Alla ricerca dell’Eroe
Linda Franchini, VC
Liceo Artistico Cardarelli - La Spezia
a.s. 2011/2012
Alla ricerca dell’Eroe
Linda Franchini, VC
Liceo Artistico Cardarelli - La Spezia
a.s. 2011/2012
I veri eroi sono quelli che ogni giorno si alzano dal letto e affrontano la vita anche se
gli hanno rubato i sogni e il futuro. Quelli che alzano la saracinesca di un bar o di un’officina, che vanno in un ufficio, in una fabbrica. Che non lottano per la gloria o per la fama,
ma per la sopravvivenza. Sono coraggiosi. Gli eroi veri non stanno a cavallo.
Esco a fare due passi di Fabio Volo
Alla ricerca dell’eroe
Per cominciare
Sfogliando il dizionario, alla voce EROE si trova scritto:
eroe [e-rò-e] nome maschile(f. eroìna), persona che dimostra grande coraggio
e si sacrifica per gli altri.
protagonista in un’opera.
nella mitologia, individuo mezzo dio e mezzo uomo, figlio di un dio e di un mortale, che aveva speciali poteri.
Ma perché l’uomo ha bisogno degli Eroi? Cos’è che lo ha spinto a creare o identificare in alcuni individui determinate caratteristiche al di fuori dell’ordinario, scrivendo
di loro pagine e pagine nelle letterature e nell’immaginario di tutto il mondo? Quanto
l’uomo ha bisogno della protezione degli Eroi e quanto sente il bisogno di esserlo lui
stesso?
E, oggi, dove si sono nascosti i veri Eroi?
l’Eroe divino
Eroe
Basta la parola e inevitabilmente la prima figura che viene in mente risale all’antica Grecia, alla scoperta dei miti, dei labirinti e dei vasi di Pandora.
Omero (o chi per esso, dato che la questione omerica non ha ancora dato una
risposta certa sulla sua identità) è sicuramente il padre dell’eroe in quanto tale.
Chi non ha sognato le battaglie rumorose e le armature luccicanti dei semidèi e
dei principi che combattevano fino alla morte per valori quali famiglia, patria, onore?
Ma se Achille è l’eroe forte e valoroso, l’eroe che per orgoglio entra in guerra e
comandato dalla rabbia cieca, ad esso si contrappone Ettore, l’eroe capace di essere
guerriero impavido dall’elmo straordinario e spaventoso e padre tenero e amorevole
che si toglie quello stesso elmo, simbolo e segno della propria forza, per non spaventare il suo piccolo bimbo Astianatte. Già nel mondo antico Omero è un problema storico e critico.
Xenone e Ellanico sostenevano che i due poemi fossero opera di due diversi autori; al contrario Aristarco (II sec. a.C.) attribuiva la paternità di entrambi i poemi a un unico autore, Omero.
Un’ altra ipotesi abbastanza accreditata è quella di una relazione pisistratea. Pisistrato, tiranno
si Atene, nel VI sec. a.C. avrebbe fatto riunire in un unico corpus tutti i canti dei poemi epici di
Omero, che erano stati tramandati in ordine sparso.
L’impostazione moderna e critica della questione omerica si delinea tra la fine del XVII e l’inizio
del XVIII secolo.
L’abate di Aubignac sostiene che Omero non è mai esistito e che i due poemi non solo sono
frutto di una redazione, ma sono anche stati composti da due diversi autori.
Gianbattista Vico sostiene che i poemi omerici sono il prodotto della coscienza storico-narrativa
di un popolo e la loro composizione e trasmissione furono orali.
Oggi, la tesi unitaria secondo la quale sia esistito effettivamente un unico autore quale Omero
non trova largo seguito, mentre riscuote grande successo tra i critici la tesi neounitaria, secondo
cui i due poemi furono composti da due persone diverse, una per l’Iliade e una per l’Odissea.
Alla ricerca dell’eroe
E quando la Moira distratta si dimentica di donare forza fisica e capelli dorati,
ecco che nascono eroi come Ulisse, forse più amati proprio perché imperfetti, forse
perché più reali. Egli ha da sempre rappresentato la figura dell’uomo errante per eccellenza, affascinato dal sapere e dalla ricerca, quella stessa ricerca che secoli dopo
lo catapulterà nell’Inferno, nel girone dei consiglieri fraudolenti, complice un Dante
implacabile con coloro che sfidano il volere divino*.
Ulisse è l’eroe multiforme, polytropos, ripreso più volte dalla letteratura nel corso
del tempo: Dante, Foscolo, Pascoli, D’Annunzio, Saba sono solo alcuni degli autori
italiani che recuperano il mito dell’uomo lontano dalla patria.
[...] l’onde
del greco mar da cui vergine nacque
Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l’inclito verso di colui che l’acque
cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
[...]
“A Zacinto”, U. Foscolo
e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.
Dante, Inferno
Virgilio e Dante,E. Delacroix 1822
Alla ricerca dell’eroe
Ma se all’origine l’Eroe era impareggiabile e distante, più simile ad un dìo che ad
un essere umano, pian piano è costretto a fare i conti con le sue debolezze umane e
anche a farne la sua forza.
Deve quindi essere una persona vera.
La civiltà non ha forse creato queste figure letterarie con il preciso scopo di identificarsi in loro? Lo scopo principale dell’Eroe è di fare in modo che chiunque possa
essere lui, possa ritrovarvi le stesse qualità ed emozioni, anche se esasperate, esagerate.
Ecco quindi che l’eroe greco diventa il cittadino modello, carico di tutte quelle
qualità che l’uomo esalta, incarnando poi il mos maiorum romano.
Il giuramento degli Orazi, Jean Luis David, 1784
Con l’espressione mos maiorum (letteralmente “il costume degli antenati”) i Romani indicavano quel complesso di valori e di tradizioni che costituiva il fondamento della loro cultura
e della loro civiltà.
Essere fedeli al mos maiorum significava riconoscersi membri di uno stesso popolo, avvertire i vincoli di continuità col proprio passato e col proprio futuro, sentirsi parte di un tutto. Il
mos maiorum era, in altri termini, l’insieme dei valori collettivi e dei modelli di comportamento
a cui doveva conformarsi qualsiasi innovazione: rispettare il mos maiorum significava quindi
incanalare le energie e le spinte innovative entro l’alveo della tradizione, così da renderle
funzionali al bene comune.
Cardine fondamentale di questo sistema di valori è infatti l’assoluta preminenza dello Stato,
della collettività, sul singolo cittadino: questa è l’ottica da cui va esaminato qualunque valore
e comportamento; così ad esempio non era tanto il coraggio in sé ad essere apprezzato, ma
il coraggio che veniva dimostrato nell’interesse e per la salvezza dello Stato.
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Alla ricerca dell’eroe
Quel che l’uom vede, Amor gli fa invisibile,
e l’invisibil fa vedere l’Amore
Ludovico Ariosto
Orlando furioso, G.Dorè
l’Eroe cavaliere
The Accolade, E. Leighton, 1901
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Alla ricerca dell’eroe
Nel viaggio singolare ed incerto della vita, siamo tutti Eroi che dovranno affrontare mostri, battaglie, amicizie, amori. Proprio per questo, l’eroe classico del kalòs kai
agatòs, non può che cambiare assieme alla cultura umana, pur mantenendo il primato
Ruggiero che libera Angelica, Ingres, 1819
kalòs kai agatòs. letteralmente, bello e buono. Nella cultura
ellenica veniva così indicato l’ideale di perfezione umana: l’unità
nella stessa persona di bellezza e valore morale, un principio
che coinvolge dunque la sfera etica ed estetica ed estende la
propria influenza anche sulla produzione artistica.
della figura eroica per eccellenza.
Con l’evolversi della civiltà, quindi, anche la figura dell’eroe cambia. E’ sempre
l’uomo superiore alle masse, l’uomo che ama di più, che combatte di più, che soffre
anche di più, però ora questo eroe-cavaliere combatte per Dio, per il suo sovrano, per
la giustizia: dopo la diffusione del messaggio cristiano, infatti, l’Eroe diventa il paladino
delle virtù nobili, della gentilezza, del trionfo del messaggio del suo Credo.
Già nel famosissimo ciclo bretone de La Tavola Rotonda (Historia regum Britanniae, di Goffredo Monmouth) l’eroe greco ha perduto tutte le sue qualità classiche,
mantenendo pur sempre una forza fisica ed intellettuale superiore alle media. Adesso, non è più un insieme di virtù e vizi, ma possiede tutti i pregi della morale cristiana
ed è in grado di soggiogare le passioni, pur di fare il giusto.
Ma anche il poeta è in realtà Eroe del suo tempo: quando, negli ultimi secoli
dell’età buia (XIII-XIV sec.), l’interesse per la cultura antica sembra rinascere, Dante
diventa paladino della sua storia e di tutta la storia umana4, crociato a servizio della
fede e della salvezza dell’umanità. Se il guerriero greco si affidava alla sua forza, al
coraggio, alla vendetta, adesso la sola cosa che spinge l’eroe in avanti è la completa
fiducia nelle leggi di Dio.
Orlando furioso, G.Dorè
Grande esempio dell’eroe-santo è Sant’Agostin: egli, infatti, lotta per
cercare Dio, imparando a
guardare dentro di sé, per
quello che si è, diventando una sorta di EROE IN
LOTTA CON SE STESSO. Poiché Dio è verità,
l’uomo trova la sua prima
fondamentale verità in se
stesso, nella propria anima che tende all’amore
infinito e nel colloquio
con il Creatore che va incontro alla sua creatura.
Dio si rivela come Amore
e in Lui l’uomo si rifugia
comprendendo la propria
finitezza e scoprendo la
presenza
dell’infinito
Creatore nella propria interiorità. Per la profondità
e l’acutezza di tale analisi, la vicenda spirituale
di Agostino si eleva ad
exemplum del travaglio
spirituale dell’uomo che
anela alla fede, che si avvilisce quando essa vacilla e che procede tra speranza e disperazione,tra
rettitudine ed errore.
