Adorazione dei magi - Orbetto

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Adorazione dei magi - Orbetto
Adorazione dei magi di Alessandro Turchi detto l' "Orbetto".Museo di Castelvecchio, Verona SOGGETTO
Una pala con Adorazione dei Magi.
Non si conosce la provenienza della bella pala che, secondo la documentazione d’archivio del museo, si trovava
depositata nella chiesa di San Francesco di Paola fino a quando, il 5 gennaio del 1906, il direttore Pietro Sgulmero e una
commissione incaricata del riordinamento della pinacoteca civica, chiesero alla giunta municipale di “poter levare
dalla Chiesa degli Artigianelli, e di traslocare in questo Museo, una pala di Agostino Ugolini, rappresentante
l’Adorazione dei Magi”.
DIMENSIONI E MATERIALE / TECNICA
E’ una pala, olio su tela, dimensioni cm. 219 x 117.
AUTORE
Alessandro Turchi, detto l’Orbetto, è nato a Illasi (VR) nel 1578 ed è morto a Roma il 22 gennaio 1649.
Suo padre faceva lo spadaio, in seguito ad un incidente sul lavoro divenne cieco.
Alessandro essendo il figlio più grande, aveva il compito di accompagnare il padre e da qui, deriva il suo soprannome:
“l’Orbetto”.
Sotto Felice Brusasorzi, Alessandro Turchi apprese non solo i principi dell’arte, ma molto si avanzò nella sua
pratica.
Lavorò nella bottega di Brusasorzi e ne divenne uno dei migliori allievi.
Dopo la morte di Felice (1605), Turchi completò le opere lasciate incompiute dal maestro e ne continuò il ruolo di pittore
colto.
Ciò avvenne in seno alla più prestigiosa istituzione culturale del tempo, quell’accademia filarmonica di cui Felice
era stato fino ad allora unico pittore ufficiale.
Lavorerà a Venezia e poi a Roma, dove dipingerà per il Papa.
Le sue opere le possiamo trovare in numerosi musei del mondo tra cui il Louvre di Parigi.
La recente mostra di Verona nel 1999 dedicata interamente all’artista, ha costituito uno sviluppo e un
approfondimento sui 50 anni di pittura veronese (1580 – 1630) dove Turchi figurava tra i protagonisti.
Dopo il “soggiorno” veronese, le opere esposte, sono tornate nelle loro sedi.
Resta tuttavia l’opportunità per i veronesi, per i romani e per quelle città nelle quali l’Orbetto ha lasciato gran
parte della sua produzione, di visitare chiese in cui le opere del pittore sono sempre esposte.
A Verona in particolare sono stati segnalati: Quattro angeli musicanti in Duomo, l’Adorazione dei pastori, la
Flagellazione di san Francesco, l’Adorazione dei Magi, tutti nel museo di Castelvecchio.
DATAZIONE E STILE
L’Adorazione dei Magi è un soggetto più volte replicato.
Nelle collezioni veronesi antiche, una versione è citata nell’inventario della raccolta del defunto Francesco
Bonduri nel 1715, con altre due opere del pittore giunte per vie diverse a Castelvecchio.
Un’altra è ricordata da Dal Pozzo in casa Gherardini a san Fermetto nel 1718, come opera singolare che
“doveva servire per una nuova cappella a Montorio” della famiglia.
Quest’ultima fu presto famosa ed elogiata come bellissima, non solo dalle fonti sette e ottocentesche locali:
l’ammirò probabilmente Goethe tra i “bellissimi quadri dell’Orbetto” che vide nella Galleria
Gherardini durante il viaggio in Italia nel 1786, e a breve distanza Luigi Lanzi, segnalandone il bozzetto in casa Fattorini
a Bologna, ne esaltò la regalità che faceva “rammentare i Tiziani e i Bassani”.
Si tratta di un precoce classicismo, già pienamente maturo: è un ritornare alla tradizione di patrio purismo formale, che
aveva caratterizzato un filone della pittura veronese del Cinquecento, ma temperato di naturalismo.
E’ un soggetto religioso, storico e mitologico.
BREVE ANALISI ICONOGRAFICA e ICONOLOGICA
“Il bambino Gesù aveva dodici giorni quando si mostrò al mondo pagano, cioè ai Magi, che arrivarono con molta
gente sino alla grotta di Betlemme. La Madonna, sentito tutto quel rumore di folla, prese in braccio il bambino e lo mostrò
ai Magi, che si inginocchiarono e lo adorarono con devozione”.
