Epatiti B e C: ma i pazienti conoscono i rischi?

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Studi e Ricerche
l’infermiere 3/2005
Approfondire lo studio del Codice deontologico per formare professionisti più attenti alla privacy del paziente
L’INFERMIERE
e il segreto professionale
DI
L
MARA FADANELLI* E GRAZIELLA TRENTINI**
a fine del secondo millennio rappresenta per gli infermieri
italiani l’inizio di un importante cambiamento di profilo e
di una transizione verso il riconoscimento socio-culturale di una professione capace di rispondere con nuova competenza alle richieste di salute che provengono dalla società. Il cambiamento inerente l’infermieristica si è snodato in varie direzioni, con un’evoluzione della deontologia contraddistinta dalla redazione di tre Codici deontologici, di cui l’ultimo risalente al 1999. Il riconoscimento
giuridico del Codice deontologico ha fatto sì che questo
assumesse il ruolo di guida irrinunciabile per un corretto
e qualificato esercizio della professione. Nasce quindi l’esigenza di una formazione continua nella pratica infermieristica che comprenda anche la conoscenza approfondita del Codice deontologico.
A fronte del riconoscimento della centralità del Codice
nella professione infermieristica, è maturata l’esigenza
di indagare se e quanto il cambiamento introdotto da
questo documento sia percepito e messo in pratica nel
quotidiano dagli infermieri. A tal fine è stata condotta
un’indagine comparativa tendente a evidenziare la conoscenza specifica del Codice deontologico del 1999 e,
in particolare, le norme relative alla segretezza professionale e alla gestione delle informazioni confidenziali,
temi per i quali la letteratura è scarsa e in generale aspecifica rispetto all’infermiere. L’obiettivo della ricerca era
quello di capire se e come i traguardi culturali e legislativi che hanno coinvolto la professione fossero stati integrati e attuati nella prassi infermieristica.
STRUMENTI E METODI DELL’INDAGINE
L’indagine, svolta nei mesi di aprile, maggio, giugno 2003,
ha visto coinvolti gli infermieri di 4 Aziende sanitarie italiane: la Asl 11 di Empoli (Fi), la Asl 4 di Matera, la Asl di
Modena e l’Azienda ospedaliera Mater Domini di Catanzaro. Lo strumento utilizzato è stato un questionario,
somministrato a un campione di circa 150 infermieri per
ogni Azienda, per un totale di 600 questionari compilati: 131 per Catanzaro, 143 per Firenze, 150 per Modena,
176 per Matera.
Il campione doveva rispecchiare la reale preparazione
dei professionisti e pertanto l’indagine si rivolgeva ad
operatori indipendentemente dal periodo di acquisizione del diploma, dalla tipologia di formazione seguita e
dalla provenienza della realtà lavorativa (ospedaliera o
territoriale). Il questionario utilizzato è stato reperito nella letteratura inerente il tema, pertanto già testato.
I RISULTATI
Nelle province di Firenze, Modena e Catanzaro circa il 47%
degli infermieri campione ha un’età compresa tra i 26 e i
35, mentre a Matera la fascia di età predominante (il 46,62%
degli intervistati) è quella tra i 46 e i 55 anni. La quasi totalità del personale ha conseguito il titolo di infermiere nelle scuole regionali, tranne a Catanzaro, dove la giovane età
del campione di infermieri fa sì che per la maggiora parte
si siano diplomati al corso universitario in Scienze infermieristiche. Circa l’insegnamento di etica e deontologia, il
70% del campione totale afferma di aver ricevuto una for-
lo individuate in una formazione di base inadeguata, anche se questa appare senz’altro non efficace rispetto a
questi temi. Sarà comunque necessario sviluppare momenti formativi in grado di colmare le carenze emerse
nell’indagine.
