4 info ➔ ULTERIORI INFORMAZIONI • Prof. Fabio Belluzzi Ospedale Maggiore Policlinico Pad. Sacco Via Francesco Sforza, Milano Tel. 02.55033532 S in alute Il cuore troppo stanco non lavora bene Con 22 milioni di ammalati nel mondo, di cui 6 milioni in Europa, lo scompenso cardiaco è un problema sanitario di notevole importanza, che mette alla prova la competenza del cardiologo non tanto per la diagnosi, in sé abbastanza facile, quanto per la terapia, che deve tenere nel dovuto conto gli aspetti clinici senza trascurare quelli umani. SCOMPENSO CARDIACO F ar sempre più fatica nello svolgere attività fisiche, avere il “fiato corto” anche per sforzi di entità modesta, svegliarsi di notte per una sensazione di mancanza d’aria che costringe a mettersi seduti, essere tormentati da una tosse secca e stizzosa, doversi alzare di notte per urinare, avere la pelle fredda, pallida, sudata, le labbra bluastre, le caviglie e i piedi gonfi: sono i principali sintomi che il cardiologo inquadra nella diagnosi di scompenso cardiaco. Questa definizione indica uno stato di sofferenza del cuore, che non riesce a pompare una quantità di sangue sufficiente a soddisfare le esigenze di nutrizione e di ossigenazione dell’organismo. Almeno 600.000 italiani sono affetti da scompenso cardiaco, una patologia che interessa addirittura il 13% della popolazione superiore ai 65 anni di età. Più che una vera e propria malattia, lo scompenso può essere considerato la conseguenza di diverse malattie che influiscono sul sistema cardiovascolare. Fra queste malattie, quelle che con maggior frequenza provocano scompenso cardiaco sono: l’infarto pregresso, che ha provocato un danno del muscolo cardiaco rendendo insufficiente la sua forza contrattile; l’aterosclerosi, ovvero l’accumulo di lipidi all’interno delle arterie, che ne restringe il calibro costringendo quindi il cuore a compiere uno sforzo maggiore per pompare il sangue e, di conseguenza, sfiancandolo progressivamente; l’ipertensione arteriosa, anch’essa responsabile di un aumento della forza di contrazione richiesta al cuore; il diabete, malattia che danneggia subdolamente sia le grandi che le piccole arterie ed è a sua volta causa di ipertensione e aterosclerosi; le alterazioni delle valvole cardiache, che possono essere danneggiate dal reumatismo articolare acuto, da infezioni virali o da difetti congeniti; le malattie polmonari gravi (enfisema, tumori) che riducono la quantità di ossigeno che arriva al cuore e ne aumentano lo sforzo contrattile; le miocardiopatie, ovvero le alterazioni del tessuto muscolare del cuore, che possono essere dovute ad abuso di alcool, infezioni, diabete, ecc. Sul tema dello scompenso cardiaco si è tenuta pochi mesi fa a Menaggio, nella splendida cornice del paesaggio comasco, la Seconda Giornata Cardiologica Clinica, un appuntamento a cui hanno partecipato diversi prestigiosi nomi della cardiologia, della cardiochirurgia e di altre importanti branche specialistiche. L’iniziativa, pur avendo un taglio rigoroso dal punto di vista scientifico, si è caratterizzata per una simpatica informalità che ha consentito a tutti i partecipanti di avvicinare liberamente i relatori per discutere e porre domande: questo “stile” è stato fortemente voluto dal promotore della Giornata, il prof. Fabio Belluzzi. Nel corso dei lavori sono stati trattati argomenti di grande interesse, fra cui l’utilità dell’ecocardiografia nella valutazione delle condizioni dinamiche del cuore, l’importanza di un corretto stile di vita per il paziente scompensato e le possibilità terapeutiche presenti e future. L’ecocardiografia è un esame indispensabile, che andrebbe ripetuto almeno due volte l’anno nei casi di scompenso per valutare le dimensioni e la struttura interna del cuore, l’efficacia delle sue contrazioni, l’eventuale presenza di trombi o di difetti valvolari. In mani esperte si tratta, come hanno confermato i relatori, di un esame prezioso anche perché è assolutamente indolore e non provoca al paziente alcun fastidio. Quanto allo stile di vita, gli Specialisti hanno ribadito l’importanza di una dieta adeguata, che deve basarsi