l`europa nell`età di luigi xiv

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INSEGNAMENTO DI
STORIA MODERNA
LEZIONE XII
“L’EUROPA NELL’ETÀ DI LUIGI XIV”
PROF. DANIELE CASANOVA
L’Europa nell’età di Luigi XIV
Storia Moderna
Indice
1
L’assolutismo di Luigi XIV ------------------------------------------------------------------------------ 3
2
La politica religiosa---------------------------------------------------------------------------------------- 6
3
La politica estera ------------------------------------------------------------------------------------------- 8
4
La crisi dell’Impero ottomano ------------------------------------------------------------------------ 10
5
La formazione della Prussia e della Russia -------------------------------------------------------- 12
6
Cronologia ------------------------------------------------------------------------------------------------- 15
Bibliografia ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 16
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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L’Europa nell’età di Luigi XIV
Storia Moderna
1 L’assolutismo di Luigi XIV
Luigi XIV era succeduto al padre nel 1643 quando aveva cinque anni, ma fu solo nel 1661,
alla morte del Mazarino, consigliere, amico e amante della regina madre e reggente Anna d’Austria,
che il delfino francese assunse direttamente il potere. Da allora, e per ben 54 anni, sino alla morte
avvenuta nel settembre del 1715, Luigi XIV avrebbe non solo regnato sulla Francia ma avrebbe
dominato l’intera scena europea. Durante il suo lunghissimo regno, caratterizzato dal rafforzamento
della monarchia, Luigi XIV riuscì a consolidare l’egemonia francese sul resto del continente e riuscì
ad imporre il suo modo di governare come modello a tutti gli altri sovrani europei. L’egemonia
francese non fu solo connotata dalla politica assolutistica del sovrano, in quegli stessi anni il
francese divenne la lingua di comunicazione europea, utilizzata non solo dalla diplomazia, ma da
tutta l’alta nobiltà dell’Europa centro-orientale.
Con l’avvento al trono di Luigi XIV nel 1661 terminò, quindi, l’epoca dei grandi ministri
francesi che avevano per circa quarant’anni diretto la politica francese. Il sovrano accentrò nelle sue
mani il governo dello Stato circondandosi di collaboratori e ministri, ai quali a sua discrezione
avrebbe richiesto soltanto un parere consultivo. I Parlamenti, che fungevano anche da alte corti di
giustizia, furono depotenziati e la loro iniziativa si limitava a proporre osservazioni sull’azione
legislativa del re. Nelle sue decisioni il sovrano era affiancato da un Consiglio supremo di cui ne
facevano parte il re e il ministro degli esteri, della guerra e delle finanze, mentre la carica più
importante era quella del controllore generale delle finanze, carica ricoperta dal 1665 al 1683 da
Jean Baptiste Colbert (1619-1683), il principale collaboratore del re e ispiratore della politica
economica francese.
Colbert fu l’ispiratore e l’artefice principale dell’intervento dello Stato in molti settori
dell’economia. Il colbertismo, la più completa realizzazione del mercantilismo, si fondava sulla
convinzione che la ricchezza di uno Stato derivasse dalla quantità di metalli preziosi presenti
all’interno del paese e mirava, quindi, tramite l’intervento diretto dello Stato, ad accrescere il saldo
attivo della bilancia commerciale, favorendo le esportazioni e penalizzando con alti dazi le
importazioni. Colbert patrocinò la fondazione di compagnie commerciali privilegiate e l’espansione
coloniale in Africa, in India e nelle Antille, mentre all’interno del paese istituì e protesse
manifatture sovvenzionate dallo Stato per la fabbricazione di prodotti di lusso (arazzi, porcellane,
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L’Europa nell’età di Luigi XIV
Storia Moderna
specchi, ecc.) destinati alle esportazioni, infine, introdusse una serie di controlli rigorosi per
regolare lo smercio dei prodotti.
