Eccidio di Cefalonia
L'eccidio di Cefalonia fu compiuto da reparti dell'esercito tedesco a danno dei soldati italiani
presenti su quelle isole alla data dell'8 settembre 1943, giorno in cui fu annunciato l'armistizio di
Cassibile che sanciva la cessazione delle ostilità tra l'Italia e gli anglo-americani. In massima parte i
soldati presenti facevano parte della divisione Acqui, ma erano presenti anche finanzieri,
Carabinieri ed elementi della Regia Marina. Analoghi avvenimenti si verificarono a Corfù che
ospitava un presidio della stessa divisione Acqui.
La guarnigione italiana di stanza nell'isola greca si oppose al tentativo tedesco di disarmo,
combattendo sul campo per vari giorni con pesanti perdite, fino alla resa incondizionata, alla quale
fecero seguito massacri e rappresaglie nonostante la carrazione di ogni resistenza. I superstiti furono
quasi tutti deportati verso il continente su navi che finirono su mine subacquee o furono silurate,
con gravissime perdite umane.
Premesse
Dopo l'entrata in guerra dell'Italia nel 1940 a fianco della Germania, Mussolini decise di condurre
una "guerra parallela" per non restare indietro di fronte alle vittorie conseguite dalla Wehrmacht. In
particolare decise di invadere la Grecia, per cercare di affermare i Balcani come sfera di influenza
italiana. La spedizione in Grecia tuttavia non ebbe l'esito previsto, e le operazioni presto si
arenarono. L'esercito greco, più determinato e avvantaggiato dal terreno e dalla conoscenza dei
luoghi, riuscì anche a respingere profondamente le truppe italiane in territorio albanese. Nella
primavera del 1941, comunque, la superiorità in armi e mezzi del Regio Esercito, unita all'attacco
tedesco in Tracia, fece collassare le difese elleniche, costringendo così alla resa gli uomini del
generale Papagos. La Grecia fu così sottoposta a occupazione, spartizione e controllo bipartito
italotedesco. Agli italiani, in particolare, venne assegnato il controllo delle Isole Ionie ma
guarnigioni tedesche erano dislocate in punti strategici a rinforzo dello schieramento italiano.
Gli schieramenti
Antonio Gandin, comandante della 33ª Divisione fanteria "Acqui".
Strategicamente molto importanti, le isole di Corfù, Zante e Cefalonia presidiavano l'accesso a
Patrasso e al Golfo di Corinto. La 33ª Divisione fanteria "Acqui" del generale Antonio Gandin fu
stanziata nelle isole, col grosso, composto dal 17º e 317º reggimento fanteria (giunto a Cefalonia nel
maggio 1942), dal 33º Reggimento artiglieria, dal comando e dai servizi divisionali a Cefalonia e il
18º reggimento fanteria a presidio di Corfù.
A Cefalonia oltre alla Acqui era presente la 2ª Compagnia del VII Battaglione Carabinieri
Mobilitato più la 27ª Sezione Mista Carabinieri, da reparti del I° Battaglione finanzieri mobilitato,
dai marinai che presidiavano le batterie costiere (una da 152 mm ed una da 120 mm) ed il locale
Comando Marina, dal 110º Battaglione mitraglieri di corpo d'armata, tre ospedali da campo ed altre
unità tra le quali il 188º Gruppo artiglieria di corpo d'armata (con tre batterie da 155/14) ed il 3º
Gruppo contraereo da 75/27, per un totale di circa 12.000 uomini. Fino a fine agosto, organica alla
divisione era anche la 27ª Legione CC.NN. d'Assalto, che aveva sostituito la 18ª Legione già con la
Acqui durante la campagna di Grecia, ma la caduta del fascismo ne comportò il richiamo in patria.
Il generale della Luftwaffe Alexander Löhr, comandante dello Heeresgruppe E
Le batterie di artiglieria in funzione antinave, armate con pezzi di preda bellica tedesca di
provenienza francese e belga, ma affidate a personale italiano della Regia Marina, furono dislocate
sulle coste dell'isola ed in particolare nella penisola di Paliki e nei pressi di Argostoli. I reparti
presenti a Cefalonia dipendevano dall'VIII corpo d'armata, a difesa dell'Etolia-Acarnaia, mentre il
18º reggimento dipendeva dal XXVI corpo d'armata dispiegato in Epiro ed Albania. Questi due
corpi d'armata comprendevano forze italotedesche in Grecia ed erano inquadrati sotto la 11ª armata
con comando ad Atene, dipendente a sua volta dallo Heeresgruppe E tedesco; l'armata in quel
momento era comandata dal generale Carlo Vecchiarelli. In questa stessa armata erano inquadrate la
104. Jäger-Division (VII corpo d'armata) e 1. Gebirgs-Division (XXVI corpo d'armata) che
prenderanno parte ai successivi avvenimenti.
