi che le rocce granitiche più prossime al Monte Nero
affiorano nei pressi di Biò a circa 4 km di distanza.
Fig. 38 - Particolare della
superficie alterata del masso
erratico.
Il Monte Nero serba altre sorprese:
sulle sue pendici vegetano alcuni esemplari di pino nero (Pinus nigra Arnold) e
altre specie vegetali quali la betulla (Betula
pendula Roth.) e la roverella (Quercus pubescens Willd.) mentre nel piano arbustivo
sono presenti la ginestra dei carbonai
(Cytisus scoparius L.) e il brugo (Calluna
vulgaris (L.) Hull.).
Queste essenze costituiscono
un’associazione vegetale termofila e xerofila in quanto amante di ambienti caratterizzati da condizioni microclimatiche di
temperatura elevata e basso tenore di umidità. I suoli superficiali, che hanno ridotta capacità di trattenere scorte idriche, e
gli affioramenti rocciosi che si riscaldano
rapidamente in seguito all’irraggiamento
solare, favoriscono la creazione di questo
particolare microhabitat.
FERMATA L
Il pino nero è originario dell’estremità sud-orientale dell'Europa e dell'Asia Minore; in Italia è
stato introdotto per i rimboschimenti e in seguito si è naturalizzato. Resiste e prospera anche sul
Monte Nero in quanto specie che cresce bene e rapidamente sulla roccia sufficientemente fessurata
e nella terra vegetale. A questo proposito si può osservare come la rinnovazione di questa specie sia
particolarmente attiva: sono infatti presenti, attorno alla pianta madre di maggiori dimensioni alcuni
giovani esemplari nati per disseminazione.
Il pino nero è una pianta appartenente al piano montano e quindi nelle
stazioni di pianura risulta più debole e
perciò particolarmente soggetta agli attacchi di patogeni quali ad esempio
quelli della Processionaria della quale
possono essere osservati i nidi sericei
biancastri posizionati sui rami.
Fig. 39 - Nido di Processionaria che infesta un esemplare di
Pinus Nigra sul Monte Nero.
La
Proce ssionari a
(Thaumetopoea pityocampa) è un lepidottero defogliatore che, nello stadio
larvale, si nutre degli aghi di pino scheletrizzandoli.
Le larve sono ricoperte di peli urticanti che, a seguito di contatto diretto
o in conseguenza a dispersione, possono innescare reazioni epidermiche e
allergiche.
Fig. 40 - Larva di Processonaria.
FERMATA L
Una particolarità floristica del Monte Nero è rappresentata dall’Opuntia
compressa (Salisb.) detta anche “fico
d’India nano”. Si tratta di un vero e proprio cactus in miniatura, importato dagli
altopiani desertici del Messico nel 1500
per scopi ornamentali. La specie si è naturalizzata rapidamente in stazioni rupestri aride ed esposte al calore solare e
ritrova sulla sommità del Monte Nero le
microcondizioni ambientali simili a quelle
desertiche (calore e aridità) originarie.
Infatti è una pianta succulenta caratterizzata da un fusto carnoso appiattito e verdastro per la presenza della clorofilla e
dalle foglie ridotte a spine molto sottili
(tipico adattamento vegetale agli ambienti desertici). La resistenza della specie a
brevi gelate ne ha permesso la diffusione
in diversi particolari siti dell’anfiteatro morenico.
Fig. 41 - Il fico d’India nano sul
Monte Nero. A sinistra: i fiori ermafroditi; sotto: i piccoli frutti rossi.
Sia alla sommità che lungo i fianchi del
Monte Nero, sono presenti nel piano arbustivo la ginestra dei carbonai (Cytisus
scoparius L.) e il brugo (Calluna vulgaris
(L.) Hull.).
Il brugo è un cespuglietto sempreverde molto
ramoso e con i rami tortuosi. I fiori, generalmente rosei, formano
infiorescenze alla sommità dei fusti e dei rami.
