Parte quarta Pensare il potere: la filosofia classica tedesca Il nuovo assetto concettuale inaugurato dal giusnaturalismo si afferma in Germania attraverso la trattatistica, copiosa alla fine del Settecento, sul diritto naturale. In questa direzione svolge una funzione fondamentale l'opera di Pufendorf e in seguito anche quella di Thomasius. Nella stessa scuola wolffiana si assiste alla progressiva introduzione, in uno schema più legato alla tradizione, del significato proprio dei concetti del giusnaturalismo. Ciò permette alla logica della costruzione teorica inaugurata da Hobbes, con il cortocircuito ad essa proprio tra diritti degli individui e deduzione del diritto di coazione e del potere del corpo politico, di essere presente in questa trattatistica di fine secolo ben oltre la consapevolezza degli autori e al di là di un rapporto diretto con i testi e il pensiero di Hobbes. Ciò che colpisce ancor più è la presenza del sistema concettuale hobbesiano all'interno di opere che, !ungi dal volere riferirsi positivamente ad esso, lo pongono esplicitamente come obiettivo polemico a causa dell' assolutezza del potere che lo caratterizza. A questo riguardo si possono fare due esempi emblematici. Innanzitutto si può leggere il paragrafo dedicato alla critica di Hobbes nello scritto politico kantiano Sul detto comune. Qui infatti ci si accorge come il potere si manifesti nella sua irresistibilità, addirittura quando è esercitato contro il diritto. E la motivazione kantiana riprende pienamente la logica della costruzione hobbesiana, al di là dei tentativi di aprire lo spazio di un controllo effettivo del potere che si possono ravvisare in Locke, in Pufendorf e in Fichte. Chi infatti può controllare il sovrano se non colui che è superiore al sovrano? Ma allora che sovrano è colui che ha un superiore? 1 . Nella Rechtslehre la motivazione della caduta dell'antico diritto di resistenza riprende il I. È da notare che tale giustificazione della negazione del diritto di resistenza si trova nel paragrafo del saggio che riguarda il diritto pubblico ed è sottotitolato Contro Hobbes. 2 45 IL POTERE nucleo concettuale del princ1p1o rappresentativo: non ci può essere resistenza del popolo all'autorità costituita perché di fronte al rappresentante, cioè a colui che esercita il potere politico, rappresentando la sovranità del popolo, non sta il popolo, ma solo la molteplicità dei sudditi. Il popolo, se è considerato non come una massa informe di individui, ma come un'entità giuridica, è sempre solo in quanto rappresentato: il soggetto collettivo-unitario risiede nella rappresentazione 2 • Un altro esempio illuminante è costituito dall'Anti-Hobbes di Anselm Feuerbach. Infatti l'introduzione del controllo mediante una forma di eforato, e l'insieme di distinzioni che portano Feuerbach a distanziarsi non solo da Hobbes, ma anche da Kant, a proposito della possibile resistenza mediante una coazione negativa nei confronti del sovrano (quando viola il contratto originario) e anche attiva (quando viola la libertà dei sudditi), si colloca pur sempre all'interno di un impianto che è quello inaugurato da Hobbes, e non era stato pensato prima. La fondazione dello Stato avviene attraverso un itinerario ormai canonico, che implica: rifiuto dell'esperienza e della storia in favore della costruzione scientifica; il concetto fondamentale della libertà intesa come indipendenza di ognuno compatibile con quella degli altri; la figura del patto sociale come produttivo del corpo politico, a cui ognuno apparterrà; la necessaria sottomissione a tale corpo politico; la figura del sovrano rappresentante, con gli aspetti di irresistibilità che sono essenziali per il significato e la funzione della sua azione pubblica 3. Porre il problema politico nella forma del diritto naturale non è una necessità eterna della ragione, ma implica l'accettazione dei presupposti che sono stati introdotti dal moderno giusnaturalismo, e questi richiedono una serie di passaggi obbligati, appunto una logica che non nasce con i principi filosofici dei filosofi tedeschi che si pongono a cavallo tra Sette e Ottocento. Ciò si può dire anche per Fichte, il quale, pur tentando di tenere aperto lo spazio del controllo del potere fino al limite estremo della resistenza e della rivoluzione contro il potere, si trova imbrigliato, nel suo saggio sul Diritto naturale, in una logica che non nasce dai principi della Dottrina della scienza, come recita il titolo dell'opera, ma piuttosto dall'impostazione con la quale da poco più di un secolo il giusnaturalismo (e non la filosofia o la ragione in generale) ha affrontato il problema della società umana. 2. Cfr. I. Kant, Metafisica dei costumi, "Nota generale sugli effetti giuridici derivanti dalla natura della società civile", che segue il par. 49· 3· P. J. A. Feuerbach, Anti-Hobbes, ovvero i limiti del potere supremo e zl diritto coattivo dei cittadini contro il sovrano, trad. di A. Cattaneo, Giuffrè, Milano 1972. PENSARE IL POTERE: LA FILOSOFIA CLASSICA TEDESCA Da un certo punto di vista Fichte porta tale logica all'estremo, accentuando gli elementi formali della costruzione, al punto, ad esempio, da richiedere l'eliminazione di ogni rapporto tra attori pubblici (rappresentanti ed efori) e il resto della società, per impedire il più possibile che la funzione pubblica e generale venga inficiata da interessi particolari e perciò tradita. Tuttavia, nonostante questo passaggio attraverso la concettualità del giusnaturalismo, con la @osofia classica tedesca si assiste ad un momento di scarto e di problematizzazione. Ciò che viene messo in questione e forse, in modo diverso, superato, è l'aspetto costruttivo del giusnaturalismo, la possibilità della garanzia propria di un procedimento scientifico che si basi esclusivamente sulla propria autosufficienza e coerenza. Già in Kant, nonostante la negazione della resistenza attiva al potere e l'accettazione della logica del principio rappresentativo, che tende a ravvisare la soggettività concreta e attiva del popolo nell'espressione di volontà e azione del suo rappresentante, l'invocazione, contro Hobbes, della "libertà di penna", e dunque di espressione del pensiero e di critica al potere, apre una dialettica non pensabile in Hobbes, legata all'elemento nuovo che caratterizza la repubblica rappresentativa kantiana. Il dualismo tra ambito pubblico e ambito privato, e dunque quello tra l'azione dei rappresentanti e la passività dei rappresentati, viene problematizzato attraverso lo spazio della critica e della @osofia, che è spazio pubblico, indicando una dimensione con la quale l'autorità costituita deve sempre fare i conti. Se la rappresentanza implica un rapporto con la volontà ideale da rappresentare, la critica pubblica costringe sempre a mettere in questione il modo in cui il rappresentante ha dato forma ed espressione a tale volontà. In Fichte si può assistere ad una problematizzazione ancora maggiore, dovuta proprio al nucleo speculativo della @osofia espressa nella Dottrina della scienza. Ciò avviene in due momenti: dapprima attraverso una insoddisfazione nei confronti dell'assetto solo formale della costruzione statale e del potere che deve proteggere i singoli. Se è necessaria una forza di coazione per affermare diritto e libertà, tuttavia questa forza deve essere controllata e questo controllo può essere esercitato solo dalla comunità nella sua interezza. Pur accettando il principio rappresentativo Fichte mostra la necessità di fare emergere la dimensione della comunità, sia attraverso organi costituzionali come l'eforato, sia attraverso l'appello alla rivoluzione. L'aporia a cui porta, nel Diritto naturale, tale tentativo, che appare anche nella distinzione tra diritto sostanziale o materiale e diritto formale, mostra come non risolutivo il modo, pur considerato necessario, di pensare 247 IL POTERE giuridicamente la forma politica, e come insufficiente l'accezione giuridica della libertà. La riflessione fichtiana più matura, degli anni dell'Ottocento, porta ad un più positivo superamento del modo giusnaturalistica di intendere la società e il potere. Da una parte Fichte pensa progressivamente in modo più organico e concreto alla nazione e al popolo, superando sia una concezione atomistica della società, sia un'etica ridotta allo spazio della individualità del singolo. Dall'altra il nucleo speculativo della sua filosofia, teso a mettere in evidenza la presenza nell'esperienza di un principio, di un assoluto che non è mai pacifico possesso del pensiero, mai oggettivabile una volta per tutte, lo porta ad essere sempre più insoddisfatto di un modo formale di intendere il rapporto tra gli uomini, quale si ha nell'ambito del diritto. La scienza del diritto ha un posto sempre più decentrato nel suo sistema 4, e sempre più appare inadeguata ad un pensiero dello spazio pratico dell'agire dell'uomo. È in questo periodo che emergono soluzioni platoniche al problema politico, quali quella espressa nell' affermazione che «i migliori devono governare», e che viene abbandonato il tentativo parossistico di avere garanzie formali (attraverso gli efori ad esempio) al problema del buon governo. Si ripresenta allora la giustizia come problema filosofico, al di là della soluzione formale giuridica. È tuttavia con Hegel che si può notare in modo più diretto il superamento del sistema concettuale del giusnaturalismo. Egli si dedica esplicitamente negli anni jenesi alla critica dei sistemi del diritto naturale, a partire dal paradosso costituito dal fatto che questi, proprio partendo dai diritti degli individui, giungono alla deduzione di un potere statale che si manifesta nei confronti dei singoli nella forma della coazione (Zwang) e del dominio (Herrscha/t). È la scientificità dei sistemi di diritto naturale che viene criticata e superata, nel modo in cui la ragione supera l'intelletto, il rigore della filosofia o lo speculativo supera la cristallizzazione dei concetti che pretendono di avere verità nella loro autonomia e separatezza. La critica hegeliana non è dunque una semplice contrapposizione ai concetti del giusnaturalismo, ma un loro superamento (Aufhebung), che solo può avvenire mediante un loro attraversamento. Non si contrappone allora tanto una concezione organica dello Stato all'atomismo degli individui propria della concezione giusnaturalistica, ma piuttosto, mediante il procedimento dialettico della Au/hebung (insieme mediazione e supera4· Cfr. Cesa (1995), e sullo sviluppo di questo ragionamento riguardante le modificazioni del quadro di riflessione fichtiano, D uso ( r 997). PENSARE IL POTERE: LA FILOSOFIA CLASSICA TEDESCA mento), si parte dal princ1p1o di affermazione della soggettività del singolo, che caratterizza l'epoca moderna, per mostrare come sia esso a richiedere, proprio per porsi nella sua assolutezza, la relazione con l'altro: in tal modo la sua assolutezza si mostra contraddittoria. La concreta realtà (Wirklichkeit) è dunque quell'insieme di rapporti che fanno si che il singolo sia quello che è: è in questa realtà - oggettiva - che si dà quella certezza dell'autocoscienza che costituisce la soggettività degli individui, che non è da Hegel negata, ma accolta nel suo diritto. È lo spazio dell'eticità a costituire l'orizzonte complessivo e nuovo, attraverso il quale Hegel pensa il diritto e lo Stato. Nell'eticità viene superata la separazione di morale e diritto, di spazio dell'interiorità e della coscienza e di quello, regolato dal diritto, delle relazioni esterne tra gli uomini, nel quale i sistemi di diritto naturale ponevano il problema dello Stato. Il punto di vista della certezza della coscienza soggettiva e quello dei diritti dei singoli vengono accolti e visti nella loro verità e realtà nello spazio dell'eticità, nel quale i due elementi contrapposti di individuo e potere del corpo politico perdono il significato che assumevano nel giusnaturalismo, grazie all'astrazione che li poneva nella loro autonomia. Gli individui non sono reali se non nei rapporti familiari, sociali e politici, e questi non si danno, all'altezza dell'epoca moderna, che attraverso l'espressione della libertà e dell'autocoscienza dei singoli, ad ogni livello. Come l'individuo è concreto solo nelle cerchie in cui vive, così lo Stato è quello che è solo per tutti i legami che si danno nella famiglia e nella società: esso non è mera istituzione, ma cerchia delle cerchie e non è pensabile se non attraverso l'espressione della soggettività dei singoli e attraverso ciò che si esprime nelle cerchie della società. Le interpretazioni che parlano di "statalismo" in Hegel, o quelle contrapposte, che tendono a ravvisare nel suo pensiero una difesa liberale degli individui, non si misurano con la struttura del pensiero hegeliano, che tende a mostrare come la verità e realtà dei· termini non siano pensabili nel loro isolamento: sono dunque i concetti di individuo e di Stato intesi nella loro autonomia ad essere superati nella sfera dell'eticità. In questo quadro mutano, proprio in quanto sono criticamente attraversati e superati, tutti i concetti dei sistemi del diritto naturale: soprattutto viene superato il dualismo che si dava tra volontà privata degli individui e potere dello stato espresso attraverso la rappresentanza. La libertà dei singoli non è più intesa come indipendenza e autonomia, ma piuttosto come libertà particolarizzata e determinata dalla realtà concreta che li caratterizza a seconda delle cerchie in cui vivono. Attraverso di queste i singoli esprimono la loro partecipazione 249 IL POTERE alla sfera politica: e ciò avviene mediante la rappresentanza, che non è più modo di espressione della sovranità, della volontà generale, della vera volontà di tutti contro la volontà privata, che pur tutti hanno, ma piuttosto il modo di espressione dei bisogni, degli interessi, dei punti vista delle cerchie della società, di ceti e corporazioni. La rappresentanza è delle parti, perché l'intero è costituito da parti. E la sfida dello Stato moderno è costituita dallo stare insieme del punto di vista dell'unità, manifestato dalla decisione del monarca, con l'espressione dei diversi interessi e dei modi di partecipazione delle cerchie della società. È il concetto di costituzione (Ver/assung) ad esprimere questa complessità e l'irriducibilità della vita concreta dell'intero statale alla costituzione formale, nel significato che prende nell'Ottocento, come difesa dei diritti dei cittadini nei confronti del potere dello Stato. Tale concetto infatti rimane imprigionato nel modo astratto di considerazione dell'individuo e del potere statale che Hegel intende superare mediante la comprensione sia della concreta realtà (Wirklichkeit) dello Stato, sia del movimento dei concetti del giusnaturalismo, che, una volta interrogati, mostrano un loro movimento e una loro realtà che è irriducibile alla verità che intendono trasmettere. Rz/erimenti bzhliografici Pur rimandando agli apparati bibliografìci dei singoli capitoli, si indicano qui alcuni testi che, per rilevanza o ampiezza di spettro problematico, sono da tenere presenti per l'insieme dei temi affrontati nella presente sezione. AA.vv. 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( 1984), 2JI 12 Potere e libertà nella filosofia politica di Kant di Gaetano Rametta 12.1 Ragione e volontà Il problema del potere si pone, per Kant, all'interno di una filosofia della volontà. Prima di determinare il potere in chiave giuridica e politica, quindi, è opportuno approfondire la concezione kantiana della volontà, nei suoi rapporti con la facoltà di desiderare e con l' arbitrio. Nella Metafisica dei costumi, la "facoltà di desiderare" viene definita come la capacità, da parte del soggetto, di essere causa di oggetti per il tramite di rappresentazioni r. Nell'agire, tali rappresentazioni acquistano il significato di mete (o scopi) che il soggetto pone a se stesso, e che tende a realizzare mediante una catena conseguente di attività e operazioni. Tuttavia, finché si resta all'interno di una cornice siffatta, non si oltrepassa la soglia della dipendenza da fattori puramente naturali. Perciò, all'interno della facoltà di desiderare diventa necessario individuare una funzione che consenta il distacco dal meccanismo della universale determinazione sensibile, e renda possibile da parte del soggetto la realizzazione di un agire lzbero. La Metafisica dei costumi identifica questa funzione nell"' arbitrio", che scaturisce quando il Begehrungsvermogen diventa cosciente di sé come facoltà di compiere azioni L'arbitrio, quindi, non è semplice escogitazione di possibilità per l'azione, ma consapevolezza della capacità di attuare concretamente tali possibilità, agendo in senso causale sul mondo esterno. Qui sta la sua forza; ma qui sta, in pari tempo, il suo limite. L'arbitrio, infatti, è si posto come "fondamento" di determinazione dell'agire, ma tale 2 • r. Cfr. M, Introduzione, r, rr, Cfr. ivi, 13, 213. 211. 2. 253 IL POTERE determinazione resta condizionata da un margine di oscillazione tra rappresentazioni diverse, che dal punto di vista dell'arbitrio appaiono del tutto equivalenti. Finché l'arbitrio resta arbitrio, dunque, la facoltà di desiderare si scopre come capacità di determinazione, ma l' esercizio effettuale di siffatta capacità resta bloccato nella "impotenza" di un vacuo oscillare e librarsi all'interno dell'immaginazione soggettiva 3. È necessario dunque uno scarto ulteriore, che può prodursi solo all'altezza della volontà. La "volontà", come del resto l'arbitrio, non è qualcosa di diverso dalla stessa facoltà di desiderare, bensi è la modalità mediante cui tale facoltà giunge a determinarsi in base a motivi che non provengono dall'inclinazione naturale, ma trovano la loro origine nella ragione 4. È uno dei passaggi cruciali dell'argomentazione kantiana. Che cosa determina infatti un motivo come proveniente dalla ragione? Secondo Kant, il fatto che la massima in base alla quale si agisce sia suscettibile di convertirsi in principio di legislazione universale 5, sia valida cioè in relazione alla possibilità di una convivenza tra esseri dotati di libertà. Se la funzione della ragione è quella di produrre massime conformi alla possibilità di diventare principi di legislazione universale, la lzbertà si trova essa stessa determinata in relazione all'istanza di universalità fatta valere dalla ragione. Non è possibile libertà senza determinazione dell'agire ad opera della ragione, come viceversa solo un agire determinato in base a motivi offerti dalla ragione può propriamente chiamarsi tale, essere cioè attuazione della libertà. Tale reciproca implicazione tra ragione e libertà consente allora un altro passaggio, che Kant compie quando determina la libertà come autonomia. La libertà si svincola dall'essere intesa come scelta tra possibilità di azione alternative, e si determina in rapporto alla ragione come facoltà di autolegislazione, in grado di fornire al soggetto motivi di azione (ovvero rappresentazioni), la cui traduzione lingui3· È perciò che Kant può sostenere che «La libertà, in riferimento alla legislazione interna della ragione, è in senso proprio soltanto una facoltà (Vermogen )», cioè una capacità di determinazione; mentre all'inverso, da possibilità di deviare da questa [è] un'impotenza (Unvermogenh> (M rv, 30, 227). 4- «La facoltà di desiderare il cui interno motivo determinante [. . .] risiede nella ragione del soggetto si chiama volontà» (M, q, 213). 5. La libertà viene definita in senso positivo come <<la facoltà della ragione pura di essere per se stessa pratica. Ma ciò non è possibile altrimenti che mediante l' assoggettamento della massima di ciascuna azione alla condizione di poter valere come legge universale>> (M, 14, 213-4). 2 54 12. POTERE E LIBERTÀ NELLA FILOSOFIA POLITICA DI KANT stica soggettiva (massima) sia in pari tempo compatibile con la loro universalizzazione (con la possibilità, cioè, di diventare principi per una legislazione universale). In tal modo, la circolarità che si produce tra ragione e libertà perde l'aspetto di una contraddittorietà negativa e aporetica, e produce un'ulteriore e feconda determinazione concettuale, che investe sia la ragione, sia la libertà. La prima, infatti, si scopre in grado di produrre principi di legislazione universale, cogenti e determinanti rispetto all'ambito dell'agire: scopre, in altri termini, la sua valenza costztutiva in direzione pratica. Di contro, la libertà si svincola dalla sua riduzione a puro e semplice arbitrio, e conduce la facoltà di desiderare alla soglia dell'autodeterminazione in virtù di motivi che non provengono dall'inclinazione sensibile (dal meccanismo della determinazione causale), ma dalla spontaneità della ragione pura 6 . È nella misura in cui quest'ultima si esplica come capacità di autodeterminazione da parte della facoltà di desiderare, che Kant istituisce un'equivalenza semantica e concettuale tra le nozioni di "ragione pratica" e di "volontà" 7. La ragione è "pratica" nella misura in cui fornisce i motivi che determinano all'azione la facoltà di desiderare: ma in quanto è determinazione ad agire, essa equivale al concetto di "volontà". Quest'ultima, infatti, altro non è che la facoltà di desiderare, nella misura in cui determina autonomamente i motivi o i fondamenti delle proprie azioni, nella misura in cui, cioè, si afferma come indipendente dagli stimoli della sensibilità, e produce massime suscettibili di convertirsi in principi di legislazione universale. La facoltà di desiderare, insomma, è volontà dal momento in cui assume come cogente la ragione nella sua capacità di determinazione pratica, e viceversa la ragione in quanto capacità di determinazione pratica si esprime e si realizza nella forma della volontà. Da ciò, in modo che può apparire a prima vista sorprendente, Kant conclude che, in riferimento alla volontà, risulta fuorviante attribuire o negare il predicato della libertà. La libertà indica infatti la provenienza dalla ragione dei motivi dell'azione, e dunque sorge sol6. Il «concetto della ltbertà>>, che in quanto «puro concetto della ragione» esorbita dall'ambito della filosofia teoretica, «nell'uso pratico della ragione dimostra invece la sua realtà mediante principi pratici che, in quanto leggi, dimostrano una causalità della ragione pura a determinare l'arbitrio indipendentemente da ogni condizione empirica [ ... h (M rv, 23, 221). 7· «La volontà è [. .. ] la facoltà di desiderare considerata non tanto (come l'arbitrio) in riferimento all'azione, quanto piuttosto al motivo determinante dell'arbitrio per l'azione, e non ha propriamente di fronte a sé nessun motivo determinante, bensl è, in quanto può determinare l'arbitrio, la ragione pratica stessa» (M r, 14, 213). 255 IL POTERE tanto a partire dall'esercizio della volontà. Quest'ultima, in quanto origine e fonte della libertà, non può essere a sua volta qualificata come libera. Se così fosse, vorrebbe dire che essa riceverebbe i suoi motivi da un'istanza ad essa superiore, mentre essa stessa è l'istanza da cui si originano i motivi in base a cui è possibile qualificare qualcosa come "libero". È profondamente conseguente, allora, la limitazione che Kant compie in rapporto all'impiego del concetto di libertà, quando egli sostiene che può essere libero soltanto l'arbitrio, e non la volontà 8 . Soltanto l'arbitrio, infatti, è suscettibile di ricevere una determinazione da parte della volontà, cioè della ragione pratica. Quest'ultima, al contrario, in quanto fonte dei motivi, non può essere a sua volta determinata da motivi, non può dunque essere qualificata come libera. È noto come la determinazione dell'arbitrio da parte della volontà assuma in Kant la forma del dovere (Sollen). Questa concezione ha fatto parlare di un dualismo interno al pensiero kantiano, che renderebbe impossibile l'attuazione di un agire morale, nel momento stesso in cui Kant pretende di fissarne le condizioni di possibilità. Il dovere incondizionato della ragione pare infatti confliggere inesorabilmente con le inclinazioni sensibili, che pure gli sono necessarie per attuarsi in forma di azione causale sul mondo esterno. In realtà, la concezione del dovere sembra suscettibile di un'altra interpretazione, che intenda il Sollen non come manifesta espressione dell'impotenza della ragione pratica in rapporto alla concreta ed effettiva determinazione dell'arbitrio, bensì al contrario in esso scorga lo statuto peculiare del potere esercitato sull'arbitrio dalla volontà. Quest'ultima si esprime nella forma del dovere proprio perché l'universalità della massima che da essa deriva non è suscettibile di alcuna smentita (sotto il profilo della moralità) da parte della realtà fattuale, bensì è dotata di validità categorica, cioè indipendente dall' esperienza. D'altro canto, poiché siffatta universalità dell'a priori non si esercita in ambito teoretico e conoscitivo, bensì in ambito pratico (di determinazione dell'agire), esso non si declina in forma di categorie (funzioni a apriori dell'intelletto che pone le condizioni trascendentali 8. «La volontà L .. l non può essere chiamata né libera né non libera, poiché è diretta non ad azioni, bensì immediatamente alla legislazione per la massima delle azioni (dunque alla ragione pratica stessa), perciò è anche assolutamente necessaria e non suscettibzle di alcuna coercizione. Soltanto l'arbitrio dunque può essere chiamato libero>> (M rv, 29, 226). Sugli slittamenti (e le difficoltà) nella concezione kantiana al riguardo, cfr. Landucci (1994), in particolare il cap. v: Libero arbitrio e autonomia della volontà, pp. 213-50. I2. POTERE E LIBERTÀ NELLA FILOSOFIA POLITICA DI KANT in virtù di cui è possibile l'esperienza), ma assume lo statuto dell'idea 9. Alla ragione viene cosi restituita, in ambito pratico, quella funzione legislatrice che la prima Critica le aveva negato sotto il profilo conoscitivo-teoretico, e l'autonomia della volontà si manifesta come l'espressione della valenza costitutiva a priori, che le idee della ragione rivestono in ambito pratico. 12.2 Morale e diritto: il "contratto originario" È evidente, tuttavia, che all'interno di questa argomentazione è necessario distinguere tra la motivazione che spinge il soggetto ad agire, e le azioni esterne che da tali motivazioni risultano. È possibile infatti che da motivazioni di per sé morali scaturiscano azioni che contraddicono l'intenzione che ne sta all'origine, così come è possibile che azioni che appaiono conformi alle leggi della ragione dal punto di vista della loro realizzazione esterna risalgano ad intenzioni non conformi alla legge morale, perché legate a calcoli d'interesse o comunque a finalità di tipo sensibile. Per dominare questa problematica, è necessario secondo Kant operare una distinzione di ambiti, che consenta di valutare le azioni sia dal punto di vista dell'intenzione o motivazione in base a cui il soggetto le compie, sia dal punto di vista della loro conformità puramente esterna ai precetti della ragione, indipendentemente dall'intenzione in base alla quale il soggetto agisce. Di qui scaturisce la necessaria distinzione tra le discipline della morale e del diritto 10 • La prima, infatti, pone alla base della sua legislazione la conformità dell'intenzione al precetto della volontà, mentre il secondo considera esclusivamente la conformità esterna di un'azione ai dettami della ragione. Ma proprio lo spostamento dell' attenzione dal piano dell'interiorità e della coscienza del singolo individuo 9· Cfr. quanto Kant scrive a proposito dello «stupore» suscitato dalla <<facoltà della nostra ragione di determinare l'arbitrio mediante la pura idea della qualificazione di una massima all'universalità di una legge pratica>>, stupore che potrebbe tuttavia essere attenuato, qualora si considerino «queste leggi indimostrabili e tuttavia apodittiche come dei postulati matematici>>: vedremo così aprirsi davanti a noi <mn intero campo di conoscenze pratiche, in cui la ragione con la stessa idea della libertà, anzi con ciascun'altra delle sue idee del soprasensibile, deve trovare tutto assolutamente chiuso davanti a sé nell'ambito teoreticm> (M rv, 28, 225). IO. Cfr. al riguardo M m: Della suddivisione di una metafisica dèi costumi, pp. 19~23, 218-21. Sulla distinzione tra morale e diritto, anche in rapporto al passaggio dallo stato di natura alla condizione civile, cfr. Krieger (1965), Hoeffe (I979); diversamente Gonnelli (I996, in particolare pp. 201 ss.). 257 IL POTERE a quello della compatibilità dei suoi comportamenti con la libertà e le azioni degli altri individui, pone il problema di stabilire un ordine in cui la libertà di ciascuno sia compatibile sotto il profilo esterno con la libertà di tutti coloro con i quali egli entra o può entrare in relazione. Poiché la questione investe i rapporti tra individui che si presuppongono reciprocamente come razionali, e cioè liberi, anche questo è un terreno di pertinenza della ragione pratica, compreso cioè all'interno di una relazione che necessariamente implica un riferimento alla dimensione delle idee; benché la ragione, in questo caso, non eserciti più la sua legislazione in ambito puramente morale, bensi all' altezza della reciproca compatibilità e conformità alla legge delle azioni esterne compiute dai singoli. L'ambito di pertinenza della legislazione giuridica e della disciplina del diritto, a differenza dalla morale, è dunque costituito dagli atti e dai comportamenti esterni di singoli individui razionali in relazione reciproca. Con tale distinzione, Kant fa una mossa che vedremo compiere anche a Fichte (cfr. in/ra, in questo volume, il seguente capitolo), ma che s'inscrive in una logica più ampia, che investe la stessa costituzione in scienza della filosofia politica moderna. Tuttavia, come per Fichte, anche nel caso di Kant è importante sottolineare non solo gli aspetti di omogeneità, ma anche quelli di relativa eccentricità nei confronti dell'assetto concettuale di questa tradizione. Un esempio di tale duplice ma inscindibile rapporto d'inclusione e di ulteriorità lo possiamo scorgere proprio nell'idea che presiede alla legislazione giuridica e alla costituzione dello Stato, cioè quella del "contratto originario" u. Ora, proprio nella misura in cui quest'ultimo è considerato da Kant come un'idea fornita a priori dalla ragione pratica, che come capacità di determinazione dell'arbitrio si esercita in forma di volontà, non è possibile immaginare il contratto come una costruzione artificiale da cui si produca l'universalità di quest'ultima. La volontà, infatti, non può assumere carattere di universalità mediante il contratto, poiché il contratto non sarebbe possibile senza presupporre l'universalità come tratto costitutivo e strutturale della volontà stessa. È vero che l'idea del contratto comporta la presenza di una molteplicità di voI I. «L'atto mediante cui il popolo stesso si costituisce in uno Stato, ma in senso proprio solo l'idea di esso, secondo cui soltanto se ne può pensare la conformità al diritto, è il contratto originario, secondo cui tutti (omnes et singuli) nel popolo rimettono la loro libertà esterna, per subito riprenderla come membri di un corpo comune, cioè del popolo considerato come Stato (universi)» (M, par. 47, I45, 3I5). Cfr. al riguardo Riedel (I970); Riley (I982l; Fiore (I993). I2. POTERE E LTBERTÀ NELLA FILOSOFIA POLITICA DI KANT lontà singolari, poiché implica la stipulazione di un accordo reciproco tra soggetti distinti, che agiscono in base a motivi dipendenti dal libero arbitrio. Ma in rapporto alla costituzione dello Stato non si tratta di un contratto puro e semplice, cioè di un fatto empirico, ma di un contratto in senso "originario". E qui "originario" non va inteso soltanto come ciò da cui prende inizio qualcosa, ma designa il rapporto con la dimensione dell'idea, in cui all'arbitrio dei singoli subentra la volontà come istanza di legislazione universale. Quindi, l'interpretazione più corriva secondo cui a fondamento dello Stato verrebbe posta una decisione degli individui non può corrispondere alla concezione kantiana r Al contrario, se la volontà, in quanto esprime l'efficacia della ragione in ambito pratico, è ciò da cui si origina spontaneamente l'idea del "contratto originario", non può essere a sua volta il risultato artificialmente prodotto ad opera di questo. Non sarebbe possibile alcun accordo tra volontà singolari, in altri termini, se la volontà singolare non fosse già di per sé permeata da un'incomprimibile istanza di universalità, tale da esigere per le proprie decisioni un piano di validità categorica. Perciò, il "contratto originario" non può dipendere dal libero arbitrio dei soggetti che lo stipulano, ma si svela piuttosto come la forma attraverso cui l'idea della volontà si manifesta e si fa valere come origine del diritto, ossia come istanza di legislazione universale, a fronte di una molteplicità presupposta di volontà singolari. Così, il "contratto originario" si mostra come condizione trascendentale spontaneamente posta dalla ragione per rendere possibile l'instaurazione del diritto e, con ciò stesso, l'esercizio della libertà esterna da parte dei singoli; in questo senso, esso non è l'artificio da cui si genera la volontà comune del corpo politico, bensì è la configurazione che l'idea, come principio di per sé incostruibile, assume quando si accolga come presupposto l'esistenza di una pluralità di soggetti singoli. A sua volta, questo significa che l'idea, lungi dal rimanere ineffettuale, è ciò da cui le azioni e le pretese del soggetto possono ricevere (qualora siano conformi all'idea del diritto) legittimazione giuridica. In virtù dell'idea, il singolo può far valere coattivamente di fronte a terzi il proprio diritto ad essere riconosciuto nell'esercizio della propria libertà esterna, a patto di rispettare l'esercizio della stessa libertà da parte degli altri (qualora quest'ultimo non collida con l'esercizio 2 • r 2. Sulla posizione di Hegel a questo proposito, ben più articolata di quanto non sia il rimprovero di porre i singoli e il loro arbitrio a fondamento dello Stato, cfr. in/ra in questo volume il saggio di M. Tomba. 