La Controriforma: Per alcuni anni lo scisma religioso provocato da

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La Controriforma: Per alcuni anni lo scisma religioso provocato da Lutero non fu ritenuto dalla Chiesa di Roma tanto
pericoloso quanto si potrebbe pensare né, dal 1525 al 1540 circa, i pontefici pensarono seriamente a rimedi estremi
quali la convocazione di un Concilio. L'opinione corrente a Roma era che il dissidio religioso sarebbe stato risolto e
che la lunga tradizione cattolica avrebbe preservato le genti germaniche dalla eresia.
In quegli anni si tergiversò molto circa la convocazione di un Concilio, in primo luogo perché i pontefici temevano che
si potessero prendere nuovamente decisioni come quelle del precedente Concilio di Costanza che aveva affermato la
supremazia conciliare; in secondo luogo perché erano diverse le volontà politiche che pesavano sul significato che il
Concilio avrebbe dovuto avere: infatti l’imperatore Carlo V desiderava un Concilio moderato e teso a riportare l'unità
religiosa nel suo impero, mentre al contrario il re francese Francesco I, suo tenace avversario, era interessato
all’indebolimento dell’Impero e all'aggravarsi delle agitazioni scismatiche al suo interno.
Quando papa Paolo III convocò il Concilio nel 1545, la speranza di una riconciliazione tra cattolici e protestanti era
ormai tramontata. Il Concilio fu inaugurato a Trento, ma i suoi lavori, per rinvii, rivalità e problemi vari, furono
intervallati da lunghi periodi di sospensione, e giunsero a conclusione solo nel 1563 con la pubblicazione della
Professione di fede tridentina, che divenne il testo a cui tutto il cattolicesimo si dovette uniformare che ancora oggi è in
vigore.
Il Concilio riaffermò il valore delle opere oltreché della fede. All’importanza delle sacre scritture aggiunse quella della
tradizione. Confermò la validità di tutti i sacramenti. Condannò il libero esame e affermò che solo la Chiesa doveva
interpretare le sacre scritture. Furono infine stabilite nuove norme comportamentali per preti e vescovi, così da
eliminare del tutto la mondanità degli ecclesiastici, e fu confermato il latino come lingua ufficiale della Chiesa.
Divenne più rigorosa la Santa Inquisizione nel giudicare le eresie e i libri giudicati pericolosi per la morale.
Gli strumenti di cui si servì la Chiesa per la sua controffensiva furono soprattutto gli ordini religiosi, in particolare la
Compagnia di Gesù (Gesuiti) fondata da Ignazio di Loyola (1491-1556) e riconosciuta ufficialmente nel 1540. Essa
venne organizzata come un esercito che doveva combattere le eresie e il protestantesimo soprattutto con la cultura e
la fedeltà intransigente allo spirito della Controriforma. L’attività dei Gesuiti si estrinsecò soprattutto nell’educazione
delle persone agiate e nella preparazione delle future classi dirigenti. Aprirono collegi e scuole ovunque, così come
svolsero costanti opere missionarie nel nuovo mondo per convertire al cattolicesimo chiunque.
Le invasioni della penisola italiana: Dopo la Caduta di Costantinopoli (1453), i vari Stati italiani, per timore di
un’ulteriore espansione dei turchi e di una possibile invasione, vollero giungere alla Pace di Lodi (1454) per poter far
fronte comune contro gli eventuali invasori. La situazione di tranquillità che venne a crearsi, che tra l’altro permise una
grande fioritura della cultura rinascimentale, terminò nel 1494 quando il re francese Carlo VIII reclamò per sé il Regno
di Napoli ed invase l’Italia per annetterselo. L’Italia era divisa e debole, ma era anche in quel momento storico una
realtà geografica ricca e dominatrice del Mediterraneo, per cui faceva gola alle potenze europee più forti, ovvero
Francia e Spagna che ormai avevano raggiunto la loro unità di Stati nazionali. Infatti Carlo raggiunse il napoletano
senza incontrare alcun ostacolo (guerra dei gessi), tuttavia proprio la facilità della conquista effettuata allarmò i principi
italiani che decisero di allearsi contro di lui facendolo ritirare precipitosamente per non rimanere bloccato a Napoli.