Da un punto di vista amministrativo, l’accentramento del potere si realizzò nelle figure degli
intendenti, che, durante il regno di Luigi XIV, accrebbero le loro competenze e trovò una maggiore
realizzazione nella formazione di un ceto burocratico di recente nobilitazione (nobiltà di toga)
spesso legato da vincoli clientelari con gli esponenti di spicco del governo. Si trattava di un
personale di provata fedeltà al sovrano, limitato nel numero (circa un migliaio) ma estremamente
efficiente. L’amministrazione centralizzata dello Stato non sostituiva le strutture preesistenti, ma si
sovrapponeva ad esse svuotandole di potere, come nel caso dei governatori provinciali,
appartenenti alla grande nobiltà di spada, che videro diminuire le proprie competenze e la durata
della carica abbassata a tre anni.
La massima espressione dell’assolutismo di Luigi XIV fu la costruzione della reggia di
Versailles. Dopo il trasferimento della corte e del governo alla nuova sede reale (1682), la
monarchia fu sottratta ad eventuali pericoli di sommosse cittadine, com’era accaduto al tempo della
Fronda. L’obbligo imposto alla grande nobiltà di risiedere presso la corte di Versailles e i vantaggi
che essa ne trasse, in termini di pensioni e di donativi, sancirono il definitivo asservimento della
nobiltà alla monarchia. La vita a corte era regolata da rigide prescrizioni e da un complesso
cerimoniale fondato su una precisa e nuova gerarchia del potere: il sovrano non era più un “primo
inter pares” (primo fra pari), come voleva l’antica e medievale concezione nobiliare, ma era
l’artefice di un sistema di distinzione gerarchico, duramente contestato dai difensori della
tradizione.
L’esercizio del potere monarchico fu accompagnato dalla ricerca di tutto ciò che poteva
accrescere il prestigio della Francia e del suo sovrano. Se infatti Luigi XIV aveva scelto il sole
come proprio emblema (e per questo che sarà chiamato Re Sole), il suo regno doveva trarre
splendore dalle iniziative del sovrano. La ricerca del massimo prestigio portò alla promozione delle
attività artistiche e alla formazione di una cultura celebrativa ufficiale. Accanto all’Accademia delle
Scienze fondata nel 1666 furono create le accademie di architettura e di musica e potenziate quelle
esistenti. Il mecenatismo fu usato come strumento di governo, e così letterati, artisti e uomini di
teatro, come Molère, Racine, Boileau furono protetti e stipendiati dalla corte. Il re e i suoi ministri
favorirono la formazione di una cultura fortemente celebrativa. Una politica culturale che non
poteva tollerare voci di dissenso: così vennero introdotti e accentuati i controlli sulle tipografie e
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sugli stampatori, esercitata la censura, perseguitati gli autori e inviati al macero gli scritti di
opposizione.
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Storia Moderna
2 La politica religiosa
Il rafforzamento del potere della corona portò anche all’accentuazione dell’intervento dello
Stato in materia ecclesiastica. Il gallicanesimo (espressione derivata dai Galli, gli antichi abitanti
della Francia), che designava l’autonomia da Roma del re transalpino soprattutto nella nomina dei
vescovi e dei titolari di benefici ecclesiastici, fu ribadito da Luigi XIV. L’esigenza di uniformità e di
controllo investì, quindi, anche quei settori della vita religiosa e dell’organizzazione ecclesiastica
che presentavano aspetti di difformità e dissidenza. Fu dunque per ragioni politiche che vennero
perseguitati giansenisti ed ugonotti.