2 59 IL POTERE legittimo della propria) r3. Che tale limitazione dell'arbitrio per il tramite della volontà avvenga o meno non è affatto contingente, bensì al contrario, qualora non avvenisse, non sarebbe l'idea a perdere la propria validità ed efficacia (in senso giuridico), ma le azioni dei singoli individui gli uni rispetto agli altri. Riassumendo: la volontà opera nei singoli e attraverso i singoli, ma non in quanto puro e semplice arbitrio di questi, bensì come funzione o istanza produttiva di universalità. Il contratto si limita a esprimere l'universalità già operante all'interno delle singole volontà. La volontà è una in quanto funzione apriorica della soggettività, e perciò si esercita attraverso la formulazione di leggi e principi di carattere universale. In quanto tuttavia investe i rapporti reciproci tra una pluralità di individui razionali, essa si esercita in forma di volontà "generale", cioè universalmente unificata. È in virtù di quest'ultima che i singoli si riuniscono in popoli e "Stati". I2.J Lo Stato e i suoi poteri Lo Stato è la forma istituzionale di cui la volontà si dota per costringere l'arbitrio della moltitudine a obbedire coattivamente all'istanza della libertà. Ciò comporta la fondazione di un rapporto di comando e obbedienza, in cui la totalità del popolo s'istituisce come potere coattivo rispetto ai singoli membri che lo compongono, cercando di salvaguardare l'unità e indivisibilità della volontà, pur all'interno dell' asimmetria indispensabile al funzionamento di una relazione di potere. Il problema è dato dal fatto che la volontà, essendo unica, è perciò stesso intrasferibile e inalienabile. Ciò che attraverso il contratto originario si attua è infatti una limitazione dell'arbitrio per il tramite della volontà, che gli uomini in relazione d'influenza reciproca esercitano in forma speculare e simmetrica. Ora, dato che il soggetto della limitazione è la volontà, quest'ultima non può trasferire o alienare se stessa, perché in questo modo verrebbe meno la possibilità di limitare l'arbitrio in rapporto all'esercizio della libertà esterna. Ma com'è 13. Poiché nel cosiddetto "stato di natura" ogni possesso esterno è solamente provvisorio, ciò equivale a dire che «ai soggetto dev'essere permesso di costringere ciascun altro, con cui egli entra nel contrasto del mio e del tuo su un tale oggetto, a riunirsi con lui in una costituzione civile» (M, par. 8, Corollario, 69, 256). Prima di questa, infatti, ogni possesso di oggetti esterni è solamente "prowisorio", e dunque problematica appare la stessa efficacia del «postulato giuridico della ragione pratica», secondo cui «è possibile avere come mio ogni oggetto esterno del mio arbitrio» (M, par. 2, 56, 246). Cfr. al riguardo Brandt (1982); Tueschling (1988). 12. POTERE E LIBERTÀ NELLA FILOSOPIA POLITICA DI KANT possibile, allora, l'instaurazione del dispositivo del potere, basato sulla relazione diseguale tra chi comanda e chi obbedisce? Il punto in cui trovare una risposta è contenuto forse, ancora una volta, nella differenza tra volontà (universale) ed arbitrio (particolare). Abbiamo visto come la volontà non diventi universale ad opera del contratto, bensì al contrario il contratto "originario" sia possibile solo in virtù dell'universalità della volontà, già operante all'interno della facoltà di desiderare propria dei singoli uomini. dispositivo del comando s'istituisce quando la volontà, in quanto universale, plasma un organo dotato di potere coattivo esterno, rivolto non tanto alla limitazione della volontà (che sarebbe assurda), quanto piuttosto alla limitazione dell'arbitrio. Dunque, è proprio perché non c'è trasferimento di volontà che diventa possibile fondare uno Stato. Ma se lo Stato è l'organo, giuridicamente fondato sull'idea del "contratto originario", attraverso cui la volontà si dota di potere coattivo esterno in rapporto all'esercizio dell'arbitrio, ciò spiega perché, secondo Kant, non sia possibile sostenere una concezione dello Stato centrata sulla reciproca limitazione dei suoi poteri. I poteri dello Stato sono infatti diverse articolazioni di un'unica volontà, che si è istituita in volontà "generale" nel senso che ha fatto valere, a fronte di una molteplicità di volontà singole, l'istanza dell'universalità già operante all'interno di queste. Quindi, i diversi poteri dello Stato non hanno il compito di porre reciproci ostacoli all'esercizio delle loro funzioni, poiché ciò contraddirebbe la funzione per cui sono stati istituiti, cioè il loro carattere di condizioni indispensabili all'esercizio dell'unica volontà che in essi si attua. La divisione dei poteri, intesa come concezione volta ad imporre una loro reciproca limitazione, è dunque in se stessa impossibile perché contraddittoria. Perciò, non tanto si tratta di una separazione come "bilanciamento" reciproco dei poteri, quanto piuttosto di un'articolazione conseguente all'unicità della volontà, e tale dunque da renderne possibile l'effettuale esercizio. I poteri dello Stato costituiscono le condizioni e in pari tempo gli organi di attuazione della volontà generale, come potere coattivamente efficace in direzione dell'arbitrio e dell'agire esterno dei singoli r4. Ciò comporta una duplice conseguenza: da un lato, la disposizione gerarchica dei poteri; dall'altro l'impossibilità per ciascuno di essi n 14· «Ogni Stato contiene in sé tre poteri, cioè la volontà universalmente unificata in triplice persona (trias politica) [ ... l» (M, par. 45, 142, 313); «Essi contengono la relazione di un capo supremo (che, considerato secondo leggi di libertà, non può essere altri che il popolo unificato) alla moltitudine smembrata di esso stesso in quanto suddito, cioè di colui che comanda (imperans) rispetto a colui che obbedisce (subditus )» (M, par. 47, 145, 315). 26! IL POTERE di limitare l'esercizio degli altri due. La funzione della sovranità in senso stretto spetta all'organo che incarna la funzione legislativa, perché carattere proprio della volontà è quello di porre autonomamente leggi a se stessa. Ora, le leggi della volontà sono necessariamente universali; tuttavia, la legge della volontà deve assumere carattere di comando in relazione all'arbitrio, deve cioè dimostrarsi come potere efficace di determinazione nei confronti di quest'ultimo. A ciò è deputata la funzione del governo come esercizio di potere coattivo, tale da disporre l'arbitrio all'obbedienza nei confronti dell'universale. La funzione giudicante è infine conforme alla conclusione del sillogismo pratico, di cui l'articolazione dei poteri è la configurazione giuridico-statale, in cui il caso singolo è valutato e deciso conformemente all'universalità della legge (premessa maggiore) e al comando particolare con cui il governo ne determina l'attuazione (premessa minore). È questa articolazione quella che Kant chiama la «triade politica» della volontà '5. L'ambivalenza della nozione di sovranità è conseguente al carattere unitario e in pari tempo universale della volontà. Infatti, in quanto la volontà si esercita in forma di autolegislazione, l'organo del potere sovraordinato a tutti gli altri è necessariamente quello che svolge la funzione di legiferare in forma universale, cioè il potere legislativo; d'altro canto, poiché l'efficacia dello stesso potere legislativo è condizionata dalla presenza e subordinazione ad esso dei poteri esecutivo e giudiziario, la prerogativa della sovranità spetta anche a questi ultimi. In tal modo, la relazione di comando-obbedienza costitutiva dell'tdea di Stato si esplica unitariamente attraverso l'articolazione di queste tre forme, ciascuna delle quali esercita in maniera indivisa e indivisibile il potere della volontà sull'arbitrio, sia pure conformemente alla specificità della propria funzione ' 6 • La differenza o asimmetria r5. Cfr. su tutto ciò M, par. 45, 142, 313; e il fondamentale M, par. 48, 145-6, 316. r6. Sulla relazione comando/obbedienza, cfr. M, par. 47, 145, 315. Qui Kant precisa anche che i «tre poteri» sono «dignità statali» (Staatswurden) in quanto «risultano necessariamente dall'idea di uno Stato in generale per la fondazione (costituzione) (Constitution) di esso>>. Nello stesso senso, il par. 45 aveva già dichiarato: «Uno Stato (civitas) è l'unificazione di una moltitudine di uomini sotto leggi giuridiche. Nella misura in cui queste sono necessarie come leggi a priori, cioè derivano di per sé da concetti del diritto esterno in generale (non statutariamente), la sua forma è la forma di uno Stato in generale, cioè lo Stato nell'idea, come esso deve (sol!) essere secondo puri principi giuridici, la quale serve da misura (norma) (quindi interiormente) per ogni effettiva unificazione in un corpo comune>> (M, 145, 313). L'ultima proposizione andrà tenuta presente per cogliere in tutta la sua portata filosofica il tema kantiano dell'opinione pubblica. 12. POTERE E LIBERTÀ NELLA FILOSOFIA POLITICA DI KANT che si produce tra l'organo detentore del supremo potere di comando e la moltitudine dei cittadini in qualità di sudditi soggetti a obbedienza, non produce nessuna scissione o dualismo nella compagine della costztuzione, poiché la volontà resta in questa una e indivisa. 12.4 Forme di Stato e tipi di governo Ciò spiega perché Kant ritenga contraddittoria con l'idea dello Stato la pretesa d'istituire una costituzione di tipo "moderato". Con questo termine, egli intende una costituzione centrata sulla reciproca limitazione dei poteri, e in particolare una costituzione in cui al potere legislativo spettino il compito e la funzione di limitare l'esercizio del potere esecutivo o di governo. Da un lato, ciò condurrebbe alla distruzione dell'idea stessa di volontà generale che trova espressione nella formula del "contratto originario" posto a fondamento dello Stato; dall'altro, porta direttamente alla conseguenza che quella costituzione dichiara di voler impedire, cioè all'esercizio dispotico del potere. Infatti, una limitazione del potere esecutivo ad opera del potere legislativo non appare pensabile altrimenti dalla loro reciproca confusione ed integrazione: il legislativo, attraverso i deputati che dovrebbero fungere da difensori dei diritti del popolo, cerca d'influenzare i ministri cui dovrebbe spettare in esclusiva la funzione del governo, e viceversa i ministri, attraverso la concessione di privilegi e favori, cercano di controllare l'operato del corpo legislativo, esercitando un'illegittima interferenza nell'opera della legislazione r7. La conseguenza della costituzione "moderata" è dunque l'instaurazione di un governo dispotico, che Kant caratterizza come l' esercizio, da parte di un unico potere (quello esecutivo), di due funzioni che nell'zdea di Stato appaiono rigorosamente distinte, quella legislativa (piano dell'universale) e quella esecutiva (piano del particolare) r 8 . Il governo diventa dispotico perché cessa di funzionare da organo della volontà, e riporta quest'ultima alla dimensione dell'arbitrio, che sotto il profilo politico si manifesta sia quando chi fa le leggi intende 17. Cfr. su ciò M, Osservazione generale sugli effetti giuridici risultanti dalla natura dell'unione civile, punto A, in particolare pp. 148-50, 318-zo. r8. Cfr. M, par. 49 (sul potere esecutivo), secondo cui i comandi del governo sono «decreti (non leggi); poiché sono diretti a una decisione in un caso particolare e vengono dati come revocabili» (146, 316l. Di conseguenza: <<Un governo che fosse in pari tempo legislatore dovrebbe essere chiamato diçpotico [... l» (ibid. l. Da vedere anche ZEW, 183-85, 351-3, su cui torneremo (cfr. in/ra, nota 21 e passim). IL POTERE in pari tempo essere il soggetto primario della loro applicazione, sia quando, viceversa, colui che dovrebbe dare valenza esecutiva alle leggi si arroga il diritto di formularle. Il dispotismo appare dunque non tanto come una forma arbitraria di esercizio della volontà politica, quanto al contrario come la distruzione dell'idea stessa di volontà, provocata dalla pretesa di assegnare all'arbitrio potere coattivo. Veniamo così a toccare uno dei punti più delicati della dottrina kantiana, quello cioè relativo alla sussistenza o meno di un diritto, da parte del popolo, a resistere e ribellarsi nei confronti di un governo giudicato dispotico. La risposta di Kant non lascia, al riguardo, dubbio alcuno. È contraddittorio attribuire al popolo un diritto di resistenza nei confronti di chi detiene il potere di governo, poiché soltanto l'esistenza di quest'ultimo rende possibile la concreta vigenza ed efficacia del diritto: sostenere che il popolo possiede il diritto di ribellarsi contro un potere dello Stato è assurdo, poiché il potere dello Stato è la condizione da cui dipende la possibilità di esercitare ogni e qualsiasi diritto '9. Inoltre, in caso di conflitto tra popolo e governo, chi potrebbe giudicare da quale parte stia la ragione? Il popolo che volesse rivendicare a sé il diritto di giudicare s'istituirebbe in giudice nella propria causa 20 , e ciò contraddirebbe il concetto stesso di giudice e di giudizio. Dalla dimensione del diritto si ricadrebbe, in tal caso, in quella della m era forza e dell'arbitrio, con il risultato di distruggere l'intero ordinamento della costituzione. D'altra parte, l'esortazione kantiana a obbedire comunque anche nei confronti di un governo giudicato dispotico appare ben lungi dal risolvere questo problema. Cerchiamo dunque di approfondire la questione in riferimento alla distinzione tra forme di Stato e tipi di governo, che Kant presenta nello scritto Per la pace perpetua 2 ' . Le forme di Stato definiscono il numero di individui cui viene assegnato il compito di formulare le leggi: in altri termini, si tratta della costituzione dell'organo legislativo, che come abbiamo visto per Kant è il luogo in cui si concentra il potere supremo dello Stato, e rappresenta dunque in senso stretto la sovranità della volontà generale. Alla costituzione dell'organo legislativo Kant riserva la distinzione classica tra forma di Stato autocratica (in cui chi detta le leggi è uno solo), aristocratica (in cui chi detta le leggi sono alcuni) e democratica (in cui chi detta le leggi sono tutti) 22 • 19. Cfr. TP, r62, 299. 20. lvi, 162, 300. Sulla problematica del diritto di resistenza, cfr. Haensel (r926), Nicholson (1976). 2r. ZEW, 183-5, 35r-3. 22. lvi, r83, 352. 12. POTERE E LIBERTÀ NELLA FILOSOFIA POLITICA DI KANT Il modo in cui si organizza l'organo legislativo determina in senso stretto la forma costituzionale dello Stato. A questo riguardo, tuttavia, è essenziale precisare almeno alcune tra le diverse accezioni che il concetto di "costituzione" assume in Kant. Quando si tratta di determinare la forma dell'organo legislativo, come nel nostro caso, Kant impiega il termine Verfassung 2 3. Lo stesso avviene però anche quando egli si riferisce all'organizzazione dello Stato nei suoi tre poteri, cosicché il termine/concetto di "costituzione dello Stato" (Staatsver/assung) viene a designare non soltanto la costituzione interna all'organo legislativo, bensì anche l'articolazione concreta delle tre Gewalten nello Stato 4. 2 23. Cfr. ivi, 352, r. 29; 353, r. 4 (Staatsverfassung); 353, r. 14 (Ver/assung). Al riguardo, cfr. anche M, par. 51 (r73-4, 338-9), dove troviamo impiegati con significato analogo i termini Staats/orm (358, r. 34), Staatsver/assung (339, r. 21l, Ver/assung (ivi, r. 23); e ancora M, par. 52 (174-7, 339-42), dove assieme a Ver/assung (340, r. r e r. 4) e Staatsver/assung (ivi, r. IO), troviamo burgerliche Verfassung ("costituzione civile", in un'accezione in cui tale termine è ancora sinonimo di "costituzione politica") (ivi, r. 6). In tutte queste occorrenze, il significato prevalente appare riferito alla "costituzione" interna dell'organo legislativo come depositario supremo della sovranità dello Stato. Per l'interesse subordinato che Kant dimostra rispetto al problema tradizionale di quale sarebbe la forma di Stato "migliore", cfr. il brano seguente: «Le forme di Stato (Staats/ormen) sono soltanto la lettera della legislazione originaria nello stato civile, e possono dunque durare fino a quando esse, come appartenenti al meccanismo della costituzione dello Stato (Staatsver/assung), vengono ritenute necessarie [ ... h (M, par. 52, 175, 340, rr. 23-27). Analoga posizione Kant aveva espresso nella Pace perpetua, in cui di fronte alla questione sul "tipo di governo" (Regierungsart) presente nello Stato (cioè, se "repubblicano" o "dispotico" - cfr. in/ra, nota seguente), molto meno importante appariva il problema della sua forma costituzionale: <<sia pure la costituzione (Verfassung) come vuole» (ZEW, r85, 353, r. q). 24. Poiché la Verfassung del legislativo investe la relazione tra esso e gli altri due poteri dello Stato, il significato del termine slitta facilmente sino a comprendere l'articolazione che, nello Stato, ha luogo fra le sue tre diverse Gewalten, e in particolare tra legislativo ed esecutivo. Nonostante l'innegabile fluidità della terminologia kantiana, questo sembra il signifcato prevalente di Ve1jassung nella definizione del concetto di diritto pubblico: <<Questo è dunque un sistema di leggi per un popolo, cioè una moltitudine di uomini [ .. .] che, stando in reciproco influsso l'uno con l'altro, per diventare partecipi di ciò che è di diritto hanno bisogno di diventare partecipi dello stato giuridico sotto una volontà che li unifichi, [cioè] di una costituzione (Verfassunf!)» (M, par. 43, 139, 311, rr. 8-12). Di contro Kant, nella Pace perpetua, da un lato impiega come sinonimi Ver/assung e Staats/orm (con riferimento alla "costituzione" del legislativo); dall'altro, dopo aver detto che «per il popolo è senza paragone più importante il tipo di governo (Regierungsart) che non la forma dello Stato» (primo significato di Ver/assung), nella nota relativa impiega il termine Staatsver/assung come sinonimo di "tipo di governo" (Regierungsart) (cfr. ZEW, r84, n. 9; 353, r. 31l. Nonostante l'evidente instabilità del lessico, attraverso il filtro della coppia polemica repubblica/dispotismo appare tuttavia decisivo, anche qui, il riferimento alle relazioni che s'instaurano tra potere legislativo e potere esecutivo, nel caso in cui sia vigente un sistema rappresentativo oppure no. IL POTERE A questo impiego del termine Ver/assung, si affianca quello della parola Constitution, la quale designa in Kant l'atto di fondazione dello Stato 2 5. Essa rimanda al concetto di un "potere costituente" (constituz'erende Gewalt), inteso come esercizio della volontà generale che, per il tramite del contratto originario, conduce alla limitazione dell' arbitrio dei singoli, e all'unificazione delle loro volontà in un unico e supremo potere, dotato di legittima forza coattiva 26 • n "potere costituente" è insomma la volontà in quanto istituisce il contratto originario, mentre quest'ultimo (come sappiamo) esprime l'idea della costituzione (Constitution) come atto fondativo dello Stato. Il concetto di Constitution appare cosi decisivo rispetto ad un'altra nozione chiave, cioè quella di legittimazione nell'uso, da parte dello Stato, di forza efficace diretta contro l'arbitrio dei singoli, qualora questi ultimi rifiutino di prestare obbedienza alla legge civile. Il potere coattivo dello Stato è legittimo, cioè ad esso non è lecito opporre alcuna forma di resistenza, poiché esso proviene dall'atto della sua originaria Constitution, cioè dal processo mediante cui la volontà dei singoli ha fatto valere l'istanza dell'universalità nei confronti del proprio arbitrio, e ha dato all'universalità della volontà potere coattivo contro quest'ultimo, garantendo l'esercizio conforme al diritto della libertà esterna pertinente a ciascuno. Nessuna legittimazione è possibile nell'uso della forza da parte dello Stato, senza riferimento all'idea del contratto originario, e perciò stesso all'atto con cui la volontà si è istituita ed esercitata come "potere costituente". Possiamo dire quindi che la Constitution sta all'origine della Ver/assung, la quale risulta dall' idea dell'atto di una fondazione originaria, e definisce lo Stato come articolazione dei poteri legislativo, esecutivo, giudiziario. Vi è infine un uso del termine Constitution in un significato analogo a quello di "documento" o "carta" costituzionali 2 7. Questo signifi2 5. È la definizione che del concetto fornisce Io stesso Kant, anche se neppure in tal caso a dò corrisponde un impiego univoco sotto il profilo terminologico: «Costituzione (Constitution) (l'atto della volontà generale, mediante cui la moltitudine diventa un popolo)» (ZEW, 183, 352, rr. I0-12). Cfr. anche M, par. 47, 145, 315, dt. supra, nota 16. Di contro, cfr. invece M, la Osservazione generale citata alla nota 17: «Dunque la cosiddetta costituzione dello Stato (Staatsver/assung) moderata, in quanto costituzione (Constitution) del diritto interno dello Stato, è un'assurdità [ ... h (150, 320, r. 5). 26. Cfr. M, par. p, 175, 340. 27. È il senso che sembra emergere (benché a costo di un'ulteriore sovrapposizione tra Constitution e Ver/assung) dal passo in cui Kant, al culmine della sua polemica contro i sostenitori del diritto di resistenza, cita proprio l'esempio della "costituzione" inglese per sostenere la propria tesi: «Nella costituzione (Verfassung) della Gran !2. POTERE E LIBERTÀ NELLA FILOSOFIA POLITICA DI KANT cato sembrerebbe il più debole rispetto ai primi due, ma in realtà appare conseguente all'accezione primaria della Constitution. La "carta costituzionale" non fa infatti che sancire in forma di documento scritto e pubblicamente riconosciuto i termini fondamentali in base ai quali è stato stipulato il contratto originario, cioè ha avuto luogo la fondazione (Constitution nel senso primario) della compagine statale (cioè la Ver/assung come articolazione concreta dei poteri). Ma abbiamo visto che il termine Ver/assung, oltre a questo significato, può assumerne uno più ristretto, e designare la costituzione interna del potere legislativo, cioè dell'organo in cui la sovranità dello Stato si esercita come facoltà di legislazione universale, valida per la totalità del corpo politico. Nel saggio Per la pace perpetua, quest'ultimo è il senso del termine nella forma composta "costituzione dello Stato", concetto che Kant affianca a quello di "forma dello Stato" (Staats/orm). Quest'ultimo peraltro dimostra una stabilità lessicale maggiore del precedente, e a conferma del carattere subordinato che in Kant assume la tematica della "migliore" forma costituzionale, è il vero e proprio concetto differenziale rispetto a quello, che Kant distingue accuratamente dal primo, di "tipo di governo" (Regierungsart), cioè l'organizzazione del potere di comando, attraverso cui alla legge universale della volontà viene data efficacia e forza esecutiva. Ora, le forme di governo possono essere di due tipi fondamentali, ovvero repubblicane o dispotiche 28 • La forma dispotica è quella in cui il governo ha anche il potere di formulare le leggi, e nella Pace perpetua Kant sostiene che la forma costituzionale più lontana da un esercizio del governo in senso repubblicano, e più vicina a un uso del potere in senso dispotico, è quella democratica. Nella democrazia, infatti, tutti hanno il potere di formulare le leggi, e di conseguenza tutti hanno la pretesa di esercitare il potere di sovranità su tutti gli altri. Ciò conduce inevitabilmente all'identificazione tra facoltà legislativa e potere di governo, e all'impossibilità di distinguere tra organi rappresentativi della volontà generale e moltitudine dei cittadini soggetti alle leggi da essi emanate. Di Bretagna, in cui il popolo si vanta così tanto della sua costituzione (Constitution), tuttavia noi troviamo che essa tace completamente dell'autorizzazione che dovrebbe spettare al popolo nel caso in cui il monarca dovesse violare il contratto del r 688 [ ... ]. Infatti, che la costituzione (Constitution) in questo caso contenga una legge che autorizzi a rovesciare la sussistente costituzione (Verfassung), da cui procedono tutte le leggi particolari [...] è una chiara contraddizione: poiché essa allora dovrebbe contenere anche un contropotere pubblicamente costztuito (constituierte), dunque anche un secondo capo dello Stato [ ... h (TP, r65, 303l. 28. Sono le pagine, a cui già abbiamo fatto riferimento, di ZEW, r83-5, 351-3. IL POTERE conseguenza, in una democrazia anche il governo della maggioranza sulla minoranza appare dispotico, perché è comunque il governo di una parte (preponderante sotto il profilo numerico, e dunque della meta forza) su di un'altra parte (che soccombe perché numericamente inferiore e quindi più debole) 2 9. La critica della democrazia illumina con particolare efficacia il nesso istituito da Kant fra governo repubblicano e ordinamento rappresentativo. La democrazia è un dispotismo, perché in essa i singoli, come persone naturali, vogliono immediatamente legiferare su tutto il corpo politico. Ciò significa che, in mancanza di accordo, sarà la parte numericamente più consistente a governare sull'altra parte, imponendo il rispetto di una legge che promana non dalla volontà universale di tutto il corpo politico, ma soltanto da un frazione di esso. Per evitare queste conseguenze, è necessario introdurre un ordinamento rappresentativo, perché soltanto sulla base della rappresentanza è possibile, da un lato, far valere la volontà come volontà generale; dall'altro, distinguere tra funzione legislativa, il cui organo rappresenta la volontà generale perché è stato legittimamente istituito in base all'idea del "contratto originario", e potere esecutivo, i cui ministri possono legittimamente comandare ai sudditi il rispetto della legge, proprio perché agiscono in virtù di depositari e "reggenti" della volontà dell'intero corpo politico. La rappresentanza cosi non risulta legata soltanto alla funzione legislativa, ma attraversa tutti e tre i poteri dello Stato, in quanto ciascuno di essi incorpora la totalità della volontà generale, che si esercita in forma articolata nella specificità delle loro diverse funzioni 3o. 12.5 Sviluppi del tema repubblicano Ciò spiega l'enfasi con cui Kant sostiene che nella valutazione di uno Stato è molto più importante la forma del governo che non la forma 29. «Fra le tre forme di Stato la democrazia nel senso proprio della parola è necessariamente un dispotismo, poiché essa fonda un potere esecutivo in cui tutti decidono sopra ed eventualmente anche contro uno (che dunque non è d'accordo), quindi tutti decidono benché non siano tutti: il che è una contraddizione della volontà generale con se stessa e con la libertà» (ZEW, 183, 352). 30. Anche nel caso del potere "giudiziario", infatti, «ll popolo giudica se stesso mediante coloro tra i suoi concittadini che esso ha nominato come suoi rappresentanti mediante libera scelta» (M, par. 49, 147, 317). Sulle aporie nella concezione della rappresentanza, cfr. Duso (1987). 12. POTERE F LIBERTÀ NELLA FILOSOFIA POLITICA DI KANT della costituzzone3 Nella Rechtslehre del 175>7, egli ribadisce questo giudizio, quando afferma che le forme costituzionali sono soltanto la "lettera" del corpo politico, mentre lo "spirito" del patto originario è costituito dall'idea di un' autolegislazione universalmente riconosciuta, da parte della volontà unificata di tutto il popolo 3z. Ma proprio a questo riguardo, la Metafisica dei costumi sembra presentare una diversa valutazione del rapporto tra forme di costituzione e tipi di governo. Infatti, mentre nello scritto Per la pace perpetua Kant afferma che la forma autocratica di costituzione, in cui uno solo detiene il potere di formulare la legge, è quella più vicina a un ordinamento di tipo repubblicano B, nel testo più tardo egli inverte l'argomentazione, e sostiene che la costituzione autocratica è quella più pericolosa per la libertà del popolo poiché, essendo uno solo quello che incorpora il potere sovrano, tanto più facile sarà per lui far convergere su di sé sia il potere di formulare la legge, sia il potere di curarne l' esecuzione 34. Quello che nel 1795 appariva il pregio di questa forma costituzionale, il fatto cioè di attribuire a un organo composto da un solo uomo la funzione rappresentativa di tutto il corpo politico, diventa due anni dopo il tratto che maggiormente accomuna costituzione autocratica e rischio di un esercizio dispotico del potere di governo. Correlativamente a questa diversa valutazione della costituzione di tipo autocratico, emerge una diversa e più complessa trattazione della costituzione di tipo democratico. Quest'ultima non è più collegata alla forma del governo dispotico, ma è aperta all'instaurazione di 1 • 31. ZEW, r84, n. 9, 353, r. 31. È opportuno ribadire che la nozione kantiana di govemo non ha più nulla a che vedere con quella vetero-cetuale, poiché riguarda l'esercizio del potere nel senso della sovranità e della rappresentanza di tipo moderno. 32. «Ma lo spirito di quel contratto originario (anima pacti orzginarii) contiene l'obbligazione per il potere costituente di rendere il tipo di governo conforme a quell'idea, e così, anche se non può accadere in una volta, di modificarlo gradualmente e continuamente in modo che esso concordi secondo i suoi effetti con l'unica costituzione conforme al diritto, cioè quella di una pura repubblica [ ... h (M, par. 52, 175, 340). 33· <<Quanto minore è il personale del potere statale (il numero dei sovrani), quanto maggiore è la loro rappresentazione, tanto più la costituzione dello Stato concorda con la possibilità del repubblicanesimo, ed essa può sperare di elevarsi a ciò mediante riforme graduali. Per questo motivo nell'aristocrazia è già più difficile che nella monarchia, mentre nella democrazia è impossibile se non mediante rivoluzione violenta>> (ZEW, r84, 353). 34· «Per quanto riguarda il funzionamento del diritto nello Stato, quella più semplice [sci!. la forma di Stato autocratica] è certamente anche la migliore, ma, per quanto riguarda il dirztto in se stesso, è la più pericolosa per il popolo in considerazione del dispotismo, a cui essa così facilmente conduce>> (M, par. 51, 174, 339l. IL POTERE una forma di governo repubblicano 35. Questo spostamento non è collegato ad un mutamento nella concezione del governo repubblicano, ma sembra dovuto ad un cambiamento nella concezione della democrazia. Nel saggio Per la pace perpetua, infatti, la democrazia è intesa come forma costituzionale basata sull'esercizio diretto da parte dei singoli del potere sovrano, mentre nella Rechtslehre del 1797 la democrazia viene ritenuta compatibile con un ordinamento di governo a carattere rappresentativo 36 . Di qui, la riapertura del problema concernente la democrazia, e la funzione che Kant viene ad assegnare al "potere costituente" in rapporto alla modificazione della forma di governo, in direzione di una sempre maggiore conformità di questo all'"idea" del patto originario, che delle forme costituzionali costituisce lo "spirito" vivificatore 37. In relazione a quest'ultimo punto, la posizione kantiana secondo cui il popolo, dinnanzi a un governo comunque costituito, non possiede alcun diritto alla rivoluzione, rimane immutata, e tuttavia la questione di come porsi nei confronti di un governo giudicato dispotico non sembra potersi chiudere con un semplice richiamo al dovere dell'obbedienza. In effetti, l'argomentazione secondo la quale il popolo, così facendo, si erigerebbe a giudice nella propria causa sembra contraddire l'altra secondo cui, nella ragion pratica, sono contenuti i criteri per valutare se le misure prese da un governo siano o non siano conformi allo "spirito" del patto originario 38 . D'altra parte, la 35. Cfr. M, ancora il par. 5 r, in cui l'ordinamento democratico appare più complesso degli altri due proprio perché si svincola dalla pretesa, cui lo confìnava il saggio del 1795, secondo la quale in esso «ciascuno vuole essere sovrano» (ZEW, 184, 353). Nella Rechtslehre del 1797, al contrario, non soltanto si dà il superamento della pura e semplice volontà «di tutti>> in direzione della costituzione di una volontà comune, cioè di un «popolo»; ma in pari tempo, si tratta di istituire la volontà dei «cittadini» (cioè dei singoli membri del popolo) in un «Corpo comune», cioè in un organismo collettivo dotato di capacità di azione; e infine, di costituire il vero e proprio sovrano, che nella democrazia <<è questa volontà unificata stessa» (M, par. 51, 174, 339). 36. Cfr. la nota al par. 52, in cui Kant, con riferimento alla Rivoluzione francese, esplicita la relazione tra «volontà collettiva del popolO>> e «assemblea nazionale>> (M, 176-7, 341-2). Su Kant e la Rivoluzione francese, cfr. Burg (1974); Gasparini (1979); Tosel (198Rl. 37· M, par. 52, 175, 340. 