1. Le reazioni alla filosofia di Hegel: da Kierkegaard a Schopenhauer

1. Le reazioni alla filosofia di Hegel:
da Kierkegaard a Schopenhauer
L’idealismo esercita una profonda influenza sui pensatori successivi a Hegel, suscitando spesso dure critiche e decise opposizioni per quel livellamento del pensiero
hegeliano di tutte le differenze che finiva col cancellare la specificità dell’essere
umano.
L’accusa principale rivolta ad Hegel è di aver delineato una visione astratta del
mondo e della vita umana, inadeguata a spiegare i molteplici aspetti dell’universo.
Tutto ciò che accade, infatti, non può essere rigidamente circoscritto solo nell’ottica
della razionalità, considerando la ragione (idea) come il fondamento filosofico di
tutto.
Ad Hegel, infatti, viene contestata la pretesa di aver teorizzato un sistema oggettivo
ed esaustivo che trascura la realtà in tutte le sue manifestazioni, negando, così,
l’esistenza dell’azione individuale.
I maggiori oppositori dell’idealismo hegeliano sono Kierkegaard e Schopenhauer.
I due filosofi si concentrano sulla riflessione sulla condizione umana e sulla ricerca del modo per liberare l’individuo da tale situazione di sofferenza, portando avanti
una serrata critica all’astratto ottimismo dell’idealismo.
Il loro pessimismo è lo specchio delle inquietudini dell’epoca ed è un atteggiamento
che si pone in contrasto con la visione della vita degli idealisti (Fichte, Schelling, Hegel).
L’uno in chiave religiosa (Kierkegaard) l’altro in chiave laica (Schopenhauer) si
interrogano:
— sull’essenza della vita;
— sul contrasto tra dolore e noia.
In tal modo i due filosofi mettono «in soffitta» la ragione considerata dall’idealismo
logico-panlogico hegeliano arbitro assoluto di tutti gli aspetti della realtà che viviamo quotidianamente.
1) Sören Aabye Kierkegaard
Vita e opere
Sören Aabye Kierkegaard (1813-1855), originario di Copenaghen e figlio di un agiato
commerciante, studiò teologia per un decennio. Il suo lavoro si connota per la decisa
opposizione alla identità tra ragione e fede sostenuta da Hegel.
Nel 1842 si recò a Berlino per seguire le lezioni di Schelling. Tornato a Copenaghen, si dedicò
completamente agli studi ed alla pubblicazione dei suoi libri. A quest’ultimo periodo della
sua vita risale la violenta polemica contro la Chiesa ufficiale danese, accusata di tradire,
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1. Le reazioni alla filosofia di Hegel: da Kierkegaard a Schopenhauer
Di cosa parleremo
1. Le reazioni alla filosofia di Hegel: da Kierkegaard a Schopenhauer
con il suo approccio decisamente mondano, l’autentico spirito del «cristianesimo stabilito»
della visione luterana. Non intraprese mai la carriera religiosa che il suo titolo di studio
gli avrebbe consentito per continuare la propria indagine filosofica.
Kierkegaard è un filosofo polemico, anti-sistemico, anti-accademico e anti-idealista
che può considerarsi padre dell’esistenzialismo per le sue sofferte meditazioni sull’individuo, la ragione e la fede.
Opere principali: Aut-aut (1843); Timore e tremore (1843); Briciole filosofiche, o una filosofia
in briciole (1844); Il concetto dell’angoscia (1844); Postilla conclusiva non scientifica (1846);
La malattia mortale (1849). Per il clima dei suoi tempi e a salvaguardia della sua esistenza
molte delle sue opere furono pubblicate anonime o ricorrendo all’uso di pseudonimi.
La critica al sistema hegeliano. Gli inizi della filosofia di Kierkegaard sono
segnati da una dura critica all’idealismo hegeliano.
Il cardine della sua critica ruota soprattutto attorno al concetto di esistenza.
Mentre Hegel si concentra sull’essenza razionale e assoluta dei fenomeni, trascurando il singolo individuo per privilegiare una visione generica e
astratta dell’umanità, Kierkegaard si rivolge invece proprio al particolare,
all’individuale, alla concreta esistenza umana sottolineando l’importanza
e l’originalità del singolo visto nel contesto più ampio del genere umano.
Per Kierkegaard Hegel ha livellato tutte le differenze interindividuali, dando, così, assoluta priorità alla «massa indistinta» rispetto al singolo individuo.
Kierkegaard, al contrario, sostiene la priorità dell’esistenza rispetto alla
ragione, la possibilità di scelta del singolo rispetto alla logica astratta e opera,
così, una rivalutazione del libero agire umano che, nel suo vivere la realtà,
va incontro ad un indefinito numero di possibili scelte individuali che sono
alla base del comportamento umano. Ad ogni istante della sua vita, infatti,
l’individuo è chiamato a scegliere tra opzioni diverse che lo pongono costantemente di fronte all’angoscia di compiere la scelta sbagliata. È questa totale
apertura verso il possibile, e non il ferreo cammino dell’idea hegeliana
(guidata dalla «dialettica») verso l’assoluto, a costituire in Kierkegaard l’aspetto
fondamentale della visione antropologica della sua filosofia.
Lo stadio estetico. Nell’opera Stadi del cammino della vita, Kierkegaard
distingue tre condizioni o possibilità esistenziali fondamentali, cui dà il nome
di stadi e che sono definite come: stadio estetico, stadio etico e stadio
religioso. Tali stadi non sono presentati in forma dialettica, ma sono l’uno
alternativo all’altro (aut - aut, l’espressione che dà il titolo alla sua opera
più importante).
Lo stadio estetico si fonda sul piacere ed è incarnato dalla figura del
seduttore. La vita estetica appare infatti interamente rivolta al desiderio e al
godimento dei sensi.
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Il seduttore si immerge nella sfera della sensualità: per questo il personaggio
che meglio lo rappresenta è il Don Giovanni di Mozart. Come la musica, la
seduzione è permeata dall’elemento dell’immediatezza e dalla spontaneità:
il seduttore non compie mai una scelta definitiva e la sua visione del mondo
è espressa dall’antico motto oraziano del «carpe diem».
Lo stadio etico. Lo stadio etico si fonda sulla scelta di perseguire il proprio dovere e trova la sua migliore rappresentazione, secondo Kierkegaard,
nell’istituto del matrimonio, oppure, a livello più generale, in uomini la cui
esistenza è totalmente immersa nelle sfere della famiglia, dell’attività professionale e della fedeltà allo Stato.
Se l’esteta trascorre il suo tempo di istante in istante senza impegnarsi mai
in «nulla», la vita dell’uomo etico risulta invece segnata sempre da una «scelta»
meditata e consapevole.
In primo luogo, l’uomo etico compie una scelta orientata al sacrificio e al
compimento del dovere; in secondo luogo, una volta scelta una certa moglie,
una certa occupazione etc., l’uomo conferma ad ogni istante la sua opzione
e vocazione, ribadendo per il futuro ciò che ha già scelto.
Un limite di fondo, tuttavia, sembra segnare anche la retta vita etica.
Seguendo questo cammino, infatti, l’individuo per sentirsi bene con se stesso
non può che tendere verso Dio. Ma poiché di fronte a Dio l’unico sentimento
possibile è quello del riconoscimento della propria inadeguatezza umana,
e, quindi, cristianamente della «propria» colpevolezza originale e del peccato
che ciascuno scopre quando sente Dio, l’esito estremo della vita etica è il
pentimento.
L’«uomo etico” viene posto di fronte al peccato originale, che non costituisce una categoria etica, ma una determinazione religiosa.
Lo stadio religioso. Attraverso il pentimento l’uomo esce così dalla sfera
dell’etica e entra in quella più autentica della religione.
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La vita dell’esteta rappresenta, così, una successione ininterrotta di istanti indipendenti gli uni dagli altri: costui passa da un’esperienza all’altra senza che la precedente possa lasciare una significativa traccia su quella successiva, senza, dunque
che la sua esistenza possa disegnare una «storia» o tenere memoria dell’accaduto.
Tuttavia, proprio a causa dell’assenza di un centro unificatore dell’esistenza,
l’esito finale dello stadio estetico non può che portare alla disperazione e l’impotenza, e cioè alla presa d’atto dell’assoluta vanità e vacuità di ogni esperienza umana. Si tratta, in sintesi, dell’inevitabile stallo causato dalla finitezza e
dalla limitatezza che caratterizza ogni essere umano. Ciò può spingere l’esteta
ad operare un salto verso un tipo di vita superiore, una dimensione dominata da principi completamente estranei alle regole dell’estetica: lo stadio etico.
Anche in questo caso il passaggio non è logico, poiché implica un salto
ancora più radicale di quello che scindeva la dimensione etica da quella estetica.
La scelta di «abbracciare la fede» è una decisione individuale che apre
e determina un rapporto problematico tra uomo e Dio. Si tratta infatti di un
passaggio «irrazionale», che prevede un salto emozionale e illogico dalla
ragione verso la fede, fino alla presa di coscienza dell’Universale.
Lo stadio religioso è descritto in «Timore e tremore», opera che già nel
titolo esprime la natura dolorosa e sofferta dell’atteggiamento religioso nei
confronti della trascendenza.
Rispetto alla vita sociale ed al mondo di regole di comportamento e convivenza che essa comporta, l’uomo di fede è infatti assolutamente solo: il
suo unico rapporto si svolge con un «salto di fede» verso Dio, non più con gli
«altri» o con le «leggi» o con la «famiglia».
La dimensione religiosa comporta una sospensione dell’etica condivisa,
poiché essa si centra esclusivamente sull’adesione cieca alla volontà di Dio,
una volontà inconoscibile e persino «divergente» dalle comuni leggi umane.
