INTRODUZIONE Il grande dibattito tra scena e testo scritto che ha attraversato tutto il Novecento si è concluso, ammettendo che ogni scena incorpora un testo. Quest’ultimo può avere un’elevata scrittura letteraria o al contrario non esistere sotto questa forma; quando però si produce un evento teatrale, è certo che un testo è stato prodotto, o memorizzato nel corpo degli attori, o scritto sotto forma di canovaccio, o preesistente alla scena stessa e leggibile come drammaturgia. La questione su che cosa sia un testo drammaturgico e in che rapporto stia con la messinscena ha condizionato fin dalle origini il modo di considerare l’arte drammatica e le funzioni delle figure professionali coinvolte nella produzione degli spettacoli. La situazione nel Novecento si è complicata con la nascita della regia, che ha messo in discussione l’attività del drammaturgo, il quale si è trovato a modificare il suo modo di scrivere per la scena. Prima di entrare nel merito della drammaturgia del teatro della scuola, oggetto del presente lavoro di ricerca, si è ritenuto importante tracciare sinteticamente il percorso compiuto dalla drammaturgia nel corso del Novecento, mettendo in evidenza due aspetti fondamentali: il passaggio dalla scrittura teatrale dell’autore a quella del drammaturgo vero e proprio; il delinearsi degli elementi drammaturgici che hanno portato al teatro di narrazione, processo originato dalla graduale epicizzazione del dramma. È infatti interessante constatare come tale processo si rifletta nelle esperienze del teatro in un contesto particolare come quello scolastico, in quanto chi scrive testi per il teatro dei ragazzi si rifà ai modelli del teatro ufficiale più conosciuti e più diffusi nella propria epoca. Senza escludere il contesto europeo, si è concentrata l’attenzione 12 Introduzione sulle vicende teatrali del nostro Paese. In Italia, a differenza che nel resto d’Europa, nel periodo tra l’Ottocento e il Novecento, la forte presenza delle compagnie fondate sulla tradizione secolare della Commedia dell’Arte, all’interno delle quali si distinguevano le figure dominanti del grande attore e del capocomico, ha condizionato e rallentato l’affermarsi della regia teatrale, che si manifesterà solo negli anni Cinquanta del Novecento; tuttavia le novità introdotte da questa figura nella scrittura del testo, attraverso la stesura di libri contenenti le notazioni registiche (di cui prenderemo in esame gli esempi di Konstantin Stanislavskij e di Bertolt Brecht), influenzeranno in maniera indiretta anche i nostri autori: drammaturghi come Gabriele D’Annunzio e Luigi Pirandello tendono a far dilatare il testo teatrale in direzione della scena, tanto che possono essere definiti “protoregisti”. E questi non sono gli unici casi: proprio attraverso gli esempi tratti dalla produzione dei principali drammaturghi italiani tra cui Giuseppe Giacosa, Filippo Tommaso Marinetti, Pier Maria Rosso di San Secondo, Eduardo De Filippo, Giovanni Testori, Pier Paolo Pasolini e Carmelo Bene, si metteranno in evidenza quali sono le caratteristiche più diffuse nella modalità di scrittura che si ritroveranno nei testi del teatro-scuola. In particolare si analizzeranno i cambiamenti che si possono verificare nella didascalia, che è l’elemento del testo in cui l’autore rivela maggiormente la sua attenzione nei confronti della scena. Accanto a questo aspetto formale, si faranno emergere gli elementi che hanno caratterizzato la trasformazione del dramma nella sua graduale epicizzazione. Tale processo, che ha portato alla definizione del teatro di narrazione, sarà constatata attraverso un breve studio dei testi di alcuni dei medesimi autori italiani citati. La seconda parte del libro testimonia come ciò che è emerso a proposito della drammaturgia del teatro d’arte si ritrovi nel teatro della scuola. Si partirà dal considerare l’importanza che ha assunto l’attività teatrale in questo contesto formativo nel corso dell’Ottocento e nella prima metà del Novecento, come occasione educativa nel processo di crescita dei ragazzi, sia rispetto ai contenuti trasmessi dai testi stessi – attraverso i quali contribuiscono a diffondere i valori morali e civili –, sia rispetto all’esercizio della declamazione in pubblico. Per questo, mediante l’analisi di alcuni esempi, si cercherà di vedere, nella forma che assumono i testi drammaturgici, quanto gli autori si occupano della scena rispetto all’andamento della vicenda. A tale proposito si prenderanno in esame alcune commediole, bozzetti e scenette raccolte in antologie o pubblicati sulle riviste di ambito educativo, che rimangono le principali fonti fino all’av- Introduzione 13 vento del fenomeno dell’animazione teatrale alla fine degli anni Sessanta; con l’animazione, oltre a cambiare gli argomenti, si assiste al mutamento radicale della scrittura per il teatro dei ragazzi. Nell’indagine si prendono in considerazione diversi periodi compresi tra l’inizio del Novecento e gli anni Settanta, senza trascurare di fare riferimento a un’esperienza che si colloca a metà dell’Ottocento, per rilevare le eventuali differenze. Sostenuta in maniera decisa anche su un piano legislativo, negli anni Ottanta e Novanta, l’attività teatrale si diffonde in ogni ordine e grado di scuola, pur assumendo forme diversificate a seconda dell’età degli alunni; di conseguenza anche il testo drammaturgico scelto per essere impiegato per la rappresentazione di uno spettacolo risponderà a criteri diversificati. Si noterà che raramente viene scelto un testo drammaturgico già esistente – anche a causa di una scarsa disponibilità di pubblicazioni, in particolare per gli alunni delle scuole medie inferiori e superiori – e che in genere il testo viene steso dal gruppo a partire da un brano narrativo scelto in base al contenuto o, a volte, creato mediante percorsi di scrittura creativa su una tematica particolare. Cercando nella produzione di quanti – insegnanti, teatranti, scrittori o alunni stessi – si sono ritrovati a essere drammaturghi nella scuola, si faranno emergere quali differenze possano esistere nel loro modo di scrivere e quale sia la forma drammaturgica che meglio soddisfa le finalità educative che il teatro contribuisce a raggiungere in un contesto come la scuola. Parte II LA DRAMMATURGIA DELLA SCUOLA 3. IL TESTO TEATRALE IN AMBITO EDUCATIVO 3.1. L’EDUCAZIONE TEATRALE 3.1.1. Il teatro e i ragazzi Al di là della sua essenza artistica e della manifestazione professionistica, il teatro è un’attività che possiede una sostanziale rilevanza in ambito educativo. Ciò accade in quanto si è riscontrato che, paragonate a quella teatrale, poche altre attività possiedono una ricchezza formativa simile, tanto che il suo modello interessa in maniera sempre più rilevante l’istituzione scolastica. Per capire il valore dello strumento scenico in ambito educativo, occorre mettere in rilievo che in questi contesti il teatro non è solo un «veder fare», ma è un agire in prima persona 1. La prima forma di educazione drammatica non era istituzionalizzata: fin da piccolo un ragazzo imparava in modo spontaneo a essere un cacciatore, imitando e impersonando il ruolo del cacciatore. Già nell’antica Grecia il bimbo nei suoi primi anni veniva esercitato in giochi educativi finalizzati a indirizzarlo, tenendo conto delle sue inclinazioni e desideri, verso il compimento della sua perfezione di adulto; non solo, era anche ammesso a partecipare alle manifestazioni religiose e sociali che si svolgevano in forma spettacolare e drammatica. Con l’avvento della società feudale, il dramma entrò a far parte delle istituzioni. Nel Medioevo infatti il teatro in tutte le sue forme (rappresentazioni sacre, misteri, farse, mo1 Cfr. Claudio Bernardi, Al centro della nuova scuola. Il teatro della formazione: dalla rappresentazione all’azione, in Rosa di Rago (a cura di), Il teatro della scuola. Riflessioni, indagini ed esperienze, Milano, Angeli, 2001, p. 48. 106 3. Il testo teatrale in ambito educativo ralità) attirava le folle, nelle quali i bambini si mischiavano agli spettatori adulti. Si è certi però che i fanciulli partecipassero anche come attori alle numerose figurazioni per le imponenti rappresentazioni 2. La Chiesa fu la prima a utilizzare espressamente il dramma per fini educativi. Nel decimo secolo il ‘tropo’ del quem quaeritis, che raccontava la storia della Resurrezione di Cristo, venne introdotto nelle preghiere mattutine del giorno di Pasqua. L’importanza del quem quaeritis consiste nel fatto che, per la prima volta, il testo era concepito per essere recitato, piuttosto che semplicemente cantato. In esso si trova la prima forma di scenario drammatico che dapprima indicò ai monaci come assumere ruoli liturgici e più tardi insegnò al mimo profano i ruoli drammatici. Attraverso la drammatizzazione della Resurrezione di Cristo, molti fedeli illetterati, tra cui molti fanciulli, apprendevano la storia della Passione, partecipando più intensamente agli eventi simbolici della messa 3. La mira di queste rappresentazioni, anche quando, per influsso dello spirito classico e paganeggiante dell’Umanesimo, si sostituirono ai temi religiosi quelli mitologici, come ad esempio nella Favola di Orfeo del Poliziano, era di istruire ‘divertendo’, di agire educativamente, anche se talvolta un’eccessiva ingenuità e l’impreparazione tecnica portarono a composizioni non solo artisticamente fiacche, ma anche spiritualmente modeste. In questi casi però, come è evidente, non si è ancora di fronte a un vero e proprio teatro di ragazzi. L’iniziatore di quest’ultimo può essere considerato san Filippo Neri, il quale in pieno Cinquecento, per soddisfare la sua forte azione educativa, diede origine alla forma teatrale dell’Oratorio, che si colloca tra le più alte manifestazioni dell’arte scenica e musicale. Al suo interno l’antica laude venne modificata a causa dell’introduzione di recitativi e di cori, diventando gradualmente una composizione nuova e originale; questo fatto portò alla trasformazione dell’antico elemento originario che si intrecciò con motivi di ambito epico. I giovani parteciparono a queste nuove rappresentazioni come attori e cantori, detenendone una parte importante, se non la principale. 2 Cfr. Maria Signorelli, Il bambino e il teatro, Bologna, Malipiero, 1957, p. 8 s. Cfr. Gaetano Oliva, Una didattica per il teatro attraverso un modello: la narrazione, Padova, Cedam, 2000, p. XIII. 3 3.1. L’educazione teatrale 107 3.1.2. Il teatro nella scuola Fu proprio nel XVI e XVII secolo con san Filippo e coi Gesuiti 4 che si venne a creare una tradizione che riconobbe al teatro, soprattutto giovanile, un’alta e precisa funzione educativa 5. Il teatro a scuola quindi ha radici lontane nella storia. Il rapporto che si è creato nel tempo tra queste due istituzioni ha acquisito fondamentalmente due forme: da un lato si ha la drammatizzazione per celebrare particolari eventi, dall’altro si ha il gioco drammatico per trasmettere, con una didattica diversa, i contenuti scolastici. Per quanto riguarda il primo aspetto ci si riferisce alle recite di fine anno o a quelle in corrispondenza di ricorrenze festive religiose o nazionali, che vedono i ragazzi recitare parole, tematiche, azioni in cui si riscontra una notevole influenza dell’adulto. Per quanto riguarda il secondo aspetto, esso si riscontra in quella modalità di fare teatro con le materie scolastiche: storia, geografia, aritmetica, grammatica, scienze ecc. «anche in nome di un malinteso attivismo che mette sì in azione gli alunni, cioè non li fa restare seduti ai banchi, […] per farli immedesimare nel percorso dei fiumi e dei loro affluenti, per rivivere ‘giuramenti’ da Pontida alla Carboneria, per personificare ‘virgolette e apostrofi’, per costruire lance e spade, scudi e bandiere e stendardi da utilizzare nelle varie rappresentazioni» 6. Il teatro si propone come imitazione di modelli di comportamento, come prodotto spettacolo da realizzare nel rispetto assoluto del testo e dell’autore, non lasciando così spazio alle problematiche e all’inventiva del ragazzo, escludendo la possibilità che egli possa fare e consumare il suo teatro. Nel corso dell’Ottocento si fa consistente l’intervento diretto degli Stati nazionali anche nei confronti della scuola primaria, fino ad allora lasciata, salvo eccezioni, sostanzialmente nelle mani del clero 7. Ecco 4 Furono i Gesuiti a ideare nel ’500 il «teatro scolastico» come strumento non occasionale di educazione, ma come aspetto integrante dell’attività di insegnamento e di apprendimento e di formazione dei giovani: cfr. Claudio Desinan, Drammatizzazione e Scuola, Firenze, C.D.N., 1968, p. 10. 5 Cfr. Signorelli cit., p. 11. 6 Lodovico Mamprin - Loredana Perissinotto - Gian Renzo Morteo, Tre dialoghi sull’animazione, Roma, Bulzoni, 1977, p. 119. 7 Per ulteriori indicazioni sugli studi relativi alla storia della scuola dopo l’unità d’Italia cfr. Giorgio Canestri - Giuseppe Ricuperati, La scuola in Italia dalla legge Casati a oggi, Torino, 1976, pp. 28-30. 108 3. Il testo teatrale in ambito educativo che come eredità della vecchia pedagogia gesuitica incomincia a diffondersi nelle scuola la consuetudine delle recite scolastiche. Probabilmente il fenomeno riguarda dapprima le scuole private, quelle gestite da religiosi, o situazioni che comunque si trovano in una condizione di privilegio, rispetto alla scuola pubblica. Fra il 1850 e il 1920 si assiste a una produzione molto vasta di testi per ragazzi, destinati a essere recitati in famiglia, nei collegi, nella scuola pubblica 8. Con la riforma Gentile del 1923 il teatro viene introdotto ufficialmente nei programmi della scuola italiana, ma, anche così, non si discosta molto dalla tradizione ottocentesca 9. Fin dagli anni Trenta del Nocevento, il dramma è diventato un metodo educativo molto accreditato nelle scuole. Il rapporto tra educazione e dramma può essere visto in due modi: nel primo il dramma è considerato una disciplina autonoma in cui gli studenti studiano l’arte del dramma e del teatro; nel secondo, il dramma e il teatro sono utilizzati in modo trasversale per l’insegnamento di altre discipline. Il teatro ha quindi sempre avuto luogo nella scuola; è interessante notare però, per comprendere meglio le caratteristiche che tale attività ha via via assunto nel corso del tempo, che, come si sono susseguite molteplici idee riguardo quest’arte in rapporto alle diverse società in cui si è manifestata, così è cambiato il modo di intendere l’attività teatrale al di fuori del suo ambiente specifico. In particolare, per quanto concerne la nostra ricerca, è importante osservare in primo luogo il cambiamento che si è verificato al suo interno nel corso del Novecento e poi il rapporto con l’educazione. Non bisogna dimenticare infatti che per buona parte del secolo il contatto tra scuola e teatro è avvenuto in genere attraverso la fruizione da parte degli allievi di alcuni spettacoli presso i pubblici teatri cittadini, o, in alcuni casi, la partecipazione a lezioni frontali relative alla storia e alla critica del teatro. Queste situazioni – sicuramente degne di rispetto – sono a posteriori risultate insufficienti per avvicinare davvero i ragazzi al mondo e alla cultura teatrali. Accanto a queste modalità di educazione dei ragazzi al teatro come ‘pubblico’, vi è stata quella di far fare attività teatrale in maniera attiva mediante la realizzazione di spettacoli simili a 8 Cfr. Paolo Beneventi, Introduzione alla storia del teatro-ragazzi, Firenze, La Casa Usher, 1994, p. 88 s. 9 Cfr. Beneventi cit., p. 86. 