Francesco Marzano e Francesca Rigato Dall’Eroica di Beethoven a Ein Heldenleben di Strauss. La figura dell’eroe percorre come un fil rouge la letteratura musicale dal XVII al XX secolo: mutevole, proteiforme e dinamico, l’Eroe respira i cambiamenti della storia, si adegua sensibilmente a ogni novità culturale, rispecchia il suo tempo. E allo stesso modo, l’opera, la sinfonia o il poema sinfonico che lo ospitano si piegano a illustrarne fedelmente la natura. Due titoli imprescindibili sono la Terza sinfonia di Beethoven, detta “Eroica” e il poema sinfonico “Ein Heldenleben” (Vita d’eroe) di Richard Strauss. Quasi un secolo li separa: la prima, “composta per festeggiare il sovvenire di un grand’Uomo” (e non più specificamente Napoleone, a seguito della delusione del compositore per l’incoronazione di Bonaparte), vide la luce tra il 1803 e il 1804 e fu eseguita dapprima privatamente per il principe Lobkowitz, patrono del compositore di Bonn, poi pubblicamente a Vienna il 7 aprile 1805. “Ein Heldenleben”, fu invece completato nel 1898; Strauss sentiva l’esigenza di “appagare l’urgentissima necessità di eroismo” della sua epoca, a cui non bastava la sinfonia di Beethoven, “così poco amata” dai direttori contemporanei di Strauss. Scrisse dunque un “enorme poema sinfonico”, per un vasto organico che comprende otto corni (particolarmente adatti secondo il compositore ad esprimere l’eroismo), articolato in sei sezioni (L’eroe – Gli avversari dell’eroe – La compagna dell’eroe – L’eroe in battaglia – Le opere di pace dell’eroe – Il ritiro dell’eroe da questo mondo e il suo compimento). Accomunati dal soggetto e dalla tonalità d’impianto (Mi bemolle maggiore), i due capolavori si collocano alle estremità opposte del XIX secolo: da una parte c’è Hegel, dall’altra Nietzsche, da una parte dei gruppi tematici ben individuabili e “cantabili”, dall’altra la complessità di temi articolati e sfuggenti. Inoltre, se dell’eroe beethoveniano si celebrano i funerali nello struggente secondo movimento (Marcia funebre), l’eroe straussiano forse non muore, se il suo percorso è astratto e ideale più che storico e il suo “Vollendung” finale può intendersi come ascesa più che morte. Nei secoli l’eroe ha mutato la sua stessa matrice ideologica: se l’eroe di Händel era un ideale, astratto e non esistente in natura, tanto da venir rappresentato in scena dal castrato, l’eroe di Beethoven si fa uomo. Il passo ulteriore è compiuto dall’eroe di Strauss: Übermensch, Superuomo. Per quanto distante da Strauss, la Terza sinfonia di Beethoven può essere a buon diritto considerata come capofila di una nuova stagione musicale, piuttosto che come punto conclusivo del Classicismo. Il musicologo Paul Baker sostiene che con questa Sinfonia inizia una “nuova era”. Prova ne è il fatto che la reazione dei critici alla prima del 1805 fu di perplessità, o meglio confusione: legati a categorie interpretative classiche (che permettevano loro di inquadrare perfettamente le sinfonie dei contemporanei Franz Danzi o Ignaz Pleyel), non si ritrovarono dinnanzi a Beethoven. La Terza è un unicum per una serie di scelte compositive (si veda di seguito), ma soprattutto per l’imperativo categorico di dare priorità alla Musica, alla quale viene subordinato tutto il resto – committenti e consuetudini comprese. Beethoven è un punto fermo della rappresentazione eroica: Wagner, Hugo e Busoni sono tutti arrivati a questa stessa conclusione, pur mettendo in luce diversi concetti di eroismo. La sinfonia si apre con due incisivi accordi di Mi bemolle maggiore di tutta l’orchestra, che affermano la tonalità d’impianto e dai quali scaturiscono tutte le idee musicali del primo movimento in forma-sonata (Allegro con brio), a partire dal primo gruppo tematico (battuta 3) la cui melodia è costituita unicamente dalle note della triade di Mi bemolle. Il tema è esposto una prima volta dai violoncelli nel registro grave e poco dopo (batt. 15) dai fiati all’acuto: scelta piuttosto insolita 1 rispetto alla prassi compositiva classica, che l’avrebbe affidato ai violini in un registro intermedio, assecondando le consolidate gerarchie tra famiglie strumentali. Un ulteriore elemento che contribuisce alla caratterizzazione innovativa della sinfonia è l’introduzione di un efficace cromatismo proprio nelle battute iniziali: un lungo Do diesis (batt. 7) che, passando dal Re, risolve sul Mi bemolle cinque battute dopo. È solo il primo di una serie di passaggi cromatici di cui è ricco l’Allegro. Il secondo gruppo tematico (batt. 45) si presenta in contrasto col precedente. Mentre il primo inizia con ritmo tetico (in battere) e sulla triade di Mi bemolle, questo è anacrusico (inizia in levare) ed è introdotto per spostamento: l’accordo di settima di dominante risolve sul quinto grado tonicizzato (Si bemolle). Inoltre, se il primo ha un andamento chiaramente accordale, il secondo procede per continui cromatismi: oboe, flauto e violini si alternano nell’esporre incisi di frasi sinuose e leggere, caratterizzate dalla figurazione quarto puntato–ottavo–quarto e ben distanti dall’imponente primo tema. Un elemento tuttavia accomuna inequivocabilmente i due gruppi tematici: il cromatismo. Rivoluzionario per il 1805, il cromatismo beethoveniano, motore di questa sinfonia, spianerà la strada a Wagner nella ricerca della “melodia infinita” (Wagner renderà un grande tributo all’ispiratore nella monografia “Beethoven” del 1870). Due temi con carattere ibrido dunque, non più nettamente antitetici: testimonianza del fatto che stanno cambiando le dinamiche compositive, che porteranno alla sonata in si minore di Liszt, addirittura monotematica. Dopo lo sviluppo, carico di tensione armonica e ritmica (resa per mezzo delle sincopi), vi è la ripresa, anticipata dai corni che attaccano la melodia del primo gruppo tematico mentre gli archi stanno ancora suonando accordi di settima di dominante di Mi bemolle: un ulteriore esempio di coesistenza di elementi contrastanti e di ibridazione. Un tema, una struttura musicale – ci insegna già Beethoven – può contenere anche il suo contrario. Qui sta allora il vero eroismo della Terza: l’eroismo di Beethoven che riesce a trovare unità nella varietà, in quell’estremo sforzo unificatore che vedrà il suo supremo compimento nel gioioso invito della Nona, in cui le parole di Schiller (Seid umschlungen, Millionen! Abbracciatevi, moltitudini!) non fanno che esplicitare e parafrasare un messaggio già chiaramente evocato dalla sostanza sonora. 2