Fiorisce da agosto a
ottobre.
Fig. 42- Fusto di brugo.
Il nome calluna proviene da una parola greca che significa "spazzolare": infatti i fusti del
brugo venivano spesso in passato legati assieme per farne spazzole o scope, oppure
intrecciati per farne ceste.
FERMATA L
IL LAGO DI MEUGLIANO
Fig. 45 - Vista del Lago
di Meugliano dal casotto
di pesca.
PUNTO DI OSSERVAZIONE
Il Lago di Meugliano è un piccolo lago intermorenico, situato cioè in una depressione circondata completamente da rilievi morenici. In occasione del ritiro glaciale, questa particolare conformazione ha favorito la raccolta delle acque di
fusione. Nel tempo, la presenza di sedimenti a
granulometria fine, frequentemente rinvenibile nei
depositi glaciali, ha fatto sì che le acque non si
disperdessero completamente per filtrazione attraverso le pareti della conca ospitante, bensì si
raccogliessero e potessero essere parzialmente
ricambiate ed alimentate dagli apporti meteorici e
dal ruscellamento superficiale.
LAGO DI
MEUGLIANO
STAGNO
FERMATA M
IL LAGO DI MEUGLIANO
Il Lago di Meugliano (•) è separato da
un debole rilievo da un altro piccolissimo stagno in stato avanzato di interrimento. Se si
raggiunge un punto sufficientemente elevato
favorevole alla visione contemporanea dei due
specchi d’acqua, si può osservare come la superficie del Lago di Meugliano sia posta visibilmente ad una quota inferiore rispetto a quella
dello stagno ad indicare intuitivamente
l’isolamento idraulico delle due conche lacustri.
Fig. 46 - Vista delle due conche lacustri separate da un cordone
morenico.
Le sponde del Lago di Meugliano sono coperte da una fitta
boscaglia; se lo si circumnaviga
passeggiando lungo le rive, si possono osservare da vicino numerose essenze vegetali appositamente piantate con l’intento di arricchire la vegetazione locale e di fornire
spunti di interesse.
Il confronto con una immagine scattata attorno al 1930 rivela,
inaspettatamente, un ambiente
completamente spoglio di vegetazione d’alto fusto tale da consentire la vista di un masso erratico isolato sulla sponda meridionale del
lago. Oggi, lo stesso masso quasi
scompare tra la vegetazione.
Fig. 47 - Il Lago di Meugliano negli anni ‘30 del
secolo scorso (sopra) ed oggi (sotto). La freccia
rossa indica un grande masso erratico mascherato
oggi dalla vegetazione. Foto storica tratta da Sacco,
1934: Le Alpi, TCI Milano).
FERMATA M
I DINTORNI DEL LAGO DI MEUGLIANO
I sentieri che percorrono i boschi nei dintorni del Lago di Meugliano offrono l’occasione di brevi passeggiate e diversi spunti d’interesse.
E’ possibile, per esempio, rinvenire ciottoli levigati e striati
(graffiati); essi rappresentano il prodotto dell’abrasione operata dal fondo roccioso sui ciottoli inglobati nel
ghiaccio che assumono così la classica forma “a ferro da stiro”.
Oppure percorrere una vallecola immersa in un bosco di castagni
disseminata di massi erratici, seminascosti dalla vegetazione e disomogenei dal punto di litologico.
C
B
F
B
A
D
E
Fig. 48 - Ciottolo serpentinitico “a ferro da stiro” rinvenuto nei pressi del lago; sulla superficie superiore si possono notare le strie di abrasione (la freccia rossa ne segnala uno
particolarmente visibile).
A
STAGNO
C
B
D
A
F
E
B
B
B
D
PUNTO DI
OSSERVAZIONE
Fig. 49 - Schema della morfologia del ciottolo striato “a ferro da stiro” (da Foster Flint,
1971: Glacial Quaternary Geology, John Wiley & Sons, Inc. Canada).