3.1. L’educazione teatrale 109 quelli dei circuiti professionali. È ancora diffusa la convinzione che la recita di un testo imparato a memoria da parte di gruppi di ragazzi di fronte a coetanei, spesso disinteressati, o a parenti, coinvolti sul piano sostanzialmente affettivo, sia l’unica forma possibile di teatro-scuola, il cui compito riconosciuto è quello di educare il cittadino a essere parte delle istituzioni in maniera corretta o il ragazzo a esporsi a un pubblico. Se da un lato può essere ammirevole un tale intento, dall’altro una forma simile di teatro non mira alla formazione personale e alle relazioni formali e informali con gli altri. L’aprirsi in maniera massiccia dei laboratori teatrali nella seconda metà del Novecento ha sostanzialmente modificato questo tradizionale approccio al teatro da parte della scuola. Il laboratorio teatrale 10, infatti, è un teatro nuovo perché, allontanandosi dalle tradizionali modalità di relazione e creazione, sperimenta nuove strade: non utilizza un testo già fatto, ma un testo da creare con un lavoro di ricerca espressiva; non cerca il successo artistico, ma favorisce le relazioni del gruppo, il benessere personale, di gruppo e poi degli spettatori 11. Analizzando la storia recente del teatro della scuola si sono chiariti sempre meglio questi intenti educativi e culturali, riconoscendo nel gioco del teatro una risorsa tale da renderlo fruibile e funzionale al contesto scolastico – coinvolgendo gli alunni dalle materne alle superiori – conservando da un lato la specificità dell’evento teatrale e rispettando dall’altro la sua rispondenza alle finalità della scuola. Non bisogna dimenticare che in ambito formativo l’attività teatrale viene offerta come pretesto o come occasione in più per comunicare, esprimere, capire e conoscere gli altri e se stessi, per maturare liberamente il proprio rapporto con il mondo. 10 Per ulteriori chiarimenti sull’origine e sulle caratteristiche del laboratorio teatrale si veda Gaetano Oliva, Il laboratorio teatrale, Milano, Led, 1999. 11 Ivi, p. 49: «Il laboratorio teatrale cerca un tempo equo per il processo e per il prodotto, un equilibrio tra le due modalità di fare teatro per evitare la dipendenza da palco o, al contrario, la mistica di gruppo e l’autoesclusione della prospettiva unicamente laboratoriale. La correzione sia dell’estetismo teatrale sia della congrega in eterna autoterapia è la solidarietà del gruppo, la risoluzione di un problema reale di una persona o di una comunità. Tutte le idee e le nozioni che si apprendono a scuola devono servire ad affrontare e risolvere almeno qualcuno dei problemi che colpiscono qui e ora ciascuna persona». 110 3. Il testo teatrale in ambito educativo 3.1.3. Gli obiettivi del dramma Le molteplici possibilità di applicazione dell’attività teatrale in ambito educativo rendono difficile stabilire obiettivi concreti, soprattutto alla luce dei recenti studi relativi al binomio ‘teatro-educazione’. Tuttavia se si ritorna con il pensiero alle ragioni per cui si è fatto teatro nella scuola, si nota come queste siano direttamente legate all’idea di teatro presente in quella determinata epoca. In particolare, se si guarda al teatro dei collegi o a quello realizzato nelle scuole della prima metà del Novecento, si nota come innanzitutto emergano gli obiettivi educativi contenuti nelle storie dei testi drammatici scelti, accanto alla sollecitazione data ai ragazzi di mettersi in mostra, esercitandosi a parlare in pubblico. Con gli studi che hanno caratterizzato la seconda metà del secolo in relazione alla diffusione di nuove modalità di fare teatro a livello professionale e la loro applicazione in ambito scolastico, si è determinato un diverso modo di intendere il teatro della scuola e di porre, accanto ai contenuti dei testi, obiettivi educativi legati maggiormente alla realizzazione dell’attività stessa. Non bisogna dimenticare che l’educazione drammatica, la quale è al tempo stesso un’arte e un gioco, fa parte dell’educazione estetica. Risulta pertanto problematico specificare obiettivi che tendono a suscitare modifiche nel comportamento, perché molti dei cambiamenti qualitativi che avvengono tramite la drammatizzazione sono interiori e non osservabili. Molti studiosi e psicologi sostengono che tutti gli apprendimenti possono essere osservati, testati e quindi misurati, ma spesso si verifica che l’effetto dell’esperienza drammatica non si manifesti immediatamente; accanto a ciò, è da sottolineare come tale effetto rimanga latente, riscontrabile in processi interiori, non necessariamente legati a contenuti specifici e quindi difficilmente esplicitabili. Gli obiettivi della drammatizzazione in ambito scolastico possono essere così sintetizzati: sperimentare il lavoro teatrale; vivere una modalità nuova di apprendere dei contenuti; conoscere i processi linguistici e ideativi che stanno alla base del lavoro teatrale. È difficile analizzare il grado di apprendimento con il semplice studio degli aspetti comportamentali direttamente osservabili. L’apprendimento deve essere monitorato nel tempo, verificando gli sviluppi delle abilità drammatiche, dell’apprendimento, del pensiero e del linguaggio 12. 12 Cfr. Oliva, Una didattica per il teatro … cit., p. XV s. 3.1. L’educazione teatrale 111 In ambito scolastico l’importanza del teatro risiede nel fatto che questo, come il gioco, è un metodo naturale di apprendimento che inizia molto prima della normale scolarizzazione. Applicando il naturale processo di apprendimento tramite il gioco di ruolo e la messa in scena, l’insegnante ha la possibilità di utilizzare uno straordinario metodo educativo. «In questo contesto l’apprendimento dell’arte drammatica non è l’acquisizione di nuovi strumenti, trucchi ed esercizi ma, piuttosto, la loro eliminazione a vantaggio del processo che i bambini usano per dare senso al mondo: il gioco stesso» 13. 3.1.4. Lo studio della lingua attraverso l’attività teatrale Se si considera l’attività teatrale come una modalità in più che la scuola può utilizzare per realizzare i suoi intenti formativi, non bisogna trascurare uno degli obiettivi che maggiormente rafforzano il binomio ‘educazione e teatro’ a scuola: l’apprendimento della lingua. Questo processo è basato sull’abilità del bambino di giocare con i suoni e con le parole prima che sull’apprendimento delle regole grammaticali. Quando il bambino si impegna in dialoghi spontanei con altre persone, assimila il loro linguaggio e i loro ruoli arrivando così a comprendere i modi della comunicazione linguistica. Tutto ciò, quando il piccolo alunno raggiunge l’età evolutiva adatta, può essere direttamente connesso alla dimensione drammaturgica, ovvero all’utilizzo del testo teatrale e della sua messinscena. La drammatizzazione quindi può sviluppare le capacità di leggere e scrivere. Ciò avviene sia quando si impiega un testo già esistente per la rappresentazione, sia quando invece lo si stende per l’occorrenza. Il fatto di leggere o scrivere un testo che non rimane sulla carta ma diventa la base per un’attività che coinvolge la persona globalmente e la fa mettere in relazione con gli altri, siano essi i compagni-attori o i parenti-spettatori, costituisce già una motivazione che stimola gli alunni a impegnarsi attivamente. Anche l’avvicinamento a stili di linguaggio diversi, ad esempio quello elevato della poesia, quello più accessibile della prosa o quello più ludico della filastrocca, assume un’attenzione diversa. Ciò permette di affrontare lo studio di autori della storia della letteratura mediante la 13 Ibidem. 112 3. Il testo teatrale in ambito educativo lettura, l’analisi e anche la messinscena della loro produzione drammatica. Tenendo questi come modelli, spesso gli insegnanti o gli scrittori per l’infanzia si sono cimentati nella stesura di drammaturgie che rispecchiassero nei contenuti le caratteristiche dell’età degli alunni, e nella forma uno stile corretto e poetico ma accessibile anche ai bambini non ancora in grado per capacità e conoscenze di confrontarsi con i grandi della letteratura. Nel caso in cui si sia scelto – dal secondo dopoguerra in poi – di far stendere il testo ai ragazzi stessi, si è riscontrato come la finalità di scrivere per rappresentare abbia facilitato il loro coinvolgimento, in un’attività a volte difficoltosa per molti alunni, per il divario esistente tra lingua parlata e lingua scritta. Nonostante questa differenziazione esista anche nel teatro – in quanto la lingua utilizzata nelle battute sulla carta è poi passibile di modifiche quando si arriva alla fase della recitazione – il semplice fatto che ciò che è sulla carta «sia scritto per essere detto» avvicina la modalità di stesura e di impiego della lingua a una dimensione orale. Molte delle difficoltà e dei blocchi nello scrivere possono essere superate se gli allievi iniziano a improvvisare discorsi evitando l’aspetto meccanico della scrittura. Immedesimandosi nel ruolo di un altro che parla in un certo modo, il bambino ha l’opportunità di creare uno stile e una forma particolare di linguaggio. Il testo creato da questo semplice gioco di ruolo può essere registrato, oppure trascritto dall’insegnante o dagli stessi studenti quando diventano più abili nella scrittura. In questo modo il discorso può essere riascoltato o riletto, e il testo che ne deriva può essere continuamente perfezionato 14. Il tipo di scrittura che risulta è sicuramente creativo e personale 15. 14 Cfr. Oliva cit., p. XIII s. «Questo approccio può comprendere molte fasi tra cui: la presentazione di un problema, la sua trasformazione in particolari ruoli ed esperienze familiari allo studente, una interpretazione dei ruoli, la scrittura di un brano espositivo basato sulle interpretazioni. Per esempio, un insegnante della scuola media potrebbe proporre alla classe di scrivere un testo sulla salvaguardia dell’ambiente e la gestione dello smaltimento dei rifiuti urbani in una determinata comunità. Dopo aver introdotto l’argomento, aiuta ogni studente a creare il ruolo di un membro di quella comunità caratterizzato da un particolare punto di vista (ad esempio la protesta di un cittadino medio-borghese, un politico, un industriale). I ruoli possono essere scambiati con studenti che assumono punti di vista che contraddicono quelli assunti in precedenza. Come passo intermedio, gli studenti possono fare ricerca sull’argomento attraverso letture e interviste con i reali membri della comunità. A seguito dell’interpretazione di un ruolo e della ricerca, gli studenti possono esprimere, a parole o per 15 3.1. L’educazione teatrale 113 3.1.5. Tra testo e spettacolo: il laboratorio teatrale Il teatro educativo nel corso del tempo ha acquisito forme diverse e pertanto ha messo in luce obiettivi diversi. Nel Novecento, con la nascita del laboratorio teatrale a opera dei registi pedagogisti nell’ambito del teatro ufficiale, anche il teatro a scuola ha mutato le principali finalità che si proponeva. Infatti si è venuta a perdere la priorità affidata al testo e si è cominciato a dare nuove prospettive alla fase preparatoria, cioè al laboratorio teatrale. Si è così cominciato gradualmente a comprendere che quest’ultimo può essere sia un’attività che abolisce le rigide separazioni tra le materie di insegnamento sia una didattica di interdisciplinarità che permette la compresenza di tutte le forme espressive (la drammaturgia, la musica, la danza, il disegno ecc.). Attuando questa sintesi, nel laboratorio teatrale si valorizza la drammatizzazione come fondamentale momento per il processo conoscitivo e la crescita umana e si ribadisce l’importanza di un’attività che valorizza la dimensione ludica, permettendo all’individuo di liberarsi e di dar vita a un tipo di espressività che va oltre gli stereotipi e i condizionamenti. Rimanendo in ambito pedagogico, c’è da sottolineare come alcuni considerino la pratica laboratoriale del teatro, con tutti gli esercizi che lo compongono, come un modo per avvicinarsi alla rappresentazione, dal momento che considerano il confronto con il pubblico un’esperienza determinante. Per costoro il teatro, nella sua forma di spettacolo, è di per sé formativo: è l’oggetto finale che funge da pretesto e motivazione per l’esistenza stessa del laboratorio. In contrasto con questo punto di vista, c’è chi sostiene che il teatro educativo è un’esplorazione delle risorse espressive dell’individuo in una prospettiva di indagine e scoperta personale. Quest’ultima idea non nega la validità di un prodotto, ma la colloca in secondo piano rispetto al processo. Lo spettacolo, invece di essere il fine primario del lavoro di laboratorio, diventa la conclusione di un percorso di formazione, poiché si ritiene che precipitarsi fin dall’inizio verso uno spettacolo significherebbe impoverire un itinerario ricco di occasioni di crescita. Il laboratorio si configura più come un avvenimento che come una rappresentazione e privilegia la fase del processo che fornisce coscienza alla persona delle sue attitudini espressive. iscritto, i loro pensieri e i loro sentimenti immedesimandosi nel personaggio. Infine, può essere chiesto loro di creare un testo che si distacchi dalla drammatizzazione in prima persona, basato sul lavoro di ricerca e sul ruolo interpretato»: ivi, p. XVI. 114 3. Il testo teatrale in ambito educativo In relazione a quest’ultima prospettiva, la pedagogia teatrale si propone di costruire una tecnica riguardante lo sviluppo delle potenzialità espressive e comunicative dell’uomo. Lo spettacolo non viene escluso, ma deve emergere da un bisogno che si è sviluppato in modo naturale all’interno del gruppo. L’urgenza di realizzare qualcosa di teatrale per il pubblico ha senso solo nel caso in cui sia l’esito visibile di un percorso. Per questi motivi, quando si decide di dar vita a un testo da rappresentare, esso deve rispondere a necessità e riflessioni nate nel corso dell’attività; lo spettacolo non deve essere una realtà slegata da quella del laboratorio, ma deve trarre origine ed essere manifestazione del lavoro individuale e di gruppo. Una rappresentazione che voglia rispettare gli obiettivi prefissati dal laboratorio deve essere la sintesi dei contributi creativi di ognuno e della sua visione del mondo. A questo punto però si è arrivati attraverso diverse sperimentazioni e trasformazioni sia del teatro sia della scuola. La testimonianza più diretta che si ha del teatro rappresentato all’interno dell’istituzione scolastica è costituita dai testi drammaturgici che si sono conservati fino ai nostri giorni; ed è su questa documentazione che si concentra la presente ricerca. Per poter comprendere meglio l’evoluzione del rapporto tra teatro e scuola si parte con l’analizzare quale fosse la drammaturgia che caratterizzava l’attività teatrale nei collegi nel secondo Ottocento per poi studiare quella presente nella scuola della prima metà del Novecento; infine si dedicherà particolare attenzione alla specificità assunta dal testo teatrale all’interno di quel fenomeno che, tra gli anni Sessanta e Settanta, ha determinato una svolta nell’ambito del teatro della scuola: l’animazione teatrale. 