L`impegno sociale della Società di S. Vincenzo

SOCIETÀ DI SAN VINCENZO DE PAOLI
Fondata da Federico Ozanam nel 1833
Incontro della carità con la storia e la politica: da Federico
Ozanam a Giorgio La Pira , fino ai nostri giorni.
L’impegno sociale e politico della Società di S. Vincenzo
di Alessandro Floris
INTRODUZIONE
Da credenti al servizio del bene comune
La crisi della politica e le prospettive
Assistiamo ai nostri giorni ad una diffusione nella società di un senso di insicurezza,
specialmente tra i giovani, rafforzato da una inquietudine a livello culturale e morale, che
l’attuale crisi economica e sociale ha fatto emergere in maniera preoccupante.
Siamo tutti ormai consapevoli che ci sono cambiamenti profondi da operare , soprattutto
nella politica, che si rivela sempre più incapace di governare questa drammatica fase di
transizione e che pur tuttavia rimane baluardo indispensabile della democrazia.
Occorre riattivare il sistema di rappresentanza , riconoscendo ai cittadini la titolarità
dovuta e pretendendo un dibattito politico meno gridato e spettacolarizzato e più attento
al bene comune , più costruttivo.
Ma è anche urgente colmare il divario tra politica , o meglio, tra il potere politico e il Paese
reale.
Nel nostro Paese vi è un diffuso modo di sentire , vorrei dire una vera e propria cultura
popolare che si ispira ai valori cristiani.
La presenza dei cattolici nella vita pubblica del nostro Paese è argomento di scottante
attualità.
Si ha sempre più spesso l’impressione che si voglia renderla marginale e insignificante, nel
tentativo di negare le radici cristiane della nostra società e imporre una visione laica , nel
nome di un presunto rispetto del pluralismo di opinioni.
E’ in gioco il futuro del nostro Paese e un modello di società fondato su una visione etica.
Sgombriamo subito il campo da ogni equivoco.
L’invito rivolto dalla Chiesa Italiana ai cattolici, attraverso le recenti prese di posizione
della Conferenza Episcopale e i documenti del Magistero, non sono una chiamata alle armi
o un prepararsi alle crociate, ma un appello a “ non mettere tra parentesi la nostra fede
religiosa” , richiudendola in un ambito privato.
“ Il dominio della cosidetta opinione pubblica è forse il più subdolo e strisciante tra i tanti poteri
ingiusti che vorrebbero imprigionare la libertà della Chiesa e la presenza dei cattolici nella società.”(
Card. Angelo Bagnasco, presidente della CEI).
L’allarme lanciato dai Vescovi italiani non è ingiustificato e tardivo, poiché da molto
tempo si moltiplicano i segnali che da più settori provengono , e con essi gli interventi
puntuali e precisi della Chiesa ad aprire gli occhi e vigilare sui tentativi neppure così
nascosti di voler costringere i cattolici italiani ad una posizione irrilevante e silenziosa,
dinanzi al prepotente e aggressivo procedere di una cultura laicista che nega il valore
assoluto della vita , la centralità della famiglia fondata sul matrimonio, la visione etica alla
base delle scelte della scienza e della genetica.
Si vogliono cancellare i simboli religiosi dai luoghi pubblici, si impedisce ai bambini nelle
scuole di preparare il presepio o si sostituiscono alcune statuine con altri simboli , si tenta
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di diluire e vanificare l’insegnamento della religione nelle scuole , si vorrebbero privare i
genitori della libertà di scelta sull’educazione dei loro figli penalizzando gli Istituti
Cattolici .
E tutto ciò giustificato dalla necessità di rispettare le convinzioni religiose e culturali di
tutti, in una società considerata multiculturale, multi religiosa e multirazziale, in nome
dell’esigenza di garantire l’integrazione sociale degli immigrati, in particolare dei
musulmani.
Ma siamo veramente sicuri che siano queste le ragioni di coloro che vogliono farci credere
che si tratta di nobili battaglie civili , equiparando l’aborto, il divorzio , l’eutanasia a
importanti conquiste di civiltà ?
Sembra che il bene e il male dipendano da indagini demoscopiche o da ciò che gli altri,
siano essi maggioranza nel Paese oppure no, pensano sui valori, rigettando la posizione
dei cattolici come bigotta , reazionaria, storicamente superata e giudicandola marginale
insignificante.
Ma noi credenti non possiamo accettare che sia l’ ” opinione pubblica” a decidere quale
sa il nostro spazio e il ruolo nella società. Non possiamo accettare che sia l’opinione
pubblica , o una parte di essa, a scegliere che cosa sia morale o immorale, affidandosi
magari a sondaggi o rilevazioni statistiche.
In un tempo in cui è forte il fascino di concezioni relativistiche e nichilistiche della vita
e la legittimità stessa dell’educazione è messa in discussione, il primo contributo che
possiamo offrire è quello di testimoniare con coraggio la nostra fiducia nella vita e
nell’uomo, nella sua ragione e nella sua capacità di amare , che ci proviene dalla nostra
fede.