FERMATA N
LAGO DI
MEUGLIANO
Fig. 50 - Masso erratico al margine della strada che conduce al lago.
PUNTO DI OSSERVAZIONE
Fig. 52 - Il masso inciso da una scultrice (della quale non si legge
più il nome) e da Francesco Gioana, maestri di Alice Superiore con
raffigurato lo stemma di Alice Superiore.
Fig. 51 - Sequenza di massi erratici all’ombra dei castagni.
O, ancora, imbattersi in un masso erratico che si differenzia dagli altri per un curioso
graffito scolpito da moderni incisori.
FERMATA O
LA CATTURA DEL CHIUSELLA
SE
DORA BALTEA
ORCO
NW
Fig. 53 - Vista panoramica dalla Torre Cives. I pallini rossi indicano l’attuale corso del
Chiusella, i pallini blu l’originario andamento del corso d’acqua.
PUNTO DI OSSERVAZIONE
Dalla suggestiva Torre Cives, mastio del XII secolo, si
gode di un ampio panorama che spazia dal lago della diga di
Gurzia a sinistra, ai Monti Pelati a destra. Il luogo è particolarmente favorevole per farsi un’idea del complesso processo
di modellamento che ha generato l’attuale conformazione del
territorio. L’attuale conformazione è infatti molto articolata e
caratterizzata dalla profonda forra incisa dal Chiusella a valle
della diga di Gurzia e dalla marcata ansa a gomito che questo corso d’acqua disegna prima di confluire, ad est, nella Dora Baltea.
Sebbene possa essere difficile da immaginare, circa
150.000 anni fa, il paesaggio doveva essere molto diverso: lo
studio geomorfologico del versante destro dell’Anfiteatro Morenico infatti ha portato gli esperti a ritenere che, a seguito di
un fenomeno di “cattura”, il Chiusella scorresse allora verso
sud-ovest in direzione dell’Orco, nel quale poi confluiva.
FERMATA P
IL LAGO DELLA DIGA DI GURZIA
LA FORRA DEL CHIUSELLA
L’ABITATO DI VIDRACCO
TORRE CIVES
NE
CHIUSELL
A
L’ANTICO CORSO DEL CHIUSELLA
L’ABITATO DI BALDISSERO
SW
I MONTI PELATI
Rappresentazione tridimensionale a cura di:
M. Muti (CSI Piemonte).
Fig. 54 - Rappresentazione tridimensionale del settore di cattura del Torrente Chiusella con angolo visuale da sud ovest verso nord est.
La forra creata dal Chiusella, insieme alle profonde incisioni scavate più a sud dai rii Boriana e
Ruglio, nel fianco dell’Anfiteatro, sono l’effetto dell’intensa erosione operata su di un settore montuoso
sottoposto ad un lento fenomeno di sollevamento nei confronti della pianura, avvenuto prima dell’ultima
pulsazione glaciale. Infatti, l’aumento del dislivello e quindi della ripidità dei versanti, comportò
l’incremento dell’energia cinetica dei corsi d’acqua del settore in sollevamento e quindi un aumento della
loro capacità erosiva.
FERMATA P
L’aumento della capacità erosiva, oltre ad incrementare e rendere più veloce l’approfondirsi delle
incisioni comportò l’innescarsi di un fenomeno conosciuto come arretramento delle testate dei corsi
d’acqua per erosione regressiva; cioè lo spostarsi sempre più verso monte dell’azione erosiva stessa(1).
Questo fenomeno interessò tutti i corsi d’acqua dell’area con velocità di arretramento e approfondimento diverse a seconda del tipo di materiale che l’acqua si trovò a erodere.
(1)…” L’approfondimento del letto in un
tratto di corso d’acqua fortemente inclinato
provoca una diminuzione del dislivello rispetto al tratto immediatamente a valle e
l’accentuazione della pendenza nel tratto
posto subito a monte. In tal caso
l’erosione si propaga verso monte, mentre
a valle, un po’ alla volta, si costituisce un
alveo a minor pendenza non soggetto a
erosione.” (da Castiglioni,1998: Geomorfologia , Utet Torino).
