FUNZIONE E SIGNIFICATO DEL MITO Come l’incipit di molte fiabe<<c’era una volta>>anche il mito rimanda ad un tempo indefinito del passato,ad età spesso astoriche,prive di esatte coordinate spaziotemporali,che,quindi,fanno pensare agli albori dell’umanità,un’umanità ingenua e fantasiosa che cercava risposte ai molti perché della realtà in modo fanciullesco,popolando il mondo di esseri diversi,dotati,comunque,di poteri sovrannaturali,in grado di compiere atti impossibili ai mortali. Ed è proprio in questo senso di inferiorità dell’uomo primitivo rispetto ad esseri superdotati che si può leggere un senso religioso che legava i nostri avi a queste figure fantastiche,mitiche appunto,percepiti come concreti,tanto da dedicare loro voti,templi, con culti che le generazioni custodivano e tramandavano. Tradizioni che,oltre al pantheon popolare,comprendevano anche eroi semidei,secondo una scala gerarchica rigidamente rispettata,in cui si ritrovava l’immaginario collettivo con tutte le sue credenze,i suoi rituali,ma soprattutto il suo sapere. Il mito,difatti,considerato in senso lato,costituiva l’unica risposta ai tanti interrogativi che l’uomo di ogni tempo si pone difronte al mistero e all’inafferabilità di tanti fenomeni. In un tempo in cui la speculazione filosofica e scientifica era ancora assente dalla mente umana,tutto si spiegava fantasticamente,da questo l’importanza accordata da antropologi e sociologi all’analisi del mito,carico di valenze simboliche afferenti alle varie manifestazioni della sfera spirituale,quindi elemento di coesione sociale,strumento di interpretazione della realtà,archetipi di modelli ancestrali,molti dei quali ripresi dalla teoria psicoanalitica come coacervo di reazioni emotive,morali,ecc. Il complesso di edipo resta sintomatico al riguardo,come tanti altri fenomeni della sfera psichica:narcisismo, effetto Pigmalione,ecc. Un mondo,quindi,che fino alla nascita del logos(V-IV sec. a C.) e la conseguente codificazione delle discipline filosofiche,matematiche,storiche,ha costituito quella che oggi potremmo definire un’enciclopedia primitiva che raccoglieva passato e presente per tramandarlo,consacrandolo ad una memoria imperitura. IL consolidarsi del logos,sino alla nascita del metodo scientifico e della fantascienza non ha spento l’eco delle imprese di eroi e figure mitiche,che continuano ad emanare il loro fascino anche in un mondo proiettato sempre più verso il futuro. 1 1 <<Quando la fantascienza non si interessa solo ai problemi tecnologici ma si occupa della spiritualità interiore dell’uomo allora si avvicina all’eternità del mito>>,ha argomentato il critico e scrittore inglese B. Aldiss. E d è proprio secondo questa considerazione che l’eroe virgiliano continua a vivere ancora oggi nel pathos,nella solitudine nella disperazione di quanti inseguono una terra promessa,in un peregrinare verso i limiti del mondo conosciuto,in un’avventura verso l’ignoto con tutte le incognite del caso,della sorte,della fatalità. Ne “IL Notturno” D’Annunzio scriveva:<<La stanza dove scrivo ha nella volta la storia di Anchise salvato da Enea,l’incendio di Troia.E guardo quelle figure ch’empirono di strani sogni la mia fantasia>>. Sogni che conducono inevitabilmente a riflessioni circa il ruolo e il significato che un personaggio così carismatico ha svolto nell’ambito del mito e della storia. L’archeologia ha ormai accertato l’esistenza della mitica città di Troia,grazie agli scavi promossi da H. Schliemann tra il 1871-74 sulla collina di Hisserlik,in Turchia,l’antica Troade,nella quale, secondo i poemi omerici era esistita la città intorno a cui erano stati cantati i grandi eroi greci e troiani,protagonisti dello scontro. Tra i nove strati ritrovati,il secondo recava tracce di incendio che condussero l’archeologo ad identificare quel secondo insediamento con la città distrutta dagli Achei intorno al 1250 a. C. Ma,se l’esistenza della città può dirsi confermata dall’archeologia,non altrettanto può dirsi dei suoi eroi,quindi dello stesso Enea,che,superstite,fugge in cerca di una nuova patria per i sopravvissuti e per i Penati,con la missione provvidenzialistica di dare origine alla stirpe romana,secondo