mazione adeguata per esercitare la professione. Nel 50% PROPOSTE PER LA FORMAZIONE
circa dei casi i docenti erano stati degli infermieri, mentre Il tipo di formazione che proponiamo a tale riguardo si
per l’altro 50% si trattava di medici e religiosi. Durante la basa su due differenti fasi professionali: inizia con la preformazione di base, l’86% degli intervistati ha trattato il te- parazione di base da acquisire durante il corso di laurea
ma del segreto professionale, tema che tuttavia solo il 48% di primo livello in Scienze infermieristiche, ma sarà andegli infermieri ha potuto riaffrontare durante un corso di che presente in tutti i corsi per l’avanzamento di carrieaggiornamento. Per alcuni, questa è una grave mancanza ra e per la formazione continua. La prima fase, in defiin quanto il segreto professionale è considerato un tema ri- nitiva, è rivolta per gli studenti; la seconda è rivolta agli
levante al fine di migliorare la qualità dell’assistenza. Per al- infermieri già inseriti nel mondo del lavoro.
tri, invece, l’importanza di conoscere l’argomento risiede Nel primo anno del corso di formazione in Scienze infermieristiche dovranno essere affrontati i significati e i
nel timore di incorrere in sanzione se non si rispetta.
Il dato più interessante, però, è quello relativo alla cono- rapporti tra norme giuridiche, deontologiche ed etiche
scenza delle norme sul segreto professionale, in partico- e il rapporto di queste con la coscienza. Gli strumenti
lare quella contenuta nell’art. 622 del Codice Penale, co- teorici per questa fase di preparazione saranno lo studio
nosciuta solo dal 41% circa degli intervistati. Questo si- del Codice deontologico dell’infermiere; la definizione
gnifica che oltre la metà del campione non la conosce o di bioetica, la motivazione della sua nascita, i suoi conla conosce solo vagamente. Riguardo la conoscenza degli tenuti ed i principi fondamentali; il ruolo dei Comitati
articoli che sanciscono la riservatezza delle informazioni etici, del Tribunale dei diritti del malato e dell’Urp. Si poe il segreto nell’ultima versione del Codice deontologico trà inoltre svolgere un’analisi di documenti quali la Car(risalente a 5 anni fa), il 57% degli infermieri (il 71% a Mo- ta dei diritti del malato e la Carta dei servizi aziendale; codena) risponde di non aver avuto ancora il tempo di con- minciare ad affrontare la tematica della riservatezza delle informazioni e del segreto professionale, del consensultare il nuovo testo o di averne una conoscenza vaga.
Il 66% degli infermieri, infine, afferma di non aver mai so informato e dell’obiezione di coscienza.
rivelato un segreto professionale, mentre il 34% confes- Sarà utile, poi, analizzare il Codice deontologico approsa di averlo fatto in qualche circostanza, prevalentemente fondendo la parte IV, Rapporti con la persona assistita,
al fine di ricevere consigli da parte di colleghi interni o cercando di contestualizzare il ruolo della norma deonesterni all’équipe. È interessante evidenziare che gli in- tologica nell’agire quotidiano dell’infermiere. Affrontare,
inoltre, l’argomento del
fermieri che hanno dato
morire e del ruolo della
quest’ultima risposta sono
ERRATA CORRIGE
famiglia nelle decisioni
quelli che frequentano un
cliniche.
master: nessuno di loro ha
Gli infermieri redattori dell’articolo FadNell’ultimo anno di corattribuito la ragione della
Formazione a distanza: una
rivelazione del segreto alla
sperimentazione infermieristica, pubblicato so in Scienze infermieristiche si introdurrà il ternon conoscenza della norsu L’Infermiere n 1/2005,
mine “responsabilità”
mativa. La motivazione prinpp. 12-13, ci hanno inviato un messaggio
dell’infermiere in rifericipale è stata appunto quelsegnalando che, per un disguido tecnico
mento a particolari conla di ricevere dei consigli
verificatosi al momento dell’invio del
testi assistenziali come
dalla persona a cui aveva
materiale, non è stato inserito tra gli autori
la ricerca, la sperimenconfidato l’informazione.
