FISCHER, J. L. Excursus: Della politica «strutturale». In: FISCHER, J. L. La crisi della democrazia, 2. ed. Torino: Giulio Einaudi, 1977. p. 191200. Pagina 201 Excursus Della politica «strutturale» Il nostro compito sarebbe finito. Se aggiungo nella forma di un excursus alcune osservazioni sulla politica, è per due motivi. In primo luogo per prevenire possibili equivoci, e in secondo luogo perché molti lettori potrebbero considerare proprio questo aspetto come il piú importante, ritenendo che la sua soluzione è compito del filosofo. In realtà la sfera propria del filosofo è quella ideale culturale e non reale culturale; perciò è filosofo e non politico o uomo di stato. E tuttavia la parola del filosofo, se accolta, porta in ultima analisi all’azione, contribuisce in qualche modo a provocarla. Ma quale azione? Qui comincia la questione politica vera e propria, che richiede una risposta politica. L’atto politico è sempre «generale». Abbiamo tentato di chiarire questa natura, questa essenza della funzione politica nel modo piú ampio. Abbiamo tentato anche di trovare le cause per cui il senso della parola «politica» si è perfettamente perduto. E per questo oggi la discussione politica è cosí difficile con coloro che si autoproclamano politici. Essi tutti ritengono la realtà politica data, le istituzioni politiche date come qualcosa da cui in ogni caso è necessario partire e che in ogni caso è necessario anche conservare. I politici che si ritengono difensori del governo democratico non intendono la democrazia altrimenti che come democrazia parlamentare, democrazia formale, conciliabile solo con l’esistenza dell’odierno sistema di partiti politici, il cui contenuto positivo starebbe nell’equilibrare con accordi le Pagina 202 esigenze e le richieste di gruppi politici che in realtà sono gruppi di interessi. Essi accusano di inimicizia per la democrazia chiunque intenda per essa qualche cosa di piú che una forma vuota dalla quale è da tempo sfuggito qualsiasi contenuto democratico, chiunque voglia curare la democrazia dall’odierna sua malattia. I politici che si ritengono difensori del governo socialista o ricorrono anch’essi a questa degenerata democrazia come ultimo rifugio, o ripetono le loro tesi sulla dittatura del proletariato e sulla rivoluzione sociale, non vedendo o vedendo troppo tardi che il socialismo deve essere un socialismo generale e non proletario, se deve essere socialismo, e che se sarà generale deve essere anche democratico oppure non sarà affatto. Il risultato è che per reazione a una politica cosí malintesa crescono i movimenti fascisti, che negano la democrazia e il socialismo, offrendo in loro vece un principio generale, per quanto questo sia soltanto una maschera per interessi parziali assai concreti. Contro di questi la democrazia poi cerca di difendersi con la limitazione di varie «libertà democratiche», cioè non diversamente da come il capitalismo cerca di difendersi dalla crisi: minando le basi sulle quali poggia. Se abbiamo potuto parlare di autonegazione del capitalismo, si potrebbe interpretare lo stato odierno dei governi «democratici» come autonegazione della democrazia, che nell’intento di difendersi apre in realtà la via alla reazione dei ceti medi. Come il rimedio contro la crisi economica è l’assunzione di nuovi principî programmatici e organizzativi, nel cui nome il processo economico venga riorganizzato e possa svilupparsi nel modo ottimale, così l’unico rimedio contro la crisi della democrazia e del socialismo è la formulazione di un nuovo programma politico nel cui nome venga ordinata tutta la vita politica, cioè tutta la società. Concretamente ciò significa che è necessario porsi al di fuori dell’ideologia «democratica» e «socialista» odierna, e al di fuori della prassi «democratica» e «socialista» odierna, e che è necessario da questa nuova posizione tentare prima di ogni altra cosa la formulazione di un nuovo programma democratico e socialista. Se si prendono in esame i probabili risultati di un tale Pagina 203 programma, si offrono queste possibilità. Poiché la prima condizione di un programma politico reale è il suo carattere generale, cioè la circostanza che esso abbraccia tutta la società da un angolo visuale unitario, la sua efficacia deve riferirsi a tutta la società a tutti i suoi strati, e non a singoli strati, fermo restando naturalmente che deve essere in accordo con le tendenze prevalenti. Il programma politico «strutturale» soddisfa questa seconda condizione. Ma proprio per questo non si rivolge e non può rivolgersi agli strati sociali singolarmente presi, né può ricercare il favore di un qualsiasi partito politico, perché i partiti (con l’eccezione forse di quelli cattolici) sono ancorati dal punto di vista organizzativo in determinati strati sociali. Sarebbe allora una conseguenza indispensabile della realizzazione pratica dei nostri principî politici la nascita di un nuovo partito politico? Proprio il contrario: ciò che questo movimento non deve diventare è appunto un partito politico nel senso odierno. Se esso deve essere qualcosa, allora deve essere solo movimento. Il senso di questa affermazione risulterà forse piú chiaro se la porremo in connessione con l’alternativa spesso discussa tra procedimento politico evolutivo e quello rivoluzionario. La politica