3.2. CHE COSA RECITAVANO I RAGAZZI 3.2.1. La tradizione dei collegi Nell’ambito dei processi di formazione, i Gesuiti si distinsero in modo particolare per l’impiego massiccio che fecero del teatro 16. I loro collegi, 16 Per ulteriori ragguagli sul teatro di collegio dei Gesuiti cfr. Giovanna Zanlonghi, Teatri di formazione, Milano, Vita e pensiero, 2002, pp. 283-310. 3.2. Che cosa recitavano i ragazzi 115 ovunque sorgessero, furono caratterizzati dalla presenza di un teatro; ciò avvenne non solo in tutti i maggiori centri d’Europa, ma anche in America e in Asia. Al teatro i Padri attribuivano un’articolata pluralità di obiettivi scolastici e sociali; da questo punto di vista lo si può considerare un’anticipazione che, in termini moderni, si chiama ‘teatro politico’, «cioè esplicitamente ordinato a un fine e commisurato su un destinatario non ideale, ma storicamente definito» 17. L’attività teatrale offriva secondo i Gesuiti «un nuovo mezzo per sviluppare nei cuori degli allievi i sentimenti più generosi, per mettere sotto i loro occhi l’esempio assiduo della costanza e del coraggio che la virtù esige, per ispirar loro il disgusto dei vizi, esponendogliene il ridicolo e gli orrori, per fortificare la loro educazione religiosa e sociale» 18. Scopertone l’alto valore pedagogico, i religiosi diedero alle rappresentazioni teatrali un grande sviluppo e le circondarono di grande splendore. Il loro contributo in quest’ambito fu così rilevante che, nel corso del Seicento, incrementò lo sviluppo di una nuova cultura teatrale in Italia, poiché i Padri si avvalevano della competenza di drammaturghi specializzati, scenografi, coreografi, musicisti che hanno stimolato importanti riflessioni teoriche e favorito la circolazione di modelli e di testi 19. Con la comparsa nel 1599 della Ratio Studiorum e in particolare con i suoi ampliamenti e perfezionamenti successivi, anche il teatro fu sottoposto a regole severe e precise. Tra le altre prescrizioni, il paragrafo tredicesimo del capitolo delle Regole per il Rettore affermava: «L’argomento delle tragedie e delle commedie, sempre in latino e da rappresentare molto raramente, deve essere sacro e pio, e non vi deve essere inserito niente che non sia in latino e rispettoso della decenza. Non vi devono essere personaggi o travestimenti femminili» 20. A queste prescrizioni generali molte altre se ne aggiunsero, provenienti dalle varie congregazioni provinciali, tutte ispirate a grande severità. Tuttavia col tempo vennero apportate parecchie modifiche: si cominciarono a rappresentare di tanto in tanto lavori in volgare e poi an- 17 Gian Renzo Morteo, Una questione di lunga durata, in Loredana Perissinotto - Giorgio Testa (a cura di), Scena educazione. Per un rapporto organico tra scuola e teatro, Torino, ETI-Agita, 1995, p. 25. 18 Signorelli cit., p. 12. 19 Cfr. Laura Vignati, Storia delle filodrammatiche negli oratori milanesi, dalle origini ai nostri giorni, Milano, FOM, 1991, p. 23. 20 Morteo, Una questione di lunga durata cit., p. 23 s. 116 3. Il testo teatrale in ambito educativo che in lingua francese, qualche balletto, e si introdussero personaggi femminili; inoltre non bisogna dimenticare che «l’Accademia di arti ed esercizi cavallereschi si diffuse quale modalità rappresentativa primaria imponendo un’accentuazione dei codici gestuali e corporei» 21 e, con essa, si diffuse la tendenza a impiegare scenografie piuttosto sofisticate e soluzioni sceniche complesse. Questo processo di maggiore importanza che acquista l’esibizione delle attività motorie coreutiche e musicali 22 fece progressivamente perdere centralità, nel corso del Settecento, alla rappresentazione drammatica in senso stretto, fenomeno che affiancò quello dell’aggiornamento dei contenuti e anche delle tematiche rappresentate, fino al mutamento sostanziale avvenuto nell’Ottocento. Al di là di tutti questi aspetti che testimoniano la complessità del teatro nelle pratiche formative dei Gesuiti, è fondamentale sottolineare la quantità e la qualità dei testi drammatici rappresentati, la cui forma e i cui contenuti sono radicalmente cambiati nel corso del lungo periodo attraversato. Basti pensare che, per tre secoli, in ciascuno dei loro numerosissimi collegi sparsi in tutto il mondo, si rappresentò almeno una tragedia all’anno, e solo per eccezione lo stesso lavoro fu messo in scena due o tre volte. Si ha notizia di abbondanti raccolte di tali drammaturgie; si tratta generalmente di scritti di documentazione che riguardano gli argomenti degli spettacoli e delle accademie rappresentate; oltre a riportare quasi sempre il testo vero e proprio, sono ampliati mediante riferimenti alla scena e spiegazioni sui contenuti dei drammi 23. 21 Zanloghi cit., p. 285. «Tuttavia, la vera novità della rappresentazione accademica mi pare debba essere individuata nella sempre maggiore autonomia che all’actio viene riconosciuta»: ivi, p. 309. 23 Per quanto concerne le testimonianze documentarie sul teatro dei Gesuiti nel Settecento, «il giacimento documentario più cospicuo conservato presso la Biblioteca Nazionale Braidense è costituito dalla raccolta degli argomenti degli spettacoli e delle numerose accademie rappresentate. Questa tipologia testuale, già ampiamente diffusa nel secolo precedente, illustrava le ragioni dello spettacolo, ne esplicitava le motivazioni allegoriche ed accompagnava lo spettatore di scena in scena, fornendo per lo più il testo in volgare degli intermedi. Ora essa si presenta in una veste ancora più succinta […]. Il genere accademico iniziava a essere avvertito come la vera novità settecentesca: infatti, nonostante l’uso della lingua italiana rendesse inutile un’analitica spiegazione dei contenuti dei drammi, le periochè delle accademie risultano in ogni caso più dettagliate. Se la sintesi dei resoconti rende difficile ricostruire i mutamenti di scena, le entrate e le uscite dei personaggi e il tenore emotivo della singola situazione, è comunque possibile intravedere attraverso la succinta relazio22 3.2. Che cosa recitavano i ragazzi 117 Questi ultimi erano generalmente originali, opera degli stessi insegnanti del collegio; erano pensati in modo tale da permettere la partecipazione, a seconda del livello di difficoltà, di quasi tutti gli allievi: sono importanti quindi le scene di gruppo, i cori e i balletti allegorici 24. Molti Padri della Compagnia infatti, oltre che seguire come pedagoghi l’attività teatrale degli allievi 25, sono stati anche autori: hanno scritto in particolare sia trame di balletti sia trattati sui balletti, tanto che può dirsi che essi per primi abbiano posto le regole di quest’arte. Il balletto infatti è il lato più originale del teatro dei Gesuiti, dei cui spettacoli costituiva la principale attrattiva. Facendo danzare i loro scolari, essi si conformavano al gusto del tempo, credendo fortemente nell’intento di impartire ai giovani della nobiltà i primi elementi di un’arte necessaria per ben comportarsi nella vita. Oltre ai balletti, tra le varie forme drammatiche si rappresentavano in particolare due specie di drammi: la tragedia ‘grande’, in cinque atti, latina, recitata dagli allievi di retorica alla distribuzione dei premi di agosto, accompagnata dal balletto; la tragedia ‘piccola’, in tre atti, che potene l’intelaiatura drammatica complessiva dell’intera invenzione»: ivi, p. 295 s. È interessante osservare come all’interno di queste documentazioni si trovino indicazioni drammaturgiche e sceniche che fanno presagire i libri-cronaca dell’animazione teatrale del secondo Novecento. 24 Cfr. Morteo, Una questione di lunga durata cit., p. 25. 25 Per quanto concerne la pratica teatrale guidata dai padri, Vignati cit., p. 33 s. ha documentato che era ai migliori allievi che spettava il compito di apparire sul teatro; ma non era facile insegnare i ruoli e il modo di interpretarli a tutti quei ragazzi. Ve li esercitavano durante tutto l’anno. Secondo le regole dello studio, ogni settimana, nelle classi di umanità, si facevano degli esercizi letterari. In quel giorno si riunivano molti allievi per formare un pubblico più numeroso, e per mezz’ora si recitavano poesie, discorsi, elegie, idilli, cercando per prima cosa di pronunciare bene e poi di declamare. Una volta al mese, avevano luogo, per la durata di un’ora, esercizi più importanti. Prima di far declamare ai giovani una parte o un brano qualsiasi, si aveva cura di far comprendere esattamente il senso di ciò che avevano da dire. La recitazione dapprima era in tono consueto e familiare e, talvolta, il testo era tradotto nella lingua degli scolari, perché ne cogliessero meglio tutte le sfumature e tutti i dettagli. Solo compiuto questo lavoro preparatorio, l’allievo recitava i brani o le poesie con le intonazioni volute. Nei collegi dei Gesuiti il teatro affiancava le altre discipline formative destinate ai rampolli delle famiglie altolocate. Alle rappresentazioni che i giovinetti tenevano al termine dell’anno scolastico assisteva un pubblico di rango elevato. Solo davanti a un pubblico, infatti, e non più alla semplice classe, lo studente poteva dimostrare di avere acquisito quel senso di misura e decoro e quella sicurezza di sé che erano qualità indispensabili per chi fosse destinato a calcare i palcoscenici del teatro della corte e del potere. 118 3. Il testo teatrale in ambito educativo va anche essere sostituita da una commedia – dramma comico o pastorale – in latino o in lingua, recitata dagli allievi di seconda negli spettacoli dati durante il Carnevale. La tragedia 26 doveva servire ai ‘costumi’, ovvero all’educazione morale e sociale dei giovani. Il soggetto, pertanto, veniva tratto dalle Sacre Scritture o dagli Atti della Chiesa. Quanto alle commedie, anch’esse impiegate dai Gesuiti, fino al Settecento, dovevano avere un uso «raro e prudente a causa delle buffonate proprie di questo genere, che è poco compatibile con l’educazione pia e liberale della gioventù e può facilmente nuocere alla purezza del cuore», tanto che i soggetti puramente comici dovevano essere banditi perché i ragazzi delle famiglie altolocate non dovevano apprendere gesti e costumi e scherzi da servitori. Nel XVIII secolo invece gli argomenti dei drammi, anche se per la maggior parte attinti dalla storia sacra, alternano scene buffe e scene serie, con mescolanza di sacro e di profano 27. Dopo un lungo periodo di assenza, dovuto alla sospensione dell’ordine dei Gesuiti nel 1773 – a causa della quale si concluse una delle più grandi epoche del teatro scolastico – 28, con il ripristino delle attività della congregazione nel 1814, riprende pure il teatro dei collegi 29. Notevoli diversità rispetto al passato si manifestano non solo nella realizzazione scenica e nell’allestimento spettacolare, ma anche nella struttura e nella scelta dei testi drammatici. Come accade al teatro professionista nel corso dell’Ottocento, lo spostamento dell’asse tematico verso l’analisi interiore si ripercuote sulla struttura formale del dramma, le cui differenze rispetto alle tipologie drammaturgiche esistenti fino a quel momento sono molto rilevanti. Ben lontano dalla struttura della tragedia, per l’assenza di un conflitto tragico, esso si diversifica anche dalle accademie drammatiche, alle quali difettava una scansione dell’azione secondo le tappe tradizionali dell’esposizione dell’antefatto, del nodo, dell’inviluppo della peripezia e dello scioglimento finale. Rispettoso delle unità di luogo e di tempo, il dramma rispetta anche l’unità di azione 26 Proprio la tragedia nel 1700 è l’oggetto di un notevole interesse nei drammi di collegio: a causa dell’accresciuta preoccupazione razionale, la tragedia diventa «formalmente più sobria, più letteraria, meno impastata di visualità spettacolare»: Morteo, Una questione di lunga durata cit., p. 26. 27 Ivi, p. 33. 28 Cfr. Signorelli cit., pp. 13-16. 29 Cfr. Beneventi cit., p. 63. 3.2. Che cosa recitavano i ragazzi 119 anche se, di fatto, l’azione in senso tradizionale si dissolve. La vera novità rispetto alla drammaturgia secentesca sta proprio nel dilatarsi dell’azione e nel modificarsi della tipologia del conflitto 30. Ciò rispecchia in maniera evidente le caratteristiche formali del cosiddetto dramma moderno, le cui peculiarità sono state descritte nella prima parte di questo studio. A variare erano anche i contenuti, che dovevano trasmettere insegnamenti morali e regole di vita ispirate ai valori della contemporaneità. 3.2.2. Analisi di un testo: «Il fanciullo spazzacamino» di Arnauld Berquin Per esemplificare la tipologia dei testi che generalmente si impiegavano nei collegi verso la metà dell’Ottocento allo scopo di far recitare gli alunni, è stata scelta una raccolta in tre volumi a cura di Andrea Ubicini intitolata Teatro di educazione proposto alle famiglie ed ai collegi d’ambo i sessi, pubblicata a Milano nel 1843 31. Si ritiene interessante esemplificare in questo modo una tradizione che ha mantenuto fino all’inizio del Novecento una stretta fedeltà al processo di allestimento teatrale proprio delle compagnie di adulti mutuato, con pochissime variazioni, per i ragazzi. Anche la stesura dei testi risulta essere eseguita nel rispetto delle regole drammaturgiche del tempo. Di estremo rilievo è l’introduzione ai volumi del curatore della raccolta, che sottolinea chiaramente gli intenti educativi per i quali si realizza l’attività teatrale. È un desiderio di molte famiglie e quasi un bisogno nei collegi di esercitare i giovanetti d’ambo i sessi alla recita di composizioni drammatiche: via facile insieme e utilissima per dare il suo compimento all’educazione. Perocché quell’esercizio anticipa gran parte di quella pratica che bisogna pur fare nel mondo dopo essersi nelle scuole forniti dei migliori precetti; e abitua a quella modesta ma franca padronanza di sé, senza la quale va non di rado poco men che perduto il frutto di molta istruzione. Ma chiunque abbia qualche esperienza di queste cose conosce quanto sia difficile soddisfare degnamente al desiderio e al bisogno di cui parliamo: tanto difficile che molti, per timore di peggio, vi rinunziano affatto. 30 Cfr. Zanlonghi cit., p. 346. Andrea Ubicini (a cura di), Teatro di educazione proposto alle famiglie ed ai collegi d’ambo i sessi, 3 voll., Milano, s. e., 1843. 