La figura di Agostino
domina incontrastata fra i
Padri della Chiesa latina:
oltre ad avere avuto un
ruolo di primo piano nella vita ecclesiale del suo
tempo, egli fu filosofo di
grande originalità. Ma fu
anche scrittore di grandissimo talento,e le sue
Confessioni sono uno dei
capolavori della letteratura mondiale.
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Alla ricerca dell’eroe
Non a caso, questo è un periodo in cui l’eroe, il santo e il poeta si confondono.
Prototipo del paladino per eccellenza e protagonista di vari poemi, entra nell’immaginario collettivo dell’eroe Orlando (o Rolando).
Appare per la prima volta nella Chanson de Roland di un tale Turoldo, poco
dopo la fine della Prima Crociata: egli è servitore e soldato devoto di Carlo Magno, in
guerra contro i mussulmani, e sacrificherà la sua stessa vita per il suo re e per la sua
patria.
Non abbiamo nessuna
notizia certa dell’esistenza di Turoldo:
nel manoscritto più
antico che ci è pervenuto, risalente al XII
secolo, la lingua usata
è anglo-normanno e
l’autore risulta essere
un letterato, Turoldo appunto, ma non
è chiaro se fu l’autore dell’opera oppure
semplicemente
un
copista che scrisse il
manoscritto (all’epoca non c’era ancora
la coscienza da parte
dell’autore dell’opera
d’arte)
Astolfo sulla luna, G.Dorè
Ma con l’avvento della borghesia i temi del ciclo bretone e carolingio vanno via
via modificandosi e il lessico raffinato abbassandosi. E anche Orlando non può che
avvicinarsi lentamente a quell’olimpo di eroi insicuri e travolti dalle inspiegabili passioni che porteranno i personaggi futuri sempre più distanti dalla realtà che non sentono
propria.
Ne L’Orlando innamorato, di Matteo Maria Boiardo, l’eroe è sempre forte, generoso e ricco di bontà, ma si ritrova a dover far fronte a qualcosa a cui non è preparato, una cosa spesso crudele ed inspiegabile: l’amore. Ecco quindi il nuovo aspetto
umano del paladino senza macchia e senza paura, che pare continuare la sua caduta
verso il mondo degli uomini, ritrovandosi a far fronte a debolezze ed emozioni che non
sa controllare.
Proprio per questo, contro un amore nuovo, imperfetto e per nulla casto, così
lontano da quello divino tanto cantato da Dante, Orlando non può che diventare “furioso”: il nuovo protagonista de L’Orlando furioso di Ludovico Ariosto combatte contro
un sentimento esclusivamente materiale, che non si può sconfiggere con la spada.
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l’ire e i giovenil furori
d’Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano
L. Ariosto
Notturno, F.L.Catel,1802
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Alla ricerca dell’eroe
l’Eroe addolorato
Prima usavamo santificare i nostri eroi. L’orientamento moderno è quello
di volgarizzarli. Edizioni economiche di grandi libri possono essere deliziose, ma
edizioni economiche di grandi uomini sono assolutamente detestabili.
(Oscar Wilde)
Ma si può passare da una vita religiosa a una vita folle per amore?
O a una vita folle, e basta?
Dopo che Petrarca inserì indelebilmente l’Io nella sua poetica, dandogli forma e
significato, diventando eroe e protagonista del suo stesso personaggio letterario, la
letteratura si riempie di figure ribelli e malinconiche, insoddisfatte, arrabbiate, limpido
specchio dei loro autori delusi dal mondo vero e dalle libertà negate.
Grande esempio inglese della scissione indivisibile tra vita tra le pagine e vita
reale è la leggenda affascinante che incornicia l’esistenza di Lord Byron.
La sua capacità di confondere esistenza e letteratura ci offre l’immagine di un
eroe celato nel mistero della propria origine, inquieto, segnato dalle passioni, perennemente diviso tra il desiderio di salvare l’umanità e il disprezzo per essa. Questo
eroe è l’eroe che si spinge al limite, insaziabile, che si ribella ad ogni legge, regola
e convenzione, ma che, allo stesso tempo, si autodistrugge, è incompleto, escluso,
solo.
Un eroe quasi cattivo. Un eroe macchiato di quei sentimenti oscuri che ogni lettore può sentire propri.
Prender l’armi contro un mare di problemi e combattendo disperderli
Amleto, William Shakespeare
Un curioso aneddoto ci fa intuire la natura ribelle ed originale di Byron: nel 1822 trascorre un
periodo a Porto Venere dove si dedica alla scrittura e alla pratica del nuoto di cui è appassionato
cultore. Qui, avrebbe attraversato a nuoto il golfo, nuotando per otto chilometri fino a San Terenzo,
per andare a trovare i coniugi Shelley, che già aveva incontrato a Ginevra
Non è forse per il suo lato cinico ed oscuro che Amleto, uno dei personaggi più
riusciti a Shakespeare, è rimasto nella memoria culturale per secoli? Questo perché
nessuno può evitare di identificarsi con lui: anticipando le ricerche di Freud, Amleto ci
pone per la prima volta di fronte all’autocoscienza individuale.
Ancora distante dalla rivoluzione della psicanalisi, Shakespeare introduce in un’opera così
complessa quelli che sembrano riferimenti alla futura scoperta della nevrosi: il comportamento della regina, madre di Amleto, è riconducibile ai “lapsus” freudiani, come quando,
corrosa dal rimorso per la morte del marito, continua a strofinarsi le mani come se le sentisse sporche di sangue, oppure vagheggia con precisi riferimenti a quei ricordi immorali
che Freud poi inserirà nella parte più profonda dell’uomo, perché rimossi.
Quello che gli storici chiamano Romanticismo è nato qui, con questo eroe, sebbene ci sia voluto quasi un secolo prima che Nietzsche dicesse che Amleto possedeva «la vera conoscenza, un’ intuizione dell’ orribile realtà», che costituisce l’ abisso tra
la realtà terrena una coscienza in continua aspirazione a qualcosa che è“oltre”.
Secondo lo studioso shakespeariano Agostino Lombardo :
“Amleto è sempre diverso, e se per Goethe era un uomo costretto ad affrontare
una realtà eroica senza avere la stoffa dell’eroe, Coleridge e Schlegel vedevano nel
suo dramma una tragedia della volontà (…); per i decadenti e i simbolisti l’immagine
del loro spleen e noia e male di vivere; per gli artisti del Novecento, l’emblema della
nuova nevrosi ed alienazione”.
Ophelia, W.Morris, 1851
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Alla ricerca dell’eroe
Per questi motivi, lo statunitense Harold Bloom, che analizza le principali opere dell’occidente nel suo libro «The Western Canon» (Il canone occidentale), l’eroe
Shakespeariano ha ispirato tutti gli altri scrittori successivi: da Milton a Goethe, da
Joyce a Beckett.
Golconde, Magritte
L’eroe romantico, quindi, è voce singola di quel modello comune di un’intera generazione di intellettuali, dilaniata da un profondo e costante male di vivere.
Qui si colloca la figura originale di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo, figlio dello stesso
periodo letterario ma obbligato a fare i conti non solo con l’amore tiranno, ma anche
con gli obblighi che sente nei confronti della sua patria.
Infatti, al contrario del testo di Goethe I dolori del giovane Werther, il romanzo
epistolare di Foscolo (genere tanto in voga negli ultimi anni del Settecento) mette in
evidenza l’aspetto politico e patriottico tanto caro all’autore, oltre che alla tragica storia conflittuale del personaggio. Jacopo, infatti, con il cuore sempre in conflitto con la
ragione e con la natura come sola corrispondente, protesta contro qualsiasi forma di
tirannide.
Un uomo e una donna che guardano la luna, Friedrich, 1824
L’eroe foscoliano è diviso da due passioni: quella politica, che, col suo fallimento, mette in evidenza da un lato i rapporti negativi con il potere e dall’altro il desiderio
di un’Italia che avrebbe potuto essere unificata
Sola fra tutte le rivoluzioni contemporanee,
proprio alla luce delle idee diffuse dalla Rivoluquella francese fu una rivoluzione ecumenizione francese, e quella amorosa, che sottolica. I suoi eserciti si levarono per rivoluzionea i rapporti negativi dell’individuo con gli usi,
nare il mondo; le sue idee lo rivoluzionaroi costumi e le consuetudini che vogliono ancora
no veramente. [...] La sua influenza indiretta
la donna oggetto del padre o del marito: la forè universale, perché fornì il modello a tutti i
za non è ancora nel sentimento (o non lo sarà
movimenti rivoluzionari successivi, e i suoi
se non sporadicamente), ma nel potere sopratinsegnamenti - interpretati da un punto di
tutto economico. Proprio a queste convenzioni
vista particolare - sono contenuti nel sociaJacopo si ribellerà, diventando martire di quei
lismo e nel comunismo moderno.
(E. J. Hobsbawm)
sentimenti e valori puri che in ogni modo aveva
Questo passo riassume in poche righe dieci
cercato di redimere.
Quando si risveglierà il tuo martirio, e lo spirito sarà vinto dalla passione, io ti verrò dietro per
sostenerti in mezzo al cammino e per guidarti,
se ti smarrirai, alla mia casa; ma ti verrò dietro
tacitamente per lasciarti libero almeno il conforto
del pianto.
Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis
anni di storia francese. Per quanto ispirata e
condizionata, nelle sue premesse, dall’altra
rivoluzione borghese, quella Americana, è
stata proprio questa ad aver cambiato la faccia del mondo che fino ad allora era stato,
scrivendo la parola fine al sistema dell’Antico Regime.
Nonostante il suo fallimento, è diventata il
punto di riferimento per tutta la storia contemporanea.
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Alla ricerca dell’eroe
La morte, infatti, appare come inevitabile alla fine del romanzo, come l’unica
possibile chiusura di un cerchio all’interno del quale c’è solo impotenza e dolore.