Il giansenismo fu il principale movimento di dissidenza cattolica del Seicento e del
Settecento. Nato dalle tesi del teologo olandese Giansenio (Cornelius Jansen 1565-1638),
professore di teologia a Lovanio e poi vescovo di Ypres, si diffuse precocemente in Francia grazie
all’opera della badessa del monastero di Port-Royal ed ebbe largo seguito nei Paesi Bassi, in Italia e
nei domini austriaci. Condannato a più riprese da Roma a partire dal 1641, il giansenismo
riprendeva le posizioni di S. Agostino, sostenendo che solo in virtù della grazia divina, concessa da
Dio solo agli eletti, la volontà umana diventava veramente libera di operare il bene. Nella vita
quotidiana, i giansenisti si caratterizzavano per la loro religiosità, austera e rigorosa, e nemica di
ogni esteriorità, in polemica con i gesuiti. La diffusione del giansenismo, grazie alla sua importante
comunità, quella che si riuniva intorno al convento femminile di Port-Royal, che tra i suoi membri
annoverava lo scienziato e filosofo Blaise Pascal (1623-1662), fece preoccupare Luigi XIV, che
intervenne più volte contro la comunità di Port-Royal sino a sopprimere definitivamente il
monastero nel 1709. Nel frattempo, però, essa era divenuta un attivissimo centro culturale e di
opposizione politica, che faceva proseliti soprattutto tra la nobiltà di toga e costituì una radicale
alternativa al sistema di corte e alle pratiche religiose ufficiali.
Così come il tentativo di reprimere la diffusione del giansenismo non fu sollecitato
direttamente dal papato, anche la persecuzione degli ugonotti fu un atto indipendente da Roma.
Mentre Richelieu aveva combattuto e abolito i privilegi politici e militari dei calvinisti francesi,
mantenendo tuttavia quelli religiosi, Luigi XIV decise di ricondurre il paese all’unità religiosa. Tale
atteggiamento derivava da un insieme di motivi, tra cui il desiderio del re di apparire agli occhi del
mondo cattolico il campione della cristianità, titolo che sembrava spettare all’imperatore asburgico,
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L’Europa nell’età di Luigi XIV
Storia Moderna
visto che nel 1683 era riuscito a respingere la minacciosa avanzata turca. A partire dal 1679 fu
favorita, anche con compensi in denaro e sgravi d’imposta, la conversione al cattolicesimo degli
ugonotti. Furono ulteriormente ridotte le loro libertà di culto e fu loro imposto di alloggiare nelle
loro case soldati del re, autorizzati a compiere ogni sorta di vessazione. Nel 1685 per giustificare la
promulgazione dell’editto di Fontainebleau, che revocava quello di Nantes del 1598, si volle far
credere che la religione calvinista fosse ormai interamente scomparsa dalla Francia. La revoca
dell’editto di Nantes rappresentò per la Francia una perdita netta soprattutto in termini di capitali e
di risorse umane. La persecuzione degli ugonotti determinò il loro esodo, nonostante i divieti, circa
300.000 calvinisti lasciarono il paese e si rifugiarono in Germania, Svizzera, Inghilterra e Olanda.
Si trattava per la maggior parte di artigiani, ma molti furono anche i mercanti, gli intellettuali e gli
uomini di cultura. Essi portarono all’estero la loro abilità e specializzazione tecnica, soprattutto nel
settore tessile. Circa 65.000 ugonotti furono rifugiati in Olanda, mentre decisivo fu il loro apporto al
popolamento di Berlino e allo sviluppo delle attività manifatturiere nel Brandeburgo dove si
rifugiarono in 20.000. L’esodo rappresentò un danno economico per la Francia ma fu un trionfo per
la monarchia, che confermava ormai l’impossibilità, per la minoranza religiosa, di contrapporsi allo
Stato. La sola reazione armata legata all’editto di Nantes fu l’assai più tardi rivolta popolare dei
camisards, che, fra il 1702 e il 1704, infiammò la regione montana della Cevenne, unendo la
protesta per la persecuzione contro gli ugonotti ai tradizionali motivi antifiscali. Anche nel mondo
dell’ortodossia cattolica il potere accentratore del sovrano scatenò violenti conflitti. Gli interventi di
Roma irritavano il clero francese che godeva di una larga autonomia e non aveva un diretto legame
di obbedienza a Roma, per cui nel 1682 il clero francese in assemblea approvò la Dichiarazione dei
“quattro articoli” (1682), carta fondamentale della chiesa Gallicana, secondo cui l’autorità del papa
era da intendersi esclusivamente in senso spirituale.