Da questo dobbiamo ripartire, guardando a quei cristiani che ci hanno mostrato come si
serve il bene comune anche nell’esperienza politica da credenti, con lucido coraggio e
determinazione : da Federico Ozanam e Giuseppe Toniolo, a don Luigi Sturzo, ad Alcide
De Gasperi, fino a Giorgio La Pira e ad Aldo Moro.
Da qui nasce l’esigenza di aprire una fase rifondativa della politica italiana, ricostruendo la
presenza e l’impegno dei cattolici , il cui ruolo appare insostituibile e fondamentale per la
rinascita del nostro Paese.
Una nuova fase
La nuova fase politica dovrà necessariamente essere fondata sul ripensamento dei rapporti
tra politica e società civile, esaltando i valori della sobrietà, del sacrificio, della
responsabilità sociale delle proprie azioni, del senso di appartenenza alla comunità.
Una buona politica per il bene comune è la prospettiva .
Qual è lo stato di salute della cultura cattolica ?
Quali fermenti agitano la società italiana?
Quale ruolo dunque per i cattolici? E per le realtà dell’associazionismo cattolico ?
Quale contributo possono dare le nuove generazioni al rinnovamento dei modi e delle
forme di intervento sociale e politico ‘
Sono questi gli interrogativi che oggi ci poniamo e da cui parte la nostra riflessione e che
spingono a guardare a quei cristiani impegnati nella politica , che ci hanno indicato la
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sorgente della presenza sociale e civile dei cattolici: il primato della vita spirituale, quello
sguardo sempre rivolto a Dio e insieme all’uomo , a ogni uomo e a tutto l’uomo, “ via
principale della Chiesa “ e centro dell’azione cristiana.
Chi riconosce Cristo nell’Eucarestia , lo riconosce in ogni fratello, impegnandosi per tutti
coloro che sono in necessità per la costruzione di una società solidale.
I PARTE
Il contributo della Società di San Vincenzo de Paoli e le
intuizioni profetiche del beato Antonio Federico Ozanam
a)
La Società di S. Vincenzo ha dato un contributo importante e significativo nella società
italiana tra Ottocento e Novecento, nell’impegno per fronteggiare le emergenze sociali che
il nostro Paese ha vissuto, attraverso forme sempre nuove di carità.
Federico Ozanam è l’uomo , il laico studente , universitario, studioso e letterato, apostolo
della carità che , da credente , seppe più di altri interpretare i segnali e gli sviluppi di una
realtà nuova , col fenomeno dell’urbanizzazione e della proletarizzazione delle masse, che
creavano scenari drammatici e condizioni di vita disumane per milioni di uomini, donne e
bambini in un’epoca travagliata ( 1813-1853) della storia europea.
La povertà diventava la nuova frontiera dell’impegno dei cristiani nella società e una sfida
per la Chiesa.
Fu straordinaria l’intuizione di Ozanam per cui l’apostolato caritativo non potesse essere
disgiunto dall’impegno per la giustizia e da politiche di riforme e di intervento sociale
capaci di sanare gli squilibri sociali ed economici in un tempo di profonde trasformazioni.
“ Se la questione sociale che agita attualmente il mondo intorno a noi non è né un problema di
persone né un problema di forme politiche, ma è un problema sociale; se la lotta tra quelli che nulla
hanno e quelli che troppo hanno; se è lo scontro violento tra l’opulenza e la povertà che fa tremare il
suolo sotto i nostri passi, il nostro dovere di cristiani è di interporci fra questi nemici inconciliabili e
di fare in modo che gli uni si spoglino come per l’adempimento di una legge e che gli altri ricevano
come un beneficio; che gli uni cessino di esigere e gli altri di rifiutare; che l’uguaglianza si restauri
finchè sia possibile tra gli uomini.”
Questa esigenza di carità e giustizia per affrontare la “ questione sociale” , che diveniva
questione antropologica, fortemente avvertita da Ozanam fu fondamentale per la crescita
di una generazione di politici ed economisti cattolici che segnarono la storia dell’Italia
repubblicana come Giorgio La Pira e lo statista ucciso dalle BR Aldo Moro.
La loro azione fu animata da una solida ispirazione vincenziana e da una forte sintonia
con il pensiero di Ozanam.
Ci soffermeremo più avanti sull’esperienza di La Pira.
Ma Ozanam fu importante nella formazione di quel grande uomo, figlio di questa terra di
Sicilia , che fu don Luigi Sturzo, che vide in lui un precursore del movimento democratico
cristiano. Fra le carte dell’Archivio Sturzo è possibile leggere la lettera che don Sturzo
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scrisse ad un giovane amico di Caltagirone, dalla quale si comprende il senso profondo
della sua vocazione vincenziana.
Sì, perché lui, dice lo storico Malgeri, fu un autentico vincenziano.
Il giovane amico, tale Giovanni, espose a Sturzo i suoi dubbi sul voto a Mussolini nel 1929,
anno dei Patti Lateranensi , come suggerito da molti cattolici del tempo.
Consapevole che si poneva una questione di più ampia portata che il rapporto tra Chiesa e
regime per una pretesa pace sociale, chiese consiglio a don Sturzo.
La risposta fu semplice , diretta: dedicarsi alla Conferenza di S. Vincenzo de Paoli.