l’epopea virgiliana. Un personaggio,dunque,affascinante,carico di storia,secondo anche l’etimologia del nome su cui si sono fatte varie ipotesi altrettanto affascinanti,seppure diverse. Secondo gli studiosi di onomanzia,infatti,il termine potrebbe derivare dal greco aine o ainos:lode,ma anche riconoscimento,storia,quindi laudato,cioè degno di lode; ma potrebbe anche essere correlato ad ainos nel senso di orribile,terribile,colui quindi che incute paura. Accanto all’etimologia greca ne esisterebbe,tuttavia,un’altra pregreca di senso incerto,riconducibile molto probabilmente al nome di Aina,ossia Afrodite,pertanto potrebbe trattarsi di un nome matronimico,cioè figlio di Venere,secondo quanto tramanda anche la tradizione. 2 2 Nella “Teogonia” di Esiodo si recita,infatti,<<Diede la vita a Enea Citerèa dalla vaga corona,/che con Anchise l’eroe si strinse d’amabile amore/sopra le vette dell’Ida selvosa,solcata di valli>>. Fu lo stesso padre degli dei,Zeus,secondo il mito,che stanco delle tentazioni della bella figlia adottiva,volle umiliarla,facendola innamorare perdutamente di un comune mortale:Anchise,pastore frigio,figlio di Capi e di Temistao,che pascolava le sue mandrie proprio sul monte Ida. Ed è qui che venne alla luce il futuro eroe,allevato nei primi anni di vita dalle ninfe,istruito poi dal centauro Chirone,figlio di Crono e Filira,il quale,a differenza degli altri centauri,era mite,giusto e benefico,famoso per essere stato maestro di altri grandi eroi,quali Ercole,Achille, Giasone. Stando ai natali,dunque,Enea avrebbe origini divine,quindi,un semidio,di origine orientale,almeno per parte di padre,(celeste per parte materna) la Frigia difatti,regione dell’ Asia Minore,invasa da popolazioni indo-europee intorno al XIII°secolo a. C.,appunto i Frigi,nel periodo greco comprendeva la zona occidentale dell’altopiano anatolico,dove era sorto un regno con capitale Gordio,inglobato poi in quello persiano e successivamente in quello di Alessandro Magno. Un popolo,tuttavia,affine a quello della Tracia e ai Macedoni,regione europea che,confinante con l’ Ellesponto,si sa,ruotava nell’orbita greca;d’altronde per molto tempo si è parlato di Eurasia,proprio per la difficoltà di stabilire netti confini di divisione tra i due continenti.Peraltro,l’origine celeste per parte di madre,rendeva Aineas,latinizzato Aeneas,suscettibile di influssi imprescindibili da spazi ben definiti,data l’ubiquità della presenza divina. Sulla base,dunque,di tali supposizioni,il futuro fondatore della stirpe romana sarebbe dotato di tutte le virtù del codice greco,così come viene tramandato dai poemi omerici,in particolare dall”’Iliade”,che vede Enea protagonista insieme con altri eroi troiani,per aver sposato Creusa,figlia del re Priamo. Un codice,quindi,acquisito per via del matrimonio,anche se la Troade,di cui Troia era la capitale,era situata fuori dal raggio d’influenza greca,e,allora,sorge l’enigma:perché cantare Enea alla stregua degli eroi greci? Una risposta potrebbe fornirla lo scontro greco-persiano,perché come scrive Erodoto nelle “Storie” le guerre persiane hanno rappresentato un evento decisivo della storia europea,e,precisamente la contrapposizione tra oriente ed occidente,proprio per la presa di coscienza da parte dei greci del loro valore. 3 3 Pertanto la vittoria di Maratona,delle Termopoli rappresentano più che un fatto di eroismo,la vittoria del coraggio e della libertà su una concezione dell’uomo basata sul timore e sulla sottomissione. Nell’immaginario greco,infatti,la lotta contro il nemico persiano si identificò ben presto come lotta della libertà contro la tirannia,entrando nel patrimonio culturale dell’occidente. Concezione che ,oltre che dalle Storie erodotee e dalla tragedia “I Persiani” di Eschilo, viene anche confermata(intorno al 420 a. C.) dal famoso medico ateniese Ippocrate ,che nel “Trattato dell’aria,delle acque,dei luoghi”sottolineava come<<dove gli uomini non sono padroni,ma subiscono il comando di un signore,non si preoccupano del modo come sosterranno le fatiche della guerra,ma di come eviteranno di sembrare atti alle armi. Non vi è infatti equa ripartizione dei pericoli:ai sudditi spetta