A
3
2
1
Fig. 55 - Schema della propagazione dell’erosione verso monte: erosione fluviale regressiva (da Castiglioni,1998: Geomorfologia, Utet Torino, modif.).
B
C
Fig. 56 - Le fasi della cattura del Chiusella. A il Chiusella scorre in direzione dell’Orco (tratteggio rosso), un corso d’acqua indipendente scorre
nell’attuale alveo del Chiusella (tratteggio blu). B l’erosione regressiva ha notevolmente ridotto la distanza fra i due corsi d’acqua. C la cattura è
avvenuta e il Chiusella scorre nell’alveo del corso d’acqua una volta indipendente.
Antecedentemente al fenomeno di cattura, a valle dell’ampia ansa a gomito e in corrispondenza
dell’attuale corso del Chiusella, un altro corso d’acqua indipendente scorreva in direzione della Dora
Baltea (A). A causa dell’erosione regressiva la testata di questo corso d’acqua, approfondendosi e arretrando a mano a mano in direzione nord ovest andò a intercettare l’antico corso del Chiusella (B)
“catturando” quest’ultimo nel proprio alveo e deviandolo definitivamente in direzione della Dora (C).
FERMATA P
La cattura del Chiusella, con ogni probabilità, fu facilitata dal fatto che l’azione regressiva
dell’erosione, innescatasi lungo il corso d’acqua indipendente risultò più veloce ed efficace di quella innescatasi lungo l’originario corso del Chiusella a causa della minore erodibilità delle rocce da attraversare: le dure peridotiti dei Monti Pelati.
Fig. 57 - Le peridotiti verdi bluastre di Torre Cives.
Le peridotiti dei Monti Pelati, sono un raro caso, almeno nel territorio
piemontese, di affioramento di rocce
formatesi nel mantello, cioè al di sotto
della crosta continentale della zolla africana, spinte in superficie durante la
collisione continentale (al proposito si
veda la fig. 30 e la scheda relativa alla
fermata G).
Le peridotiti sono rocce magmatiche intrusive(1) dalla colorazione verde
bluastra con venature biancastre che
danno luogo in superficie a terreni di
per sé poco favorevoli alla copertura
vegetale.
Da Torre Cives i Monti Pelati
spiccano infatti per l’aspetto brullo, arido, quasi lunare della loro superficie,
così suggestivo e diverso, anche per la
presenza di specie animali che normalmente occupano habitat molto differenti. Per queste peculiarità la Regione
Piemonte, nel 1993, istituì la “Riserva
Naturale Speciale dei Monti Pelati e di
Torre Cives”.
(1) Le rocce magmatiche intrusive sono rocce che si solidificano lentamente per cristallizzazione del magma allo stato
fuso, a grandi profondità e a
grandi pressioni.
Fig. 58 - I Monti Pelati visti da Torre Cives.
FERMATA P
IL LAGO
DELLA DIGA DI GURZIA
Fig. 59 - Vista panoramica da Torre Cives del lago artificiale generato della diga di
Gurzia (in primo piano sulla destra, in stagione di magra).
Il lago della diga di Gurzia è un bacino artificiale di
circa 1 milione di mc che si è formato a seguito della costruzione di una diga di ritenuta, realizzata tra il 1922 e il
1925, a servizio della vicina centrale di Ponte Preti.
Il lago è alimentato dalle acque del Chiusella ed è
confinato, in sponda destra, da un versante formato dalle
rocce peridotitiche precedentemente descritte e, in sponda
sinistra, da una morena costituita da depositi glaciali molto
compatti che ricopre la roccia sottostante fino a 10 m sotto il livello di massimo invaso della diga (427,50 m sul livello del mare).