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3 La politica estera
Contemporaneo all’accentramento del potere e allo sviluppo delle forze produttive fu la
riorganizzazione dell’esercito che giungerà ad avere circa 300.000 soldati, di cui almeno 200.000 in
servizio permanente. Il ministro della Guerra, il marchese di Louvois (1641-1691), potenziò le
strutture organizzative, introdusse il sistema di reclutamento per sorteggio e aprì il corpo degli
ufficiali ai cadetti di origine borghese. Inoltre definì i criteri di addestramento e dotò i fucili di
baionette inastate, rendendo così inutili le picche, le lance lunghe 4 o 5 metri utilizzate sino ad
allora per respingere la cavalleria. Al successore di Louvois, il marchese di Vauban (1633-1707),
grande ingegnere militare e tecnico degli assedi, si deve invece la costruzione di un poderoso
sistema di piazzeforti a difesa del paese.
Il potenziamento dell’esercito fu posto al servizio di una politica espansionistica volta
essenzialmente a sottrarre territori e città alla Spagna e all’Impero, in prossimità dei rispettivi
confini. Nel 1667 Luigi XIV riapre le ostilità con la Spagna, sul cui trono sedeva il malaticcio Carlo
II, figlio di secondo letto di Filippo IV. Col pretesto che tutti i Paesi Bassi spagnoli avrebbero
dovuto essere “devoluti”, cioè assegnati, alla moglie Maria Teresa, figlia di primo letto di Filippo
IV, diede inizio alle operazioni militari (Guerra di devoluzione) volte a occupare parte dei Paesi
Bassi spagnoli. Il conflitto si concluse con il rapido successo francese e portò alla conquista di una
serie di città della zona di confine, ratificata dalla Pace di Aquisgrana (1668).
Più impegnativa fu la guerra contro le Province Unite, durata dal 1672 al 1678. La
Repubblica aveva da poco firmato con l’Inghilterra, a conclusione della II guerra dell’Atto di
Navigazione, la pace di Breda (1667), con la quale riconosceva l’Atto di Navigazione e cedeva agli
Inglesi la colonia americana di Nuova Asterdam, che da allora prese il nome di New York. In una
prima fase della nuova guerra, fino al 1674, la Francia ebbe l’appoggio dell’Inghilterra e mise
l’Olanda in grave difficoltà, ma sotto la guida di Guglielmo III d’Orange (futuro re d’Inghilterra),
che aveva preso il posto di Jean de Witt, nemico del partito orangista, le Province Unite riuscirono a
formare una coalizione antifrancese che comprendeva, oltre all’elettore del Brandeburgo, la
Danimarca e i principi tedeschi, anche i due nemici tradizionali dell’Olanda, vale a dire Spagna e
Inghilterra. La guerra proseguì nei Paesi Bassi spagnoli, nel Baltico, in Germania, nei Caraibi e nel
Mediterraneo, dove i francesi sconfissero gli olandesi e sostennero la rivolta autonomista
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antispagnola di Messina (1674-1678). Dopo sei anni di ostilità, un attacco turco all’Ungheria induce
le potenze cristiane in guerra a stipulare la pace di Nimega (1678), che accontentava i due maggiori
contendenti: la Francia annetteva la Franca Contea e alcune piazzeforti nei Paesi Bassi spagnoli,
l’Olanda manteneva intatto il suo territorio e otteneva l’abolizione della tariffa protezionista
introdotta da Colbert nel 1667.