Marco Piazza, “che ha portato un grande
tazione clinica e casi di
Un altro aspetto da sottolicontributo per la realizzazione del progetto.
persone in criticità vitaneare è quanto emerge dalle, facendo sempre rifela domanda circa la capaciCe ne scusiamo con il collega e con i lettori”.
rimento alle norme del
tà e la possibilità di isolare
Codice deontologico.
di volta in volta i dati da comunicare ai singoli operatori. Secondo l’indagine, il 31% Una volta che gli infermieri entreranno nel mondo del ladel campione non segue questo iter o non se ne pone voro ed inizieranno a confrontare le conoscenze acquisineanche il problema. Gli infermieri, insomma, sembrano te con la prassi infermieristica, sarà utile attivare un cirper la maggior parte pensare che per il solo fatto di lavo- cuito di eventi formativi destinati a tutti gli infermieri e
rare in équipe sia permesso dirsi tutto. Nonostante que- ripetuti per un numero di volte sufficienti a coprire l’insti dati dimostrino carenze di fondo sul segreto profes- tero numero di operatori. Si potranno, così, fornire le cosionale e sul Codice deontologico, c’è comunque una cer- noscenze generali e diffuse sul Codice deontologico e i
ta competenza nella gestione pratica: emerge infatti la nuovi orientamenti in esso contenuti; fornire conoscentendenza ad operare in modo rispettoso della volontà del ze e strumenti sul tema del segreto professionale; far acpaziente. Si evidenzia anche la preoccupazione e il desi- quisire abilità nella gestione corretta delle informazioni
derio di coinvolgere e responsabilizzare la persona inte- in situazioni assistenziali eticamente problematiche anressata nelle scelte che la riguardano al fine di promuo- che nel campo del segreto e della riservatezza, magari atverne l’autonomia. In definitiva, questi dati sollecitano al- traverso momenti di discussione e di confronto, anche al
cune riflessioni sia in relazione alle cause di carenze co- fine di sviluppare nell’infermiere il ruolo di advocacy.
* Infermiere formatore
noscitive così importanti, sia circa le strategie e gli interdel Dipartimento Formazione dell’Asl 11 di Empoli
venti correttivi da adottare per migliorare la situazione.
** Infermiere dirigente dell’Asl di Modena
Le cause, d’altra parte, non possono essere sempre e so-
Scienza e Management 17
In una dimensione europea, lo studio di un gruppo di infermieri italiani in un ospedale spagnolo
EPATITI B e C:
ma i pazienti conoscono i rischi?
DI
GIANCARLO CICOLINI*, GIANLUCA ANGELUCCI**, FRANCESCO GARGANO***
ESATTO IL 64% DELLE RISPOSTE, CHE RILEVA UN DISCRETO GRADO DI CONOSCENZA SULLE MODALITÀ DI TRASMISSIONE DEGLI AGENTI PATOGENI.
RESTANO, TUTTAVIA, UN PERICOLOSO 33% DI RISPOSTE ERRATE E UN 3% DI CASI IN CUI IL PAZIENTE NON SA COME RISPONDERE
INTRODUZIONE
L’incremento esponenziale dell’incidenza dei casi di epatite causati dai virus B e C, offre notevoli spunti di riflessione tra gli operatori sanitari. La professione infermieristica, in prima linea nella prevenzione e con un ruolo cardine
nell’educazione sanitaria dei pazienti affetti delle malattie infettive, ha l’obbligo di verificare
l’efficacia dei propri interventi durante l’iter assistenziale, soprattutto alla luce delle recenti e
certamente non ottimistiche stime dell’Oms, che
evidenziano la presenza di circa 300 milioni di
portatori del virus B e di circa 100 milioni di
portatori del virus C. Si potrebbe ipotizzare un
non sufficiente grado di conoscenze dei pazienti relativo al proprio stato patologico, correlato
ad un deficit negli interventi di educazione sanitaria da parte del professionista sanitario.
Lo studio, condotto grazie alla collaborazione tra
l’Università spagnola de La Coruña e l’Università
degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti, ci ha permesso di rilevare il livello di conoscenze dei pazienti affetti da epatite B e/o C riguardo alle modalità di trasmissione degli agenti eziologici oggetto di discussione.
Per accertare il livello di conoscenze è stato utilizzato un questionario anonimo, già validato in un precedente studio1, finalizzato all’acquisizione del grado di conoscenza dei pazienti relativo alle modalità
di trasmissione dei virus delle epatiti tipo B e C.