Se l’Ortis era profondamente legato alla natura, vissuta non come palcoscenico
del suo dolore ma come voce e volto di esso, presto questa si ribella contro l’eroe e
ne diventa una nemica al pari di una società ormai poco interessata alle “profezie” dei
poeti.
O natura, o natura
perché non rendi poi
quel che prometti allor? Perché di tanto
inganni i figli tuoi?
Giacomo Leopardi
La Natura Matrigna di Giacomo Leopardi è cosa nota: da madre benigna di tutta
l’umanità, presto essa assume le caratteristiche che aveva il Fato per gli eroi greci o la
provvidenza per quelli cristiani. La colpa dell’infelicità non è più della società umana,
ma solo della Natura. E se causa dell’infelicità è la Natura stessa, tutti gli uomini sono
inevitabilmente infelici. Eccolo il pessimismo cosmico di Leopardi: l’infelicità non è più
legata ad una condizione storica e relativa dell’uomo, ma ad una condizione assoluta,
perenne ed inevitabile.
Ma è proprio qui che questo grande pessimismo trova una consolazione, un eroe
in grado di portare speranza. Infatti, nella sua ultima opera La ginestra il poeta ci propone una visione eroica dell’uomo molto distante dal titanismo dell’eroe antico, teso a
generose imprese: egli non combatte più grandi imprese, mostri, guerre con la rabbia
cieca di chi vorrebbe cambiare il mondo, ma, come la ginestra è un fiore che riesce
a sopravvivere anche nelle condizioni
più difficili e più dure, allo stesso modo
A un certo punto della sua riflessione poetica,
l’eroe leopardiano deve affrontare con
Leopardi approfondisce la sua meditazione sul
coraggio e fierezza il suo triste destino,
problema del dolore e conclude scoprendo che
derivante dal fatto che la Natura è una
la causa di esso è proprio la natura, perché è promatrigna cattiva nei riguardi del genere
prio essa che ha creato l’uomo con un profondo
umano, ed aiutare quest’ultimo a sodesiderio di felicità, pur sapendo che egli non
pravvivere a tale condizione.
l’avrebbe mai raggiunta. E’ questo il terzo aspetto del pessimismo leopardiano che investe tutte
le creature (sia gli uomini che gli animali).
Nobil natura è quella
Ma in questo momento della sua meditazione il
Che a sollevar s’ardisce
Leopardi rivaluta la ragione, prima consideraGli occhi mortali incontra
ta causa di infelicità. Essa gli appare colpevole
Al comun fato, e che con franca lingua,
di aver distrutto le illusioni con la scoperta del
Nulla al ver detraendo,
vero, ma è anche l’unico bene rimasto agli uomiConfessa il mal che ci fu dato in sorte,
ni, i quali, forti della loro ragione, possono non
E il basso stato e frale;
solo porsi eroicamente di fronte al vero, ma anQuella che grande e forte
che conservare nelle sventure la propria dignità,
Mostra sé nel soffrir, né gli odii e l’ire
anzi, unendosi tra loro con fraterna solidarietà,
Fraterne, ancor più gravi
come egli dice nella “Ginestra”, possono vincere
D’ogni altro danno, accresce
o almeno lenire il dolore..
Giacomo Leopardi
Abbazia nel querceto, Friedrich, 1810
‘Non sono felice!’ Mi disse Teresa; e con questa parola mi strappò il cuore. (…) Non
sono felice! Io aveva concepito tutto il terribile significato di queste parole, e gemeva
dentro l’anima, veggendomi innanzi la vittima che doveva sacrificarsi a’ pregiudizi ed
all’interesse.
Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis
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Alla ricerca dell’eroe
l’Eroe addolorato
Ma non c’è posto per l’eroe in un mondo che cambia, che si evolve, che corre
a tutta velocità sulle rotaie del progresso. Le scienze Deterministiche non hanno più
bisogno di uomini valorosi in grado di andare alla ricerca delle verità nascoste. Il Positivismo10 non tiene conto del singolo e il suo è il linguaggio della scienza e della
semplice oggettività.
Ecco quindi che l’eroe scompare, sostituito repentinamente da personaggi “comuni”, reali, spesso appartenenti a quella classe lavorativa che assume le sembianze
di un agitato animale il cui scopo è la pura osservazione scientifica. Persino l’intellettuale abbandona il suo ruolo di eroe-scrittore per porsi al di fuori delle sue storie,
acquistando l’occhio critico dell’uomo di scienza e non del ribelle corroso dalla malinconia e dalle passioni.
La Natura matrigna non fa più paura, perché si può conoscere e controllare.
Scriveva Gustave Flaubert:
L’artista deve essere nella sua opera come Dio nella creazione, invisibile e
onnipotente, sì che lo si senta ovunque, ma non lo si veda mai. E poi l’arte deve
innalzarsi al di sopra dei sentimenti personali e delle suscettibilità nervose. È ormai
tempo di darle, mediante un metodo implacabile, la precisione delle scienze fisiche.
G. Flaubert, Scritti inediti, 1857
Il Positivismo è una corrente filosofica che investì l’Europa verso la fine dell’Ottocento. Questo
termine indica il proposito di rifiutare le tendenze astratte, metafisiche e sentimentali proprie del
romanticismo e di prendere invece in esame i
fatti concreti per analizzarli alla luce delle scienze deterministiche. Il Positivismo cerca di capire il mondo partendo unicamente dalla scienza
alla quale si riconosce la capacità di giudicare
gli uomini nella loro corsa verso il progresso e di
costruire una società di giustizia e benessere. Gli
autori di questo periodo, infatti, scrivono quelli
che potrebbero essere definiti “romanzi-documentari”, in quanto il loro scopo era quello di
analizzare e studiare le classi sociali con la stessa
oggettiva e fredda sicurezza degli scienziati di
fronte ad un esperimento. L’esempio più importante di questo genere di letteratura Naturalistica
è l’Ammazzatoio di Zola.
Flaubert rappresenta la reazione contro il romanzo romantico
per eccellenza. Il suo sguardo attento cerca l’oggettività con gli occhi dei suoi personaggi, eliminando la visione onnisciente di autori
come Manzoni. E qui l’eroe della
generazione precedente muore
per lasciare spazio ad un teatro
composto da spettatori mediocri
che invadono la scena trasformandolo in cruda realtà. La letteratura
della disillusione.
Ritrovatosi spogliato dei valori
romantici, Flaubert scrive L’educazione sentimentale, in cui deride e
distrugge ciò in cui ha creduto per
tutta la vita, ovvero l’amore puro ed
immortale del secolo che sta finendo. Il romanzo è un’altalena tra il
sentimento a cui tutti vorremmo cedere e in cui tutti vorremmo credere (anche Flaubert) e la sua derisione, tra l’illusione romantica e la delusione realistica e scettica, tra
l’innalzarsi del sentimento amoroso e la sua rovinosa caduta.
Ma è Madame Bovary la vera eroina annientata completamente dalla nuova realtà industriale dove la borghesia trionfa. Privata dell’aspetto individuale già nel titolo
(il libro presenta subito il cognome della protagonista: difatti, nell’ambito del realismo
l’individuo non può essere rappresentato se non nelle sue relazioni con l’ambiente
di provenienza e con quello in cui vive), Emma appare nella sua situazione sociale
di donna maritata e, in un certo qual modo, estraniata da quel cognome che non le
appartiene.
Le borghesi ammiravano in lei il senso dell’economia, i
clienti la cortesia, i poveri la carità. Ma Emma era piena di bramosia, di
rabbia, di odio. Quell’abito dalle pieghe diritte nascondeva un cuore sconvolto
e le labbra pudiche tacevano le tempeste. Era innamorata di Léon e cercava la
solitudine per poter a suo agio dilettarsi con l’immagine di lui. Vederlo di
persona significava turbare la voluttà di tale meditazione. Il suono dei suoi
passi faceva palpitare il cuore: poi, la sua presenza faceva svanire ogni
emozione e in seguito in lei restava soltanto un immenso sbigottimento che si
trasformava in tristezza.
G.Flaubert, Madame Bovary
Ritratto femminile”, Renoir
24
Alla ricerca dell’eroe
Il pranzo dei canottieri”, Renoir, 1892
Probabile alter ego dell’autore, Emma è l’eroina romantica sconfitta dal nuovo
mondo concreto e borghese, dove l’amore idealizzato non può portare che alla morte
psicologica (in questo caso anche fisica) di tutti coloro che pretendono di vivere ancora secondo gli ideali romantici. Come aveva già fatto in L’educazione sentimentale, romanzo apparso nel 1869, Flaubert ci presenta la caduta degli eroi con l’oggettività dei
suoi contemporanei scrittori Naturalisti, senza però sopprimere l’Arte, vera protagonista di un romanzo che ha tutte le caratteristiche di un moderno film realistico, dove il
sublime ci viene presentato sotto forma della cruda e a tratti disarmante realtà.
In Italia, con i romanzi veristi di Giovanni Verga, è evidente quanto l’eroe moderno abbia trasformato la sua lotta contro il male e le rivendicazioni virtuose con il
desiderio insaziabile di raggiungere una condizione economica sicura: la famiglia Toscano, i Malavoglia dell’omonimo romanzo, si prodigano per modificare il loro status
sociale, andando incontro ad un esito disastroso e fallimentare, inevitabile secondo
la selezione naturale della poetica verghiana. Non a caso, il solo vero eroe positivo
della vicenda è il patriarca Padron ‘Ntoni, in grado di recuperare le origini e i valori
della tradizione.
Egli è un eroe che abbassa la testa di fronte ad un mondo in evoluzione a cui
non può appartenere. E’ solo in grado di essere un Vinto del progresso, che tuttavia
si aggrappa tenacemente alla sua cultura nella naturale grandezza del contadino siciliano.
“A nave rotta ogni vento è contrario.”
Giovanni Verga, I Malavoglia
Non si può nulla contro la provvidenza, gemella della stessa Moira con cui l’eroe greco
non poteva combattere e che quindi accettava.