L’aggressiva politica di Luigi XIV proseguì negli anni successivi con una serie di ulteriori
annessioni nei Paesi Bassi spagnoli, in Alsazia, in Lorena, tra cui la più importante fu la conquista
della città alsaziana di Strasburgo (1681). Nel 1683 si aprì un nuovo conflitto con la Spagna ma fu
concluso con una tregua ventennale l’anno successivo. In Italia nel 1681 era stata acquisita la
fortezza di Casale e di Pinerolo in Piemonte e nel 1684 fu lungamente bombardata Genova per
l’appoggio che la Repubblica dava alla Spagna. Nel 1686 per arginare le continue minacce francesi
si era costituita ad Augusta, in Germania, una lega formata dall’Olanda, Spagna, Svezia e i
principati tedeschi. Ma Luigi XIV per nulla intimorito, riprese nel 1688 l’espansione verso i Paesi
Bassi e verso il Palatinato, dove le truppe francesi compirono terribili devastazioni. La guerra della
Lega di Augusta (1686-1697) o guerra della Grande Alleanza dopo l’adesione di Inghilterra, Savoia
e altri Stati nel 1689, proseguì per altri nove anni in diverse regioni dell’Europa continentale e si
concluse con la pace di Rjiswijk (1697), che costrinse il Re Sole a restituire i territori renani
occupati durante la guerra e a cedere Casale e Pinerolo ai Savoia, che nel corso della guerra
avevano abbandonato l’alleanza antifrancese.
Nonostante Luigi XIV, sotto l’influenza della marchesa di Maintenon (sua amante, e poi
moglie segreta, che lo avviò, insieme al suo confessore gesuita, ad assumere atteggiamenti devoti e
rispettosi per il cattolicesimo), amava presentarsi come il difensore della fede, la sua scarsa
attenzione di fronte alla minaccia turca sul confine orientale dell’Impero fece vacillare il suo
prestigio. Nel 1683 le difese impiantate dagli Asburgo in Ungheria vennero travolte ed i turchi
arrivarono, per la seconda volta, sino alle porte di Vienna. Tra il luglio e il settembre del 1683 la
capitale dell’impero asburgico fu esposta al pericolo dell’invasione. Fu una Lega Santa antiturca,
formata da austriaci, veneziani, polacchi e russi che attaccò su più fronti i turchi, trasformando la
sconfitta ottomana in disfatta. Si arrivò così alla pace di Carlowitz in Serbia (1699), che sanciva la
vittoria dell’imperatore Leopoldo I (1658-1705) e l’affermazione dell’Austria come grande potenza
dell’Europa centro-orientale.
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4 La crisi dell’Impero ottomano
La decadenza dell’impero ottomano, che generalmente si ritiene abbia avuto inizio con la
morte di Solimano I il Magnifico, fu, come si è detto, un processo lento e complesso. Sino alla
seconda metà del Seicento fu l’indebolirsi del potere centrale ad avviare una crisi politicoistituzionale, invece, all’origine della crisi che colpì il vasto e multietnico impero alla fine del
Seicento furono le ripetute sconfitte turche sul campo di battaglia europeo. Ormai l’esercito e le
armi turche non potevano più reggere il paragone con quelle europee, e ciò sollecitò il ceto dirigente
a guardare all’Europa come modello.