31 4. SCRIVERE IL TEATRO DELLA SCUOLA 4.1. L’EREDITÀ DELL’ANIMAZIONE TEATRALE 4.1.1. Il teatro della scuola alla fine del Novecento Il confronto fra il mondo del teatro e quello della scuola degli anni Settanta e l’entusiasmo carico di speranze nei confronti dell’animazione teatrale erano destinati a durare poco. Già agli inizi degli anni Ottanta si avviano profondi cambiamenti. Non si parla più di animazione teatrale, ma si inizia a parlare di ‘teatro-ragazzi’ o di teatro della scuola. La spinta innovatrice che l’animazione teatrale aveva sollecitato 1 e che aveva allontanato insegnanti e alunni dall’abitudine della recita di fine anno si esaurisce gradualmente. L’animazione perde di vista le sue finalità principali, ossia il rafforzamento delle capacità critiche di lettura e di trasformazione della realtà in cui una persona si trova a vivere attraverso il cambiamento delle capacità espressive e di comunicazione individuali e collettive. Venendo a mancare questo confronto con la realtà sociale, la ricerca di un sentire comune tra scuola e teatro viene abban1 Al centro di ogni forma di animazione teatrale si poneva «l’importanza e la valorizzazione della creatività, come sperimentazione delle potenzialità espressive di ognuno, la presa di coscienza da parte dei singoli e del gruppo (attraverso l’utilizzo del linguaggio corporeo, oltre che di quello verbale), la capacità di rappresentare e di interpretare in modo critico la realtà in un desiderio di trasformazione, l’assunzione di una possibilità di comunicazione di sé e dell’esperienza collettiva»: Maria Grazia Panigada, Il teatro a scuola. La formazione teatrale degli insegnanti in Italia, in Claudio Bernardi - Benvenuto Cuminetti - Sisto Dalla Palma (a c. di), I fuoriscena, Milano, Euresis, 2000, p. 220. 222 4. Scrivere il teatro della scuola donata per tornare a recuperare le funzioni tradizionali, in primo luogo la trasmissione di valori e modi di comportamento. È in questo periodo che molti animatori che provenivano dal teatro lasciano la scuola e ritornano al teatro. Nel valorizzare la propria dimensione professionale gli attori che si erano dedicati a fare teatro con i ragazzi, si concentrano sempre più a fare, in prima persona, teatro per i ragazzi, spostando la loro attenzione dal momento del laboratorio e dello scambio, come negli anni Settanta, a quello dello spettacolo 2. In questo modo risulta più curata la dimensione estetica del prodotto finale, ma decisamente impoverito il percorso educativo, soprattutto dal punto di vista drammaturgico, privato della dimensione sociale e culturale nel suo radicamento nella società. A nostro avviso ciò si è verificato – al di là delle mutate condizioni socio-politiche del nostro Paese – in seguito al progressivo ritorno a una gestione tradizionale dell’attività teatrale nella scuola, in particolar modo in relazione alle scelte e alle pratiche drammaturgiche. Con il finire delle spinte delle avanguardie e con il «ritorno del teatro nel teatro», si sono ristabiliti, come nei circuiti professionisti, i rapporti tradizionali della produzione teatrale, fatti di suddivisione di ruoli e funzioni: si è nuovamente inteso lo spettacolo come rappresentazione e interpretazione di un testo stabilito e non più come momento di espressione autentica di un gruppo (di una classe o di una scuola), modalità di comunicazione di contenuti e di relazione attiva con la comunità in cui tale gruppo è inserito 3. 2 Cfr. Panigada cit., p. 221. Si consideri inoltre che in genere gli animatori smettono di interrogarsi su quale sia la reale funzione del teatro nella scuola e lasciano questo ambito, con l’intenzione però di mantenere il contatto con la scuola, portando quest’ultima a fruire dello spettacolo teatrale, sia che ciò avvenga nell’edificio teatrale, sia che ciò avvenga nell’edificio scolastico. 3 «Il recupero della ritualità del teatro avvenuto nel Novecento e in particolare con una nuova antropologia del teatro, che si è manifestata in Italia in maniera forte durante il periodo caldo tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, ha fatto sì che prendesse piede e assumesse valore il fenomeno dell’animazione teatrale nella scuola, che ha visto una rinnovata unione tra attività teatrale da un lato e promozione sociale e quindi formativa dall’altro. Si è valorizzata così la rimessa in gioco dell’oralità, si è ridonata alla parola la sua dimora sensoriale, si è riaccolta la performance. Con la fine dell’animazione si è di nuovo creata questa interruzione tra teatro e società: si è passati di nuovo dal dominio dell’oralità a quello della scrittura»: Benvenuto Cuminetti, Introduzione a Claudio Bernardi - Benvenuto Cuminetti, L’ora di teatro, Milano, Euresis, 1998, p. 14 ss. 4.1. L’eredità dell’animazione teatrale 223 Come sempre, nel caso di esperienze culturali, dopo la spinta di rottura è avvenuto un rientro all’interno dei confini. Nel campo del teatro della scuola si è assistito a una trasformazione del teatro ‘dei ragazzi’ nel teatro ‘per i ragazzi’ intendendo con questa definizione non solo il teatro offerto ai ragazzi come spettatori, ma anche una strutturazione di percorsi che vedevano i ragazzi fruitori di un processo e non protagonisti di quel processo 4. E proprio in seguito a questo nel momento di trasformazione e di passaggio tra la fine dell’animazione teatrale e il delinearsi del teatro-scuola come si è poi andato definendo negli anni Ottanta e si è consolidato negli anni Novanta, si è riscontrata la generale tendenza a tornare a un modello adultocentrico fortemente direttivo 5. Gli insegnanti e i teatranti, finita l’animazione, sono tornati ai propri ruoli tradizionali, anche se questi stessi ruoli sono sicuramente stati rinnovati dalle esperienze compiute. Negli anni Ottanta infatti sono le compagnie teatrali e le cooperative che emergono come punti di riferimento per fare teatro nella scuola. Insieme a queste, grande importanza assumono le iniziative di singoli docenti, giunti di solito al teatro tramite un percorso personale, ma volenterosi nell’utilizzarlo come strumento per il proprio lavoro 6. Si riscontra un fiorire e moltiplicarsi di esperienze, dovute da un lato a una ormai storica presenza del teatro nella scuola e dall’altro alla spinta di alcuni protagonisti dell’animazione teatrale che hanno costituito associazioni e centri di ricerca per non lasciar cadere nel nulla i buoni risultati raggiunti; questo fenomeno ha sensibilizzato anche le istituzioni. Se già nei nuovi programmi didattici per la scuola primaria del 1985 7 si menzionano le attività teatrali – pur solo in riferimento alle cosiddette 4 «Un’evoluzione della situazione si registra tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta. Nella formula teatranti-animatori il termine teatranti tende a prendere il sopravvento; il rapporto con i ragazzi si fa meno essenziale, si assiste a un progressivo recupero del testo scritto»: Gian Renzo Morteo, Una questione di lunga durata, in Loredana Perissinotto - Giorgio Testa (a c. di), Scena educazione. Per un rapporto organico tra scuola e teatro, Torino, ETI-Agita, 1995, p. 51. 5 Cfr. Sisto Dalla Palma, Ricominciare da dove?, in Bernardi - Cuminetti cit., p. 19 ss. 6 Cfr. Panigada cit., p. 222 s. 7 Cfr. Nuovi programmi didattici per la scuola primaria, D.P.R. 12 febbraio 1985, n. 104, «La Gazzetta Ufficiale», 29 marzo 1985, n. 76, suppl. ord. In questo documento vengono individuati problemi e modalità di intervento raggiungibili con il teatro, ma non si avverte ancora la consapevolezza dell’efficacia di questo strumento, né la sua peculiarità rispetto alle arti plastiche e visive. 224 4. Scrivere il teatro della scuola educazioni (immagine, motorie e musicale) –, negli anni Novanta è dato un grande impulso al lavoro teatrale nella scuola grazie al sostegno offerto a livello legislativo in relazione alle attività di educazione alla salute (in particolare della prevenzione della tossicodipendenza e dell’insuccesso scolastico) 8. Nei riferimenti alle attività espressive, artistiche e teatrali, si avverte che i contenuti e le finalità di quest’ultima in particolare la rendono un’esperienza sicuramente idonea a perseguire finalità formative. Infatti si riscontra un massiccio impiego del teatro in molte scuole. Nel 1995 il fenomeno suscita l’attenzione del Ministero e viene per la prima volta ufficializzato questo rapporto istituzionale tra scuola e teatro attraverso la sottoscrizione del «Protocollo d’intesa relativo alla educazione al teatro», firmato dal Ministero e dall’ETI (Ente Teatrale Italiano) 9. Nel 1997, a soli due anni di distanza dal primo, già nell’ambito dell’autonomia scolastica 10 sancita dal Ministero in relazione all’organizzazione, la didattica e i finanziamenti, viene firmato un secondo protocollo, il «Protocollo d’intesa sull’Educazione alle Discipline dello Spettacolo» 11. 8 Si veda la legge Jervolino - Vassalli, 26 giugno 1990, n. 162, «La Gazzetta Ufficiale», 26 giugno 1990, n. 147, suppl. ord. Si faccia riferimento anche a D.P.R., 9 ottobre 1990, n. 309, «La Gazzetta Ufficiale», 31 ottobre 1990, n. 225, suppl. ord. 9 Per ulteriori ragguagli sul ‘Protocollo d’intesa relativo all’educazione al teatro’, 6 settembre 1995: cfr. Loredana Perissinotto, Teatri a scuola: aspetti, risorse, tendenze, Torino, Utet, 2001, p. 106 ss. 10 «Delega del Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa», legge 15 marzo 1997, n. 59, in «La Gazzetta ufficiale», 17 marzo, 1997, n. 63. Cfr. ivi, pp. 108-114. 11 «Protocollo d’intesa per l’educazione alle discipline dello spettacolo», 12 giugno 1997. È importante sottolineare che sono cambiati i firmatari: il Presidente del Consiglio dei ministri e del delegato per lo spettacolo, il Ministero della pubblica istruzione e del MURST (Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica). Il documento prende atto da una parte del fatto che «le attività espressive e artistiche hanno dato prova di offrire un contributo significativo dell’offerta formativa e per contrastare il disagio giovanile» (Perissinotto cit., p. 108 s.), e dall’altra che «il pubblico giovanile rappresenta un’area di utenza strategica per le attività di spettacolo, che hanno quindi una responsabilità di educazione del gusto delle giovani generazioni» (ivi, p. 109), oltre al fatto che «le discipline dello spettacolo e i linguaggi multimediali possono svolgere una funzione orientativa verso nuovi sbocchi professionali». Questa volta le condizioni sono più specifiche: si sottolinea 4.1. L’eredità dell’animazione teatrale 225 Infine nel 2000 viene firmato un terzo «Protocollo d’intesa» 12 tra il Ministero della pubblica istruzione e l’Associazione di teatri d’arte contemporanea (AGIS). In questo documento ci si pone soprattutto l’obiettivo di creare una rete di scambio e di informazione che permetta di mettere in contatto gli Uffici scolastici anche periferici, e con essi le singole scuole, con le iniziative dei teatri e degli enti territoriali nel campo teatrale. D’altra parte spetta all’AGIS il compito di studiare nuove iniziative specifiche per ogni territorio e indirizzarle soprattutto a quelle aree geografiche che sono prive di esperienze strutturate, collaborando in prima istanza con le università. Intanto nelle scuole si diffonde il sistema di assegnare agli insegnanti responsabilità sul teatro considerato alla stregua delle varie attività speciali, il più delle volte però senza fornire le condizioni e gli strumenti per agire in modo adeguato. Per questo diventa utile avvalersi di un esperto teatrale, ovvero confidare su una formula qual è quella del partenariato. 4.1.2. Dal gioco drammatico alla riduzione dei classici Molteplici sono le forme che ha assunto l’attività teatrale nella scuola nel periodo compreso tra il 1980 e la fine del secolo; trattandosi di un passato molto recente, è particolarmente complesso tracciare ora un bilancio. Quello che si può fare è cercare di individuare, almeno approssimativamente, le tipologie teatrali cui si possono ricondurre le diverse esperienze a seconda degli ordini e gradi di scuola. Innanzitutto è possibile sottolineare che la scuola primaria ha recepito – prima della scuola media inferiore e superiore e forse in maniera più marcata – come fondante e fondamentale l’accezione di teatro come laboratorio, dimostrandosi capace così di raccogliere le eredità sia dell’animazione sia delle avanguardie teatrali del Novecento. L’intervento «l’importanza della pluralità di linguaggi per la crescita non solo estetica, ma soprattutto critica ed etica delle nuove generazioni» (Panigada cit., p. 229). 12 «Protocollo d’intesa tra Ministero della Pubblica istruzione Ispettore educazione fisica e sportiva – coordinamento delle attività per gli studenti e associazione teatri d’arte contemporanea AGIS (Associazione Generale italiana dello Spettacolo)», 25 ottobre 2000. Per ulteriori notizie sulla fervente attenzione dedicata a queste problematiche si veda Perissinotto cit., pp. 101-105. 226 4. Scrivere il teatro della scuola laboratoriale viene inteso come processo di formazione, di liberazione delle potenzialità espressive individuali e di gruppo, che trova in se stesso il suo valore e la sua funzione, itinerario pedagogico prima che teatrale, che propone di sperimentare nuove modalità di vedere, di conoscere e di valutare la realtà. Al suo interno si sviluppa, come modalità di lavoro che coinvolge gli alunni delle scuole materne e del primo ciclo delle scuole elementari, il gioco drammatico; esso è, come il gioco spontaneo, una creazione individuale, ma nello stesso tempo è anche un’attività di gruppo che prevede l’osservazione di regole precise, tra le quali assume maggiore rilevanza quella della cooperazione 13. Il gioco drammatico si differenzia dal teatro propriamente detto perché si basa su uno schema orale suscettibile di variazioni, anziché su un testo scritto, le parti sono scelte dai partecipanti (a eccezione di alcuni casi in cui si rende necessario l’intervento diretto dell’insegnante), le azioni e le battute sono improvvisate su un tema scelto, anziché imparate dagli attori; ciò fa sì che il gioco drammatico può non riuscire se il tema non favorisce l’azione dei bambini, mentre la commedia o il dramma in senso lato devono svolgersi in tutte le loro parti perché abbiano senso. Ogni gioco drammatico è basato su una trama verbale precisa. Si tratta di un momento di dialogo durante il quale l’insegnante-conduttore di laboratorio deve stimolare gli alunni a tracciare le principali linee del gioco. Le sequenze sono suggerite dai bambini. Le parti da recitare sono distribuite dall’insegnante nel rispetto dei desideri degli alunni; gli argomenti che costituiscono la trama del gioco drammatico sono generalmente suggeriti dai piccoli allievi, che manifestano i loro particolari interessi; pertanto possono riguardare il vissuto familiare e la vita quotidiana, o situazioni ritrovate negli avvenimenti di attualità forniti attraverso il mezzo televisivo. Si pensa che i racconti non siano indicati perché i bambini incontrano difficoltà a ritrovare la successione dei fatti. Al contrario si può suggerire di diventare personaggi di una storia conosciuta della quale può essere inventato il seguito con gli alunni. Si constata che molto presto i 13 «È stabilito che ognuno deve conservare la parte scelta, sia durante una sequenza, sia durante l’intera durata del gioco scenico. È anche stabilito che non tutti gli allievi della classe possano recitare nello stesso tempo e che occorre, in alcuni momenti, accettare di far parte dei non partecipanti. Questi guarderanno sapendo che la prossima volta sarà il loro turno»: Gaetano Oliva, Il teatro nella scuola, Milano, Led, 1999, p. 58. 