1. Le reazioni alla filosofia di Hegel: da Kierkegaard a Schopenhauer
La figura emblematica di questa condizione è infatti quella di Abramo, l’uomo che per obbedire a Dio è pronto a sacrificare Isacco, suo unico figlio. Sul
piano etico egli sarebbe addirittura da considerarsi un potenziale assassino.
La sua unica giustificazione nell’uccidere Isacco risiede infatti, come è
evidente, non nelle leggi, ma nella suprema volontà di Dio che si esprime
attraverso il rapporto del tutto interiore tra l’uomo Abramo e la divinità.
Nessuno può capire un gesto simile sulla base delle regole umane, ed egli
stesso non può essere certo di non sbagliare: la fede si svela, dunque, sotto
l’inquietante segno del rischio individuale assoluto.
Angoscia* e disperazione. La possibilità, per
Kierkegaard, è la categoria fondamentale dell’esistenza.
Ma «possibilità» significa anche «condizione di
insicurezza», di inquietudine e di travaglio interiore di fronte alla scelta, cioè alla situazione di angoscia cui è condannato l’individuo libero di agire e
di pensare.
L’angoscia è identificabile come una «vertigine»
che proviene dalla possibilità data dalla libertà. Il singolo kierkegaardiano
acquista la coscienza che tutto è possibile: ma quando tutto è possibile, in
realtà, è proprio come se nulla fosse possibile.
La possibilità non si riveste solo di positività (di apertura, di libertà),
non è solo la possibilità della fortuna, della felicità e così via: è anche e
soprattutto la possibilità dello scacco, dell’errore, la possibilità del nulla.
Angoscia: stato psichico che
in filosofia, a partire da Kierkegaard, indica un atteggiamento
fondamentale dell’uomo nel
mondo, cioè la sua esistenza
vista come possibilità indeterminata. Proprio in questo senso
il concetto d’angoscia verrà
ripreso e approfondito nel ’900
in ambito esistenzialista.
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L’angoscia è l’impossibilità di prevedere la conseguenza del libero agire
in un mondo in cui nessun individuo sa che cosa accadrà nel futuro. È, cioè,
la stessa sensazione provata da Adamo che ignora in che cosa consista la
conoscenza, e dunque, l’alternativa tra il bene e il male.
Questa angoscia, insita nell’individuo, appare in Kierkegaard strettamente
connessa alla categoria della disperazione, l’autentica «malattia mortale» di
cui tratta l’omonimo libro e di cui l’individuo, una volta preso atto della sua
condizione di limitatezza, cerca disperatamente di sbarazzarsi.
In particolare, l’angoscia, che è la condizione che caratterizza l’essere
umano, è radicata soprattutto a livello dei rapporti tra il singolo e la realtà
esteriore, tra il soggetto e i fenomeni; la disperazione, invece, riguarda il
rapporto con se stessi, con la propria interiorità.
La disperazione è segnata dalla presa di coscienza che la possibilità dell’io
si traduce sempre necessariamente in una impossibilità di fondo, carattere
inscindibile dalla natura umana.
Attraverso la disperazione, Kierkegaard ci mostra una penetrante analisi
psicologica delle dimensioni in cui l’io individuale (in contrasto con l’io di
Fichte) sperimenta il fallimento delle sue opzioni esistenziali.
Leggere i testi
La fede. All’angoscia ed alla disperazione si sfugge solo attraverso la fede,
ovvero con l’ultimo salto qualitativo dei tre stadi già citati.
Svanisce con ciò l’angoscia del possibile, poiché il possibile è nelle mani
di Dio. Viene superata la disperazione della propria impossibilità, poiché il
soggetto scopre di trovare in Dio l’estrema sicurezza. Sempre fedele alla sua
«dialettica paradossale», Kierkegaard ritiene che anche questo estremo passaggio
alla fede sia privo di mediazione, e sia quasi irrazionale.
La fede è un assurdo filosofico perché non può essere dimostrata per
mezzo di analisi storiche e filologiche, né può fondarsi su una filosofia
speculativa che la riconduca ad una pura proiezione della ragione umana.
La fede è piuttosto il risultato di un atto esistenziale obbligato e paradossale attraverso cui l’uomo rinuncia ad ogni tentativo di comprensione
razionale, accettando l’assurdo.
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1. Le reazioni alla filosofia di Hegel: da Kierkegaard a Schopenhauer
L’angoscia si può paragonare alla vertigine. Ma la causa non è meno nel suo occhio
che nell’abisso: perché deve guardarvi? Così l’angoscia è la vertigine della libertà, che
sorge mentre lo spirito sta per porre la sintesi e la libertà, guardando giù nella sua propria
possibilità afferra il finito per appoggiarvisi.
Sören Kierkegaard, Il concetto dell’angoscia
L’essenza intima della fede non è una verità oggettiva, determinabile con
gli stessi strumenti di indagine con cui si analizza un fenomeno naturale o un
problema matematico. Essa è interamente soggettiva, non relativa e variabile,
ma fondata esclusivamente sul rapporto tra singolo soggetto e rivelazione divina.
Paralleli & confronti
Con Hegel: per Hegel la realtà è necessaria e razionale. Per Kierkegaard essa è un complesso di possibilità
inconciliabili (male e bene, morte e vita, peccato e salvezza…). Hegel, nel tentativo di considerare l’uomo come
«momento» dello spirito ne aveva cancellato l’individualità e, dunque, la specificità ed originalità.
Con Nietzsche: anche nel pensiero nietzschiano molta importanza ha l’attimo, come momento in cui si concentra, di volta in volta, il significato della vita.
Con Feuerbach: la concretezza dell’esistenza umana è, per Feuerbach, come per Kierkegaard, il principale
punto di partenza contro il panlogismo di Hegel.
Con Schopenhauer: nel pensiero di Kierkegaard c’è un profondo senso religioso che, invece, manca al
pensiero di Schopenhauer. I due filosofi sono tuttavia vicini per l’irrazionalità e la concezione pessimistica
della vita che oppongono al razionalismo e all’ottimismo hegeliano.
Con Marx: mentre per il filosofo di Treviri tra le varie epoche vissute dall’umanità esiste un collegamento che
permette un passaggio da uno stadio all’altro, per Kierkegaard esiste «discontinuità» tra gli stadi dell’esistenza.
2) Arthur Schopenhauer
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Vita e opere
Arthur Schopenhauer (Danzica, 1788-Francoforte, 1860) frequentò i corsi di G.E. Schulze
a Göttingen e a Berlino quelli di Schleiermacher e Fichte e si interessò, tra l’altro, anche
di filosofia orientale.
Si laureò in filosofia a Jena nel 1813. Ottenuta la libera docenza nel 1820 a Berlino, lasciò
l’insegnamento per via dello scarso seguito che ebbero i suoi corsi (tenuti nello stesso
orario di quelli di Hegel).
Dopo aver viaggiato, decise di abbandonare definitivamente la vita accademica e dal 1833
si stabilì a Francoforte. La sua opera più importante è Il mondo come volontà e rappresentazione (1819, riedizione nel 1844 con un volume di supplementi), inizialmente non
ebbe grosso successo. La sua fortuna letteraria crebbe con la pubblicazione nel 1851 dei
Parerga e paralipomena, scritti diversi di filosofia, letteratura, diritto, composti con uno
stile brillante e accessibile a tutti.
Tra gli altri suoi scritti ricordiamo: Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente
(1813), Sulla volontà della natura (1836), I due problemi fondamentali dell’etica (1841).
Il dualismo filosofico. Schopenhauer, considerato iniziatore dell’irrazionalismo moderno, si oppose al «monismo idealista» di Hegel, affermando che la
«realtà è priva di razionalità e non è indirizzata ad un fine ultimo».
Il filosofo di Danzica ritorna al discorso filosofico in termini dualistici
(come Kant aveva fatto distinguendo tra fenomeno e noumeno) considerando
il mondo sia come volontà che rappresentazione.
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In particolare, la «causalità» alla luce del principio della «ragione sufficiente» si fonda su quattro radici:
— il divenire che è la causalità fisica tipica delle cose naturali;
— il conoscere che è il nesso tra premessa e conclusioni;
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Il mondo come rappresentazione. Schopenhauer si considera, dunque, erede di Kant e per comprendere il suo pensiero, occorre rifarsi alla distinzione
kantiana tra fenomeno e noumeno (e tra conoscere e pensare).
Per Kant il nostro modo di conoscere è legato ai dati dell’esperienza e,
quindi, a ciò che si presenta alla nostra sensibilità, mentre di quello che non
è oggetto di esperienza non possiamo sapere nulla: possiamo conoscere l’oggetto così come ci appare (fenomeno), ma ci è preclusa la conoscenza di ciò
che l’oggetto è in se stesso (la «cosa in sé», il noumeno).
Questa visione suggerisce l’idea che il mondo conosciuto o fenomenico
non comprende tutta la realtà; esiste, infatti, un mondo «noumenico», che
in qualche modo sta dietro ciò che non ci appare ed è in relazione con esso
e che si può solo pensare, ma non conoscere perché il fondamento di tale
conoscenza non è spiegabile.
Come per Kant, anche Schopenhauer intende il mondo come «rappresentazione», cioè, considerato dal punto di vista del soggetto.
Si riducono le dodici categorie kantiane a una sola: la causalità. Le cose
sono «reali» in quanto si trovano in una concatenazione di cause ed effetti, la
cui struttura è prodotto del soggetto. Infatti, mentre in Kant spazio e tempo
sono le forme a priori dell’esperienza umana e sono concetti partoriti dalla
nostra mente, in Schopenhauer spazio, tempo e Rappresentazione: in senso
causalità esistono solo all’interno della rappresen- generale, indica l’atto di riprotazione* che è il rapporto del soggetto all’oggetto duzione di un oggetto da parte
che si estrinseca nell’atto conoscitivo; l’oggetto, della coscienza.
cioè, esiste per l’azione conoscitiva del soggetto.