Progressivamente i tedeschi dispiegarono un loro presidio composto dal 966º Reggimento
Granatieri da fortezza su due battaglioni (909º e 910º), al comando dell'oberstleutnant (tenente
colonnello) Hans Barge, e dalla 2ª batteria del 201º Battaglione Semoventi d'assalto, composta da
otto StuG III con cannone da 75 mm, più uno StuH42 da 105 mm. Questi ultimi si posizionarono
insieme ad una compagnia del 909º nel pieno centro di Argostoli, il capoluogo dell'isola.
L'operazione tedesca faceva parte di una progressiva manovra di "incapsulamento" dei reparti
dell'11ª Armata di stanza in Grecia, per prevenire eventuali defezioni o cedimenti in caso di sbarco
angloamericano.
La Acqui era composta da personale inesperto, come il 317º Reggimento neocostituito e composto
da personale richiamato o che non combatteva da due anni come il 17º fanteria e il 33º artiglieria
che avevano preso parte alla campagna di Grecia, mentre il 966º Reggimento tedesco era forte di
circa 1.800 uomini. Lo svantaggio italiano si faceva anche sentire a livello di artiglieria, dove i
pezzi, tranne quelli di preda bellica e i 75/27 contraerei, erano quasi tutti obsoleti. Praticamente
assente era la Regia Aeronautica, mentre la Regia Marina - oltre a reparti di terra - aveva solo unità
di naviglio sottile, tra cui alcuni MAS e dragamine.
I fatti di Cefalonia
Il precipitare della situazione
Fino ai primi mesi del 1943 la convivenza tra soldati italiani e tedeschi nell'isola non aveva
presentato problemi e vennero anche svolte esercitazioni comuni di difesa; le cose cambiarono
radicalmente dall'8 settembre di quello stesso anno, quando venne reso noto che il governo
Badoglio aveva firmato un armistizio con i britannici e gli statunitensi, denunciando di fatto
l'alleanza tra Italia e Germania.
8 settembre
Le prime reazioni da parte della Divisione Acqui furono di grande stupore ma anche di gioia,
nell'illusione che la guerra stesse per finire. Dopo i festeggiamenti, comunque, alle 20:15 vengono
mandate fuori le pattuglie di vigilanza. Un atto ostile viene compiuto dai tedeschi quando uno dei
semoventi ad Argostoli punta il suo cannone contro il dragamine Patrizia, all'ancora, che per
risposta punta a sua volta le mitragliere di bordo.
Alle 21:30 dell'8 settembre il generale Vecchiarelli (come comandante dell'11ª armata) inviò un
messaggio a Gandin che testualmente riportava:
« Seguito conclusione armistizio, truppe italiane 11ª armata seguiranno seguente linea condotta. Se
tedeschi non faranno atti di violenza armata, italiani non, dico non, faranno causa comune con ribelli né
con truppe anglo-americane che sbarcassero. Reagiranno con forza a ogni violenza armata. Ognuno
rimanga al suo posto con i compiti attuali. Sia mantenuta con ogni mezzo disciplina esemplare. Firmato
generale Vecchiarelli »
I tedeschi avevano comunque iniziato l'attuazione dell'Operazione Achse, consistente nel disarmo
forzoso ed internamento delle truppe italiane. Poco dopo le 22:30, viene ricevuto l'ordine per le navi
presenti ed in grado di muoversi di raggiungere immediatamente Brindisi, ancora in mano agli
italiani.
9 settembre
Secondo gli ordini di Gandin della sera prima, il II battaglione del 17º reggimento, in riserva a
Mazarakata, insieme a tre batterie del 33º reggimento, venne spostato ad Argostoli a protezione del
quartier generale; le tre batterie sono la 1ª da 100/17 comandata dal capitano Amos Pampaloni, la 3ª
da 100/17 del capitano Renzo Apollonio e la 5ª da 75/13 del capitano Abele Ambrosini. Gandin
inviò anche una compagnia di fanteria, l'11ª del 17º comandata dal capitano Pantano, a presidiare il
bivio di Kardakata, posizione strategicamente importante in quanto situata su delle alture che
dominano le coste ad est dell'isola. Alle 5 del mattino, una autocolonna tedesca con vari plotoni di
rinforzo proveniente da Lixuri, la parte nord dell'isola dove era acquartierato il grosso del 966º,
tentò di passare; gli italiani puntarono le armi costringendo i tedeschi a tornare indietro. Alle 7 una
colonna di rifornimenti scortata da cannoni anticarro venne bloccata alla periferia di Argostoli dai
cannoni della 3ª batteria, ma il comando di divisione ordina poi di lasciarli passare. Alle 9 Gandin
ricevette il tenente colonnello Barge per discutere della situazione. Il tedesco chiese di ottemperare
alle disposizioni di Vecchiarelli, che sono arrivate anche ai reparti tedeschi della 11ª armata, relative
alla non belligeranza contro i tedeschi. Alle 09:50 venne ricevuto un ulteriore dispaccio, sempre da
parte del comando di Atene, in cui si ordinava di cedere tutte le armi collettive a disposizione:
« Seguito mio ordine dell'8 corrente. . Presidi costieri devono rimanere attuali posizioni fino a cambio
con reparti tedeschi non oltre però ore 10 giorno 10 ... Siano lasciate ai reparti tedeschi subentranti armi
collettive e tutte artiglierie con relativo munizionamento ... Consegna armi collettive per tutte Forze
Armate Italiane in Grecia avrà inizio a richiesta Comandi tedeschi a partire da ore 12 di oggi. Generale
Vecchiarelli »
Sulla base di questo messaggio iniziarono a manifestarsi tra gli ufficiali diverse correnti di pensiero
sulla linea di condotta da tenere, con alcuni decisamente antitedeschi ed altri (i tenenti colonnelli
Uggè e Sebastiani) che invece ritennero di dover continuare a combattere insieme ai tedeschi. In
mezzo, molti altri vorrebbero la cessione delle armi ai tedeschi e ritengono impraticabile una seria
resistenza.