38. Cfr. TP, in cui Kant, dopo aver chiarito come «non sia affatto necessario presupporre>> il contratto originario «come un fatto (anzi, come tale esso non è neppure possibile h (I 59-60, 297 ), lo definisce come <<Una pura tdea della ragione, che però ha una sua indubitabile realtà (praticah>, e costituisce dunque «la pietra di paragone della legittimità di ciascuna legge pubblica>> (ibid.). I2. POTERE E LIBERTÀ NELLA FILOSOFIA POLITICA DI KANT stessa idea di diritto trova nello Stato l'organismo in grado di fornire ad essa potere coattivo, ma è di per sé anteriore e indipendente dalla sussistenza o meno di un ordinamento statale, perché è un'idea a priori della ragion pratica. È ciò che Kant sottolinea nella sua polemica contro Hobbes, quando afferma che il fatto che il popolo non possa esercitare alcun diritto coattivo (e dunque alcuna forma di resistenza) nei confronti del governo non significa che il popolo abbia ceduto al governo ogni e qualsiasi diritto 39. Sembra insomma impossibile riuscire a comprimere ed appiattire nella forma istituzionale degli organi e poteri dello Stato l'idea che ne sta alla base, cioè il "contratto originario" come espressione della volontà unificata di tutto il popolo. La volontà come "ragion pratica" resta viva e operante nel suddito in quanto "cittadino" e in quanto "uomo", cioè soggetto capace di autonomia, a cui la libertà assegna uno statuto e una destinazione ulteriori rispetto a quelli che gli sono riservati in qualità di puro e semplice "suddito". A questa situazione problematica Kant cerca di dare espressione attraverso la sua dottrina dell'opinione pubblica come organo di espressione della cultura e delle esigenze maturate in seno al popolo, che essa ha il compito di manifestare al governo perché se ne informi e possa così adeguare ad esse il proprio indirizzo politico 4o. Il sovrano lungimirante è quello che non conculca la libertà dell'opinione pubblica, ma quello che garantendone l'esercizio (in forma compatibile con la sussistenza del potere statale), ne ascolta le istanze e ne tiene conto per attuare una politica di rz/orme, che adeguino costantemente l'assetto dello Stato al "progresso" della cultura e a un ordinamento di tipo repubblicano 4'. Di contro, quando ciò non accade, e un monarca giunge addirittura a trasferire il proprio potere di governo all'assemblea rappresentativa del popolo, egli si priva della sua stessa funzione di rappresentante della sovranità. Quest'ultima ritorna alla sua fonte originaria, cioè alla volontà unificata di tutto il popolo, che non potrebbe più restituirla, nemmeno se lo volesse, all'antico monarca 4 2 • 39· n popolo infatti <<mantiene i suoi diritti inalienabili nei confronti del capo dello Stato, anche se questi non possono essere diritti di coazione>> (TP, r65, 303). 40. Egli giunge a definire la libertà di penna come d'unico palladio dei diritti del popolm> (TP, r66, 304). Sulle tematiche dell'opinione pubblica e del giudizio politico, cfr. Habermas (r962l; Arendt (r982l; Laursen (r986). 41. Cfr. al riguardo ZEW, 184, 353· M, par. 52, cit. supra, nota 32· Per un inquadramento del tema repubblicano in rapporto alla kantiana filosofia della storia, cfr. Vlachos (r962J; Yovel (r98ol. 42. Cfr. ancora M, par. 52, in particolare ultimo capoverso e nota (r76-7, 341- IL POTERE Vita Immanuel Kant nasce a Konigsberg (Prussia orientale) il 22 aprile 1724, da padre sellaio e madre pietista. Frequenta il Collegio Fridericiano della sua città dal 1732 al 1740, anno in cui si iscrive alla locale università. Pochi mesi dopo la morte di suo padre, conclude gli studi universitari ( r 7 46), iniziando l'attività di precettore. Nel 1755 ottiene l'abilitazione come libero docente. Nel 1764 pubblica le Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime; due anni dopo è nominato vicebibliotecario nella biblioteca del castello di Kéinigsberg. Nel 1770, diventa professore ordinario con la dissertazione De mundi !;ensibilis atque intelligzbtlis forma et principiis. Del 1781 è la prima edizione della Critica della ragion pura (ne seguirà una seconda, con importanti modificazioni, nel 1787); nel 1788 esce la Critica della ragion pratica; nel 1790 la Critica del giudizio. In questo arco di anni compone anche diversi saggi di etica e di filosofia della storia, tra cui: Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico ( 1 784), Rùposta alla domanda: che cos'è l'tlluminismo? (r784l, Fondazione della metafisica dei costumi (r785l. Nel 1786 diventa membro dell'Accademia delle scienze di Berlino, e nell'estate rettore dell'Università di Kéinigsberg. Nel 1793, pubblica La religione entro i limzti della pura ragione e Sopra zl detto comune: Questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica. Nel 1794 diventa membro dell'Accademia delle scienze di Pietroburgo; alla seconda edizione della Religione, un'ordinanza regia lo richiama severamente per le dottrine in essa presentate, e il filosofo deve impegnarsi, per l'avvenire, a non trattare argomenti di tipo religioso. Nel 1795 esce lo scritto Per la pace perpetua, mentre di due anni dopo è la Metafisica dei costumi (1797). Kant muore il 12 febbraio 1804. Opere Di Kant, ci limitiamo a fornire le indicazioni delle opere citate nel testo: Ueber den Gemeinspruch: Das mag in der Theorie richtig sein, taugt aber mcht /ur die Praxis ( = TP), in Kants Werke- Akademie Textaujgabe, de Gruyter, Berlin-New York 1968, vol. vm, pp. 273-313. Zum ewigen Frieden ( = ZEW), ivi, pp. 341-86. Die Metaphysik der Sitten ( = M), ivi, vol. VI, pp. 203-493. Per il testo dei Primi prùzcipi metafiszà della dottrina del diritto, che della Metafiszca dei costumi costituiscono la prima parte, cfr. anche l'edizione, a cura di B. Ludwig: I. Kant, Metaphysische An/angsgriinde der Rechtslehre, Meiner, Hamburg 1986. Per le traduzioni a cui si è fatto riferimento nel testo, cfr.: Sul detto comune: "ciò può esser giusto in teoria, ma non vale per la prassi" ( = TP), in I. Kant, Stato di dirttto e società civile, nuova edizione aggiornata, a cura di N. Merker, Editori Riuniti, Roma 1995, pp. 141-74· Per la pace petpetua. Un progetto filosofico ( = ZEW), ivi, pp. 175-214. 12. POTERE E LIBERTÀ NELLA FILOSOFIA POLITICA DI KANT La metafisica dei costumi ( = M), traduzione e note a cura di G. Vidari, rev. della traduzione, note aggiunte e indice degli argomenti a cura di N. Merker, Laterza, Roma-Bari I989. Per le frequenti modificazioni di traduzione, si è preferito far seguire all'indicazione del numero di pagina relativo alle edizioni italiane, il numero di pagina (e talvolta di riga) corrispondente nell'edizione tedesca. Letteratura critica ARENDT H. ( 1982), Lectures on Kant's Politica! Philosophy, Chicago University Press, Chicago (trad. it. Il Melangolo, Genova I990l. BATSCHA z. (a cura di) (I976l, Materialen zu Kants Rechtsphilosophie, Suhrkamp, Frankfurt am Main. BEDESCHI G. (I994), Il pensiero politico di Kant, Laterza, Roma-Bari, pp. 38r. BOBBIO N. (I 969), Diritto e Stato nel pensiero di E. Kant, Giappichelli, T orino. BRANDT R. (I982), Das Erlaubnisgesetz, oder: Vernun/t und Geschichte in Kants Rechtslehre, in Id. (hrsg.), Recht>philosophie der Au/kldrung. Symposium Wolfenbuttel r98r, De Gruyter, Berlin-New York, pp. 233-85. BURG P. ( I974), Kant und die /ranzosische Revolutz'on, Duncker und Humblot, Berlin. DEGGAU H. G. 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HOEFFE 274 Diritto e potere in Fichte di Gaetano Rametta 13.1 L'autonomia del diritto dalla morale Benché la delimitazione degli ambiti fra diritto e morale costltmsca una delle mosse fondamentali con cui s'inaugura la parabola della filosofia politica moderna, Fichte ritiene una delle conquiste principali della sua dottrina quella di avere per la prima volta rigorosamente distinto il diritto dalla morale. Questa osservazione, se può apparire azzardata sotto il profilo della sua esattezza storico-concettuale, può essere però parzialmente giustificata se viene riferita alla modalità con cui Fichte cerca di conseguire questo obiettivo. Per lui, infatti, tale distinzione tra sfera giuridica e sfera morale non è possibile, sotto il profilo scientifico, se non nella cornice della sua "dottrina della scienza". Quest'ultima, infatti, in quanto è filosofia trascendentale, non si limita ad accogliere dalla tradizione i suoi concetti, ma intende dedurli e giustificarli a priori, cioè a partire dalla struttura originaria della soggettività r. Che siffatta distinzione, poi, non fosse stata per lo stesso Fichte così scontata lo testimonia la posizione che egli sostiene nel Contnbuto del r 79 3, in cui la sfera della politica e del diritto figura inclusa in posizione non autonoma, bensì dipendente, all'interno della sfera della "coscienza morale" (cfr. C, p. 146), che non soltanto condiziona il carattere vincolante della legge giuridica, ma che consente al singolo di svincolarsi unilateralmente dallo stesso "contratto sociale", che viene posto alla base dello Stato. In questa revocabilità del carattere giuridicamente vincolante dell'appartenenza del singolo a una comunità politica, e nell'inclusione dell'ambito giuridico all'interno di una giurisdizione dominata dalla legge morale, si può vedere non soltanto r. Per un inquadramento complessivo, cfr. Philonenko ( 1966); Lauth ( 1986); Cesa ( 1992). 275 IL POTERE l'effetto di una elaborazione ancora incompleta della dottrina della scienza, ma anche, e forse soprattutto, un'ancora insoddisfacente penetrazione nella logica sottesa ai concetti che presiedono la costituzione del potere statale, e che vengono formulati per la prima volta nel diritto naturale moderno Anche nel Fondamento, Fichte considera la morale come dotata di un'obbligatorietà incondizionata. Ma proprio su questa base, egli distingue il diritto come ambito autonomo e perciò suscettibile di una trattazione scientifica indipendente. V ediamo allora più precisamente di cosa si tratta. Sulla scorta di Kant, anche per Fichte la legge morale esige una completa purezza e onestà dell'animo, poiché pretende un rispetto e un'obbedienza in maniera del tutto disinteressata. In essa, cioè, il soggetto non ottempera l'obbligo del dovere in vista di un risultato esterno, bensì obbedisce al dovere «per amore del dovere stesso». Per questo, la scienza della morale (Sittenlehre) non indaga sulle conseguenze di un'azione nel mondo esterno, bensì espone le condizioni in base alle quali è possibile agire in maniera autonoma e perciò assolutamente libera, indipendentemente dalle conseguenze che la propria decisione avrà sul mondo sensibile. Ciò significa che la legislazione morale obbliga esclusivamente in /oro interno, riguarda la coscienza (Gewissen) di ciascuno, e quindi è sottratta a qualunque possibilità di determinazione e di giudizio dall'esterno. Di contro, il diritto è la scienza che studia le condizioni in base alle quali è possibile una convivenza tra esseri razionali. Ciò comporta una fondamentale limitazione nello spettro e nell'ambito di validità del diritto. Infatti, l'essere razionale non è costituito sol'o di ragione, ma anche di concreta sensibilità: ed è proprio sul piano ,della sensibilità, cioè di una comune appartenenza al mondo della datura, che si pone il problema fondamentale della dottrina del diritto (Rechtslehre): «Com'è possibile una comunità di esseri liberi, come tali?» (DN, p. 78). Ora, Fichte ritiene che l'essere razionale, come individualità, non possa istituirsi e prendere coscienza di sé senza entrare in una relazione intersoggettiva con altri esseri razionali. Ciò comporta, per quell'essere razionale misto che è l'uomo, la necessaria compresenza di altri uomini, dal cui riconoscimento viene a dipendere la costituzione stessa della singola autocoscienza libera. concetto attraverso cui Fichte cerca di pensare la relazione originaria tra esseri razionali è quello dell'esortazione (Aufforderung), in base a cui ciascuno spinge l'altro a comportarsi da essere libero, cioè conformemente alla pro2 • n 2. Cfr. al riguardo D uso (I 99 3 ) . I 3. DIRITTO E POTERE IN FICHTE pria natura razionale. Con l'esortazione rivolta all'altro, ciascuno riconosce quest'ultimo come essere libero e razionale; e viceversa, manifestando la propria razionalità, esprime l'esigenza di essere riconosciuto come libero dagli altri 3. Tuttavia, proprio nella misura in cui si riconoscono come liberi, gli uomini devono riconoscersi anche la possibilità di decidere se istituire tra loro una comunità oppure no. In questo se è contenuto il carattere condizionato della legge giuridica, la cui obbligatorietà è operante solo a partire dall'ipotesi che gli uomini abbiano effettivamente deciso di stabilire una forma di convivenza reciproca, e di entrare quindi a far parte di una comunità di esseri razionali. D'altra parte, se tale condizione viene posta, allora l'obbligatorietà della legge giuridica deve necessariamente subentrare. Quest'ultima, infatti, è la condizione a priori, cioè universale e necessaria, in base a cui soltanto diventa possibile una convivenza tra esseri razionali, ed è per questo motivo che Fichte, nonostante il suo carattere condizionato, la designa come «concetto originario della ragione pura» (DN, p. 9). Qui sta tutta la forza e in pari tempo la debolezza della legge giuridica. Quest'ultima, infatti, impone a ciascuno di limitare la propria libertà di azione sul mondo esterno, in modo da renderla compatibile con l'esercizio di un agire libero da parte degli altri: «lo devo riconoscere in tutti i casi l'essere libero fuori di me come un essere libero, devo cioè limitare la mia libertà mediante il concetto della possibilità della sua libertà» (DN, p. 47). L'altro, a sua volta, deve impegnarsi a fare lo stesso nei confronti del primo, per consentire anche a questo di agire liberamente sul mondo esterno. Soltanto questa reciprocità rende possibile per ciascuno una limitazione della libertà funzionale all'esercizio della libertà: «Nessuno dei due può riconoscere l'altro, se. tutti e due non si riconoscono reciprocamente, e nessuno dei due può trattare l'altro come un essere libero, se tutti e due non si trattano così reciprocamente» (DN, p. 40). Siffatta relazione, in base a cui nessuno dei due può essere riconosciuto come libero dall'altro se non tratta l'altro come libero, e viceversa, costituisce per Fichte il concetto di rapporto giuridico, e l'esigenza d'instaurare tale rapporto viene estesa dalla ragione alla totalità degli esseri razionali. Ora, nel discorso del moderno diritto naturale, l'unico strumento in grado di sancire un accordo basato sulla libertà dei singoli è il contratto. Ma proprio la fondazione contrattuale del rapporto giuridico mette in evidenza il problema della sua effettiva realizzazione, cioè 3· Cfr. al riguardo Janke (1991); Kahlo (r992l. IL POTERE la questione se al contratto così stipulato spetti un'effettiva validità, visto che esso è basato su una scelta puramente arbitraria da parte dei contraenti. Dire che la scelta è arbitraria, infatti, significa dire che essa dipende da un'interiore decisione della volontà. Il soggetto intende instaurare una comunità con altri esseri razionali, e manifesta nel mondo sensibile questa sua intenzione, stipulando il contratto. Ma il contratto, in questo modo, sarebbe basato semplicemente sulla fiducia e sull'onestà: sulla certezza, da parte di ciascuno, che la dichiarazione dell'altro corrisponda effettivamente alla sua intenzione, e che non sia espressione di una decisione momentanea, bensì rifletta un impegno destinato a durare nel tempo. Ma qualora si potesse contare su questo tipo di condizioni, non ci sarebbe affatto bisogno di stipulare un contratto. Infatti, ciascuno avrebbe già limitato la propria libertà in modo tale da non danneggiare la libertà e l'indipendenza degli altri: ciascuno avrebbe agito in maniera conforme alla legge morale, e avrebbe reso superflua la stipulazione del contratto. Il contratto presuppone dunque una situazione in cui, al di là delle intenzioni e delle qualità morali dei singoli, la questione della coerenza interiore e della virtù di ciascuno viene posta tra parentesi, e anzi viene adottato come massima per l'agire il principio opposto, cioè quello secondo cui ciascuno, non appena risulterà possibile, tenterà di danneggiare con il suo comportamento la libertà e l'indipendenza degli altri. È solo in base a questo presupposto che il diritto può assurgere a scienza del tutto indipendente dalla morale. Infatti, la convivenza reciproca tra esseri razionali e le condizioni che la rendono possibile sono esse stesse prescritte dalla legge morale: ma da quest'ultima sono prescritte come obbligazioni interiori e categoricamente vincolanti, poiché da esse dipende l'accordo dell'ente razionale con se stesso; mentre il diritto si occupa esclusivamente delle condizioni che rendono possibile una convivenza pacifica sotto il profilo dei rapporti e dell'agire esterni: «L'essere razionale non è obbligato in modo assoluto, dal carattere della razionalità, a volere la libertà di tutti gli esseri razionali fuori di lui; questa proposizione è la linea di confine tra diritto naturale e morale, ed è l'elemento caratteristico di una trattazione pura della prima scienza. Nella morale si dimostra un'obbligazione a volerlo. Nel diritto naturale si può soltanto dire ad ognuno che dalla sua azione deriverà questo e quest'altro» (DN, p. 78; corsivo nostro) 4. 4· Per un approfondimento delle tematiche affrontate in questo paragrafo, cfr. Verweyen (1975); Renaut (r986); Ivaldo (r987). I 3. DIRITTO E POTERE IN FICHTE 13.2 Contratto di cittadinanza e fondazione dello Stato Se in questo modo Fichte cerca di conseguire il suo obiettivo fondamentale, consistente nell'affermare e fondare l'autonomia del diritto dalla morale sotto il profilo epistemologico, d'altra parte queste considerazioni sembrano rafforzare il dubbio sulla validità e l'efficacia del contratto che dovrebbe fondare il rapporto giuridico. Proprio nella misura in cui il contratto è legato alla volontà dei contraenti, infatti, esso è destinato a confermare l'incertezza di ciascuno nei confronti dell'altro, a causa del carattere puramente presunto e ipotetico della conoscenza dell'altrui volontà. Ma allora, per acquisire una posizione di vantaggio, ciascuno sarebbe spinto a violare il contratto per primo, nel timore che l'altro intenda fare la stessa cosa. Il risultato sarebbe l'annullamento del contratto, il quale anzi dimostrerebbe, con la sua inefficacia, di non avere mai avuto luogo; al posto del rapporto giuridico, ci troveremmo ricondotti in una condizione di insicurezza reciproca, e allo scoppio inevitabile di una «guerra, che potrebbe terminare solo con la fine di uno dei due» CDN, p. rq). È perciò necessario un «potere fisico», che sanzioni con forza efficace la stipulazione dell'accordo, e sia dotato della facoltà di punire legittimamente, cioè in modo conforme al diritto, colui che infrange l'accordo ora stipulato. Nello stato di natura, in effetti, esiste un diritto di coazione che il singolo sarebbe autorizzato a far valere nei confronti di colui che viola i suoi diritti originari, cioè quelli che «fanno parte del semplice concetto di persona» (DN, p. 85; corsivo nostro), equivalente giuridico dell'«individuo razionale» CDN, p. 51). Ma tale diritto di coazione appare in realtà inapplicabtle da parte della persona offesa. Essa infatti è autorizzata a esercitare questo diritto solo fino al punto in cui l'altro decida di sottomettersi alla legge giuridica, assolutamente non al di là di questo limite. Ma poiché nello stato di natura non esiste alcun giudice in figura di terzo, l'offeso si trova ad essere egli stesso giudice nella propria causa, e così permanentemente esposto al rischio di applicare al di là del lecito il suo diritto. Tanto più che la questione andrebbe decisa in riferimento ad una conoscenza per principio problematica, come quella che investe il rapporto tra la coscienza dell'altro e il suo rispetto della legge. Perciò, Fichte risponde negativamente alla domanda «se sia possibile o meno un esercizio del ·diritto di coazione da parte dello stesso offeso» CDN, p. 89). Ma poiché alla possibilità di far valere il proprio diritto coattivo nei confronti dell'altro è legata la sussistenza o meno dei miei diritti originari nello stato di natura, la risposta negati- 279 IL POTERE va a tale domanda comporta una risposta negativa anche alla questione «se sia possibile un vero e proprio diritto naturale, nella misura in cui questo deve designare una scienza del rapporto giuridico tra persone al di fuori dello Stato, e senza legge positiva» (zbid.). Quindi, non essendo possibile instaurare un rapporto giuridico al di fuori dello Stato, si tratta di mostrare in che modo quest'ultimo rappresenti un «potere fisico» dotato a) di "forza preponderante" nei confronti di ciascun singolo, e b) della legittimità necessaria a farla valere contro l'individuo che infrange la legge. La soluzione fichtiana ricalca, in questo passaggio, uno dei movimenti più caratteristici del contrattualismo moderno. Anche Fichte, infatti, congiunge nel "contratto di cittadinanza" sia il momento dell'unificazione dei molti in una volontà comune (il "contratto di unione", o Vereinigungsvertrag), sia il momento della soggezione delle volontà singolari alla "forza preponderante" del corpo comune così istituito (il "contratto di sottomissione", o Unterwer/ungsvertrag). Tuttavia, Fichte individua come costitutivi del "contratto di cittadinanza" altri due contratti. Il primo è costituito dall'accordo mediante cui i singoli si impegnano a non ledere la "proprietà" degli altri, intesa non semplicemente come possesso di cose nel mondo esterno, ma come sfera indispensabile all'esercizio della libertà, comprendente dunque l'inviolabilità del proprio corpo sensibile, e il diritto all'indipendenza nell'uso delle proprie forze e facoltà (Eigentumsvertrag); il secondo integra, con l'impegno ad una prestazione positiva di difesa dei diritti degli altri, il carattere puramente negativo del "contratto di proprietà", in cui ciascuno si impegnava soltanto ad astenersi dalla violazione della proprietà altrui. Fichte chiama questo secondo un "contratto di protezione" (Schutzvertrag). Ambedue questi momenti sono in connessione reciproca, poiché la difesa della proprietà dei singoli risulta effettiva solo se tutti gli altri si impegnano non soltanto ad astenersi dalla sua violazione, ma anche a proteggerla attivamente, prevenendo ed eventualmente punendo qualunque violazione operata dagli altri contraenti. Viceversa, quest'ultimo impegno può risultare efficace solo se i singoli stretti nel contratto di protezione non violano la proprietà di quelli che dovrebbero partecipare alla difesa dei loro diritti. Inoltre, entrambi questi contratti risultano efficaci solo a condizione che siano stipulati gli altri due, ovvero quelli di unione e di sottomissione. Il "contratto di unione" consente ai singoli di istituire una volontà comune, e di passare dunque dalla condizione inaugurata dai due primi contratti, in cui ciascuno singolarmente inteso s'impegnava con tutti gli altri singolarmente intesi, a quella di membro 280 I 3. DIRITTO E POTERE IN FICHTE organico di un "intero", dotato di forza e di volontà proprie. Ma la costituzione di siffatto intero non sarebbe efficace senza un "contratto di sottomissione", in cui ciascun singolo si riconosce subordinato all'intero appena istituito. Senza sottomissione, infatti, la stessa unione risulterebbe priva di forza coattiva nei confronti di chi volesse violare gli accordi intrapresi; e senza forza coattiva, l'intero si dissolverebbe nuovamente nella molteplicità delle volontà singolari che, tornate in una situazione di reciproca insicurezza, ricadrebbero nella condizione pregiuridica della guerra. È importante osservare come, per Fichte, il "contratto di cittadinanza" non culmini nel contratto di unione, ma nel contratto di sottomissione. Con quest'ultimo, "il contratto di cittadinanza" ottiene il suo compimento e «ritorna in sè». Tuttavia, se è vero che soltanto con il contratto di sottomissione !'"intero" istituito dal contratto di unione diventa vero e proprio "potere statale", investito della prerogativa della sovranità (cfr. DN, p. r8r), altrettanto importante è sottolineare che all'altezza del contratto di cittadinanza la sottomissione è concepita da Fichte come puramente ipotetica (cfr. DN, p. r82), e che essa potrà trovare effettiva attuazione solo attraverso il contratto di trasmissione dei poteri e la correlativa istituzione di una rappresentanza (su cui cfr. in/ra, PAR. 13-4). Fichte sembra inoltre distinguere, sotto il profilo concettuale e terminologico, anche tra le nozioni di "contratto sociale" (Biirgervertrag) (cfr. DN, p. r8o) e di "contratto di cittadinanza" (Staatsbiirgervertrag). TI "contratto sociale" in senso stretto, infatti, si esaurisce nei primi tre contratti; mentre la dimensione statuale, come emerge anche a livello puramente terminologico, si costituisce solo con l'intervento della sottomissione, e la correlativa istituzione di un potere legittimo dotato di forza coattiva. D'altra parte, senza "contratto sociale" in senso stretto, l'efficacia coattiva del potere statale sarebbe priva della legittimità necessaria a distinguerla da un esercizio di forza puramente arbitrario, e perciò contrario al diritto. Il reciproco condizionamento dei diversi momenti del contratto di cittadinanza, del resto, è sottolineato dallo stesso Fichte attraverso la comparazione del rapporto fra lo Stato e le sue parti con la relazione sussistente, nell' organismo vivente, fra l'intero e le sue membra. Non si tratta insomma di una sommatoria puramente aritmetica di "contratti" privi di relazione reciproca, ma della scansione analitica di un intero che, giunto al suo compimento nello Stato, ritorna - secondo le già citate parole di Fichte - nuovamente in sé. Tuttavia, proprio nel momento in cui la compagine statale giunge IL POTERE a compimento come intero organico, sembra riprodursi la separazione tra i singoli membri del corpo politico, e il corpo politico inteso come potere statale. Alla metafora organica, allora, subentra nuovamente quella meccanicistica di una legge giuridica, sanzionata positivamente dallo Stato, che funziona e colpisce chi ad essa contravviene con la medesima necessità deterministica con cui operano le leggi fisiche nell'universo dei corpi naturali; alla compenetrazione ed all' azione "reciproca" tra l'intero e le sue parti, subentra un rapporto di meta soggezione dei singoli rispetto all'intero statale, concepito ora come potere autonomo e potenzialmente ostile rispetto a coloro stessi che lo hanno istituito. Così mentre, all'inizio della trattazione del contratto di cittadinanza, Fichte descrive il contratto come l' espressione di un accordo, instaurato da ciascuno con tutti e da tutti con ciascuno, vertente «sulla proprietà, i diritti e le libertà che ciascuno deve avere, e sulla proprietà, i diritti e le libertà che ciascuno deve invece lasciare intatti agli altri» (DN, p. 172), alla fine della trattazione i soggetti del contratto non sono più i singoli che si accordano reciprocamente, bensì il contratto è «concluso da ogni singolo con l'intero reale dello Stato» (DN, p. r8z); con il risultato, indubbiamente paradossale, che lo Stato inteso come "intero" risulta poi considerato nuovamente come "parte" in causa dell'accordo: «Le due parti del contratto di cittadinanza sono da un lato il singolo e dall'altro il corpo statale» (tbtd.). Sembra perciò di poter concludere che, nel momento stesso in cui viene affermato il carattere organico dello Stato, Fichte non riesce a sanare l'opposizione tra lo Stato concepito come intero organizzato, e i singoli intesi come sue parti separate. Ma a questo proposito, è necessario esaminare in che modo il potere dello Stato debba esercitarsi nella forma della rappresentanza. 1 3·3 Trasmissione dei poteri ed eforato La necessità d'instaurare un potere rappresentativo è dovuta all' esigenza che la "forza preponderante" della comunità non venga a istituire un potere irresponsabile nei confronti della stessa comunità: ciò che avverrebbe inevitabilmente, qualora la comunità volesse esercitare quel potere direttamente. Infatti, nel caso che la maggior parte, o semplicemente la parte più forte, decidesse di usare la forza di cui dispone contro la parte minoritaria, o più debole, l'esercizio della sua "forza preponderante" sarebbe comunque illegittimo, perché privo dell'autorizzazione che sola potrebbe renderlo "conforme al diritto". Di qui la critica alla democrazia come ordinamento massimamente I 3. DIRITTO E POTERE IN FICHTE insicuro, nel quale tutti pretendono di esercitare immediatamente il potere che dovrebbe spettare alla comunità nel suo complesso. Ciascuna parte politica può infatti arrogarsi il diritto, in mancanza di una formale autorizzazione, di parlare e di agire a nome della comunità e dell'interesse collettivo: ma poiché nessuno dei partiti in lotta gode di un'effettiva autorizzazione al riguardo, su chi debba governare può decidere in questo caso soltanto la forza, che la parte preponderante, identificatasi illegittimamente con la volontà generale, dovrà usare indiscriminatamente contro chiunque la ostacoli nell'esercizio del suo potere. È perciò che l'ordinamento democratico culmina necessariamente, secondo Fichte, nel terrore di cui la storia della Rivoluzione francese aveva dato il supremo e tragico esempio. La contraddizione della democrazia è dovuta al fatto che la comunità vi è in pari tempo giudice e parte in causa, nel senso che essa eserctfa direttamente il proprio potere, e al tempo stesso pretende di giudicare sulla conformità al diritto nell'esercizio del proprio potere. Essa è parte in causa in quanto esercita immediatamente funzioni di governo, e al tempo stesso è giudice sul modo in cui il potere è esercitato da essa stessa. Di qui l'illegittimo cortocircuito tra "forza preponderante" e volontà generale, e l'identificazione immediata tra titolare nell'esercizio del potere, e giudice sulla conformità al diritto di quest'ultimo. Per impedire gli esiti terroristici della democrazia, è allora necessario che la comunùà non divenga mai parte, non si trovi cioè mai nella condizione di essere al tempo stesso titolare del potere di governo e giudice nella propria causa. Di qui la teorizzazione di un nuovo contratto, attraverso cui la comunità possa stabilire «come in generale, in questo Stato, debba venire coperta la rappresentanza» (DN, 147; corsivo nostro). Con la fondazione di un ordinamento rappresentativo, la comunità trasmette il proprio potere a un organo che, in quanto è stato autorizzato dall'intera comunità, esercita ora legittimamente il potere in nome di essa. Fichte non si sofferma sull'analisi del concetto di rappresentanza, che considera evidentemente scandagliato a sufficienza dalla tradizione del diritto naturale, ma preferisce sottolineare che l'atto da cui si origina l'istituto rappresentativo (da lui chiamato contratto di trasmùsione dei poteri), è valido solo a condizione dell' assoluta unanimità nell'accordo dei contraenti (cfr. tbtd.). Solo a questa condizione, infatti, si potrà pretendere da ciascuno che riconosca come suoi propri gli atti e le decisioni del potere esecutivo, e viceversa quest'ultimo, in quanto depositario autorizzato ovvero rappresentante del potere dell'intera comunità, potrà esercitare legittimamente contro i trasgressori della legge la "forza preponderante" di cui è dotato. IL POTERE Attraverso il contratto di trasmissione dei poteri e l'instaurazione un governo rappresentativo, diventa possibile per Fichte scongiural'identificazione tra comunità come giudice e comunità come parte causa, e arrivare all'istituzione di un organo separato e indipendenrispetto a quello che detiene il potere di governo. Quest'organo è l'e/arato, e la sua funzione è quella di giudicare i titolari del potere di governo. A questo proposito, è bene sottolineare come Fichte intenda innovare rispetto alle dottrine che ritenevano di dover separare le funzioni del governo (come potere esecutivo) da quelle legislativa e giudiziaria. Egli infatti ritiene contraddittoria la divisione dei poteri all'interno dello Stato, poiché all'organo che detiene il potere esecutivo sarebbe impossibile svolgere effettivamente le funzioni del governo, qualora esso non fosse in pari tempo dotato della facoltà di legz/erare e di giudicare 5 • Il bersaglio di queste critiche fichtiane non è tanto Montesquieu, quanto piuttosto il Kant dello scritto Sulla pace perpetua. In realtà, abbiamo visto come la posizione di Kant non sia riconducibile ad una pura e semplice dottrina della divisione dei poteri, ma non è questo l'aspetto che ora ci interessa, quanto il fatto che, secondo Fichte, la distinzione tra un tipo di Stato "conforme al diritto" e un ordinamento contrario al diritto ovvero "dispotico" non è legata alla divùione del potere di governo dagli altri due poteri, bensì dipende da una distinzione più radicale, che comporta la separazione tra l'organo che incorpora la totalità del potere esecutivo (articolato nelle sue funzioni governativa, legislativa e giudiziaria), e un organo di controllo a cui spetta in maniera esclusiva il «diritto di sorvegliare e di giudicare come il potere venga amministrato» (DN, p. 143). Questa funzione non può essere alienata, ma deve restare all'intera comunità, e porta all'istituzione dell'e/arato. Come sappiamo, Fichte riprende questa istituzione da una tradizione di pensiero anteriore alla fondazione della filosofia politica moderna a partire da Hobbes. Egli stesso accosta il suo eforato all'istituto dei «trzbuni della plebe della repubblica romana» (D N, p. r 53, n.), e un riferimento più vicino sarebbe stato possibile operare attraverso un richiamo ad Althusius (cfr. in questo volume il saggio di Duso, cAP. 4). Ma in realtà, la funzione e il significato degli efori fichtiani appaiono profondamente diversi rispetto ad ambedue questi precedenti, poiché essi non sono comprensibili, all'interno del Naturrecht, di re in te - 5· Sul problema dell'eforato, cfr. le interpretazioni di Duso (r987l; Oncina Coves (1994); De Pascale (1995). 