Questa prima invasione non ebbe conseguenze per la penisola italiana, ma per Firenze sì perché fu cacciata la
famiglia dei Medici, che la governava, e instaurata una repubblica sotto il frate domenicano Gerolamo Savonarola che,
da predicatore intransigente qual era, creò uno Stato antiaristocratico e tendenzialmente pauperistico (falò delle
vanità). Il suo regno durò fino al 1498 perché si attirò contro le antipatie sia dei potenti che di papa Alessandro VI, che
a un certo punto lo scomunicò. Finì bruciato vivo come eretico.
Nel 1499 tornò all’attacco dell’Italia Luigi XII, successore di Carlo VIII, che riuscì a conquistare il milanese e il nord
Italia. Nel sud, invece, arrivò la Spagna che, vincendo la guerra contro la Francia, si accaparrò tutto il Meridione.
E’ in questo periodo (1499-1503) che si svolse la breve e intensa avventura di Cesare Borgia, figlio di Alessandro VI,
che conquistò la Romagna, il Ducato di Urbino e Camerino grazie all’aiuto del padre e di Luigi XII. La sua fortuna durò
finché rimase in vita il padre, poi quando divenne papa Giulio II (della Rovere), tutte le sue conquiste crollarono.
Questo papa proseguì la politica del suo predecessore, cioè cercò di riportare lo Stato Pontificio all’unità che aveva
prima del periodo avignonese dapprima alleandosi con la Francia contro Venezia per riconquistare le terre pontificie
che questa aveva annesso (Lega di Cambrai 1508), poi alleandosi con Venezia contro la Francia per timore che
questa divenisse troppo potente sul suolo italiano (Lega Santa 1511). La morte gli impedì di creare una nuova
alleanza antispagnola, e il suo successore, Leone X, non proseguì nella stessa logica belligerante.
Nel 1516 Francia e Spagna con la Pace di Noyon si spartirono ufficialmente l’Italia: alla Francia (re Francesco I) andò
il Ducato di Milano, mentre la Spagna ebbe il Regno di Napoli, la Sicilia e la Sardegna e, nel 1559 con la pace di
Cateau-Cambresis, anche il controllo del Ducato di Milano. Il dominio spagnolo in Italia fu tragico per l’eccessivo
fiscalismo imposto sui suoi domini che depauperò enormemente il meridione e peggiorò la struttura economica e
sociale del milanese. Scoppiarono molte rivolte (famosa quella a Napoli di Masaniello nel 1647), ma la Spagna riuscì a
mantenere il suo potere in Italia fino al 1713. Anche Venezia gradualmente s’impoverì rimanendo tagliata fuori dai
traffici marittimi più importanti, ora sempre più legati all’Atlantico, così come gli altri Stati regionali italiani (Toscana,
Genova, Stato Pontificio). Il momento splendido vissuto durante il Rinascimento si affievolì tra il ‘500 e la prima metà
del ‘600: anche la cultura entrò in crisi sia per il degrado economico e sociale sia per la mentalità controriformista.
Carlo V e Francesco I: La pace tra la Francia e la Spagna durò poco poiché due fatti nuovi intervennero a turbare i
rapporti e gli equilibri in Europa; uno dei motivi scatenanti del conflitto fu di ordine dinastico, giacché Carlo d'Asburgo,
nipote dell'imperatore Massimiliano e di Maria di Borgogna in linea paterna, dai quali ereditava i domini austriaci, i
Paesi Bassi e la corona imperiale, era inoltre nipote, in linea materna, di Ferdinando II di Aragona e di Isabella di
Castiglia, dai quali ereditava la Spagna, con i possedimenti d'America, la Sicilia, la Sardegna e il Regno di Napoli; con
I'accorpamento di tali e tanti domini sotto il controllo di una sola persona, si venne a creare una pericolosa situazione
per la Francia che si trovò accerchiata dai domini asburgici.