Già durante il XVII secolo furono tentate alcune riforme. Durante il lungo regno di
Maometto IV (1648-1687), l’opera dei gran visir Koprulu, padre e figlio, riuscì a risanare il bilancio
dello Stato, ad arginare il decadimento morale della corte e a riorganizzare l’amministrazione. Negli
stessi anni si registra una parziale ripresa dell’espansionismo ottomano, culminata nella conquista
dell’isola di Creta strappata ai veneziani nel 1699, dopo 24 anni di assedio. La nuova proiezione
offensiva turca s’infranse però, come si è visto, nel 1683 sotto le mura di Vienna, dove l’esercito
ottomano si era spinto con l’ambizioso obiettivo di umiliare l’Impero d’Austria, principale rivale
nel dominio dei Balcani. Sconfitti
dal re polacco Giovanni Sobieski e incalzati dai rigori
dell’inverno, i turchi furono costretti a una rapida e umiliante ritirata. La pace di Carlowitz sancì la
perdita dell’Ungheria e la cessione della Dalmazia a Venezia. Per la prima volta nella loro storia i
turchi firmavano una pace senza ottenere conquiste territoriali. Persa l’Ungheria, sulla quale la
Sublime Porta dominava dai tempi della vittoria di Mohàcs (1526), l’Impero ottomano si trovò
coinvolto in un lungo conflitto su più fronti. Ai tradizionali nemici, Venezia, Austria e Polonia, si
aggiunse la nascente potenza russa che cercava di contrastare i turchi sul Mar Nero e nel Caucaso.
Dalla fine del Seicento e per tutto il Settecento gli ottomani furono ripetutamente in lotta con questi
paesi, subendo un vistoso ridimensionamento territoriale. Con la pace di Passorowitz (1719), la
Turchia è obbligata a retrocedere dal Danubio davanti all’Austria, che trova nell’Europa Orientale
un compenso alle sconfitte subite nella guerra dei Trent’anni ed alla perdita di egemonia in
Germania. Infine, nel corso del Settecento le province ottomane dell’Africa settentrionale e quelle
arabe, come la Siria e l’Egitto, ottennero una sempre più maggiore autonomia sino a distaccarsi
dall’impero, dando vita a dinastie locali, alla fine del secolo i possedimenti europei si erano ridotti
ai territori Balcani posti a sud del Danubio. La Russia aveva conquistato il Caucaso, le coste
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L’Europa nell’età di Luigi XIV
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settentrionali del Mar Nero e la Crimea. Fu solo sul versante orientale in direzione della Persia,
della Giorgia e del Kurdistan che i turchi ottennero una serie di successi militari.
In questo lungo secolo di guerre, tuttavia, fu tentato un rilancio politico, istituzionale e
culturale dell’impero. Durante il sultanato di Ahmed III (1703-1730) fu tentata una riorganizzazione
delle più importanti istituzioni. Questo periodo, conosciuto come il periodo dei tulipani, per lamoda
invalsa nell’alta società turca di coltivare il caratteristico fiore olandese, fu una fase di grande
apertura e interesse nei confronti della cultura occidentale, grazie anche all’apertura di cinque
biblioteche e all’introduzione, nel 1727, della stampa. La tendenza all’occidentalizzazione venne
però ben presto ostacolata dai gruppi che se ne sentivano maggiormente minacciati, come i
giannizzeri e gli ulema (teologi e giuristi), che vedevano minacciati i loro privilegi dall’avanzare
delle riforme di stampo occidentale. Così il periodo dei tulipani si chiuse con una sanguinosa
rivolta, duramente repressa, promossa dai ceti conservatori.
Lo sfaldamento delle istituzioni ottomane, nonostante brevi fasi di ripresa, si aggravò
sempre più nel corso del Settecento. Fu soltanto durante il sultanato di Mahmud II (1808-1839)
furono avviate e realizzate una serie di riforme, che peraltro, non arrestarono il lungo declino
dell’Impero, la cui storia doveva concludersi definitivamente nel 1922.