I mangiatori di patate, Van Gogh, 1885
La provvidenza verghiana si distacca molto dal vero concetto legato alla visione cristiana, poiché essa
è più riconducibile ad una sorta di “divinità pagana del progresso”, piuttosto che a Dio. E’ infatti più
simile alla stessa Moira (o Fato) degli antichi greci, che decideva senza pietà le reali sorti di eroi e
dèi, perché neppure questi ultimi potevano scampare al suo volere: se, per esempio, Manzoni vedeva
la Provvidenza come l’entità che riportava l’ordine nel mondo, il “lieto fine”, per Verga in sostanza
questa forza non esiste. Lui descrive la realtà, in cui non c’è salvezza per chi cerca di cavalcare l’onda
del progresso senza esserne veramente destinato.
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Alla ricerca dell’eroe
Con lo sviluppo delle scienze in campo filosofico e scientifico e la presa di posizione sempre più marcata della nuova psicanalisi, l’Eroe alle porte del nuovo secolo
si trova di fronte a due strade: diventare un uomo senza volontà afflitto da una insopportabile e a tratti immaginaria malattia interiore che lo rende inadatto alla società,
oppure prendere in mano le redini della propria esistenza ed essere pervaso da un
eccessivo vitalismo, cosa che lo porterà ad intraprendere imprese pari agli eroi classici, continuamente alla ricerca della realizzazione di se stesso.
L’eroe che ci si presenta davanti pare sempre più lontano dalle sue origini classiche: emana quasi la stessa volontà di ricerca interiore,di autoconsapevolezza e di
allontanamento dall’azione oggettiva delle grandi filosofie indiane, del “poema indiano” di Hermann Hesse del 1922, Siddharta.
“A volte percepiva, nella profondità dell’anima, una voce lieve, spirante, che
piano lo ammoniva, piano si lamentava, così piano ch’egli appena se ne accorgeva. Allora si rendeva conto per un momento che viveva una strana vita, che
faceva cose ch’erano un mero gioco, che certamente era lieto e talvolta provava
gioia, ma che tuttavia la vita vera e propria gli scorreva accanto senza toccarlo.
Come un giocoliere con i suoi arnesi, così egli giocava coi propri affari e con gli
uomini che lo circondavano, li osservava, si pigliava spasso di loro: ma col cuore,
con la fonte dell’essere suo, egli non era presente a queste cose. E qualche volta
rabbrividì a simili pensieri, e si augurò che anche a lui fosse dato di partecipare
con la passione di tutto il suo cuore a questo puerile travaglio quotidiano, di vivere
realmente, di agire realmente e di godere e di esistere realmente, e non solo star
lì come uno spettatore.”
Siddharta,Hermann Hesse
Siddharta è l’opera di Hesse più nota. Pubblicato nel 1922, narra la storia di “uno che cerca”, un cercatore, un uomo inquieto, bisognoso di trovare una certezza tra le tante incertezze della vita, l’Assoluto nella relatività dell’esistenza e dei rapporti, che tenta di vivere in
profondità la propria esistenza, attraversando tutte le esperienze possibili, la sensualità, il
misticismo, la meditazione filosofica, ricercando il tutto nel particolare, forte della convinzione che nessuna acquisizione è definitiva, e che la conoscenza ha sempre innumerevoli
aspetti da scoprire.
L’Oriente ha sempre significato per Hesse il simbolo assoluto dell’altra patria, quella vera,
staccata dal mondo fisico, patria del cuore, luogo dove dubbi e fedi si ricompongono in una
superiore unità e “Siddharta” è appunto un viaggio spirituale, nel cui protagonista, come
nel poema dantesco, si cela lo stesso autore.
copertina compagnia teatrale “Amici di San Giovanni”2011
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Alla ricerca dell’eroe
Il Non-Eroe
È un’azione indegna per un uomo! Io non ho alcuna voglia di ammazzarmi,
ma non v’è dubbio che se decidessi di farlo vi riuscirei subito!”
“La coscienza di Zeno”,Italo Svevo.
Zeno Cosini, protagonista de La coscienza di Zeno di Italo Svevo, dà avvio al
nuovo eroe “inetto”che diventerà figura principale di tutta la sua letteratura.
Zeno non riesce più a coincidere con l’immagine pragmatica, forte e sicura
elogiata dalla società borghese e allora, consapevole della sua inferiorità. L’inetto è
escluso dalla vita, a causa di una sottile “malattia” che corrode la sua volontà. Può
solo rifugiarsi nelle sue fantasie, nelle quali può diventare l’uomo d’azione che vorrebbe essere. Vorrebbe provare forti passioni, ma si sente inaridito, isterilito, impotente.
Più che vivere, si osserva vivere.
E allora si “ammala”, perdendo i contatti con il mondo esterno, talora sprofondando in una lucida follia.
Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla
salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri,
nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile,
in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali
innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri
un più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per
porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione
enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli
proba di parassiti e malattie.
“La coscienza di Zeno”,Italo Svevo
L’eroe sfaccettato, che cresce e migliora, si frantuma e va alla ricerca di quel
se stesso che ha perduto, complice o causa la società che cristallizza l’individuo e lo
cancella. Disperso in milioni di pezzi, egli è Uno, nessuno e centomila: Pirandello ce lo
presenta drammaticamente sdoppiato tra il ruolo fisso che la vita gli impone e i voleri
tumultuosi del suo essere più inconscio che urge e preme.
Recuperando il binomio “maschera-morale” di Nietzsche, lo scrittore siciliano
inserisce i suoi eroi in “forme” stabilite e cristallizzate che non possono che portare
alla follia. La vita pulsante che scivola dentro ognuno di noi non può che fuoriuscire
nei modi più improvvisi dopo una lunga costrizione al silenzio: l’eroe fugge da se
stesso per ritrovarsi, per riscoprirsi.
Diventa ciò che sei” affermava Nietzsche.
Il concetto di maschera è uno dei fili conduttori del pensiero di Nietzsche, in quanto da questo concetto si sviluppano i temi essenziali della sua filosofia.
Il problema della maschera è il problema del rapporto tra essere e apparenza, tematica che il filosofo trova già elaborata nel pensiero di Schopenhauer: la maschera non
è altro che il frutto dell’inevitabile divergenza tra essere e apparire nella società.
Confrontando diversi modelli di vita presente e passata, Nietzsche vede la vita
presente caratterizzata dalla decadenza, intesa non come mancanza di bellezza, ma come
assenza di unità stilistica, assenza di coerenza tra forma e contenuto. Per questo ad un
osservatore la forma non può apparire che come travestimento.
Il travestimento è qualcosa che non appartiene all’uomo naturalmente, ma che si
assume deliberatamente in vista di qualche scopo: nell’uomo moderno questo travestimento viene assunto per combattere uno stato di paura e di debolezza. Tale paura ha
radici specifiche nell’eccesso di cultura storica e nell’affermarsi del sapere scientifico:
la finzione, nella sua accezione più generale, copre il dissimularsi e l’escogitare finzioni
utili quali i concetti scientifici ed è in ogni caso legata alla paura, alla insicurezza, alla
lotta per l’esistenza.
Attraverso un triste umorismo, l’eroe pirandelliano non trova rifugio neppure
nella famiglia (al contrario di quella di Verga, infatti, qui il nucleo familiare porta
spesso oppressione e decadimento) e neppure nell’abbandono delle regole e delle
convenzioni sociali, perché si rende immediatamente conto che, senza di esse,
non è nessuno. Ne è un esempio Il fu Mattia Pascal, romanzo del 1904, in cui il
protagonista, abbandonata la sua primaria identità, ne cerca una nuova, lontana
dagli schemi e dalle costrizioni che alla fine risulterà comunque invivibile.
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Alla ricerca dell’eroe
Autoritratto con sigaretta, E.Munch,1895
L’Eroe quindi ha perso completamente il suo ruolo di guerriero eccezionale, perché il contesto in cui vive gli rende impossibile non solo l’esito positivo delle sue azioni, ma egli fallisce prima ancora di aver intrapreso qualcosa.
Nessuna cosa gli avrebbe fatto più dolore quanto l’esser da lei creduto un
uomo comune”
Gabriele D’Annunzio
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Alla ricerca dell’eroe
L’oltre – uomo
Tra Ottocento e Novecento si assiste ad una straordinaria diffusione e reinterpretazione del pensiero di Nietzsche, filosofo critico e provocatorio verso la società
del suo tempo. Condannando i miti del progresso, egli esalta i valori della gioia di
vivere e del corporeo, in cui la morale e leggi sociali hanno solo un aspetto negativo.
Qui nasce la figura del Superuomo, ovvero colui capace di spingersi oltre tutte
le repressioni morali, le contraddizioni e le lacerazioni in cui è costretto da tutta una
tradizione di pensiero idealistico e cristiano, per raggiungere un livello di moralità
superiore, in cui bisogna vivere ogni istante come se la morte non fosse sempre in
agguato.
In Italia il superuomo del filosofo tedesco è stato recuperato da Gabriele D’Annunzio, che gli ha dato sembianze completamente nuove. Il mito del superuomo, infatti, dall’immagine utopica e idealizzata che gli aveva dato Nietzsche adesso diventa
semplice esaltazione dell’individuo superiore a tutto, capace di liberarsi dalle catene
della morale convenzionale, elevandosi sulla folla dei mediocri, senza la pretesa di
volerli “salvare” dal grigiore del progresso. La vita, per il superuomo dannunziano,
diventa arte pura, fine a se stessa, a cui ogni cosa, ogni istante, ogni gesto, ha il solo
fine estetico. D’Annunzio applica, in un modo tutto personale, le idee di Nietzsche alla situazione politica italiana. Ne parla per la prima volta in un articolo, La bestia elettiva, del
1892, e presenta il filosofo di Zarathustra come il modello del “rivoluzionario aristocratico”, come un uomo che piega ogni cosa che lo circonda al proprio progetto di
affermazione, sia essa donna o macchina.