10 settembre
La discussione tra i soldati italiani sul da farsi ferve, anche a causa di volantini diffusi dalla
resistenza greca che riportano: "Soldati italiani! È giunta l'ora di combattere contro i tedeschi! I
patrioti ellenici sono al vostro fianco Viva l'Italia libera! Viva la Grecia libera!". In realtà i patrioti
ellenici, pur facendosi consegnare armi a questo scopo, non daranno nessun appoggio alla lotta,
come gli italiani scopriranno a loro spese. Nel frattempo il comando e la truppa della Acqui
vengono informati dal sergente Baldessari, proveniente dal presidio di Santa Maura che il presidio è
stato catturato dai tedeschi, ed il suo comandante colonnello Ottalevi e due ufficiali sono stati
uccisi. Secondo alcuni, i tedeschi richiesero la consegna delle armi individuali dopo aver ottenuto la
consegna delle armi pesanti mentre secondo altri i tedeschi furono "provocati".
Durante l'incontro tra Gandin e Barge entrambe le parti prendono tempo; da parte italiana si aspetta
un chiarificarsi della situazione ed istruzioni dettagliate dal Comando Supremo con possibili
rinforzi ignorando che lo stesso Comando non è in grado di operare per la fuga a Brindisi del re
Vittorio Emanuele III e dello stato maggiore, mentre i tedeschi cercano ancora di ottenere il disarmo
in modo incruento. I tedeschi però programmano comunque la fucilazione degli eventuali resistenti:
un telegramma dello Heeresgruppe E ai comandanti delle grandi unità dipendenti dice testualmente
« Dove vi sono reparti italiani o nuclei armati che oppongono resistenza bisogna dare un ultimatum a
breve scadenza. Nell'occasione occorrerà dire con veemenza che gli ufficiali responsabili di questo
tipo di resistenza verranno fucilati quali franchi tiratori se, alla scadenza dell'ultimatum, non avranno
dato alle loro truppe l'ordine di consegnare le armi. »
Ma tra le truppe italiane molti soldati e anche vari ufficiali inferiori sono per la resistenza ai
tedeschi, principalmente Apollonio, Pampaloni ed Ambrosini tra gli ufficiali del 33º reggimento
artiglieria, manifestando dubbi su Gandin, insignito di croce di ferro dai tedeschi per le sue azioni
sul fronte russo e con relazioni personali nell'OKW; anche la quasi totalità dei marinai a cominciare
dal loro comandante capitano di fregata Mastrangelo ed i suoi ufficiali. Gandin invece ha valutato
che la superiorità numerica locale non compensa la presenza di oltre 300.000 tedeschi tra Epiro e
Jugoslavia e la numerosa aviazione germanica e cerca ancora di trattare una resa onorevole, non
avendo alcuna evidenza di un possibile aiuto alleato al combattimento o all'evacuazione. Per questo
consulta i suoi ufficiali dello stato maggiore e i comandanti di reggimento in merito, alla ricerca di
un parere sulla eventuale cessione delle armi; il colonnello Romagnoli, comandante del 33º
reggimento artiglieria, e Mastrangelo sono per la resistenza mentre il generale Gherzi,
vicecomandante della divisione e comandante della fanteria, il tenente colonnello Fioretti, capo di
stato maggiore della divisione, il tenente colonnello Cessari, comandante del 17º reggimento
fanteria, e il maggiore Filippini, comandante del genio divisionale, sono per la cessione delle armi
pesanti secondo le richieste tedesche.