«Causalità» e «necessità» non appartengono, quindi, né solo al soggetto
(idealismo) né solo all’oggetto (materialismo), ma alla relazione tra i due,
alla rappresentazione: il mondo altro non è che una nostra rappresentazione.
“Soggetto” e “oggetto” sono termini correlativi:
Principio di ragion sufficiente:
tutti gli oggetti sono oggetti per un soggetto e tutti i ipotesi formulata da Leibniz, sesoggetti sono soggetti che conoscono oggetti. All’in- condo cui niente può esistere o
terno della rappresentazione vige il principio di accadere, né alcun giudizio può
essere formulato, senza che vi
ragion sufficiente*, secondo il quale ogni cosa sia una ragione sufficiente che
deve avere un fondamento o una ragione per sia così e non diversamente.
esistere così com’è. Il mondo della rappresenta- Nella logica classica questo
si affianca al principio
zione e dei fenomeni ci appare quindi come un principio
di identità e a quello di nonrigoroso sistema di nessi.
contraddizione.
— l’essere come momento unificante degli eventi;
— l’agire che rappresenta il legame tra «azione» e «motivazione».
Questi «attributi» non si riferiscono all’oggetto (idealismo) né al soggetto (materialismo) ma alla rappresentazione, che abbraccia contemporaneamente il
soggetto e l’oggetto: essa non è vera in assoluto, ma è vera così come «appare».
Leggere i testi
Il mondo è una rappresentazione: questa è una verità che vale in rapporto a ciascun essere
vivente e conoscente, sebbene l’uomo soltanto sia capace d’accoglierla nella riflessa, astratta
coscienza: e s’egli veramente fa questo, con ciò è penetrata in lui la meditazione filosofica.
Per lui diventa allora chiaro e ben certo, ch’egli non conosce né il sole né la terra, ma appena
un occhio, il quale vede un sole, una mano, la quale sente una terra; che il mondo da cui è
circondato non esiste se non come rappresentazione, vale a dire sempre e dappertutto in
rapporto ad un altro, a colui che rappresenta, il quale è lui stesso.
1. Le reazioni alla filosofia di Hegel: da Kierkegaard a Schopenhauer
Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione
La volontà e la condizione umana. Riguardo alla realtà noumenica kantiana,
(che si chiama “volontà”) anche se non può mai essere conosciuta nella sua
oggettività da parte dall’essere umano, si possono, comunque, riscontrare
alcune esperienze a livello fenomenico che danno all’uomo la possibilità di
«scorgerne» la natura, oltre il «velo» delle apparenze, ciò che Schopenhauer,
recuperando un termine dalla filosofia buddista, chiama Velo di Maja.
Per la filosofia orientale, si tratta di un velo che copre il vero volto delle
cose, nascondendo allo sguardo dell’uomo la realtà vera e profonda delle cose.
La chiave verso la conoscenza della natura interna del mondo è rappresentata dal proprio corpo: tutti gli altri oggetti si conoscono solo dal di fuori,
come entità esistenti nello spazio e nel tempo di cause ed effetti. Il corpo di
ciascuno, invece, si conosce anche da dentro, introspettivamente mediante le
sensazioni di piacere e dolore.
Scrutando il mondo della rappresentazione dal «dentro» ci si libera del
filtro dello «spazio» e in parte della causalità (anche se non del tempo), per
questo, attraverso il corpo, il soggetto può cogliere quello che sta al di dietro
della rappresentazione e scopre che sotto il «velo» c’è la volontà: desiderare,
tendere, aprirsi a tutte le varietà di affetti ed emozioni, piacere e dolore, che
conducono all’azione o la inibiscono.
Mentre la rappresentazione è determinata da spazio, tempo e causalità
(principium individuationis, che isola i singoli fenomeni) ed è regolata dal
principio di ragione, la realtà noumenica è fuori dal modo umano di conoscere;
dunque è volontà unica e irrazionale. L’intero mondo fenomenico è la manifestazione di una singola, indifferenziata, «cosmica», volontà. L’intera natura,
organica e inorganica, è il teatro nel quale si manifesta la volontà universale.
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L’arte. È nell’arte che l’uomo si sottrae in parte a questa situazione disperata,
sfuggendo al principium individuationis che domina il mondo della rappresentazione, perché l’esperienza estetica si concentra sulle idee, che sono le
essenze universali del mondo fenomenico.
Nella contemplazione artistica la conoscenza si libera, perché esce dalla
sua condizione di schiava della volontà.
Fondamentale è il ruolo dell’artista. Mentre l’uomo ordinario ha un intelletto ordinario tende ai propositi pratici della vita quotidiana, l’artista si giova
di un intelletto più dotato, che:
— da un lato, gli permette di cogliere le idee nelle cose in maniera più
profonda (ispirazione);
— dall’altro lato, egli ha anche l’abilità di materializzare in un’opera d’arte
quello che è riuscito a cogliere e in un modo più vivido, in modo da
rendere anche gli altri capaci di sperimentare quello che lui è riuscito
a cogliere (espressione).
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1. Le reazioni alla filosofia di Hegel: da Kierkegaard a Schopenhauer
Questa volontà, principio unitario e irrazionale, individuandosi ed oggettivandosi nei singoli esseri umani, diventa anche principio di lotta: perenne
inseguimento dell’appagamento del desiderio e conflitto tra gli individui.
La natura umana, dunque, è in una condizione di continua tensione o
desiderio, a causa di un vuoto primordiale che l’individuo cerca in tutti i modi
di colmare trovandosi, di fatto, in una condizione individuale estremamente
spiacevole.
I bisogni e voleri degli individui sono generalmente in conflitto tra loro e
ciò ne rende difficile la realizzazione, ma anche la loro soddisfazione è solo
un piacere momentaneo, che lascia subito il posto a numerosi altri desideri e,
dunque, di nuovo all’insoddisfazione.
D’altra parte, in assenza di questa continua tensione interiore, l’individuo
verserebbe in uno stato di noia, meno piacevole dell’usuale insoddisfazione.
Tutte le cose, dunque, sono così immerse in una sofferenza senza ristoro,
per via dell’inseguimento incessante della soddisfazione di desideri e bisogni
e degli ostacoli che a questa si presentano.
La soddisfazione che sopraggiunge al raggiungimento dello scopo fa tacere
il dolore, lasciando però il posto alla noia. La vita è dunque un pendolo in
continua oscillazione tra dolore e noia, stadi intervallati solo da brevissimi
momenti di piacere.
Queste affermazioni (il noto pessimismo di Schopenhauer) non sono
basate su considerazioni intimistiche o psicologiche, ma sulla convinzione metafisica che la volontà sia la natura essenziale dell’uomo e dell’intera esistenza.
Per sottrarsi a questa condizione di noia esistenziale, l’individuo deve
trovare una strada alternativa al tormento della propria soggettività; tale strada trova soprattutto nell’arte, nella morale e nell’ascesi la sua liberazione.
1. Le reazioni alla filosofia di Hegel: da Kierkegaard a Schopenhauer
L’esperienza estetica ha una dimensione edonistica per il piacere temporaneo che offre all’individuo.
Esiste una gerarchia delle arti, a seconda del valore delle idee offerte
alla contemplazione (vi è una gerarchia anche delle idee): al grado più basso
l’architettura, al più alto la tragedia, che mostra l’inevitabilità della sofferenza
e l’inesorabilità del fato. Ma l’arte superiore a tutte è la musica, che non è
rappresentazione, quindi non è oggettivazione della volontà, ma è volontà
pura: non presenta idee, ma incarna la volontà stessa.
Etica e ascesi. L’uomo trova nella contemplazione estetica una liberazione
transitoria e parziale dalla “schiavitù” costituita dalla volontà.
È l’etica ad offrire profonde possibilità di liberazione perché è espressione
di una volontà unica che unisce tutti gli esseri viventi. Questo senso dell’unione può frenare l’egoismo dell’uomo, attraverso il sentimento della giustizia,
oppure la bontà, quel sentimento di compassione e di carità che ci fa sentire
di condividere il destino degli altri e che ci allontana dal dolore immanente
nell’animo umano.
Schopenhauer insiste sull’importanza della compassione e sul rispetto per
ogni essere vivente con il quale condividiamo il destino, estendendo il principio
di carità anche nei riguardi degli animali. Persino le piante, sostiene il filosofo
tedesco, patiscono il dolore tra la volontà di vivere e la loro condizione peritura.
L’unico modo per raggiungere una liberazione definitiva dalla volontà e
dalle sue conseguenze è quello di abbandonare la volontà di vivere e accedere, così, alla noluntas («non-volontà») che ci porta a vivere il momento della
volontà e della rappresentazione in maniera distaccata, in veste di spettattori
e non di attori della nostra vita.
La situazione di dolore e insoddisfazione nella quale gli uomini si dibattono incessantemente mostra che la volontà di vivere è l’origine stessa del
male e apre la strada alla possibile liberazione da quest’ultima, spingendo
l’uomo ad abbandonarla.
Giungiamo così all’ascesi* (il grado più alto
Ascesi: termine che da Platone
dell’etica),
che è la ripugnanza totale per la stessa
in poi designa il processo di
limitazione dei desideri terreni, volontà, la negazione del corpo, la castità assoluta,
quindi la rinuncia al piacere l’interruzione quindi del ciclo vitale.
corporeo e l’elevazione mistica
Con il sacrificio della volontà sono soppressi
e religiosa al mondo ideale. In
Schopenhauer indica la libera- anche i fenomeni collaterali: se non c’è più volontà,
zione dell’uomo dalla volontà di non c’è più rappresentazione, quindi non c’è più
vita, cieca e irrazionale.
mondo.