Il secondo motivo di conflitto emerse alla morte dell’imperatore Massimiliano d'Asburgo, il cui titolo si riteneva dovesse
essere ereditato da un altro Asburgo per consuetudine, mentre, in linea di diritto, esso, grazie a quanto stabilito dalla
Bolla d’oro, era elettivo. A questo diritto si appellò Francesco I per evitare in ogni modo il tanto temuto
accerchiamento, che però nulla poté contro i denari delle banche tedesche (i Fugger) che comprarono gli elettori che
elessero Carlo I imperatore, col nome di Carlo V.
La vastità dei domini e quindi gli impegni e le responsabilità di dimensione mondiale, il titolo di imperatore e la sua
formazione cattolica fecero risorgere in Carlo V I'idea di realizzare un impero universale, ormai però del tutto
anacronistico in una Europa in cui vi erano già forti Stati nazionali, come appunto la Francia di Francesco I.
La lunga guerra tra Francesco I e Carlo V durò dal 1521 al 1559, salvo brevi tregue temporanee, e si sviluppò in tre
fasi: nella prima (1521 – 1529), dopo alterni vicende, ebbe la meglio Carlo V che riuscì a consolidare la sua
egemonia sull’Europa con la Pace di Cambrai (durante questo periodo va ricordato il Sacco di Roma avvenuto nel
1527 per opera dei lanzichenecchi, truppe mercenarie protestanti al soldo di Carlo V che, non venendo pagate da
vario tempo, decisero di loro iniziativa di saccheggiare Roma); nella seconda (1535 – 1544), terminata con la Pace
di Crepy, nonostante il sangue sparso in tante battaglie la situazione rimase pressoché immutata; nella terza (1553 –
1559), combattuta da Enrico II, figlio di Francesco I, finì come le precedenti in un nulla di fatto, per cui Carlo V, che
durante tutto il suo lungo regno aveva dovuto combattere anche contro i principi protestanti, che non volevano
sottomettersi ad un imperatore cattolico, e contro i turchi, giunti nella loro espansione a minacciare direttamente
l’impero, decise di porre fine al suo tentativo di ricostruire un impero unico nel 1555 con la Pace di Augusta, con cui
riconosceva la libertà religiosa dei principi tedeschi e il principio del cuius regio eius religio (i sudditi dovevano
assumere la religione del principe).
Nel 1559 fu siglata la Pace di Cateau – Cambresis tra gli Asburgo e la Francia.
Nel ’56 Carlo V abdicò e si ritirò in convento, dove morì tre anni dopo, lasciando la Spagna con tutti i suoi domini
coloniali al figlio Filippo II, e il titolo imperiale con i possedimenti in area germanica al fratello Ferdinando I.
Filippo II: Governò il suo immenso regno perseguendo due obiettivi: il trionfo del cattolicesimo controriformista, la
potenza della Spagna. Dall’Escorial, suo palazzo reale da lui stesso fatto erigere a pochi chilometri da Madrid, ora
divenuta capitale spagnola, governò per più di 40 anni facendo raggiungere alla Spagna il primato in Europa, anche
se già sotto il suo regno iniziò la decadenza irreversibile del suo Stato dovuta al suo burocratismo, al fanatismo
religioso di stampo controriformista, alla persecuzione feroce ed estremamente determinata delle minoranze ebree e
moresche.
Nemico mortale degli eretici e degli infedeli, Filippo II si preoccupò innanzitutto di stendere un cordone sanitario
intorno alla Spagna, affinché l'eresia non avesse modo di penetrarvi. Proibì agli spagnoli di recarsi all'estero, in zone
considerate moralmente pericolose; l'ingresso degli stranieri venne attentamente controllato, così come l'importazione
di opere non ortodosse; con lui si intensificarono gli auto da fé, atti di fede, che si concludevano spesso con
l'esecuzione, anche di massa, degli eretici. Una simile politica fu adottata contro la minoranza ebraica e contro i
moriscos; gli uni e gli altri subirono violenze d'ogni genere, furono venduti come schiavi o deportati. Dalla distruzione
di queste due categorie di lavoratori derivò alla Spagna un danno enorme, poiché gli ebrei rappresentavano quasi
tutto il commercio, le professioni e la cultura, mentre i moriscos erano quasi tutti abilissimi agricoltori. La Spagna così
visse, finché poté, senza produrre, ma con l'importazione dei beni e dell'oro dalle colonie, creando un circolo
economico fallimentare.