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5 La formazione della Prussia e della Russia
Il nucleo originario della Prussia era costituito dal ducato di Prussia, feudo del Regno di
Polonia, e dalla Marca del Brandeburgo, sin dal 1415, insieme alla dignità di principe elettore, sotto
il dominio degli Hoenzollern. Oltre a detenere il ducato di Prussia e il Brandeburgo, due territori
distanti e diversi per popolazione ordinamenti, gli Hoenzollern possedevano altri territori nella
Germania occidentale e nel Basso Reno, e con la pace di Vestfalia avevano ottenuto anche parte
della Pomerania. Alla metà del Seicento la frammentazione territoriale appariva come la principale
caratteristica del principato elettorale. Alla soluzione di questo problema si dedicò con energia e
capacità Federico Guglielmo il Grande Elettore (1640-1688), considerato il fondatore della potenza
prussiana. Rafforzato l’esercito e organizzato un efficiente sistema fiscale, Federico Guglielmo dotò
il Brandeburgo-Prussia di una capace burocrazia, ai cui vertici operava una nobiltà piegata alle
esigenze dello Stato. Con due milioni di abitanti, un decimo della popolazione francese, il nascente
stato prussiano manteneva una forza armata di 90.000 uomini, quasi la metà dell’esercito francese.
Gli Hoenzollern, pur governando su sudditi prevalentemente luterani, erano calvinisti dal 1613, e
ciò consentì a Federico Guglielmo di accogliere, dopo l’editto di Fontainbleu, un gran numero di
profughi ugonotti, che trasformarono con le loro attività manifatturiere la capitale Berlino. In
politica estera il Grande Elettore si inserì nel conflitto fra Svezia, Danimarca e Polonia per la
supremazia sul Baltico (I guerra del Nord 1654-1660) ottenendo la fine della dipendenza feudale
della Prussia dalla Polonia. Questa totale sovranità consentirà a Federico I, figlio di Federico
Guglielmo, di ottenere il titolo di re di Prussia nel 1700.
Il rafforzamento della Prussia non modificò sostanzialmente le direttrici dell’espansionismo
svedese iniziato ai tempi di Gustavo I Adolfo. Con la fine della I guerra del Nord, la Svezia acquisì
il controllo del Baltico e dei commerci che da lì si stabilivano con il resto d’Europa. Dall’area
baltica giungevano infatti sempre più prodotti essenziali soprattutto per le potenze marittime
(Olanda e Inghilterra) che in quell’area trovavano materiali indispensabili alla costruzione delle loro
navi, inoltre, dal Baltico giungevano cospicue quantità di cereali, necessari a tutta l’Europa e in
particolare all’Olanda, che aveva scelto altre specializzazioni culturali.
A partire dalla metà del Seicento, nell’Europa orientale si afferma un’altra grande potenza
europea: la Russia. Nel cinquantennio successivo alla morte dello zar Michele I Romanov (1613Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
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L’Europa nell’età di Luigi XIV
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1645), fondatore della dinastia che rimase al potere sino al 1917, si accentuarono alcuni tratti
caratteristici dell’organizzazione sociale russa, che vedeva un assoggettamento dell’intera società al
potere dello zar. Il Codice emanato nel 1649 sancì il nuovo ordine zarista e definì i caratteri della
servitù della gleba. I servi videro peggiorare le loro condizioni e furono posti una serie di rigorosi
vincoli a ogni forma di mobilità sociale e fisica, non solo i servi e i contadini, furono assoggettai
anima e corpo ai loro padroni, ma anche i mercanti erano vincolati all’attività esercitata e al luogo
dove esercitavano. Tra tutti i gruppi sociali, quello che trasse maggior benefici fu la nobiltà al
servizio dello Stato, arrichitasi enormemente e autorizzata a ricercare senza vincoli temporali coloro
i quali fuggivano dalle città e dalle campagne. Questo generale irrigidimento della società russa
diede luogo a partire dagli anni ’50 a episodi di malcontento e a rivolte urbane e rurali duramente
represse. Tra queste la rivolta dei cosacchi, abilissimi guerrieri a cavallo, delle regioni sudorientali,
che mal sopportavano l’estendersi dei possedimenti nobiliari e dei controlli statali nei loro territori.