Non resta dunque che il nulla, anche se il nulla va affrontato a viso
aperto: per coloro che sono ancora spinti dalla volontà, ciò che resta dopo la
sua totale soppressione è il vero e assoluto nulla. Viceversa, per coloro in cui
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la volontà si è convertita e soppressa, «è solo il mondo reale, con tutti i suoi
soli e le sue vie lattee, ad essere il nulla». La negazione della volontà non
sfocia mai, in Schopenhauer, nel suicidio. Tale forma di autodisruzione
costituirebbe infatti una resa individuale del singolo che rinuncia alla vita
non per sopprimere la volontà, ma bensì per rifiutare le particolari condizioni
esistenziali che gli sono toccate in sorte.
Paralleli & confronti
Con Platone: anche per Schopenhauer le idee sono l’archetipo, modello universale degli oggetti e dei fenomeni. Le idee dimorano in un mondo eterno e immutabile, il mondo della volontà.
Con Aristotele e Kant: In merito alle categorie: per Aristotele sono 10 e rappresentano la forma a prioridell’essere. Per Kant sono 10 e derivano dalle forme a priori dell’esperienza umana (spazio-tempo). Per
Schopenhauer sono tre: spazio, tempo e casualità.
Con Freud e Jung: in quanto le “presentazioni individuali” di Schopenhauer influenzano le teorie psicoanalitiche.
Con Plotino: Plotino afferma il processo di emanazione dall’Uno, all’Intelletto, all’Anima, al mondo sensibile;
anche Schopenhauer parla di un processo discensivo nella obiettivazione della Volontà (Volontà, Idee, Cose).
Con Kant: il mondo della Volontà e della Rappresentazione risente molto del discorso kantiano su noumeno e
fenomeno. Schopenhauer accetta il discorso kantiano sulle categorie, anche se riduce queste ultime alle funzioni di spazio e tempo e alla legge di causalità.
Con Kierkegaard: l’ottimismo dell’idealismo hegeliano subisce in entrambi i filosofi una radicale e impietosa
critica.
Con la filosofia buddista: la felicità (Nirvana) si può raggiungere solo con il distacco dalla vita trerrena
stendendo sulla rappresentazione un velo di maya e annullando con la noluntas ogni desiderio.
Test di verifica
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1. Le reazioni alla filosofia di Hegel: da Kierkegaard a Schopenhauer
1) Cosa indica la categoria del singolo in Kierkegaard?
a) Centralità dell’esistenza concreta dell’individuo
b) Celebrazione della solitudine umana
c) Il drammatico rapporto tra soggetto e fede
d) L’esistenza come sistema complessivo
e) La limitazione della molteplicità
2) Cosa implica lo stadio etico?
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a) Un superamento dialettico di quello estetico
b) Il dominio sugli altri
c) Il dominio di sé
d) Il rapporto esclusivo con Dio
e) Un’esistenza fondata sulla certezza della scelta
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3) Cos’è l’angoscia?
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❏
❏
❏
a) Una sensazione interiore di paura
b) Una categoria permanente dell’esistenza
c) La possibilità di perdere la fede
d) Esprime il senso del peccato
e) La strada per la vera conoscenza
4) Cosa simboleggia il sacrificio di Isacco?
❏
❏
❏
❏
❏
a) La potenza di Dio
b) L’assoluta sottomissione a Dio
c) La sospensione dell’etica
d) L’angoscia della morte
e) L’indifferenza di Dio
5) Qual è il principio supremo della realtà per Schopenhauer?
❏
❏
❏
❏
❏
a) La natura
b) La corporeità
c) La totalità dei fenomeni
d) La volontà
e) L’alienazione
1. Le reazioni alla filosofia di Hegel: da Kierkegaard a Schopenhauer
6) Nella filosofia di Schopenhauer:
❏
❏
❏
❏
❏
a) Si
b) Si
c) Si
d) Si
e) Si
oltrepassa il dualismo tra fenomeno e cosa in sé
opera una riduzione delle forme a priori di Kant
riabilita la funzione dell’esperienza per la conoscenza
ridefinisce il ruolo dell’io penso
definisce una prospettiva materialistica
7) Secondo Schopenhauer:
❏
❏
❏
❏
❏
a) La volontà è dovunque
b) L’uomo è principalmente corporeità
c) L’oggetto della filosofia è l’idea platonica
d) L’arte e la natura sono forme di conoscenza
e) L’uomo è misura di tutte le cose
8) Che cosa intende Schopenhauer per «Velo di Maja»?
❏ a) La dottrina buddista
❏ b) Il noumeno kantiano
❏ c) L’illusorietà dei fenomeni
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❏ d) La percezione del proprio corpo
❏ e) Il superamento dell’uomo
9) Qual è il grado più alto della negazione della volontà?
❏
❏
❏
❏
❏
a) L’arte
b) Il suicidio
c) L’ascesi
d) La morte
e) Il caso
1. Risposta: a). Contro ogni sistema astratto, la categoria del singolo in Kierkegaard
intende esprimere l’unicità e concretezza dell’esistenza effettiva dell’uomo.
2. Risposta: e). Diversamente che nello stadio estetico, in cui non si approda mai ad un orizzonte definitivo ma sempre e solo al passaggio da un
piacere all’altro, lo stadio etico si concretizza nella certezza della scelta:
nel matrimonio, nell’etica, nel rispetto delle leggi.
3. Risposta: b). L’angoscia non è soltanto uno stato psichico: è una struttura dell’esistenza umana, centrata sulla vertigine della scelta, sulle infinite
possibilità della vita.
4. Risposta: c). Il sacrificio di Isacco costituisce il momento più alto del
concetto di religione in Kierkegaard: implica una sospensione del mondo
etico che mostra la fede come orizzonte tragico e paradossale.
5. Risposta: d). La volontà coincide con la stessa «cosa in sé», cioè con il
principio metafisico del reale: è una forza cieca e irrazionale che domina
la totalità dei fenomeni.
6. Risposta: b). Le kantiane forme a priori vengono ridotte a tre: spazio,
tempo e causalità. Quest’ultima accorpa le dodici categorie postulate da
Kant.
7. Risposta: a). La volontà è onnipresente: con gradi di oggettivazione diversi,
permea di sé tutta la realtà.
8. Risposta: c). «Velo di Maja» è il velo di illusorietà che avvolge i fenomeni: il
mondo della pura rappresentazione, l’ombra che ci separa dalla cosa in sé.
9. Risposta: c). L’ascesi segna il grado più alto della negazione della volontà:
mortificare il corpo e il desiderio, interrompere il ciclo delle generazioni.
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1. Le reazioni alla filosofia di Hegel: da Kierkegaard a Schopenhauer
Soluzioni e commenti
2. Dalla sinistra hegeliana a Marx
Di cosa parleremo
Il periodo che va all’incirca dagli anni ’30 dell’Ottocento fin quasi alla fine del secolo
è caratterizzato da profonde trasformazioni politiche e sociali (moti del ‘31 e
del ‘48) dalla crescita numerica del proletariato e dalle sue rivendicazioni, dai moti
rivoluzionari che mettono in discussione il sistema creato dal Congresso di Vienna
(1815), dall’avanzare delle istanze nazionalistiche liberali e democratiche, che portarono dopo gli anni sessanta alla nascita di nuovi Stati (Italia e Germania).
In questa situazione, la filosofia di Hegel rivela una duplice tendenza: da un lato si
erge a baluardo dello stato prussiano (Hegel aveva appoggiato la monarchia costituzionale nazionale instaurata dopo la Restaurazione) e dall’altro a difesa dell’ortodossia religiosa.
Nei confronti di Hegel i suoi discepoli mostrano profonde differenze di atteggiamento: conservatore (destra hegeliana) o critico e innovatore (sinistra hegeliana)
riguardo al pensiero del maestro.
Per la loro posizione progressista, gli esponenti della sinistra tenderanno, più che
quelli della destra, ad arricchire il panorama filosofico di nuove idee e assumeranno
un atteggiamento fortemente critico. Hegel infatti con il suo «panalogismo logico» aveva razionalizzato la realtà cancellando ogni forma di pensiero individuale,
perciò si dice che la dialettica di Hegel parte dalla «testa», mentre quella della sinistra dai «piedi».
Così, al posto dell’astratto «sistema universale» creato dall’«idea» e dalla «ragione»
la sinistra hegeliana esalta l’importanza dell’individuo, delle sue esigenze, dei
suoi limiti e all’idea della filosofia intesa da Hegel come mera contemplazione
dell’idea si sostituisce quella della filosofia impegnata attivamente nella realtà che ci circonda.
2. Dalla sinistra hegeliana a Marx
1) Destra e sinistra hegeliana: rapporti tra fede e religione
Posizioni nella scuola hegeliana. La filosofia di Hegel aveva attratto e interessato gli studiosi che alla sua morte (1831) continuarono a riconoscersi
nelle idee del maestro, anche se con posizioni differenti. Così, sulla base delle
diverse impostazioni critiche all’interno della scuola hegeliana si parla di una
«destra» e di una «sinistra».
Tale divisione prende le mosse dall’ambivalenza della dialettica hegeliana
che, se da un lato implica il principio di conservazione (il progresso non
«supera» il passato, ma lo attualizza, portandolo a compimento), dall’altro si
fonda sul presupposto del superamento (la realtà è in continuo movimento
18
e perenne evoluzione). Tale ambivalenza si presta ad una duplica interpretazione, che prende forma soprattutto sul piano religioso:
— gli hegeliani di destra prediligono un’interpretazione «conservatrice», secondo la quale il sapere filosofico non è in contrasto con la
verità di fede, e che entrambi tali aspetti possono convivere;
— la sinistra ritiene invece che la filosofia vada oltre la religione e
rappresenti una forma di sapere superiore.
In politica, questi due orientamenti si traducono in posizioni conservatrici
da parte della destra e aperture liberali, se non addirittura rivoluzionarie,
da parte della sinistra.