necessariamente di combattere,di sostenere le fatiche e di affrontare la morte in difesa dei loro signori…mentre i signori vedranno crescere il loro prestigio per tutti gli atti nobili e generosi compiuti dai sudditi,i quali invece non ne trarranno altro frutto che pericoli e morte… Ecco una valida conferma a queste mie affermazioni:tutti i popoli asiatici,siano essi elleni o barbari,che non subiscono il dominio assoluto di un solo signore,ma vivono autonomi e sostengono fatiche per il loro personale vantaggio,sono i più bellicosi di tutti:i pericoli,infatti,li affrontano nel loro proprio interesse ed essi soli riportano i premi del valore,come pure i danni della viltà>>. Giudizi che,se per l’età e la paternità degli autori,potrebbero suscitare dubbi sulla veridicità dei fatti,vengono confermati dai posteri,compresi quelli moderni come il nostro critico letterario F. De Sanctis,che a proposito della battaglia di Maratona ha scritto che si tratta indubbiamente di<<una di quelle che hanno avuto maggior efficacia nella storia del mondo;la prima grande decisiva vittoria degli europei sugli orientali dovuta alla superiorità della disciplina,del valore,dell’armamento e del comando che compensarono largamente,qui,come altre volte in seguito,l’inferiorità del numero e dei mezzi>>. Opinioni condivise anche da storici,tanto da paragonare la strategia dell’ateniese Temistocle,durante la vittoriosa battaglia di Salamina,all’astuzia di Ulisse,virtù greche immortalate dai versi di Tirteo:<< Bello all’uomo valoroso è il morire/per la patria pugnando in prima fila;/ma tristissimo la città paterna lasciare/ e i dolci campi..>> E il poeta Simonide scriveva<<Dei morti alle Termopili/gloriosa la 4 4 sorte,bello il destino,/ un altare è la tomba.Non lamenti,memoria!/ Il compianto è elogio>>. Versi nei quali l’ideale eroico,a differenza di Omero,connotato in maniera individualistica,in quanto scaturito dal desiderio di gloria personale,assume un significato collettivo,quindi un valore politico,inteso come sacrificio,abnegazione per il bene comune:<<Ma quello che,nelle prime file caduto,il soffio vitale perdette,/di gloria la città fregiando e la sua gente e il padre,/giovani e vecchi del pari lo piangono/e per il rimpianto doloroso tutta la città è in lutto>>,recitano ancora i versi di Tirteo.Da questo momento,infatti,ovvero dallo scontro persiano,l’idea eroica della gloria assume una risonanza politica,che cambia in un certo senso la concezione dell’aretè greca. La nascita della polis,infatti,aveva contribuito a creare una coesione sociale non particolarmente sentita nel periodo precedente,quindi,all’epoca dello scontro con Troia,quando il codice dell’eroe omerico si fondava sull’idea di onore e di fato,legati rispettivamente al prestigio difronte alla collettività e alla sottomissione ad un’entità superiore,misteriosa,che governa il destino degli uomini e degli dei,secondo decreti immutabili: la Tiche. Nella Grecia arcaica,infatti,come nella maggior parte delle civiltà indoeuropee vigeva una morale pubblica fondata sul concetto di vergogna,in base alla quale a legittimare l’aretè individuale era l’opinione pubblica,che col suo riconoscimento acclarava l’onore dell’eroe,il suo senso di eccellenza nelle attività in cui occorrevano forza,coraggio,astuzia,come nella lotta e soprattutto nella guerra. Contrariamente a quanto avviene nelle moderne società,definite dagli antropologi<<culture della colpa>>,nella civiltà omerica non vigevano divieti,ma modelli positivi di comportamento,dettati da una morale competitiva che richiedeva l’affermazione del proprio onore,la timè,attraverso il coraggio e la forza fisica. Un modello sociale,dunque,che proiettava all’esterno il valore dell’individuo,che, proprio in base alle sue azioni veniva legittimato o delegittimato dal gruppo. Pertanto,il disonore,la perdita cioè della stima collettiva,si identificava con la vergogna(aidòs),la disapprovazione del gruppo,che condizionava gli impulsi,i comportamenti personali,sanzionati non da divieti,trasgressioni di regole,ma da un rigido controllo sociale,rispetto al quale l’importante era <<essere detti>> piuttosto che essere realmente. 5 5