11 settembre
I tedeschi presentarono un ultimatum in nove punti a firma di Barge, imponendo il disarmo totale
della divisione con la consegna delle armi nella piazza centrale di Argostoli entro il 12 settembre
alle ore 18 davanti all'intera popolazione (punti 1 e 3), proibendo altresì (punto 5) la consegna di
materiale alla "popolazione" greca; il punto 6 minacciava un intervento "senza riguardo" in caso di
sabotaggi o violenze contro i tedeschi mentre il punto 7 prometteva genericamente "agli ufficiali e
soldati disarmati un trattamento cavalleresco". Gandin rispose con una lettera con oggetto
"Richiesta di chiarimenti" dove tra l'altro sottolineava l'impossibilità di adempiere nei tempi
richiesti alla consegna dei materiali. A quel punto la quasi totalità dell'artiglieria della Divisione
Acqui (non solo il 33º ma anche l'artiglieria divisionale) e i reparti della Regia Marina, venuta a
conoscenza delle condizioni di resa, si rifiutò categoricamente di accettare l'ultimatum, preparando
un piano di azione contro i tedeschi, designando gli obiettivi e cercando accordi con i partigiani
greci dell'ELAS. La nuova richiesta di Barge, che come unica concessione prevedeva la consegna
delle armi in luogo "nelle vicinanze di Argostoli" per evitare il disonore di una resa pubblica,
pervenne al quartier generale ma non fa alcun cenno al trasferimento in Italia della divisione. Nella
giornata, anche se vi sono dubbi sull'ora dell'esatta ricezione e per alcuni sopravvissuti anche del
giorno (il 13 invece dell'11), arriva un radiomessaggio del generale Rossi, vice del capo di stato
maggiore generale Ambrosio: "Considerare le truppe tedesche nemiche". Gandin alle 17 incontrò i
sette cappellani della divisione, ai quali illustrò la situazione e chiese anche a loro un parere; tranne
uno, tutti invitarono Gandin a cedere le armi. Alle 17:30 Gandin incontrò poi Barge chiedendogli
una dilazione fino all'alba; per tranquillizzare i tedeschi che già stavano sbarcando rinforzi nella
parte dell'isola vicina alla costa e sotto il loro parziale controllo, propone il ritiro dei reparti che
presidiano le alture di Kardakata, dalla quale si dominano le spiagge dove questi reparti sbarcavano
e le due strade che lì si incrociavano facendone uno snodo strategico per spostarsi sull'isola. Questo
ritiro però non si estende all'artiglieria dislocata sulla penisola di Paliki e presso Fiskardo, le cui
batterie saranno quindi sotto la minaccia tedesca senza la protezione della fanteria.
Nel frattempo i quattro dragamine ancorati a Fiskardo salpano verso l'Italia dopo aver legato il loro
comandante; Fioretti e Barge iniziano un lungo colloquio per specificare i dettagli del disarmo.
12 settembre
Il sottotenente Battista Actis, co-autore del libro Cefalonia: l'ultima testimonianza, fotografato sull'isola nel 1943
In seguito all'ordine di arretramento su Razata inviato al II battaglione del 317º, molti soldati
contestarono e si rifiutarono di caricare le munizioni sui mezzi e due mitragliatrici vennero puntate
sugli autocarri; dopo l'intervento di alcuni ufficiali inferiori, arrivò il maggiore Fanucchi,
comandante del battaglione e fu ferito di striscio da un colpo di fucile. Il fatto ebbe l'effetto di
placare gli animi e la protesta rientrò. Nel frattempo il piano di sbarazzarsi con la forza dei tedeschi
veniva dettagliato e le batterie del 33º entrarono in stato di allarme, senza l'avallo del comando di
divisione. La stazione radio della Marina si mise in contatto con le forze navali alleate a Malta con
un radiogramma in chiaro, che viene intercettato dai tedeschi come tutto il traffico in entrata e
uscita dall'isola. Nella risposta, il comando alleato ricordò (ma il fatto non era a conoscenza dei
militari sull'isola) che la corazzata Roma era stata affondata e che i tedeschi dovevano essere
considerati come nemici. Esiste un'altra versione, raccontata nel documentario RAI Tragico e
glorioso 1943 del 1973, secondo la quale questa informazione sarebbe stata trasmessa dalla sala
radio della corazzata Vittorio Veneto sempre a Malta. Le parole usate nel video furono "La Roma è
stata affondata; non cedete le armi". I tedeschi nel frattempo annullarono il previsto
bombardamento su Argostoli, ma mentre Barge era ancora convinto di poter effettuare il disarmo, le
spinte insurrezionali aumentarono di ora in ora; un ufficiale, il capitano Gazzetti, venne ucciso per
aver rifiutato di consegnare immediatamente il camion col quale stava trasferendo delle suore ad
alcuni marinai che volevano trasportare armi.