Alla destra si aggregano i pensatori conservatori e ortodossi (detti anche
«vecchi» hegeliani), che si dedicano soprattutto al commento dei testi del maestro
e alla diffusione della loro conoscenza e che si rifanno ad Hegel per giustificare
razionalmente il cristianesimo, considerato il credo che al meglio esprime la
sintesi tra religione e filosofia e sono Karl-Friedrich Göschel (1781/1861),
Kasimir Conrad (1874-1861) e Georg Andreas Gabler (1786-1853).
La sinistra, invece, opera un’ampia revisione critica dalla filosofia partendo
dall’analisi dei testi biblici, dell’interpretazione «umanistica» della religione ed
assume un atteggiamento politico progressista che si scontra con la politica
reazionaria della Prussia di Federico Guglielmo IV.
David Friedrich Strauss (1808-1874) si attirò le critiche di destra e dell’ortodossia religiosa per il suo volume Vita di Gesù criticamente elaborata (1835-37),
nel quale, utilizzando categorie hegeliane, sostiene che i racconti evangelici non
sono racconti di fatti storici, ma miti, che esprimono quell’identità tra uomo e Dio,
o tra finito e infinito, che si identifica con il contenuto della filosofia speculativa.
La religione, così intesa, porta alla separazione tra mondo umano e divino.
A lui si deve, infine, la distinzione tra «destra» e «sinistra» nella scuola
hegeliana, ispirata agli schieramenti nel Parlamento francese (a sinistra i
progressisti e a destra i consevatori) e basata soprattutto in relazione alle
posizioni assunte da ciascun pensatore in materia di religione.
Arnold Ruge (1802-1880) fondò l’organo della sinistra Annali di Halle
per la scienza e l’arte tedesca nel 1838, la cui pubblicazione fu bloccata dalle
autorità prussiane e poi ripresa nel 1841 con il nome Annali tedeschi; con
19
2. Dalla sinistra hegeliana a Marx
La sinistra hegeliana: esponenti minori. Gli esponenti della sinistra, o «giovani» hegeliani sono Strauss, Ruge, Bauer (in una seconda fase), Stirner,
Feuerbach e gli stessi Marx ed Engels. Esaminiamoli.
2. Dalla sinistra hegeliana a Marx
Marx a Parigi nel 1843 fondò un’altra rivista della sinistra: gli Annali francotedeschi, anche questa con vita breve per via della rottura tra i due.
Nel suo Critica alla filosofia del diritto di Hegel (1842) il filosofo tedesco
critica il maestro per non aver ricavato il suo sistema dalla storia, ma averlo
costruito aprioristicamente, per poi applicarlo ai fatti storici, schiacciandoli,
così, in uno schema presupposto.
Per Ruge, dunque, la «razionalità» della realtà non è già realizzata, come
per Hegel, ma è ancora da realizzare.
Ruge parte dalla critica all’idea di religione in Hegel per poi trasferire la polemica più apertamente in campo politico e sociale sul rapporto tra filosofia e storia.
Bruno Bauer (1809-1882) vedeva i Vangeli come frutto di una fantasia
religiosa e negava l’esistenza storica di Gesù. Sosteneva, inoltre, una critica
radicale della religione e, tra l’altro, fondò diverse riviste, per la divulgazione
della sua nuova «filosofia critica».
Max Stirner (1806-1856) è considerato uno dei padri spirituali del
pensiero anarchico moderno in quanto considerando (come ha fatto Hegel)
concetti astratti «Dio», lo «Stato», lo «Spirito», l’«uomo» e la «storia» si creano dei
«feticci» che solo l’individualità e la concretezza dell’uomo possono abbattere.
Tra le sue opere ricordiamo: L’unico e la sua proprietà (1845), pubblicazione immediatamente ritirata con l’accusa di blasfemia. Secondo Stirner, Dio
Ipostatizzare: personificare, non è che l’egoismo umano ipostatizzato*: un
rappresentare in concreto con- essere irreale dinnanzi al quale l’uomo sacrifica la
cetti astratti.
sua cosa più importante, che è la libertà. Dunque
la religione è immorale e lo sono anche le filosofie che definiscono apoditticamente* l’Umanità e, in tal modo, non riescoApodittico: cioè che viene im- no a superare la tensione tra quello che l’uomo «è»
posto dall’altro ed essendo e quello che «dovrebbe essere».
ritenuto di per sé già evidente
L’uomo è un individuo libero, autonomo, crenon va dimostrato.
atore del proprio destino e, come tale, è padrone
della propria forza: l’obbedire ad ogni essere superiore indebolisce il senso
della sua unicità e gli toglie forza e vitalità.
La vera libertà ha come suo centro e fine l’io singolo e il suo diritto alla
proprietà di se stesso. L’unica unione auspicabile tra gli uomini non è una società con le sue gerarchie, ma un’associazione che per ognuno deve costituire
il mezzo per moltiplicare le proprie forze, da realizzarsi con un’insurrezione dei
singoli e non con una rivoluzione globale (che instaurerebbe solo altre gerarchie).
Di Feuerbach parleremo al paragrafo 2.
Anche Marx farà parte inizialmente della sinistra hegeliana, ma poi se ne
distaccherà e produrrà diverse opere critiche nei confronti degli altri «giovani
hegeliani»: Bauer nella Sacra famiglia (1845); Max Stirner ne L’Ideologia tedesca
(con Engels); Feuerbach nelle Tesi su Feuerbach.
20
2) Ludwig Feuerbach
Vita e opere
Ludwig Andreas Feuerbach (1804-1872) studiò teologia e filosofia ad Heidelberg e seguì
i corsi di Hegel a Berlino.
Già a 25 anni libero docente all’università di Erlangen, fu costretto ad abbandonare
l’insegnamento per via delle sue concezioni religiose espresse nel volume Pensieri sulla
morte e l’immortalità (pubblicato anonimo nel 1830). Nell’opera, infatti, egli si propone di
demistificare l’impalcatura dogmatica della teologia a favore della centralità dell’uomo
passando, così, per ateo convinto per le sue tesi coraggiose e anticonformiste.
Nel resto della sua vita si dedicò esclusivamente agli studi, vivendo in povertà.
Tra le sue numerose opere ricordiamo: i saggi Intorno a filosofia e cristianesimo e Critica
della filosofia hegeliana (1839, usciti negli «Annali di Halle»), L’essenza del cristianesimo
(1841), Tesi preliminari per la riforma della filosofia e Principi della filosofia dell’avvenire
(1843), L’essenza della fede secondo Lutero (1844), L’essenza della religione (1846), Teogonia
(1857), Lezioni sull’essenza della religione (pubblicato nel 1851, da lezioni che tenne ad
Heidelberg fra il 1848 e 1849).
La critica alla religione e la religione come alienazione. La critica di Feuerbach alla religione, e in particolare al cristianesimo, si basa sull’idea che ciò
che viene considerato Dio ed adorato, non è che l’essenza stessa dell’uomo
«divinizzata».
L’uomo, dunque, percepisce questa «essenza» fuori di sé e vive in una
condizione di costante alienazione* delle sue qualità più elevate, che deve,
invece, essere superata liberandolo dal vincolo reli- Alienazione: per Feuerbach
gioso che lo fa dipendere da una potenza divina è l’attribuzione delle proprie
superiore: l’io deve potersi riappropriare della propria qualità ad un essere superiore
cui ci si sottomette, creando
«essenza umana», riportando a sé (al genere «uomo» una situazione di dipendenza.
e non al singolo individuo: visione antropocentrica) L’alienazione, in Feuerbach, è
quello che generalmente ed erroneamente vede at- prevalentemente spirituale in
Marx, invece, è materiale. In
tribuito in passato a Dio (visione teocentrica).
psicologia l’alienato è colui
La vera emancipazione dalla religione è il com- che perde le sue normali facoltà
prendere che l’uomo stesso, la sua essenza, occu- psichiche.
pano il posto di Dio, in quanto non è Dio ad aver
creato l’uomo, ma l’uomo ha creato Dio. Tutti i predicati attribuiti a Dio
21
2. Dalla sinistra hegeliana a Marx
È considerato uno degli esponenti di maggior spicco della sinistra hegeliana nonché un importante punto di riferimento per lo stesso Marx.
Il suo pensiero tese a «rovesciare» in senso umanistico la filosofia hegeliana
e affermare la dissoluzione della teologia nell’antropologia; negando, così,
ogni forma di creazione divina.
(ragione, volontà, cuore) sono in realtà predicati fondamentali dell’essenza
umana, proiettati fuori di sé, su Dio.
L’uomo, così, si riappropria del suo valore e torna al centro della filosofia,
recuperando il ruolo di perno principale attorno a cui ruota l’intera speculazione filosofica.
Così facendo Feuerbach mette in evidenza una realtà (sempre ignorata dai
pensatori) che si fonda sui bisogni primari dell’essere umano: la necessità
che al fine di elevare il livello spirituale di un popolo bisogna che lo Stato si
adoperi per migliorare la posizione economica e materiale dei suoi cittadini.
Questa idea, condivisa anche da Marx, viene compiutamente definita nella
nota espressione di Feuerbach: «L’uomo è ciò che mangia».
In seguito (Lezioni sull’essenza della religione) Feuerbach si occuperà
anche delle altre religioni, seguendo un percorso storico che ha il suo punto
d’inizio nella «religione naturale», fondata sul forte sentimento generalizzato
di dipendenza che l’uomo ha verso la natura e la sua forza.
A partire da questo assunto, il filosofo bavarese
Natura: in essa Feuerbach fa
rientrare sia il complesso dei nella Teogonia (studio sull’origine delle «divinità»)
fenomeni atmosferici (natura
correggerà il suo totalizzante antropocentrismo,
esterna) sia il complesso dei
desideri e degli impulsi indivi- lasciando, accanto all’uomo, anche spazio alla natuduali (natura interna).
ra*, intesa come realtà indipendente dalla sensibilità
e dalla coscienza (panteismo).