evolutiva sottintende che tutti i cambiamenti della struttura sociale e politica nasceranno per miglioramento graduale del sistema, realizzato attraverso il normale procedimento parlamentare. La politica rivoluzionaria sottintende che questi cambiamenti desiderabili nasceranno come opera di un gruppo di potere che si impadronisce del governo e li impone alla società, appoggiandosi su alcuni strati sociali, per lo piú sugli operai. Sulla legittimità di questi due procedimenti si è discusso all’infinito, ma vanamente. Infatti il modo in cui l’intero problema viene posto è difettoso. Si può parlare di procedimento evolutivo soltanto là dove la struttura sociale nel suo insieme è accettabile, cioè là dove le istituzioni sono piú o meno in accordo con le tendenze, dove quindi esiste tra di loro un consenso. Ma ciò che caratterizza lo stato odierno è al contrario appunto un disaccordo completo tra le istituzioni e le tendenze, il quale potrà essere superato solo con l’instaurazione di una nuova struttura sociale che soddisfi le muPagina 204 tate condizioni. Il presupposto ne è un programma politico unitario e univoco, cioè proprio ciò che manca alla vita politica e soprattutto alla democrazia odierna. Non diversamente stanno le cose col procedimento rivoluzionario. Gli insuccessi sofferti in questo campo dal socialismo in tutti gli stati culturalmente e politicamente piú avanzati avrebbero dovuto già da tempo portare ad atteggiamenti piú concreti su questa questione. Infatti la rivoluzione, specialmente la rivoluzione sociale, cosí come è stata intesa finora, significava il tentativo di conquistare la società in certo qual modo dal di fuori. Determinati gruppi, postisi al di fuori della società, si pongono il fine di conquistare il resto della società col potere e di imporgli la propria volontà. Ma la società non si può mai conquistare — se vogliamo usare questo termine militare — dal di fuori, bensí e soltanto dall’interno. Gran parte dei successi fascisti consiste nell’aver compreso questa elementare verità, o per lo meno nell’averne seguito l’insegnamento. Il senso della nostra affermazione è che un nuovo ordine sociale può nascere soltanto dalla volontà della società, in uno stato di partecipazione quanto piú spontanea e di sostegno morale e politico. Cosí nacque un tempo la società democratica, cosí e solo cosí può nascere qualsiasi nuova società. Ora forse è chiaro che cosa significhi che la politica «strutturale» non deve diventare un partito politico ma deve crescere in un nuovo movimento e ancorarsi in tutte le sfere sociali, in tutte le istituzioni sociali e nell’intera creazione culturale. Se, come credo, la concezione strutturale affonderà le sue radici nella società, non sfuggirà al suo influsso nemmeno la sfera politica. E qui si deve attendere con ogni probabilità che essa, riunendo le forze delle formazioni politiche attuali e di tutti coloro che ne sono al di fuori, formerà una unica corrente di volontà politica: una volontà politica democraticamente fondata. Infatti se un sistema politico e un programma politico hanno diritto di esser chiamati democratici, essi sono il sistema politico e il programma politico strutturali. E allo stesso modo essi possono dirsi espressione di una volontà politica socialisticamente fondata. Infatti la stessa cosa che abbiamo detto della democrazia nei conPagina 205 fronti della concezione strutturale vale anche per il socialismo. Il programma democratico «strutturale» diventerà realtà soltanto se sarà realizzato nella sua pienezza. Cosí come l’economia pianificata è possibile solo a condizione che sia data una «volontà economica» unitaria, e soltanto nell’ambito di questa unità ammette la discussione píú ampia sulle questioni secondarie, ugualmente deve essere data una volontà politica unitaria e univoca, se si vuole costruire una struttura sociale unitaria e rinnovare il consenso sociale. Soltanto nell’ambito di un tale programma univoco e di una tale struttura sociale sarà possibile discutere nel modo piú ampio le numerosissime questioni secondarie. L’ordine presuppone l’unità, altrimenti vi è contraddizione. Questo è il compito davanti al quale si trovano la democrazia e la società democratica oggi [Nota 1]. Ho tentato di formularlo nel modo piú preciso e di motivarlo come meglio ho potuto, rischiando di essere insultato come nemico della democrazia: questa infatti oggi è piú disposta a sopportare la propria abolizione per mezzo della reazione dei ceti medi che a prendere coscienza del proprio dovere verso quei principî che finge di difendere, mentre per «difesa» della democrazia intende ormai solo la difesa dei partiti politici e del loro potere. Se la democrazia non rinsavirà per tempo, subirà una dura punizione: essa scomparirà sotto la pressione della reazione dei ceti medi che calpestando senza scrupoli tutto ciò che è caro ai democratici veri e presunti abolirà prima di tutto ciò che alla loro maggioranza è piú caro, il sistema politico dei partiti. Purtroppo questa prospettiva è ancora la piú probabile. Credo però fermamente che sia una prospettiva temporanea. Il futuro appartiene infatti alla società «strutturale», anche se la sua costruzione, le cui basi noi oggi poniamo, dovesse essere portata a termine e vissuta dai nostri figli o dai figli dei nostri figli.