In Forse che sì forse che no, infatti, il
protagonista Paolo Tarsisi trova un nuovo
Vivere ardendo e non bruciarsi mai
strumento con il quale superare i limiti e riGabriele D’Annunzio
trovarsi vicino a quel cielo che per Baudeleire, autore ottocentesco de I fiori del male,
era il luogo sconfinato dove regnava l’arte:
l’aereo. Questo romanzo mostra come, nonostante D’Annunzio ricerchi quella dinastia nobiliare surclassata dalla nuova borghesia popolare, aderisca completamente
alle nuove scoperte della contemporaneità e fa muovere i suoi personaggi tra automobili, aeroplani, fucili.
Così parlò Zarathustra è l’opera che riassume il pensiero dell’ultima fase intellettuale di Nietzsche. L’opera è scritta secondo un modello che richiama lo stile del Nuovo Testamento, in cui Nietzsche prende congedo dal moralista e dallo psicologo e prende i toni di un profeta e di un lirico. Ma chi
é Zarathustra , il folgorante profeta del superuomo? Egli é il “ senzadio “ per eccellenza, il sostenitore
della teoria dell’oltreuomo e dell’ eterno ritorno, colui che, dopo essersi allontanato dalla sua città e
dopo averne passati 10 sui monti, in compagnia di se stesso e dei suoi amici animali, all’ età di 40 anni
sente il bisogno di tornare in mezzo agli uomini per insegnare loro ad apprezzare il mondo terreno per
quello che é, senza vivere aspettando un presunto mondo ultraterreno che non può che non esserci,
senza più morale, senza più un Dio
Figura :”Apollo e Dafne”, Canova
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Alla ricerca dell’eroe
In un’Italia travolta dall’onda dell’interventismo, D’Annunzio poteva essere l’uomo del momento: Il pugnale votivo di Gabriele D’Annunzio-Orazioni e messaggi
fiumani (1921-1931) di Giancarlo Lancellotti per la prima volta raccoglie gli scritti e
le orazioni che hanno costellato l’impresa di Fiume15 (settembre 1919 - dicembre
1920), che Mussolini guarda da lontano, con apprensione e diffidenza: un eventuale
successo avrebbe lanciato una volta per tutte il Comandante nel firmamento della
politica italiana.
Mio caro compagno, il dado è tratto! Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il
Dio d’Italia ci assista. Mi levo dal letto, febbricitante. Ma non è possibile differire. Anche una volta
lo spirito domerà la carne miserabile. Sostenete la causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi
abbraccio, Gabriele D’Annunzio 11 settembre 1919.
Così Gabriele D’Annunzio scriveva a Benito Mussolini: iniziava l’impresa di Fiume.
D’Annunzio riesce ad organizzare un gruppo di spedizione composto da circa 1000 uomini.
Il 12 settembre 1919 i soldati e D’ Annunzio entrano in fiume. Il generale Pittaluga favorì l’avanzata
nella città facendo strada all’esercito. Il successo è immediato in quanto le truppe alleate non si
oppongono agli uomini e sgombrano il territorio. Il 20 settembre dello stesso anno, D’Annunzio si
dichiara “ comandante della città di Fiume”ed il 16 ottobre dichiara fiume “ piazzaforte in tempo di
guerra”. Il 26 ottobre D’Annunzio esce vincitore dal plebiscito fiumano dove su 7155 votanti, 6999
furono a suo favore. Spronato dal successo, il poeta propone a Mussolini l’idea della marcia su
Roma, ma quest’ultimo lo dissuade dall’idea perchè il suo progetto segreto era quello di essere il
solo protagonista della marcia e non di venire subordinato al poeta che, dopo l’impresa fiumana,
aveva riscosso molto più successo di lui. Gli alleati presero posizioni piuttosto moderate cercando
di allertare il governo circa le conseguenze della presa della città, mentre Nitti si limitò a contrattare con D’Annunzio attraverso negoziati pacifici.
Per la vigilia delle elezioni D’annunzio sbarca a Zara, senza essere eccessivamente intralciato dagli alleati e, dopo averla occupata, lascia un piccolo contingente di soldati a presidiarla.
Quando gli italiani vanno alle urne ignorano le ultime imprese di D’Annunzio, perchè il governo
blocca la notizia attraverso la censura, credendo ed avendo paura che l’ultima impresa militare
possa cambiare il corso della consultazione. Nelle elezioni del 1919 i fascisti vengono sconfitti e nel 1920 Giolitti sostituisce Nitti. In questo stesso anno D’Annunzio è costretto a chiudere
definitivamente l’impresa fiumana. Il 12 novembre, dopo una riunione degli alleati, Fiume viene
dichiarato stato indipendente e la città di Zara passa all’Italia ad eccezione della Jugoslavia e della
Dalmazia. Questo segna la fine della gratitudine dell’esercito e della marina italiana nei riguardi
del “poeta soldato”. Nel periodo natalizio Enrico Caviglia libera Fiume e risponde alle minacce di
D’Annunzio facendo fuoco sul palazzo del governo. Il Vate è costretto ad andarsene seguito dai
suoi legionari. Indossano una divisa che in seguito diverrà un simbolo: camicia nera sotto il grigioverde e fez nero.
Ma mentre l’Italia scendeva in guerra, in D’Annunzio la letteratura prende il sopravvento sulla politica e lo allontana dal quadro pubblico del tempo. Un esempio
riportato da Lancellotti cita la modifica del «Bollettino Ufficiale», che da freddo rapporto burocratico diventa uno scritto quasi letterario, sottolineando ancora l’immensa
importanza che il poeta dava allo stile e al lessico.
Alla fine D’Annunzio, ricorda ancora Lancellotti, si chiude e si compiace forse
della sua reclusione al Vittoriale. Ogni tanto riemergerà con incontri e interventi nei
confronti del rivale Mussolini, come per opporsi, a Verona nel settembre del 1937, al
prossimo patto d’acciaio tra Mussolini e Hitler. Dopo essere stato trattato freddamente
da Mussolini, Gabriele D’Annunzio se ne ritorna al Vittoriale affranto e angosciato,
consapevole che la sua amata Italia sta andando verso la rovina. Il vate morirà il
primo marzo 1938, per emorragia cerebrale, ma c’è anche chi sospetta che la sua
cameriera, Emy Heufler, che subito dopo la morte di D’Annunzio andrà al servizio di
Ribbentrop, ministro degli Esteri della Germania nazista, abbia avuto il compito di
affrettare il suo declino o la morte, a causa della sua manifesta ostilità nei confronti
del nazismo.
In ogni caso, ha vissuto cercando in tutti i modi di essere l’eroe dei suoi romanzi.
Da un pubblico genovese scatta fuori anche questo.
Ma tu canti gli Eroi come Omero
Sono forse un Omero motorizzato poiché “le sue divinità facevano azzuffare i
popoli perché i poeti avessero qualcosa da cantare”.
Ora pregano Iddio artista degli artisti moltiplicatore di eroi mirabili al punto di
fare della parola Italia la più bella parola di tutte le lingue e di vincere la mia
aeropoesia registratrice di soldati gloriosi »
F.T.Marinetti .
”A 300 km dalla città”, Dottori
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Alla ricerca dell’eroe
L’EROE SOLDATO
Abbagliato dalla gloria che la Grande Guerra pareva portare, l’Eroe presto esce
sempre di più dalle pagine scritte per venire a far parte della realtà quotidiana. E’ probabilmente in questo periodo che la figura dell’eroe acquista il significato che troviamo
nella prima voce del vocabolario: persona che dimostra grande coraggio e si sacrifica
per gli altri. Proprio adesso, infatti, gli uomini sono costretti a trasformarsi in soldati e
poi in eroi per la patria, per la famiglia, per ideali che a volte sentono propri e a volte
non sentono proprio. L’Eroe ritorna ad avere le sembianze dei semidei greci, anche
se il modo di fare la guerra è cambiato e la morte non è più un ultimo estremo atto di
gloria.
fotografia di soldati inglesi
Nonostante i pareri contrastanti sull’effettiva spinta eroica dei soldati delle guerre mondiali (molti si chiedono, infatti, se essi non siano semplicemente stati vittime dei fini politici
ed economici dei potenti), non si può negare il
loro coraggio.
Delfino Borroni, l’ultimo rappresentante della Seconda Guerra mondiale, morto nel
2008 a 110 anni, ha raccontato ad un’intervista al Corriere della Sera poco prima della sua
morte:
Delfino Borroni
Se non è eroismo questo…
Caporetto è stato il posto peggiore che ho visto durante la guerra. La vita in
trincea era terribile. Il freddo, la fame, il rombo delle granate, poi c’erano gli attacchi con il gas. Quando pioveva, poi, si aveva la tentazione di dormire, ma quello
era il momento in cui un attacco era più facile, allora il capitano passava, con
indosso il suo cappello nero e ci urlava di stare all’erta. Una sera dei soldati del
suo battaglione fuggirono dall’accampamento per andare a trovare le loro mogli,
che vivevano in un paese lì vicino. Furono scoperti e mandati davanti al plotone
d’esecuzione, ma noi compagni impedimmo la loro morte urlando “allora ammazzateci tutti”, perché tanta era la nostalgia delle nostre famiglie
Delfino Borroni
38
Alla ricerca dell’eroe
Figura :”La città che sale (il lavoro)”, Boccioni, 1910
Da quando ho imparato a camminare mi piace correre.
F.W. Nietzsche
Portavoce di questo nuovo eroe-soldato degli inizi del Novecento è sicuramente
il movimento Futurista, il cui padre fondatore, Filippo Tommaso Marinetti, delinea un
personaggio simbolo della filosofia futurista nel suo romanzo Mafarka le futuriste,
roman africain.