Leggere i testi
2. Dalla sinistra hegeliana a Marx
Il nostro compito sarà appunto di dimostrare che l’opposizione di divino e di umano è
del tutto illusoria, e che, per conseguenza, anche l’oggetto e il contenuto della religione
cristiana è interamente umano. La religione, quella cristiana almeno, è l’atteggiamento che
l’uomo ha nei confronti di sé stesso, o, più esattamente, nei confronti della propria essenza.
Ludwig Feuerbach, L’essenza della religione
Il rapporto con Hegel e la «nuova filosofia». Inizialmente “hegeliano di sinistra” (nei Pensieri sulla morte e l’immortalità), Feuerbach si staccherà poi
da Hegel, sia per le concezioni religiose, sia in campo teoretico affermando,
cioè, che l’indagine filosofica non parte da «Dio», l’«Assoluto» ma «dall’uomo
nella sua totalità», dalla «testa al calcagno».
Nel suo Critica della filosofia hegeliana del 1839 (pubblicato sugli Annali
di Halle) critica la dottrina del maestro che verrà seguita poi anche da Ruge
e poi dal giovane Marx.
Nelle Tesi preliminari per la riforma della filosofia e poi nei Principi della
filosofia dell’avvenire Feuerbach critica la filosofia di Hegel e in generale tutta
la speculazione moderna, in nome della centralità dell’uomo e la dissoluzione della teologia nell’antropologia.
22
In particolare, Hegel considerava l’Assoluto come una realtà astratta e non
accessibile al singolo uomo, mentre per Feuerbach il pensiero vero e oggettivo
parte dall’intuizione sensibile: sono, dunque, i sensi e non l’intelletto la fonte
di quella certezza che antecedentemente si cercava nel pensiero dell’uomo.
Solo l’umano è razionale. La «nuova filosofia» non si richiama alla verità
della ragione in se stessa, ma all’uomo integrale: «non quindi ad una ragione
inessenziale, scolorita ed anonima, ma ad una ragione “imbevuta” del sangue
dell’uomo». Quindi non è il razionale ad essere vero e reale, come afferma
Hegel, ma l’umano: solo l’umano, infatti, è il razionale e l’uomo costituisce
la misura della ragione.
Il rapporto io-tu, cioè il rapporto dell’uomo con l’uomo, per Feuerbach
è il principio supremo della filosofia e costituisce l’elemento di universalità,
in quanto l’essenza dell’uomo si esprime soltanto nella vita della comunità
umana, che è criterio di verità derivante dall’accordo delle percezioni del singolo con quelle della comunità. «La vera dialettica non è un monologo del
pensatore solitario con se stesso, ma un dialogo tra io e tu».
Paralleli & confronti
Con Hegel: Hegel, nel suo sistema, tende a innalzare l’umano nel divino dell’Assoluto, anche se in un discorso di totale immanenza; Feuerbach rovescia il discorso nell’esigenza di considerare Dio o l’Assoluto come una
mera proiezione delle qualità umane.
Con Strauss: così come per Strauss, anche secondo Feuerbach è rilevante il carattere mitico del discorso religioso.
Con Marx: per Feuerbach l’alienazione umana è sostanzialmente il trasferire, con caratteri di infinità, le qualità dell’uomo nel concetto di Dio; nel pensiero di Marx l’alienazione umana deriva invece dall’assoggettamento
a forze economiche che inducono, anzi, l’uomo a crearsi l’illusione di una esistenza oltremondana.
3) Karl Marx
23
2. Dalla sinistra hegeliana a Marx
Vita e opere
Karl Heinrich Marx nacque a Treviri (1818-1883), studiò a Jena, poi a Berlino, dove entrò in
rapporto con i «giovani hegeliani» il cui maestro era il Rettore dell’università.
Nel 1842 lavorò alla Gazzetta renana, giornale liberale. Nel 1843 il giornale fu soppresso
e Marx si recò a Parigi, dove pubblicò nel 1844 il primo ed unico numero degli Annali
franco-tedeschi.
Dal 1844 iniziò la sua lunga amicizia con Engels. Nel 1845 si stabilì a Bruxelles e Aderì con
Engels nel 1847 alla Lega dei comunisti, per la quale scrissero insieme il Manifesto del
partito comunista, pubblicato nel 1848.
Partecipò alla rivoluzione del 1848-49 in Germania. Fu a Colonia, Parigi e infine definitivamente
a Londra, dove, nonostante le gravi difficoltà economiche, s’impegnò in un’intensa attività
politica e intellettuale e approfondì la sua critica dell’economia politica, scrivendo Il Capitale.
Svolse un ruolo importante nella Prima Internazionale (1864) fino a quando i suoi contrasti
con l’anarchico Bakunin ne determinarono l’allontanamento (ufficializzato solo nel 1876).
Tra le sue altre opere principali, ricordiamo: Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico
(1842-43, pubblicata nel 1927), Introduzione alla critica della filosofia del diritto di Hegel (1844),
i Manoscritti economico-filosofici del 1844 (scritti nel 1844, pubblicati nel 1928-32), La sacra
famiglia (1845, con Engels), contro B. Bauer e la sinistra hegeliana, le Tesi su Feuerbach (1845,
pubblicate nel 1888), L’ideologia tedesca (1845-46, pubblicata nel 1932), anch’esso scritto in
collaborazione con Engels, ancora critico verso la sinistra hegeliana (Stirner in particolare), La
miseria della filosofia, risposta alla «Filosofia della miseria» di Proudhon (1847), Lineamenti
fondamentali della critica dell’economia politica (manoscritti del 1857-59 e pubblicati parzialmente nel 1939-41), Per la critica dell’economia politica (1859), la Critica al programma
di Gotha (1875). Si ricordi, infine, che Il Capitale fu scritto nell’arco di molti anni (il primo
volume nel 1867, il secondo e terzo postumi, nel 1885 e nel 1894). Morì a Londra nel 1883.
2. Dalla sinistra hegeliana a Marx
Fondatore del socialismo scientifico, Marx supera la posizione della sinistra
hegeliana trasformando la dialettica hegeliana dell’idea in materialismo dialettico.
Il suo pensiero getta le basi della storia economica-politica dell’Europa
degli ultimi due secoli fondata sulla lotta di classe.
Dialettica e storia: l’eredità di Hegel. Marx si forma in ambiente hegeliano
e stringe rapporti personali con vari esponenti della sinistra, dai quali poi si
distacca criticando il loro approccio ideologizzato che ha così finito col perdere
di vista i problemi concreti dell’uomo e la società.
Marx, dunque, prende le distanze da Hegel nell’«Ideologia tedesca», da
Feuerbach con le «Tesi di Feuerbach», da Proudhon con la «Miseria della
filosofia«, criticando, così anche il socialismo scientifico.
Polemizzava con lo stesso Feuerbach, col quale condivide il tema dell’alienazione e l’idea del «rovesciamento» della dialettica hegeliana.
La dialettica, invece, accomuna Marx ed Hegel: per il filosofo di Treviri essa
non rappresenta l’astratta utilizzazione di uno schema che parte e ritorna all’Essere, all’Idea, ma la base della struttura della realtà e delle sue dinamiche.
La realtà per Marx è una totalità in divenire nella quale ogni contenuto
è concepito in relazione all’insieme, «insieme» che va esaminato e «calato» in
un determinato momento storico.
Ulteriore momento significativo dell’opera di Marx è che la contraddizione
e l’antagonismo tra le classi sociali costituisce la forza motrice della storia.
Hegel ha il merito di aver messo in evidenza che alla base dello stato
moderno esiste una scissione tra stato e società civile, anche se ha successivamente idealizzato l’idea di «Stato» (in particolare quello prussiano) senza
fermarsi ad analizzare i valori sociali.
Per Marx, invece, lo Stato è solo il «cielo» astratto dell’uguaglianza giuridica tra i
cittadini, mentre la società civile è il concreto regno delle disuguaglianze economiche.
24
Idealizzando solo lo «Stato» per Marx si rischia di legittimare il potere anche nei
casi in cui si regge su soprusi e ingiustizie della classe che ne detiene le redini.
Per combattere le situazioni di ingiustizia e di oppressione della classe
dominante su quelle subordinate non basta raggiungere l’emancipazione politica né l’adozione delle regole della democrazia, ma necessita innanzitutto
l’emancipazione umana: occorre, dunque, spostare l’attenzione sui rapporti
concreti tra gli uomini presenti nella società civile.
Leggere i testi
Il lavoro alienato. I Manoscritti economico-filosofici del 1844 (pubblicati
solo nel 1932) contengono la critica marxiana al lavoro salariato, di grande
importanza per le conseguenze ideologiche e politiche e per gli sviluppi del
marxismo del Novecento.
Per Marx, gli economisti classici non hanno colto la vera essenza della
proprietà privata, fenomeno alla base del capitalismo, in quanto non hanno
percepito le insanabili contraddizioni che tale sistema nasconde e che connota la società borghese. La proprietà privata, infatti, si fonda sul lavoro salariato, che è una forma di lavoro «alienato».
Il concetto di «alienazione*» o «estraniazione», Alienazione: in Marx indica la
che proviene da Hegel e passa attraverso Feuer- riduzione dell’operaio a pura
bach, indica un processo di vera e propria perdita forza-lavoro: il proletario, nel
sistema capitalistico, non si
dell’identità di se stessi (1).
riconosce più nel prodotto del
Marx conferisce alla parola “alienazione” un proprio lavoro. L’alienazione è
senso più reale: nella divisione del lavoro, il lavo- dunque una perdita di sé, una
ratore che svolge solo una parte del suo processo condizione profondamente
negativa. Nella filosofia conperde contatto col prodotto finale della sua opera, temporanea, il termine (—)
a esclusivo vantaggio del capitalista che lucra dal indica genericamente il disagio
dell’uomo nella società indusuo lavoro, i suoi profitti.
striale.