4.1. L’eredità dell’animazione teatrale 227 piccoli attori fanno vivere gli eroi che rappresentano la loro vita di tutti i giorni, mentre raramente immaginano avvenimenti favolosi o meravigliosi. Sembra che utilizzino e mischino elementi televisivi ed elementi di racconti per creare episodi che non hanno nessun legame tra di loro se non quello costituito dalla continuità della presenza dei personaggi 14. Il gioco drammatico non ha un risultato spettacolare, e si conclude all’interno del laboratorio. Al contrario, nella scuola materna ed elementare, soprattutto a partire dal secondo ciclo, e poi via via nella scuola media inferiore e superiore, si trovano significative esperienze in cui si riscontra la tendenza di concludere il laboratorio – fase di sperimentazione e ricerca di modalità espressive finalizzata a favorire la fantasia e la creatività di ciascun alunno – con l’esportazione all’esterno dei suoi risultati attraverso l’allestimento di uno spettacolo più o meno strutturato. Accade però che talvolta la finalizzazione allo spettacolo si imponga fin dall’inizio e condizioni lo svolgimento dell’intero percorso. Le numerose rassegne di teatroscuola in cui confluisce la maggior parte di questi lavori testimoniano l’ampiezza e l’eterogeneità di una produzione che viene proposta a un pubblico non esclusivamente composto da genitori o altri parenti. Nonostante si trovino ancora spesso tracce di recite o saggi allestiti in maniera tradizionale (rappresentazione di scenette con relativa distribuzione di parti da imparare a memoria) in occasione di ricorrenze religiose e civili o in corrispondenza di particolari momenti del calendario scolastico, anche nella dimensione dello spettacolo, la scuola in buona parte tende a privilegiare un’accezione antropologica dell’esperienza teatrale: cioè si tende a iniziare il percorso dalla rielaborazione del vissuto o delle dinamiche del gruppo-classe o della comunità in cui la classe è inserita. Si ritrovano diverse modalità che illustrano il punto di partenza e i conseguenti percorsi che portano alla realizzazione della rappresentazione finale, che costituisce l’esito visibile del percorso svolto. Questi modi assumono caratteri differenti a seconda dell’ordine e grado di scuola in cui si verifica l’attività teatrale. Talvolta il testo non nasce in funzione teatrale, ma semplicemente come raccolta di immagini, di intuizioni, di riflessioni dei bambini, che 14 Ivi, pp. 58-74. Se ad esempio una classe decide che il contenuto del suo gioco sarà il matrimonio, prima di cominciare verrà esposto tutto quello che succederà, e ciò sarà ricordato dall’insegnante durante lo svolgimento e alla fine dell’incontro. In questo modo i bambini sanno dove si svolge l’azione e ciò che si è deciso di fare. 228 4. Scrivere il teatro della scuola successivamente vengono rivisitate in forma drammaturgica. È una linea di tendenza presente soprattutto nelle scuole materne e nelle elementari: i temi più frequentemente affrontati sono le paure, i ricordi d’infanzia, i conflitti con i genitori, i progetti per il futuro, l’entusiasmo e l’inquietudine del processo di crescita. Questi spunti, spesso tradotti in disegni o piccoli scritti da parte dei bambini, rimangono come appunti stesi dall’insegnante allo scopo di avere memoria di quanto successo negli incontri di preparazione e vengono conservati all’interno della scuola; tali esperienze non sono ripetibili perché troppo intimamente legate al vissuto di quel gruppo, quindi in genere non vengono stese in forma drammaturgica e tanto meno vengono pubblicate; pertanto è difficile trovare testimonianze dirette di queste esperienze, se non chiedendo personalmente agli insegnanti che hanno fatto quell’esperienza di rendere consultabile il materiale relativo e le tracce, a volte sparse, che restano. Altre esperienze teatrali significative attuate nelle scuole elementari e medie prendono avvio da un testo letterario. Il repertorio di testi teatrali ‘pronti’ per ragazzi è ridottissimo; così, nella maggior parte dei casi, la classe confeziona da sé il proprio testo, grazie all’intervento dell’insegnante, partendo da un testo narrativo. Si rivisita il patrimonio fiabistico tradizionale, oppure si frequentano gli autori classici o contemporanei della letteratura infantile: alle medie ad esempio si trae ispirazione frequentemente dal testo di narrativa in adozione. Si cerca di tradurre il codice letterario nel codice teatrale, seguendo lo sviluppo della fabula e integrando la partitura verbale con il gesto, il colore, la musica, i costumi, le immagini – elementi della messinscena che entrano nel tessuto del testo drammatico. Talvolta l’opera di partenza viene assunta come ‘opera aperta’, cioè come una proposta-stimolo che suscita emozioni, memorie, associazioni soggettive. Lo spettacolo finale si costruisce dunque sulle suggestioni fornite dall’autore letterario e sull’eco che esse suscitano nella vita del gruppo; altre volte si contamina il testo di partenza con riferimenti all’attualità o con altri testi affini per tematica 15. Accanto a questa modalità che sembra essere la più diffusa, ve ne sono altre. È una scelta poco frequentata, ma da cui emergono segnali di grande interesse, quella di far avviare l’esperienza sullo stimolo che gli alunni hanno dal rapporto con un’opera d’arte, musicale o pittorica, o con spettacoli teatrali 16. C’è poi una linea d’intervento che va nella dire15 Cfr. Mafra Gagliardi, Esperienze teatrali nella scuola italiana, in Bernardi Cuminetti cit., p. 104. 4.1. L’eredità dell’animazione teatrale 229 zione del teatro didattico, «intendendo con questo termine una pluralità di esperienze composite in cui il teatro […] viene utilizzato come strumento per approfondire la conoscenza di un argomento di studio (un periodo storico, una regione geografica, un aspetto della letteratura, l’esercizio di una lingua straniera, un argomento di matematica ecc.) o per comunicare il risultato di ricerche e riflessioni su contenuti culturali, temi di attualità o di impegno civile (la pubblicità, la pace e la guerra, l’ecologia, la Resistenza ecc.)» 17. Anche in questo caso appare evidente che il teatro della scuola fa emergere meglio le sue potenzialità quando sta lontano dall’imitazione del teatro ufficiale e trova ispirazione nel teatro arcaico e di ricerca 18. Al di là di alcune apprezzabili eccezioni, molti spettacoli realizzati all’interno di percorsi teatrali nelle scuole – in particolare medie e superiori – non sanno rifarsi a un modello definito. Spesso la scarsa conoscenza del teatro d’avanguardia e la presenza così radicata e diffusa del modello del teatro borghese – montato sulla struttura aristotelica e rappresentato in uno spazio che prevede il rapporto frontale tra attore e spettatore – rendono molto difficile che nella scuola si accolgano di buon grado modalità espressive e spettacolari diverse. Si sente ancora come determinante l’apprezzamento e il riconoscimento da parte del pubblico, composto da parenti e da compagni di scuola oppure più eterogeneo, di un prodotto che corrisponda alle aspettative comuni basate sulle tradizionali recite scolastiche. Tale era l’unica modalità che, fino a una decina di anni fa, era presente nelle scuole superiori. Trovato un testo, si cercavano ragazzi che fossero disposti a fare il protagonista, il caratterista e le comparse. Da qualche anno a questa parte la connotazione laboratoriale è entrata anche in questo grado di scuola, e si è trasformata «in un’altra via percorri16 Riguardo alle reazioni dei bambini spettatori di opere teatrali si veda Mafra Gagliardi, Il bambino spettatore, «Comunicazioni Sociali», aprile-settembre 1985, pp. 96-103. 17 Gagliardi, Esperienze … cit., p. 105. 18 Oltre alle manifestazioni spettacolari descritte nelle pagine relative alle esperienze dell’animazione, non si può dimenticare di ricordare che in tempi recenti «è nuovamente emersa una tipologia teatrale, molto vicina alla dimensione rituale, che sembrava scomparsa con l’animazione: il teatro-festa. Lo spettacolo, cioè, esce dalla scuola e invade uno spazio pubblico – una piazza, un giardino, una loggia – offrendosi a tutta la comunità e coinvolgendola in un’azione ludica collettiva» (ivi, p. 107). 230 4. Scrivere il teatro della scuola bile, equidistante da un teatro professionale e da un teatro amatoriale, vicina piuttosto al teatro di ricerca, connotato da una forte voglia di esprimersi, che a volte è difficile trovare nel teatro professionale» 19. Ciò che distingue quest’ultimo dall’esperienza fatta nella scuola è la progettualità: il teatro fatto in ambito scolastico si propone di esprimere in maniera consapevole il processo di ricerca, crescita e costruzione di cultura affrontato dal gruppo di allievi. All’interno di tale processo si hanno infatti il momento dell’elaborazione del testo, dell’idea, dell’attuazione, cioè della messa in scena, e infine il momento della verifica con il pubblico; se il tutto viene scritto, si ha anche un importante strumento di documentazione, che consegna quell’evento alla memoria storica. Nelle scuole superiori, quindi, la struttura del lavoro laboratoriale prevede solitamente la rielaborazione drammaturgica, anche perché l’età evolutiva degli allievi, come confermato dai programmi scolastici, fa ritenere che essi siano in grado di affrontare anche il lavoro sul testo. Si trovano interessanti testimonianze di esperienze in cui, poiché il docente che conduce l’attività è appassionato di teatro e competente in materia, viene condotta una ricerca drammaturgica su testi degli autori del Novecento il cui modo di scrivere per il teatro è uno spunto prezioso per stimolare l’attività creativa dei ragazzi. Tra questi esempi si può ricordare quello di Antonio Nave che, insegnando Lettere in un ginnasio, qualche anno fa propose ai suoi studenti un approccio del tutto nuovo allo studio del romanzo manzoniano. Dice Nave: «L’idea era quella di una sperimentazione teatrale, in seno alla didattica del testo letterario, con il coinvolgimento dell’intera classe, nella pluralità di mansioni e di ruoli, per la messa in scena de I promessi sposi alla prova di Giovanni Testori. Non si trattava della consueta drammatizzazione in classe, né di un generico adattamento scenico dell’opera manzoniana. Quello a cui lavorammo era un vero testo di teatro contemporaneo» 20. Tuttavia il ricorso a testi teatrali contemporanei è molto raro: ciò è dovuto, a nostro avviso, a una scarsa conoscenza di questa letteratura da parte dei docenti stessi, e soprattutto alla difficoltà di ricondurre tali esperienze all’interno dei programmi scolastici. È molto più diffusa la tendenza a lavorare su testi teatrali classici, tra cui non mancano mai i grandi archetipi del teatro greco o Shake19 Claudio Facchinelli, Laboratori teatrali nelle scuole superiori, in Bernardi Cuminetti cit., p. 116. 20 È degna di nota l’intera esperienza di Antonio Nave, ‘Quando si vive una passione, ecco il vero teatro’, in Perissinotto - Testa cit., pp. 120-126. 4.1. L’eredità dell’animazione teatrale 231 speare e Pirandello; il lavoro viene condotto secondo modalità molto diversificate tra loro 21, anche se quella più comune consiste nella loro rivisitazione alla luce della cultura giovanile. Al di là di queste esperienze, nelle scuole dove si imposta il percorso teatrale nella dimensione del laboratorio, la drammaturgia è frutto di un lavoro di invenzione e di improvvisazione su un tema proposto dall’operatore o nato all’interno del gruppo 22. 4.1.3. Il testo nel teatro della scuola degli anni Ottanta e Novanta Nella scuola di ogni ordine e grado si registra nell’ultimo ventennio del Novecento una significativa tendenza alla pratica teatrale. È però difficile tracciare una mappa esauriente di un settore in continuo movimento, dove manca una documentazione precisa di quanto è stato fatto. Solo negli ultimi tempi infatti si sta diffondendo l’uso della documentazione video, che consente di salvare qualcosa di più di quanto non si riuscisse a fare in passato con l’archiviazione dei testi degli eventi teatrali. Paradossalmente, fino alla svolta a opera delle nuove avanguardie che hanno sostenuto la creazione collettiva e la dimensione del laboratorio – facendo perdere importanza alla centralità del testo teatrale scritto, così come era stato tramandato dalla tradizione –, ciò che ha permesso di conoscere molti aspetti dell’attività teatrale nella scuola rimane proprio il testo teatrale; esso, come si è visto, veniva in alcuni casi riprodotto sulle riviste scolastiche o in altri casi pubblicato in un libro a sé o in una raccolta specifica. Dopo l’animazione teatrale – che peraltro ha utilizzato 21 «La scelta del testo rappresenta un problema delicato. […] ‘Siccome siamo in un liceo classico rappresentiamo la tragedia greca’, ‘Siccome abbiamo studiato il verismo facciamo la Cavalleria rusticana’; ‘Siccome studiamo inglese mettiamo in scena il Midsummer night’s dream’. Non che non si possa partire da quei testi, ma in questo caso deve esserci una profonda rielaborazione drammaturgica, da compiersi con il coinvolgimento e l’apporto attivo degli studenti. […] La preoccupazione di un collegamento tra il curriculum scolastico e l’attività teatrale è legittima […] ma un collegamento reale, non pretestuoso, tra i due momenti può trovarsi in termini più organici e significativi di quanto non sia l’aggancio formale al programma di letteratura: il laboratorio teatrale può integrare e rendere più penetrante la trattazione trasversale di temi di grande rilevanza educativa»: Claudio Facchinelli, È una terza cosa, in Perissinotto - Testa cit., p. 137 s. 22 Per l’esemplificazione vedi Facchinelli, Laboratori teatrali … cit., p. 123. 