Scritto e pubblicato per la prima volta presso la casa editrice francese Sansot,
nel 1909, portò l’autore a subire un processo a causa di alcune descrizioni provocatorie ed esagerate. Infatti, nell’opera Marinetti crea il re di Tell-el-Kibir, Mafarka-el-Bar,
per riproporre alcuni dei punti elencati nei suoi manifesti, come la glorificazione della
guerra, il disprezzo per il sentimentalismo, l’inferiorità della donna, la guerra come
sola igiene del mondo… Tutta la storia ruota attorno alle gesta eroiche del sovrano, il
cui scopo principale è di raggiungere quella soglia del superomismo fisico e spirituale
decantata da Nietzsche, finché, alla morte improvvisa del fratello, egli non rinuncia al
trono e intraprende un viaggio in mare per consegnare la salma ai genitori.
Di ritorno da questo viaggio purificatore, Mafarka sarà un uomo nuovo, con uno
scopo nuovo: creare, attraverso la propria volontà, un figlio, Gazurmah. Egli è l’archetipo dell’immaginario marinettiano: il fisico d’acciaio e le ali lo rendono il simbolo del
movimento, mentre il fatto di essere immortale lo pone al di sopra della natura. La
prima cosa che farà, infatti, è alzarsi in volo e prendere il posto del sole, diventando
così un dio.
Così la grande speranza del mondo, il gran sogno della musica totale, si
realizzava finalmente nelle ali di Gazurmah...Il volo di tutti i canti della terra si
sublimava nel loro ampio remeggiare ispirato!... Divina brama della Poesia! Desiderio di fluidità! Nobili consigli dei fumi e delle fiamme!...
E Gazurmah saliva. La melodia esaltante e soave delle sue ali aranciate
aveva ammansato uno stormo di condor, che lo seguiva pel cielo, lunga sciarpa
continuamente annodata e snodata...
“Mafarka il Futurista”, Marinetti
I manifesti del Futurismo
Manifesto del Futurismo
(Pubblicato da “Le Figaro”il 20 Febbario 1909)
Marinetti
Uccidiamo il Chiaro di luna
(Aprile 1909 ) Marinetti
Manifesto dei Pittori futuristi (11Febbraio 1910)Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini
La pittura futurista - Manifesto tecnico (11Aprile1910)Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini
Contro la Venezia passatista
(27Aprile 1910) Marinetti, Boccioni, Carrà, Russolo
Manifesto dei Musicisti futuristi(11Gennaio 1911)Pratella
La musica futurista-Manifesto tecnico (29 Marzo 1911) Pratella
Manifesto della Donna futurista (25 Marzo 1912) Valentine de Saint-Point
Manifesto della Scultura futurista
(11Aprile 1912) Boccioni
Manifesto tecnico della Letteratura futurista
(11 Maggio 1912)
Marinetti
L’arte dei Rumori
(11 Marzo 1913) Russolo
L’immaginazione senza fili e le Parole in libertà (11 Maggio 1913)
Marinetti
L’Antitradizione futurista
(29 Giugno 1913)Guillaume Apollinaire
La pittura dei suoni, rumori e odori
(11Agosto 1913) Carrà
Pittura e scultura futuriste
(1914) Boccioni
Manifesto dell’Architettura futurista
(1914) Sant’Elia
Il teatro futurista sintetico
(1915) Carrà, Settimelli, Marinetti
La ricostruzione futurista dell’universo (1915) Balla, Depero
La Scenografia futurista(1915) Prampolini
Manifesto del cinema futuristi(1916)
Marinetti, Corra, Settimelli, Ginna, Balla ,Chiti
Manifesto della danza futurista (1917) Marinetti
Manifesto del partito futurista italiano (1918) Marinetti
Futurismo e Fascismo (1924) Marinetti
Manifesto dell’Aeropittura
(1929) Marinetti
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Alla ricerca dell’eroe
L’EROE SENZA ARMATURA
Allora, il buon Medardo disse:
_O Pamela, questo è il bene dell’essere dimezzato: il capire d’ogni persona e cosa
al mondo la pena che ognuno e ognuna ha per la propria incompletezza. Io ero intero
e non capivo, e mi muovevo sordo e incomunicabile tra i dolori e le ferite seminati dovunque, là dove meno da intero uno osa credere. Non io solo, Pamela, sono un essere
spaccato e divelto, ma tu pure e tutti. Ecco ora io ho una fraternità che prima, da intero,
non conoscevo: quella con tutte le mutilazioni e le mancanze del mondo. Se verrai con
me, Pamela, imparerai a soffrire dei mali di ciascuno e a curare i tuoi curando i loro
Italo Calvino
Italo Calvino si pone nel mondo dei creatori di eroi in modo alquanto nuovo: mettendo da parte l’ineluttabile fallimento dell’eroe contemporaneo, egli cerca di ricrearne
uno nuovo, ma più vero e razionale, lontano dai gesti grandiosi eppure significativi.
Ne Il barone rampante, infatti, il protagonista Cosimo Piovasco di Rondò, per sfuggire
alle provocazioni del padre, decide di vivere sugli alberi, solo, in una condizione che
all’apparenza porterebbe solo all’esclusione sociale, ma che in verità permette una
più completa visione delle cose e della vita. Una realtà razionale e giusta, che può
essere realizzata solo osservando le cose dall’esterno, non ha bisogno di eroi.
”Il cavaliere inestente”, Arzan
Ma è con Il cavaliere inesistente che Calvino rappresenta pienamente l’uomo
moderno nella sua impossibilità di esistere, di essere vero, autentico: recuperando l’epopea cavalleresca di Agilulfo, l’autore ci presenta in modo ironico un eroe
che altro non è che una un’idea astratta, un’affascinante, coraggiosa ed allettante
armatura di niente, perché ricca di virtù ma priva di tutti quei difetti che rendono gli
uomini tali. Come gli uomini moderni rinchiusi in leggi morali e città grigie, l’eroe
inesistente non è altro che un’armatura abbagliante al cui interno non c’è nulla e
perciò non è più un eroe, ma solo parole vane.
Ecco che Calvino sembra trasformare gli altri personaggi, più rozzi, più umani, negli eroi autentici.
Pubblicato nel 1959, “Il cavaliere inesistente” fa parte della trilogia” I nostri
Antenat”i, assieme “il barone rampante” e “Il visconte dimezzato”.
Questo racconto vuole in realtà rappresentare una realtà sociale, cioè la
conquista dell’essere, oggi divenuta
molto difficile visto tutti i modelli che ci
vengono proposti. Agilulfo che in verità era “vuoto” rappresenta la società di oggi, in cui l’uomo è sempre più
“vuoto”, più superficiale e attaccato
alle cose frivole come se fosse privo di
qualcosa: ma non di qualcosa di pic”Icaro”, Matisse, 1944
colo ed insignificante ma probabilmente quello che si va sempre più dimenticando sono i valori fondamentali e basilari come lo può essere importante e
basilare un corpo per un cavaliere.
Calvino, grazie alla completa padronanza del linguaggio, ha saputo rendere
piacevole e scorrevole l’intero racconto.
42
Alla ricerca dell’eroe
Imparerà anche lui...Neppure noi sapevamo d essere al mondo..Anche ad essere si impara.
La Sfida del Corpo dovrebbe aver dimostrato a ognuno di voi che la mente controlla il
corpo. Il corpo può continuare ad andare fintanto che la mente è forte. Una volta che ne avete la consapevolezza, non ci sono limiti a ciò che potete raggiungere. L’impossibile diviene
possibile, se soltanto la mente ci crede.
dal libro “La via della spada. Young samurai” di Chris Bradford
L’EROE SAGGIO
foto da il codice segreto dei samurai
44
Alla ricerca dell’eroe
Uno sguardo verso Oriente
Nel giapponese moderno, il termine che esprime il concetto di eroe è eiyu, la
cui denominazione sarebbe: “Individuo che eccelle nelle arti letterarie e militari, dotato
di straordinarie facoltà e per questo in grado di compiere imprese fuori dal comune”.
Già dal linguaggio è possibile notare come l’Eroe nipponico differisca per certi aspetti
da quello occidentale: egli, infatti, deve avere una grande competenza di arti militari
come anche nelle arti letterarie, che sono considerate inscindibili e necessarie per lo
sviluppo del guerriero.
Quello che appare dall’analisi di una delle leggende più importanti del Giappone classico, Yamato Takeru, considerato l’eroe per eccellenza, è la figura di un eroe
diverso. Al contrario degli eroi della tradizione occidentale, che sono quasi sempre
vincenti, quello giapponese spesso prova una certa simpatia per la sconfitta, andando
incontro ad una morte inevitabile e dignitosa pur di contrapporre la loro purezza alla
condotta eticamente scorretta che in
realtà lo condurrebbe al successo. Il
principe Yamato, figlio dell’imperatore
Keiko nel IV secolo d.C., compie gesti
estremi ed efferati, che lo costringeranno a stare lontano dalla famiglia
e dalla società (egli, infatti, in un impeto di rabbia, ucciderà il gemello e
lo taglierà a pezzi, destinandosi ad
un futuro di lotte continue e solitudine). Solo verso la fine della sua vita
si rende conto della sua mancanza di
rispetto nei confronti del padre e della
famiglia e diventerà effettivamente un
eroe solo dopo la morte.
Ma non si può comprendere a
fondo il valore della morte nella vita
dell’eroe orientale senza introdurre
il concetto di “on”. Esso è alla base
della società giapponese ed identifica
principalmente un obbligo, un debito
che si ha verso qualcuno.
“Samurai”, Rodolfotroll
Senza addentrarci in una filosofia sociale piuttosto complessa, l’on è il concetto
chiave che lega qualsiasi legame interpersonale, in particolar modo quando da questo
debito ne va dell’onore stesso.
