Mercoledì 23 febbraio 2011 ore 21.00
Il bugiardo
Edizione
2010/2011
di Carlo Goldoni
con MARCELLO BARTOLI Arlecchino e Pantalone
DARIO CANTARELLI Lelio
ROBERTO PETRUZZELLI Brighella e Dottore
LINO SPADARO Florindo
ROBERTO VANDELLI Ottavio
MICHELA MOCCHIUTTI Rosaura
MARTA MENEGHETTI Beatrice
GIOIA SALVATORI Colombina
FILIPPO NERI/ELISABETTA GEROSA violino
GIANCARLO BUSSOLA viola
PAOLA GENTILIN violoncello
Carlo Goldoni (Venezia, 25 febbraio 1707 – Parigi, 6 febbraio 1793) è stato un drammaturgo,
scrittore e librettista italiano.
Goldoni è considerato uno dei padri della commedia moderna. Annoverato tra le così dette "quattro
coroncine", con Giovanni Meli, Carlo Porta, Giuseppe Gioachino Belli (da affiancare alle "tre
corone" di Dante, Petrarca e Boccaccio), Carlo Goldoni è stato autore anche di numerosissimi
libretti di opera lirica.
Nacque a Venezia il 25 febbraio 1707, da una famiglia borghese di origini modenesi (città da cui
provenivano i nonni paterni). Trovatosi in difficoltà finanziarie in seguito agli sperperi del nonno
paterno Carlo, il padre Giulio si trasferì a Roma, lasciandolo con la madre Margherita Salvioni.
Intrapresa la carriera di medico, il padre lo chiamò presso di sé, a Perugia. Si trasferì quindi a
Rimini, per studiare filosofia, ma abbandonò lo studio, sia per nostalgia della madre, sia per seguire
una compagnia di comici di Chioggia.
Ebbe così inizio un periodo piuttosto avventuroso della sua vita, seguendo prima il padre nel Friuli,
poi riprendendo gli studi a Modena. A Feltre elaborò le prime opere comiche, ancora in forma
dilettantesca (Il buon padre e La cantatrice). La passione per il teatro caratterizzò la sua inquieta
esistenza. Con l'improvvisa morte del padre nel 1731, si dovette prendere carico della famiglia;
tornato a Venezia, tentò inizialmente di completare gli studi presso il collegio Ghislieri di Pavia:
venne tuttavia espulso, a causa di alcuni versi poco encomiastici scritti per alcune fanciulle per bene
della città. Completò quindi gli studi a Padova, ed intraprese la carriera forense.
Nel 1734 incontrò a Verona il capocomico Giuseppe Imer e con lui tornò a Venezia dopo aver
ottenuto l'incarico di scrivere testi per il teatro San Samuele, di proprietà Grimani. In questo periodo
nacquero le prime tragicommedie scritte dal neo-avvocato per questa compagnia a partire da Il
Belisario del 1734 fino al Giustino del 1738. Seguendo a Genova la compagnia Imer, conobbe e
sposò Nicoletta Conio. Con lei Goldoni tornò a Venezia.
Nel 1738 Goldoni diede al teatro San Samuele la sua prima vera commedia, il Momolo cortesan,
con la parte del protagonista interamente scritta. A Venezia, dopo la stesura della sua prima
commedia interamente scritta, La donna di garbo (1742-43), fu costretto a fuggire a causa dei
debiti.
Continuò a lavorare nel teatro durante la guerra di successione austriaca curando gli spettacoli di
Rimini occupata dagli austriaci; poi soggiornò in Toscana.
Goldoni non aveva abbandonato i contatti con il mondo teatrale: fu convinto dal capocomico
Girolamo Medebach a sottoscrivere un contratto come scrittore per la propria compagnia che
recitava a Venezia al teatro Sant'Angelo. Nel 1748 torna a Venezia e fino al 1753 scrive per la
compagnia Medebach una serie di commedie, in cui, distaccandosi dai modelli della commedia
dell'arte, realizza i principi di una "riforma" del teatro. A questo periodo appartengono L'uomo
prudente, La vedova scaltra, La putta onorata, Il cavaliere e la dama, La buona moglie, La
famiglia dell'antiquario e L'erede fortunata: qui, tranne nell'ultima, emergono le polemiche sulla
novità del teatro goldoniano e la rivalità con l'abate Pietro Chiari, che lavora per il teatro San
Samuele.
