Giovanni Vitolo La dinamica dell’incastellamento e il ruolo dei legami vassallatici nel X secolo Il X secolo costituisce una fase di significativa svolta per quanto riguarda l’organizzazione del potere. È infatti a partire dall’iniziativa privata e locale di autodifesa della propria area da parte dei signori fondiari che trae origine una nuova forma di gestione politica del territorio, ormai privo della tutela imperiale e posto sotto la continua pressione di Ungari, Saraceni e Normanni. Si tratta del fenomeno definito dell’incastellamento che garantì a buona parte dell’Europa non solo di reggere l’urto degli invasori, ma anche di creare le premesse per una più ordinata vita civile. In queste pagine Giovanni Vitolo (1948) ricostruisce le tappe che hanno portato a riorganizzare la società altomedievale attorno a nuovi centri di potere. In questo nuovo sistema di diritti e di obblighi finì con l’essere riassorbito ciò che restava dei legami vassallatici sui cui si era inizialmente strutturato l’impero carolingio. Essi, pur perdendo buona parte della loro originaria natura di rapporto a carattere personale, contribuirono a riannodare i fili che collegavano fra loro gli sparsi membri di una società pur sempre fragile e insicura. I sovrani dei regni nati dalla dissoluzione dell’impero carolingio tentarono in qualche modo di organizzare la difesa dei loro territori, innalzando fortezze, sbarrando i fiumi con ponti fortificati, ricostruendo o potenziando le mura delle città. Non riuscirono però a mantenere il controllo della situazione, data l’estrema frammentazione del teatro di guerra e la grande mobilità di un nemico, che, non mirando, almeno agli inizi, a stabili conquiste, colpiva di sorpresa e si ritirava. Fu inevitabile perciò coinvolgere sempre di più nella difesa le forze locali, autorizzando la costruzione di castelli e di altre opere difensive. D’altra parte la situazione era così difficile, che sempre più spesso proprietari e signori fondiari, sia laici sia ecclesiastici, prendevano l’iniziativa di fortificare le loro ville o di costruire castelli, senza attendere l’autorizzazione regia, che o si cercava di ottenere successivamente o non ci si curava neanche di farsi rilasciare. La costruzione di un castello aveva, diremmo oggi, un impatto ambientale notevole, condizionando fortemente la vita e l’organizzazione del territorio. Intanto, il signore difficilmente lo costruiva con le sue sole forze, ma chiamava a contribuirvi gli abitanti delle terre circostanti, in considerazione del fatto che anch’essi se ne sarebbero serviti; per lo stesso motivo si sentiva autorizzato a imporre loro turni di guardia e servizi di manutenzione. In questa maniera egli veniva a svolgere funzioni di natura squisitamente poli­ tica; rientrando la difesa del territorio nelle pochissime funzioni che si attribuivano allora al potere politico (le altre erano l’amministrazione della giustizia e la protezione di chiese e monasteri). Non è difficile però immaginare come il signore, che si imponeva per ragioni militari agli uomini del territorio protetto dal suo castello, cominciasse ben pre­sto a diventare anche il loro giudice, attribuendosi quei compiti di natura giudiziaria, che il conte e i funzionari da lui dipendenti non erano più in grado di svolgere. Se poi a que­sto si aggiunge che nel castello il signore si preoccupava di far sorgere anche una chiesa per l’assistenza religiosa sia di quelli che vi risiedevano stabilmente sia di coloro che vi si rifugiavano in caso di pericolo, si comprende come il territorio incastellato si configuras­se come un organismo politico completo nelle sue attribuzioni di natura pubblica. Alcune di queste signorie di castello erano nate, come si è detto, in maniera più o meno abusiva, ma spesso tutto era in regola, almeno formalmente, perché all’origine di esse c’erano fortificazioni erette dal conte e da lui affidate a suoi dipendenti. Ben presto però il conte ne aveva perso il controllo, perché anche i suoi vassalli tendevano a consi­derare ereditaria la funzione e la fortezza loro attribuite, e quindi a trasmetterle agli eredi. Il risultato era comunque sempre lo stesso: il potere, o formatosi in maniera spontanea o delegato dal titolare della funzione pubblica (re, conte o marchese), tendeva sempre ad esercitarsi in maniera autonoma, come se si trattasse di un bene privato. È il fenomeno che Giovanni Tabacco1 ha