Il questionario, opportunamente tradotto in lingua spagnola, è stato somministrato ai pazienti affetti da epatite vitale tipo B e/o C e ricoverati presso il complesso ospedaliero Juan Canalejo a La Coruña, in Spagna. I risultati ottenuti hanno evidenziato un discreto livello d’informazione dell’utenza, ciò nonostante, l’analisi dei dati invita ad una
riflessione riguardo la necessità di interventi di
educazione sanitaria mirati, finalizzati all’acquisizione di maggiori conoscenze relative alla patologia in modo da colmate il deficit di conoscenze
esistente riducendo così il rischio di diffusione
delle epatiti.
MATERIALI E METODI
Il questionario utilizzato, finalizzato all’acquisizione del grado di conoscenza dei pazienti relativo alle modalità di trasmissione dei virus dell’epatite B e/o C, ha previsto 13 domande di cui 2 finalizzate all’acquisizione dei dati personali, quali
età e sesso del paziente ed altre 11 specifiche sulle modalità di trasmissione dei virus B e C.
Grazie alla fattiva collaborazione del responsabile e di tutta l’équipe dell’Unità operativa di Malattie infettive del complesso ospedaliero Juan Canalejo è stato possibile reclutate i soggetti campione a cui sottoporre il test.
Il campione è stato scelto in maniera casuale tra i
pazienti affetti da patologia infettiva, sia in fase
acuta che cronica, causata da uno dei due virus
(HBV o HCV) rivoltisi per accertamenti e/o cure
presso ambulatorio o l’Unità operativa di Malattie
infettive del nosocomio spagnolo.
La presentazione del questionario è stata affidata
a due infermieri, uno di nazionalità italiana ed uno
spagnolo, gli infermieri hanno illustrato le mere
finalità conoscitive dell’indagine.
I ricercatori hanno richiesto ai pazienti la loro disponibilità a rispondere al questionario, in caso di
risposta affermativa, sono entrati a far parte del
campione. Ai pazienti che hanno accettato di compilare il test, è stato somministrato il questionario
senza prevedere alcuna limitazione di tempo.
Grazie al linguaggio semplice e facilmente comprensibile delle domande contenute nel questionario, gli utenti hanno risposto autonomamente,
senza dover ricorrere a chiarimenti o spiegazioni
da parte dei ricercatori.
Hanno risposto al questionario, in modo del tutto incondizionato e volontario 50 utenti di cui 38
uomini e 12 donne, con un range d’età compresa
tra 32 e 58 anni.
[SEGUE]
▼
G
li infermieri hanno una funzione primaria nell’educazione sanitaria dei pazienti affetti da epatiti
emotrasmesse, fondamentali risultano gli interventi di educazione sanitaria finalizzati a migliorare il grado di conoscenze, sia riguardo alle modalità di diffusione sia riguardo le misure profilattiche efficaci a ridurre l’incidenza di tali patologie. Un’indagine conoscitiva, condotta da infermieri italiani presso un ospedale in Spagna, ha permesso di definire, su un campione di 50 pazienti,
il grado di conoscenze che i pazienti affetti da epatite B o C hanno, riguardo alle modalità di trasmissione dei virus stessi. I risultati hanno sostanzialmente evidenziato un discreto livello globale di conoscenze riguardo le modalità di trasmissione degli agenti patogeni oggetto di discussione.
1. G. Cicolini, N. D’Ettorre, F. Gargano. “Deficit di conoscenze relative alle modalità di trasmissione delle epatiti B e C. Ruolo di educatore sanitario dell’infermiere”, L’Infermiere n 3/2004, pag. 20.
Epatite C:ogni anno contagiati
100 infermieri e 9 chirurghi
In Italia, ogni anno, cento dei 300 mila infermieri professionali e nove dei 10 mila
chirurghi contraggano l’epatite C “sul lavoro”. Ad essere esposti a materiale biologico infetto è però la totalità dei professionisti sanitari e questo significa che, oltre a
coloro che contraggono la patologia, ci sono altri 299.900 infermieri e circa 9.990
chirurghi che vivono spesso mesi di ansia nell’attesa che gli esami li dichiarino fuori pericolo. Le informazioni sugli incidenti più frequenti per i professionisti della Sanità arrivano da un’indagine condotta dall’Associazione italiana responsabili servizi
prevenzione e protezione (Airespsa), dalla quale emerge che tra gli infortuni a rischio
biologico il 78,3% è causato da punture accidentali e tagli, di cui il 50,9% da aghi
cavi, il 27,4% da aghi pieni e taglienti, e il 21,7% da liquidi biologici.