Cominciano più o meno così le Meditazioni sulla vita di Cristo, una specie di biografia mistica, scritta da un anonimo frate
francescano della fine del Duecento, che ripercorre nascita, passione e morte di Cristo.
Fin dagl’inizi del Cristianesimo, molti artisti hanno riservato un’attenzione particolare alla narrazione del
Vangelo di Matteo 2,9-11: “I Magi al vedere la stella entrarono nella casa, videro il bambino con Maria sua Madre,
e prostratisi, lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra”. Questo episodio
assume un’importanza fondamentale nella storia della salvezza, perché ci ricorda che la manifestazione di Dio in
Gesù Cristo è per tutti i popoli.
Al racconto di Matteo vengono affiancati i Vangeli apocrifi, dei commenti teologici dei Padri della Chiesa, delle opere
spirituali e delle omelie. In questo modo i Magi ricevettero un nome, una corona e una storia. L’Orbetto ebbe così
a disposizione una vasta tradizione iconografica.
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MAGI
E’ dai regali oro, incenso e mirra, che viene fissato il loro numero; inoltre Matteo non parla nemmeno di re ma di
sapienti. L’Orbetto non mostra alcuna corona. La tradizione ha stabilito che il numero tre dei Magi rappresenta le
tre età della vita (giovinezza, età adulta e vecchiaia), ma anche come metafora del Tempo nella sua manifestazione di
passato, presente e futuro. I tre colori diversi con cui vengono raffigurati i visi dei Magi, alludono alle tre razze umane,
per mettere in evidenza che Gesù nasce per tutti gli uomini di ogni credo, di ogni provenienza, di ogni età. I Magi
indossano abiti del Cinquecento come per indicare simbolicamente che i popoli di tutti i tempi riconoscono il Dio
incarnato.
Il più anziano, con le mani giunte, in adorazione profonda, è il più vicino a Maria: è un invito a diventare come bambini
per riscoprire quella visione essenziale delle cose, che è vicina alla verità.I Magi offrendo oro lo riconoscono come Re di
un regno senza fine, con l’incenso come Dio che si è manifestato in Giudea, con la mirra come colui che era
venuto per morire ed essere sepolto per redimere (salvare) l’uomo dal peccato. E’ l’intera umanità,
di tutti i tempi e di tutti i luoghi che adora e riconosce il Cristo.
MARIA
E’ seduta e porge il Bambino in adorazione dei Magi. Gesù è coperto da una fascia bianca che simboleggia la
Passione, la Morte e la Resurrezione. Il viso di Maria è attraversato da tristezza e preoccupazione: sembra già che
immagini il destino del figlio. Indossa una veste rossa che esprime la natura umana (il rosso è il colore del sangue), un
manto azzurro, simbolo della contemplazione divina (l’azzurro è il colore del cielo) e un velo color ocra per
indicare il colore della terra.
GIUSEPPE
Il testo dell’evangelista Matteo non menziona Giuseppe, ma viene comunque presentato, dietro a Maria, quasi a
volerla proteggere.
Ha una capigliatura bianca, folta e arrotondata, come pure lo è la barba: attributi con cui l’arte rappresenta S.
Pietro il cui compito è quello di custodire la Chiesa di cui Maria è figura (la Chiesa che porge il Cristo
all’adorazione dei popoli).
L’EDIFICIO
La scena si svolge in un edificio che appare in rovina. Le due colonne che s’intravedono sono simbolo di quel
periodo storico che aveva conosciuto splendore e potenza, ma che ora si deve confrontare e misurare col Dio fatto uomo.
LA LUCE
L’adorazione dei Magi dell’Orbetto non è ambientata sotto un cielo notturno anche se c’è la
presenza della stella; sembra un cielo all’alba di un nuovo giorno che preannuncia l’Alba Pasquale di
quando Gesù risorgerà.
UNA CURIOSITA’
L’attribuzione dell’opera all’ambito settecentesco di Ugolini, come copia da Turchi, rimane finchè
Sergio Marinelli, a seguito del restauro, la riconobbe come uno dei suoi capolavori dei primi anni romani di
quest’ultimo, identificando il probabile autoritratto del pittore nella figura semi – coperta al centro, che pare
dichiarare il soprannome dell’Orbetto.
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