Le tribù nomadi dei cosacchi, svolgevano opera di difesa contro i turchi e i tatari e miravano a
mantenere la loro autonomia di razziare lungo le grandi vie fluviali del Volga e del Don. Nel 1670
un capo cosacco del Don, Stenka Razin, si pose alla testa di una formazione ribelle, composta da
cosacchi, servi e contadini fuggitivi, con lo scopo di liberare il popolo dalla servitù e dai soprusi
nobiliari. In breve tempo tutte le campagne e le città del Volga erano insorte. Soltanto con grandi
difficoltà, e dopo spaventosi massacri, l’esercito regolare riuscì ad avere ragione della rivolta.
Stenka Razin, catturato da altri cosacchi e consegnato alle autorità, fu giustiziato a Mosca nel
giugno del 1671.
Fu compito del terzo zar della dinastia dei Romanov, Pietro il Grande (1689-1725), dare una
svolta decisa verso l’Europa alla politica e all’intera società russa. Dotato di una straordinaria
energia e potenza fisica, si formò a contatto con gli occidentali, soprattutto tedeschi, residenti in un
sobborgo di Mosca. Per seguire tale vocazione, nel 1697, lasciata la madre a governare, Pietro si unì
ad una spedizione che partiva per un viaggio di studio nell’Europa occidentale. Fu in Germania e in
Olanda, in Inghilterra e in Austria. Rientrato precipitosamente in patria l’anno successivo per sedare
una rivolta, Pietro diede inizio ad un governo autocratico e assoluto e il suo obiettivo primario
divenne quello di trasformare la Russia in un organismo militare e statale in grado di confrontarsi
con i paesi più progrediti. Fu così costituita una marina da guerra in grado di operare nel Baltico e
fu potenziato l’esercito, che non ebbe più un organizzazione territoriale ma nazionale. Alla fine
della II guerra del Nord (1700-1721), quando la potenza militare russa aveva il controllo delle coste
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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baltiche sino a Riga, l’esercito contava quasi 300.000 uomini, di cui 100.000 cosacchi che, in
cambio delle loro autonomie, prestavano una lunghissima ferma.
Insieme all’esercito e alla marina, fu costruito uno Stato russo. Ispirato dall’assolutismo
svedese e francese vennero riorganizzati fisco e amministrazione e potenziò l’economia secondo i
principi del mercantilismo, aprendo manifatture regie sul modello francese e modernizzò la rete dei
canali e delle strade. Nel campo educativo Pietro promosse un rinnovamento dell’educazione e
istituì scuole militari e di navigazione, infine, su modello della Royal Society istituì l’Accademia
delle Scienze. Nei confronti della Chiesa ortodossa intervenne abolendo il patriarcato (1722) e
affidando ad un sinodo la guida della vita spirituale e il controllo delle proprietà ecclesiastiche.
Dopo tanti risultati positivi, Pietro il Grande non riuscì tuttavia a riorganizzare la sua successione, il
che avrebbe provocato numerosi complotti dopo la sua morte, avvenuta nel 1725.
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6 Cronologia
1659 Pace dei Pirenei
1661 Morte del cardinale Mazarino. Assunzione completa dei poteri dello Stato da parte di
Luigi XIV, il Re Sole.
1661-1688 Apogeo di Luigi XIV. Egemonia della Francia su tutta l’Europa.
1683 Assedio turco di Vienna e vittoria delle truppe austro polacche del Sobieski
1685 – Revoca dell’Editto di Nantes
1688-1697 Guerra della Lega di Augusta
1689-1725 Regno dello zar Pietro il Grande
1699 Pace di Carlowitz
1719 Pace di Passorowitz
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Bibliografia
P. R. Campbell, Luigi XIV e la Francia del suo tempo, Il Mulino, Bologna, 1977.
E. Le Roy Ladurie, L’Ancien Régime, vol. 1, Il trionfo dell’assolutismo da Luigi XIII
a Luigi XIV (1610-1715), Il Mulino, Bologna, 2000.
F. L. Carsten, Le origini della Prussia, Il Mulino, Bologna, 1982.
M. Raeff, La Russia degli zar, Laterza, Roma-Bari, 1984.
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