Così, il lavoro si trasforma in un mezzo di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, in quanto «prodotto» di un lavoro che gli viene sottratto
e gli ritorna solo in minima parte come salario da parte del suo «datore» di lavoro.
(1) Si ricordi che per Hegel l’alienazione era una fase necessaria dello spirito (l’idea), che
si oggettiva nella natura per poi tornare in sé, per Feuerbach questa parola indica la scissione
dell’uomo che proietta alcune qualità fuori di sé, in un soggetto esterno che corrisponde a Dio.
25
2. Dalla sinistra hegeliana a Marx
La storia di ogni società esistita fino a questo momento è stata sempre la storia di lotte di
classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni
e garzoni, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto e condussero una lotta ininterrotta, ora latente, ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una
trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta.
Karl Marx, Manifesto del Partito comunista
Per Marx l’operaio è alienato da quattro distinti fattori:
— il prodotto del suo lavoro, dal momento che egli «crea» un oggetto
che, una volta prodotto, non gli apparterrà;
— la sua attività, in quanto sono altri (il capitalista) a determinare tempi
e modi della sua presentazione;
— la sua essenza di essere umano perché è costretto spesso a turni e
forzati e orari frustranti;
— il suo prossimo, ovvero il padrone, che lo sfrutta per perseguire il
proprio interesse e per conseguire maggior profitto.
Per questo Marx teorizza la soppressione della proprietà privata, degli strumenti di produzione e la creazione di una proprietà collettiva al
fine di eliminare le tensioni tra capitale e lavoro e, quindi, favorire un ritorno
dell’uomo alla sua vera umanità.
Questo è ciò che Marx intende per comunismo e questa forma di «comunismo» (e nessun’altra) è «la soluzione dell’enigma della storia» e della società.
Il materialismo storico. Alla collaborazione tra Marx ed Engels si deve l’elaborazione del concetto di materialismo storico, che rappresenta un metodo
di indagine secondo il quale, per poter conoscere un determinato periodo
storico, è necessario conoscere le modalità di produzione che lo connotano,
legate sia allo sviluppo delle forze produttive, sia alla forma dei rapporti sociali.
La storia non costituisce più, dunque, un mero dispiegamento dello spirito, come la intendeva Hegel, ma un processo materiale che si fonda sul
conflitto di classe.
La struttura economica della società è la risultante dei rapporti di produzione che gli corrispondono. Sopra di essa si eleva una sovrastruttura
giuridica e politica (lo Stato), e alla quale fanno capo determinate forme
sociali di coscienza che sono: diritto, politica, religione, filosofia.
2. Dalla sinistra hegeliana a Marx
«Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini
che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro “essere sociale” che
determina la loro coscienza».
Ideologia: l’insieme di tutte
le costruzioni teoriche che,
nascondendo la loro origine
materiale, producono una falsa
coscienza.
L’(—) in senso più generale,
nel lessico contemporaneo,
indica una determinata visione
o concezione politico-culturale
della società.
26
Marx ed Engels oppongono la loro concezione
materialistica della storia (considerano la vera
«scienza» della società) alle ideologie* che sono
rappresentazioni politico-filosifiche che coprono la
realtà dei fatti con una veste illusoria.
In generale sono «ideologici» quei fenomeni che
interessano le «sovrastrutture», inducendo a pensare
che le idee e le attività intellettuali siano indipen-
denti dalle condizioni materiali senza considerare rapporti economico-sociali
che intercorrono fra gli uomini.
Per il materialismo «storico» si intende, dunque, la storia, processo che
è mosso da dinamiche socio-economiche e non ideologiche o spirituali.
La critica dell’economia politica. Nel suo confronto con l’economia borghese,
Marx distingue gli economisti volgari, che si limitano a trovare delle mere
giustificazioni per difendere il “capitalismo” e mostrano superficialità teorica,
dagli economisti classici (Smith e Ricardo), le cui analisi hanno un certo
valore scientifico, ma che vanno ridiscusse alla luce del pensiero marxista.
In generale, Marx rifiuta e critica le analisi che considerano i modi di produzione capitalistici come fenomeni eterni, sforzandosi di analizzarli in una
prospettiva storica temporaneamente determinata.
L’analisi del capitalismo e il confronto con l’economia politica classica stimolerà importanti scritti, tra i quali Il Capitale, sua opera fondamentale, ove svolge
un’analisi acuta delle dinamiche socio economiche della sua epoca per spiegare
il fenomeno dell’accrescimento della ricchezza e la nascita del plusvalore.
Merce e lavoro. Il punto di partenza dell’analisi marxiana è la merce,
costituita dai prodotti del lavoro nell’attuale società.
Tali prodotti possiedono un valore d’uso, che riguarda il loro consumo,
la loro utilità, e un valore di scambio (o valore), che consente lo scambio
sul mercato (si stima, ad esempio, che 20 braccia di tela sono di uguale valore
di 10 libbre di tè).
Secondo l’equazione «valore-lavoro» stabilita da Ricardo (che Marx considera
il suo principale interlocutore nel campo dell’economia politica), il valore di
scambio di una merce è dato dalla quantità di lavoro necessario a produrla.
In pratica, il «valore di scambio» di una merce è dato unicamente dal lavoro sociale (cioè umano) che è stato necessario per produrla. Da ciò deriva
il concetto di mercificazione della forza-lavoro, che il capitalista compra
dall’operaio in cambio di salario. Il fatto che la
merce sia considerata come puro oggetto non per- Feticismo: termine di derivaziomette di vedere che dietro lo scambio, rapporto tra ne psicologica che indica la tendenza ossessiva a concentrare
cose, ci sono rapporti tra gli uomini (la produzione la propria pulsione o il proprio
e la sua forma); ciò costituisce il feticismo* della interesse in modo esclusivo su
un solo oggetto.
merce.
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2. Dalla sinistra hegeliana a Marx
Ogni merce, per quanto diversa qualitativamente da ogni altra, per il fatto
stesso di essere una merce, è la cristallizzazione di una determinata quantità di lavoro: questo dato costituisce l’unica ragione di scambio con
tutte le altre merci.
La forza-lavoro come merce. La forza-lavoro, costituita dall’attività del lavoratore nella società capitalistica è, dunque, considerata alla stregua di una
merce: il lavoratore la vende e il capitalista l’acquista, e per i rapporti di forza
che vedono prevalere la «borsa» (del capitalista) e lo «stomaco» (del prestatore).
Il salario del lavoratore viene, così, determinato dalla legge al minimo
necessario per garantire la sussistenza del prestatore per continuare a lavorare.
Il plusvalore. Nell’economia capitalistica, il «plusvalore» costituisce la differenza tra il valore di mercato e il costo industriale del prodotto; questa maggior
somma viene intascata esclusivamente dall’imprenditore.
Partiamo da un esempio. Il capitalista paga un determinato salario al prestatore affinché egli produca una certa merce.
L’operaio produce un bene che ha valore ben maggiore rispetto a quello
che egli riceve sotto forma di salario.
2. Dalla sinistra hegeliana a Marx
Il capitalista lucra un “valore aggiuntivo” rispetto all’investimento di partenza: questa somma di denaro viene detta «plusvalore» (vedi ante).
Secondo Marx, nel misurare il profitto del capitalista («saggio del plusvalore») non bisogna fare entrare nel calcolo il «capitale costante» (materie prime,
materiali, macchine), come in genere fanno gli economisti classici, ma occorre
considerare solo il «capitale variabile» (il salario in quanto l’essere umano realizza la propria natura solo con il lavoro e non con le «rendite» gli «interessi»
derivanti dai singoli «capitalisti»).
Misurare «profitto» e «sfruttamento» è la costante della contrapposizione della
lotta di classe in cui il prestatore è ridotto a schiavo del capitalista: da tale
netta presa di posizione scaturirono le lotte per affrancarsi da tale schiavitù
per accorciare la giornata lavorativa, accrescere i livelli minimi salariali etc.
Limiti storici del capitalismo. Quello che muove il meccanismo del capitalismo è l’accumulazione: vero ed unico scopo del capitale non è produrre
merci, ma valorizzarsi e crescere.
Questo meccanismo va a svantaggio degli operai, anche quando si realizza attraverso l’introduzione di nuove macchine (e non con l’aumento diretto
dello sfruttamento), perché provoca la diminuzione della domanda di operai e
permette, per la legge della domanda e dell’offerta, così al capitalista di poter
determinare l’entità dei salari al ribasso.
Questo sistema porta con sé inevitabilmente le crisi di sovrapproduzione:
un eccesso di beni prodotti che non possono essere consumati per il minor
reddito dei lavoratori, dà luogo a squilibri economici e sociali e crisi cicliche.
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Marx e la religione. Marx riconosce a Feuerbach il merito di aver individuato
l’origine umana dell’idea di dio e, quindi, della religione, ma si interroga sull’origine dell’alienazione religiosa, del perché gli uomini «inventandosi “dio”
proiettano in esso le loro qualità fondamentali e, quindi, l’essenza dell’umanità.
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2. Dalla sinistra hegeliana a Marx
Lotta di classe e affermazione del comunismo. Marx ed Engels stendono
Il manifesto del partito comunista nel 1848 (su richiesta della Lega dei
comunisti che sollecitava un programma teorico del movimento) ove descrivono le fasi della lotta tra due classi sociali contrapposte: borghesia
e proletariato.
Il ruolo della borghesia nella storia ha avuto diversi momenti positivi:
questa classe considerata «rivoluzionaria» per eccellenza è stata capace di
cambiare il mondo conservatore che l’aveva preceduta, ma non ha fatto venir
meno le contrapposizioni di classe: «ha soltanto introdotto nuove classi, nuove
condizioni di oppressione, nuove forme di lotta, sostituendole alle antiche».