Indicava così la strada di una scelta che implicava qualcosa di più dell’impegno caritativo,
ma esigeva la presa di coscienza della storia degli uomini del proprio tempo, in rapporto
con la realtà della povertà che colpiva tanti contemporanei.
Ozanam nel 1848 aveva già ammonito i cattolici:
“ Sacrifichiamo i nostri dubbi , i nostri sentimenti, e volgiamoci verso questa democrazia , verso
questo popolo che non ci conosce; aiutiamolo non solo con le nostre prediche , ma anche con i nostri
benefici; non soltanto con l’elemosina che obbliga tutti gli uomini, ma con i nostri sforzi tesi ad
ottenere dalle Istituzioni che li affianchino e li rendano migliori.
Passiamo dalla parte dei barbari ! aveva gridato dalle aule della Sorbona per indicare la
necessità di aprire lo sguardo e il cuore alle esigenze dei nuovi poveri , dei proletari
schiacciati dalle regole del mercato, degli operai costretti a lavorare in condizioni
disastrose, degli uomini e delle donne che soffrivano la fame dei miserabili e affollavano
le periferie di Parigi , di cui aveva fatto esperienza diretta.
Con la frase “ Passiamo dalla parte dei barbari” intendo dire che , invece di associarsi agli interessi
di una borghesia egoista , dovremmo occuparci del popolo che conosce troppe angustie e non
possiede diritti a sufficienza e che richiede con buone ragioni una maggiore partecipazione alla vita
pubblica , garanzie per il proprio lavoro e contro la miseria…Nel popolo vedo materia sufficiente ,
sia in fede che in moralità, per salvare una società il cui strato superiore è perduto.”
Don Sturzo fu ispirato dal pensiero di Ozanam , che traduceva la sua passione per un
impegno politico animato dalla carità.
Egli polemizzò spesso con coloro che sostenevano un dualismo tra etica e politica, tra
Vangelo e società umana e limitavano la legge dell’amore alla vita privata, la carità vissuta
come espressione dell’esercizio individuale delle opere di misericordia.
Egli era , come Ozanam, profondamente convinto che il comandamento dell’amore non
potesse essere disgiunto dall’impegno per la giustizia e la libertà e questo fu il pilastro
portante della sua attività pastorale, culturale, sociale e politica.
“ La politica, affermava, è per sé un bene; il far politica è, in genere, un atto di amore per la
collettività; tante volte può essere un dovere per il cittadino.”( 1925)
Si capisce perciò il suo interesse per la San Vincenzo e per il suo fondatore Ozanam:
“ Oh che insperato e validissimo aiuto alla mia propaganda tra i confratelli perché amino e
conoscano Ozanam! Anch’io mi propongo di conoscerlo meglio, perché da quello che ne ho appreso
dalle sue vite, scritte dal fratello e da Mons. Baunard, ne sono già entusiasta! Che bravo precursore
della democrazia cristiana…! ”
( All’on. La Rosa- 7 Gennaio 1926 )
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A proposito della San Vincenzo Sturzo scriveva:
“ Vorrei sbagliare, ma mi sembra che i 3 / 4 di queste società abbiano perduto di vista l’alto
proposito educativo del fondatore, mantenendo solo l’intento pratico del soccorso agli ammalati e ai
poveri. Ozanam fondò queste associazioni tra gli studenti universitari di Parigi, e più tardi in
Italia, e le chiamò conferenze, poiché il loro proposito era di “ conferire insieme”, con lo scopo di
ridestare attraverso la carità lo spirito della fede cristiana nei giovani studenti.
Nel metterli a contatto con le miserie e i mali delle classi povere, egli mirava a preservarli dalle
tentazioni contro la fede e i buoni costumi. La sua era un’opera di educazione attraverso la carità ,
che adattava in forma moderna l’antica consuetudine per cui gli studenti e i figli dell’aristocrazia
andavano negli ospedali pubblici a portare aiuto ai malati.
La sua importanza risiede nel rendere possibile fin dalla fanciullezza l’addestramento all’amore e
alla pratica della carità ; inoltre inculca il dovere nel fare il bene; prepara infine i giovani ad essere
utili agli altri anche spiritualmente e a superare l'egoismo e l'individualismo facendo vivere la
religione in forma associativa, in libere comunità, animati dallo spirito di apostolato.”
***
b)
Alla Società di San Vincenzo de Paoli si deve la diffusione della cultura del servizio
sociale in Italia, proponendosi con la forza di una istituzione capace di andare oltre alla
sola attività caritativa o benefica, rinnovando i modi e le forme dell’intervento dei cattolici
nel sociale , attuando nelle Conferenze Vincenziane quella fondamentale uguaglianza che
accomuna “ il nobile , il dotto e l’operaio in ragionamenti e opere solide e fraterne”. ( Augusto
Baroni, presidente del Consiglio di Bologna , figura storica della SSVP in Italia- 1897-1967)
La SV ha infatti sempre considerato “ l’esercizio della carità attraverso la visita ai poveri
come momento di formazione sia degli assistiti che dei giovani soci” , cercando di mutare
radicalmente la condizione dei poveri , non riconoscendoli come tale e, tanto meno,
chiamandoli “ poveri”.