E mentre negli Usa una legge che impone l’impiego di aghi di sicurezza ha ridotto le punture pericolose dell’85%, in Italia sono ancora poche le aziende ospedaliere che hanno deciso di affrontare la sicurezza biologica in tutti i reparti. “L’introduzione di dispositivi sicuri – ha commentato il direttore del Servizio prevenzione e protezione del San Martino di Genova, Dimitri Sossai – è un processo che
deve essere affrontato con gradualità. In un settore complesso come quello della
cura, ogni qualvolta si cambiano modalità operative, seppure finalizzate alla protezione e alla sicurezza dei lavoratori, si deve sapere che vengono introdotte variabili che richiedono un’accurata formazione e informazione del personale, diversi stadi di sperimentazione anche per garantire la massima qualità della fase
assistenziale verso i pazienti”.
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Scienza e Management
l’infermiere 3/2005
Figura 1. Percentuale delle risposte sul totale in Spagna
Figura 2. Dettagli delle risposte in Spagna
90%
3%
80%
70%
60%
Esatte
33%
64%
50%
Sbagliate
40%
Non sanno
30%
20%
10%
0%
1 domanda 2 domanda 3 domanda 4 domanda 5 domanda 6 domanda
Esatte
▼
RISULTATI
I risultati del questionario hanno evidenziato un
livello di conoscenze tra gli intervistati, riguardo
alle modalità di trasmissione ematica dei virus HBV
e HCV, meritevole di ulteriori approfondimenti. Le
risposte al questionario sono risultate esatte nel
64% dei casi mentre, sono risultate inesatte nel
36%, di queste ultime, il 33% sono risultate errate mentre, nel 3% dei casi gli utenti hanno dichiarato di non saper rispondere (Fig.1).
I dati hanno sostanzialmente evidenziato delle discrete conoscenze generiche sulle modalità di trasmissione degli agenti patogeni, nella prima domanda, con la quale è stato chiesto se il virus dell’epatite B viene trasmesso attraverso rapporti sessuali, hanno risposto in maniera esatta il 60% degli
intervistati contro un 32% di risposte inesatte mentre l’8% ha dichiarato di non saper rispondere.
Il quesito posto con la seconda domanda era il seguente: “Il virus dell’epatite B o C si trasmette attraverso un bacio?”, il 72% del campione ha risposto esattamente mentre il 28% ha risposto in
maniera errata.
Discrete anche le conoscenze relative alla diversa modalità di trasmissione dei virus HBV ed HCV
rispetto alle epatiti a trasmissione oro-fecale, ben
l’80% ha risposto in maniera corretta quando è
stato chiesto se l’epatite B o C può essere trasmessa
utilizzando le stesse posate, solo il l2% delle risposte è risultato non corretto, inoltre, sempre
una elevata percentuale degli intervistati (80%)
ha risposto correttamente dichiarando l’impossibilità di contrarre epatiti B e C mangiando frutti
di mare.
Riguardo alla trasmissione attraverso la cute lesa, hanno risposto in maniera corretta alla domanda specifica l’80% contro il 20% di risposte non corrette.
Discreta anche la conoscenza relativa alla patologia virale cronica ed alla sua cura, il 70% degli
utenti affermano che un paziente cronico può trasmettere il virus anche dopo molti anni contro il
30% di utenti che ne sostengono sempre la non
infettività inoltre, l’84% ha risposto esattamente
alla domanda relativa all’efficacia delle cure nei
confronti delle epatiti B/C contro il l6% di risposte non corrette.
In altre risposte abbiamo ancora una marcata definizione nelle risposte, l’80% degli utenti intervistati sostengono che il virus può essere trasmesso
attraverso un vettore quale la zanzara contro i 20%
che hanno risposto “no”.