Mentre Barge alle 16 riprendeva i colloqui con il comando della Acqui, i tedeschi disarmarono e
presero prigioniero il personale delle batterie costiere che da San Giorgio (2ª batteria da 105/28
dell'artiglieria divisionale) e da Chavriata (2ª batteria da 100/27 del 33º reggimento), nella penisola
di Paliki, controllavano dal nord la baia di Argostoli e lo stesso comando tedesco a Lixuri. Un
semovente tedesco della 201ª batteria punta il suo cannone contro la 3ª batteria, ma
immediatamente viene puntato da un pezzo della stessa e dai pezzi della 5ª batteria di Ambrosini e
deve andarsene. Inoltre vi furono richieste molto pressanti da parte di alcuni ufficiali del 33º
Reggimento artiglieria, tra i quali Amos Pampaloni e Renzo Apollonio, che arrivarono addirittura,
secondo i resoconti del tenente colonnello Giovanni Battista Fioretti, appartenuto allo stato
maggiore della divisione, al limite dell'ammutinamento tanto che lo stesso gli si rivolse in questo
modo "Siete venuti qui in veste di comandanti di reparto o come capibanda?", al fine di iniziare le
ostilità contro i tedeschi.
Ci furono anche gesti di intolleranza nei confronti di Gandin, e in un episodio un carabiniere lanciò
addirittura una bomba a mano verso la vettura nella quale stava transitando il generale, ma l'ordigno
non esplose.
13 settembre
Alle 2 del mattino il tenente colonnello Siervo, comandante del II/317º, informò di persona
Pampaloni che, dietro ordine di Gandin, il suo battaglione doveva essere spostato presso il cimitero
di Argostoli; questo implicava che le tre batterie (1ª, 3ª e 5ª) che presidiavano il porto non avrebbero
avuto alcuna copertura di fanteria per difendersi da eventuali attacchi. Immediatamente Pampaloni
si consultò con Siervo e con il colonnello Romagnoli, comandante del 33º, chiedendo di far
revocare l'ordine, ma Romagnoli, sentito Siervo sull'affidabilità sotto il fuoco del suo battaglione,
non ritenne di poter acconsentire; il II/317º si spostò presso la nuova posizione.
Alle 6 del mattino, il colonnello Ricci assistette al bombardamento da parte di velivoli tedeschi di
piroscafi italiani partiti da Patrasso. Ad Argostoli, Pampaloni svegliò Apollonio comunicandogli
che due motozattere tedesche, secondo una sua valutazione "zeppe di uomini e mezzi", stavano per
attraccare alla banchina, a pochissima distanza dal comando di divisione e dalla guarnigione tedesca
in città comandata da Fault. Apollonio osservò ed allertò anche la 5ª batteria di Ambrosini, peraltro
già con i serventi ai pezzi di loro propria iniziativa. Come più anziano in grado, Apollonio diede
l'ordine di aprire il fuoco, ma le due mitragliere Breda da 20mm rimosse dal dragamine Patrizia ed
aggregate alla 3ª batteria iniziarono autonomamente a sparare sui due pontoni. Le due motozattere,
la F494 e la F495, vennero quindi colpite dal fuoco ravvicinato di mitragliere, cannoni da 100/27 e
75/13 dell'esercito e ben presto dai pezzi da 120mm e 152mm della Marina posti a Lardigò
(attualmente Ammes) e Minies (ora Avithos). Un mezzo affondò, l'altro attraccò protetto da una
cortina fumogena stesa dai cannoni tedeschi che sparano dalla penisola di Paliki e dai semoventi
della 2ª batteria del 201º battaglione di Argostoli. I tedeschi dopo aver fatto approdare la
motozattera, ricevettero ordine da Barge di cessare il fuoco mentre questi contattò il quartier
generale della Acqui per chiedere altrettanto, ma quando il capitano Postal, aiutante maggiore di
Romagnoli, notificò l'ordine di Gandin a Pampaloni, ma "la linea cade in continuazione"; la 5ª
batteria rifiutò di eseguire un ordine che venga da "traditori" e non da Apollonio. Presentatosi
direttamente alla 3ª batteria, intimò di cessare il fuoco, ma Apollonio rispose che i tedeschi stanno
ancora sparando. Dopo assicurazione di Postal che anche i tedeschi hanno ricevuto analogo ordine,
non ordinò il cessate il fuoco se non dopo una minaccia di Postal con le testuali parole "Guarda che
qui va a finir male". Durante lo scontro, la 411ª batteria del 94º gruppo di artiglieria abbandonò la
posizione per sbarrare l'accesso al comando di divisione. Alla fine i tedeschi conteranno 5 morti e 8
feriti, mentre gli italiani un ferito grave, ma i fanti del 17º e del 317º non erano in alcun modo
intervenuti nel combattimento anche quando i tedeschi avevano assaltato le batterie al porto.