definito di «allodializzazione del potere», espressione assai effi­cace, per indicare appunto un potere gestito e trasmesso alla stregua di un allodio, vale a dire di un bene privato. Il ruolo del castello andava comunque al di là della sfera politica, dato che investiva anche l’economia e la società delle zone interessate. Innanzitutto è da precisare che con il termine «castello» i documenti medievali indicano due realtà distinte: il castello in senso moderno, cioè una fortezza presidiata da soldati e abitata generalmente solo dal castella­no e dalla sua famiglia, in cui la popolazione dei dintorni si rifugiava solo in caso di neces­sità; il villaggio fortificato, vale a dire un centro abitato preesistente, che ora viene cir­condato di mura e fossato, e all’interno (o nei pressi) del quale il signore costruisce a volte una sua —1— dimora fortificata. Sia nell’uno che nell’altro caso il popolamento della zona ne risulta modificato, perché gli abitanti dei piccoli agglomerati circostanti tendono a inse­diarsi all’ombra della fortezza, per esserne meglio protetti. Si viene formando così quel paesaggio, in alcune regioni italiane (Trentino, Abruzzo, Lazio, Molise) mantenutosi intatto fino ai nostri giorni, caratterizzato dalla diffusa presenza di castelli che dominano i paesi sottostanti. Né a risultare modificata era solo la distribuzione degli uomini sul territorio. Innanzitutto non potevano non esserci ripercussioni sulla rete viaria, che lentamente si venne riorganizzando, per rendere agevoli e rapidi i collegamenti con i nuovi centri for­tificati. Ma addirittura sconvolte risultarono in alcune zone, come ad esempio nel Piemonte, nel Lazio e in Abruzzo, le forme preesistenti di inquadramento religioso della popolazione rurale. Questa, come si ricorderà, era in genere inquadrata nella pieve, un ampio distretto parrocchiale comprendente i fedeli che vivevano in case isolate o nei pic­coli agglomerati sparsi nella campagna. Nel momento in cui la popolazione rurale si venne concentrando, nei centri fortificati, i distretti pievani dovettero essere adeguati alla nuova realtà, con la conseguenza che scomparvero le antiche pievi, dal territorio assai ampio, e al loro posto si formarono le nuove parrocchie, il cui ambito territoriale veniva ora a coincidere con quello del castello. Con la crisi dell’ordinamento pubblico di età carolingia non scomparve ovviamente l’e­sigenza che un qualche potere funzionasse. L’Europa del X secolo, per quanto poco evo­luta e tutta immersa nel mondo rurale, aveva pur sempre bisogno di qualcuno che eser­citasse un minimo di potere sul territorio. I problemi nascevano piuttosto dal fatto che la società, abbandonata a se stessa, veniva esprimendo dal suo seno poteri in concorrenza tra di loro: il fatto è che il X secolo non fu solo “un secolo di ferro”, come è stato considera­to nel passato, ma anche un periodo di grande vitalità, in cui si ebbe una riorganizzazio­ne dal basso, per adeguare le strutture politiche ai nuovi bisogni della società. Facciamo qualche esempio concreto. Gli abitanti di un villaggio hanno in affitto terre appartenenti a due o tre signori e quindi sono inseriti in corti diverse, per cui pre­stano le loro corvées in varie località; e abbiamo detto che i loro rapporti con i rispettivi signori non si limitano a questo, trovandosi nei loro confronti in una condizione di sog­gezione, che è anche sociale e giuridica. Uno dei predetti signori o anche uno diverso da loro costruisce in zona un castello e tende a imporre la sua autorità a tutti coloro che risie­dono in un’area circostante più o meno vasta, e quindi a quegli stessi uomini, che già abbiamo visto dipendere da altri signori fondiari. Il conflitto è inevitabile: da chi dipen­deranno quei contadini? A complicare ulteriormente la situazione, interveniva il fatto che i domini signorili erano tutt’altro che compatti, per cui un signore, radicato nel territo­rio nel quale stava consolidando il suo potere, aveva non di rado possedimenti minori in località lontane, nelle quali operavano con maggiore forza e continuità altri signori loca­li. La tendenza che emerse, soprattutto sotto la spinta delle incursioni di Ungari, Saraceni e Normanni, fu quella di coordinare questi poteri concorrenti, per cui i signori territoriali (o bannali2 o di castello, come pure vengono indicati dagli storici) riservavano a sé sia la difesa del territorio, e