In politica estera affrontò una sanguinosa guerra contro i Turchi che, dal Mediterraneo orientale e dalle coste
dell'Africa, minacciavano direttamente i traffici della Spagna che possedeva il Regno di Napoli, la Sicilia e la
Sardegna. Fondamentale fu la vittoria navale riportata a Lepanto nel 1571 in alleanza col papa, Venezia ed altri Stati
minori.
Filippo II ottenne grandi vantaggi dall'annessione del Portogallo che passò facilmente alla Spagna nel 1580, essendosi
estinta la dinastia di quel regno, insieme alle sue colonie d'America, d'Africa e d'Asia (tornerà indipendente nel 1640).
Con alle spalle una simile potenza territoriale e una quantità enorme di danaro e oro, ricavato dai possedimenti
coloniali, ma destinato ad esaurirsi perché non investito in opere produttive, Filippo II continuò una vasta e ambiziosa
politica di guerra contro la Francia, l’Inghilterra e le Fiandre in forte rivolta perché molto tassate dalla Spagna e
assolutamente contrarie a sottostare esclusivamente alla religione cattolica, soprattutto nel settentrione.
Dopo anni di violente lotte, il sud delle Fiandre si sottomise alla Spagna, mentre il nord costituì nel 1579 la Repubblica
delle 7 Provincie Unite, di religione protestante, che dovrà lottare ancora a lungo contro la Spagna prima di vedersi
riconosciuta ufficialmente nel 1648. Filippo subì anche una grossa sconfitta navale da parte dell’Inghilterra nel 1588.
Nella seconda metà del 1500, la Francia fu attraversata da una gravissima crisi di ordine economico, religioso e
politico. La crisi economica e finanziaria derivava dallo spreco di enormi risorse dovuto alle lunghe guerre
combattute, quella religiosa dall'espandersi del calvinismo in una nazione tradizionalmente cattolica; l'altra,
politica, dal fatto che re Enrico II, morendo, lasciava tre figli in giovanissima età, non in grado di prendere in mano
le sorti del regno che finirono nelle mani di Caterina de'Medici, vedova di Enrico II e madre dei tre giovani che in
seguito, nello spazio di trent'anni, si succedettero al trono di Francia.
Caterina de'Medici, rimasta famosa per la sua doppiezza, per la propensione all'intrigo, per l'attaccamento al
potere oltre che per la sua cultura ed il suo ingegno, si trovò a reggere le sorti della monarchia francese e della
Francia, lei straniera, in uno dei momenti più oscuri della storia di quella nazione in profonda crisi generale.
La crisi della monarchia significava il trionfo delle vecchie forze feudali, delle grandi famiglie le quali non si erano
rassegnate alla perdita di potere dovuta all'affermazione di un grande Stato nazionale sotto una forte monarchia
accentratrice (prima i Capetingi, ora i Valois). Le più grandi famiglie francesi del momento, tra le quali Caterina
de'Medici si destreggiò cercando ora l'alleanza con l'una ora con l'altra, erano quelle dei Guisa e dei Borboni. La
prima, cattolica, dominava la Lorena; la seconda, protestante, aveva i suoi centri di potere nelle regioni dell'Ovest
e del Sud. Tra le due famiglie, rispettivamente a capo del partito cattolico e di quello ugonotto (protestante),
Caterina de'Medici si appoggiò prima a quella dei Guisa poi aprì alla parte avversa: nel 1562, con l'Editto di San
Germano, permise agli ugonotti di esercitare il loro culto anche se con delle limitazioni. A questa apertura verso i
protestanti, i cattolici risposero con la strage di Vassy (1562) che gettò la Francia in una sanguinosa guerra civile.