232 4. Scrivere il teatro della scuola il libro-cronaca per raccontare le proprie esperienze – si è diffusa l’abitudine di non fissare in una forma scritta la drammaturgia della rappresentazione; tale pratica però, provocando una mancanza di documentazione, colloca queste esperienze nella dimensione dell’‘evento’, unico, ripetibile solo dal medesimo gruppo che ne ha memoria. Una testimonianza in questo senso può essere costituita dalla dichiarazione di Roberto Piumini nell’introduzione 23 a uno dei pochissimi testi pubblicati di teatro per adolescenti: lo scrittore lamenta la «difficoltà a trovare, semplicemente, testi teatrali scritti di qualità decente» 24, poiché, soprattutto attorno ai primi anni Ottanta, ma il fenomeno si è protratto nel decennio successivo, «abbondavano i resti dello spontaneismo anti-testo degli anni ’60-’70». Nonostante questo limite, tra le pubblicazioni esistenti dei testi impiegati per il teatro-scuola tra il 1980 e l’inizio del nuovo secolo, si vogliono segnalare alcuni esempi di drammaturgie. La particolarità che può risultare curiosa è quella che si ritrovano, anche se in modica quantità, testi pensati per bambini e preadolescenti (approssimativamente, per alunni delle scuole elementari e dei primi due anni delle scuole medie), mentre si sono rinvenuti pochi testi pubblicati specificamente per ragazzi dell’ultimo anno delle scuole medie e delle scuole superiori (si può estendere questo dato alla categoria degli adolescenti). Ciò può significare a nostro parere che per questi allievi, considerati fino a poco meno di un decennio fa già ‘grandi’ – in una scuola dedita alla trasmissione di saperi o professionalità e poco alla crescita globale della persona –, non si pensa più a un testo steso appositamente da scrittori-drammaturghi o insegnanti; al contrario, nei casi in cui non si realizza addirittura la messinscena di una drammaturgia scelta tra quelle per il teatro ‘per/degli adulti’, viene ipotizzato il coinvolgimento diretto dei ragazzi o nella stesura originale di una drammaturgia o nella riduzione di un classico (sia esso di origine narrativa, oppure già teatrale). I testi evidenziati di seguito, quasi tutti adatti quindi a bambini e preadolescenti, a eccezione dell’ultimo destinato ad adolescenti, a nostro parere possono essere suddivisi in due categorie: da un lato quelli pensati espressamente per il teatro dei ragazzi, prodotti in genere da in23 Roberto Piumini, Su ‘Caino e Abele nell’isola della guerra’, in Donatella Diamanti, Caino e Abele nell’isola della guerra, «Quaderni di Teatro», dicembre 1994, p. 5 s. 24 Ivi, p. 5. 4.1. L’eredità dell’animazione teatrale 233 segnanti o educatori, dall’altro invece quelli prodotti per il teatro per ragazzi, realizzati spesso da scrittori e da operatori teatrali; questi ultimi però possono essere utilizzati come traccia per una successiva rielaborazione o riduzione da parte di un gruppo di allievi per la realizzazione della loro attività teatrale. Tale operazione è possibile e anche agevole in quanto gli autori, sapendo di rivolgersi a un pubblico di ragazzi, hanno tenuto conto dell’età evolutiva degli spettatori: i testi in questione quindi sia per gli argomenti, sia per la struttura, si prestano, con le opportune modifiche, anche a un teatro fatto dai ragazzi. Non bisogna dimenticare che, dietro tutti questi testi, è comunque evidente la figura di un adulto, la quale emerge dalla scelta dei contenuti, dalla logica che sta sotto la costruzione della fabula e dell’intreccio, dalla padronanza della lingua e della scrittura. 4.1.4. La drammaturgia di insegnanti ed educatori: esempi di testi Leggendo le pubblicazioni di testi teatrali che gli insegnanti hanno scritto o raccolto per l’attività teatrale a scuola, si avverte immediatamente come ci sia una forte attenzione nella stesura della drammaturgia al fatto che quei testi sono destinati a un gruppo di attori bambini o ragazzi e al fatto che la rappresentazione che ne consegue avvenga a scuola. Due tendenze convivono nel teatro-scuola dell’ultimo ventennio del Novecento: una – più sviluppata all’inizio degli anni Ottanta – rimane fedele alla tradizione e ripropone un modello di teatro che poco si discosta (se non per il linguaggio o per le mutate condizioni socio-culturali) da quello che si è ritrovato nei decenni precedenti la svolta dell’animazione teatrale, con la tendenza alla realizzazione di recite, saggi, scenette musicate scritte in occasione di ricorrenze religiose e civili, pur con qualche insofferenza nei confronti del modello ‘borghese’; l’altra – emersa più chiaramente dopo la metà degli anni Novanta – si adegua invece alle nuove prospettive aperte dal ‘nuovo teatro’ 25 e dal teatro di narrazione. Per quanto riguarda la prima tendenza, si propongono alcuni brani 25 «[…] l’insieme di fatti, esperienze e proposte teatrali al quale, dalla fine degli anni Cinquanta, sono stati dati nomi come ‘teatro d’avanguardia’, ‘teatro di ricerca’, ‘teatro sperimentale’ e, appunto, ‘nuovo teatro’»: Marco De Marinis, Il nuovo teatro. 1947-1970, Milano, Bompiani, 2000, p. 1. 234 4. Scrivere il teatro della scuola tratti dalla raccolta curata da Teresa Lovera dal titolo Antologia gioconda. Poesie, dialoghi, scenette, canti per le feste religiose, scolastiche, familiari 26. Si tratta di testi raccolti e pubblicati all’inizio degli anni Ottanta, ma scritti anche precedentemente; è infatti presente tra gli autori Giuseppe Fanciulli 27, attivo in particolare nel ventennio tra le due guerre. Si tratta di testi pensati per coinvolgere i bambini della scuola materna ed elementare sia come spettatori sia come attori. Il fatto che siano stati raccolti e pubblicati all’inizio degli anni Ottanta testimonia che essi sono ritenuti validi e suggeriti, nonostante possano apparire legati a una forma e a una modalità teatrale piuttosto datata, che non tiene conto delle trasformazioni operate dall’animazione teatrale. Il primo testo dell’antologia preso in esame si intitola La visita a Gesù ed è tratto dalla sezione riguardante la festa di Natale. Il numero dei personaggi è ridotto, e quindi poco adatto alla realizzazione a scuola (che in genere ha la necessità di far partecipare all’attività teatrale molti allievi); si deduce quindi sia stato pensato per un pubblico di bambini; è però significativo l’intento didattico e soprattutto moralistico che la scelta del testo ha per gli allievi. Si tratta di una riduzione operata su un testo narrativo – un racconto di Lev Nicolaevic Tolstoj – da G. Bitelli. Dal modo con cui è scritta, è evidente che l’operazione di riduzione dal testo narrativo al testo teatrale è stata compiuta da un adulto – probabilmente si tratta di un insegnante – che poi deve aver affidato agli attori il compito di rappresentare la scena descritta minuziosamente nel testo. La rappresentazione mette in scena una vicenda immaginaria capitata a un calzolaio, in prossimità delle feste natalizie. v La visita a Gesù 28 da un racconto di Leone Tolstoi Personaggi: MARTINO, il calzolaio IL PELLEGRINO STEFANO, lo spazzino UNA DONNA con un bimbo in braccio 26 Teresa Lovera, Antologia gioconda. Poesie, dialoghi, scenette, canti per le feste religiose, scolastiche, familiari, Brescia, La Scuola, 1984. Sono spunti offerti per attività da svolgere in occasione di ricorrenze religiose o civili e in concomitanza con particolari momenti del calendario scolastico. 27 Cfr. Paolo Beneventi, Introduzione alla storia del teatro-ragazzi, Firenze, La Casa Usher, 1994, p. 116 s. 28 I brani del testo sono tratti da Lovera cit., p. 189 ss. 4.1. L’eredità dell’animazione teatrale 235 I tempo (Martino, il calzolaio, siede al suo deschetto, col capo fra le mani, in atto pensoso e triste. Un colpo all’uscio) MARTINO Chi è? UNA VOCE Sono un pellegrino. Chiedo di riposare un po’, prima di riprendere il cammino. MARTINO (va alla porta, l’apre) Siate il benvenuto nella mia povera casa! PELLEGRINO (saluta con un sommesso: Deo gratias! È alto, un po’ curvo. Ha sulle spalle un mantelletto, in mano un sacco e il bastone di pellegrino). MARTINO Di dove vieni, buon uomo? PELLEGRINO Vengo dai luoghi Santi, dove mi son fermato otto anni per far penitenza. Se permettete, mi riposo un po’ e poi mi rimetto in viaggio. Vorrei celebrare nella mia terra la santa festa di Natale. MARTINO Siedi e riposa. (Con un sospiro) La tua visita conforta un po’ la mia solitudine. Come si nota già dalle prime battute, la scena rispecchia i canoni della struttura drammatica tradizionale. Dopo l’elenco dei personaggi – persone adulte –, la didascalia iniziale descrive l’ambientazione: l’interno di una povera casa. Il protagonista siede in atteggiamento pensoso. Si presenta immediatamente un secondo personaggio che interviene per dare inizio all’azione: dal dialogo tra i due e dal dono del libro del Vangelo scaturisce il climax che troverà soluzione nel terzo tempo della vicenda rappresentata, che si svolge interamente nella stessa casa di Martino, nell’arco di due giorni. Le tre macrosequenze in cui è diviso il testo sono definite ‘tempi’, scansione drammaturgica che in alcune occasioni sostituisce la dicitura ‘atto’ 29. Non è presente la divisione in scene, data anche la brevità dell’opera. Tuttavia, nonostante l’impostazione aristotelica della struttura del testo, si avverte il tentativo di rendere maggiormente didattica la rappresentazione senza che si sia ancora trovata la soluzione drammaturgica al problema: in una nota posta alla fine del testo, nella quale viene data notevole importanza anche alla musica, si suggerisce l’introduzione della figura del Lettore, che svolga le funzioni analoghe a quelle che possedeva nella drammaturgia tradizionale il Coro: (Per rendere più chiaro lo svolgersi dell’azione si può far entrare un Lettore, che commenti lo svolgimento dell’azione stessa. Suono di zampogna, canti 29 Cfr. Gian Renzo Morteo, Il testo teatrale e l’origine della regia, Torino, Giappichelli, 1973, p. 22. 236 4. Scrivere il teatro della scuola natalizi pastorali accompagnino la rappresentazione: ora più, ora meno lontani, ma sempre tenui, come un sommesso commento all’azione) Sono anche interessanti le indicazioni di carattere registico suggerite per la realizzazione della messinscena, sempre motivate da finalità di carattere pedagogico e didattico più che estetico: Per meglio ambientarlo come rappresentazione natalizia, si potrà far apparire alla fine, sullo sfondo, la figura di Gesù a braccia aperte. In tal caso, sarà essa che pronuncia le parole: «Avevo fame!» Un altro testo, intitolato Su, pastori, alla capanna, è definito «scenetta musicata». Si tratta di una breve azione teatrale scritta da Anna Foce in occasione del Natale. È esplicitamente indicato nella prima didascalia che la messinscena va realizzata in un vasto locale (non è quindi necessario un teatro, che separa anche spazialmente attori e pubblico e favorisce così i testi fondati sul climax emotivo e sull’immedesimazione nella situazione rappresentata), dove si troveranno i bambini-attori e le famiglie invitate. Nel vasto locale destinato all’azione dei bambini, ed alle famiglie invitate, debbono essere fissati due punti: quello più lontano, sebbene molto ben in luce, per il presepio, l’altro in posizione opposta, per una tenda improvvisata con alcuni bastoni e qualche telo che dia l’idea di un rifugio notturno per i pastori. All’inizio della breve azione il presepio deve essere velato con mezzo escogitato dalla genialità della educatrice (potrebbero servire due alberelli ben fronzuti, fissati in altrettanti vasi, che al momento opportuno vengono spostati ai lati con movimento rapidissimo mentre l’attenzione generale è rivolta al piccolo corteo di pastori che si avvia verso Gesù) 30 Interessante notare, come avviene nell’esempio precedente, la tendenza dell’autrice a suggerire le soluzioni tecniche per la messinscena. Questo segnale fa intuire come il testo scritto fosse considerato prezioso anche per annotazioni di carattere registico e scenotecnico – si veda anche il riferimento all’impiego delle luci –, cosa che allontana la drammaturgia da una funzione puramente letteraria e la avvicina a una pratica scenica, che fa modificare la scrittura in funzione delle esigenze di rappresentazione. La didascalia prosegue poi con la descrizione della prima scena in cui i pastori stanno dormendo con le pecore. Il numero imprecisato dei personaggi dà modo di far partecipare al lavoro molti alunni. 30 Anna Foce, Su, pastori, alla capanna, in Lovera cit., p. 228 s. 4.1. L’eredità dell’animazione teatrale 237 Ampie parti della rappresentazione comportano l’esecuzione di brani musicali e canzoni, i cui spartiti sono pubblicati di seguito al testo. La presenza dei cantori e del pianoforte a lato della scena costituisce un elemento importante, rafforzato dal fatto che anche i personaggi-angeli, passando vicino alla tenda dei pastori, «si arrestano per cantare»: ciò estrania dalla vicenda rappresentata, mostrando la finzione scenica. (Il coro sarà eseguito da un gruppo di bimbi raccolti attorno al pianoforte ed all’harmonium posti da un lato) Vicino alla tenda passano gli Angeli: e si arrestano per cantare: Ascoltate il divino richiamo: venite, venite alla capanna … Gesù è nato, il Redentor! Venite, o pastori, non tardate; Gesù è laggiù, il Dio d’amore … Nonostante la brevità del testo, emerge che la struttura drammaturgica si avvicina già più del precedente alla narrazione: i pastori sono i narratori che si suddividono in semplici battute il compito di annunciare la nascita di Gesù. L’azione dello spostamento dall’accampamento alla capanna è sostenuta dai commenti verbali, che prendono solo in prestito la struttura formale del dialogo, e dalle canzoni che servono per narrare l’evento, e non costituisce più di per sé «ciò che riempie per intero la rappresentazione» 31. La vicenda infatti diviene oggetto di narrazione in una dimensione teatrale. Dalla contrapposizione tra rappresentazione narrante e vicenda narrata scaturisce la totalità dell’opera, piccola o grande che sia: il risultato di questa operazione è ciò che il pubblico è destinato a ricevere. Un ultimo esempio tratto da questa antologia è costituito da un breve dialogo di argomento religioso di Giovanna Di Bella, che si riporta per la particolarità dello stile. Si tratta infatti di semplici battute costruite in rima: questo genere di modalità espressiva ha trovato grande diffusione nella scuola, in particolare nelle scuole materne e nelle elementari; si pone tra la canzone e il linguaggio parlato, è molto musicale e nello stesso tempo ha in sé una componente poetica, comunque impiegata da una certa letteratura teatrale, che permette di modificare le parole con vezzeggiativi o diminutivi, e variare la costruzione della frase, con modalità poco praticabili in prosa. Non viene però trascurata la performatività del linguaggio scenico, che prevede chiarezza e brevità delle espressioni, e l’utilizzo del 31 Peter Szondi, Teoria del dramma moderno, Torino, Einaudi, 1962, p. 97. 