“ Chi aiuta i poveri sono poveri, solo i poveri possono capire i poveri “ ( A. Albertazzi in –
Parliamo di A. Baroni)
Solo così i vincenziani e le persone in difficoltà si ritrovano compagni di cammino , con
pari dignità, coscienti di condividere la comune condizione di povertà, intesa non solo
come privazione economica o forma di esclusione sociale, ma innanzitutto come
disposizione interiore e consapevolezza della comune fragilità umana e dello stato
spirituale di creature soggette alla debolezza e al peccato.
Poveri con i poveri.
In questo l’intuizione del fondatore delle Conferenze Vincenziane è stata profetica e
rivoluzionaria, perché pone(va) al centro non il bisogno ma la persona che non è più
soltanto oggetto dell’attenzione dell’altro, ma soggetto attivo, protagonista del suo destino
e del suo futuro.
Non più solo azioni PER il povero, ma CON il povero.
Dall’assistenza si passa così alla promozione umana e sociale e infine all’autopromozione.
Questo percorso così delineato costituisce l’approccio nuovo alle povertà, alle forme di
emarginazione ed esclusione sociale, riportando l’attenzione sulla persona: al centro
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l’uomo, ogni uomo e tutto l’ uomo, superando il rischio di identificare il povero con un
bisogno sociale da soddisfare.
Questo pensiero genera un’autentica rivoluzione copernicana nella concezione del “
servizio sociale” , così chiamato perché teso più a rendere servizi alla persona che a offrire
soccorsi ( a distribuire aiuti materiali) per rispondere ai bisogni, orientando piuttosto verso
un’azione sociale specifica che può essere considerata pre-politica.
II PARTE
L’arte difficile della carità politica
Dall’esperienza del beato Federico Ozanam alla testimonianza del servo di Dio Giorgio
La Pira, il “ Sindaco Santo”: la fatica dei credenti di raggiungere un equilibrio tra
provocazioni della fede e “ realismo” delle scelte politiche, tra laicità dello Stato e
adesione a valori etici e religiosi.
La carità politica in Federico Ozanam
“ Egli ha il lucido coraggio di un impegno sociale e politico di primo piano in un'epoca agitata della
vita del suo Paese, poiché ”nessuna società può accettare la miseria come una fatalità senza che il
suo onore non ne sia colpito.”
Con queste parole, Giovanni Paolo II nell’omelia della Messa di beatificazione di Federico
Ozanam ( Parigi, 22 Agosto 1997), volle riassumere il significato profondo di un impegno
al servizio dei poveri che non si fermò all’apostolato assistenziale, ma volle farsi carico
della necessità di sradicare, attraverso riforme politiche, le radici delle miseria.
Per poter meglio servire la causa del popolo, Federico, infatti, aveva accettato la
candidatura all’Assemblea Nazionale offertagli a Lione.
Nonostante i ripetuti inviti degli amici di Lione a presentarsi in una lista elettorale e le
sollecitazioni avute a Parigi, inizialmente rifiutò e solo all’ultimo momento, dopo molte
esitazioni, decise di accettare.
Tuttavia , nonostante i sedici mila voti raccolti, non fu eletto per sedici voti di scarto. Fu
eletto però il suo amico P. Lacordaire, come deputato di Marsiglia, nei confronti del quale
si scatenò subito una furibonda ostilità degli anticlericali, ma soprattutto dal campo
cattolico per le sue coraggiose posizioni controcorrente.
La campagna elettorale fu per Federico un’occasione per far conoscere le sue idee e il suo
pensiero sociale e le convinzioni politiche di repubblicano, fautore della democrazia
Attraverso il giornale Ere Nouvelle , egli potè poi continuare a propagandare le sue idee
repubblicane, con toni coraggiosi e decisi:
“ La democrazia che è vecchia come il mondo e che da 50 anni si è occultata in malo modo dietro le
finzioni legali dell’impero e della monarchia, bisogna riconoscere che trova la più alta espressione
nella Costituzione Repubblicana. Per questo noi abbiamo accettato la Repubblica , non come una
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malattia del secolo alla quale bisogna rassegnarsi, ma come un progresso che è necessario
difendere.”
L’impegno politico divenne per Federico Ozanam una nuova frontiera della carità.
Per Ozanam l’attività del laico non può non essere sorretta da una coscienza politica,
perché la laicità è la dimensione propria del vivere in comunità, e la Conferenza stessa è
atto politico , anche se preparatorio di un vero impegno socio- politico.
Il pensiero sociale e l’esperienza politica di Ozanam ci pongono ancora oggi interrogativi
pressanti : è praticabile per i cattolici la strada dell’impegno politico, rimanendo fedeli ai
principi e ai fondamenti della fede , senza rinunciare a servire i più poveri e i più deboli ?
La testimonianza esemplare di Giorgio La Pira può aiutarci a trovare valide risposte.
La lezione di La Pira , laico cattolico, vincenziano, politico “ del futuro”.
Giorgio La Pira è stato un politico cattolico che ha fatto della propria vita una vocazione,
un servizio e un dono per il prossimo.