Da allora, e per alcuni decenni, gli episodi di intolleranza religiosa, i cambiamenti di linea politica della reggente,
gli intrighi dinastici furono molteplici; tra i tanti episodi da ricordare vi è quello che si svolse nella notte del 24
agosto 1572, la notte di San Bartolomeo, in cui nella sola Parigi, vennero trucidati più di tremila ugonotti. Dopo
questo episodio, la Francia sembra precipitare nel caos feudale: il governo centrale non si dimostrò più in grado
di tenere unita nemmeno formalmente la nazione che si divise in grandi potentati capeggiati da vari esponenti
dell’alta nobiltà.. Nel 1584, mentre regna Enrico III che è senza eredi, aspirano alla successione Enrico di Guisa,
capo della lega cattolica e Enrico IV di Borbone, ugonotto e cognato del re; dal nome dei tre contendenti, la
guerra a cui dettero luogo si chiamò la guerra dei tre Enrichi (1585-1589). Nel 1588, il re Enrico III di Valois fece
assassinare Enrico di Guisa, ma anche lui venne poi ucciso da un monaco cattolico, per cui dei tre contendenti,
uno solo rimase in lizza, Enrico di Borbone che però era ugonotto, capo di una minoranza religiosa in una
nazione quasi totalmente cattolica. Egli fu proclamato re, ma non fu riconosciuto da Filippo II per due motivi: in
primo luogo perché lo stesso Filippo II rivendicava il trono di Francia per la figlia, avuta da una Valois, in secondo
luogo perché Enrico era protestante: un esercito spagnolo invase perciò la Francia.
A questo punto i francesi, sia ugonotti che cattolici, capirono che era in gioco l'esistenza stessa della nazione, per
cui Enrico IV si convertì al cattolicesimo nel 1593 ("Parigi vai bene una messa") e, nel 1594, entrò a Parigi
pienamente legittimato anche dall'assenso del papa. L’invasione della Francia da parte di Filippo II terminò con
un pieno insuccesso formalizzato nella pace di Vervins nel 1598. Nello stesso anno, Enrico IV emanò l'Editto di
Nantes nel quale si riconobbero pieni diritti civili a tutti a prescindere dalla loro fede religiosa. Agli ugonotti, per
loro sicurezza, venne concesso il controllo di alcune fortezze, compresa quella di La Rochelle. L'Editto di Nantes
segnò una svolta importante in favore della libertà di coscienza e incrinò il principio del cuius regio, eius religio.
Enrico IV rimase in carica fino al 1610, quando fu assassinato. Gli successe il figlio Luigi XIII troppo piccolo per
governare, per cui divenne reggente della Francia Maria de’ Medici, vedova di Enrico. Riscoppiarono tumulti
contro il potere centrale da parte degli aristocratici, ma quando prese effettivamente il potere Luigi XIII nel 1617,
la situazione si normalizzò perché il suo potente primo ministro, cardinale Richelieu, riuscì a rafforzare il potere
monarchico ridimensionando quello dell’alta nobiltà, che tolse dall’amministrazione dello Stato sostituendola con
intendenti di origine borghese, e tenendo sotto stretto controllo gli ugonotti, che costituivano uno Stato nello
Stato, a cui fu tolta anche la roccaforte di La Rochelle. In politica estera mirò a indebolire e dividere le monarchie
asburgiche che chiudevano la Francia in una tenaglia.
Egli morì nel 1642, seguito dopo qualche mese anche da Luigi XIII. Salì sul trono francese Luigi XIV, il futuro Re
Sole, che però aveva solo 5 anni. La reggenza andò alla madre Anna d’Austria e riscoppiarono i problemi già visti
in precedenza. Fu di nuovo un grande ministro a salvare la monarchia, il cardinale Giulio Mazarino, abile a
fronteggiare il cosiddetto periodo delle fronde. Nel 1648 il parlamento parigino, composto da borghesi e nobiltà di
toga, si ribellò al potere centrale per la sua politica fiscale e per i metodi assolutistici adottati (fronda
parlamentare) costringendo Mazarino e la corte del re a fuggire da Parigi. La ribellione fu domata con le armi di
un esercito guidato dal principe di Condè e tutto tornò come prima.