13. DIRITTO E POTERE IN FTCHTE se non entro la cornice del moderno Stato rappresentativo, che Fichte sostiene con forza sia contro le antiche forme dell'ordinamento cetuale, sia contro ogni volontaristica pretesa d'instaurare un regime di democrazia diretta (cioè non rappresentativa) da parte della comunità. È proprio perché la comunità non esercita più alcuna attività di governo, che è necessaria l'istituzione di un organo di garanzia e di controllo, di fronte al quale i detentori del potere siano responsabzli come dinanzi al tribunale dell'intera comunità. Se non è possibile negare l'originalità di alcune soluzioni, che contraddistinguono la posizione fichtiana dalle altre dottrine principali del diritto naturale, risulta però difficile non scorgere un problema, concernente il rapporto tra contratto di cittadinanza e contratto di trasmissione dei poteri. Quest'ultimo, come abbiamo visto, stabilisce «come, in questo Stato, debba venire coperta la rappresentanza» (DN, p. 147). Ora, noi sappiamo che lo Stato scaturisce da un contratto di cittadinanza, che al suo interno comprende anche un contratto di sottomissione. Tuttavia, con un movimento di pensiero che sembra ricalcare e portare a massima trasparenza logica un dispositivo teorico a cui Hobbes per la prima volta aveva dato forma compiuta, secondo Fichte non è possibile istituire alcun contratto di sottomissione, senza in pari tempo trasmettere i poteri dei singoli a quelli dell'intera comunità, né è possibile operare questa trasmissione, senza in pari tempo dare luogo ad un ordinamento rappresentativo. La connessione tra contratto di sottomissione (in cui culmina il contratto di cittadinanza) e contratto di trasmissione dei poteri, su cui è fondato il carattere rappresentativo del potere istituito, dev'essere cioè concepita come logicamente simultanea: «Non appena viene concluso il contratto di trasmissione dei poteri, contemporaneamente ad esso ha luogo la sottomissione [ ... h (D N, p. 157). Non è possibile immaginare uno Stato (nel senso di Stato "conforme al diritto") a cui la rappresentanza sopraggiunga successivamente, bensì Stato e rappresen- tanza possono istituini solo contemporaneamente. Ma allora, come si può sostenere che <do Stato trasmette il potere esecutivo a determinate persone» (DN, p. 147)? Poiché lo "Stato" non può esistere senza "potere esecutivo", né può esistere potere esecutivo senza "trasmissione dei poteri", lo Stato presuppone la trasmissione dei poteri come già avvenuta, e non può essere inteso come soggetto di una trasmissione dei poteri, prima della quale esso non esiste. In altri termini, lo Stato appare al tempo stesso come fondamento e come risultato: il contratto di cittadinanza, da cui esso dovrebbe risultare come "intero", deve presupporne l'esistenza come "intero" già costituito. La cittadinanza presuppone la rappresentanza, e vice- IL POTERE versa: l'intero "ritorna in se stesso" attraverso la dissoluzione dei momenti che ha attraversato, e il dispositivo contrattuale messo a punto da Fichte entra in crisi. La compenetrazione tra i contratti di cittadinanza e trasmissione dei poteri ne rende problematica la distinzione, e conduce alla dissoluzione dell'uno nell'altro: ambedue si mostrano implicati reciprocamente, e ciascuno diventa in pari tempo posto e presupposto rispetto all'altro. S'instaura insomma un "circolo della riflessione", che appare come effetto sintomatico della tensione, e del contemporaneo svuotamento, cui l'impianto discorsivo del diritto naturale appare ormai condotto 6 • 13·4 Comunità e rivoluzione Proviamo a riassumere quanto siamo venuti dicendo nel precedente paragrafo. Attraverso il dispositivo duplice e reciprocamente connesso della rappresentanza e dell'eforato, Fichte è riuscito a distinguere tra Stato conforme al diritto, dispotismo e democrazia. Per quanto riguarda il primo punto, abbiamo visto che Fichte sostituisce la dottrina tradizionale della divisione dei poteri con la separazione tra chi esercita il potere (nell'unità fondamentale delle tre funzioni governativa, legislativa e giudiziaria), e chi giudica sull'esercizio del potere. A questa fondamentale distinzione corrispondono la natura rappresentativa del potere, da un lato, e l'istituzione dell'e/arato, dall'altro. La compresenza di rappresentanza e di eforato costituisce la struttura fondamentale dello Stato conforme al diritto. L'assenza della rappresentanza è ciò che contraddistingue la democrazia, mentre l'assenza dell'eforato è ciò che contraddistingue il dispotismo. Nel primo caso, la comunità è in pari tempo giudice e parte in causa; nel secondo, il potere viene esercitato in modo totalmente irresponsabzle. In ambedue i casi, ci troviamo di fronte a Stati contrari al diritto, e perciò stesso incompatibili con la libertà. Tuttavia, il rapporto che s'instaura tra potere rappresentativo ed eforato presenta una qualche diB1coltà. Vediamo meglio. Nel brano in cui viene affermata la simultaneità tra contratto di sottomissione e trasmissione dei poteri, Fichte cosi continua: d .. .] da ora in poi non c'è più nessuna comunità, il popolo non è un popolo, non è un intero, ma un mero aggregato di sudditi, ed i magistrati non fanno parte, allora, del popolo» (DN, p. 157). Dal momento in cui s'istituisce la 6. Sul rapporto di Fichte con la tradizione del diritto naturale, cfr. Schottky (1962); Riedel (1977); Kersting (r994l. 286 I 3. DIRITTO E POTERE IN FICHTE rappresentanza, con il duplice ma inscindibile atto della sottomissione e della trasmissione dei poteri, la comunità non esiste più, e i suoi membri tornano a esistere come individui singoli e privati. Nonostante ciò, Fichte deve nuovamente affermare il momento della comunità di fronte a quello della rappresentanza: deve cioè tornare a intendere il potere pubblico dello Stato come parte separata nei confronti della comunità, a cui soltanto in questo modo può essere riservato il compito e il diritto di giudicare sull'esercizio del potere, senza cadere nelle aporie della democrazia diretta. Ma una volta istituita la rappresentanza, dov'è la comunità? Se la volontà di quest'ultima si esprime ormai solo attraverso il potere esecutivo, se «da ora in poi non c'è più nessuna comunità [ .. .J ma un mero aggregato di sudditi», com'è possibile per la comunità ergersi a giudice di quello? L'eforato deve risolvere questa contraddizione: dare voce a una comunità che la rappresentanza ha liquidato, ma che pure deve continuare in qualche forma a esistere, per scongiurare un uso irresponsabile del potere da parte dei "magistrati", e per consentire l'instaurazione di uno Stato "conforme al diritto". L'e/arato risponde alla domanda: quis iudicabit?, nel momento in cui questo giudizio sembra al tempo stesso necessario e impossibile, nel senso che non può essere pronunciato né dal potere esecutivo (quest'ultimo sarebbe infatti giudice nella propria causa) né dal presunto offeso (per lo stesso motivo) né dalla comunità Oa quale non essendo ancora convocata, di /atto non esiste). È necessario perciò che «zl popolo venga dichiarato in anticipo comunità dalla costituzione, per un caso determinato» (DN, p. I 5 I). Il caso in questione è appunto quello della convocazione della comunità da parte degli e/ori. Potremmo dire che l'eforato esprime la forza della comunità, in assenza reale della comunità: è perciò che ad esso può spettare soltanto un potere negativo o proibitivo, il quale non si esaurisce nella messa in atto di procedure conformi all'astratta norma giuridica, ma si esercita come azione singolare e determinata, consistente nel pronunciare un giudizio dotato di efficacia pratica, all'interno di una situazione concreta. Questo giudizio riguarda il venir meno della "conformità al diritto" nell'esercizio del potere esecutivo, e si esprime perciò nella forma dell'interdetto. L'interdetto sospende l'autorità di chi detiene il potere dello Stato, e coinclde con la convocazione della comunità, la cui esistenza era stata «dichiarata in anticipo dalla costituzione» per questo «caso determinato». Con la pronuncia dell'interdetto e l'istantanea convocazione della comunità, quest'ultima dimostra che la sua esistenza "anticipata" all'altezza della costituzione non rappresentava una meta finzione giuridica, bensì era capace di sprigionare effetti reali proprio nella sua qualità di origine /antasmati- IL POTERE ca del potere e intero immaginato, di fronte a cui il potere esecutivo dello Stato svela di essere soltanto parte, e può dunque venire sottoposto a giudizio. Dal momento in cui gli efori pronunciano l'interdetto, la comunità viene convocata, la moltitudine si riunisce come corpo politico. Ma che cosa fa sì che la comunità così chiamata in presenza non si dissolva nuovamente nella molteplicità irrelata delle volontà singole? Siffatta convocazione sembra infatti impossibile. L'unione non era possibile senza istituire una forza efficace in senso coattivo che la mantenga, cioè senza sottomissione a un potere sovrano, al quale viene trasmessa la totalità della forza comune, e che perciò è necessariamente il rappresentante dell'intera comunità. D'ora in avanti, chi agisce nella sfera pubblica è soltanto il sovrano: la comunità è dissolta, i suoi membri assumono lo statuto di "sudditi", i cittadini diventano individui privati. Dal punto di vista dell'istituzione del potere, come abbiamo detto, Fichte rientra perfettamente nella cornice concettuale disegnata da Hobbes: l'unione non è possibile senza la sottomissione; il contratto "sociale" è in pari tempo contratto "statale"; la dimensione orizzontale della cittadinanza, istituita nel Burgervertrag, è solo l'altra faccia della dimensione verticale, per cui essere cittadino significa necessariamente essere cittadino di uno Stato (Staatsburger), cioè "suddito" di un potere costituito. Perciò, nel momento stesso in cui si "sospende" quest'ultimo, si "sospende" la funzione che faceva della moltitudine una comunità. Quindi, l'interdetto non soltanto non convoca la comunità, ma ne produce la dissoluzione in una molteplicità irrelata di volontà singole e potenzialmente ostili. Si dissolve lo stato politico, e si torna alla condizione, prepolitica e pregiuridica, dello stato di natura come bellum omnium contra omnes. Eppure, dall'interno di questa linea argomentativa emerge una resistenza che di continuo ostacola e impedisce la linearità del suo dispiegamento. Ecco allora il tentativo di mantenere separati, perlomeno sotto il profilo analitico, il contratto di cittadinanza da quello della trasmissione dei poteri; di pensare a una costituzione del corpo politico dispiegata tutta sul terreno orizzontale della volontà comune; d'immaginare una statualità sottratta, perlomeno in linea di principio, nel discorso della "scienza", alla costituzione di un potere rappresentativo e sovraordinato rispetto alla pluralità che si è unita insieme nella comunità. È una linea di pensiero che potremmo definire "rousseauiana", in cui la comunità si costituisce indipendentemente dalla trasmissione ad altri del potere, e può perciò emanciparsi dalla rappresentanza, senza dissolversi. 288 I 3. DIRITTO E POTERE IN FICHTE Ma per potersi riappropriare del potere, il cui eserCizio aveva in precedenza ceduto ad altri, la comunità deve a) essere presupposta nella costituzione, per rendere chi esercita il potere responsabzle dei suoi atti; b) poter passare, dalla dichiarazione della sua esistenza "anticipata" nella costituzione, alla sua effettiva chiamata in presenza in caso di interdetto. Da questo secondo punto di vista, il contratto di cittadinanza dev'essere necessariamente concepito come svincolato e indipendente da quello della trasmissione dei poteri, e la comunità istituita mediante il primo, in cui ciascun membro si è sottoposto alla volontà comune, ma quest'ultima non si è ancora fatta rappresentare da qualcuno, deve avere la facoltà di togliere zl mandato a colui o coloro cui lo aveva assegnato, senza perciò dissolvere se stessa. D'altra parte, la pronuncia dell'interdetto riapre il problema di chi, finché è operante l'interdetto, eserciti il potere. È questa, come sappiamo, la questione decisiva, nell'orizzonte discorsivo del diritto naturale moderno e della sua concezione della sovranità. Ora, proprio sotto il profilo dell'imputazione del potere a un soggetto determinato, la convocazione della comunità determina una situazione altamente problematica. Da un lato, infatti, sembra che nessuno dei tre soggetti qui in questione (efori, rappresentanti, comunità) sia in grado di esercitare un potere sovrano, cioè a) dotato di "forza preponderante"; b) autorizzato a impiegarla contro chi trasgredisca le leggi. Non gli efori, a cui non spetta alcun potere esecutivo, ma soltanto il potere negativo di sospendere i titolari del potere esecutivo dall'esercizio di esso; non i rappresentanti in carica al momento dell'interdetto, ricondotti da quest'ultimo alla condizione di persone private; non la comunità, che non possiede alcun autonomo potere di iniziativa, e che si costituisce come "popolo" soltanto in virtù della convocazione ad opera degli efori. Dall'altro, la situazione appare esattamente inversa, nel senso che tutti e tre sembrano vantare titoli da far valere per agire come sovrani: sia gli efori che, ponendo in questione la legittimità del potere, ne sospendono l'esercizio da parte dei rappresentanti, e sono gli unici autorizzati a convocare la comunità; sia la comunità, chiamata a decidere sulla materia dell'interdetto, a favore degli efori o del potere esecutivo temporaneamente sospeso, la cui decisione dev'essere assunta all'unanimità e che dev'essere infine dotata di «forza considerevole», per opporre un'adeguata resistenza qualora il governo in carica noh riconosca l'interdetto, e si opponga all'iniziativa degli efori; sia infine i vecchi detentori del potere, che dall'interdetto vengono sì ridotti a individui privati, ma potrebbero avere ragione, ed essere quindi ripristinati nelle loro funzioni, benché perdano definitivamente questa IL POTERE possibilità quando, rifiutandosi di sottostare all'interdetto, ammettono perciò stesso che il loro potere era ormai divenuto illegittimo. La questione vette quindi sulla relazione che s'instaura tra gli e/ori e la comunità. In condizioni di normalità, vige il contratto di trasmissione dei poteri, a partire dal quale la comunità cessa di esistere come effettiva presenza. L'eforato incorpora la forza della comunità in assenza della comunità. Esso è dunque la forma in cui quest'ultima (risultante dal contratto di cittadinanza) può sussistere, come assente, una volta avvenuta la trasmissione dei poteri e l'instaurazione della rappresentanza. Poiché quest'ultimo congegno è funzionale alla costituzione di un potere esecutivo legittimo (cioè autorizzato dall'intera comunità), è evidente che la nomina degli efori non può dipendere soltanto dal rispetto di un meccanismo di autorizzazione formale. Il legame che vincola gli efori alla comunità dev'essere perciò sostanziato da un elemento metagiuridico, costituito dalla fiducia. Sono le concrete qualità personali di equilibrio e di equità, di maturità e ponderatezza, che fanno sì che la scelta della comunità cada sull'uno o sull'altro. E tuttavia, l'irruzione della dimensione metagiuridica implica che nel caso degli efori venga meno la possibilità di assicurare sotto il erofilo formale la conformità del loro comportamento alla loro carica. E perciò sempre possibile che anch'essi tradiscano la fiducia in essi riposta, schierandosi contro la comunità a fianco del potere esecutivo. Ora, finché quest'ultimo è operante, la comunità è presente come zdea, ma assente come soggetto politico reale. C'è bisogno di una convocazione, ma coloro che dovrebbero assumere l'iniziativa sono schierati dalla parte dei "magistrati". Fichte deve perciò introdurre la figura degli efori naturali, cioè di singoli individui privati, e quindi privi di formale autorizzazione, i quali si assumono la responsabilità ed il rischio di parlare a nome dell'intera comunità, rivendicando la giustizia violata e invocando il ripristino del diritto. È la situazione che si presenta all'origine di una Rivoluzione: ma anche questo esito tradisce l' aporeticità che abbiamo visto attraversare l'intero Naturrecht fichtiano. L'appello degli efori naturali può essere accolto dal popolo, e quest'ultimo allora si solleva legittimamente contro il potere esecutivo e gli efori che ne sono divenuti complici. Il popolo infatti, scrive Fichte, «non è mai ribelle», poiché esso «è di fatto e di diritto il potere supremo sopra il quale non ce n'è alcun altro», mentre <mna ribellione ha luogo soltanto contro chi è superiore>> (DN, p. r6r). Oppure, l'appello al popolo cade nel vuoto, gli efori naturali decadono a puri e semplici ribelli, e vengono condannati come «martiri del diritto» (cfr. DN, pp. 162-3). La possibilità di una comunità presente e operante al di fuori della cornice della rap- I 3. DIRITTO E POTERE IN FICHTE presentanza formale, ma al tempo stesso non imbrigliata nel dispositivo della sottomissione dei singoli all'intero, viene in questo caso vanificata. Ma neppure qualora l'appello degli efori naturali venga raccolto e approvato, e la Rivoluzione abbia un esito positivo, il problema appare risolto. Infatti, dall'esito della Rivoluzione dovrà necessariamente ripristinarsi un corpo politico analogo a quello prima distrutto, dotato cioè delle caratteristiche formali della cittadinanza, della sottomissione e della rappresentanza. Dall'aporia della comunità, veniamo così ricondotti alle aporie del potere 1. Negli sviluppi ulteriori della sua filosofia politica, del resto, Fichte ha evidenziato in prima persona le difficoltà cui la concezione dell'eforato andava incontro. Nell'evoluzione della sua dottrina emerge sempre più la dimensione politica come ambito autonomo dell' azione, non riconducibile alla regolamentazione formale propria della norma giuridica. La stessa posizione sistematica del diritto risulta, se non ridimensionata, certo fortemente problematizzata 8 non soltanto rispetto agli altri ambiti dell'esperienza umana, ma nella sua stessa capacità di condurre a concettualizzazione le forme concrete della vita associata quali si attuano in una nazione, nelle sue ripartizioni cetuali, e nella stessa funzione del governo 9. La soluzione del Naturrecht, allora, apparirà a Fichte come improntata a un'eccessiva fiducia non soltanto nella possibilità di identificare meccanismi formali di mantenimento della legittimità nell'uso del potere, ma nello stesso carattere del "popolo", a cui Fichte aveva assegnato il compito di giudicare in ultima istanza nel conflitto tra potere esecutivo ed eforato. Nella Rechtslehre del r812, egli ricondurrà la sua posizione precedente al principio secondo cui «chi governa dev'essere il migliore», criticandola perché questo processo di "perfezionamento" presuppone ciò su cui Fichte, dopo le esperienze del periodo rivoluzionario e napoleonico, non è più disposto a scommettere, ovvero il fatto che il popolo abbia sempre ragione, nel senso che in esso sia contenuto il palladio della giustizia. A questa posizione, egli contrappone ora quella secondo cui «il migliore deve governare», una formulazione di chiara ascendenza platonica, con cui viene sottolineata l'ulteriorità della dimensione politica e dell'agire di chi governa rispetto ai meccanismi formali della procedura e della legge giuridica ro. D'altra parte, anche 7· Per Perrinjaquet 8. C&. 9· Per (I996). IO. Su un approfondimento sul tema della comunità, cfr. Radrizzani (r987l; (r99rl. al riguardo Cesa (1995). una raccordo con la tematica dell'estinzione dello Stato, cfr. Fonnesu queste ultime considerazioni, cfr. Duso (1997l. IL POTERE se le sue preferenze ora vanno a questa seconda soluzione, egli stesso ne sottolinea gli aspetti problematici, legati alla possibilità concreta che colui che avrebbe le qualità adatte per il governo sia anche effettivamente in grado di accedervi. Nell'affermazione secondo cui «il compito di costituire il diritto L .. ] non può essere risolto mediante la libertà umana. È perciò un compito per il governo divino del mondo» (RL, pp. 156-7), sembra quindi lecito scorgere non tanto l'appello ad una generica provvidenza storica, quanto piuttosto l' espressione figurata di un pensiero, che nella forma della filosofia non ha il compito di ricercare soluzioni e dare indicazioni operative per la prassi, quanto piuttosto quello di mostrare l' aporeticità cui vanno incontro i tentativi di questo tipo - non ultimo, appunto, quello del "diritto naturale". Vita Johann Gottlieb Fichte nasce a Rammenau, in Sassonia, il 19 maggio 1762. Dopo aver compiuto gli studi liceali nel collegio di PEorta (1780), s'immatricola all'Università di J ena, quindi è a Lipsia e a Wittenberg ( r 78 3), ma è costretto ad abbandonare gli studi per difficoltà economiche. Tra il 1785 e il 1789 svolge attività di precettore. Si trasferisce a Zurigo nel 1788, dove entra in contatto con Lavater e il suo circolo. Tornato nel marzo 1790 in Germania, s'immerge nello studio della @osofia kantiana, la cui conoscenza segna la svolta del suo percorso intellettuale e @osofico. Pubblica nel 1792 il Saggio in critica di ogni rivelazione, quindi nell'anno successivo il Contributo a rettifica dei giudizi del pubblico sulla rivoluzione francese. Torna a Zurigo nel 1793, dove nel febbraio 1794 tiene un ciclo di lezioni private sul concetto di dottrina della scienza. Nello stesso anno viene chiamato a ricoprire la cattedra di filosofia dell'Università di Jcna. Pubblica Sul concetto di dottrina della scienza (1794) e il fondamento dell'intera dottrina della scienza (1794-95). Le sue lezioni riscuotono un ampio successo di pubblico, ma il contrasto con le associazioni studentesche lo spinge a ritirarsi temporaneamente in campagna. Nell'ottobre 1795, tornato a Jena, inizia il corso sul diritto naturale, la cui opera a stampa comparirà in due volumi con il titolo Fondamento del diritto naturale (1796-97). Nel 1798 pubblica il Sistema di etica, ma nell'autunno dello stesso anno esplode la "disputa sull'ateismo", in seguito alla quale Fichte si dimetterà dall'Università di Jena, iniziando al tempo stesso un profondo ripensamento del proprio sistema filosofico, la cui prima testimonianza è costituita dalla Destinazione dell'uomo del r8oo. Nello stesso anno pubblica lo Stato commerciale chiuso. A Berlino, dove si era trasferito nel luglio 1799, tiene una serie di corsi di dottrina della scienza, e diversi cicli di lezioni sulla @osofia del diritto, della morale, della storia e della religione. Il I 3 dicembre r8o7 inizia le conferenze che verranno poi pubblicate con il titolo di Discorsi alla nazione tedesca (r8o8). Nel maggio r8IO, Fichte viene nominato profes- 13. DIRITTO E POTERE IN FICHTE sore alla nuova Università di Berlino, di cui è rettore dal luglio r8II all'aprile 1812. Muore il 29 gennaio r8r4. Opere principali Beitrag zur Berichtigung der Urtezle des Publtkums itber die /ranzosische Revolution (1793-94), trad. it. a cura di V. E. Alfieri, Sulla rivoluzione francese. Sulla libertà di pensiero, Laterza, Bari 1966 (2" ed. 1974), pp. 43-305 (citato come C). Grundlage des Naturrechts nach Principien der Wissenschaftslehre (1796·97), trad. it. a cura di L. Fonnesu, Fondamento del diritto naturale secondo i princìpi della dottrina della scienza, Laterza, Roma-Bari r994 (citato come DN). Das System der Sittenlehre nach den Principien der Wissenschaftslehre (q98), trad. it. a cura di C. De Pascale, Il sistema di etica secondo i princìpi della dottrina della scienza, Laterza, Roma-Bari 1994. Der geschlossne Handelsstaat (r8oo), trad. it. Lo stato secondo ragione o lo stato commerciale chiuso, Bocca, Torino 1909 (ristampa 1945). Reden an die deutsche Nation ( r 8o8), trad. it. a cura di B. Allason, Discorsi alla nazione tedesca, UTET, Torino 1939 (terza ristampa 1957). Rechtslehre. 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Questa viene assunta dalla filosofia nella forma della concettualità politica moderna, il cui punto nodale è individuato da Hegel nel diritto della libertà soggettiva (LFD, par. 124 A). TI problema dell' attuazione politica della libertà, posto dalla Rivoluzione francese, viene raccolto dalla filosofia hegeliana r, che lo articola attraverso il diritto, la moralità e l'eticità, le tre sezioni in cui si dividono i Lineamenti. Hegel non intende però costruire un modello politico nel quale questo problema trovi soluzione; la filosofia è per lui comprensione «di ciò che è presente e reale, non la costruzione di un al di là, che sa Dio dove dovrebbe essere». Questa indicazione filosofica ben esprime lo spirito dei Lineamenti, il cui tentativo è quello «di comprendere e di esporre lo Stato come un qualcosa entro di sé razionale». In questa prospettiva è da inquadrare non solo la critica hegeliana alla costruzione di un modello, ma anche il complesso rapporto che tiene assieme reale e razionale; l'affermazione hegeliana, subito divenuta celebre e "famigerata", per cui «ciò che è razionale è reale e ciò che è reale è razionale», non ha né il significato conservatore spesso attribuitole né uno progressivo. Queste due opzioni interpretative assolutizzano un solo lato del pensiero hegeliano, cosicché la frase assume un significato conservatore qualora si intenda che a essere razionale è l'esistente, mentre assume un significato progressista dicendo che la razionalità, qualora non dovesse corrispondere storicamente allo Stato esistente, r. Cfr. al riguardo Ritter (1977), pp. 2.9 ss.; più recente, sul rapporto fra Hegel e la Rivoluzione: Racinaro (1995), pp. 145-94. 297 IL POTERE deve essere realizzata. Questi due modi di intendere il passo hegeliano, tanto sono distanti, o addirittura contrapposti politicamente, tanto sono vicini filosoficamente; entrambi confondono il reale con l'esistente, e scendono così dal terreno della filosofia a quello della teoria che deve realizzare o legittimare un proprio modello La filosofia comprende la razionalità del reale in rapporto alla propria epoca e ai problemi che essa pone. Il movimento del pensiero si fa carico della realtà epocale di questi problemi mostrando la struttura logica all'interno della quale trovano soluzione. Hegel individua nel «diritto della libertà soggettiva [ ... ] il punto nodale e centrale della differenza tra l'antichità e l'età moderna» (LFD, par. 124 A), e nella realizzazione di questo diritto il compito dell'epoca moderna; questo compito viene però eluso dalla riflessione astra~ta, che lo fissa «nella sua distinzione e contrapposizione di contro all'universale e produce una veduta della moralità, tale che questa sia perennemente soltanto come lotta ostile contro il proprio appagamento» (zbzd.). È solo attraverso il superamento di questa contrapposizione che il diritto della libertà soggettiva può trovare attuazione: in questa direzione si delinea la risposta hegeliana al problema aperto dall'epoca moderna. Il pensiero mostra così la propria effettualità; esso si fa carico del moderno principio della soggettività e, trovandolo nella realtà stessa, indica nell'attuazione di quel principio il razionale che pulsa nel cuore della realtà. Il concetto di libertà, awisa Hegel nei paragrafi introduttivi dei Lineamenti, si mostra solo <<nella connessione dell'intero» ed anzi, si potrebbe aggiungere, nella sua concretezza esso è determinabile solo a partire dal momento maggiormente sviluppato, cioè dallo Stato come cerchia delle cerchie comprendente tutte le determinazioni anteriori. Lo Stato è infatti non solo un momento dell'eticità, ma la realtà «dell'idea etica» (LFD, par. 257) in cui le precedenti determinazioni del diritto astratto e della moralità sono superate; il carattere specifico dell'eticità è che il soggetto riconosce nelle leggi il luogo della sua stessa libertà, e non qualcosa di estraneo. L'individuo è infatti immerso in una rete di rapporti riconosciuti come il risultato del proprio operare, e in forza di questo riconoscimento interiore non sente 2 • 2. Una diversa linea interpretativa in Peperzak (1987), pp. 109-22. Secondo Bodèi, che legge l'equazione fra reale e razionale tenendo presente il rapporto hegeliano con la Rivoluzione francese, Hegel <<ha come presupposto che lo Stato si adegui al pensiero e al mutamento e che la filosofia indichi zl razionale maturo per realizzarsi, pur mantenendo nel conto l'esistenza di uno scarto incolmabile fra ragione e Realitat»: Bodei (1975l, p. 79· 14. POTERE E COSTITUZIONE IN HEGEL il dovere e lo Stato come un limite esterno, ma trova in essi la propria liberazione. L'individuo, scrive Hegel, «ha nel dovere piuttosto la sua lzberazione, vuoi dalla dipendenza nella quale esso sta nel mero impulso naturale, così come dalla depressione nella quale esso è come particolarità soggettiva nelle riflessioni morali su ciò che deve e su ciò che si può fare» (LFD, par. 149 A). L'eticità (Sittlichkeit) hegeliana va dunque intesa non solo come superamento della contrapposizione tra morale e mondo esterno del diritto, ma anche di quella tra Stato e individuo; fermarsi a questa contrapposizione è proprio dell'intelletto astratto 3, il quale è capace di dare una determinazione solamente negativa della libertà. Questo modo di vedere la libertà è ravvisato da Hegel anche nella filosofia kantiana, che intende il diritto come limitazione del mio arbitrio in modo ch'esso possa «accordarsi con l'arbitrio di un altro secondo una legge universale della libertà» 4. Si avrebbe qui, secondo Hegel, una struttura dualistica in cui lo Stato costituisce un limite esterno e formale alla libertà del singolo. «Secondo tale principio», prosegue Hegel, <mna volta accettato, il razionale può certamente risultare soltanto come limitante per questa libertà, e cosi pure non come cosa immanentemente razionale, bensì soltanto come un universale esterno, formale» (L}1), par. 29 A). Il discorso hegeliano investe qui anche Rousseau, ed è possibile scorgervi la differenza tra volonté particuliere dell'individuo e volonté générale. In Rousseau è sempre possibile che la mia volontà particolare non si accordi con la volontà generale; in questo caso non è la volontà generale ad essere sbagliata, ma sono io che, seguendo il mio interesse particolare, sbaglio. Qualora il singolo non rettifichi la propria volontà uniformandola a quella generale, dovrà esservi costretto, perché in questo modo lo si costringe a essere libero 5. Se una differenza tra volontà generale e volontà particolare è possibile, essa va hegelianamente pensata fino in fondo. Hegel mostra di cogliere le aporie del discorso rousseauiano quando afferma che questa «veduta è parimenti priva di ogni pensiero speculativo e rifiutata dal concetto filosofico, giacché essa ha prodotto nelle teste e nella realtà fenomeni, la cui orribilità ha un parallelo soltanto nella fatuità dei pensieri sui quali essi si fondavano» (ibzd.). Il riferimento è chiaramente alla Ri- 3· Nella Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito, Hegel parla dell'intelletto come incapace di penetrare la cosa; esso si limita a fissare le singole determinazioni in una giustapposizione, trascurando così l'intero. Il compito di cogliere il movimento della totalità spetta invece alla ragione: F, I, pp. 43 ss. 4· Kant (r797l, par. B, pp. 34-5; LFD, par. 29 A. 5· Rousseau (r762), lib. I, cap. vrr. 2 99 IL POTERE voluzione francesè, nella quale il dualismo tra volontà universale e volontà particolare prende la forma della negazione (F n, p. 13o): La relazione di questi due, essendo essi indivisibilmente assoluti per sé e non potendo quindi inviare alcuna loro parte a costituire il medio che li unisca, è dunque la pura negazione, del tutto priva di medietà, e precisamente la negazione del singolo come elemento dell'essere nell'universale. L'unica opera ed operazione della libertà universale è perciò la morte, e più propriamente una morte che non ha alcun interno ambito né riempimento; [. .. ] questa morte è dunque la più fredda e più piatta morte senz' altro significato che quello di tagliare una testa di cavolo o di prendere un sorso d'acqua. La mancanza di mediazione tra il singolo e l'universale determina uno iato incolmabile tra questi due momenti, cosicché o la libertà rimane libertà negativa - i limiti definiti dallo Stato - oppure tra le due sfere si istituisce un'opposizione mortale. Hegel tiene significativamente assieme Kant e Rousseau perché riconosce nei due pensatori un nucleo logico comune individuato all' altezza del dualismo tra individuo e Stato. A rigore si dovrebbe dire che Kant e Rousseau non costituiscono i referenti polemici del discorso hegeliano, ma piuttosto che le loro costruzioni concettuali vengono attraversate in quanto topoi dello sviluppo del concetto di libertà; mostrando i limiti che queste concezioni pongono al compimento della libertà, Hegel esprime l'esigenza di superare quegli orizzonti concettuali. La critica hegeliana non mira alla costruzione di un proprio modello politico a partire dalla correzione degli errori ravvisabili nei pensatori a lui precedenti, ma esprime il tentativo di coinvolgere radicalmente l'intera concettualità politica moderna fino a mostrarne le aporie 6 • Il problema della libertà trova in Hegel una risposta nell'articolazione concreta dello Stato: «il principio degli Stati moderni - afferma Hegel - ha questa enorme forza e profondità, di lasciare il principio della soggettività compiersi fino all'estremo autonomo della particolarità personale, e in pari tempo di ricondurre esso nell'unità sostanziale e così di mantenere questa in esso medesimo» (LFD, par. z6o). Que6. L'attraversamento critico che Hegel compie nei confronti del giusnaturalismo giunge a mettere in evidenza, come elemento comune alle diverse concezioni, l'alterità tra il potere e l'individuo; impigliate in questo dualismo, quelle concezioni non sono state in grado di elevarsi a scienza: «Alle precedenti maniere di trattare il diritto naturale, ed a quelli che erano considerati differenti principi dello stesso, si dovrà, d'ora innanzi, negare ogni significato per l'essenza della scienza»: NR, p. 7; cfr. al riguardo Duso (r987l. 300 I4. POTERE E COSTITUZIONE IN HEGEL sto processo ha inizio già nella società civile dove ciascuno, perseguendo egoisticamente il proprio fine, si mette necessariamente in relazione con gli altri, creando così un complesso di relazioni dalle quali non può più prescindere. Va ricordato che la distinzione tra Stato e società civile viene delineata per la prima volta da Hegel7, che suddivide l'eticità nei tre momenti della famiglia, della società civile e dello Stato. La distinzione hegeliana non dev'essere però intesa come separazione tra una sfera politica e una prepolitica, perché la stessa società civile, in quanto momento dell'eticità, assume un significato politico che porta al superamento di quella distinzione. I momenti di politicità dello Stato innervano di sé anche la società civile, la quale, attraverso i ceti e le corporazioni, prende parte agli affari generali dello Stato. Si può così dire che tra le due sfere esiste separazione e compenetrazione al tempo stesso. Analogamente, il primo momento dell'eticità, la famiglia, non è in Hegel riducibile a una sfera privata, ma acquista anch'essa, in quanto radice etica dello Stato, un significato politico 8 • In forza della realtà concreta dei rapporti Hegel può affermare che la «veduta atomistica», propria di quelle concezioni che pongono il singolo a fondamento, «svanisce già nella famiglia come nella società civile, dove il singolo giunge ad apparire soltanto come membro di un universale» (LFD, par. 303 A). Hegel intende mostrare la società civile «come ciò ch'essa è, [ .. .] articolata com'è nelle sue corporazioni, comunità e associazioni [ .. .] le quali in questo modo acquistano una connessione politica» (LFD, par. 308). Al riguardo si deve osservare che il termine-concetto costituzione (Ver/assung) viene dilatato dalla @osofìa hegeliana fino a comprendere i momenti organizzativi della società civile: la costituzione in Hegel non è riducibile alla carta costituzionale o alla mera garanzia dei diritti dei sudditi verso lo Stato 9. Il concetto hegeliano di costituzione non comprende solo i poteri del monarca, del governo e del legislativo, ma anche la società civile e il popolo in quanto organizzati nella costituzione stessa. Ne segue che il popolo non può essere pensato come soggetto della costituzione, perché al di fuori della costituzione non c'è popolo, ma solo una «moltitudine dissolta nei suoi atomi». Il problema toccato da Hegel è 7· Sul concetto di società civile cfr. Riedel (r969l, trad. it. pp. 123-5I; Id., voce Gesellscha/t, burgerliche, in O. Brunner, W. Conze, R. Koselleck (hrsg.), Geschichtliche Grundbegriffe, Bd. 2, Klett Cotta, Stuttgart I975, pp. 719-8oo. 8. Cfr. Tomba (1995), pp. 425-43. 