L’esagerazione della concezione dell’on si ha con la creazione delle virtù che i
Samurai dovevano possedere a tutti i costi. Ritenuti gli eroi più fedeli e forti del Giappone, la storia dei Samurai è racchiusa in una singola vicenda avvenuta nel periodo
Edo (1600-1869), conosciuta come l’episodio dei Quarantasette Ronin. Ma il testo più
famoso è sicuramente l’opera di Yamamoto Tsunetomo, Hagakure, in cui il samurai
fa trascrivere ad un suo allievo i pensieri e le massime più importanti della filosofia di
questa classe di guerrieri. Benchè Tsunemoto avesse espressamente ordinato che il
volume venisse bruciato dopo la sua morte, esso divenne il testo fondamentale dell’etica segreta marziale. Solo nel 1906 divenne pubblico, tanto che alle soglie della
In sintesi, la storia dei Quarantasette Ronin parla degli uomini del guerriero Asano
(ucciso per non aver portato un dono al suo signore) che, dopo aver atteso per due
anni, pianificando l’attacco, lo vendicarono uccidendo il cortigiano e tutti i suoi discendenti maschi. Nonostante avessero seguito i precetti del bushidō vendicando il loro
padrone e la loro impresa fosse stata vista con forte approvazione dai nobili di corte,
46 dei 47 rōnin vennero a loro volta obbligati a commettere seppuku per aver sfidato
l’autorità imperiale. Il più giovane di loro, Terasaka Kichiemon, invece ricevette l’ordine di rimanere in vita per continuare a fare con regolarità le offerte in favore degli
spiriti degli altri condannati, poiché solo uno dei quarantasette rōnin era abbastanza
valoroso da essere degno di farlo. La vicenda, che si è svolta tra la prima metà di
marzo del 1701 (Asano commetterà seppuku il 14) ed il quattro febbraio del 1703
(anno in cui i ronin saranno costretti dal bakufu, il governo, ad uccidersi), ha ispirato
un gran numero di racconti e rappresentazioni di teatro Kabuki, la più nota delle quali
è il Chushingura. Gli uomini di Asano divennero eroi popolari, incarnando lo spirito del
bushidō e furono in ogni tempo oggetto di un vero e proprio culto. Poiché la parola
rōnin ha, nel linguaggio comune, una valenza spregiativa, i protagonisti della vicenda
sono designati come “Quarantasette gishi (uomini retti)”.
Il loro leader, Oishi Kuranosuke, è rappresentato da una statua bronzea posta nel
1921 all’entrata del tempio Sengakuji di Tokyo, cioè nel luogo in cui si compì il loro
destino e in cui si trovano le loro tombe[1].
Ogni anno sulla tomba i giapponesi arrivano da tutta la nazione per deporre dei fiori
in ricordo del loro eroico sacrificio. Grazie al cinema, al teatro e alla letteratura questa
vicenda è diventata popolare in tutto il mondo, caratterizzando in se stessa il vero
spirito del bushidō (un’interpretazione in chiave moderna è il film Ronin, con Robert
De Niro).
Un’interpretazione comica dei fatti si trova anche in “Il tesoro di Kira”, un episodio
della seconda serie di Lupin III.
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Alla ricerca dell’eroe
Guerra Mondiale venne strumentalizzato per indurre il popolo alla cieca obbedienza,
alimentando il fanatismo dei giovani arruolati nel corpo speciale dei kamikaze.
Quando Nakano Takumi era in punto di morte, la sua casa intera si raccolse
intorno a lui ed egli disse: <<Tre sono le regole che il samurai deve rispettare:
obbedire alla volontà del daimio, essere forte e sempre pronto a morire.
(VIII, 70)
La morte, infatti, era per i samurai un atto di volontà, un grande gesto di onore
per l’animo nobile. Si legge nel libro:
Su queste basi l’antropologa Ruth Benedict rivolse particolare attenzione agli
aspetti della società giapponese connessi con l’idea della guerra. Nel suo libro Il crisantemo e la spada, quando durante la Seconda Guerra Mondiale l’America si ritrovò
a dover raccogliere informazioni per poter conoscere l’estraneo e sconosciuto nemico
che era il Giappone, Bededict sottolinea come il fine principale della potenza nipponica fosse di imporre i propri canoni di vita a tutte le altre nazioni e il loro concetto
secondo il quale la materia non è necessaria ma subordinata allo spirito li abbia portati
ad avere l’arma più potente di cui un esercito potesse disporre: un grandioso spirito
di sacrificio. I piloti suicidi chiamati kamikaze e denominati dai soldati americani come
“baka bomb” (bomba idiota)erano conosciuti dai giapponesi con la definizione “Oka”.
Questo nome evoca i fiori di ciliegio, simbolo di purezza ed evanescenza.
Piloti suicidi giapponesi impiegati nella seconda guerra mondiale dall’ottobre 1944
all’agosto 1945. La strategia degli attacchi suicidi con aeroplani destinati a schiantarsi
sulle navi statunitensi fu decisa dal viceammiraglio Oonishi Takijirou, comandante del 1°
Kokukantai (Prima Flotta Aerea). Nella riunione del 19 ottobre 1944 a Mabalacat (Filippine), fu stabilita la formazione dello “Shinpuu tokubetsu kougekitai” (Gruppo speciale
d’assalto vento divino).
Il nome kamikaze (vento divino) fu attribuito in ricordo della tempesta, così chiamata,
che nel XIII secolo spazzò via la flotta d’invasione di Kubilai Khan. La grave decisione
fu adottata a causa delle pessime condizioni in cui versavano le forze nipponiche. Dopo
la sconfitta a Leyte (Filippine) e il fallimento dell’operazione Shou (vittoria), l’inferiorità in
mezzi, rifornimenti e uomini era netta. Ogni attacco aereo era destinato al fallimento, il
velivolo sarebbe stato abbattuto dai caccia avversari o dalla contraerea. Perciò si decise di continuare a combattere a costo del sacrifico supremo. Molti piloti accettarono con
entusiasmo la scelta di continuare la lotta con questo mezzo estremo, e tanti furono
anche i volontari. Gli attacchi kamikaze furono dal punto di vista militare un fallimento.
Infatti i danni recati al nemico furono limitati e mai decisivi. Ma dal punto di vista morale
essi furono impressionati. Gli americani rimasero stupefatti nel constatare la determinazione del nemico, e per ovvie ragioni culturali avvertirono come disumana quella strategia di guerra. Combattere contro un nemico che non si comprendeva rendeva tutto ciò
destabilizzante.
Oggi i nomi dei piloti kamikaze sono conservati nello Yasukuni Jinja, un tempio shintoista di Tokyo. Le visite al tempio di alcuni premier giapponesi (come quelle di Nakasone nel 1985 e di Koizumi nel 2001) sono state oggetto di aspre critiche.
Ma si deve ricordare che i kamikaze sacrificarono le loro vite per il Giappone, non
contro qualcosa e qualcuno, oppure a favore di una classe politica, ma per l’intero paese.
copertina di “Kamikaze, l’epopea dei guerrieri suicidi”, L.v.Arena
“I fiori di ciliegio selvatico- spiegava un ufficiale volontario in una di queste unità –dispiegano il loro splendore, poi perdono i petali senza rimpianti: è così che noi dobbiamo
prepararci a morire, senza rimpianti”.
Nonostante gli alleati vedessero in Hagakure-il libro segreto dei samurai la causa del militarismo dei soldati giapponesi e bruciarono migliaia di copie al termine dello
scontro mondiale, non si può negare quanto la figura letteraria dell’eroe giapponese
sia vissuta e viva in stretta identificazione con il suo reale popolo: il samurai è stato
certamente cancellato dalla sua elevazione sociale, pur vivendo nella quotidianità
vera.
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Alla ricerca dell’eroe
Infatti, come è accaduto in Occidente, questo eroe si è ritrovato a scontrarsi con
una società massificata e materialista dove non c’è più spazio per l’onore. Ultimo atto
di un moderno samurai quale Mishima Yukio è stato appunto il suicidio rituale, l’urlo
più efficace per testimoniare l’esistenza di un valore più alto persino della vita, in una
vita dove non esistono più ideali. Per questo ultimo eroe di un’era passata, il suicidio
era l’ultimo atto di libertà che richiamava gli antichi valori giapponesi. Ma in verità non
si è dimostrato altro che un nuovo volto dell’autodistruzione moderna.
Yukio Mishima è stato uno scrittore, drammaturgo, patriota e artista marziale
giapponese. Con la sua tragica morte avvenuta in diretta televisiva nel 1970 all’età
di quarantacinque anni (data studiata e ponderata accuratamente), con il suicidio
rituale (seppuku), durante l’occupazione simbolica del ministero della difesa, suggellò la conclusione insieme della sua vita e della sua vicenda letteraria.
La sua uscita di scena era stata organizzata con lucidità e freddezza. Uscendo
dal suo studio per andare incontro all’epilogo della sua vita lascia un biglietto in
cui era scritto «La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre». Tuttavia
è necessario ed indispensabile ricordare che la morte ha sempre ossessionato
Mishima durante tutta la sua vita, un’ossessione che si riflette chiaramente nelle
sue opere.
L’EROE OGGI
locandina del film “300”, Zack Snyder
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Alla ricerca dell’eroe
Allyson Felix
locandina del film “Scontro tra Titani”, di Louis Leterrier
E oggi dove sono gli Eroi?
L’antropologo francese Marc Auge, specializzato in miti e comportamenti della
contemporaneità, è convinto che gli eroi siano tornati.
E’ un eroe che sceglie il dovere e l’anonimato. Non cerca sesso e potere, né celebrità
e successo. Ciò che motiva la sua scelta è il desiderio di ritrovarsi dalla parte dell’azione,
in nome di valori e ideali. In lui ritroviamo due elementi: il sacrifico e la redenzione
La differenza sostanziale che Augé sottolinea tra l’eroe moderno e quello del
passato è il fatto che il primo non cerca di superare limiti naturali, né si vuole porre al
di sopra della massa, ma anzi tenta in tutti i modi di essere normale. Come protagonisti del cinema o gli sportivi, i nuovi eroi sono effimeri e momentanei, hanno perso la
loro immortalità.