238 4. Scrivere il teatro della scuola discorso diretto che, eliminando la presenza del narratore, fa porre domande e dare risposte secondo un ritmo incalzante da parte dei due personaggi, estremamente vivi nel qui e ora dell’azione dialogata (pur non essendo esplicitata la dimensione corporea e spaziale in genere presente nelle didascalie di un testo teatrale completo). Befana, dove sei? 32 BAMBINO Befana, Befanina, dove sei? Perché resti celata agli occhi miei? Attenta: ieri notte un topolino Passeggiava beato sul camino. BEFANA Pupo, tu sei un amore di bimbetto! Desidero far teco un discorsetto. […] BAMBINO E a quei piccoli che non dicon mai: «Gesù ti voglio bene tanto tanto»? BEFANA Ah! Per questo, sta’ attento, sono guai: sento gli occhi velarmisi di pianto! BAMBINO E cosa metterai nel calzettino? BEFANA Un bel nulla, neppure un briciolino! Anche negli anni Novanta gli insegnanti continuano il loro impegno nello scrivere testi per l’attività teatrale nelle scuole. Un esempio è costituito dalla pubblicazione intitolata Sipario tra i banchi 33, in cui si raccolgono «copioni già pronti» per «fare teatro insieme ai bambini». Non si tratta semplicemente di un’antologia o di una raccolta di testi scritti appositamente per far recitare gli alunni, ma il libro si presenta come un vero e proprio ‘manuale’ che offre riflessioni teoriche e consigli pratici emersi dall’esperienza di alcuni insegnanti, per realizzare rappresentazioni teatrali a scuola. Gli argomenti sono scelti non solo, come avveniva in passato, in relazione alle ricorrenze religiose (Magico Natale, quadro unico sul senso del Natale), ma anche tenendo conto delle attività didattiche quali storia (Il banchetto nuziale, quadro unico sui miti dell’antica Grecia), geografia e studi sociali (Il Naso, cinque quadri di un viaggio intorno al mondo) e letteratura (Il brutto anatroccolo, fiaba in due quadri). Già nelle riviste di argomento educativo diffuse tra gli insegnanti nella seconda metà del Novecento si era rilevata la tendenza a commentare il 32 Giovanna Di Bella, Befana dove sei?, in Lovera cit., p. 269 s. Massimo Mastromarchi - Martina Racconi, Sipario tra i banchi, Saronno, Monti, 1999. 33 239 4.1. L’eredità dell’animazione teatrale testo pubblicato, introducendo suggerimenti per la sua realizzazione scenica. Questa tendenza è qui maggiormente marcata nell’intento di evidenziare le linee guida per la costruzione del testo teatrale, e così «dare una mano agli insegnanti interessati a sperimentare il gioco del teatro a scuola, collegandolo alle attività disciplinari, con il coinvolgimento attivo dei bambini stessi» 34. Si è scelto di riportare un testo che ha come contenuto un aspetto del programma della storia antica. L’argomento è dichiarato nel sottotitolo, ove si specifica anche che si tratta di un quadro unico. Il termine ‘quadro’ – impiegato nel teatro epico – allontana immediatamente dall’ambito del teatro aristotelico, che si fondava sulla divisione in atti corrispondenti ai diversi momenti relativi al climax della vicenda35 . Il banchetto nuziale 36 quadro unico sui miti dell’antica Grecia Parti: GLI DEI: – ZEUS – ERA – APOLLO – […] GLI EROI: – ERACLE – TESEO – PARIDE – […] ALTRI: – PROMETEO – DEDALO – ICARO – […] L’elenco, già suddiviso in tre categorie, comprende la presenza di ventisette personaggi. Nelle note contenenti i suggerimenti pratici si afferma che «ad eccezione dei bambini che impersonano Zeus e Afrodite, gli altri possono interpretare anche due ruoli». Seguono un’analisi delle caratteristiche dei personaggi e alcune indicazioni sui loro costumi: «Gli Dei sono piuttosto capricciosi e dispettosi, proprio come ce li tramanda la tradizione mitologica. Costume: un corto gonnellino sopra dei calzoncini corti, una fascia sulla spalla destra, calzettoni bianchi, una maglietta» 37. Prologo (A sipario chiuso, tre Ninfe, muovendosi con grazie e leggerezza, spiegano al pubblico cosa sono i miti e raccontano la trama dello spettacolo). 34 35 36 37 Ivi, quarta di copertina. Cfr. Morteo, Il testo teatrale … cit., p. 22 s. I brani del testo sono tratti da Mastromarchi - Racconi cit., pp. 67-77. Ivi, p. 62 s. 240 4. Scrivere il teatro della scuola 1 NINFA Salve, noi siamo le Ninfe. 2 NINFA L’anima delle piccole cose. 3 NINFA Siamo nell’aria, nell’acqua, nel bosco! 1 NINFA Non siamo vere! Siamo il frutto della fantasia di uomini vissuti alcuni millenni fa nell’antica Grecia. […] 3 NINFA Ed ecco i protagonisti di questo racconto! Scena prima (Musica 1: marcia trionfale, da Aida, di Verdi. Gli dei fanno il loro ingresso a coppie, e col passo seguono il ritmo della musica: passerella davanti al pubblico e ingresso sul palco, a sipario sempre chiuso. Durante la presentazione, la musica si abbassa, per non coprire la voce delle Ninfe). 1 NINFA Questi è Zeus, padre di tutti gli dei, signore del cielo, giudice universale, con sua moglie Era, protettrice dei matrimoni e delle nascite. È molto interessante l’impiego del prologo, in cui le ninfe, che hanno la funzione di personaggio-coro, inquadrano al pubblico la situazione in cui avverranno le azioni seguenti, apostrofandolo direttamente, con la rottura della ‘quarta parete’. La voce delle ninfe sarà presente anche all’ingresso di Zeus, di cui farà la presentazione. Questi escamotage evidenziano la modalità narrativa della messinscena. Il testo si compone di un alternarsi di scene in cui prevale la narrazione vera e propria, affidata cioè a uno o più narratori esterni alla vicenda, e scene in cui la narrazione è condotta dai personaggi stessi che stanno partecipando a un’azione. Nell’esempio seguente, terminata la presentazione, si apre il sipario e si accendono le luci mentre gli dei festeggiano a tavola. Scena terza (dialoghi al banchetto) […] APOLLO Già, vi ricordate di quella volta che gli uomini hanno fatto un bello scherzetto a Zeus? DIONISO Quale? Quale scherzetto? […] ZEUS (Si alza) – Ah! Adesso ricordo, sì. Quella volta mi sono proprio infuriato, e ho detto (con fare arcigno): «Come avete osato, uomini, prendervi gioco di me, il dio più potente di tutti? Ora per punirvi, vi toglierò il fuoco!». APOLLO Così per gli uomini cominciò un periodo molto triste e buio. POSEIDONE Mangiavano la carne cruda, come gli animali. Il dialogo serve per far procedere la narrazione. L’unica azione che avviene e che fa da cornice a tutto il testo è la partecipazione al banchetto, 4.1. L’eredità dell’animazione teatrale 241 con la conversazione tra gli dei. Tutto ciò che essi raccontano, e che costituisce il contenuto autentico e didattico del testo, è già avvenuto; la vicenda ‘qui e ora’ serve semplicemente come cornice-pretesto per esporre i concetti che si vuole siano appresi dagli alunni. In appoggio alla narrazione verbale viene usato anche il movimento, attraverso le danze o la rappresentazione mimica di quanto è esposto nelle battute, come accade ad esempio nella scena quinta. Scena quinta (Entra Eracle con movenze da lottatore, e mima ciò che dicono gli altri). L’unico quadro di cui si compone il testo drammaturgico è diviso in undici scene, ciascuna della quali introdotta dalla precedente e ripresa dalla successiva, ma avente una valenza propria. Infatti, al di là del pretesto del banchetto, in ogni scena è narrato un mito, più per mostrare la volubilità degli dei che per condurre a un finale una vicenda. Ciò è tipico della costruzione narrativa del teatro, che privilegia l’attenzione riguardo all’andamento della storia rispetto a quella relativa all’esito. L’epilogo, di cui sono protagoniste le stesse ninfe del prologo, si conclude con una canzone a cui partecipano tutti i personaggi, cantando e mimando, sulle note di una famosa musica popolare. 4.1.5. La drammaturgia di scrittori e operatori teatrali: esempi di testi Sul versante di una drammaturgia scritta in funzione di un teatro per ragazzi, adattabile però al teatro dei ragazzi – come si è detto in precedenza – spicca la presenza di uno scrittore di letteratura per l’infanzia come Roberto Piumini. In questa sede è interessante analizzare due dei suoi testi della fine degli anni Ottanta e metterne in evidenza le particolarità strutturali. Il primo testo scelto è intitolato L’ovo di Giotto 38, definito dall’autore «fiaba toscana in 10 scene». In questa dichiarazione è riassunto l’intento di Piumini di creare una fiaba (con eroe, antagonista, aiutanti, elementi fantastici e lieto fine) composta però sul modello drammaturgico: l’elenco dei personaggi che dialogano tra di loro in maniera diretta e 38 Roberto Piumini, L’ovo di Giotto, Roma, Nuove Edizioni Romane, 1988. 242 4. Scrivere il teatro della scuola con un linguaggio performativo, sottolineato dalla presenza di azioni legate al qui e ora della scena, a volte sottointese dagli scambi verbali, altre esplicitate nelle rare didascalie. La vicenda è appunto ambientata in Toscana; ciò non è dichiarato nella didascalia iniziale che in genere ha il compito di ambientare l’azione, ma emerge dalla tipologia dei personaggi (tra cui Giotto stesso, appunto toscano e il duca di Firenze), dalla citazione della città di Firenze a partire dalla quinta scena, e non ultimo dal linguaggio e i termini impiegati già dalle prime battute, se non anche nel titolo (‘l’ovo’ anziché ‘uovo’, ‘messere’ anziché ‘signore’ ecc.) L’ovo di Giotto 39 Fiaba toscana in 10 scene Personaggi: COCCA, GALLO, MUCCA, PECORA, OCA, BELGIONNI, GIOTTO, BONOMO, VALLETTO, DUCA DI FIRENZE, VESCOVO, PRIMO CITTADINO, SECONDO CITTADINO, PRIMA CITTADINA, SECONDA CITTADINA. L’elenco dei personaggi accosta curiosamente animali e umani, in particolare adulti; di questi ultimi, solo tre sono denominati con un nome proprio: Giotto – personaggio storico di cui si è voluto mettere in risalto l’abilità di disegnare cerchi a mano libera e l’ambizione di affermarsi nella propria città – Belgionni e Bonomo, nomi, questi ultimi, scelti dall’autore per caratterizzare i personaggi-tipo in questione (in particolare ‘Bonomo’ fa risaltare la mitezza d’animo della persona in questione). Prima scena COCCA Cooo … cooo … cocoooo … GALLO Chiii … chichiii … Chiiiì? MUCCA Mooo … Mooo … OCA Qua! Qua! Qua! PECORA Bèèè … Bèèè … COCCA Cooo … Co … Co … Ecco! BELGIONNI Finalmente, cocca! Ce n’è voluto, eh? Però è un bell’ovo … proprio un bell’ovo! COCCA Davvero, Belgionni? Son contenta. È stato faticoso, ma adesso son contenta … Chi sta arrivando, ora? GALLO Chi? Chichiii? MUCCA Mooo … BELGIONNI È un gran signore! PECORA Bèèèè … BELGIONNI Chissà che ci fa, a spasso per questa campagna? Buon giorno messere! Chi ho l’onore di vedere e salutare? 39 I brani del testo citati sono tratti da ivi, pp. 5-42. 4.1. L’eredità dell’animazione teatrale 243 GIOTTO Come, non mi conosci? BELGIONNI Messere, se ti conoscessi ti avrei chiamato per nome: siccome non ti ho chiamato per nome, non ti conosco! GIOTTO Capisco, buon villano … Io sono il pittore Giotto. BELGIONNI E io Belgionni, contadino e pastore. Da questo primo scambio di dialogo si può rilevare un aspetto interessante da un punto di vista linguistico: i personaggi umani hanno diritto di esprimersi con la parola, mentre gli animali, eccezion fatta per Cocca, coprotagonista della vicenda, utilizzano i loro rispettivi versi, impiegati in maniera tale dall’autore da risultare quasi espliciti commenti alle battute che seguono o precedono. La lingua italiana nel testo viene dilatata e utilizzata sotto forma di onomatopea, adattandosi alle modalità espressive che spesso caratterizzano la comunicazione dei bambini. Un altro testo di Piumini notevole per quanto riguarda la struttura è intitolato Il ragazzo col violino, definito «fiaba per cantare e ballare» 40. Molti sono i personaggi dell’elenco posto all’inizio della drammaturgia: Patrizio Sincero (da notare il cognome del protagonista, che è immediatamente caratterizzato in un aspetto del suo comportamento), Prima venditrice, Primo venditore, Seconda venditrice, Secondo venditore, Pappagallo (anche qui un animale), Brigantessa, Flautista ecc. La drammaturgia suddivisa in otto scene inizia con un prologo molto particolare che prende in prestito dalla struttura delle fiabe il tradizionale incipit: «C’era una volta». Questo elemento fornisce subito un indizio importante per collocare il testo nell’ambito di una narrazione teatrale. Si presuppone quindi la presenza di un «attore-narratore», personaggio lasciato sottinteso e non dichiarato come personaggio del testo, che introduce la vicenda, fornendo proprio nel prologo indicazioni riguardanti il personaggio principale. Prologo 41 C’era un volta Patrizio Sincero che non aveva né casa né letto e abitava nel vento leggero libero e allegro come un capretto. Una mattina a Patrizio Sincero venne la voglia di avere un violino: si mise in marcia per un sentiero, 40 41 Roberto Piumini, Il ragazzo col violino, Roma, Nuove Edizioni Romane, 1988. I brani del testo sono tratti da ivi, pp. 5-34. 244 4. Scrivere il teatro della scuola per un sentiero si mise in cammino. E camminò per il prato ed il bosco e camminò per il bosco ed il prato finché arrivò alla fine in un posto dove quel giorno c’era un mercato. Come il prologo, così tutto il testo è scritto in rima alternata, sia le battute lunghe simili a monologhi sia i dialoghi. Questa modalità di usare il linguaggio è di per sé straniante perché rivela la finzione scenica; infatti in questo modo si mette in evidenza la ricerca di una modalità di espressione lontana dal parlare quotidiano e, in più, la struttura in versi conferisce un determinato ritmo alla battuta o al dialogo. Da notare è anche la presenza di un narratore che nelle didascalie racconta le azioni e gli stati d’animo dei personaggi, senza intervenire direttamente nella costruzione scenica. Seconda Scena Patrizio prova a suonare il violino, che stona e gracchia. Dopo molti tentativi sta per buttarlo, arrabbiato. PATRIZIO Ma … qui dentro c’è qualcosa … Sembra grigio, bianco, rosa … È un uccello! È verde e rosso … Sembra un tordo … no, è più grosso … Vieni fuori, uccello, esci … Cosa fai dentro il violino? Non ci passi? Non ci riesci … Ecco qua, pappagallino! PAPPAGALLO Ti ringrazio. Son scappato da un negozio. Per non essere acchiappato Nel violino sono entrato. […] Patrizio suona un motivetto. È facilmente riscontrabile la performatività del linguaggio delle battute che presuppongono un’azione, anche se raramente esplicitata nelle didascalie. Nella battuta conclusiva dell’ottava e ultima scena, le parole del re fanno immaginare che la principessa stia ballando («guardate: balla! balla!»), che il re stesso alzi il calice del vino per brindare («brindo a te con questo vino!»: da notare anche la presenza di deittici segnati in corsi- 4.1. L’eredità dell’animazione teatrale 245 vo) e che inviti anche tutti gli altri presenti a fare altrettanto. Si tratta di veri e propri atti linguistici. RE SOLE Ma guardate: balla! balla! Vola come una farfalla! Vola come vola il vento! Son felice, son contento! Ah, ragazzo col violino, brindo a te con questo vino! Sei già principe dl regno: qui lo dico, e qui m’impegno! Vi darò un alto castello Dove andrete a star felici: su brindiamo col vinello, su brindiamo tutti, amici! Il testo si conclude, per rispettare la simmetria rispetto a come era incominciato, con un epilogo in rima, che segue uno schema diverso da quello impiegato in precedenza, recitato dall’«attore-narratore», la cui presenza però non viene ancora esplicitata. Epilogo C’era una volta Patrizio Sincero che non aveva una casa ed un letto ed abitava nel vento leggero libero e allegro come un capretto. Ma poi suonò col violino incantato e Misterina, slegata, ballò: e da quel giorno lui visse beato con la sua bella che sempre l’amò. I testi scritti per il teatro dei ragazzi da operatori teatrali si distinguono da quelli stesi dagli scrittori specializzati in letteratura per l’infanzia perché contengono, oltre agli elementi della vicenda da rappresentare esposti in maniera drammaturgica, anche precise indicazioni per la messinscena, come riferimenti all’illuminotecnica, all’allestimento della scena e indicazioni per gli attori. Si prendono in considerazione di seguito alcune commedie per bambini scritte da Francesco Firpo, attore, regista e autore di teatro per ragazzi, che ha pubblicato numerose storie drammatizzate, rappresentabili sia da parte di adulti per un pubblico giovane, sia direttamente dagli alunni delle scuole primarie 42. 