9· Sul concetto hegeliano di costituzione cfr. N. Bobbio, La costituzione in Hegel, in Bobbio (198rl, pp. 69-83. 301 IL POTERE quello del pouvoir constituant, che aveva impegnato i teorici dello Stato tedeschi e francesi ' 0 • Il concetto di potere costituente, sviluppato per la prima volta nel I 788-89 dall'abate Sieyes ", implica da un lato l'esistenza di un potere pregiuridico, e dall'altro quella di un soggetto che incarni il potere di fare la costituzione, vale a dire proprio ciò che Hegel considera astratto: un potere al quale spetti il compito di fare la costituzione si pone necessariamente al di fuori di ciò che unicamente ha realtà. Ponendosi la domanda relativa a «chi deve fare la costituzione» (LFD, par. 273 A), Hegel rileva tutta la problematicità della determinazione di un soggetto come fondamento, cosicché risponde che è la domanda stessa a essere priva di senso; essa presuppone infatti dò che non può avere esistenza al di fuori della costituzione. La centralità che il concetto di costituzione assume nella filosofia politica hegeliana mostra prima facie che è possibile parlare di popolo solo come totalità organizzata nello Stato; ne segue che un potere posto al di fuori della costituzione non dice nulla riguardo al principio sostanziale degli Stati perché, in quel caso, la determinazione del soggetto del potere sarebbe puramente accidentale. Il concetto di potere costituente, inteso come potere a cui spetti il compito di fare la costituzione, obbliga a pensare non a un popolo (populus) ma a una molteplicità inorganica di individui (vulgus) ' 2 • Si presenta quindi il problema del passaggio dai molti all'uno, cioè il passaggio a una forma politica; questa emerge solo per mezzo di un rappresentante, il quale, nel proprio agire, mette in forma quella che altrimenti sarebbe solo l'indeterminata volontà di tutti '3. Si giunge cosi a una struttura dualistica in cui l'unico agire politico è quello del rappresentante, mentre gli individui vengono politicamente azzerati e confinati in una situazione di privatezza. La libertà si determina qui solo negativamente, come limite che lo Stato pone al mio arbitrio in modo tale che esso possa coesistere con l'arbitrio di ogni altro, e il potere assume il significato della semplice coazione, la cui assolutezza è data dal fatto di rappresentare il soggetto assoluto della politica: il popolo nella sua unità. Di fronte a questo monstrum l'individuo mostra la propria totale mancanza di significato. Il discorso hegeliano IO. Il contesto storico, in relazione agli scritti jenesi di Hegel, è ben delineato in Rosenzweig (I962), trad. it. pp. I55-7· II. Cfr. E.-W. Bockenforde, Die verfassunggebende Gewalt des Volkes - Ein Grenzbegriff des Ver/assungsrechts, in Bockenforde ( I992), p. 94· 12. Cfr. E, par. 544 A. 13. Cfr. G. Duso, La rappresentanza e l'arcano dell'idea, in "Il Centauro", settembre-dicembre, 1985, ora in Duso (I988). 302 14. POTERE E COSTITUZIONE IN HEGEL tenta di superare le aporie di questa costruzione politica attraverso un radicale ripensamento delle categorie politiche che stanno alla base di quella concezione del potere. In questa prospettiva, il superamento della concezione atomistica si presenta come conditio sine qua non di una diversa articolazione dei concetti di rappresentanza e di potere, capace di dare realtà al moderno principio della libertà soggettiva, senza sacrificarlo in nome della sua stessa attuazione. Solo sciogliendo questi nodi diventa possibile dare una reale risposta alla questione della partecipazione (Tezlnahme) agli affari dello Stato (E, par. 544 A). 14.2 Il sillogismo dei poteri L'antica partizione delle costituzioni in monarchiche, aristocratiche e democratiche viene superata da Hegel abbassando queste tre forme a momenti dell'articolazione dello Stato. Le forme costituzionali classiche vengono sussunte nel moderno concetto di Stato, che si articola nel potere legislativo, in quello governativo e in quello del principe. A una lettura anche superficiale dei Lineamenti balza subito agli occhi che Hegel non parla di ciò che comunemente si intende per divisione dei poteri; infatti la distinzione non riguarda il potere giudiziario. Questo trova la propria collocazione sistematica nella società civile e non può essere definito, per le ragioni che vedremo, un potere. Regel rifiuta la normale concezione della divisione dei poteri che procederebbe non dal concetto ma da un fine esteriore, quale può essere l'autonomia o la limitazione reciproca dei poteri. La costituzione in Hegel va intesa come un organismo in cui ciascun momento racchiude in sé la totalità da un lato, e presuppone tutti gli altri momenti dall' altro. La natura di questo organismo fa sì che fra i tre poteri, che vanno intesi come le parti di un sillogismo r4, non possa esistere separazione o divisione, ma solo distinzione. Nel sillogismo dei poteri ciascuno dei momenti contiene in sé la totalità dei momenti e quindi l'intero sillogismo, cosicché viene superata la forma generale del sillogismo come distinzione tra il medio e gli estremi a cui ancora Kant si rifaceva. Il sillogismo hegeliano dei poteri va inteso nella forma speciq. Sulla struttura sillogistica dell'organismo cfr. E, par. 352; LFD, par. 304; sulla possibilità di intendere la distinzione dei poteri come un sillogismo di sillogismi cfr. L. Siep, Hegels Theorie der Gewaltentezlung, in Lucas, Poggeler ( 1986), pp. 387420. Sulla "differenziazione" e non "separazione" dei poteri cfr. Kervegan (r98;), pp. 66-70. Sull'organizzazione dei poteri cfr. anche Planty-Bonjour (1993), pp. 112-7. IL POTERE fica del sillogismo della necessità, dove «ciascuno dei momenti stessi si è mostrato come la totalità dei momenti, epperò come sillogismo intero» (E, par. 192) 1 5. La scelta hegeliana di escludere il potere giudiziario è tanto più significativa se si tiene presente che in Kant, e nello stesso Hegel degli anni di Norimberga, esso è ancora compreso fra i tre poteri dello Stato 16 • È nella maturità che Hegel giunge a considerare l'articolazione dei poteri come un sillogismo in cui ogni momento racchiude in sé tutti gli altri; questa esigenza logica, che deriva dal concetto stesso di costituzione, non è estendibile alla sfera della giustizia, la quale ha a che fare con l'accidentalità che deriva dall'applicazione di una determinazione universale, qual è appunto una legge, al caso singolo. In quanto l'oggetto della giustizia non è politico, non può nemmeno esistere un potere giudiziario, perché sarebbe impossibile articolare al suo interno la totalità dei poteri. Da un punto di vista sistematico la giustizia non è quindi un momento della costituzione politica, ma si risolve nella sua amministrazione all'interno della società civile. In più luoghi della sua filosofia del diritto, Hegel designa il moderno organismo dello Stato con il termine di «monarchia costituzionale» (konstitutionelle Monarchie) 1 7; questa non va intesa né nel senso di una costituzione ottriata, né in quello secondo cui il monarca sarebbe vincolato dalla carta costituzionale; entrambe queste accezioni riducono la complessità della costituzione a una carta. n richiamo hegeliano alla «monarchia costituzionale» sembra indicare, comunemente all'uso del tempo, la circostanza in cui il monarca è divenuto un momento dello Stato, e non sta più al di sopra di esso. In ogni caso, nel concetto hegeliano di monarchia costituzionale non è possibile rinvenire l'accettazione del principio della divisione dei poteri; questo principio si risolve infatti nella costruzione di argini e, tutt'altro che salvare lo Stato, lo minaccia, in quanto proprio dall'autonomia dei poteri sorge la lotta per il dominio di uno sugli altri. La critica hegeliana alla divisione dei poteri non è quindi animata da un pathos hob15. Si confronti questo paragrafo con i parr. 279 e 280 dei Lineamenti. Pone l'accento sulla struttura sillogistica dei poteri Peterson (1992), pp. 141-86. Cfr. anche Chiereghin (199r), pp. 24-5. r6. Cfr. I. Kant (1797), par. 45· È interessante osservare che, negli anni di Norimberga, i poteri dello Stato sono anche per Hegel il legislativo, il giudiziario e l'esecutivo: N, p. 237; cfr. anche p. 50. 17· Cfr. LFD, par. 273 e la relativa annotazione; sulla monarchia costituzionale cfr. E.-W. Bockenforde, Der deutsche Typ der konstitutionellen Monarchie im I9. Jahrhundert, in Bockenforde (r99rl, pp. 273-305. 14. POTERE E COSTITUZIONE IN HEGEL besiano per l'unità, ma al contrario sono proprio le concezioni criticate da Hegel che, considerando i poteri come momenti autonomi, reintroducono l'unità come dominio di un potere sugli altri. L'articolazione dei poteri, che Hegel presenta schematicamente nel paragrafo 273 dei Lineamenti, comprende in successione il potere legislativo, il potere governativo e il potere del principe; questi tre poteri formano le parti di un sillogismo in cui al legislativo spetta la determinazione dell'universale, al governo la sussunzione del particolare sotto l'universale, e al principe la decisione ultima e, quindi, la riunificazione dei poteri nell'unità individuale. Quando Hegel passa allo svolgimento dei singoli poteri inverte significativamente l'ordine, iniziando da quello che aveva posto per ultimo, e cioè dal potere del principe. Non siamo di fronte a un'irregolarità espositiva o a un'incoerenza hegeliana rispetto all'ordine da lui stesso delineato 18 ; si tratta invece dell'esplicitazione della circolarità dialettica dell'intero assetto costituzionale. Il potere del principe, in quanto inizio e fine dell'intera articolazione, delinea, in relazione agli altri poteri, il circolo "principe-governo-legislativo-principe". Il principe esprime dapprima l'esigenza logica per cui la sovranità esiste solo come soggetto; infine, quando viene completamente dispiegata l'articolazione dei poteri, lo Stato si rivolge verso l'esterno, verso altri Stati, come un soggetto indivzduale; l'esigenza che lo Stato sia un individuo di fronte alle altre individualità statuali fa si che le relazioni interstatuali rientrino nel potere del principe, che si configura così come inizio e fine. Va tenuto presente che i paragrafi riguardanti La sovranità all'esterno sono una parte di Il diritto statuale interno, circostanza che esprime l' esigenza di chiudere la trattazione della costituzione cosi come era iniziata: con il potere del principe. L'ordine espositivo dei tre poteri non contraddice dunque in alcun modo quello inverso presentato nello schema del paragrafo 273. 14.3 n potere del principe Hegel critica la concezione che contrappone la sovranità popolare a quella del monarca; in questa opposizione Hegel vede perdersi il senso complessivo dell'organismo statale, in cui ogni potere è tale solo in relazione all'altro. Il tentativo hegeliano è quello di dirimere gli esiti aporetici di una logica che pone la sovranità nel monarca o r8. L'inversione della successione costituisce per Ilting una «eccezionale irregolarità nel sistema di Hegeb (Ilting, 1977, p. 27l. IL POTERE nel popolo, e questi due come fra loro opposti. La soluzione cercata è di natura speculativa: essa passa attraverso gli estremi del popolo e del monarca, trovando il punto in cui i due momenti si presuppongono reciprocamente. Proprio perché il popolo costituisce l'intero, la sovranità trova la propria espressione nella persona del monarca. Questo passaggio è ricavato dalla natura stessa del concetto: la sovranità, come soggettività dell'intero, ha infatti la propria verità solo come soggetto, cosicché la sovranità richiede, per essere veramente tale, l'esistenza di un individuo - il monarca. Il monarca non va però inteso come il rappresentate dell'unità politica dello Stato, perché l'intero è già in sé organizzato nell'unità della costituzione. L'unità non viene realizzata per mezzo del rappresentante, ma è già effettuale nel concetto hegeliano di costituzione. Il monarca è sovrano in quanto la sovranità spetta allo Stato, la cui individualità per sé si mostra nella sua persona. È questa la ragione per cui dalla filosofia hegeliana del diritto è espunto ogni assolutismo della sovranità; se infatti è vero che il potere del principe è il momento della decisione ultima, ciò significa che in essa "ritorna" l'intera strutturazione dello Stato, così come quest'ultimo prende inizio nella realtà proprio in virtù del momento della decisione. Questa circolarità impedisce di pensare al sovrano come a un elemento trascendente l'articolazione dei poteri. Ancora una volta bisogna pensare al sillogismo (Schluss) dei poteri come realizzazione del concetto e passaggio alla realtà, passaggio che avviene attraverso la deliberazione We-schluss) del principe r9. Il monarca costituisce quindi quell'elemento individuale senza il quale lo Stato crollerebbe, in quanto, per giungere alla deliberazione, sarebbe trascinato in una catena infinita di argomentazioni e controargomentazioni. La ponderazione degli argomenti viene invece interrotta dalla decisione del monarca che, con il proprio io voglio, dà inizio a ogni azione e realtà. La decisione del monarca non è però arbitraria, essa rientra nell'articolazione dei poteri ed è quindi in parte subordinata alla totalità della costituzione. Solo nelle forme costituzionali non ancora sviluppate, vale a dire nelle forme semplici della monarchia, dell'aristocrazia e della democrazia, l'azione «ha il suo inizio e il suo compimento nell'unità decisa d'un capo (An/uh- 19. Sulla "decisione" (beschlieflen) del principe cfr. LFD, par. 279 A. Sottolinea le affinità tra il termine sillogismo (Schluss) e termini come Entschluss, Aufschluss, AuSSLh!uss (decisione, spiegazione, esclusione): Verra, 1992, pp. 198-zoo, nota r8. 14. POTERE E COSTITUZIONE IN HEGEL rer)» (LFD, par. 279 A). Ogni forma statuale racchiude in sé un momento decisionale, ma nelle forme meno sviluppate questo culmine individuale è ancora legato all'accidentalità e alle circostanze; anche la democrazia esige infatti rappresentanza perché «l'aggregato dei privati», che «suole spesso essere chiamato il popolo» (E, par. 5 44 A), diventa effettivamente un popolo solo attraverso l'agire di un rappresentante. Questa struttura logica accomuna tutte le forme statuali semplici, quindi anche la monarchia e l'aristocrazia, perché comune a queste è un modo di intendere il popolo nella forma inorganica dei singoli. Hegel traccia una distinzione tra il piano delle forme statuali meno organizzate, dove tutt'al più abbiamo un capo (An/iirer), e il piano della monarchia costituzionaleo, dove il monarca non sta al di sopra della costituzione, ma viene compreso nella sua circolarità. Nelle lezioni tenute da Hegel a Berlino sembrerebbe emergere una concezione diversa 21 ; qui il monarca sembra avere solo il compito di portare a compimento la razionalità della costituzione; insomma, la decisione del monarca non sarebbe altro che il punto sulla "i". Bisogna però tenere presente che il monarca presuppone la costituzione ed è, al tempo stesso, presupposto dalla costituzione. Separare uno dei due lati equivale a compiere un'astrazione, e quindi a perdere il senso dell'intero; per questa ragione il monarca hegeliano non può essere equiparato né a un assenziente superfluo né a un sovrano assoluto. La caratteristica dei tempi moderni e, più specificamente, la razionalità dell'intero fanno sì che al monarca non siano richieste particolari capacità, anzi la persona particolare del reggente è in sé priva di significato. Il fatto che un individuo sia destinato dalla nascita alla dignità del mon~rca non fa che portare all'unità il momento della massima accidentalità naturale con quello della massima soggettività della decisione. Inoltre, per mezzo della determinazione naturale del monarca, questa unità è preservata dalla lotta tra fazioni che sorgerebbe nel caso di un regno elettivo. 20. Sulla decisione del monarca cfr. Alessio (r996l, p. 185, che, su questo punto, attribuisce però al monarca hegeliano determinazioni concettuali che appartengono alle forme statali meno sviluppate. 21. È stato obiettato che nelle lezioni tenute all'Università di Berlino e trascritte dagli allievi emergerebbe un Hegel diverso, che ridimensionerebbe fortemente il ruolo attribuito al monarca nel testo del r82r: cfr. llting (1977), p. 41. Riprende la tesi di llting, Becchi (r99ol, pp. 48 ss. Per la critica alla tesi di Ilting cfr. Cesa (1976), pp. 85-I03. IL POTERE 14·4 Il potere del governo e i funzionari Benché il termine "politica" non compaia una sola volta nei paragrafi dedicati al governo quest'ultimo svolge un'importante funzione politica, di cui si deve tener conto nella totalità della costituzione. Il problema della partecipazione politica trova qui uno snodo importante; il potere del governo è il punto di mediazione tra la società civile e lo Stato ma, proprio perché costituisce la mediazione, è al tempo stesso anche ciò che segna la differenza necessatia tra quelle due sfere. Il significato dei funzionari emerge proprio all'altezza di questa separazione tra società civile e Stato. Se da un lato la funzione specifica del governo può essere ridotta a quella di un organo esecutivo di decisioni già prese, dall'altro esso prende parte anche al processo legislativo, che anzi sa portare avanti meglio delle assemblee degli "stati". Questa partecipazione è non solo possibile, ma necessaria in virtù della conoscenza che i funzionari hanno dello Stato. Proprio nei paragrafi relativi ai ceti, Hegel afferma che i funzionari dello Stato «hanno necessariamente una più profonda e più comprensiva intellezione entro la natura delle istituzioni e dei bisogni dello Stato, così come una più grande attitudine e consuetudine per questi affari e possono fare ciò che è il meglio senza "stati"» (LFD, par. 301 A). Ci si può allora chiedere che bisogno c'è degli "stati" se i funzionari di governo ne sanno di più e fanno meglio di loro, e addirittura se la prospettiva dei deputati è solamente un'aggiunta rispetto all'attività dei funzionari. Hegel non intende in alcun modo depotenziare o addirittura esautorare la funzione dell'elemento cetuale per quanto riguarda la sua partecipazione agli affari dello Stato, ma vuole sottolineare la compenetrazione reciproca esistente fra i singoli poteri. Se i ceti garantiscono l'esistenza politica della società civile, questo elemento di politicità non può d'altra parte essere demandato interamente all'elemento cetuale, ma deve essere integrato e corretto dalla prospettiva universale dei funzionari di governo z3. I funzionari vengono infatti scelti per la loro conoscenza e per le loro capacità; essi non appartengono a una casta, ma ciascun cittadino ha la possibilità di far parte di quello che è lo "stato" universale. Socialmente i membri del governo e i funzionari dello Stato appartengono al ceto me22 , 22. Cfr. Cesa (1988), pp. 475-6. 23. n ceto dei funzionari nel contesto storico hegeliano è oggetto d'indagine in Koselleck (1981), trad. it. p. 299; esprime l'importanza del senso dello Stato proprio dei funzionari Pavanini ( 198ol, pp. 141-50. 14. POTERE E COSTITUZIONE IN HEGEL dio, in quanto è qui che «risiede l'intelligenza educata e la coscienza giuridica della massa di un popolo» (LFD, par. 297). Sono quindi essenzialmente la formazione e la cultura a dare ai funzionari il senso dell'universale, il cui perseguimento diviene l'interesse stesso del loro ceto; venendo così a coincidere l'interesse particolare del funzionario con quello dell'universale, si realizza l'unione tra l'elemento soggettivo e quello oggettivo. L'intervento del governo sta a significare che la partecipazione della società civile agli affari dello Stato non è risolta nella pura identità fra società e Stato perché, se così fosse, verrebbe meno quella distinzione fra i due momenti che nasce dalla necessità di dare libero corso al dispiegamento della soggettività particolare. Una politicizzazione della società presupporrebbe la partecipazione diretta dei singoli agli affari dello Stato, mentre solo nell'autonomia della società civile, che lascia sussistere la sua organizzazione in cerchie, si dà la possibilità di una reale partecipazione politica. I singoli, sottolinea Hegel, entrano nella partecipazione (Antezl) «non nella forma inorganica dei singoli come tali (nel modo democratico dell'elezione), ma come momenti organici, come "stati" (Stande)» (E, par. 544 A). Autonomia della società, sua distinzione dallo Stato e partecipazione politica non sono per Hegel istanze reciprocamente escludentesi, ma momenti di un'unica articolazione. Il potere governativo interviene all'altezza di questa distinzione, esercitando da un lato la sua funzione amministrativa all'interno della società civile, e dall'altro dando il senso dell'universale all'elemento partecipativo dei ceti. In quanto garantisce l'esistenza politica della società civile, il potere governativo si situa nella distinzione tra società e Stato mediandola e superandola. 14.5 L'organizzazione cetuale e il potere legislativo La società civile è presente nel potere legislativo attraverso l'elemento degli "stati", quindi non nella forma dei singoli, ma in quella di un'organizzazione già sviluppata e nella quale l'individuo si presenta come membro di una cerchia. L'elemento cetuale ha in Hegel un preciso significato politico 4 in quanto costituisce un organo di me2 24- In relazione all'elemento politico cetuale,-Cesa (r988, p. 476) afferma che per Hegel «non è la rappresentanza in quanto tale a conferire un ruolo politico, ma l'inserimento di essa in una struttura costituzionale nella quale i deputati abbiano un reale peso». IL POTERE diazione tra il governo e il popolo. Attraverso gli "stati" la società civile prende parte agli affari generali dello Stato giungendo, nel potere legislativo, «ad un'attività e significazione politica» (LFD, par. 303). La centralità del momento partecipativo emerge dal modo stesso in cui Hegel delinea la deputazione: la società civile non elegge i propri deputati «in quanto dissolta atomisticamente nei singoli e adunantesi per un momento senza ulteriore permanenza soltanto per un atto singolo e temporaneo, bensì articolata com'è nelle sue corporazioni, comunità e associazioni costituite indipendentemente da ciò, le quali in questo modo acquistano una connessione politica» (LFD, par. 308). I rappresentanti, proprio per il modo in cui vengono deputati dalla società civile, non sono rappresentanti della totalità o dell'unità politica, ma rappresentano le cerchie particolari della società. Il deputato rappresenta quindi il proprio "stato", cosicché il rappresentare stesso non ha il «significato che uno sia al posto di un altro, bensì l'interesse stesso è realmente presente nel suo rappresentare» (LJ<D, par. 3 I I A). Il concetto di rappresentanza viene dunque radicalmente modificato dalla filosofia politica hegeliana >5, che comprendendo la società civile come ciò ch'essa è, giunge al superamento della struttura logica del rapporto uno-molti 26 , dove i molti divengono unità, popolo, solo attraverso l'agire di un rappresentante. Questa logica porta a un dualismo insuperabile tra il potere e i singoli, istituendo un'alterità tale da impedire ogni momento di politicità da parte dei singoli. All'interno di questo impianto concettuale la partecipazione si determina come impossibilità logica; il tentativo hegeliano è dunque quello di trovare una risposta al problema della partecipazione a partire dal superamento di quell'orizzonte concettuale, la cui "irrazionalità" sta nell'intendere il popolo come un aggregato di individui (E, par. 544 A). Perché la questione della partecipazione, e quindi della libertà politica, acquisti un senso, afferma Hegel, «si deve supporre non l'irrazionale, ma già un popolo organizzato» nella sua costituzione. Il momento soggettivo della libertà giunge all'esistenza nell' elemento degli "stati", che costituiscono da un lato l'organo di mediazione tra il governo e il popolo, e dall'altro danno esistenza politica alla società civile. In questo senso la libertà diventa «libertà politica», 2 5. La differenza rispetto alle concezioni giusnaturalistiche è evidenziata da Duso ( 1989, p. 67 ), che sottolinea come per Hegel non ci possa essere rappresentanza del tutto, ma piuttosto «rappresentanza nella realtà del tutto». 26. V. Verra, "Eins und Vieles" nel pensiero di Hegel, in Verra (1992), pp. 147- 310 14. POTERE E COSTITUZIONE IN HEGEL ovvero partecipazione alle faccende pubbliche. L'elemento partecipativo è invece inibito nell'elezione ad opera dei molti individui, dove il voto ha un effetto insignificante, quale può essere quello di mettere una scheda in un'urna una volta ogni tanto. Abbiamo finora visto come nell'elemento degli "stati" si delinei il momento della partecipazione e della libertà formale; resta da aggiungere che «il momento della cognizione universale anzitutto ottiene attraverso la pubblicztà dei dibattiti degli "stati" la sua espansione» (LFD, par. 314). La sfera pubblica e l'opinione pubblica sono di particolare importanza nei tempi moderni, dove il principio della libertà soggettiva ha un grande rilievo. Ciò che deve valere, sostiene Hegel in un ciclo di lezioni tenute a Berlino dopo la pubblicazione dei Lineamenti, non ha validità per mezzo del potere, ma attraverso le ragioni della sfera pubblica 2 7. Al lato della soggettività si connette certamente anche il momento dell'accidentalità relativo all'opinione ma, per il carattere universale che denota la sfera pubblica, essa costituisce anche una grande potenza. Le situazioni rivoluzionarie mostrano a Hegel come la sfera pubblica possa diventare «pericolosa»; queste situazioni mettono sostanzialmente in luce l'abisso che si può creare tra l'edificio statuale e la soggettività; quando questa non riconosce più nella propria coscienza lo Stato, quest'ultimo non riceve più la linfa vitale da questo rapporto di riconoscimento. Perché lo Stato non diventi un freddo meccanismo è necessario che la costituzione sia sempre aperta a una sua modificazione, in modo che allo sviluppo dello Spirito corrisponda sempre uno sviluppo delle istituzioni. Se la domanda relativa a «chi deve fare la costituzione» viene abbandonata in quanto priva di senso, il problema costituzionale riesplode all'altezza del potere legislativo. Questo non significa che il potere legislativo o addirittura gli "stati" siano deputati a fare la costituzione, ma che a ridosso del legislativo emerge il problema del mutamento costituzionale in quanto è qui che si fa presente l'interesse dell'intero. Da quanto detto risulta ormai chiaro che il popolo non può essere considerato sovrano o soggetto del potere costituente. Il problema costituzionale si delinea all'altezza del potere legislativo solo in termini relativi al mutamento della costituzione. Ciò che con Hegel diventa impensabile è l'esistenza di un soggetto politico al di fuori della costituzione, e quindi del popolo a fondamento della stessa. 27. Cfr. RPH r824-25, p. 723. 3II IL POTERE 14.6 Eticità, potere, storia La comprensione hegeliana di ciò che costituisce l'elemento razionale dello Stato moderno fa emergere l'intimo legame esistente tra il concetto di potere e quello di costituzione; per Hegel, propriamente parlando, non c'è potere al di fuori della costituzione. Questa acquisizione hegeliana ha il preciso significato di oltrepassare le secche del giusnaturalismo, che rimane invece prigioniero di una concezione dualistica dello Stato dove il potere è ridotto a pura coazione e la libertà a libertà negativa. È un diverso modo di intendere la costituzione (Ver/assung) a caratterizzare la filosofia hegeliana: organizzazione dell'intero che giunge a comprendere anche la società civile, e non solamente carta costituzionale (Konstitution) zs. A partire dal fatto che solo nella costituzione è possibile parlare razionalmente di popolo, assegnare a quest'ultimo il potere di fare la costituzione porta a un circolo vizioso in cui il risultato è al tempo stesso presupposto; se infatti il popolo è tale solo all'interno della costituzione, esso presuppone la costituzione per poterla fare. È con questa natura aporetica del potere costituente che bisogna fare i conti per pensare lo Stato. D'altra parte non si evita la Cariddi della sovranità popolare facendo rotta verso la Scilla del monarca assoluto. Porre infatti il monarca a fondamento della costituzione significa ricadere nella stessa logica contraddittoria di chi pensa un soggetto al di fuori della costituzione. monarca è in Hegel un momento della costituzione, e specificamente il momento della sua individualità. Senza il monarca non c'è la costituzione, così come, d'altra parte, senza la costituzione non c'è un monarca ma tutt'al più un despota. In un ciclo di lezioni Hegel parla della costituzione come di un potere assoluto; questa definizione va presa in senso letterale. Se i tre poteri delineati da Hegel hanno realtà solo come momenti della costituzione, è soltanto la costituzione a configurarsi come assoluta; nessun potere singolarmente preso ha infatti il compito di fare o modificare la costituzione, solo quest'ultima è, in quanto totalità, sciolta (absoluta) da ogni vincolo e in costante modificazione per comprendere gli elementi di novità della storia. Non è possibile appaltare a nessun potere la modificazione della costituzione, perché nessun potere può trascendere la totalità costituzionale: è la costituzione a modificare se n 28. Sulla distinzione tra Ver/assung e Konstitution, in Hegel terminologicamente non ancora ben definita, si veda Brunner ( 1968), trad. it. pp. 1-20; cfr. anche Koselleck (1981), trad. it. p. 187. 