Dopo l'episodio i tedeschi, che ancora non avevano disponibile un numero sufficiente di truppe
sull'isola, tentarono un ulteriore negoziato, promettendo un imbarco per l'Italia controllata dai
tedeschi a condizione che le truppe avessero ceduto le armi e si fossero concentrate nei porti di
Sami e Poros, già sapendo che questo non sarebbe mai avvenuto, in ottemperanza alle disposizioni
di Hitler contenute nel piano Achse; il negoziatore nella circostanza, tenente colonnello della
Luftwaffe Hermann Busch, chiese anche di conoscere i nomi degli ufficiali che avevano aperto il
fuoco con le motozattere. Nel frattempo il numero degli ufficiali fautori della resistenza ai tedeschi
aumentava, comprendendo anche il tenente colonnello Deodato ed il capitano dei carabinieri Gasco,
da cui dipendava il militare che aveva lanciato la bomba a mano verso la macchina di Gandin.
Mentre Gandin diffonde un messaggio alle truppe che recita.:
« A tutti i Corpi e Reparti dipendenti. Comunico che sono in corso trattative con rappresentanti il
Comando Supremo Tedesco allo scopo di ottenere che alla Divisione vengano lasciate le armi e le
relative munizioni. Il generale di Divisione Comandante Gandin »
Contemporaneamente il generale Lanz decollò da Giannina per Cefalonia con un idrovolante, ma
mentre tentava di ammarare ad Argostoli venne preso di mira dalla contraerea italiana e scese a
Lixuri, da dove telefonò a Gandin; non vi sono tracce scritte della conversazione, ma mentre Lanz
testimonierà al processo di Norimberga che il generale italiano era stato informato di quell'ordine
senza scampo (la fucilazione in caso di resistenza), così come Barge, nessun sopravvissuto tra gli
italiani accennò ad un simile fatto, tanto meno si evince dall'ultimatum inviato da Lanz a Gandin in
quell'occasione, che ammonisce solo che (punto 2) se non verranno cedute le armi, le forze armate
tedesche costringeranno alla cessione. e dichiara che (punto 4) la divisione che ha fatto fuoco su
truppe e navi tedesche ... ha compiuto un aperto ed evidente atto di ostilità. Nel contempo, una
ulteriore provocazione veniva fatta dai tedeschi che nella piazza principale di Argostoli, piazza
Valianos, ammainavano la bandiera italiana, ma venivano prontamente disarmati dai soldati della
Acqui che issavano nuovamente la bandiera sul pennone. Nel frattempo a Corfù un battaglione della
divisione Edelweiss che tentava di sbarcare veniva respinto con poche perdite ma gravi danni ai
mezzi da sbarco, il che poneva i tedeschi in difficoltà nel tentativo di sopraffare la Acqui, mentre il
negoziatore sul posto, maggiore Harald von Hirschfeld, relazionava sulle possibili ulteriori modalità
di attacco all'isola. Il maggiore sarà in seguito pesantemente coinvolto nel massacro.
Mentre durante la giornata Apollonio, Pampaloni ed Ambrosini erano stati convocati al comando di
divisione, ed il vice di Gandin, Gherzi, era arrivato ad apostrofare Pampaloni dicendo tu sei una
testa calda, e questi rispondeva che tra le truppe si parla di tradimento da parte del comando di
divisione, la possibile resa si trasforma in decisione di resistenza; ulteriori fatti, come il pesante
bombardamento di Corfù ed in particolare il capoluogo Kerkira da parte della Luftwaffe, la
ricezione di un messaggio da Zacinto che annunciava la resa del generale Paderni e quattrocento
militari italiani, prontamente spediti in Germania, e la certa (a questo punto) ricezione del
radiomessaggio a firma Ambrosio che invita a considerare truppe tedesche come nemiche e
regolarvi di conseguenza fanno si che Gandin riposizioni i due reggimenti di fanteria in funzione
del combattimento, con uno schieramento orientato verso la costa greca e il presidio tedesco di
Argostoli. Infine secondo alcune fonti Gandin avrebbe promosso un referendum tra le truppe per
saggiare la loro volontà di combattere i tedeschi, mentre altre fonti mettono pesantemente in
discussione questa ipotesi.
14 settembre
Il 14 settembre alle ore 12 Gandin informò i tedeschi del risultato del "referendum" effettuato tra i
soldati della Divisione, rimarcando sulla scarsa fiducia che i soldati avevano nelle promesse dell'ex
alleato di rimpatriarli accontentandosi delle armi pesanti e collettive; nella versione tedesca della
lettera Gandin disse tra l'altro "La divisione si rifiuta di eseguire l'ordine di radunarsi nella zona di
Sami perché teme di essere disarmata, contro tutte le promesse tedesche ... la divisione preferirà
combattere piuttosto che subire l'onta di una cessione delle armi ...". Di questa lettera esistono
diverse versioni, riportate da padre Romualdo Formato e dal capitano Bronzini, con toni più
ultimativi ma di analogo contenuto.