Realizza inoltre sedici commedie, tra cui Il teatro comico, La bottega del caffè, Il bugiardo, La
Pamela, tratta dal romanzo di Samuel Richardson, Il giuocatore, La dama prudente, L'avventuriero
onorato, I pettegolezzi delle donne. L'attività per il Medebach continuò poi con Il Molière, L'amante
militare, Il feudatario, La serva amorosa, fino a La locandiera e a Le donne curiose. Dopo aver
rotto con il Medebach, Goldoni assume un nuovo impegno nel 1753 con il teatro San Luca, di
proprietà Vendramin. Comincia quindi un periodo travagliato in cui Goldoni scrive varie
tragicommedie e commedie. Deve adattare i propri testi innanzitutto per un edificio teatrale ed un
palcoscenico più grandi di quelli a cui era abituato, e per attori che non conoscevano il suo stile,
lontano dai modelli della commedia dell'arte: fra le tragicommedie ebbe un gran successo la
Trilogia persiana; tra le commedie si possono ricordare La cameriera brillante, Il filosofo inglese,
Terenzio, Torquato Tasso ed il capolavoro Il campiello. Goldoni era ormai una celebrità nazionale.
Tornato a Venezia, ebbe dei grandi risultati artistici con Gl'innamorati, commedia in italiano e in
prosa, con I rusteghi, in veneziano e in prosa e con La casa nova e La buona madre. Nel 1761
Goldoni fu invitato a recarsi a Parigi per occuparsi della Comédie Italienne. Vitale fu l'ultima
stagione per il Teatro San Luca, prima della partenza, ove produsse La trilogia della villeggiatura,
Sior Todero brontolon, Le baruffe chiozzotte e Una delle ultime sere di carnovale.
Giunto a Parigi nel 1762, Goldoni aderì subito alla politica francese, dovendo anche affrontare varie
difficoltà a causa dello scarso spazio concesso alla Commedia Italiana e per le richieste del pubblico
francese, che identificava il teatro italiano con quella commedia dell'arte da cui Goldoni si era tanto
allontanato. Goldoni riprese una battaglia di riforma: la sua produzione presentava testi destinati
alle scene parigine e a quelle veneziane.
Goldoni insegnò l'italiano alla famiglia reale, alle figlie del re di Francia Luigi XV a Versailles e nel
1769 ebbe una pensione di corte. Tra il 1784 e l'87 scrisse in francese la sua autobiografia,
Mémoires. La rivoluzione francese sconvolse la sua vita e, con la soppressione delle pensioni, in
quanto concesse dal re, morì in miseria il 6 febbraio 1793, 19 giorni prima di compiere 86 anni. Le
sue ossa sono andate disperse.
I testi goldoniani sono sempre legati a precise occasioni teatrali e tengono conto delle esigenze degli
attori, delle compagnie, degli stessi edifici teatrali cui è destinata la loro prima rappresentazione. Il
passaggio alla stampa modificava spesso i testi: l'autore si rivolgeva, con le edizioni a stampa, ad un
pubblico più vasto ed esigente rispetto a quello che frequentava i teatri. L'opera di Goldoni è piena
di contraddizioni. L'intera opera goldoniana si offre come un'ininterrotta serie di situazioni, si
svolge attraverso un "quotidiano parlare". Il linguaggio dei personaggi, intriso di dati concreti, si
risolve tutto nei loro incontri e si mostra indifferente alle tradizionali prospettive letterarie e formali.
Passando continuamente dall'italiano al veneziano e viceversa, Goldoni dà spazio a diversi usi
sociali del linguaggio, in base alle varie situazioni in cui vengono a trovarsi i personaggi delle sue
opere. Il suo italiano, influenzato dal veneziano e caratterizzato da elementi settentrionali, è quello
del mondo borghese, lontano dalla purezza della tradizione classicistica toscana. Il dialetto
veneziano non è per Goldoni uno strumento di gioco, ma un linguaggio concreto e autonomo,
diversificato dagli strati sociali dei personaggi che lo utilizzano.
Periodizzazione
La prima fase dell'opera goldoniana arriva fino al 1748, quando accettò in maniera definitiva la
professione teatrale: comincia a sperimentare e confrontarsi con la commedia dell'arte. Goldoni,
analizzando il ruolo del genere comico, rivendica l'onore e la dignità dei comici e critica la banalità
delle convenzioni della commedia dell'arte. L'elemento principale della riforma è il richiamo alla
natura, che ti confronta continuamente con la realtà quotidiana. La prefazione all'edizione Bettinelli
indica i libri essenziali della formazione goldoniana: quello del "mondo", che gli ha mostrato gli
aspetti naturali degli uomini, e quello del "teatro", che gli ha insegnato la tecnica della scena e del
comico. Con la quarta fase, si presenta una disarmonia e contraddittorietà tra "mondo" e "teatro".