312 14- POTERE E COSTITUZIONE IN HEGEL stessa in quanto autotrascendimento e apertura alla storia. L'intreccio tra costituzione e storia risulta essere così stretto che Hegel, nei Lineamenti, sentì l'esigenza di includere i paragrafi relativi alla storia nella sezione dedicata allo Stato. Hegel fu costretto a questa inclusione per fedeltà verso il concetto di costìtuzione da lui stesso sviluppato; questa non racchiudeva solo la società civile, ma la stessa storia in quanto «assoluto potere legislativo» 9. Tra lui e i suoi contemporanei, ai quali l'inclusione apparì come una stravaganza ingiustificata 3o, esistevano due modi radicalmente diversi di intendere la costituzione. La razionalità della costituzione risiede dunque nel tentativo di dare risposta alle esigenze di partecipazione, e quindi nella sua vivificazione per mezzo del principio della soggettività; ma proprio questa esigenza fa sì che, qualora il costante processo di automodificazione della costituzione venga meno, si crei uno scarto tra sfera pubblica ed edificio statuale che, non più riconosciuto dalla coscienza, diventa oggetto di ostilità. Questa separazione non è però legata solo a cause accidentali o allo scarto che può nascere tra costituzione e storia. Una costituzione non adeguata al proprio tempo, quindi incapace di compiere le modificazioni necessarie a coprire quello scarto, diventa qualcosa di morto, e l'intero, spezzato nelle individualità singole, dà luogo a una situazione rivoluzionaria. 2 Vita Georg Wilhelm Friedrich Hegel nasce il 27 agosto del 1770 a Stoccarda, dove frequenta il ginnasio. Terminati gli studi medi, si iscrive all'Università di Tubinga e stringe amicizia con Schelling e Holderlin. Negli anni Novanta lavora come precettore a Berna e a Francoforte; in questo periodo, oltre alla stesura degli scritti teologici, Hegel inizia a studiare economia politica. Nel r8or raggiunge Schelling a Jena e si abilita all'insegnamento accademico; di questo periodo sono il ~aggio sul Diritto naturale e la Fenomenologia dello Spirito. Dopo un periodo in cui è preside del ginnasio di Norimberga, si trasferisce a Heidelberg dove, oltre alla pubblicazione della prima edizione dell'Enciclopedia, studia il conflitto costituzionale del vicino Wiirttemberg. Nel 1818 viene nominato professore a Berlino; qui inizia a tenere i propri corsi sulla filosofia del diritto e pubblica, nel 1821, i Lineamenti di filosofia del diritto. Muore nel r83r. 29. RPH 1824-25, p. 696. Sulla costituzione come potere assoluto (absolute Gewalt) cfr. RPH r8r7-I8, p. r82 . . 30. Cfr. G. Hugo, Gottingische Gelehrte Anzeigen (r82!), in Riedel (1975), pp. 70-I. IL POTERb Opere principali Phdnomenologie des Geistes (r8o7), trad. it. di E. De Negri, Fenomenologia dello Spirito, La Nuova Italia, Firenze 19886 , citato con F. Grundlinien der Phzlosophie desRechts (r821), trad. it. di G. Marini, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Bari 1987, citati con LrlJ. Enzyklopddie der philosophischen 1Vissenschaften in Grundrisse (1830), trad. it. di B. Croce, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Laterza, Bari 1984, citata con E. Vorlesungen iiber Naturrecht und Staatswissenscha/t. Heidelberg 1817h8 mzt Nachtrdgen aus der Vorlesung r8r8h9. Nachgeschrieben von P. Wannenmann, hrsg. von C. Becker, W. Bonsiepen et al., Meiner, Hamburg 1983, citate con RPH 1817-18 (traduzione italiana delle Lezioni di Wannenmann con il commento di Ilting, a cura di P. Becchi, Istituto Suor Orsola Benincasa, Napoli 1993). 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Il discorso dell'uguaglianza che sorge - tanto per effetto dell'azione di accentramento del potere e di progressivo disciplinamento e livellamento della società per ceti da parte della monarchia assoluta, quanto in conseguenza della politicizzazione rivoluzionaria del diritto naturale - sulle rovine della costituzione d'antico regime, svuota di legittimità l'articolazione cetuale dei poteri naturali e rende operativa, nel nuovo diritto costituzionale, una separazione tra pubblico e privato, tra "Stato" e "società", che rivoluziona gli assetti concettuali della scienza politica. Il problema del potere costituente rivoluzionario - come forma di articolazione immediata del rapporto tra libertà ed uguaglianza - spezza sin dal I 789 il concatenamento naturale dei poteri intermedi e pone direttamente l'una di fronte all'altro sovranità popolare e potere costituito. Il potere unitario e centralizzatore della monarchia assolutista viene riappropriato e riarticolato com:e emanazione della volontà generale della nazione. Di qui il problema della relazione delle istituzioni del potere costituito con l'irrappresentabile sovranità costituente del popolo; di qui il problema del rapporto tra il tutto e le parti del corpo politico, in cui occorre trovino un definitivo piano di consistenza l'unità del potere (ovvero il sistema unitario degli organi costituzionali dello Stato) e la società omogenea degli individui, che rappresenta, allo stesso tempo, l'irrinunciabile scaturigine della sovranità, e l"' oggetto" dell'azione politica dello Stato. La disintegrazione - prima assolutista, e poi rivoluzionaria - della società per ceti, sancisce l'esautorazione delle istituzioni di controllo e di autogoverno della società e, con esse, del sistema di libertates e privilegi che, contrapposto alla sovranità del monarca, assegnava una precisa qualità politica al tessuto dei poteri sociali. La fine del IL POTERE dualismo costituzionale della società per ceti residua una società di individui uguali perché reciprocamente indifferenti, ai quali spetta di ritessere le trame della socievolezza, a partire dall'artificio di un potere che, istituito come potere a tutti comune, permetta ordine e consistenza alla società. È cosi che la sovranità dello Stato, riappropriata come espressione della volontà generale, ottiene di poter agire di nuovo nei confronti della società dei privati: il meccanismo del patto costituente, che replica sulla scena storica l'artificio logico del contratto sociale, delega alle istituzioni del potere che viene costituito, in quanto riconosciuto come da tutti voluto ed accettato, di poter liberamente agire come corpo comune, all'interno dei limiti impostigli dal vincolo costituzionale, a vantaggio, e nei confronti, dei singoli individui. La distinzione pubblico/privato esprime il progressivo separarsi del potere sovrano dello Stato, che agisce a nome e per conto di tutti perché da tutti riconosciuto come legittimo, dallo spazio "privato", la società, in cui i cittadini perseguono individualmente il proprio interesse e conducono liberamente la propria vita, senza che lo Stato possa con essi interferire. La libertà privata dei cittadini esiste in forza della libertà pubblica garantita dallo Stato. Premessa di questo processo è la radicale spoliticizzazione della società. In essa non è dato esistano poteri sociali intermedi, che articolino modalità privilegiate di accesso ai diritti politici. Individuo e Stato devono essere pensati come nudamente contrapposti, affinché il piano di libertà omogenea, garantita da quest'ultimo per tutti i suoi cittadini, possa essere prodotto come risultante della volontà generale che si incarna nel potere pubblico dello Stato. A questa spoliticizzazione della società, che si realizza a discapito del potere civile-politico della nobiltà, dei ceti e dei parlamenti d'antico regime, reagisce con forza, sul piano della scienza, il discorso politico dei controrivoluzionari cattolici. Attivi tra il 1791, quando, con la costituzione civile del clero, molti di loro emigreranno dalla Francia rivoluzionaria per aderire al fronte antifrancese, e la Restaurazione, i controrivoluzionari esprimono, coniando a livello teorico l'intero sistema concettuale del conservatorismo europeo, l'ultima apologetica della società civile-politica preassolutista e prerivoluzionaria. Decisi avversari di un sistema costituzionale che interpretano come radicalmente illegittimo perché nuovo ed estraneo alla tradizione politica d'antico regime, essi ripropongono uno schema, quello dei poteri sociali-naturali, che si vorrebbe storicamente alternativo al mo-derno discorso della sovranità e non adesivo alle conseguenze, per IL POTERE TRA SOCIETÀ E STATO loro necessariamente tiranniche, di una logica del potere politico che non conosce più pluralismo né contrappesi. Se in antico regime il potere del monarca è bilanciato dal potere dei nobili e dei parlamenti, nel quadro della democrazia moderna, in cui i singoli individui privati si trovano direttamente, e senza alcun diritto attivo di resistenza, di fronte al potere dello Stato, non esiste invece, a loro parere, alcuna garanzia per il cittadino. Il totalitarismo è allora il destino che incuba nel seno della moderna democrazia. Contro di esso viene attivato un sistema concettuale che elabora la rupture rivoluzionaria come tutta implicita nel dérèglement della monarchia assolutista (che agisce già come forza centripeta e di spoliticizzazione della società nobiliare) e che ripropone, in polemica con la nozione di sovranità popolare, il tema della derivazione teologica del potere. Con questo, il pensiero controrivoluzionario offre un protosociologico "sistema della società" costruito attorno alla celebrazione dei poteri sociali-naturali (all'interno della famiglia, dei gruppi, dello Stato), che si presenta come radicalmente alternativo alla logica della sovranità moderna ed al moderno concetto di democrazia. Eppure, l'apologetica controrivoluzionaria della società d'antico regime - tanto radicale da sfociare in perentoria condanna dell'intero decorso razionalista ed individualista della modernità - non è in grado di eccedere o di sfuggire alla logica delle categorie politiche moderne. Essa assume in maniera irriflessa - allo scopo di ridefinire, contro la moderna idea di partecipazione democratica, un'immagine necessaria e "forte" del potere - proprio quella separazione tra pubblico e privato, tra società e Stato, che segna storicamente il costituirsi del proprio oggetto polemico. Impossibile da ricucite, in specie se ciò dovesse essere ottenuto con il postulare, come fanno i controrivoluzionari, l'innaturalità e la provvisorietà di quella separazione, la scissione tra la società e lo Stato dovrà pertanto essere assunta e pensata nella sua inderogabilità. La Rivoluzione potrà allora essere interpretata come un processo di progressiva disgiunzione tra i processi dell'uguaglianza e della libertà che crescono, in virtù tanto delle potenzialità appropriative del lavoro, quanto della frammentazione ed omogeneizzazione della proprietà, sul terreno della società, e le forme di integrazione politica garantite dall'ormai obsoleta - perché non più corrispondente al reale peso economico e politico delle classi aristocratiche - costituzione cetuale. Sul punto le analisi di Tocqueville e di Lorenz von Stein coincidono. Lo stato sociale della Francia, alla vigilia del r789, non trova più alcun piano di concordanza con l'assetto politico-co- IL POTERE stituzionale di cui si fa garante la monarchia. Ed è questa stessa disgiunzione a rendere progressivamente ingovernabile il processo "irresistibile" della democrazia. Le riprese ottocentesche della dinamica rivoluzionaria dimostrano come il discorso dei diritti - che da politici si fanno sociali - non possa essere espropriato al movimento sociale democratico da un sistema politico rigido, che pretenda di sottrarsi al gioco di forze e alle forme di conflittualità radicale attraverso le quali si esprime la specificità del sociale. La semantica inclusiva dei diritti, in base alla quale si risulta inscritti nel circuito della cittadinanza, tollera sempre meno esclusioni preventive. La società espansiva ed armonica del liberalismo si rivela un terreno di aspri conflitti reali che si aprono in tema di salari, di protezione del lavoro operaio, in merito alle assicurazioni che permettano di ammortizzare gli effetti socialmente dirompenti delle crisi cicliche del mercato del lavoro. Non vi è libertà politica, per chi si ritrova escluso a livello sociale. Né uguaglianza, se la divisione sociale del lavoro riproduce dipendenza e servitù, arrestando la potenza emancipativa dell'umana appropriazione/elaborazione della natura per mezzo del lavoro. È così che il ruolo di mediazione "neutrale" dello Stato, garante della possibilità di libera realizzazione per tutti, deve essere riaffermato, attraverso la sua capacità di "governo" dei conflitti che si aprono in epoca di democrazia. Il discorso dell'uguaglianza attribuisce infatti una nuova qualità alle lotte sociali - dal momento che l'esclusione del proletariato e delle sue organizzazioni dall'esercizio dei diritti costituzionali non può essere in alcun modo legittimato, né contrattabile appare più una contrazione delle rivendicazioni operaie in tema di questione sociale, se uguali devono essere i diritti di tutti - e con esse al diritto costituzionale dello Stato, del quale devono essere potenziate ed elasticizzate le potenzialità di intervento e di integrazione. Mobilità sociale e costituzione dovranno trovare, in epoca di democrazia, una nuova forma di articolazione che, a partire dal quadro irrinunciabile delle libertà fondamentali, permetta di governare le tendenze anarchiche e le spinte disgiuntive proprie alla conflittualità che cresce sul terreno della società. Che è anche il terreno della potenza emancipativa del lavoro e dell'uguaglianza. Il giovane Marx riprenderà esattamente quest'ultimo tema. La democrazia, montante marea che Tocqueville e Lorenz von Stein affronteranno con pessimismo e titubanza, si presenterà allora come la forma antologica originaria della politica. Lungi dal rappresentare 320 IL POTERE TRA SOCIETÀ E STATO una forma di governo, come nella trattazione delle dottrine politiche, o la semplice modalità di organizzazione costituzionale dei poteri dello Stato, come accade nel pensiero e nelle dottrine liberali più radicali dell'epoca, la democrazia viene pensata filosoficamente dal giovane Marx in termini antologici e temporali: essa rappresenta l'irriducibile processo dell'azione che permea ed eccede le trascrizioni istituzionali della politica, ed è definita dalla libertà come pratica permanente di liberazione. È questa antologica tensione costituente della democrazia ad istituire continuità nelle opere marxiane. Non banalmente la società contro lo Stato in quanto apparato di potere, quindi, quanto piuttosto la potenza del movimento democratico come pratica collettiva di liberazione e di radicale oltrepassamento della divisione del lavoro. Che "naturale" non è, e che corrisponde ad una precisa, e storicamente condizionata, topologia del dominio. SANDRO CHIGNOLA Rt/erimenti bibliografici Pur rimandando agli apparati bibliografici dei singoli capitoli, si indicano qui alcuni testi che, per rilevanza o ampiezza di spettro problematico, sono da tenere presenti per l'insieme dei temi affrontati nella presente parte. w. ( 1966), Evolution and Society. A Study in Victorian Social Science, Cambridge University Press, Cambridge. · DEAN M. ( r 99 r), The Constitution o/ Poverty. Toward a Genealogy o/ Lzberal Governance, Routledge, London. FIORAVANTI M. (1979), Giuristi e costituzione polztica nell'Ottocento tedesco, Giuffrè, Milano. FRANCIS M., MORROW J. 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Joseph de Maistre In una storia del moderno concetto di potere, la galassia dei "controrivoluzionari" assume una notevole rilevanza. loro tentativo - che è ad un tempo politico e teorico - di reagire disperatamente alla Rivoluzione francese, evento che inaugura definitivamente la storia della moderna sovranità', configura uno scenario privilegiato per la comprensione delle logiche della concettualità politica moderna, perché essa viene rimessa radicalmente in discussione sin dalle fondamenta, e perché essa, proprio a fronte della serrata critica cui viene sottoposta, conferma la propria assoluta intransitabilità. Evocata innanzitutto come sfida "semantica", la Rivoluzione francese sembra aver introdotto categorie e concetti nuovi e proprio per questo illegittimi; pare, agli occhi dei controrivoluzionari, essersi prodotta anche e soprattutto come catastrofe del senso. Ed è allora sul piano della "restaurazione" di quest'ultimo, in nome cioè di un richiamo alla tradizione tanto forte da comprimere la stessa eccedenza della crisi rivoluzionaria, che si consuma il processo teorico della controrivoluzione. n Ij.I Una "controrivoluzione" della scienza Autori tra di loro molto diversi per biografia e formazione intellettuale, i controrivoluzionari verranno trattati come un unico blocco nelle r. È Joseph de Maistre che parla del sistema napoleonico - ovvero della definitiva "stabilizzazione" del potere rivoluzionario - come di un potere dalle radici tanto profonde, da far désesperer l'esperance. Cfr. Maistre, EPG, p. xrv. Sulla logica del moderno concetto di sovranità cfr. Biral ( 1991). Tutti i passi citati dalle opere dei controrivoluzionari, nelle note e nel testo, sono - salvo altra indicazione - di mia traduzione. IL POTERE pagine che seguono. In parte perché essi costltmscono un gruppo sociale identificabile attraverso la semplice enumerazione di alcune costanti di tipo "sociologico" (in comune hanno come minimo il fatto di essere tutti nobili e tutti profondamente cattolici) 2 ; e soprattutto .perché le differenze tra di loro possono essere drasticamente ridotte a partire da un denominatore "teorico", che li accomuna: tutti impegnano le proprie energie intellettuali in una rielaborazione reattiva della rupture rivoluzionaria; e per tutti loro la Rivoluzione francese rappresenta l'esito necessitato di quel processo di costruzione "convenzionalista" del rapporto di obbligazione politica, che è iniziato, nel corso del secolo xvn, con le dottrine del contratto sociale. È così che, nell'ottica di chi si dispone ad operare una vera e propria "controrivoluzione della scienza", che reagisca all'intero complesso delle categorie politiche della modernità, Thomas Hobbes, cui viene ascritta una progenie apparentemente insospettabile per un teorico dell' assolutismo, può immediatamente divenb1re «il padre di tutti i giacobini» 3. La Rivoluzione francese, le cui differenti fasi costituenti ed il cui convulsivo assemblearismo evocano il supposto scacco di una ridefinizione "razionale" e per accordo dell'ordine politico viene interpretata - grazie all'assunzione di un registro metaforico in cui viene sancito lo slittamento dell'originaria scena del contratto sociale in quella della Torre di Babele 4 - come una fase di assoluta latenza del senso. In essa trova il suo culmine la parabola di progressiva "disorganizzazione" e déplacement dei rapporti, che da sempre avevano articolato i cicli dell'ordine costituzionale d'antico regime, e che ne avevano garantito la rappresentazione da parte di una tradizione politica teologicamente ancorata alle verità eterne. Quella stessa parabola di disorganizzazione della società per ceti, cioè, che era stata inconsapevolmente preparata da una monarchia assoluta che aveva così segnato la propria rovina, e il cui processo era stato accelerato dalla diffusione di una libera cultura illuministico-borghese che aveva reso irricucibile 2. Cfr. Galli (x98ol, Introduzione, pp. 7-56, p. 9· Cfr. inoltre Diaz (x975l; Marino (x978l; Raschini (I97I). 3· Haller, REST, vol. I, p. I53· 4· La metafora della Torre di Babele come metafora dell'impossibilità di un accordo tra singoli che fondi il corpo sociale ricorre in: Bonald, LGP I, pp. 8o-x; Haller, HDB, p. 29; e, nel modo più evidente, in Maistre, ETS, p. 368: «La torre di Babele è l'immagine ingenua di una massa di uomini che si riuniscono per creare una costituzione~. 15. IL CONCETTO CONTRORIVOLUZIONARIO DI POTERE lo strappo tra società e monarchia 5. Retto da un'interpretazione fortemente palingenetica della Rivoluzione - esito necessario della crisi spirituale che incubava dal tempo della Riforma, ed il cui significato la divina Provvidenza ascrive all'ordine della pena e della redenzione - il pensiero controrivoluzionario ne ·assume con forza l'antica semantica di "ritorno" e di "chiusura" 6 : la revolutio stessa della Rivoluzione, il suo "ciclo" compiuto avranno termine soltanto con il necessario ritorno all'ordine e allo "stato naturale" della società. La "controrivoluzione della scienza" viene dunque posta in opera in vista del raggiungimento di almeno un triplice scopo: appianare la consistenza storica stessa della crisi rivoluzionaria, che potrà essere semplicemente interpretata come la fase acuta di una "malattia" dell' organismo sociale ormai avviato a guarigione; riaffermare, contro il "volontarismo" proprio al costituzionalismo rivoluzionario, l'assoluta costanza del dato del "potere", come misura dell'asimmetria originaria data dalle disuguaglianze naturali, che istituiscono il rapporto sociale come forma dello scambio di protezione ed obbedienza; contestare definitivamente la pretesa della scienza politica moderna di costruire logicamente e di "razionalizzare" - rendendolo così in qualche modo disponibile per l'appropriazione rivoluzionaria - il rapporto di obbligazione politica. La Rivoluzione stessa può essere così interpretata come una fase di assoluto, ma transitorio, disordine. Essa configura un radicale "spiazzamento" delle sequenze logiche e delle parole stesse che articolano una continuità, quella tra società e potere, che non può comunque essere posta in discussione:· perché il fatto del potere, anche nelle forme della sua massima immanentizzazione in senso secolare e "democratico", non può essere compiutamente neutralizzato in termini procedurali, né riassorbito in una società che si immagini riflessivamente autocostituita e trasparente rispetto alla propria fondazione; e perché la Rivoluzione stessa si compie come usurpazione di una logica di configurazione "potestativa" del rapporto sociale, che si riproduce comunque intoccata in quello medesimo scarto rappresentativo, che solo permette alla Nation rivoluzionaria di riarticolare, a partire dall'immediato scavalcamento del disordine democratico e della 5. Questa interpretazione dei rapporti tra assolutismo e Rivoluzione antlctpa Tocqueville (cfr. AReR, L. n, Chap. 2). Sul problema del conservatorismo come figura storica evocata dalla spoliticizzazione della societas civilis alto-cetuale, cfr. Kondylis (r986); ma cfr. anche Koselleck (1972); Gauchet (r989), pp. 28 ss. 6. Cfr. Griewank (1979); AA.vv. (1979). IL POTERE complanarità degli interessi individuali, il rapporto tra il tutto e le parti del corpo politico. 15.2 Critica del patto: l'impossibile razionalizzazione del potere L'attacco alla teoria politica razionalista si concentra così, proiettandosi ben oltre la sua riproduzione costituente, sulla scena del patto sociale. Lì si consuma l'errore che ha prodotto quella catastrofe; lì inizia la deriva della modernità politica. Nell'intèrpretazione controrivoluzionaria, il processo stesso della secolarizzazione razionalista, con il suo rifiuto di un fondamento metafisica dell'ordine 7, è direttamente responsabile del "sacrilegio" -vero e proprio presupposto per una differente articolazione del rapporto tra il "capo" e le "membra" del corpo politico - che si determina con la decapitazione del re. È la pretesa ad un impossibile razionalizzazione del potere, ciò che istiga al parriczdio che solo avrebbe potuto rendere concreto il piano di immanenza e di /raternité in cui ci si sforza, a partire dal 1789, di rendere nuovamente consistente il legame sociale. La scena del contratto appare ai controrivoluzionari marcare un punto di partenza logicamente e metafisicamente insostenibile. In essa è dato di assistere anticipatamente alla messa in opera di quell' assoluta disarticolazione dell'antica societas civilis letteralmente riprodotta in seguito dal costituzionalismo rivoluzionario, ed all'interruzione preventiva, nella forma dell'esperimento di pensiero, delle naturali funzioni di potere che, nella monarchia d'antico regime, ancora assicuravano regolarità e vita all' imbriquement immediato di società corporata e Stato. Ed è allora innanzitutto sulla fictio di uno stato di natura pensato come fatto di individui isolati e come desertificazione assoluta delle relazioni sociali che si concentra l'attacco del discorso politico controrivoluzionario. 15·3 «Lo stato di natura non è mai cessato» Non esiste, per i controrivoluzionari, uno stato di natura "altro" o differente, da quello di cui il potere monarchico riproduce i cicli. 7· Nel corso di un'interpretazione di Hobbes, il conservatore Eric Voegelin, parla, certo non a caso, di un'autentica Dekapitierung Gottes, che si sarebbe verificata sulla scena del patto. Cfr. Voegelin (1993), pp. 17-75, p. 65. 15. IL CONCETTO CONTRORIVOLUZIONARIO DI POTERE "Naturale" è il legame sociale che sussiste da sempre - perché rivelatosi a livello metafisica nella "società" infratrinitaria delle tre persone di Dio (Donoso Cortés, ENS); nella relazione sociale "primitiva" istituitasi tra Dio e il creato (Bonald, LGP); o in quel sistema di rapporti di dipendenza reciproca che definisce la società come sistema di bisogni e lo Stato come attualizzazione del Dienstvertrag che rappresenta la modalità "naturale" di rapporto tra servo e signore (Haller, HDB) - come forma costitutiva dell'antologica, e di per ciò stesso insopprimibile, "politicità" immediata dell'uomo. Assolutamente correlati appaiono, nel discorso politico dei controrivoluzionari, società e potere 8 , perché non esiste società che non esprima immediatamente potere (dal momento che ogni forma di legame sociale residua da un'asimmetria o da un differenziale di "potenza", che permette, come nel caso di Dio e creatura, padre e figlio, monarca e popolo, l'istituirsi della relazione); e perché non esiste un punto, tanto in senso temporale quanto in quello spaziale, in cui possa essere immaginata l'interruzione delle linee di trasmissione analogica che - dalla famiglia alla società politica, dall'ordine metafisica all' ordine costituzionale - definiscono la continuità e la necessaria concatenazione del sistema dei poteri naturali 9. Compiutamente degiuridicizzato (anche perché una qualsiasi sua "giuridicizzazione" implicherebbe, come di fatto storicamente avvenuto con la Dichiarazione del 1789, un reciproco riconoscimento di "diritti"), il discorso sulla sovranità viene fatto rientrare in una logica di circolazione continua del potere; esso viene riassorbito da una metafisica che fa dell'analogia la figura-chiave per interpretare un ordine che, proprio perché continuo e "pieno", non conosce scansione. Né, soprattutto, distinzione tra un "prima" prepolitico Oo stato di natura) ed un "dopo" sociale, quando venga infine istituito nel sovrano il garante della reciproca e simultanea composizione dei singoli. ~<La natura ha orrore del vuoto», scrive de Maistre 10 • Ed è per questo che irrazionale e "contronatura" (e quindi contro Dio, che alla 8. Maistre, ETS, pp. 319-20. 9· È questo il punto che permetterà all'incipiente tradizione della sociologia di collegarsi ai tradizionalisti. Si tratta di riorganizzare un'epoca organica - ovvero integrata e stabile- che segua, ponendo ad essa fine, all'epoca "critica" della Rivoluzione. Comte e Saint-Simon leggono positivamente il sistema della società dei controrivoluzionari e ne recuperano la critica all'individualismo borghese ed alla civiltà commerciale. Sul tema cfr. almeno Nisbet (1987); Rossi (r982l. ro. Maistre, EPG, p. 66. IL POTERE natura impone le sue leggi; e contro la storia, che dell'esistenza di quelle stesse leggi e della loro intrinseca razionalità rappresenta la costante verifica sperimentale u, secondo un registro retorico condiviso da tutti i controrivoluzionari, che spesso confondono metafisica ed immanenza, Rivelazione e "storia naturale") 12 , appare lo sforzo contrattualista di intaccare la temporalità assoluta ed eterna dell'ordine. «Niente inizia nel tempo», risponde Bonald 1 3. L'ordine della "natura" - il cui semantema stesso, derivato dal latino nasci, rimanda per Bonald ad un'istanza sovrana, quella del Creatore da cui essa procede, che le toglie ogni pretesa di autosufficienza 1 4 - si configura come un imprescrittibile sistema di rapporti eterni, scientificamente restituibili secondo un preciso algoritmo algebrico. Il potere viene "amministrato" in tutte le sfere dell'ordine terreno (famiglia, società, Stato) e "religioso" (dalle teocrazie antiche alla comunità apostolica, alla Chiesa) secondo una legge eterna, la cui radice sta nei fondamenti logicometafisici di un ordine posto in essere da un'istanza assolutamente sovrana e trascendente, e si muove e riproduce in forza di una "pura" sequenza causale (causa/mezzo/effetto), i cui riverberi politici prevedono, per l'esistenza e la conservazione della stessa società, la presenza di un potere che ininterrottamente agisca, amministrato da istanze intermedie, a favore del soggetto. È così che la famiglia si regge sul ciclo delle relazioni di potere che vanno dal padre alla madre, ai figli; o che la forma "naturale" della costituzione politica può essere definita quella in cui il monarca, per il tramite della funzione ministeriale della nobiltà, agisce sul sujet, semplice "terminale" dell'azione di governo. Se in tutti i campi dell'essere "vera" è la scansione che restituisce ogni fenomenologia d'ordine della realtà sussumendola sistematicamente in un'applicazione particolare della sequenza causa! mezzo/effetto, qualsiasi rapporto "politico" potrà essere ricondotto ad un caso (adeguato o meno, ed è questo ciò che permette a Bonald di "elasticizzare" la propria nozione di costituzione, per estenderla all'interpretazione di forme corrotte di Stato) dell'equazione pura P: M = M: S 1 5. È per questo che, inevitabilmente, "nascere", per 11. La storia è per de Maistre, come è noto, politique sperimentale (cfr. ad es. Maistre, EPG, p. 4Ù 12. Cfr. Hotzel (1962); Spaemann (1953). 13. Bonald, LGP m, p. 76. 14· lvi, I, p. 229. 15. «Pouvoir : Ministre = Ministre : Sujet»: questa la forma "pura" del rapporto naturale di potere, dalla quale procede la "sistematica" della protosociologia bonaldiana. C&., tra i molti testi in cui essa ricorre, Bonald, De la manière d'ecrire l'histoire, in ML n, pp. 78-n2. Sul tema: Chignola (1993), pp. 86 ss. I 5. IL CONCETTO CONTRORIVOLUZIONARIO DI POTERE Bonald, significa soprattutto entrare «in un ordine di cose prestabilito» (RCPH II, p. I22). L'ordine riproduce permanentemente sé stesso come sistema continuo di gradazioni e di cerchie di potere (TH II, pp. 49 ss.), che non conosce interruzione né temporalità "costituente", dopo l'atto "sovrano" della sua creazione dal nulla da parte di Dio. In questa «scala di autorità e dipendenza, prodotta dalla natura stessa delle cose» (Haller, M r, pp. 308-9), che è la stessa "realtà", ogni singola individualità collettiva (famiglia, corporazione, ceto) rappresenta un'immediata istanza di articolazione "politica" della società. Ed è allora comprensibile l'inversione logica che vuole non soltanto confutata la stessa pensabilità di uno stato di natura "asociale" e "prepolitico", ma vera piuttosto l'affermazione contraria che dice, a partire dall'irriducibilità della rete dei poteri naturali e dall'autenticità del loro fondamento metafisica nel sistema delle differenze ontologico-naturali, che «lo stato di natura non è mai cessato» ' 6 . Due sono i punti di attacco diretto alla logica del patto che i controrivoluzionari vedono riprodotta dal costituzionalismo rivoluzionario. Il primo è quello che vede contestata, perché logicamente insostenibile, la fictio contrattualista dell'originaria uguaglianza tra gli uomini. L'uomo· è da sempre un animale sociale e politico, proprio perché antologicamente da sempre inserito in un sistema di relazioni sociali, che sono fatte della naturale composizione immediata di superiorità e bisogno. E se è così, naturale non è un supposto stato di prepolitico isolamento dei singoli, quanto piuttosto l'ordine di relazioni sociali, innervato da differenziali di potere, che di quello stesso ordine "sociale-naturale" permettono la permanente articolazione, così come essa si è da sempre riprodotta nell'esperienza storica dell'umanità. «Se l'ordine della società proviene dalla natura», allora «non c'è ovviamente alcun patto sociale» che lo debba costituire (Maistre, ETS, p. 319). Naturale è il rapporto che nasce dal comporsi di bisogno e di potenza; e naturale è il riconoscimento immediato della dis16. Haller, M r, p. 310; REST r, p. 385, HDB, p. 31. Esso non è mai cessato, perché legge di natura è il differenziale di potenza che permette l'incontro della «naturale superiorità>> (naturliche Uberlegenheit) del principe (cui immediatamente e per natura spetta allora la Herrscha/t), con i «bisogni>> (Bedur/nisse) dei deboli, che proprio per la loro antologica «dipendenza>> (Abhi:ingigkeit), esprimono bisogno di protezione. È dal naturale comporsi di Herrscha/t ed Abhi:ingigkeit, di sovrana libertà e bisogno, di potere del principe e naturale sudditanza del debole, che da sempre nasce, per Haller, il rapporto sociale. Del resto antologicamente impossibile è immaginare un istante nel tempo in cui tutti (uomini e donne, adulti e bambini, sani e malati, signori e servi, e così via) possano essere pensati come immediatamente "uguali" tra di loro (Haller, REST, r, pp. 394-5). IL POTERE simmetria del potere. Non c'è "diritto" in cui possano essere legittimate le istanze che fanno del sovrano il sovrano. Ogni "potere" (Herrscha/t) scaturisce immediatamente dalla sua stessa "potenza" (durch eigene Macht). Né è mai esistito del resto alcun «contratto tra l'uomo e il sole» (Haller, HDB, p. 22). 