Studente universitario nella Fuci di Messina nel 1925, fu delegato per la Conferenza di
San Vincenzo. Egli visitava i poveri, giocava con i bambini, distribuiva denaro,
indumenti, cibo e farmaci e così ritornava alle baracche nelle quali era vissuto nei primi
anni del suo soggiorno messinese. Portava insieme con l’aiuto sensibile del denaro, degli
indumenti, di cibo e i farmaci, il conforto di quella sua parola che sapeva subito trovare
prodigiosamente la via del cuore.
Trasferitosi a Firenze, diventa docente di Diritto romano e svolge un’intensa attività di
studioso che lo mette in contatto con l’Università Cattolica di Milano: entra cosí in amicizia
con figure come padre Gemelli e Giuseppe Lazzati.
Si impegna a fondo nell’Azione Cattolica giovanile e nella pubblicistica cattolica,
scrivendo in numerose riviste.
A Firenze le Conferenze di San Vincenzo non c’erano quasi più e La Pira concorse a
metterne su tre. Una con gli studenti e i giovani del circolo di "Città nuova", un’altra la
inventò per gli artisti, i letterati e gli artigiani in difficoltà, e poi anche una terza.
Nella vita di La Pira la pratica di carità delle Conferenze di San Vincenzo, fatta nello
spirito di carità del fondatore era di non andare verso i poveri soltanto esteriormente, ma
in un certo senso di farsi povero con i poveri. Cosa che per La Pira fu spontanea, perché
sempre rimase per condizioni sociali e anche intellettuali un povero. E come di San
Francesco si scrisse che non pregava, ma era uomo fatto preghiera si può dire di La Pira
che non fu uno che operava per i poveri, ma che si fece, fu e rimase povero nel cuore e
nella realtà. Egli, nonostante il suo stato di professore universitario, deputato, sindaco,ecc.
non possedette mai un suo appartamento personale, ma visse sempre in una stanza,
nemmeno di affitto, ma messa a disposizione, nella cella di un convento . E per un voto
sempre rispettato, al 28 di ogni mese azzerava tutto quello che aveva ricevuto in denaro
dandolo ai poveri. Non ebbe niente, non possedette niente. Tutto questo a lui
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spontaneamente venne per grazia, come diceva , attraverso l’esperienza della San
Vincenzo e attraverso la pratica e lo spirito della San Vincenzo.
La sua esperienza politica fu lunga e ricca di momenti significativi e di enorme portata
storica.
Nel 1946 fu eletto all'Assemblea Costituente . Nel 1947, insieme a Dossetti, Fanfani e
Lazzati, dà vita a Cronache sociali, la rivista che meglio ha espresso la presenza cristiana nel
difficile processo di rinascita della democrazia in Italia.
Alla Costituente svolge un’opera di grande rilievo, e da tutti apprezzata, nella Commissione
dei 75, in particolare per la formulazione dei principi fondamentali che dovranno reggere
la nuova Repubblica Italiana. Nel 1948 è nominato sottosegretario al Ministero del Lavoro
con Fanfani.
Nel 1951 divenne Sindaco di Firenze, carica che ricoprirà, salvo brevi interruzioni, fino al
1965. Promosse i "Convegni per la pace e la civiltà cristiana", che si svolsero dal 1952 al
1956 con la partecipazione di uomini di cultura di tutto il mondo.
Nel 1959 si recò in Russia, dando corpo ad un ponte di preghiera, unità e pace tra
oriente ed occidente.
Nel 1965 si recò in Vietnam ed incontrò personalmente Ho Ci Min; la bozza di accordo
per una soluzione politica del sanguinoso conflitto da lui concordata fin da allora,
costituirà, dopo alcuni anni e molti altri morti, la base per gli accordi di pace definitivi.
La figura del Sindaco Santo, sulla quale si è ampiamente scritto e dibattuto , resta un
punto di riferimento per coloro che interpretano la politica come servizio non separabile
da un profondo significato etico .
Il 24 settembre 1954 Giorgio La Pira pronunciò un memorabile discorso al Consiglio
Comunale di Firenze. Egli era tanto amareggiato per le critiche ricevute a motivo della sua
presa di posizione a favore dei licenziati e degli sfrattati e affrontò decisamente
l’argomento , dicendo tra l’altro:
“Signori Consiglieri,si allude forse ai miei interventi per i licenziamenti e per gli sfratti e per altre
situazioni nelle quali si richiedeva a favore degli umili, e non solo di essi, l’intervento immediato,
agile, operoso del capo della città? Ebbene, io ve lo dichiaro con fermezza fraterna ma decisa: voi
avete nei miei confronti un solo diritto: quello di negarmi la fiducia! Ma non avete il diritto di
dirmi: signor Sindaco, non si interessi delle creature senza lavoro, senza casa, senza assistenza
(vecchi, malati, bambini). É il mio dovere fondamentale questo: dovere che non ammette
discriminazioni e che mi deriva prima che dalla mia posizione di capo della città - e quindi capo
della unica e solidale famiglia cittadina -, dalla mia coscienza di cristiano: c’è qui in gioco la
sostanza stessa della Grazia e dell’Evangelo!
Io non sono fatto per la vita politica nel senso comune di questa parola: non amo le furbizie dei
politici e i loro calcoli elettorali; amo la verità che è come la luce; la giustizia, che é un aspetto
essenziale dell’amore; mi piace di dire a tutti le cose come stanno: bene al bene e male al male.