Viviamo in un periodo poco epico, senza grandi progetti. E l’universo mediatico funziona
come una nuova cosmologia, al cui interno si muovono personaggi eroici di tutti i tipi e per
tutti i gusti, dal militante all’artista allo scienziato, l’importante però è che esistano e che,
la nostra società ne ha bisogno crescente
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Alla ricerca dell’eroe
Wu Ming (per esteso: Wu Ming Foundation) è un collettivo di scrittori provenienti
divenuto celebre con il romanzo “Q”.
A differenza dello pseudonimo aperto “Luther Blissett”, “Wu Ming” indica un preciso nucleo di persone, attivo e presente sulle scene culturali dal gennaio del 2000.
Il gruppo è autore di numerosi romanzi, tradotti e pubblicati in molti paesi, autodefinitesi parte del corpus (o “nebulosa”) del New Italian Epic. Il gruppo ha riassunto
questa impostazione in un motto: “Trasparenti verso i lettori, opachi verso i media”.
Ecco come Wu Ming 1 ha spiegato la posizione del gruppo in un’intervista del
2007:
«Una volta che lo scrittore diventa un volto separato e alienato (nel senso letterale), comincia una ridda cannibalica, quel volto appare ovunque, quasi sempre a
sproposito. La foto testimonia la mia assenza, è un vessillo di distanza e solitudine.
La foto mi blocca, congela la mia vita in un istante, nega il mio trasformarmi in qualcos’altro, il mio divenire. Divento un ‘personaggio’, un tappabuchi per impaginazioni
frettolose, uno strumento che amplifica la banalità. Al contrario la mia voce, con la
sua grana, con i suoi accenti, con la sua dizione imprecisa, le sue tonalità, ritmo
e pausa, tentennamenti, è la testimonianza di una presenza anche quando non ci
sono, mi porta vicino alle persone, e non nega il mio divenire perché è una presenza dinamica, mossa, tremolante anche quando sembra ferma».
un’immagine dal sito italiano della WU MING FOUNDATION
Mai come oggi, infatti, eroi mitici e supereroi riprendono vita grazie al cinema e
alla televisione: i protagonisti dei romanzi prendono vita sullo schermo ed entrano nelle nostre case con un volto, un corpo, un’espressione ben definita, forse impoverendo
il potere della fantasia, ma comunque diventandoci più familiare, più vicini. Difatti, per
muovendosi in trame e spazi legati al fantasy o all’epica da cui nascono, i nuovi eroi
hanno perso la sicurezza che li rendeva tali, che li rendeva più simili agli dèi. Oggi
l’Eroe ha sceso definitivamente le scale che lo ponevano accanto alle divinità, per
diventare una persona comune, spesso con difetti ben superiori alla media.
copertina fumetto “I vendicatori”, Marvel
Afferma il sociologo Phillipe Corcuff, nel suo saggio Una società di vetro:
Si sta delineando un eroismo che di Achille, più che la spada, fa suo il tallone
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Alla ricerca dell’eroe
Sceso dall’olimpo degli eroi, questo nuovo personaggio acquista infatti tratti sempre più ambigui, come dimostrano gli innumerevoli romanzi dai tratti gotici e grotteschi.
Nel suo articolo sulla letteratura moderna, pubblicata il 26 dicembre 2009 sul web,
Leonardo Guzzo scrive riguardo a vampiri e pirati, i nuovi protagonisti dell’immaginario
collettivo.
“Vi sembrano davvero creature fantastiche? Quanto sono estranei, o piuttosto
incredibilmente vicini, al mondo che ci circonda? Non è proprio l’ambiguità il tratto
caratteristico di questa nostra epoca, sospesa tra cinismo distruttivo e promesse incompiute, prigioniera del “vorrei ma non posso” o, peggio, del “potrei ma non voglio”?
Nati come trappole acchiappa-lettori, pirati e vampiri diventano ingegnose, e forse
involontarie, metafore dei tempi, simboli disumani di una umanità in crisi. Altro che
fantasia: nella tortuga delle guerre invisibili e dei guasti climatici, del precariato e del
disagio sociale, della giustizia ingiusta e della politica gridata, nel crepuscolo dell’insicurezza, dell’indecenza, dell’ipocrisia pirati e vampiri siamo un po’ tutti.”
Ne L’eroe imperfetto di Wu Ming4 l’autore (gli autori) ci presenta un eroe in crisi
ma necessario, che si rivela più utile proprio nei momenti in cui non sembra essere
necessario.
E mai più di oggi ritengo che le persone abbiano un estremo bisogno di eroi nuovi, di eroi che forse dovrebbero appartenere più alla “Morale dei signori” che a quella
“degli schiavi”, per citare ancora una volta Nietzsche: persone normali, con problemi
normali, che però decidono di tentare qualcosa di nuovo per il bene di molti.
“La morale dei signori” privilegia i valori dell’individualismo e del disinteresse, della fierezza
e dell’orgoglio, della volontà di potenza e della generosità. “La morale degli schiavi “è invece una morale sociale ed utilitaristica, interamente sospettosa e diffidente, che sul piano
individuale predica l’umiltà e il rispetto delle forme, e sul piano sociale la democrazia e il
socialismo.
Ognuno di noi è un eroe tutti i giorni, perché ci vuole coraggio per vivere e per
scegliere. Ci si può consolare leggendo libri, fumetti, guardando film, ma credo che
troppo spesso finzione e realtà si trovino a coincidere e così a confondere le idee: si
sente sempre più spesso dire che siamo un unico grande popolo, dove non esistono
più barriere e limitazioni grazie alle comunicazioni, eppure siamo sempre più distanti
dalla realtà vera.
E’ bello sentire che, accanto ai calciatori, alle modelle, ai cartoni animati, i bambini
dicano che i loro eroi possono essere figure come Gandhi, Martin L. King, Mandela…
Perché gli eroi dei romanzi possono anche nascere nella realtà, ma sta a noi aiutarli a
diventare tali.
Sono proprio contento che quello di domani sarà un eroe non mitologico, ma uno che,
pur avendo coscienza della finitezza umana, non rinuncerà a mettersi in gioco. Per sé e per
gli altri
Conclude Augé:
Speriamo di non attendere troppo questo nuovo eroe.
Bibliografia
“Amleto”, Shakespeare, Biblioteca ideale Giunti
“Ultime lettere di Jacopo Ortis”, Foscolo, Biblioteca ideale Giunti
“Siddharta”, Hermann Hesse, Piccola Biblioteca 32, ADELPHI
“Il cavaliere inesistente”, Italo Calvino, Oscar Mondadori junior
“Il barone rampante”, Italo Calvino, Biblioteca dei ragazzi
“L’eroe tragico moderno”, Agostino Lombardo, Donzelli editore
“La comunicazione filosofica-il pensiero contemporaneo”, Domenico Massaro,
edizione paravia
“Letture e lettori-antologia italiana per il biennio”, Franca Gavino Olivieri, casa
editrice G.Principato
“Hagakure-il libro segreto dei samurai”, Yamamoto Tsunetomo, oscar mondadori
“Storia della letteratura italiana-dalle origini a Dante”, diretto da Enrico Malato,
Piccola Biblioteca del Sole 24 ore
“Lezioni spirituali per giovani samurai”,Yukio Mishima Milano, Feltrinelli, 1990,
pag. 126.
“La Divina Commedia”, Dante Alighieri, Principato
“Manuale di Letteratura”, volume 2-3, Romano Luperini, Pietro Cataldi, Lidia
Marchiani, Franco Marchese, G.B. Palumbo editore
“Antologia della letteratura italiana-parte seconda” A.Gianni, M. Balestreri, A.
Pasquali, casa editrice G. D’Anna
“Il pugnale votivo di Gabriele d’Annunzio. Orazioni e messaggi fiumane”, Giancarlo Lancellotti
Sitografia
“Chi sono i Kamikaze”, articolo on line della dottoressa Simonetta Costanzo
“Aspetti socio-culturali dell’eroismo in Giappone”, di Capocelli Mirko Mario
“Frasi e Aforismi”, PensieriParole
www.gabrieled’annunzio. Net
www.italialibri.net/autori/calvino.htmal
Doc.studenti.it>l’orlandofurioso
Balbruno.altervista.org-ludovico ariosto
http://spazioinwind.libero.it/letteraturait/opere/marinetti01.htm
http://www.sapere.it/sapere/strumenti/studiafacile/letteratura-greca/L-et--arcaica/a-I-Iliade--Odissea--I-e-il-corpus-omerico/La-questione-omerica.html
http://www.bluedragon.it/medioevo/poema_epico_cavalleresco.htm
http://it.wikipedia.org/wiki
Google immagini
http://uac.bondeno.com/fquadro/scritti/i_nuovi_eroi.htm
http://www.corriere.it/cronache/08_ottobre_26/borroni_morto_1dc9ba5e-a3a011dd-8d2c-00144f02aabc.shtml
http://www.catanzaroinforma.it/pgn/rubriche.php?rubrica=441
Alla ricerca dell’eroe
Indice
1. Per cominciare……………………….................….pag. 2
2. L’Eroe divino………….....................……………….pag.3
3. L’Eroe cavaliere……………………….....................pag.7
4. L’Eroe addolorato………...................……………..pag.13
5. L’Eroe sconfitto………………..................…………pag.20
6. Il Non-eroe……………………………..................…pag.27
7. L’Oltre-uomo………………......................…………pag.31
8. L’Eroe soldato……………………...................…….pag.36
9. Eroe senza armatura………………...................….pag.41
10. L’Eroe saggio: uno sguardo verso Oriente………pag.45
11. L’Eroe oggi………...........................………………pag.51
12. Bibliografia e Sitografia..……...........................…pag.56
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E mai più di oggi ritengo che le persone abbiano un estremo bisogno di eroi nuovi, di eroi che forse dovrebbero appartenere più alla “Morale dei signori” che a quella “degli
schiavi”, per citare Nietzsche: persone normali, con problemi
normali, purchè decidano di tentare qualcosa di nuovo per il
bene di molti.
Ognuno di noi è un eroe, tutti i giorni, perché ci vuole coraggio per vivere e per scegliere.