42 Francesco Firpo, Commedie per bambini, Genova, Erga, 2000, p. 7 s.: «[…] an- 246 4. Scrivere il teatro della scuola Interessante può essere la costanza di drammatizzare fiabe, riscontrata dal secondo dopoguerra in poi nel teatro della scuola, in particolare materna ed elementare (com’è testimoniato dalla tradizione delle riviste cattoliche), fiabe ritenute importanti nell’educazione dei più piccoli e più efficaci delle tradizionali vicende realistiche esemplari di carattere moralistico, diffusissime nella prima metà del secolo scorso e di cui si ha ancora qualche sporadica traccia negli anni Ottanta 43. Nell’elenco dei numerosi personaggi (sono ventidue e quindi si ha la possibilità di coinvolgere una classe intera per l’allestimento, anche se in una nota l’autore suggerisce che i diversi ruoli possono essere rappresentati da solo sei attori) si trovano poche figure del mondo reale (la maestra, o l’operaio della macchina) e diverse appartenenti al mondo fantastico (lo gnomo Grimpeluk, la strega): gli animali parlanti (il re Olofante, mamma orsa, il lupo, l’orsacchiotto) e strani oggetti che si muovono autonomamente (l’albero dalle mani bianche e la macchina per i sogni). La fiaba di Leopoldina 44 Personaggi: 1 – LEOPOLDINA 2 – MATILDE, PRINCIPESSA 3 – IL RE OLOFANTE 13 – UN’OCA 14 – ALTRA OCA 15 – L’ALBERO DALLE MANI BIANCHE (tre attori) 16 – LA MACCHINA PER I SOGNI (tre attori) 17 – L’OPERAIO DELLA MACCHINA 18 – MERINGA - ROBOT 19 – IL RANOCCHIO/FLAUTISTA 20 – LA MAESTRA 21 – LA STREGA 22 – IL LUPO 4 – IL BANDITORE/NARRATORE 5 – IL MINISTRO DEL RAFFREDDORE 6 – IL MINISTRO DEL MAL DI TESTA 7 – IL MINISTRO DEI REUMATISMI 8 – LO GNOMO GRIMPELUX 9 – BABBO ORSO 10 – MAMMA ORSA 11 – L’ORSACCHIOTTO 12 – L’UCCELLONE – guardiano della fontana blu che i lavori più complessi, ad esempio Fate, streghe e folletti, possono essere allestiti con bambini. Personalmente ho assistito a una splendida rappresentazione di questa commedia fatta da bambini di quarta elementare». Nella medesima introduzione si legge anche che Firpo, per verificare la bontà delle sue commedie, ha lavorato direttamente con nutriti gruppi di insegnanti all’interno di corsi di formazione e aggiornamento, arrivando alla messinscena delle opere e apportando modifiche, derivanti dalla prova del palcoscenico, a diversi testi. 43 Cfr. Beneventi cit., p. 155 ss. 44 I brani del testo sono tratti da Francesco Firpo, Teatro per bambini, Genova, Erga, 1998, p. 136 s. 4.1. L’eredità dell’animazione teatrale 247 Nota: il testo può essere recitato da 6 attori. Scena prima (Luce, musica. Gli attori entrano in scena suonando uno strumento ciascuno – nel caso: percussioni – danzando e cantando la canzone iniziale). Questa didascalia iniziale alla prima delle otto scene rivela immediatamente la tendenza a dare indicazioni per la messinscena riguardanti la musica e l’illuminazione. Interessante poi notare come prende avvio la rappresentazione. Sulla scia del teatro fatto con i ragazzi dal periodo dell’animazione in poi, si fa cominciare l’azione con un’introduzione – non definita qui esplicitamente ‘prologo’ – costituita da una sorta di parata di saltimbanchi; costoro, come presentatori-musici, annunciano la presenza di uno specifico attore esortandolo a trasformarsi in banditore (rivelando l’assunzione di quel ruolo da parte dell’attore che diventa personaggio) per introdurre il racconto della storia. – – – – – – – Batti il tamburo e suona la grancassa. Chiama la gente con tutti i suoi bambini. Vesti il costume! E truccati la faccia! Mettiti le scarpe, la camicia, le bretelle, i calzini, la parrucca, il naso finto! Sono pronto! E allora vai! (Durante la canzone si rivolgono all’attore che recita la parte del banditore ed ha un tamburo e, con improvvisazioni a soggetto lo spingono verso il pubblico, lasciandolo solo. […] ). Il brano riportato di seguito conferma l’immettersi in questo testo teatrale di elementi narrativi. La battuta del banditore e la didascalia immediatamente seguente rivelano una sorta di alternanza nel testo di momenti di narrazione pura e momenti di narrazione drammatizzata: ([…] Il banditore, spaurito e timido e poi via via più sicuro): BANDITORE Signori e signore, bambini e bambine, buongiorno. Andiamo subito a incominciare il nostro spettacolo che si intitola La fiaba di Leopoldina. Dovete sapere che … c’era una volta un re! Naturalmente, che si chiamava Olofante e regnava nel grande paese di Zumbalalà. […] Ma guardiamo un po’ come sta oggi Sua Maestà. (Tira un sipario in fondo alla scena, seduto sul trono, c’è il re, ha in mano un bicchiere, appena è in vista attacca poderosi e sonori gargarismi). 248 4. Scrivere il teatro della scuola Sono degne di nota le indicazioni per la soluzione registica di impiegare gli attori come elementi della scenografia, come nell’esempio seguente: Scena quinta 45 LEOPOLODINA In fondo (sta camminando) a destra, avanti per tre giorni (qui sono possibili variazioni a soggetto rese dalla descrizione di Leopoldina e dagli attori che si trasformano via via in pietre, montagna, ponte) Che bello qui! Non sono mai stata in campagna. Quanti alberi! Ma … questo torrente? Come faccio ad attraversarlo? Proviamo un po’ più giù. Ecco, salterò da una pietra all’altra (le schiene degli attori chinati a terra). Questo permette di dare spazio a molti più bambini nella partecipazione all’allestimento. Didascalie di questo tipo, piuttosto frequenti, rivelano una forte presenza del drammaturgo che assorbe anche la funzione di regista. La dilatazione del testo («qui sono possibili variazioni a soggetto»), che diventa in alcuni punti una sorta di canovaccio, permette alla storia di adattarsi alle caratteristiche del gruppo che allestisce la rappresentazione. È da rilevare però che questa dilatazione non include direttamente un’apertura della scena nei confronti del pubblico, anche se le parti di recitazione affidate al banditore si rivolgono esplicitamente agli spettatori: probabilmente perché è richiesta un’abilità attoriale notevole per poter interagire con le risposte del pubblico alle sollecitazioni offerte e si presuppone che attori-ragazzi non siano ancora in grado di impegnarsi a questo livello. È interessante osservare l’inizio del testo Il sogno del principe Damjan. Le dodici scene sono titolate come in un testo narrativo 46; in alcune sono però messi in evidenza l’ambientazione della scena stessa e i personaggi coinvolti, oltre all’anticipazione di quanto succederà. SCENA 1 SCENA 2 SCENA 3 SCENA 4 […] SCENA 12 Il sogno Risveglio del principe Damjan Viaggio sulle montagne alla ricerca del ponte Caverna – Drago, spirito del Falco Viaggio sul tappeto volante verso la reggia del Registàn 47 Ciò ricorda alcune tipologie di didascalia nei testi brechtiani, dove si sin45 Ivi, p. 141 s. Questa modalità è utilizzata da Bertolt Brecht nei suoi testi: cfr. Bertolt Brecht, I capolavori, 2 voll., Torino, Einaudi, 1998. 47 Firpo, Teatro per bambini cit., p. 13. 46 4.1. L’eredità dell’animazione teatrale 249 tetizza in una frase o poco più la parte di testo che seguirà (es. «Puntila concede la mano di sua figlia a un essere umano» 48). Si è detto che per gli allievi delle scuole medie superiori i testi impiegati sono o drammaturgie degli autori affrontati nell’ambito del programma di Lettere, oppure riduzioni di romanzi, fatte appositamente secondo un taglio particolare che quel gruppo vuole dare, ma mantenendo un forte legame con le discipline scolastiche. Pertanto, nonostante sia una produzione piuttosto copiosa, non se ne trova traccia all’interno di pubblicazioni, se si escludono i saggi che illustrano le ricerche nell’ambito del teatro-scuola. Esistono invece alcuni testi originali, scritti da drammaturghi o più in generale da operatori teatrali, che hanno lavorato come esperti nell’ambito del teatro della scuola affiancando l’insegnante nel condurre un laboratorio teatrale per gli studenti, con l’intento di realizzare uno spettacolo, esito visibile del percorso. In genere si constata che vengono messe in scena problematiche inerenti all’età dei ragazzi stessi. Un esempio significativo è costituito dal testo intitolato Caino e Abele nell’isola della guerra, scritto da Donatella Diamanti 49. Roberto Piumini, nella sua prefazione, afferma trattarsi di un testo che ha il pregio di essere completo: può naturalmente cambiare nell’esperienza di scena, ma già contiene «sufficiente ‘parola’, sufficiente ‘informazione poetica’», è quindi ‘leggibile’. È strutturato come fosse una fiaba: il mondo in cui si svolge la vicenda è immaginario, gli stessi personaggi sono trasfigurati dall’elemento magico: alcuni bambini di nove anni si ritrovano adolescenti da un giorno all’altro, le guardie a servizio di Caino sono rese invisibili, il padrone dell’isola assume i tratti della figura biblica da cui prende il nome, così come suo fratello Abele. Si tratta di un quadro unico, non suddiviso espressamente in scene, anche se queste si chiudono chiaramente quando, sull’uscita di un personaggio, nelle didascalie è dichiarato il ‘buio’, il che dimostra da parte del drammaturgo attenzione alla messinscena. Manca l’elenco dei personaggi. Il testo ha come argomento la vicenda capitata a Bea, una ragazzina di nove anni che, durante un’uscita con il suo gruppo-scout, si trova immersa in una strana avventura: svegliatasi improvvisamente in un corpo da adulta, comprende di essere stata rapita come molti altri bam- 48 49 Brecht, I capolavori, 2 voll., cit., p. 320. Diamanti cit., pp. 9-32. 250 4. Scrivere il teatro della scuola bini e di essere prigioniera sull’isola di Caino, un uomo folle; costui ha l’intento di conquistare il mondo e, per farlo, vuole servirsi dell’esercito composto proprio da quei bambini trasformati fisicamente in adulti forti e robusti e sottomessi misteriosamente alla volontà del dittatore dell’isola. Abele, fratello di Caino, seriamente preoccupato per il comportamento di quest’ultimo, un giorno decide di chiedere aiuto al Re Buono; purtroppo costui si dimostra interessato a opporsi a Caino non tanto perché gli stia a cuore la sorte dei bambini rapiti, quanto per le immense ricchezze che potrebbe strappare al dittatore in caso di vittoria. Proprio durante la guerra che deriva da questo avido proposito, Bea, aiutata da Noè, un altro bambino intraprendente, riesce a organizzare una missione di salvataggio e a liberare i piccoli rapiti. Tuttavia, per come è strutturata, la vicenda di Bea è funzionale all’autore della drammaturgia per concentrare l’attenzione su una tematica di carattere morale e sociale particolarmente rilevante e d’attualità: l’avidità di alcuni potenti senza scrupoli che sono disposti a sacrificare anche i più deboli e indifesi per realizzare i propri interessi. Bea rappresenta tutti i bambini che non si vogliono arrendere e che dimostrano intraprendenza nell’approcciarsi ai problemi della vita. Così come lei, anche gli altri personaggi sono da considerare ‘tipi’ della caratteristica dominante che possiedono. Il testo si apre con un monologo di Bea, la protagonista, che esprime il suo stupore per essere stata lasciata sola dal gruppo di scout e per ritrovarsi improvvisamente cresciuta. La scena si apre su un paesaggio desolato e deserto. A destra dello spettatore una piccola canadese malconcia. Alcuni istanti di assoluto silenzio; finalmente la cerniera della canadese si apre e spunta fuori la testa di Bea. BEA Lisa … Lisa … Lisa … accidenti a te … sei diventata sorda? (guarda di fronte a sé) Oh … ma dov’è la tua tenda? Si sporge fuori con il busto e cerca intorno. Noooo! … Lisaaaa … ragazzi … capoooo … non vi sarete mica dimenticati di me, eh? Ohhhhhh! Cos’è? Uno scherzo? Dai, venite fuori … Va beh, se non venite fuori per me è lo stesso … tanto io sto bene anche da sola… (sbuffa) … Lisaaaa, a parte che non siamo più amiche, mi dici come avete fatto a smontare le tende senza svegliarmi? Uhhhhh, che noia! Si può sapere perché non mi avete svegliato? […] Dalle maniche lo sguardo si sposta sulle mani. Le guarda e riguarda come se non credesse ai propri occhi. Ma … ma che mani ho? Queste non sono le mie … Non fate i furbetti … Chi 4.1. L’eredità dell’animazione teatrale 251 mi ha attaccato queste mani? Eh? … Chi è stato? Rivoglio le mie mani … (fra sé) Tanto io me ne torno a casa mia e allora dopo vi arrangiate … 50 La scena è estremamente vivace. Le battute ricche di punteggiatura danno al monologo di Bea un ritmo incalzante che si oppone alla quiete del paesaggio deserto descritto nella didascalia iniziale; le altre indicazioni delle azioni compiute dalla ragazza contribuiscono a creare questo effetto. Immediatamente ci si rende conto che il testo è ricco di argomenti cari agli adolescenti: l’amicizia forte con una persona in particolare (Lisa), la ricerca di qualcuno a cui affidarsi (‘capoooo’), il disagio di trovarsi da sola assieme alla volontà di mostrare sicurezza e alla presunzione di sapersela cavare da sé, lo stupore di fronte alle trasformazioni del corpo che non si riconosce più come proprio. Naturalmente, inseriti in una situazione che si rivelerà irreale, questi elementi sono estremizzati e alquanto grotteschi, ma di certo contribuiscono a innescare interesse nel lettore-spettatore. Anche quando si rileva la presenza di un dialogo incalzante, non si tratta mai di uno scambio verbale, legato a una situazione particolare, ma di un rimando a una situazione più generale, di cui i personaggi della storia inventata dall’autore sono solo un riflesso. RE BUONO […] dunque: per quale ragione hai chiesto di vedermi, caro Babele? ABELE (tutto d’un fiato) Perché sta per accadere un fatto gravissimo, Re buono! RE BUONO (mettendo da parte lo strumento) Un fatto gravissimo? Ma … i fatti gravissimi esistono solo nelle favole! (gridando) Tu menti! (tornando buono) verooo che menti? ABELE No! No-no, Re buono … io non mento mai … mi riempirei di macchie blu se lo facessi! RE BUONO E infatti, sei pieno di macchie blu! Abele disperato si guarda le mani in cerca delle macchie. RE BUONO (ridendo sguaiatamente) Ah-Ah-Ah! Ci sei cascato! Dio come sono simpatico! Vero che sono simpatico? ABELE Simpaticissimo! Ma ora la supplico, signore, mi ascolti! Quell’imbecille di mio fratello vuole conquistare il mondo … RE BUONO Anche tu sei simpatico! […] ABELE (ignorando il comportamento assurdo del re) Ora io mi domando: ma che ci facciamo noi col resto del mondo? Noi non siamo come voi! Siamo abituati diversamente: mangiamo diamanti, beviamo succo di petrolio … 50 Ivi, p. 9.