Nel 1651 scoppiò invece la fronda dei principi, avversi alla logica assolutistica perseguita da Mazarino, guidata
proprio dal principe di Condè, che però fu sconfitto nel 1652 da un esercito ai comandi del cardinale.
Sistemata la situazione interna, Mazarino concentrò le sue attenzioni contro la Spagna, con cui continuava a
essere in guerra, sconfiggendola militarmente e costringendola alla Pace dei Pirenei che sanzionò il primato della
Francia in Europa. Inoltre la figlia del re di Spagna (Filippo IV) venne data in sposa a Luigi XIV per chiudere
definitivamente il contenzioso tra i due Stati.
Dopo Enrico VII, creatore dell’anglicanesimo, l'Inghilterra non aveva conosciuto una vera e propria pace
religiosa. Anzi, essendo salita al trono Maria Tudor, cattolica, vi fu un tentativo di restaurazione del cattolicesimo
in molti casi feroce, tanto che Maria Tudor (1553-1558) si meritò il titolo di sanguinaria.
Con Maria Tudor, che sposò Filippo II, l’Inghilterra, oltre a restaurare la religione cattolica, si manteneva
nell'orbita politica spagnola. Dopo la morte di Maria salì al trono Elisabetta Tudor, figlia di Enrico VIII e Anna
Bolena, preferita dal parlamento inglese all’altra candidata al trono, Maria Stuart, moglie del re francese
Francesco II.
La nuova regina, che meglio di Maria comprendeva la natura del popolo inglese, il pragmatismo di cui era intriso
e che, soprattutto, aveva capito che era proprio la potenza spagnola il più grande ostacolo all'espansione inglese
sul mare, vocazione propria del suo popolo, rifiutate le nozze che Filippo II le proponeva, emanò l'Atto di
Uniformità con cui proibiva ogni altro culto che non fosse quello anglicano. Qualche anno dopo, nel 1562, con
l'Atto di Supremazia sancì poi, in modo definitivo, la separazione netta della Chiesa Anglicana dalla Chiesa
Cattolica.
Il rifiuto dell'offerta di nozze di Filippo II, la politica religiosa di Elisabetta, la sua politica economica che
incoraggiava i commerci con tutto il mondo e quindi andava incontro alla naturale vocazione marinara del suo
popolo, ponevano l'Inghilterra nella posizione di unica grande antagonista della cattolica Spagna. In politica
estera, Elisabetta agì di conseguenza: aiutò gli Ugonotti francesi, appoggiò gli insorti olandesi, armò flotte di
corsari per danneggiare i commerci e le linee di comunicazione marittime spagnole da e per l’America.
La guerra tra le due potenze era solo questione di tempo. Il pretesto fu la decapitazione di Maria Stuart che,
essendo cattolica, aveva dovuto abbandonare il suo trono in Scozia in seguito ad una rivolta calvinista, e si era
rifugiata presso la cugina Elisabetta. Pare che Maria si sia ad un certo punto messa a tramare contro Elisabetta
per prenderle il trono, ma fu scoperta, imprigionata e decapitata nel 1587.
Filippo II decise di muovere allora guerra all’Inghilterra con la cosiddetta Invincibile armata, una flotta
potentissima composta da 138 navi che però fu sonoramente sconfitta dalle navi inglesi nel 1588. La guerra tra
Inghilterra e Spagna durò fino al 1604 vedendo alla fine il trionfo dell’Inghilterra che divenne la dominatrice dei
mari e degli oceani, ruolo che deterrà per i prossimi tre secoli.
Quando morì Elisabetta (1603) non lasciò eredi al trono (si estinse la dinastia dei Tudor), per cui fu incoronato re
Giacomo Stuart, figlio di Maria, che per primo regnò su tutte le isole britanniche riuscendo a unificare Scozia,
Inghilterra e Irlanda. Il suo regno finì nel 1625, anno della sua morte.