15·4 L'idea più ripugnante Il secondo punto di attacco incide ancor più profondamente nella logica del patto. Impensabile è - una volta assunta a presupposto l'originaria uguaglianza degli uomini - una deduzione razionale del rapporto di obbligazione politica che possa esorcizzare la comunque costitutiva, e permanente, eccedenza del potere. Uguali, ed in procinto di accordarsi sulle modalità di costituzione di una libera società di uguali, gli uomini mai potrebbero trovare una misura d'accordo che sia gradita a tutti. Perché se essi sono uguali, uguali lo saranno anche nella pretesa di non voler cedere la propria libertà originaria a profitto di qualunque sovrano possa essere scelto tra di loro. Due sono i casi che si presentano pensando con radicalità la scena del patto sociale - nell'ottica ovviamente "naturalistica" e certo poco propensa a indagare il tema della rappresentazione propria dei controrivoluzionari -: o quella pura "democrazia" dei singoli deliberanti non approda ad istituire alcun potere, perché insolubile è il paradosso che risulta da una situazione indecidibile in cui ciascuno e tutti rischiano di essere e sudditi e sovrani di se stessi (Maistre, ETS, p. 3I2); oppure quel potere, anche qualora potesse essere istituito, sconterebbe la medesima "illegittimità" di qualunque altro potere. Come infatti «potrebbe capitare, nello spirito di uomini indipendenti per natura, la più inconcepibile di tutte le idee e la più ripugnante per la natura dell'uomo, quella della soggezione al proprio simile?» (Bonald, DPHS, p. I I 7). L'idea dell'uguaglianza originaria degli uomini e quella del potere si escludono quindi a vicenda '7. Se la Rivoluzione è iniziata con la dichiarazione dei diritti dell' uomo, essa finirà allora necessariamente «con la dichiarazione dei diritti di Dio» (Bonald, LGP r, p. 250): «paternità e dipendenza»- ovvero I7. Haller, HDB, p. 3+ «Laddove le forze di ciascuno siano uguali, o come uguali siano considerate, là non può sorgere alcun potere [Herrschaft]. In ogni circostanza ed in ogni forma di rapporto, con la potenza CMacht] cessa anche il potere [Herrschaft], con il bisogno cessa la dipendenza». 330 15. IL CONCETTO CONTRORIVOLUZIONARIO DI POTERE le forme attraverso le quali da sempre si organizza il rapporto sociale secondo le forme naturali imposte da Dio al creato - piuttosto che non «fraternità ed uguaglianza» rs, parole dell'errore e del "sacrilegio", rappresentano gli indici concettuali che consentono di cogliere la costante e necessaria anticipazione del potere rispetto alla società 1 9. È una lineare lettura funzionalista dell'Epistola ai Romani quella che tutti indistintamente i controrivoluzionari applicano alla conferma di un'interpretazione continuista della tessitura "potestativa" dei rapporti naturali nell'ordine antologico. La provenienza divina del potere consente di lasciar cadere, perché definitivamente risolta, la questione della sua legittimazione, per concentrare invece l'attenzione sulle dinamiche di articolazione interna dell'ordine stesso. Esso si conserva perché regolare - Dio stesso, per Bonald, che in questo riassume un'intera stagione della teodicea postcartesiana, ha creato l'universo seguendo le leggi dell'eterna ragione e non fa miracoli, perché quest'ultimi rappresenterebbero un'infrazione di fatto del principio di non contraddizione 21 - e perché ininterrottamente intessuto di relazioni di potere che agiscono al mantenimento di una differenziata, ed inscalfìbile, topologia complessiva dell'ordine. Abbandonata al dogma della Rivelazione la questione dell'origine, l'analisi si concentra sulle modalità concrete di riproduzione della realtà. Anche di quella politi20 , 22 r8. Bonald, LGP n, p. 75: <<Gli uomini deboli di spirito o di corpo, deboli a causa del sesso oppure dell'età, per condizione o condotta, partecipano tutti delle debolezze dell'infanzia, ed hanno per questo bisogno di protezione. Gli uomini più dotati di risorse naturali o acquisite devono essere per loro come dei padri di famiglia, ministri della Provvidenza per far loro del bene: unicuique Deus mandavit de proximo suo. La società è tutta patermtà e dipendenza, piuttosto che non /raternztà ed uguaglianza». Sul tema cfr. inoltre De Sanctis (1993). 19. Bonald, ESAN, p. roo: «li potere è dunque preesistente a qualsivoglia società, dal momento che è il potere a costituire la società, e che una società senza alcun potere e senza leggi non sarebbe mai in grado di costituirsi da sé. È pertanto vero il dire che il potere è di Dio, potestas ex deum est; che ne ha messo la necessità nella natura stessa degli esseri e la regola, o la legge, nei rapporti che essi hanno tra di loro». 20. Paolo, Rom. xrn, r-3 <<non est enim potestas nisi a Deo». 21. Bonald, ESAN, Chap. m. Per i riflessi "politici" della teodicea postcartesiana cfr. Oakley (1984); Landucci (r986); Riley (r995l. Ben altra, peraltro, la posizione del coté decisionista (e teologicamente prossima all'occasionalismo) del fronte controrivoluzionario - de Maistre e Donoso Cortés su tutti - che partono invece dal presupposto dall'assoluta contingenza del mondo a fronte dell'infinita onnipotenza di Dio. 22. Con una dislocazione che rovescia direttamente il processo della modernità e che vuole bonaldianamente sostituito il je doute col saldo je crois della fede. Cfr. RCPH r, p. II6. 331 IL POTERE ca, in cui vaghe echo bibliche (Prov.: per me reges regnant), e la loro esistenza di fatto, consentono di lasciare nella «nube che ne tiene nascosta l'origine» 2 3 il problema della legittimità delle dinastie regnanti e di assumere nella costituzione d'antico regime, fatta di un monarca, di nobiltà e di popolo, il naturale "modo d'esistenza" di ogni popolo o nazione storica. Contro l'immaginario costituente della Rivoluzione - fatto di individualismo radicale e della decostruzione di ogni articolazione costituzionale precostituita al patto che erige per la prima volta i francesi in Nation 2 4 - ciò che viene riaffermato è l'innesto naturale della verticalità del potere sulla trama delle relazioni che gli uomini praticano in virù della loro sociabtlitas naturale. È l'eccedenza di quella stessa verticalità, la necessità del potere come endoscheletro delle reti antologiche della socializzazione, ciò che non può essere "neutralizzato" a partire da un accordo razionale tra libere volontà contraenti. In ragione di questa costitutiva eccedenza, in forza del suo sfuggire a qualsiasi artificio logico che possa "!imitarne" lo scandalo per la ragione, il potere è sempre, per sua natura, "assoluto" 2 5. 15·5 La doppia eccedenza del potere e la logica della sovranità La macchina della riproduzione sociale funziona dunque, per i controrivoluzionari, in forza di una doppia eccedenza. Quella dell'origine - ovvero della divina rivelazione che sovranamente stabilisce la legislazione primitiva -, e quella che consente la conservazione dell' ordine a partire dall'impossibile riassorbimento della naturale dissimme23. Maistre, EPG p. xu: <<Dio fa i re. Letteralmente. È Lui a preparare le razze reali; Lui le fa maturare nel mezzo di una nube che ne nasconde l'origine [. .. ]. Esse si insediano. Ecco il segno più grande della loro legittimità». 24. Cfr. Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, art. 1: «gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali»; art. 2: <<scopo dell'associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell'uomo»; art. 3: «il principio della sovranità risiede essenzialmente nella nazione». Principi il cui correlato immediato può essere visto tanto nella legge del 4 agosto 1789, che abolisce i diritti feudali e l'intera costituzione d'antico regime, quanto nella Costituzione del 1791: «non vi sono più nobiltà né paria, né distinzioni ereditarie, né distinzioni d'ordini, né regime feudale, né giustizia patrimoniale, né titoli [ .. .l non vi sono più, per nessuna parte della N azione, né per alcun individuo, privilegi o eccezioni al diritto comune di tutti i francesi [ ... h. 25. Maistre, ETS, p. 418: «qualsiasi tipo di sovranità è assoluto per sua natura». 332 I5. IL CONCETTO CONTRORIVOLUZIONARIO DI POTERE tria tra gli uomini che è data dalla verticale del potere. Soltanto così, in forza cioè di uno scarto della paratassi e della serializzazione possibile degli interessi individuali, può essere "deciso", e quindi "neutralizzato", il conflitto tra uguali. L'unità del potere è il «dis-pari» (Bonald, ESAN, p. 85), che spezza lo stalla decis!onale, in cui altrimenti si scatenerebbe la violenza tra individui in possesso di uno stesso e medesimo diritto di appropriazione sulle cose. 15.6 Un moderno "antimodernismo" È evidente, però, come questa stessa posizione - nella quale si evidenzia una forte torsione "decisionista" del tema del potere - esponga il discorso politico controrivoluzionario a scontare la radicale modernità del proprio "antimodernismo" 26 . Proprio in quanto "reazionario", e quindi in quanto modellato dal proprio opposto, esso finisce con l'interagire positivamente con il quadro categoriale dal quale pretende invece, grazie ad uno storicismo ipotetico e désesperé 2 7, di recedere. Obbligato a legittimare un'istanza di "potere" in epoca di restaurazione - e per questo già preda della torsione che in epoca moderna traduce direttamente ogni discorso politico in vettore ideologico di organizzazione della prassi 28 - il pensiero dei controrivoluzionari assume, senza volerlo, l'intransitabilità del quadro categoriale di quella che, in questo volume, si è convenuto di chiamare la "scienza politica moderna". Ciò che si intende ribadire, contro il grande sogno rivoluzionario del 1789 ed ancor di più a fronte delle sue riprese ottocentesche, è il dato dell'assoluta "indisponibilità" all' appropriazione del rapporto politico. E con esso, l'impossibilità di pensare un piano di composizione delle volontà individuali che possa razionalmente espellere da sé il fondo oscuro, e massimamente concreto, del potere. La società non potrebbe altrimenti, letteralmente, esistere. «La società è realmente uno stato di guerra [ ... l È perché l'uomo è malvagio, che occorre sia governato. Occorre che, quando una moltitudine di uomini vogliono la medesima cosa, un potere superiore a tutti i singoli pretendenti, la aggiudichi e impedisca loro di bat26. Schmitt (1972), pp. 75 ss.; Schmitt (1996), p. 42. Ma sul "modernismo" irriflesso della posizione controrivoluzionaria cfr. anche Wolin (1994), pp. 521 ss. 27. Gengembre (I989). 28. Id., L'epoca delle ideologie, in Brunner (1970), pp. 217-40. 333 IL POTERE tersi. Occorre dunque un sovrano ed occorrono dunque delle leggi». Ed è per questo che Hobbes, è costretto ad ammettere obtorto collo de Maistre, «ha perfettamente ragione» (Maistre, ETS, p. 563. Ma cfr. anche Bonald, TH r, p. 50). Del tutto paradossale è dunque l'esito dell'apologetica controrivoluzionaria: la società non può esistere senza un potere esterno ad essa (Maistre), che ne disponga costantemente la «conservazione» (Bonald). La possibilità di assumere la sociabzlité naturale dell'uomo riposa al fondo sull'irriflessa assunzione della moderna separazione tra società e Stato. Non soltanto allora l'intero sistema di «cerchie concentriche» (Bonald) - ma anche l' «ininterrotta gradazione» (Haller), l'insieme di «anelli della catena» (Maistre) - dei poteri naturali può esistere e conservarsi soltanto qualora sottordinato ad un potere politico "pubblico" che ne rappresenti l'inveramento e la garanzia. Esso è inoltre obbligato ad emergere addirittura come semplice sottosistema di socializzazione "privata" degli individui, all'interno di uno spazio costituzionale complessivo, che lo destituisce necessariamente delle proprie pretese di immediata politicità. Soltanto sulla base della moderna separazione tra società e Stato è possibile infatti qualificare come di "diritto privato" il potere signorile dello Hausvater. L'intero sistema di Haller, che muove proprio da quell'assunzione, inconsapevolmente assume anche a proprio fondamento l'inesorabilità del processo costituzionale di spoliticizzazione compiuta della «casa come complesso>>, e della società civile-politica che in essa aveva reperito, sino in epoca d'assolutismo, la cellula originaria di socializzazione politica di uomini e gruppi 9. Ed altrettanto accade a Bonald il quale, lungi dal reimmettere apologeticamente nel discorso politico un'istanza di unificazione tra di esse, si vede costretto, proprio allo scopo di rafforzare le logiche di neutralizzazione politica del "potere conservatore" nei confronti della società, a tematizzare una distinzione costitutiva tra «politica» e «morale», tra «pubblico» e «privato» (Bonald, De la politique et de la morale, in ML, pp. 152 ss.). Teso a prefigurare il potenziale di stabilizzazione del potere rispetto ad una società lacerata dalla Rivoluzione, il pensiero politico controrivoluzionario finisce così con l'introiettare le logiche della mo2 29. Brunner, La "casa come complesso" e l'antica "economica" europea, in Brunner (1970), pp. 133-64; Brunner (1972); Id. Feudalesimo. Un contributo alla storia del concetto, in Brunner ( 1970), pp. 75-n6 (su Haller, decisive osservazioni in questo senso a pp. 103 ss.). Più in generale, Kondylis (r986), pp. 138 ss. 334 I 5. IL CONCETTO CONTRORIVOLUZIONARIO DI POTERE derna sovranità. E non è sorprendente che Donoso Cortés - unico tra i controrivoluzionari a vivere la crisi del 1848 - abbandoni definitivamente ogni cautela e qualsiasi registro modulato sulle retoriche del tradizionalismo e della legittimità. Alla excepci6n terrzble del potere costituente rivoluzionario, ciò che può essere opposta è ormai soltanto la rassegnata apologia della "dittatura" controrivoluzionaria esercitata da un imperatore burla, eletto a suffragio universale 3o. Vite e opere L.- G. A. De Bonald Nasce da famiglia nobile a Millau, nel Rouergue, il 2 ottobre 1754. Nel corso della Rivoluzione emigra in Germania e dall'esilio pubblica le prime opere politiche. Torna in Francia nel 1797 e viene cancellato dalle liste degli emigrati per interessamento di Napoleone, che lo nomina tra i dieci consiglieri a vita dell'Università imperiale. ll suo successo si compie con la Restaurazione: esponente di spicco degli ultras legittimisti alla Camera, viene nominato membro dell'Académie française a partire dal r8r6 e pari di Francia dal r823. Si ritira dalla vita politica e rinuncia alle cariche pubbliche in occasione della Rivoluzione del r83o. Muore il 23 novembre r84o. Opere Oeuvres complètes, Slatkine Reprints, Genève 1982, r6 voli. (rist. anastatica dell'ed. Ledère, Paris 1817-43). Théorie du pouvoir politique et religieux dans la société civzle, demontrée par le raisonnement et par l'histoire, 1796 ( = TH). Essai analytique sur !es lois naturelles, ou du pouvoir, du ministre et du sujet, 18oo ( =ESAN). Législation primtfive considerée dans !es derniers temps et par !es seules lumières de la raison, r 8oz ( = LGP). De la manière d'écrire l'histoire, r8o7. Recherches phtlosophiques sur !es premiers objets des connaissances morales, r8r8 (=RCPH). Mélanges littéraires, polztiques et phzlosophiques, r8r9 ( =ML). Démonstration phztosophique du principe constztutzf de la société, ( =DPHS). 1830 30. Donoso Cortés, DIC, in Obras Completas, vol. 2, pp. 305-23, p. 322: «La questione però è questa, e concludo. Si tratta di scegliere tra la dittatura dell'insurrezione e la dittatura del governo. Posto in questa situazione, io scelgo la dittatura del governo, perché meno insopportabile e meno vergognosa». ll discorso sulla dittatura di Donoso anticipa il plebiscito che investe Luigi Bonaparte imperatore dei francesi. 335 IL POTERE Letteratura critica CHIGNOLA s. (I993), Società e costztuzione. Teologia e polztica nel sistema di Bonald, Angeli, Milano. MACHEREY P. (I987l, Bonald et la phi!osophie, in "Revue de Synthese", cvm, n. I, pp. 3-30. MOULINIÉ H. (I982 De Bonald. Sa vie, sa carrzère, la doctrine politique, Arno Press, New York (ed. or. PUF, Paris I9I6). PASTORI P. (I990), Rivoluzione e potere in Louis de Bonald, Olschki, Firenze. SPAEMANN R. (I959), Die Ursprung der Soziologie aus dem Geist der Restauration. Studien uber L. C.A. de Bonald, Kosel Verlag, Miinchen. 2 ), ]. Donoso Cortés Nasce in Extremadura il 6 maggio I809. Dal I82o al I828 studia giurisprudenza a Salamanca, Ciiceres e Siviglia. Nel I836 ottiene la cattedra di diritto costituzionale all'Università di Madrid. Il suo moderatismo lo rende però da subito inviso al governo, che lo priva delle cariche pubbliche e dell'insegnamento universitario. Dopo l'esilio in Francia al seguito della regina Maria Cristina, rientra in Spagna come segretario particolare della nuova regina Isabella rr (I 844). Membro del Consiglio reale dal I 845, è creato marchese di Valdegamas nel I 846. N el r 849 è ministro plenipotenziario a Berlino. Dal I 85 I lo sarà a Parigi. Muore a Parigi il 3 maggio I 85 3. Opere Obras Completas, BAC, Madrid I970, 2 voli. Discurso sobre la dictadura, I849 ( DIC). Discurso sobre la situaci6n de Europa, r85o. Ensayo sobre el cat6licismo, elliberalismo y el socialismo, I 85 I ( = ENS). Letteratura critica BENEYTO J· M. (I988), Apokalypse der Moderne. Die Diktaturtheorie von Donoso Cortés, Klett-Cotta, Stuttgart. CHIGNOLA s. (r985), Donoso Cortés. Tradizione e dzttatura, in "TI Centauro", I 3-I{, pp. 38-66. 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Convertitosi al cattolicesimo nel r82o, si reca a Parigi, dove, nel I822, farà la conoscenza di Bonald. Collabora con i giornali legittimisti e con il ministero Poliguae. Dopo la rivoluzione del r83o si ritira nel proprio castello di Solothurn, mantenendo contatti con i circoli reazionari prussiani. Muore il 20 maggio I854· Opere Handbuch der allgemeinen Staatenkunde, des darau/ gegrundeten allgemeinen Staats-Klugheit nach den Gesetzen der Natur, I 8o8 ( = HDB). Restauration der Staatswissenschaft, oder Theorie des naturlichen geselligen Zustands; der Chimare des Kunstlich-burgerlichen entgegengesetz, I8I6-34, voli. 6; trad. it. La restaurazione della scienza polztica, a cura di M. Sancipriano, UTET, Torino I963-8r, 3 voli. ( =REST). Mélanges de droit public et de haute politique, I839, 2 voll. (=M). Letteratura critica Haller: lo Stato come di diritto privato, in Elementi di politica, Laterza, Bari. SAN CIPRIANO M. 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Aspetti del cattolicesimo "antiriscHMITT c. voluzionario" in Francia (I796-r8Jo), Guida, Napoli. 15. IL CONCETTO CONTRORIVOLUZIONARIO DI POTERE Altri testi utilizzati AA.vv. ( r 9 79), Il concetto di Rivoluzione nel pensiero politico moderno: dalla sovramtà del monarca allo Stato sovrano, De Donato, Bari. BIRAL A. (1991), Per una storia della sovranità, in "Filosofia politica", v, r, pp. 5-50. BRUNNER o. ( 1970), Per una nuova storia costztuzionale e sociale, Vita e Pensiero, Milano. ID. (1972), Vita nobiliare e cultura europea, Mulino, Bologna. DE SANCTIS F. M. (1993), Modernità e fratellanza. Codici familiari e immagini dello Stato, ora in Dall'assolutismo alla democrazia, Giappichelli, Torino, pp. 225·48. GAUCHET M. (r989l, La Révolution des droits de l'homme, Gallimard, Paris. GRIEWANK K. (1979), Il concetto di rivoluzione nell'età moderna. Origini e sviluppo, La Nuova Italia, Firenze (ed. or. 1949). HOTZEL N. 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Il coincidere di funzione legislativa ed esecuzione delle leggi, di tensione costituente ed esercizio del governo, che è implicita nella logica del concetto di sovranità popolare, altera la stessa sostanza della forma-Stato: «un popolo che governasse sempre bene», owero che fosse sempre in grado di esimersi dal rischio di dar corso all'influenza degli interessi privati negli affari pubblici, «non avrebbe bisogno di essere governato» r. È dalla razionalizzazione di questa aporia che muove Lorenz von Stein. L'assestarsi dell'epoca democratica attraverso il ciclo rivoluzionario 1789-1848 vede la costante riapertura del rapporto tra costituzione politica e materialità degli interessi individuali, tra uguaglianza formale ed antagonismo sociale; vede la trasparente espansività dei diritti costituzionali sempre di nuovo opacizzata dal movimento simmetrico e contrario organizzàto dalle logiche di dipendenza ed esclusione che si riproducono a livello sociale. Non esiste, sul piano della temporalità storica ed in nome di un principio di ragion sufficiente che assegna all'interna «forza delle cose» lo stigma di una materiale necessità del contingente, la possibilità di una «costituzione assolutamente libera». Il fatto che ogni forma giuridico-costituzionale debba comunque con&ontatsi con il dato «inevitabile» e «necessario» delr. J.-J. Rousseau, Du Contra! social, Liv. m, Chap. IV. n tema è ripreso in Stein OSr, pp. 154·5. Tutte le citazioni in nota e nel testo- salvo altra indicazione- sono di mia traduzione. 341 IL POTERE l' «illibertà» ( Un/reiheit) che innerva la trama dei rapporti sociali, e che ciascuna di esse, proprio per questo, si trovi costretta ad inverarsi, più che come ordinamento squisitamente formale, come forma di «governo» della società, è ciò che conferisce validità, per Stein, a quell'intuizione di Rousseau (Stein, GsBw I, Lxvr; OSI, pp. I54-5). La materialità della storia, il suo essere scandita da dinamiche apertamente confittuali e contraddittorie, il suo labirintico dipanarsi tra l'idea di diritto di cui si fa carico la personalità dello Stato e l'ingiustizia e la violenza su cui crescono i processi sociali, differisce indefinitamente il compiersi della logica astratta della pura statualità: la costituzione effettuale (die wirkliche Ver/assung) «è la conseguenza o la manifestazione dell'ordinamento della società (Gesellscha/tsordnung) all'interno dell'ordinamento di potere dello Stato» (GsBw, I, LXVI; OSI, p. I 54). La commistione di società e Stato articola, in Stein, la "vita" della comunità di cooperazione formata dagli individui e invera la logica di dominio in forza della quale il diritto acquisisce, organizzandola, la propria preminenza sui meccanismi disuguali di scambio prodotti dall'interesse. Una Repubblica pura non c'è, perché in essa la proiezione di un piano di perfetta ed assoluta coincidenza identitaria tra interesse individuale ed interesse generale annullerebbe quella distanza tra società e Stato, a partire dalla quale soltanto è possibile il mantenimento della logica di governo e la riproduzione del ciclo di permanente organizzazione politica degli squilibri sociali 2 • Ciò appare tanto più vero, quanto più il "lungo" ciclo della Rivoluzione francese impedisce - tanto a Parigi quanto a Berlino - di dichiarare "terminata" la Rivoluzione. Un'unica preoccupazione ed un'unica certezza guidano la ricostruzione della genealogia del sociale in Stein e Tocqueville. La preoccupazione di comprendere e di "governare" la democrazia, assecondandone la montante marea e salvaguardando, all'interno di uno stabile sistema di garanzie costituzionali, la distanza che separa esercizio della libertà politica e diritti sociali; e la certezza che, a partire dalle giornate del I848 parigino, lo slittamento tra <'passioni politiche e passioni sociali» - come ebbe a dire lo stesso Tocqueville nel celebre discorso alla Camera del 27 gennaio I 848 - tenda ormai a porre direttamente in discussione la società e 2. L. Stein, Die socù:llistischen und communistischen Bewegungen se.it der dritten Republzk. Anhang zu S.s Socialismus un Communismus des heutigen Frankreichs, Wigand, Leipzig und Wien, 1848, p. 15: <<La repubblica francese fu ed è una repubblica democratica, nel senso che la sua costituzione deriva dalla democrazia; la sua amministrazione soltanto [. . .] non è democratica, né può esserlo, poiché la pura democrazia non è in grado di amministrare». Sul punto Ricciardi (1992), pp. 2ro ss. 342 r6. COSTITUZIONE E POTERE SOCIALE IN LORENZ VON STEIN E TOCQUEVILLE «a farla tremare sulle basi sulle quali essa oggi poggia» 3. Il "movimento sociale" della democrazia ed il processo di fluidificazione con cui il discorso politico dell'uguaglianza investe gli assetti costituzionali della società per ceti o d'antico regime non si arrestano con il raggiungimento di una Carta costituzionale che stabilisca una riorganizzazione liberale del potere. «La terra trema di nuovo in Europa» (SNDP, p. 93); e questo terremoto annuncia il conflitto politico del futuro, in cui materia del contendere sarà il diritto di proprietà come criterio di abilitazione (o di esclusione) al godimento dei diritti di cittadinanza. L'annuncio che il tempo dei movimenti puramente politici «è finito», coincide così con l'immediata presa di coscienza che la rivoluzione continua, e che essa sarà, d'ora innanzi e per necessaria estensione della logica dei diritti, sociale (SuC, Vorrede, vi): la navigazione tra le «due paure» - quella del socialismo e quella di una sempre possibile restaurazione che interrompa regressivamente il cammino della libertà 4 - deve aggiornare i propri strumenti di navigazione. La questione di una rivoluzione che non finisce e che minaccia di investire, ponendo in discussione il codice "proprietario" delliberalismo individualista e rivoluzionario, le fondamenta stesse della società, si fa questione decisiva anche sul piano della scienza 5. Cos'e che sta accadendo? Che cos'è una rivoluzione sociale ed in cosa essa si differenzia da una rivoluzione politica? Come muoversi nel "labirinto" di una rivoluzione che non finisce e che non può comunque rinunciare alle proprie conquiste politiche e costituzionali? «Kurz, was ist die Gesellschaft?» (SuC, Vorrede, vu). 16.2 Società e Stato: un monde où rien s'enchaine... La Rivoluzione francese porta a compimento, per Tocqueville, il processo di spoliticizzazione dell'antica societas civzlis, inaugurato dalla monarchia assolutista. "La grande rivoluzione sociale" della democrazia si innesta su dinamiche materiali di frammentazione della proprie3· A. Tocqueville, SNDP, p. 85. Sulla condivisione della prognosi in Stein e Tocqueville, A. Theis, Lorenz von Stein und die deutsche Gesellschaftslehre in der ersten Halfte des I9. Jahrhunderts, in Schnur ( 1978), pp. 42-63, p. 61; Steiner-Treiber (1975). 4· A. Tocqueville, Lettera a Corcelle, 13 settembte 1835, in Vita, p. 321. Sull'intera opera di Tocqueville come prophylaxie de la peur, Melonio (1993), p. 209. 5· A. Tocqueville, DAr, Introduction: <<È necessaria una scienza politica nuova, per un mondo ormai completamente rinnovatO>> (SPrr, p. 2ol. 343 IL POTERE tà, di scorporazione della costituzione cetuale e di omogeneizzazione monetaria del potere sociale della ricchezza, che accelerano e rendono davvero irresistibile il processo dell'uguaglianza. Tendenzialmente sempre più uguali tra di loro, gli uomini dell'era democratica hanno un solo mezzo per riscattare il rischio di isolamento - e perciò di potenziale oppressione a venire, giacché più non sono disponibili meccanismi naturali di contropotere, come quelli che, all'interno dello stato per ceti, articolavano il dualismo tra principe e nobiltà, tra monarchia e parlamenti - cui li espone la reciproca in-differenza: solo liberamente associandosi tra di loro e riconoscendo nella comune sottomissione alla legge la misura che consente la composizione dei dissonanti interessi individuali è possibile che essi istituiscano uno spazio, giuridicamente garantito, all'interno del quale possa darsi tranquilla e fiduciosa convivenza. Al meccanismo del «timore» e dell' «invidia» - passioni democratiche per eccellenza, liberate dal processo dell'uguaglianza e destinate ad alimentare l'impolitico circuito dell' «impotenza» e dell'atomizzazione sociale - viene opposto il sentimento espansivo della «concordanza» (sympathie), il reciproco riconoscimento nella legge 6 , come unica forma di composizione possibile tra libertà individuale e collettiva. «Quando ciascuno avesse dei diritti e la sicurezza di poterli conservare, verrebbe a stabilirsi tra tutte le classi una fiducia sincera e una sorta di reciproca condiscendenza, lontana sia dall'orgoglio che dalla bassezza» (DAr, Int.; SPn, p. 22). Solo riconoscendosi coordinata allo Stato e reinventando strumenti di partecipazione politica che partano dall'uguaglianza dei singoli, la società dei privati può riannodare, in epoca democratica, liens e relazioni tra liberi individui, senza vedersi disintegrare dalla propria irresistibile "tendenza" all'anomia ed alla desocializzazione. Quanto T ocqueville si trova costretto ad assumere è l'esito di un processo di lunghissima durata. Assolutismo e Rivoluzione incidono profondamente sugli assetti costituzionali d'antico regime. Il "movimento sociale" dell'uguaglianza e della democrazia riconfigura completamente il rapporto tra état social e costituzione: non soltanto, infatti, mutano i rapporti tra gli uomini, sempre più vicini per idee ed 6. A. Tocqueville DAr, Introduction, do immagino, così, una società in cui tutti, considerando la legge come opera propria, l'amerebbero e vi si sottometterebbero senza fatica, e in cui, essendo l'autorità del governo rispettata non in quanto divina, ma perché necessaria, l'amore verso il capo dello Stato non sarebbe una passione, ma un sentimento ragionevole e tranquillo. Quando ciascuno avesse dei diritti e la sicurezza di poterli conservare, verrebbe a stabilirsi tra tutte le classi una fiducia sincera e una sorta di reciproca condiscendenza, lontana sia dall'orgoglio che dalla bassezza>> (SPn, p. zzl. 344 r6. COSTITUZIONE E POTERE SOCIALE IN LORENZ VON STEIN E TOCQUEVILLE abitudini, per sentimento di sé e per mobilità sociale, ma definitivamente "rivoluzionata" risulta altresì l' orditura complessiva dei poteri naturali. Le nuove leggi di successione "sradicano" il peso costituzionale della nobiltà e dei poteri territoriali, la nuova ricchezza commerciale "smaterializza" l'incidenza della terra e della proprietà fondiaria come base di legittimità per il dominio signorile sulla casa e nella società civile-politica (PSC; SPr, 212). Alla centralizzazione - prima assolutista e poi rivoluzionaria- del potere, che si viene riconfìgurando come potere amministrativo e come struttura di disciplinamento e di ininterrotta omogeneizzazione della società dei privati, corrisponde la progressiva evanescenza dell'antica societas civilis: ciò che la Rivoluzione attacca non è soltanto un sistema di diritto pubblico, quanto piuttosto, e molto più in profondità, «l'antica forma della società» 7. Alla vigilia della Rivoluzione, le forme giuridiche ed istituzionali d'antico regime, che per secoli avevano amministrato i cicli politico-sociali della monarchia francese, non conoscono alcuna rispondenza con le aspirazioni e gli interessi della classe di cui la rivoluzione democratica accelera il "movimento" di ascesa sociale. La Rivoluzione del 1789 si determina anche come "crisi" delle funzioni di integrazione della costituzione cetuale. Presa tra l'iniziativa assolutista della monarchia ed il nascente individualismo borghese, essa rappresenta ormai soltanto un guscio vuoto ed inservibile. È una teoria storiografìca del "blocco", quella che condividono Stein e Tocqueville. La scoperta dei meccanismi di pressione con cui l' état social - autonomizzato come spazio di dinamizzazione e di rinnovamento delle strutture costituzionali - agisce sul proprio involucro giuridico-formale, produce un'interpretazione "politica" della Rivoluzione 8 , che innesta il paradigma delle scienze sociali sul tronco delle discipline storiche. È l'equalizzazione della "società", segnata da una nuova distribuzione della proprietà e della ricchezza, a fronte della persistenza delle barriere giuridiche che articolano le differenze cetuali, ciò che, anche per Stein (GsBw r, p. 83), stabilizza la contraddizione decisiva, di cui si alimenta la Rivoluzione politica. Lo scollamento tra "costituzione dello Stato" (Ver/assung des Staates) e ~'società reale" (wirkliche Gesellscha/t) sta all'origine di ogni evoluzione della 7· A. Tocqueville AReR; SPr, p. 6r5. Sulle tendenze anomiche della democrazia e sulla spoliticizzazione della famiglia in Tocqueville, De Sanctis (r986), pp. 256 ss.; sulla fluidificazione delle relazioni sociali determinata dalla moneta e sulla dissoluzione dell'ethos aristocratico: Mitchell (1996), pp. 172-4. 8. Sul tema, Aron (r967l, pp. 244-5; F. Furet, Tocquevzlle e il problema della Rivoluzione francese (r971l, in Furet (r987'l, pp. 147-8r. 345 IL POTERE vita del diritto, che non può essere reificato rispetto alle proprie fonti sociali. «Questa contrapposizione tra la società reale e la società che lo è solo giuridicamente, è l'inizio di tutti i movimenti esterni della libertà; con essa viene raggiunta una nuova fase, che porterà a sua volta ad una nuova evoluzione» (GsBw r, Lxxxxvm; OSr, 178). Lo spazio di intelligibilità aperto dalla Rivoluzione - che va compresa a partire dal processo di spoliticizzazione assolutista della società per ceti e quale risultato del "blocco" opposto dalla costituzione cetuale alle aspettative di integrazione politica del terzo stato (Tocqueville); nonché come modello idealtipico della relazione conflittuale tra società e Stato, che scandisce le differenti fasi della vita giuridica (Stein) induce ad una decisiva dislocazione teorica. Poiché ciò che alimenta quell'ineliminabile contraddizione è l'opposizione tra la logica della società e quella dello Stato, i due termini dovranno essere partitamente analizzati e messe a tema le modalità concrete della loro relazione. Assolutismo e Rivoluzione affossano la trascrizione corporativo-cetuale del concetto aristotelico di societas civzlis. La sua decomposizione - che prelude alla necessità di rielaborare le funzioni di mediatore neutrale dello Stato rispetto alla perenne conflittualità tra libertà ed illibertà, che si registra a livello sociale - inaugura, al livello della scienza, una distinzione funzionalista tra società e Stato 9. 