quindi la facoltà di imporre servizi di guardia e prestazioni varie di natura militare, sia l’alta giustizia, cioè le cause che comportavano pene detentive e corporali, lasciando ai minori signori fondiari la bassa giustizia, cioè le cause civili e quel­le relative agli obblighi di natura economica dei loro dipendenti. Non sempre naturalmente si arrivò in maniera pacifica ad accordi di questo genere, anche perché si trattava di situazioni che potevano cambiare da una generazione all’altra, in rapporto al grado di aggressività e di slancio espansivo dei signori. Il risultato fu una sorta di guerra di tutti contro tutti, che giustifica la definizione del secolo X come “seco­lo di ferro” sopra ricordata. Questa situazione di estrema frantumazione del potere però non va vista solo in senso negativo, ma anche nei suoi risvolti positivi, come ricerca da parte della società del tempo di nuovi assetti di potere. Che ruolo svolsero in tutto questo i rapporti vassallatico-beneficiari? Diversamente da quel che si è creduto nel passato, non furono essi soltanto a mettere in crisi gli ordi­namenti degli Stati carolingi, anche se si rivelarono in genere uno strumento adatto a favorire la tendenza alla formazione di poteri a carattere locale. Anzi, è da precisare che le stesse relazioni di vassallaggio furono coinvolte nella crisi generale, perché vennero a sna­turarsi profondamente. In origine, infatti, l’elemento più importante era il vassallaggio, cioè la fedeltà che il vassallo giurava al suo signore, da cui aveva ricevuto ospitalità in casa e addestramento alle armi. Solo successivamente la fedeltà veniva ricompensata con un feudo (o beneficio), che diventava, a sua volta, impegno per futuri servizi. Ora invece il rapporto appariva capovolto: il feudo, cioè la terra, diventava l’elemento decisivo, per cui si entrava nel vassallaggio di qualcuno, per ricevere quel determinato feudo. La fedeltà, che originariamente era considerata più vincolante degli stessi legami di parentela, per cui un vassallo avrebbe dovuto seguire il suo signore anche contro suo padre, finì così col­l’essere commisurata al feudo, era cioè più o meno grande a seconda dell’entità del feudo. Si giunse anzi al paradosso della pluralità degli omaggi: un cavaliere prestava l’omaggio e il connesso giuramento di fedeltà a più signori, ricevendo un feudo da ognuno di loro; in caso di conflitto tra i suoi signori, si considerava obbligato al servizio militare a favore di chi gli aveva dato il feudo più grande. […] —2— Il risultato della diffusione delle istituzioni vassallatico-beneficiarie e della perdita del loro spirito originario, unitamente al prorompere spontaneo di poteri locali sotto la spinta sia di bisogni di difesa sia della volontà di dominio di alcune famiglie, era il formarsi di una rete molto intricata di rapporti politici: rete, quindi, diversa dall’immagine tradi­zionale di una società feudale a forma di piramide, guidata da un ceto dirigente in cui ognuno era vassallo di qualcuno e signore di un altro, fino a raggiungere il vertice della piramide rappresentato dal re. A qualcosa del genere si arriverà più tardi, tra XI e XII secolo, quando attraverso un’ulteriore diffusione dei rapporti feudali si tenterà di mettere ordine nella selva di poteri locali formatisi nel X secolo. Allora invece la situazione era quella di un’estrema frantumazione politica: gli unici organismi a più vasto raggio che riuscivano a mantenersi in piedi, sia pur attraverso continui cambiamenti di territorio, erano quei complessi feudali più o meno grandi, che facevano capo a prin­cipi territoriali, il cui potere si configurava in maniera non diversa da quello dei re. Non a caso le fonti del tempo li definivano regna. (da G. Vitolo, Medioevo. I caratteri originali di un’età di transizione, Sansoni, Firenze 2000, pp. 153-157) Note 1 Storico italiano (1914-2002), autore di importanti studi sull’organizzazione politica dell’Italia medievale. 2 Derivanti dall’esercizio del potere di banno, ovvero del diritto riconosciuto al signore di costringere, giudicare e punire gli uomini a lui sottoposti. Per la comprensione del testo 1 In che modo attraverso la fortificazione di un castello un signore fondiario finiva inevitabilmente con l’estendere la propria autorità? 2 In che modo l’incastellamento contribuì a modificare la distribuzione degli uomini sul territorio, nonché la loro organizzazione? —3—