Oggi, nel mondo politico, non capita più di sentire discorsi come questo : oggi prevale
l’opportunismo, il carrierismo e la ricerca del successo, la sete di potere, il desiderio di
poltrone, il tornaconto personale. Giorgio La Pira era limpido: non conosceva i doppi
giochi, i doppi sensi, le doppie alleanze, le dietrologie insidiose. Giorgio La Pira era libero:
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aveva scelto di amare e di servire e, pertanto, non temeva di perdere il potere. Egli aveva
una sola paura: quella di non poter servire il prossimo.
Egli ha saputo incarnare meglio di altri l’autentico spirito vincenziano , che deve animare
i seguaci di Federico Ozanam nella costruzione della “ Città dell’Uomo”, alla luce del
Vangelo, nel rispetto delle differenze che emergono nelle nostre società ormai
multiculturali, multi religiose e che li chiama anche ad un impegno politico diretto, con la
partecipazione personale .
Affermava La Pira:
“ Abbiamo una missione trasformante da compiere: dobbiamo mutare - quanto è possibile - le
strutture di questo mondo per renderle al massimo adeguate alla vocazione di Dio. Siamo dei laici:
padri di famiglia, insegnanti, operai, impiegati, industriali, artisti, commercianti, militari, uomini
politici, agricoltori e così via; il nostro stato di vita ci fa non solo spettatori, ma necessariamente
attori dei più vasti drammi umani. Si resta davvero stupiti quando, per la prima volta, si rivela alla
nostra anima l'immenso campo di lavoro che Dio ci mette davanti... Come possiamo sottrarci ai
problemi che hanno immediata relazione con la nostra opera? L' "elemosina" non è tutto: è appena
l'introduzione al nostro dovere di uomini e di cristiani; le opere anche organizzate della carità non
sono ancora tutto; il pieno adempimento del nostro dovere avviene solo quando noi avremo
collaborato, direttamente o indirettamente, a dare alla società una struttura giuridica, economica e
politica adeguata al comandamento principale della carità.”
***
Federico Ozanam e Giorgio La Pira . Tutti e due scendono in politica , non hanno paura di
compromettersi.
Tutti e due accompagnati, proprio nel mondo cattolico da diffidenze , ironie.
Federico Ozanam vuole liberare la Chiesa di Francia dalle nostalgie per la restaurazione ,
vuole che abbia il coraggio di scegliere la democrazia.
Giorgio La Pira si batte per la pace, per l’unità e la libertà dei popoli.
La Pira e Ozanam hanno la stessa lettura profetica della storia: la guardano con l’occhio
della fede e della speranza.
La Pira ricordò che nelle Conferenze Vincenziane c’è un vedere e un agire : c’è prima una
visione della fede che abbraccia la totalità del panorama. Poi viene la visione di carità:
agisci.
Ma l’agire deve partire da lì “ da questa visione della fede e della grazia”.
Allora anche un piccolissimo gesto di carità, un sorriso, una stretta di mano, un bacio, una
carezza, ha una forza immensa , creativa, rigenerativa, acquista valore di testimonianza
che si espande e diviene un “ atto politico” , che costruisce cioè la Polis come società più
giusta e fraterna.
La pira vedeva la Conferenza come “ cellula di un laboratorio dove la storia viene fusa con la
fede e dove i giovani si preparano per l’impegno politico.”
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L’impegno sociale e politico della Società di San Vincenzo.
Come si sviluppa questo impegno sociale e politico?
Il Regolamento Internazionale definisce le linee fondamentali:
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La Società non cerca soltanto di alleviare la miseria, ma anche di identificare le
strutture ingiuste che ne sono la causa. I Vincenziani si impegnano a ricercare le
cause della povertà e a contribuire alla loro eliminazione( andare alla radice del male )
In tutte le attività caritative, deve esserci la ricerca della giustizia.;
la Società è associata alla missione evangelizzatrice della Chiesa, per la sua
testimonianza che si manifesta con le attività e con le parole ( la Dottrina sociale
della Chiesa è la bussola della carità sociale della SV) partecipando alla creazione di
un ordine sociale più giusto, più equo, che conduca ad una “cultura della vita” e ad
una “civiltà dell’amore” ;
la Società non si identifica con nessun partito politico e sceglie sempre ogni strada
che escluda qualunque contrapposizione, esercitando un’azione benefica di
mediazione. La S. Vincenzo è comunque sempre e solo dalla parte dei poveri ;
la Società , dinanzi alle ingiustizie, deve farsi voce dei poveri, denunciare le
strutture e le leggi ingiuste , partecipare in ogni modo opportuno e ad ogni livello
al loro miglioramento, senza per questo confondersi con la comunità politica o una
parte di essa, mai rinunciando alla sua natura e identità di associazione cattolica e
laica;
-
l’approccio particolare dei Vincenziani alle questioni della giustizia, consiste nel
trattarle e discuterne mettendosi al posto di quelli che essi visitano e che sono
nell’indigenza. L’oggetto dell’interesse dei Vincenziani sono i poveri, gli oppressi, i
perseguitati, gli affamati, gli sfruttati, ed essi si sentono impegnati nelle loro cause. Altri
avranno altre preoccupazioni. La nostra è per i poveri ;
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la Società stimola i confratelli adeguatamente preparati a rispondere alla loro
vocazione politica , perché si impegnino pienamente per portare i valori cristiani
nella politica ;
III PARTE
Il contributo delle nuove generazioni
Nel rapporto tra giovani e politica ci sono i disorientati, delusi dagli adulti e ricambiano
con disinteresse , esprimendo una sensazione di impotenza , di abbattimento.