La diga, in calcestruzzo armato, fondata su roccia in
corrispondenza di una stretta della valle, è a volta a curvatura semplice ed è impostata a destra su roccia e a sinistra
su una spalla in muratura che funziona per gravità.
Fig. 60 - La diga di Gurzia in una immagine del 1961. La cascata lascia presumere
che il livello d’invaso del lago fosse molto alto (da: AA.VV, 1961: Le dighe di ritenuta degli impianti idroelettrici italiani. Anidel).
FERMATA P
La spalla sinistra della diga è adibita a sfiorare le acque del bacino quando è necessario ridurre il
livello del lago. Lo sfioro dà origine, in occasione di troppo pieno, a spettacolari cascate.
Il materiale necessario alla costruzione della diga fu ottenuto per frantumazione di rocce cavate in
prossimità del sito e trasportato tramite vagoncini direttamente nel cantiere. I resti di un frantoio
dell’epoca si possono osservare lungo la strada che collega Vidracco a Baldissero.
Fig. 61 - Le tramogge del vecchio
frantoio lungo la
strada che collega
Vidracco a Baldissero.
Fig. 62 - Il masso erratico quarzitico del mulino.
PUNTO DI
OSSERVAZIONE
Partendo dal frantoio è possibile
costeggiare la sponda destra del lago
utilizzando un sentiero attrezzato in allestimento (2004), e raggiungere un
grande masso erratico bianco deposto
nel bel mezzo di un prato.
Nei pressi sorge un caratteristico
vecchio mulino, in corso di restauro
(2004), destinato ad ospitare un ecomuseo dell’acqua.
La colorazione chiara e uniforme
del masso è tipica della quarzite che lo
costituisce, roccia a prevalente componente di quarzo, molto dura e poco alterabile, assente negli immediati dintorni, a testimonianza, ancora una volta,
della grande capacità di trasporto del
ghiacciaio.
FERMATA Q
L’INCISIONE DEL RIO BORIANA
Fig. 63 – Le sponde del Rio Boriana incise in limi sabbioso-argillosi
giallo ocra.
Fig. 64 – Particolare dei limi sabbioso argillosi.
Risalendo il Rio Boriana fino quasi alla
testata è possibile toccare con mano gli effetti
del sollevamento del fianco destro
dell’Anfiteatro Morenico, avvenuto prima
dell’ultima pulsazione glaciale, e del contemporaneo approfondimento per erosione dei
corsi d’acqua coinvolti nel fenomeno.
Le acque del rio infatti dopo aver attraversato i depositi glaciali superiori, approfondendosi per alcune decine di metri, hanno iniziato a scavare i limi sabbioso debolmente argillosi sottostanti antichi un milione e mezzo di
anni.
La colorazione intensa giallo ocra di
questi materiali a granulometria fine dona
all’ambiente di fondoalveo una particolare suggestione e consente anche all’occhio meno
esperto di individuare il contatto con i depositi
soprastanti.
PUNTO DI
OSSERVAZIONE
FERMATA R
I limi sabbiosi giallo-ocra costituiscono il livello di base sul quale il ghiacciaio balteo ha edificato l’Anfiteatro Morenico d’Ivrea; l’incisione del Rio Boriana
offre quindi la rara occasione di “gettare
uno sguardo” all’interno degli imponenti
depositi glaciali che costituiscono in
Se si prosegue la passeggiata lungo l’alveo, è possibile scorgere qua e là,
nell’acqua e sulle rive, plaghe di limi grigio marroncini inglobanti piccoli clasti e
ciottoli di dimensioni centimetriche.
Fig. 65 - A sinistra, un piccolo lembo residuale di deposito glaciale di fondo.
L’aspetto più strano di questi depositi e che appaiono completamente diversi da quelli circostanti;
sono non stratificati e particolarmente difficili da incidere con una punta. Si tratta di lembi residuali del
deposito glaciale di fondo, quel deposito, ricco di frazione fine, che il ghiacciaio forma direttamente alla
base e abbandona molto addensato perché sottoposto al suo grande peso. I clasti inglobati sono qui di
diversa misura, spigolosi, disposti casualmente e qualcuno si presenta persino striato o “a ferro da stiro” (si veda al proposito le schede relative alla fermata N).