in primo luogo sulla riduzione dell’apporto alimentare di sodio, che è il principale costituente del sale, per evitare la ritenzione di liquidi. Nei casi di scompenso grave, l’apporto giornaliero di sodio non dovrebbe mai superare 1 grammo (meglio ancora se ci si tiene sui 500 milligrammi, cioè la metà). Tenendo presente che con una dieta normale si introducono dai 6 ai 10 grammi di sodio, si può capire che la restrizione dev’essere drastica: il sale va eliminato sia in cottura che a tavola; inoltre dev’essere ridotto al minimo o abolito il consumo di formaggi, albume d’uovo, latte in polvere o condensato, frattaglie, pesce affumicato, farinacei (pane, pizza, grissini, e simili), biscotti e dolci in generale, vegetali e minestre in scatola o comunque conservati, dadi da brodo, insaccati, molti vegetali (sedano, barbabietole, spinaci, carciofi, carote). Sono invece consentiti gli altri vegetali e quasi tutti i tipi di frutta, il pane e la pasta preparati senza sale, il riso, l’avena, la semola, l’orzo, il farro, il mais e la soia. Nei casi meno gravi, per ridurre l’apporto di sodio ci si può limitare a non aggiungere sale a tavola e a non consumare i cibi che ne sono più ricchi: in questo modo la quantità di sodio viene dimezzata, ed è possibile ridurla a 1/4 se si elimina anche il sale in cottura. Oltre ad osservare la dieta, il paziente scompensato dovrebbe anche abolire fumo ed alcool, svolgere una moderata attività fisica e mantenere controllato il peso, dal momento che quanto più il peso aumenta tanto più il cuore si affatica. Particolarmente interessanti sono state le relazioni riguardanti la terapia dello scompenso. I farmaci tradizionalmente utilizzati in questa patologia hanno l’obiettivo di: • migliorare la forza di contrazione del muscolo cardiaco (inotropismo); • diminuire il carico di lavoro del muscolo stesso, controllando la pressione arteriosa ed evitando la ritenzione di liquidi; • dilatare i vasi sanguigni, in modo che il cuore debba esercitare un minore sforzo per “spingere” il sangue nei vasi stessi; • ridurre la coagulabilità del sangue quando esiste il rischio che si formino dei trombi all’interno dei vasi; Quando i farmaci non sono sufficienti, si può ricorrere al pacemaker, lo stimolatore artificiale che regola e sincronizza le contrazioni cardiache. È oggi disponibile un pacemaker di nuova concezione, estremamente piccolo e leggero, che viene impiantato nel muscolo pettorale e che contiene anche un defibrillatore, cioè un dispositivo capace di controllare le eventuali aritmie ventricolari, quelle che possono mettere in pericolo la vita del paziente. È anche allo studio una prospettiva terapeutica del tutto nuova, attualmente in corso di sperimentazione sugli animali, che si basa sull’uso delle cellule staminali. Queste cellule, capaci di trasformarsi nelle cellule che costituiscono vari organi, verranno trapiantate nel cuore per sostituire quelle che muoiono quando si verifica un infarto, riparando in tal modo il danno subito dal muscolo cardiaco. Recentemente questa tecnica è stata applicata sperimentalmente negli Stati Uniti su un giovane ridotto in fin di vita dall’infarto provocato da un grosso chiodo sparato accidentalmente nel cuore da una pistola ad aria compressa. I risultati dell’esperimento non sono ancora definitivi, ma sembrano incoraggianti. Al di là degli aspetti tecnici e scientifici, la Seconda Giornata Cardiologica Clinica ha avuto il merito di trasmettere un importante messaggio: quello che invita a non curare il “cuore scompensato”, ma a farsi carico del “malato scompensato”, cioè a tener presenti le esigenze della persona nella sua globalità. Per sottolineare questo messaggio, gli organizzatori hanno voluto inserire tra le relazioni anche quella di un paziente affetto da scompenso cardiaco, il quale ha raccontato la sua esperienza di vita quotidiana soffermandosi molto sull’importanza di uno stretto legame fiduciario e di un costante contatto con il cardiologo. Come dire che nella terapia dello scompenso non bastano la competenza e la tecnica, ma “anche il cuore vuole la sua parte”. Filippo Galbiati