16.3 Acquisizione, proprietà, diritto Societas civzlis è l'espressione con cui viene tradotto, e così definitivamente reso disponibile nel lessico politico europeo nella sua accezione "protomoderna", il concetto aristotelico di politzké koinonia 10 . Questa matrice logico-semantica del concetto, rideclinata dall'istituzione altomedievale del mundio, insiste nel concetto di "società" inscritto nella costituzione corporativo-cetuale 11 • "Società" e "Stato" 9. È noto come la differenziazione concettuale di "società civile" (burgerliche Gesellschaft) e "Stato" (Staat) sia opera di Hegel. Stein la riprende dalla Rechtsphtlosophie del r82r. Sul tema cfr. almeno: Riedel (1975al, pp. 123-51; W. Conze, Staat und Gesellschaft in der /rithrevolutionaren Epoche Deutschlands, in Bockenforde ( 197o'l, pp. 207-69; Conze (1970'), pp. 37-76; Koslowski (r982l; Haltern (r985l; Schiera (r987l, in specie, pp. 52-5. ro. Aristotele, Pol. A, 1252a 6: «<XUT1j lì' È:actv ~ xo:Àouf!€V1j noÀLcr xcd ~ xoLvwvtcx ~ 7tOÀLTLX~». Cfr. Riedel (r975bl, pp. 719-862. n. Cfr. Brunner, La "casa come complesso" e l'antica economica europea, in Brunner (197ol, pp. 133-64; Brunner, I diritti di libertà nell'antica società per ceti, ivi, pp. 20!·16. 16. COSTITUZIONE E POTERE SOCIALE IN LORENZ VON STEIN E TOCQUEVILLE non vengono apertamente separati, almeno fino in epoca postrivoluzionaria, perché la società per ceti esprime direttamente da sé, in quanto immediatamente articolata allo Stato, le forme della propria integrazione politica. Il concetto "omogeneo" di societas civtlis sive politica esprime la realtà costituzionale di un ordinamento che non conosce la distinzione moderna tra "pubblico" e "privato", tra "economico" e "statuale", e che, proprio perché sviluppa, al contrario, un concetto di soggettività "politica" basato sulla titolarità di diritti differenziati dalla diversa ed anelastica distribuzione di "ruoli" assegnata "per natura" all'interno delle forme di socializzazione primaria, anco. ra non distingue tra società e Stato. Quella stessa distinzione concettuale - funzionale ad una ridefinizione dei compiti di mediazione dello Stato a fronte dell'irriducibile conflittualità del sociale - diventa però indispensabile, nel momento in cui la costituzione "rigida" della società per ceti si trova esposta al doppio attacco dell' universalismo rivoluzionario dei diritti e dell'economia borghese. Uguali, e proprio per questo tutti allo stesso modo (almeno in linea di principio) in diritto di acquisire "proprietà" e cittadinanza, i singoli individui non possono più essere forzati in alcuna topologia "naturale" d'ordine. La società del salario che corrisponde, in T ocqueville, all' état social democratico e alla costante fibrillazione del "tempo vuoto" dell' accumulazione, non può in alcun modo aderire al paradigma ciclico e "pieno" della temporalità aristocratica ' 2 : «liberté et industrie», tra le quali sussistono «un lien étroit et un rapport nécessaire» (DAII, 2, Chap. xrv; SPII, p. 6 3 r), decostruiscono definitivamente la supposta naturalità del potere signorile o cetuale. E, con essa, la "concatenazione" dei poteri sociali che articolano la continuità tra società e Stato. Fluido, temporalizzato dall'aspettativa di riconoscimento sociale ed inscritto in un orizzonte di radicale mobilità, il processo della libertà muove dal desiderio di acquisizione che denaturalizza il mondo. L"' irrequietezza" democratica è fatta dell'ansia di una percezione del tempo divorata dal desiderio e dal bisogno '3. "Spazializzato" co12. De Sanctis (1986), pp. 267 ss.; Manent (1982), pp. 37-8. Sul carattere «spoliticizzante» della modernità: Matteucci (1990), pp. 107 ss. 13. Al nesso di "irrequietezza" e "mobilità" democratica come esautorazione delle funzioni di socializzazione naturale della "casa come complesso", è esplicitamente dedicata la trenodia di Riehl: «Se l'America del Nord deve offrirei- in relazione al sociale - l'immagine della casa, così come essa non deve essere, a questo proposito è appropriata anche l'architettura. Non soltanto qui la "casa come complesso" (das «ganze Haus») porta lo stigma del mutevole e del transitorio, ma la stessa abitazione. Le case vengono costruite su scala industriale e per lo più esse vengono abitate solo 347 IL POTERE me sostegno delle strategie acquisitive, il tempo stesso diventa un bene scarso, perché direttamente collegato all'antologica contingenza umana: «Chi mette tutto il proprio cuore nella esclusiva ricerca dei beni di questo mondo ha sempre fretta, perché non ha che un tempo limitato per trovarli, procurarseli e goderne. Il pensiero della brevità della vita lo pungola senza requie. Indipendentemente dai beni che possiede, ne immagina a ogni istante mille altri che la morte gli impedirà di gustare, se non si affretta» (DAn, 2, Chap. xur; SPn, p. 628). Il tempo storico - permeato dalla potenza del desiderio e circoscritto dalla sua infìnitezza - si distende come campo del possibile '4, sovvertendo l'ordine dei rapporti naturali. Libertà e dominio sulla natura, autodeterminazione politica e individualismo proprietario procedono di comune accordo. Per questo Stein assegna a Montesquieu, ed alla sua teoria di balance dei poteri, il ruolo di ultimo rappresentante della vecchia tradizione politica cetuale, ed all'eversività del diritto naturale borghese (da Hobbes a Locke, a Rousseau) quello di riconfìgurare completamente, a partire dal principio di uguaglianza, il pensiero sullo Stato e sulla politica (SuC, 92; GsBW r, p. 24): l'idea stessa di "personalità" coincide in Stein con quella di un'autodeterminazione assolutamente libera '5. r6.4 La libertà al lavoro Vita è, per Stein, l'opposizione tra personalità e impersonalità, tra libertà e necessità. L' «azione» appropriativa esercitata nei confronti della natura è cifra dell'umana «destinazione» ad un'irrisolvibile conper breve tempo L..l Si fanno anche case trasportabili dalla struttura d'acciaio. Soltanto in un'epoca in cui la "casa'' è diventata una gabbia simmetrica ed ha perduto ogni individualità, è possibile pervenire all'idea di fondere le case in maniera industriale nell'acciaio>> (Riehl, r86ra, p. 238). Ma per l'apologia riehliana della ganze Haus in relazione ai processi di "scorporazione" che aprono la questione sociale cfr. anche Riehl, (r86rb), pp. 443-4 e ss. 14. Tocqueville, Ricordi, pp. 78-9: «quanto più studio l'antico stato del mondo e quanto più osservo nei particolari il mondo dei nostri giorni, nel considerare la prodigiosa varietà che vi si trova non solo nelle leggi, ma nei principi stessi delle leggi, e le diverse forme che ha preso e che mostra, anche oggi, checché se ne dica, il diritto di proprietà sulla terra, sono tentato di credere che quelle che vengono chiamate le istituzioni necessarie non siano sovente se non le istituzioni alle quali ci si è abituati, e che in materia di costituzione sociale il campo del possibile sia ben più vasto di quanto immaginano gli uomini che vivono in ogni società>>. I 5. Cfr. H. T aschke, Der Personlichkeitsbegriff bei Stein: die individuelle Personlichkeit und die organische Staatspersonlichkeit, in Taschke (1985 ), pp. 221-76. 16. COSTITUZIONE E POTERE SOCIALE IN LORENZ VON STEIN E TOCQUEVILLE traddizione tra l' «irrefrenabile anelito in direzione del completo dominio sull'essere esterno», e l'infìnita limitatezza individuale. Libertà è il «lavoro» con cui l'uomo si adopera a compensare la propria «individuale indigenza», elaborando in termini di cooperazione l' «assoluta contraddizione» che il singolo è. Teso alla realizzazione della propria destinazione - fatta della concretizzazione della propria libertà per mezzo di un'indefinita estensione dell'umano dominio sulla natura -, e impedito nell'esecuzione della propria missione di autodeterminazione dalla scarsità dei propri mezzi, l'uomo si trova necessariamente affidato alla «comunità», che ne potenzia l'individuale debolezza. «Tempo e forza illimitati» vengono offerti al singolo dall' «illimitata pluralità» degli uomini, per il conseguimento della propria Bestimmung e per lo scioglimento della contraddizione apparentemente insolubile in cui lo getta l'originaria destinazione alla libertà. Personificata come «volontà ed azione», e così definitivamente emancipata dalla debolezza di singoli che la compongono, la comunità, «la cui esistenza è in funzione delle personalità, che comprende le personalità e che prende il suo concetto dall'essenza della personalità», assume necessariamente una «vita personale» e, «rispetto ad una tale volontà autonoma» appare come «quello che noi chiamiamo Stato» (GsBw r, xm-xv; OSr, pp. ror-3). Come la libera autodeterminazione dell'uomo si afferma rispetto ad una materia inerte che ad essa oppone una continua resistenza, allo stesso modo l'azione dello Stato incontra, nell'oggetto che essa deve determinare, una resistenza altrettanto irriducibile. L'arbeztender Staat steiniano definisce le proprie logiche in base alla medesima tensione che destina la singola personalità all'elaborazione della propria contingenza, confrontandosi con l'altro da sé del proprio libero desiderio. Ciò rispetto a cui lo Stato indirizza, personificandole, volontà ed azione della comunità, mantiene infatti quelle caratteristiche di autonomia e di irriducibilità, che animano l'opposizione originaria, da cui discende l'antologia dinamica e conflittuale, sulla quale si fonda la Bewegungslehre di Stein ' 6 . L' «oggetto che si è sottomesso alla volontà r6. Per la formulazione coeva di un concetto "dinamico" di costituzione, che, in polemica con la "statica" idealista di un Rousseau o di un Platone, componga le gesellschaftliche Krii/te allo Stato, L. A. von Rochau, Grundsiitze der Realpolitik. Angewendet au/ die staatliche Zustande Deutschlands (1853), hrsg. und eingel. von H. U. Wehler, Ullstein Berlin, Wien, Frankfurt/M. 1972, pp. 25-8. Per l'interpretazione della Soziologie steininana come Bewegungslehre, cfr. E. R. Huber, Lorenz von Stein und die Grundlegung deridee des Sozialstaats, in Huber (1965l, pp. 127-43, p. 133. Sulla logica di definizione, in Stein, della soggettività dello Stato in relazione alla società e all'autonomia dell'individuo (ovvero nel solco del "paradigma hobbesiano" del diritto 349 IL POTERE dello Stato» non può dunque essere da esso «dissolto» né destituito della propria autonomia. All'azione della comunità su se stessa, che si personifica nello Stato, corrisponde specularmente «la vita autonoma di tutti i singoli», inscalfibilmente mossa da leggi proprie, che ne assicurano la riproduzione ed il progresso (Stein, GsBw I, p. xvr; 05r, p. 104). I processi di scambio tra ciascuno dei singoli ed il mondo esterno permangono allora a fianco dello Stato, ed acquisiscono una differente e nuova qualità. processo in cui si realizza la «lotta» - che è «vita» - tra la «personalità» ed il «mondo esterno», che essa si impegna a «sottomettere», «non appena diventa un'attività ordinata e pianificata» - ovvero indirizzata alla Erarbettung di beni, e di per ciò stesso definita da forme di cooperazione che la sostengano - è il «lavoro». «La destinazione degli uomini spinge quindi anche il lavoro degli uomini all'unificazione. È l'unità nell'elaborazione dei beni umani. Questa appare in un primo tempo come casuale ed arbitraria per il singolo. Ma invece essa è altrettanto autonoma e potente quanto la volontà che si manifesta nello Stato» (Stein, GsBw I, p. xvi; 05r, p. 104). È all'interno di una medesima traccia ontologica che si costituiscono le logiche, differenti e consonanti, della società e dello Stato. Se quest'ultimo rappresenta il «quadro» giuridico ed istituzionale in cui si personificano «volontà ed azione» della comunità allo scopo di preservare l'originaria Bestimmung dell'uomo alla libertà, la società, «questa unità organica della vita umana, condizionata dalla distribuzione dei beni, regolata dall'organizzazione del lavoro, mossa dal sistema dei bisogni» (GsBw r, p. xxvm; 05r, p. n6), e quindi necessariamente permeata di illibertà date dagli immediati effetti sociali della divisione del lavoro, offre una controspinta decisiva, pur mantenendone ed inverandone la dinamica, al movimento della libera autodeterminazione umana. È sul terreno della società che si afferma il diritto - come /orma della libera appropriazione/elaborazione dei beni, che denaturalizza il mondo e lo ritrascrive a partire dall' organicità del nesso proprietàlibertà-forma giuridica, ed è in esso, che l'illibertà mette radici, a partire dalla necessaria "limitazione" che la divisione del lavoro sociale, ovvero l'assunzione di un rigido Laujbahn per la vita di ciascuno, opera sulle potenzialità di autodeterminazione del singolo (GsBw I, xxr; 05r, p. 109). Un effetto, quest'ultimo, che assume il proprio n borghese): B. Willms, Lorenz von Steins politische Dialektik, in Schnur (1978), pp. 97123; Koslowski (1989), pp. 19 ss. 16. CÒSTITUZIONE E POTERE SOCIALE IN LORENZ VON STEIN E TOCQUEVILLE più autentico significato a partire dagli effetti di «rinaturalizzazione» della dipendenza, determinati dalla diseguale distribuzione della proprietà e del capitale '7. n lavoro assolve dunque ad un doppio compito, nella logica della "scienza sociale" steiniana. Da un lato, fondando l'antecedenza del diritto privato su quello pubblico, permette a Stein di assumere, in perfetta assonanza con Hegel, l'assoluta modernità della proprietà privata come modo della compiuta denaturalizzazione del mondo, che viene «frantumato» dalla reificazione liberatoria dell'istanza appropriativa e così ritrascritto in termini formali, che ne riscattano l'immanente Rechtslosigkeit ' 8 ; dall'altro scandisce l'autonomia del "movimento" molecolare interno alla società, rispetto allo Stato '9. All'instaurarsi dell'epoca del lavoro libero (ovvero alla decomposizione dell'organismo servile-cetuale), corrisponde la nascita della società dei privati ed il definirsi della sua autonomia rispetto allo Stato (BdA, pp. 84-5). n lavoro consente dunque a Stein di individuare la cerniera della mobilità sociale. La costante fibrillazione del tempo dell'acquisizione - indipendentemente dalle strettoie della stratificazione sociale realizzate dalla casuale, e proprio per questo inscalfìbile, distribuzione dei beni in proprietà - coincide con il tempo della libertà, scandito dal molecolare traffico della proprietà privata. Equilibrio tra società e Stato, in una prospettiva teorica che assegna all'influenza della prima sul secondo la formazione del diritto come emblema di un'egemonia sociale 20 , si darà soltanto laddove non si produca una nuova "feuda17. Stein, GsBw I, xxm; OSr, pp. III: «L'ordinamento della comunità umana, la quale si basa sul movimento dei beni e sulle leggi di questo, è quindi essenzialmente sempre ed invariabilmente l'ordinamento della dipendenza di coloro che non posseggono nulla da coloro che posseggono (die Ordnung der Ahhangigkeit derer, welche nicht besitzen, von denen, welche besitzen). Sono queste le due grandi classi che appaiono necessariamente nella comunità, e la loro esistenza non è mai potuta essere annullata da alcun movimento della storia né da alcuna teoria». Sul tema dr. Ricciardi (1995). 18. G. W. F. Hegel, Grundlinien der Phzlosophie des Rechts, parr. 61-2 e 42. Sul tema, dr. l'importante De Sanctis (1986b), pp. 82-148, in particolare pp. 89 ss.; nonché Marcuse (1965), pp. 151 ss. 19. Stein GsBw I, xvm; OSr, 107: «L .. ] in tale unità il diritto mantiene autonomi gli atomi di questo movimento, ossia le singole proprietà, mentre le esigenze comunitarie la fanno sorgere esternamente, e la natura interna della singola produzione le conferisce un determinato organismo». Della riduzione dell'etica a «Wissenschaft von der Mechanik cles menschlichen Lebens» basata su meccanismi sociali di Molecularabtraction parla del resto- a proposito di Ahrens- anche Glaser (1864), p. 13. 20. Cfr. ad es. Stein GuZ, p. 222: «Qualsiasi concetto giuridico del diritto civile è perciò sempre e necessariamente un concetto economico». La citazione è inserita in 35 1 IL POTERE lizzazione" del diritto costituzionale, che blocchi l'espansione dei diritti individuali, ed all'interno di un assetto della società in cui l'esistenza di una forte classe media garantisca un'elastica e potente saldatura nell'articolazione stessa del corpo sociale 21 ; La società, il cui principio è !'"interesse", definisce, a partire dalle dinamiche acquisitive del lavoro, lo spazio di una genealogia dell'individuo proprietario, di cui il "proletario" rappresenta la contraddizione immanente 22 • Lo Stato, attraverso i propri meccanismi di "governo", rappresenta !"'attiva" concretizzazione dell'idea di uguaglianza, nella forma di un'indifferenziata apertura a tutti e ciascuno della possibilità di ascesa e di riconoscimento sociale, che venga garantita, come diritto e grazie all' azione amministrativa, a livello costituzionale. La "scienza dello Stato" (Staatswissenschaft) si fa così concretamente "filosofia dell'azione" (Philosophie der Tat) (SuC, p. 304; GuZ, pp. r 14-6): incaricandosi di una cruciale missione di stabilizzazione degli squilibri sociali, ed incaricandosi di contrastare l'azione sovversiva del movimento operaio con il definire, per mezzo dell'amministrazione, strategie di integrazione e di ininterrotto intervento sul terreno della società, essa può ottenere di riunire in sé l'aspetto "progressivo" e la lucidità della filosofia (che riconosce l'irresistibilità dei processi in corso e la non dilazionabilità del conflitto tra capitale e lavoro), con il compito di "governo" e di azione profìlattica, che spetta tradizionalmente alle scienze dello Stato. Ribadire l'imprescrittibilità della un testo che assume, molto significativamente, come lacuna fondamentale della Rechtswissenscha/t tedesca, la mancanza di una distinzione "forte" tra dititto pubblico e privato (ivi, p. 22ol. 21. Stein, DuA, pp. 80-1: «La classe media non è perciò solo e semplicemente un corpo autonomo tra la classe superiore e quella inferiore [. . .] quanto piuttosto il gradino naturale di passaggio tra l'una e l'altra». 22. Stein elabora la propria nozione di "proletario" (il processo di costituzione della cui soggettività politica data in Francia dalla Rivoluzione di luglio) a partire dalla differenza che lo oppone al "povero". Quest'ultimo infatti non lavora, mentre il proletario «può al contrario lavorare e lo vuole, di buon grado, bene e molto. Egli vuole però per questo suo lavoro un salario che il lavoro da solo non può ottenere, mentre invece lo possono ottenere solo capitale e lavoro assieme» (SuC, p. 55; ma cfr. anche OSr, 74). Ciò che nella condizione proletaria viene perduta, è la funzione "abilitante" del lavoro, la sua potenzialità emancipativa in relazione ai diritti di cittadinanza e all'autodeterminazione individuale, nella misura in cui esso renda possibile l'acquisizione di proprietà (BdA, 92-3). Sulla transizione dalla considerazione del "pauperismo" come problema di "economia morale" all'elaborazione "scientifica" della questione sociale: Pankoke (1970); Pankoke (1990); Himmelfarb (1984); Himmelfarb (1992); Ewald (1986); Gozzi (1988); Procacci (1993); Procacci (1989); Castel (1995). 352 r6. COSTITUZIONE E POTERE SOCIALE IN LORENZ VON STEIN E TOCQUEVILLE proprietà privata contro i socialisti; e, contro i conservatori, l'irresistibilità del processo storico dell'uguaglianza innestatosi, con il lavoro salariato, sulla crisi del mondo signorile-cetuale, significa operare un passaggio teorico che assuma definitivamente nella difesa dell' autonomia della società (ovvero nella garanzia delle possibilità emancipative del lavoro, incentivate da un intervento amministrativo dello Stato, che favorisca istruzione e credito) lo scopo fondamentale dell'azione dello Stato. Se nella società feudale manca la distinzione tra società e Stato e dunque una distinzione giuridicamente assicurata e protetta tra sfera privata e sfera pubblica- ciò che occorre evitare è una "rifeudalizzazione" della modernità in cui tale distinzione possa essere fatta saltare da una presa in ostaggio dello Stato da parte delle classi che si siano assicurate il dominio sociale. Al socialismo vittorioso ed al capitalismo sfrenato Stein oppone, nel solco della tradizione liberale, la difesa costituzionale di individualismo proprietario, libertà borghese e forma giuridica quali istituti di "abilitazione" (per i singoli, ovviamente, e non per la totalità della classe proletaria) al diritto di cittadinanza. L'"individuo medio" di cui si tratta di assicurare la riproduzione sociale in epoca democratica z3 va educato al lavoro emancipativo che ne realizza l'autonomia - e distolto, grazie all'impegno riformista dello Stato, dai sogni e dalle pratiche rivoluzionarie. Al di sotto del circuito dell'integrazione politica del sociale permarrà un'area residuale di "miseria" abbandonata al paternalismo e alle pratiche governamentali della beneficenza e della carità privata: l'elaborazione "scientifica" della questione sociale muove da un modello di integrazione centripeta, che si fonda sul potere d'attrazione della libertà acquisitiva e sull'inscrivibilità del singolo, in quanto "proprietario" - almeno della propria forza-lavoro -, nel tracciato ascendente della Civilisation borghese 4. 2 16.5 Pour le pauvre la mort est sans prestige... : la democrazia e lo specchio americano La transizione tra il mondo "aristocratico" e la "democrazia" coincide, per Tocqueville, con l'evanescenza del tradizionale concetto di virtù politica. La fine dei prejugés che vincolavano i singoli ad uno 2 3. Sulla nozione di «homme moyen» come cardine di un'antropologia democratica e quale punto di snodo delle scienze sociali, cfr. Quételet ( 1991 ), pp. 491 ss. 24. De Sanctis (r986bl, pp. 122 ss.; Garcia Pelayo (1949), pp. 84 ss. 353 IL POTERE specifico status apre uno spazio di égalité imaginaire, che ritrascrive in termini esplicitamente contrattuali il rapporto tra servo e signore. n rapporto di obbligazione, che non riconosce più alcuna differenza naturale tra chi comanda e chi obbedisce, muove da un rovesciamento drastico degli schemi percettivi: logicamente antecedente è ora il "sentimento" d'uguaglianza (ovvero il riflesso identitaria che si produce nell'uno e nell'altro en se regardant nello specchio concavo del contratto), mentre la differenziazione funzionale viene agita in termini che temporalizzano, rendendola perciò mobile e revocabile, la prestazione d'opera. "Perché dunque il primo ha il diritto di comandare e che cosa obbliga il secondo ad obbedire? L'accordo momentaneo e libero delle due volontà. Per natura non sono affatto inferiori l'uno all'altro, lo divengono provvisoriamente per effetto del contratto. Nei limiti di questo contratto uno è il servitore, l'altro il padrone; fuori di esso essi sono due cittadini, due uomini" (DArr, 3, Chap. v; SPII, p. 674). Lo schema di socializzazione generato dall'indifferenziata estensione della forma salariale in tempo di democrazia - «OÙ chacun travaille pour vivre» (Tocqueville, DAII, 2, Chap. xvm; SPII, p. 643), ed in cui mobilità sociale e flessibilità di impiego rendono tendenzialmente definitiva la "rivoluzione permanente" che la modernità è procede da una decisa assunzione della logica identitaria che sta alla base dell'omogeneità sociale democratica. L'estensione e l'irresistibilità del processo dell'uguaglianza, che spazza via ogni traccia di ethos aristocratico, obbliga a ricostruire il tessuto delle relazioni di cittadinanza a partire da una nozione dinamica ed inclusiva di costituzione 2 5, che assuma a proprio presupposto la rivoluzione antropologica dell' égalité democratica. Etres nouveaux e perfettamente «generici» che non conoscono stabili differenze di status, né fissità di gerarchia sociale WAII, 3, Chap. v; SPII, p. 673), gli uomini dell'età democratica, compiutamente denaturalizzato il legame sociale che si tratta ora di reinventare a partire dal principio di uguaglianza, riconoscono solamente nel reciproco impegno contrattuale il quadro dei diritti e dei doveri in grado di riavvicinarli dopo averli isolati gli uni dagli altri. 25. Tocqueville DAr, I, Chap. m; SPn, p. 73: «È facile dedurre le conseguenze politiche di un tale assetto sociale. Non è possibile credere che l'uguaglianza non finisca per penetrare anche nel mondo politico come altrove. Non si può concepire che gli uomini siano assolutamente uguali in tutto, tranne che in un unico punto. Essi finiranno pertanto con l'essere uguali in tutto». TI che equivale alla necessità di «dare i diritti politici a tutti i cittadini». Per un'elaborazione dinamica della nozione di costituzione cfr. Grimm (1994'), pp. 45 ss. 354 16. COSTITUZIONE E POTERE SOCIALE IN LORENZ VON STEIN E TOCQUEVILLE Permanente diventa, proprio per questo, l'opera di ritessitura del sistema di relazioni che l'in-differenza dei singoli tende costitutivamente a scindere e a decomporre: il «lavoro» della democrazia consiste di una forzata tensione istituente, che permea la temporalità democratica con una costante riproduzione dell'istante in cui viene stretto il patto sociale 26 . Alla "virtù" aristocratica subentra in età democratica l'idea dei "diritti", punto di snodo fondamentale per l'allargamento del processo di reciproco riconoscimento alla sfera dei rapporti pubblici: «l'uomo che obbedisce alla violenza si piega e si degrada; ma quando si sottomette al diritto di comandare che egli riconosce al suo simile, si eleva in qualche modo al di sopra di quello stesso che lo comanda» (DAI, 2, Chap. VI; SPII, p. 282), Una progressiva ed irrimandabile estensione del godimento dei diritti politici rappresenta per Tacqueville il primo motore di una pedagogia della libertà che permetta di ricollegare democrazia e partecipazione politica, disinteressato attaccamento alle istituzioni ed esprit de cité 2 7. «Sono ben !ungi dal pretendere che, per arrivare a questo risultato, si debba di colpo accordare l'esercizio dei diritti politici a tutti gli uomini, ma dico che il mezzo più potente, e forse il solo che ci resta, per interessare gli uomini alla sorte della loro patria, è farli partecipare al governo della cosa pubblica. Ai giorni nostri, lo spirito civico mi sembra inseparabile dall'esercizio dei diritti politici; e penso che ormai si vedrà aumentare o diminuire in Europa il numero dei cittadini in proporzione all'estensione di questi diritti» (DAI, 2, Chap. VI; SPII, p. 28rl. Esercizio dei diritti politici, alla cui estensione "lavori" l'impegno riformista dello Stato, e proprietà privata, la cui fruizione è virtualmente alla portata di tutti con il compimento dell'erosione della società feudale da parte della Rivoluzione 28 , rappresentano la traccia per la 26. Cfr. Manent (r982l, pp. 44-5 ss.; Id., Tocqueville: le libéralisme devant la démocratie, in Manent (r987l, pp. 221-41. 27. Sul tema: Hennis (r984l, pp. 87-u6, pp. 101 ss. 28. A. Tocqueville, articolo (anonimo) La majorité ne veut pas de révo!ution et pourquoi (in "Le Siècle", 1843), SNDP, pp. 41-4, p. 4Y «L'Antico regime è perito in mezzo al disordine più grande che sia mai esistito, e sotto lo sforzo delle passioni più rivoluzionarie che abbiano mai agitato il cuore dell'uomo. Da questo disordine e da queste passioni rivoluzionarie, che cosa è scaturito? Lo stato sociale più naturalmente nemico delle rivoluzioni che si possa concepire. È noto che i proprietari fondiari formano tra tutte le classi quella più moderata nelle abitudini e più amica dell'ordine e della stabilità. Ora il risultato finale della Rivoluzione è stato quello di far entrare quasi tutta la nazione in questa classe. Ha spartito il suolo tra diversi milioni di individui [ ... l Ciò ha prodotto due risultati ben distinti che occorre considerare nel loro insieme: non c'è nulla che dia più fierezza e indipendenza della proprietà fondiaria e 355 IL POTERE possibile inscrizione dei singoli individui nello spazio della cittadinanza democratica. Come per Stein - e per la corrente più "progressista" del liberalismo ottocentesco - i processi di integrazione politica della società dei privati possono essere pensati soltanto a partire dall' assunzione di un modello identitaria - quello di una coincidenza democratica da sempre già compiuta, fatta della perfetta adesività tra libertà e proprietà - che esorcizzi il problema degli elementi potentemente dissodativi di cui si intesse il concetto stesso di democrazia sociale 2 9. L'assunzione del modello democratico americano, in cui un'assestata egemonia della classe media ha esorcizzato sin dagli inizi qualsiasi rischio di rivoluzione facendo «penetrare l'idea dei diritti politici fino all'ultimo dei cittadini» e mettendo «l'idea del diritto di proprietà alla portata di tutti gli uomini» grazie all'originaria diffusione della proprietà privata (division des biens), induce T ocqueville ad una sorta di errore di prospettiva. L'immagine che il "rispecchiamento" francese nel modello americano restituisce a Tocqueville è quella di un futuro di stagnazione e di tranquilla deriva, che potrà essere scossa soltanto dall'improvvisa apparizione in Europa dello spettro del comunismo. Allora, il fatto che «in America non vi sono proletari» (DAr, 2, Chap. vr; SPn, p. 283) non potrà più essere invocato per affermare il carattere immediatamente inclusivo della democrazia. Né la questione di quello spettro potrà essere esorcizzata dissociando semplicemente, con un ultimo richiamo all'esempio americano, uguaglianza democratica e socialismo, allo scopo di affermarne la radicale eterogeneità 3o. L'ostinazione con cui Tocqueville difenderà, ancora una volta, le istituzioni governamentali della beneficenza e della pubblica carità, a fronte della ribadita imprescrittibilità delle leggi dell'economia che assegnano il proprio ruolo di subalternità alle classi operaie, frutto della "distorsione" di immagine per mezzo della quale l'idea americana di democrazia oscura la genesi rivoluzionaria della libertà europea, rappresenta la forma estrema con cui può essere pensata l'onda lunga ed che disponga meglio gli uomini a resistere ai capricci del potere; ma neppure c'è nulla cui l'uomo si attacchi con maggior ardore, e spesso con maggiore debolezza che alla proprietà fondiaria, né che tema maggiormente di perdere nelle grandi agitazioni politiche. Una popolazione composta da piccoli proprietari fondiari si mostra dunque volentieri frondista e oppositrice; ma non se ne può immaginare alcuna che sia meno disposta a violare le leggi e a rovesciare il governo>>. 29. Cfr. Gauchet (1996), pp. 15 ss.; Ricciardi (1995). 30. A. Tocqueville, Contro zl diritto al lavoro. Discorso alla Camera del 12 settembre 1848, SNDP, pp. 178-9. r6. COSTITUZIONE E POTERE SOCIALE IN LORENZ VON STEIN E TOCQUEVILLE espansiva della libertà dei moderni e, con crescenti perplessità e disillusione, esorcizzato il problema della rivoluzione. Vite e opere A. de Tocquevzlle Nasce a Parigi il 29 luglio r8o5 da famiglia di antica nobiltà normanna. Dopo gli studi giuridici a Parigi, entra in magistratura nel r827. Tra il 1831 ed il 1832 compie con l'amico Beaumont il viaggio di studio in America, che sta alla base dei due volumi sulla democrazia americana. Lunghi viaggi di documentazione verranno effettuati in Italia, Svizzera, Algeria, Inghilterra, Germania ed Italia, lungo tutto il corso della sua vita. Nel 1838 viene eletto all'Académie des Sciences morales et politiques, nel 1841 all'Académie française. Dal r 839 deputato dell' arrondissement di Valognes, conserva il suo mandato all'Assemblea costituente anche dopo la Rivoluzione di febbraio. Nel 1849, sotto la presidenza di Luigi Bonaparte, viene nominato ministro degli affari esteri della Repubblica francese. Si ritira dalla vita politica dopo il colpo di Stato del dicembre r851. Muore a Cannes nel 1859. Opere Oeuvres complètes, éd. par J.-P. Mayer, Gallimard, Paris 1951-. De la Démocratie en Amérique, I (1835) (=DAr). Polztical and Social Condztions o/ France ( r 8 36) ( = PSC). De la démocratie en Amérique, rr (r84o) ( =DAn). L'Ancien Régime et la Révolution (r8J6) ( =AReR). Scritti polztici, a cura di N. Matteucci, vol. I: La Rivoluzione democratica in Francia, UTET, Torino 1969 ( =SPr); vol. n: La democrazia in America, UTET, Torino 1968 ( =SPn). Ricordi, a cura di C. Vi vanti, Editori Riuniti, Roma 1991 (=Ricordi). Scrztti note e discorsi politici I839-I852, a cura di U. Coldagelli, Bollati Boringhieri, Torino 1994 ( =SNDP). 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Dopo un nuovo soggiorno a Parigi, nel r848, per seguire il corso degli eventi rivoluzionari, partecipa, come «candidato della sinistra», alla Landesversammlung per il Parlamento di Francoforte. Perde, nel r85r, il posto all'Università, dopo la fine dell'esperienza rivoluzionaria dei Ducati, «per aver militato nell'estrema sinistra». N el I 855 accetta la chiamata presso l'Università di Vienna. Dal r86o, e per venti anni, vi insegnerà economia, scienza delle finanze e scienza dell'amministrazione. Nel r 868 viene insignito dell' eiserne Krone e nominato cavaliere dall'Imperatore d'Austria. Nel r878 ottiene la nomina a membro dell'Imperiale Accademia delle Scienze di Vienna. È membro anche dell'Institut de France, dell'Accademia di Mosca e Pietroburgo, e dottore honoris causa dell'Università di Bologna. Ritiratosi dall'insegnamento per raggiunti limiti di età nel r885, muore a Vienna il 2 3 settembre r89o. 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