Il «sistema borghese», se produce merci in abbondanza, produce collateralmente la «miseria» della stragrande maggioranza della popolazione, composta
soprattutto dal proletariato, classe costituita da uomini che vivono del solo
loro lavoro e dei loro figli (prole) senza godere di altre forme di rendita che
li trascina in una condizione di miseria perenne e di sfruttamento costante.
Il “proletariato” con la sua lotta tende ad emancipare l’umanità intera, infatti, una volta preso il potere, dopo una fase necessaria ma transitoria di dittatura
del proletariato (fase ancora legata a forme giuridiche borghesi e all’idea che
il prodotto vada diviso in base al lavoro), si potrà andare verso la graduale
estinzione dello stato e la realizzazione della società comunista, nella quale
«il libero sviluppo di ciascuno sarà la condizione per il libero sviluppo di tutti».
In questa nuova società non dovranno più essere presenti divisioni di classe
e non ci sarà lo «Stato». È a queste condizioni che si potrà affermare il principio: «Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni».
Marx ed Engels si confrontano con i “socialismi” e “comunismi” precedenti
(quello «critico-utopistico» di Saint-Simon, Fourier, Owen, a cui viene riconosciuto il merito di aver individuato le storture derivanti dall’antagonismo
tra le classi sociali, e quello «borghese» di Proudhon, aspramente criticato
perché inserito nei meccanismi propri del capitalismo stesso), dai quali prendono le distanze in quanto assertori di una forma di socialismo «scientifico»,
che vede nel proletariato industriale il protagonista della trasformazione della
società, attraverso la lotta di classe.
L’azione politica rivoluzionaria si fonda su una profonda conoscenza delle
strutture della realtà che si intende trasformare: per questo assume valore
centrale la «coscienza di classe» del proletariato basata sulle conoscenze
necessarie per interpretare la realtà e la propria forza.
Per il filosofo di Treviri è la condizione di malessere del lavoratore
sfruttato e oppresso e della sua famiglia che fa nascere in esso il bisogno
di consolazione che solo una dimensione religiosa immaginaria (es.: paradiso) può dargli.
Le religioni, dunque, rappresentano l’oppio dei popoli perché solo il
ricorso alla fede crea una falsa condizione artificiale per sopportare il degrado
umano e sociale che il capitalismo impone al lavoratore.
L’uomo più è infelice e frustrato più ha bisogno di credere in una condizione
migliore di vita ultra-terrena che le religioni monoteiste (cristianesimo, islamismo, ebraismo) gli permettono di prefigurarsi nella vita terrena come premio.
Paralleli & confronti
Con Hegel: nel sistema hegeliano la storia è identificata con la dialettica dell’Idea; la filosofia non è che un
ripercorrere le fasi di tale processo. Per Marx invece la filosofia è soprattutto sovvertitrice del processo storico.
Con Feuerbach: in Marx la dialettica hegeliana rimane un punto di riferimento nella formulazione del materialismo dialettico; in Feuerbach, invece, la dialettica hegeliana non è essenziale al sistema. Nella sua considerazione della realtà Feuerbach pensa la società ancora in termini di individui legati da vincoli naturali; per Marx,
invece, il discorso verte sul rapporto tra le classi.
Per Feuerbach la religione favorisce lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, per Marx, invece, è la condizione di
sfruttamento che crea il bisogno di una religione.
4) Friedrich Engels
Vita e opere
2. Dalla sinistra hegeliana a Marx
Il nome di Friedrich Engels (1820-1895) è spesso legato a quello di Marx. La loro amicizia
e collaborazione iniziò nel 1844 e li accompagnò per la vita.
Insieme a Marx, Engels scrisse: La sacra famiglia (1844), L’ideologia tedesca (1845-46,
incompiuta, pubblicata nel 1932) e il Manifesto del partito comunista (1848). Inoltre aiutò
Marx nella pubblicazione del primo volume del Capitale, e si occupò della sistemazione e
della pubblicazione degli altri due dopo la sua morte (1885 e 1894), aggiungendovi delle
prefazioni.
Il suo contributo alla diffusione del marxismo fu molto significativo, a
seguito della «riedizione» da lui curata di alcuni scritti di Marx, e di altre opere
divulgative.
Oltre alla formazione in ambiente hegeliano fu importante per Engels l’esperienza fatta in Inghilterra, dove il padre era comproprietario di una fabbrica:
ciò gli permise di rendersi conto con i suoi occhi delle condizioni di miseria e
sfruttamento dei lavoratori inglesi e di descriverle nel suo La situazione della
classe operaia in Inghilterra del 1845.
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L’industrializzazione in Inghilterra si presentava in una fase più avanzata
che in Germania, ove le sue gravi e disumane conseguenze non erano ancora
vissute in tutta la loro portata.
Interessante per le influenze sul pensiero femminista di stampo socialista è la sua opera Origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato
(1884), scritto nel quale Engels sostiene che la condizione di schiavitù della
donna è collegata alla proprietà privata e, dunque, l’emancipazione femminile
è fortemente collegata alla rivoluzione socialista.
Infine nell’Antidühring (1878) e nella Dialettica della natura (1873-1885,
incompiuta, pubblicata nel 1925) Engels critica la scienza positivista, che fa
apparire il sapere scientifico come staccato dal processo storico e, dunque, la
conoscenza scientifica viene considerata come «assoluta».
La natura va invece trattata come un insieme di nessi e processi e la dialettica (che si incarna nella «prassi che rovescia») è lo strumento più idoneo
per comprendere tutti i mutamenti dello spostamento al pensiero universale;
si attribuisce, così, a Engels il concetto di materialismo dialettico, ovvero
l’estensione del materialismo storico formulato assieme a Marx all’intera concezione del mondo.
Test di verifica
1) Cosa intende Feuerbach per antropologia?
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a) Lo studio delle razze e delle culture
b) L’attenzione agli aspetti materiali dell’uomo
c) La dottrina della sensazione
d) La teoria dell’alienazione religiosa
e) Lo smantellamento delle credenze religiose
2) Cos’è l’alienazione per Feuerbach?
a) Il farsi altro dell’idea
b) È una dimensione della razionalità
c) La proiezione in Dio delle qualità e dei desideri umani
d) La dimensione storico-economica della civiltà contemporanea
e) Nessuna delle precedenti
2. Dalla sinistra hegeliana a Marx
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❏
❏
3) Cosa intende Marx per sovrastruttura?
❏ a) Le credenze religiose
❏ b) Il corpo degli ordinamenti giuridici
❏ c) Il modo d’essere e di comportarsi degli individui tra loro
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❏ d) L’incremento della produzione capitalistica
❏ e) Il complesso delle produzioni culturali di una società
4) In Marx il proletariato indica:
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❏
❏
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a) I lavoratori non salariati
b) Lo strato sociale più disagiato nell’età capitalistica
c) Qualsiasi classe sociale subalterna
d) L’impoverimento progressivo della borghesia
e) La classe sociale contadina
5) Cos’è il plusvalore?
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a) L’abbattimento del costo del lavoro
b) Il profitto derivante dal lavoro non pagato
c) La caduta tendenziale del saggio di profitto
d) L’accelerazione dei ritmi di produzione
e) Il divario tra classi sociali ricche e povere
6) Che cos’è l’alienazione in Marx?
❏ a) Il progressivo accumulo del capitale nella società contemporanea
❏ b) L’estraneazione logica dell’idea
❏ c) Una conseguenza dei rapporti di produzione della società capitalistica
❏ d) Una forma storica di lotta di classe
❏ e) La mancanza di istruzione delle classi subalterne
7) Che si intende per materialismo storico?
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a) La teoria secondo cui l’attività economica è il motore della storia
b) Il complesso delle lotte di classe nella storia
c) Il rapporto struttura/sovrastruttura
d) La forma attuale di produzione capitalistica
e) L’esclusivo interesse per l’utile economico
8) A quale filosofo si attribuisce il «Materialismo dialettico»?
2. Dalla sinistra hegeliana a Marx
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❏
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❏
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a) Hegel
b) Saint-Simon
c) Feuerbach
d) Marx
e) Engels
Soluzioni e commenti
2. Dalla sinistra hegeliana a Marx
1. Risposta: b). Feuerbach ritiene che la filosofia dell’avvenire dovrà concludere il passaggio dalla teologia all’antropologia. Quest’ultima, come nuova
scienza universale, studierà pertanto l’uomo nei suoi aspetti più materiali,
sensibili, pragmatici.
2. Risposta: c). L’alienazione in Feuerbach è un procedimento con il quale
si trasferisce nel concetto di Dio l’insieme delle qualità, dei desideri, delle
speranze che caratterizzano l’uomo: la religione è in questo senso null’altro
che una forma «alienata» dell’uomo.
3. Risposta: e). Il termine «sovrastruttura» designa per Marx l’assetto giuridico,
le dottrine filosofiche, le produzioni spirituali e artistiche che caratterizzano, in linea generale, una data società.
4. Risposta: b). Il proletario è letteralmente colui che possiede soltanto la
propria prole: è dunque il soggetto sociale che occupa il livello più basso
nella società capitalistica.
5. Risposta: b). Si tratta della quota di profitto che il capitalista ottiene grazie
ad una parte consistente di lavoro non pagato o pluslavoro.
6. Risposta: c). Alienato è per Marx il proletario che non si riconosce più
nel prodotto del proprio lavoro, che si percepisce estraneo al processo
produttivo in quanto utilizzato solo come pura forza-lavoro.
7. Risposta: a). Il materialismo storico considera lo svolgimento storico sostanzialmente come effetto dei rapporti economici di classe, in relazione
al lavoro e alla produzione.
8. Risposta: e). Engels che ha lavorato a stretto contatto con il suo amico
Marx partendo dalla concezione del «Materialismo storico» ha teorizzato
il concetto di «materialismo dialettico» considerato l’estensione del primo
dalla storia del mondo.
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