Per loro la politica resta qualcosa di lontano e , in definitiva , incomprensibile. Sfuggono a
qualunque proposta di aggregazione.
Ci sono poi gli scimmiottatori , apparentemente i più impegnati, anche se di fatto
riproducono gli atteggiamenti degli adulti.
Per loro la politica è lo scontro di due parti opposte , non conciliabili. Al linguaggio della
mediazione preferiscono quello della polemica.
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Per fortuna però ci sono anche quelli che ci stanno sul pezzo : sono disposti a spendersi
per questioni concrete. Di solito in ambito locale. Anche se di idee diverse tra di loro,
cercano occasioni di confronto.
Il loro limite? Una scarsa visione di insieme Può essere difficile ricondurli alla complessità
della politica.
Tuttavia prevale nei giovani oggi la considerazione che all’antipolitica occorra
contrapporre o parlare di “ altra “ politica e che è sbagliata la personalizzazione della
politica.
Il 90% ritiene comunque utile la partecipazione alla vita pubblica: insomma né indignati
né rassegnati, ma tuttavia disincantati e lontani dalla politica.
Il volontariato rimane la modalità di impegno predominante che coinvolge i ragazzi tra i
18 e i 24 anni e sale al 38% tra i 25 e i 34 anni.
E’ preoccupante l’impoverimento di una tradizione di cultura politica che, sia pure con
molti limiti, ha sempre rappresentato un patrimonio condiviso per il nostro Paese.
La voglia di politica c’è, ma mancano gli spazi culturale e reali, le proposte innovative :
occorre ripartire dall’educazione nelle scuole. Formazione per promuovere lo sviluppo
interiore del senso di giustizia, la cultura della legalità, il rispetto delle regole,
l’integrazione, l’accoglienza delle diversità.
D’altronde Ozanam aveva pensato l’esperienza nella Conferenza Vincenziana come “
scuola di apprendistato” per l’impegno sociale e politico dei giovani :
“ Ora noialtri siamo troppo giovani per intervenire nella lotta sociale; resteremo dunque inerti in
mezzo al mondo che soffre e geme? No, ci è stata aperta una via preparatoria: prima di fare il bene
pubblico possiamo provare a fare il bene individuale e privato; prima di rigenerare la Francia
possiamo alleviare alcuni dei suoi poveri.”
La Conferenza diviene strumento formidabile per avvicinare le nuove generazioni e
formarle ad un ruolo attivo all’interno della società, per offrire un contributo al
rinnovamento dei modi e delle forme di partecipazione e di intervento sociale e politico.
Ieri come oggi. Oggi più di ieri.
Egli era cosciente di quanto questo possa essere faticoso e anche oggi ripete:
“ La missione di un giovane nella società è molto difficile e molto importante…
Vorrei che tutti i giovani che hanno testa e cuore si unissero per qualche opera di carità e che si
formasse per tutto il Paese una vasta e generosa associazione per il conforto delle classi popolari…
Vorrei racchiudere il mondo intero in una rete di carità!”.
Quale proposta , quale progetto di vita , quale esperienza , dunque , offre la Società di S.
Vincenzo, oggi , soprattutto ai giovani ?
Utilizzando un’espressione cara al P. Gregory Gay , Generale dei Padri della Missione :
rivolgiamo l’invito ad essere agenti di trasformazione per un cambiamento sistemico
attraverso questo dono che Dio ci ha dato e che ci caratterizza: ossia essere agenti di carità.
La nostra speranza è di promuovere una carità che non sia «elemosina», ma
«una mano
che aiuta l’altro a risollevarsi». Insieme con i poveri ed a partire dalla loro realtà possiamo
lavorare ed evangelizzare in modo da fare di questo mondo un migliore luogo di vita.
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1. Essere tessitori di relazioni umane
L’intuizione che fu prima di Vincenzo de Paoli e che Federico Ozanam ha arricchito di
basi culturali forti e di una prospettiva sociale , fu quella di mettere al centro dell’azione
vincenziana le relazioni umane. ( carità di prossimità – visita al domicilio del povero)
Ecco dunque come l’esperienza della Conferenza e la visita al povero costituiscono gli
aspetti di una relazione di amore che è generata in Conferenza e si espande al di fuori.
La ragione della validità di questa scelta ( il rapporto personale con il povero attraverso la
visita al suo domicilio; l’esperienza di amicizia e di comunione nella Conferenza) sta nel
fatto che al centro dell’azione sta la persona con la sua dignità di essere libero, di creatura
amata da Dio . La persona del confratello, la persona del povero.
Al centro l’uomo, ogni uomo, tutto l’uomo.