Nel frattempo i tedeschi (il tenente colonnello Barge) avevano già spostato il 910º battaglione
granatieri da fortezza sulle alture di Kardakata che Gandin aveva abbandonato come segno di buona
volontà e dato disposizione alle truppe presenti ad Argostoli (parte del 909º battaglione e i
semoventi d'assalto) di tenersi pronti ad attaccare il comando della Acqui e le batterie di artiglieria
italiane.
Mentre i tedeschi continuano a fare affluire truppe sull'isola, gli italiani compiono operazioni di tipo
difensivo come il brillamento di cariche esplosive su crocevia e strade per renderle impraticabili,
ma impedendo anche il passaggio dei propri rifornimenti e rinforzi. Non è ancora noto alla divisione
che gli Alleati hanno deciso di non inviare alcun aiuto a Cefalonia per ragioni politiche, cioè non
danneggiare i rapporti con l'Unione Sovietica che ritiene di fatto i Balcani una sua esclusiva zona di
influenza.
Inizia la battaglia
Il 15 settembre i tedeschi, in quel momento inferiori di numero, fecero pervenire sull'isola nuove
forze: il 3º battaglione del 98º Reggimento da montagna e il 54º Battaglione da montagna,
appartenenti alla 1. Gebirgs-Division (1ª Divisione da montagna) Edelweiss, il 3º battaglione del 79º
Reggimento artiglieria da montagna, e il 1º battaglione del 724º Reggimento cacciatori, quest'ultimo
inquadrato nella 104. Jäger-Division (104ª Divisione cacciatori), coadiuvati dalla presenza
dell'aviazione tedesca con i suoi Stuka alla quale gli italiani potevano opporre solo il fuoco di
alcune mitragliere contraeree da 20 mm e il tiro contraereo dell'unico gruppo da 75/27 e di pezzi di
artiglieria da campagna. La precedente decisione di abbandonare le alture al centro dell'isola
assunta da Gandin come segno pacificatore verso i tedeschi si trasformò in un cruciale svantaggio
tattico, in quanto da quelle alture si sarebbero potuti battere i punti di sbarco ostacolando
notevolmente i rinforzi tedeschi. Ciononostante, le truppe italiane si batterono tenacemente,
contendendo per una settimana il terreno ai tedeschi.
Dal 16 al 21 settembre la resistenza fu accanita, soprattutto da parte del 33º Reggimento di
artiglieria e delle batterie costiere della Regia Marina, fino a quando non vennero a mancare le
munizioni e la glicerina per lubrificare i pezzi. Alcune batterie da campagna dovettero essere
abbandonate dopo essere state rese inutilizzabili perché esposte all'avanzata delle truppe tedesche,
sempre protette da un efficace mantello aereo.
Il 22 settembre il generale Gandin decise di convocare un nuovo Consiglio di Guerra nel quale si
decise di arrendersi ai tedeschi. La tovaglia bianca sulla quale i comandanti mangiavano tutte le sere
venne issata sul balcone della casa che era sede del comando tattico in segno di resa.
A questo punto, Hitler in persona ordinò che i soldati italiani fossero considerati come traditori e
fucilati. I soldati che erano stati in precedenza catturati e fatti prigionieri furono immediatamente e
sommariamente giustiziati; i tedeschi che cercarono di opporsi furono dissuasi con la minaccia di
essere a loro volta fucilati. I rastrellamenti e le fucilazioni andarono avanti per tutto il giorno
seguente, e si fermarono solo il 28 settembre non risparmiando neanche Gandin, morto la mattina
del 24. In particolare, 129 ufficiali furono assassinati presso una villa chiamata Casa Rossa e 7
subirono la stessa sorte il 25 settembre perché, nell'ospedale dove erano ricoverati, il giorno prima
si era verificata la fuga di due ufficiali.Compiuto l'eccidio, i tedeschi cercarono di farne scomparire
le tracce: ad eccezione di alcune lasciate insepolte o gettate in cisterne, la maggior parte delle salme
furono bruciate e i resti gettati in mare. I superstiti furono caricati su navi destinate in Germania,
Unione Sovietica e Polonia (Auschwitz e Treblinka), ma due di esse (Motonavi Sinfra e Ardena)
incapparono in campi minati e affondarono, e la Mario Roselli fu colata a picco da aerei alleati, che
non conoscevano il suo carico umano.
Tra i pochissimi scampati all'eccidio e alla successiva prigionia ci fu il cappellano militare
Romualdo Formato, autore negli anni cinquanta di un libro intitolato appunto "L'eccidio di
Cefalonia", e lo scrittore e conduttore televisivo Luigi Silori.