Questi depositi giacciono al di sopra dei limi sabbiosi giallo ocra precedentemente descritti e si
sono conservati in modo discontinuo evidentemente a causa di episodi erosionali successivi alla loro
deposizione.
Lungo la sponda destra, immediatamente al di sopra dei limi, l’azione erosiva
dell’acqua del rio ha liberato alla vista altri
depositi dalle caratteristiche molto differenti.
Si tratta di depositi fluvioglaciali costituiti per
la maggior parte da ciottoli centimetrico—
decimetrico privi di spigoli, tondeggianti o
discoidali, inglobati in poca sabbia mediogrossolana.
Fig. 66 – I depositi fluvioglaciali costituiti da ciottoli arrotondati in
scarsa sabbia medio grossolana soprastanti i limi sabbiosi . Al loro
interno si scorgono livelli alterati riconoscibili per le colorazioni
giallo-brune connessi a cambiamenti chimico-fisici indotti
dall’acqua che si infiltra nel sottosuolo successivamente alla loro
deposizione. Nel piccolo riquadro è messa in evidenza la disposizione embricata dei ciottoli.
FERMATA R
Una sguardo più attento rivela: i ciottoli, sostanzialmente omogenei nella forma e nelle dimensioni,
sono di diversi litotipi ad indicare la loro provenienza da un’area sufficientemente ampia da racchiudere
molti tipi differenti di rocce; i ciottoli sono organizzati in strati e talvolta “embricati” cioè disposti in fila e
leggermente inclinati in modo da appoggiarsi uno sull’altro. Queste caratteristiche indicano che la loro
deposizione è avvenuta per mezzo di una corrente d’acqua torrentizia sufficientemente forte da trasportali per un lungo tratto, da smussarli e da depositarli in modo regolare e ordinato, ma non più adeguata,
in questa area, al trasporto e alla deposizione di grandi elementi lapidei. Al momento di formazione di
questi depositi, la principale fonte di materiale, il ghiacciaio, doveva quindi essersi già ritirato e trovarsi
molto distante ad alimentare, con le sue acque di fusione, i torrenti glaciali. L’aspetto di questi depositi
ricalca quindi quello che normalmente assumono i depositi alluvionali, cioè i depositi connessi all’attività
fluviale.
Proseguendo la passeggiata e
volgendo
l’attenzione alla sponda destra, i depositi costituiscono
una imponente parete subverticale alta circa 30 m che
consente di farsi un’idea delle dimensioni del fenomeno
di deposizione fluvioglaciale.
E’ come avere di fronte uno spaccato di un ampio
fondovalle fluviale completamente riempito dai depositi
dal fiume stesso nel corso di
oltre un milione di anni.
Una osservazione più
attenta della parete consente
di notare alcune forme deposizionali che danno informazioni
sulla
dinamica
dell’antico corso d’acqua.
Fig. 67– La parete subverticale formata dai depositi fluvioglaciali.
Nell’ingrandimento i livelli sabbiosi
alla base della parete.
Alla base della parete infatti si possono scorgere
stratificazioni incrociate con lenti sabbiose che poggiano
su livelli più grossolani a stratificazione piano parallela.
FERMATA R
La diversa orientazione degli
strati e la diversa dimensione del materiale che li costituisce (ciottoli prevalenti
o sabbie prevalenti) sono connessi a
condizioni di deposizione differenti che
possono presentarsi contemporaneamente in zone contigue o, in corrispondenza degli stessi punti, in tempi diversi. L’aspetto complessivo dello spaccato naturale è quello dovuto alla deposizione di un torrente che migrando lateralmente dava origine a barre (isole fluviali) ghiaiose in continua trasformazione (al proposito si vedano le schede
della fermata A) .