La guerra dei trent’anni: Le strutture dei maggiori Stati europei (Francia, Impero, Spagna e Inghilterra) furono
messe alla prova nel corso di un lungo conflitto che, nato in Germania, si estese in buona parte del continente per
circa trent’anni con una guerra che modificò i rapporti di forza in Europa.
La scintilla partì dai paesi dell'Est europeo, in particolar modo dalla zona boema che si ribellò a Ferdinando
d'Asburgo, cugino dell’imperatore Mattia il quale, malato e senza discendenti, aveva assegnato al parente la
corona di Boemia. In questa regione dominava il protestantesimo, mentre il nuovo sovrano era cattolicissimo.
Allorché il re ordinò la chiusura e la distruzione di alcune chiese protestanti, la rivolta scoppiò nella capitale con la
cosiddetta defenestrazione di Praga che vide due ambasciatori imperiali buttati giù dalle finestre del palazzo reale.
Ebbe inizio, così, un lungo e sanguinoso conflitto che durò dal 1618 al 1648, e che usualmente viene diviso in
quattro fasi in base alle zone maggiormente coinvolte (periodo boemo-palatino: 1618-1623; periodo danese: 16231629; periodo svedese: 1629-1635; periodo francese: 1636-1648)
Dopo decine di migliaia di morti e distruzione in tutta Europa, fu postofine al conflitto con la pace di Westfalia (1648).
La Francia uscì vincitrice dal conflitto e sostituì la Spagna quale potenza egemone in Europa, ottenendo anche il
dominio definitivo su alcune città e regioni.
La Svezia ottenne alcuni ampliamenti territoriali e il predominio sul Baltico; inoltre il possesso dell'arcivescovato di
Brema consentì alla Svezia di entrare a far parte della Dieta imperiale. La Germania rimase frazionata in una miriade
dì piccoli Stati (circa 350, non poté in seguito incidere in modo significativo sulla politica europea).
Il titolo imperiale, rimasto agli Asburgo d’Austria, non ebbe più alcun valore internazionale, per cui essi decisero di
interessarsi solo dei loro territori ereditari.
La Spagna perse per sempre le Province Unite e fu ridotta al rango di potenza di secondo piano.
La pace di Westfalia riconobbe l’esistenza di tre religioni: (cattolica, calvinista, protestante) cosicché cessarono da lì
in poi le guerre di religione.
Inoltre cominciò anche un processo di secolarizzazione, cioè il trasferimento di alcuni beni e privilegi della Chiesa ai
rappresentanti del potere secolare.
Con tale pace vennero in pratica gettati i presupposti dell'Europa moderna in quanto vennero sanciti principi tutt'ora
alla base delle costituzioni moderne come la laicità (pose fine, infatti, al principio del "cuius regio, eius religio"), la
libertà di culto, la libertà e sovranità di uno Stato.
Atlantizzazione: Tra la fine del ‘500 e il secolo successivo vi fu un ribaltamento degli equilibri economici: gli Stati
mediterranei entrarono in crisi economica, mentre divennero economicamente potenti gli Stati del nord Europa
affacciati sull’Atlantico, soprattutto l’Olanda che cercò di garantirsi il dominio dei traffici marittimi mondiali in
particolare con due compagnie commerciali: quella della Indie Orientali e quella delle Indie Occidentali. Iniziò anche
una nuova fase del colonialismo portata avanti anche dall’Inghilterra e dalla Francia con l’impianto di piantagioni,
quindi non solo mirando alla spoliazione delle nuove terre conquistate, e alle colonie di popolamento (soprattutto
l’Inghilterra che creò un sistema di import-export esclusivo e monopolistico con le sue colonie. La Francia colonizzò il
Canada grazie soprattutto a Richelieu. Questo nuovo colonialismo legato alle piantagioni implicò la necessità di
un’ampia disponibilità di manodopera, per cui iniziò nel periodo la tragica tratta degli schiavi neri dell’Africa.
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