Il povero non è riconducibile o rinchiudibile nel suo bisogno, tantomeno solo quello
materiale, economico.
Questa è la grande intuizione che fu di Vincenzo de Paoli e che Federico Ozanam seppe
tradurre in apostolato culturale, caritativo e sociale.
Il povero non è un bisogno sociale da soddisfare, è una persona da amare e da aiutare a
crescere integralmente.
2. Capaci di inclusione fraterna.
Per trasformare la società e creare un nuovo clima sociale, la solidarietà non basta più: per
camminare verso nuove relazioni umane occorre porle sotto il segno della fraternità, che
diventi l’idea guida , l’orizzonte di riferimento dei laici cristiani, e anche dei non credenti ,
in una società in cui prevalgono schemi puramente economici, fondati sul profitto e sugli
interessi di alcuni che rendono schiavi uomini e comunità, sacrificando i valori e le
relazioni umane più vere e autentiche.
“ Fraternità” è la parola chiave che oggi meglio di ogni altra esprime questa esigenza di
un nuovo umanesimo cristiano. La fraternità consente a persone che sono eguali nella loro
dignità e nei loro diritti fondamentali di esprimere diversamente il loro piano di vita, o il
loro carisma. L’inclusione fraterna è la nuova frontiera della carità
Collocarsi in questa prospettiva , che fu quella delle prime comunità cristiane ( rf Atti 2, 1
ss) , non è facile. Essa esige di vivere una logica di accoglienza che urta con un’attività di
sola beneficienza , di assistenza, lontana da un umanesimo fraterno e di cercare e
perseguire lo sviluppo integrale della persona , di ogni uomo e di tutto l’uomo ( CIV , 11) .
Ed è in sintonia con Antonio Federico Ozanam, che aveva un grande desiderio:
“ racchiudere il mondo intero in una rete di carità”, cioè in una logica di amore che vince
gli egoismi e unisce le differenze .
Questa inclusione fraterna va ben al di là dell’idea di una società multirazziale,
multiculturale e multireligiosa, dove convivano e almeno si rispettino culture, razze,
religioni, opinioni e stili differenti di vita : l’inclusione fraterna è l’orizzonte di una società
più umana e più giusta , perché chiama ciascuno ad essere responsabile di ogni fratello che
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ho accanto, corresponsabile della sua vita e mi affida con lui il destino e il futuro
dell’umanità. Insieme partecipi della stessa umanità e responsabili del suo futuro.
3. Testimoni con uno stile sobrio ed essenziale di vita.
E qui si innesta l’altra via da percorrere : la sobrietà. E’ un invito rivolto a ciascuno di noi,
alla propria coscienza, all’agire morale.
La solidarietà ci richiama infatti a recuperare in stile di essenzialità un equilibrato rapporto
con i beni che ci sono stati affidati, attuando un corretto rapporto con le cose, semplici
strumenti nelle nostre mani e non padroni della nostra mente e del nostro cuore.
Per questo l’abitudine al superfluo e allo spreco sono una contro testimonianza , mentre la
sobrietà è lo stile di chi segue l’esempio di Cristo, che ha condiviso la vita dei poveri., è
una scelta di giustizia per iniziare in prima persona a dare il proprio contributo a favore di
una più giusta distribuzione della ricchezza e una migliore qualità di vita tra gli uomini.
La solidarietà esige perciò da ciascuno di noi una conversione del cuore, perché è tempo di
cambiare sul serio i nostri stili e comportamenti personali e sociali, di riscoprire il senso
della sobrietà, di perseguire la ricerca dell’essenziale , perché tutti abbiano il necessario per
una vita dignitosa.La solidarietà non può essere un “ buono” da spendere nei momenti
speciali, quanto si avvertono le conseguenze della crisi .
Deve diventare lo sguardo di un cuore che ama , e trasformarsi in stile di vita che genera
giustizia, oppure la barca affonderà e qualcuno non riuscirà a salvarsi e naufragherà l’idea
stessa di una società dai livelli sostenibili e dignitosi di vita.
CONCLUSIONE
Ascoltiamo ancora le parole di Giorgio La Pira:
"Come pensate di collaborare a questo periodo storico di eccezionale portata nel quale è impegnata,
ad un limite che direi di tensione massima, la vita della chiesa, l’intera struttura della società e della
storia. …Ebbene, volete uno strumento prezioso di constatazione di questo momento storico? Uno
strumento elementare, ma direi quasi perfetto, di rivelazione dei grandi compiti cristiani e umani
che ci attendono? Io vi indico la Conferenza di San Vincenzo, strumento delicato di
ricostruzione della persona umana. Potrete misurare il significato della storia contemporanea,
perché le poche creature sofferenti che incontrerete nella vostra opera, vi diranno col fatto della loro
povertà, in nome di centinaia di milioni, oltre un miliardo di altri bisognosi disoccupati,
sottooccupati, miseri, che questo stato di indigenza va energicamente combattuto in nome di
quell’amore cristiano ed umano che solo può legare gli uomini. Tutto il Vangelo gravita intorno
all’ultimo discorso di Gesù, e questo discorso, che prospetta la scena grandiosa del giudizio finale,
ha un contenuto solo: "Ebbi fame e mi deste da mangiare".
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