Fig. 68 – Particolare dei depositi fluvioglaciali a stratificazione incrociata: le
righe tratteggiate gialle mettono in evidenza gli strati piano paralleli, quelle blu
la stratificazione obliqua.
Il deposito fluvioglaciale non solo registra le diverse
condizioni deposizionali sotto le quali si è formato ma
riporta anche le tracce di eventi naturali successivi.
Relativamente a ciò la parete mostra una lunga frattura verticale che si è aperta perpendicolarmente alla
parete stessa e che si è riempita di sedimenti fini giallastri nel corso stesso della sua graduale apertura .
Il fatto che la frattura con il suo riempimento intersechi senza soluzione di continuità le diverse strutture deposizionali dimostra che la sua formazione è
avvenuta dopo la costituzione del deposito. Il fatto che
sia possibile riconoscere tali strutture da una parte
all’altra della frattura stessa in posizione raccordabile
dimostra che la frattura, aprendosi, si è limitata ad allontanare i due lembi separati del deposito senza
comportare loro spostamenti reciproci verso il basso o
verso l’alto.
LA FRATTURA RIEMPITA
Fig. 69 – La frattura che taglia gran parte del deposito fluvioglaciale riempitasi nel corso della sua graduale apertura dei sedimenti fini provenienti
dalla superficie e ivi trasportati dall’acqua di infiltrazione o per gravità.
FERMATA R
LA TORBIERA DI VIALFRE’
Alla torbiera di Vialfrè si accede dall’alto, posizione che consente di spaziare su un’ampia area
pianeggiante caratterizzata da suoli molto scuri.
Fig. 70 – L’antica torbiera di Vialfrè.
...in bici in cerca di torba...
VIALFRE’
PUNTO DI
OSSERVAZIONE
PARTENZA - ARRIVO
Lago del Paulat
Fig. 71 – Carta orientativa
del percorso ciclabile.
PERCORSO CICLABILE
DIREZIONE PROPOSTA
PERCORSO
AUTOMOBILISTICO
LEGENDA
CANALE DI DRENAGGIO,
BIALERA
TORBIERA
ACQUITRINO CON
SIGNIFICATIVO ACCUMULO DI TORBA
STRADA PROVINCIALE
STRADA STERRATA
N
SP
55
400 m
ABITATO
FERMATA S
LA TORBIERA DI VIALFRE’
Fig. 72 – Il colore scuro dell’acqua del tondeggiante Lago intramorenico del Paulat.
Se con l’immaginazione si sostituisce il suolo scuro dei
campi arati con l’acqua ferma di un acquitrino, la visione della
campagna si trasforma in quella di un acquitrino circondato da
dolci rilevi morenici. Tale doveva essere quest’area prima che i
sedimenti arricchiti da organismi vegetali la colmassero trasformandola in torbiera.
Una fase intermedia di questo processo si ha al Lago del
Paulat dove il colore scuro dell’acqua rivela la presenza di uno
strato di torba sul fondo.
Anche la torbiera di Vialfrè, come molte altre in Piemonte,
fu sfruttata in passato. Il lavoro era svolto manualmente ed era
organizzato in piccole squadre composte da quattro o cinque
operai: uno scavatore ed un aiutante, che estraevano dei grossi
parallelepipedi di torba approfondendo lo scavo fino a raggiungere il fondo, un caricatore-tagliatore che riduceva la torba in
pezzi più piccoli, facilitandone così il trasporto e da un paio di
trasportatori che trasferivano il materiale estratto in zone apposite dove veniva disposto in cumuli per una iniziale essiccazione.
Il lavoro iniziava a febbraio con la rimozione del terriccio superficiale, mentre lo scavo veniva effettuato tra marzo e agosto.
Fig. 73 – Il lavoro in torbiera nelle vicinanze di Condove in Val di Susa (da Bertacchi e Piazza, 1941:
Condove e la sua montagna. Edizioni L’Impronta,
Torino).
FERMATA S
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