Corfù e Zacinto
Anche le guarnigioni della "Acqui" stanziate a Corfù, Zante (Zacinto) e (Santa Maura) furono
sopraffatte dai tedeschi, quest'ultima quasi subito data l'esiguità del presidio.
A Corfù i fanti del 33º reggimento ed un gruppo di artiglieria, circa 4.500 uomini comandati dal
colonnello Luigi Lusignani, il 13 settembre, catturarono il presidio tedesco, composto da 450-550
militari della Wehrmacht, dei quali il 21 settembre ne furono fortunosamente trasferiti in Italia 441
(di cui 7 ufficiali), scortati da alcune decine di carabinieri, su pescherecci mobilitati dal locale capo
partigiano Papas Spiru: questi furono, in Italia, gli unici prigionieri di guerra tedeschi in mano a
Badoglio, ed è verosimile che si debba ad essi, per reciprocità, il mancato eccidio della "Acqui" a
Corfù, a differenza di Cefalonia.
Il colonnello Lusignani il 12 e 13 settembre aveva già richiesto al Comando Supremo il reimbarco
degli uomini con vari fonogrammi ed inviando a Brindisi il maggiore Capra.
In ogni caso Lusignani aveva considerato l'ordine di resa del generale Vecchiarelli come apocrifo.
A coadiuvare i fanti del 33º si erano affiancati il giorno 13 i fanti del I Battaglione del 49º
Reggimento fanteria "Parma" comandati dal colonnello Elio Bettini, ed altri reparti per un totale di
3.500 uomini. Il 21 settembre gli inglesi aviolanciarono su Corfù la missione militare Acheron.
Successivamente i rinforzi tedeschi sbarcati il 24 e 25 settembre e dotati di un consistente supporto
aereo sopraffecero gli italiani che si arresero il 26 settembre dopo furiosi combattimenti e
l'esaurimento delle munizioni. Lusignani venne fucilato il giorno dopo insieme a Bettini e 27
ufficiali, mentre varie centinaia di soldati avevano perso la vita durante i combattimenti.
A Lusignani e Bettini verrà concessa la medaglia d'oro al valor militare.
I processi legati alla vicenda
L'eccidio di Cefalonia ha tuttora un solo colpevole: il generale Hubert Lanz, capo del XII Corpo
d'armata truppe da montagna della Wehrmacht dall'agosto 1943 all'8 maggio 1945, venne infatti
condannato dal tribunale di Norimberga a 12 anni di reclusione, sebbene ne abbia poi scontati solo
tre (la pena fu così mite perché, incredibilmente, nessuno si presentò da parte Italiana a testimoniare
al processo) . Nel 1957 in Italia furono prosciolti (secondo alcuni per non danneggiare l'immagine
dell'esercito) degli ufficiali della Acqui accusati di aver aizzato gli uomini contro i tedeschi dando
così origine ai combattimenti e sempre nello stesso anno si iniziò un altro processo nei confronti di
30 ex soldati tedeschi, risoltosi un anno dopo con un nulla di fatto. Nel 1964 anche la Germania aprì
un'inchiesta sulla vicenda una volta ricevuto del materiale da Simon Wiesenthal, ma quattro anni
dopo la procura di Dortmund archiviò il caso per riaprirlo nel 2001, prendendo in esame sette ex
ufficiali della Wehrmacht. Tra questi figurava anche Otmar Muhlhauser, capo del plotone di
esecuzione che fucilò Gandin, prosciolto dalla procura di Monaco di Baviera nel settembre del 2007
perché reo di aver commesso un omicidio "semplice", non rientrante nella categoria di crimini di
guerra; stessa sorte subirono gli altri sei imputati.
Dietro la segnalazione di due donne italiane che persero il padre a Cefalonia, la procura militare di
Roma aprì un nuovo fascicolo il 2 gennaio 2009 chiamando al banco degli imputati il solo
Muhlhauser, ma non si poté fare molto perché il 1º luglio dello stesso anno l'ex militare tedesco,
ormai ottantanovenne, morì, e così il processo terminò il 5 novembre (data del rinvio per accertare
le condizioni di salute dell'imputato). All'inizio del 2010 il tribunale militare di Roma ha iniziato
una nuova azione legale nei confronti di Gregor Steffens e Peter Werner, entrambi ottantaseienni ed
appartenuti al 966º Reggimento Granatieri da fortezza, accusati di aver ucciso 170 soldati italiani
che si erano arresi. Sentiti già dalla procura di Dortmund nel 1965 e nel 1966 alla quale si erano
dichiarati innocenti, i due ex militari hanno fatto altrettanto a Roma e al momento le indagini sono
ancora in corso.
Fonte: Wikipedia