Nelle ultime risposte è stato chiesto se, lavando indumenti sporchi di sangue infetto a 90°C, possiamo essere sicuri dell’uccisione del virus dell’epatite B o C, le risposte sono state cosi distribuite
60% “sì”, 30% “no” ed il 10% hanno risposto di non
sapere. La metà dei pazienti (50%) esclude in maniera assoluta, la possibilità di contagio attraverso trasfusioni con sangue infetto, il 40% di utenti sostiene la possibilità di contagio ed il 10% che
non sanno rispondere.
L’elaborazione dei risultati ottenuti ha evidenziato, in più della metà del campione totale, un discreto bagaglio nozionistico sulla patologia virale
epatica (Fig.2).
CONCLUSIONI
L’indagine conoscitiva ha evidenziato una discreta conoscenza generale da parte dei pazienti, relativa alle modalità di trasmissione delle epatiti B
e C. Non è però trascurabile la percentuale di risposte che non hanno soddisfatto le nostre aspettative infatti, il 36% del campione ha risposto in
maniera non corretta o dichiarando di non saper
rispondere alle domande formulate.
Questa ultima percentuale potrebbe essere considerata un punto di partenza per una serie di interventi finalizzati al miglioramento continuo del-
Indennizzo 210/92: un diritto dell’operatore sanitario
La legge 25 febbraio 1992, n. 210, prevede un
indennizzo economico a vita di importo variabile da un minimo a un massimo, ma comunque non inferiore a circa mille euro al bimestre, per gli operatori sanitari che, in occasione e durante il servizio, abbiano riportato danni permanenti alla integrità psico-fisica conseguenti a infezione contratta a seguito di contatto con sangue e suoi derivati provenienti da soggetti affetti da infezione da Hiv.
La Corte costituzionale, con sentenza 20 novembre 2002, n. 476, ha esteso il diritto all’indennizzo stesso anche agli operatori sanitari che, in occasione del servizio e durante il
medesimo, abbiano riportato danni permanenti alla integrità psico-fisica conseguenti a
infezione contratta a seguito di contatto con
sangue e suoi derivati provenienti da sogget-
ti affetti da epatiti.
Quindi, per avere diritto all’indennizzo nel caso di epatiti, occorre che l’operatore sanitario sia affetto da un’epatite virale cronica (o
che sia stato colpito da un’epatite virale fulminante), alle condizioni prima descritte. Il diritto all’indennizzo è indipendente dalle condizioni di reddito ed è autonomo rispetto alla eventuale causa di servizio.
L’Associazione EpaC Onlus, sostenuta da molti operatori sanitari che hanno contratto questa patologia in servizio, si sta adoperando per
tutelare le legittime richieste di indennizzo e
colmare la lacuna informativa su questo diritto. Per maggiori informazioni si può visitare il sito internet www.epac.it o contattare il
numero di telefono della sede EpaC al numero 039.6612460.
Sbagliate
7 domanda 8 domanda 9 domanda 10 domanda 11 domanda
Non sanno
le prestazioni assistenziali, ivi inclusa quella relativa agli interventi di educazione sanitaria, specifici della professione infermieristica.
Sicuramente sarebbe opportuno, al fine di migliorare l’indagine e considerando anche l’esiguità del campione osservato, ampliare osservazione,
cercando di estendere l’intervista ad un campione più ampio in modo da avere un quadro più definito sulle specifiche carenze dell’utenza. L’analisi del fabbisogno educativo è alla base di un intervento educativo, ci permette di conoscere ed
evidenziare il livello di conoscenza dell’utenza in
modo da pianificare interventi specifici finalizzati sia a soddisfare il bisogno d’informazione dei
pazienti e/o familiari sia a ridurre i rischi legati alla diffusione delle epatiti B e C.
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* Docente in Infermieristica,
Università G. D’Annunzio di Chieti, infermiere
ricercatore, Centro di Ricerca Clinica Cesi
** Studente corso di laurea in Infermieristica,
Università G. D’Annunzio di Chieti
*** Docente in Infermieristica, Università di Palermo