L'ultima fase, costituita dall'esperienza francese, nasce tra parecchie difficoltà: non si ha più
riscontro dal mondo veneziano, che è stato l'ispirazione di Goldoni. La sensibilità teatrale di
Goldoni lo porta lontano dai principi della riforma. In alcune sue commedie vi sono parecchi
riferimenti alla commedia dell'arte: la permanenza delle maschere e caricature e deformazioni di
comicità. Altre tracce si possono ritrovare in certi intrecci e nella distribuzione delle scene. Goldoni
scrisse anche libretti melodrammatici, quindici intermezzi e cinquanta drammi giocosi: tra questi
L'Arcadia in Brenta, Il mondo della luna, La buona figliuola musicata da Niccolò Piccinni.
Classi sociali
Egli fu conosciuto per il suo "illuminismo popolare", che critica ogni forma di ipocrisia dando
importanza alle classi sociali piccolo-borghese. Goldoni aspira ad un pacifico mondo razionale,
accettando le gerarchie sociali, distinguendo i diversi ruoli della nobiltà, della borghesia e del
popolo. Conscio dei conflitti che possono sorgere tra le varie classi, dando spazio nel suo teatro al
conflitto tra nobiltà e borghesia, secondo Goldoni, un uomo si può affermare indipendentemente
dalla classe cui appartiene, attraverso l'onore e la reputazione di fronte all'opinione pubblica. Ogni
individuo se onorato accetta il proprio posto nella scala sociale e rimane fedele ai valori della
tradizione mercantile veneziana: onestà, laboriosità, ecc. Goldoni offre l'immagine di una trionfante
affermazione della missione teatrale, di un sicuro proposito di riforma sostenuto da una spontanea
gaiezza. La sua figura appare come un'immagine che rappresenta cordialità, disposizione al sorriso
e alla gioia, disponibilità umana. Dietro quest'immagine gaia, vi è un'inquietudine, scaturita
dall'estraneità dell'io narrante rispetto alle vicende, che si trasforma in un continuo interrogarsi su se
stesso e sul mondo, in una forma di inquieta ipocondria. Per tutta la sua vita, Goldoni è alla ricerca
di legittimazione di se stesso, del proprio fare teatro: ciò converge con il suo rifiuto di una tranquilla
professione borghese. Non essendo nato all'interno dell'ambiente teatrale e venendo da un contesto
diverso, non riesce ad accettare il teatro così com'è, ma cerca di riformarlo, cercando di fondare un
nuovo teatro onorato. Nel libro del Mondo, Goldoni rivolge la propria attenzione sia ai vizi, che il
suo teatro vuole colpire e correggere, sia a qualità e virtù, da mettere in risalto. Ogni opera di
Goldoni contiene una sua morale, sottolineando nelle premesse il ruolo pedagogico dei caratteri. Il
teatro attinge dal mondo riferimenti, spunti, allusioni e richiami alla vita quotidiana. L'opera
goldoniana racchiude tutta la vita della Venezia e dell'Italia contemporanea, assumendo così la
qualità di un modernissimo realismo. I borghesi assumono il ruolo centrale tra le varie classi sociali
sulle scene goldoniane: nelle prime opere sono positivi, a partire dalla figura di Momolo, "uomo di
mondo". La maschera di Pantalone diventa immagine delle buone qualità del mercante veneziano. I
nobili appaiono senza valori. I servi, conservando la schematicità della commedia dell'arte, si
segnalano per la gratuita intelligenza. Una commedia esemplare è La famiglia dell'antiquario.
Il teatro e il mondo
Negli ultimi anni veneziani, le commedie cominciano ad andare in crisi. Ecco che le figure dei servi
assumono un nuovo spazio, muovendo critica alla ragione borghese dei padroni. Il mondo popolare
goldoniano, pieno di purezza e vitalità - qualità assenti in quello borghese -, si regge sugli stessi
valori di quest'ultimo, ancora incontaminati. Per Goldoni, una componente essenziale del mondo è
l'amore. Questo sentimento presente sui giovani nelle scene è subordinato a regole sociali e
familiari, sottostante alla reputazione e all'onore. La reticenza di Goldoni sulle sue avventure
amorose raccontate nei Mémoires è presente anche nelle sue commedie. Per Goldoni il teatro ha una
forte valenza istituzionale, è una struttura produttiva, retta da principi economici simili a quelli che
regolano la vita del mondo. Questa forza porta la commedia goldoniana al di là della naturale
rappresentazione della vita contemporanea. Goldoni ha una visione critica del mondo, in quanto
turba l'equilibrio dei valori della vita delle classi sociali rappresentate. Tale visione va oltre le
intenzioni dell'autore ed il modello della sua riforma. Nelle scene goldoniane si ha la sensazione di
un'insanabile irrequietezza, che si sospende con il lieto fine tradizionale, sancito dai soliti
matrimoni. I rapporti di questo mondo sono soltanto esteriori, sorretti dal principio della
reputazione. Così Goldoni anticipa alcune forme del dramma borghese ottocentesco. Il segreto del
comico goldoniano consiste nel singolare piacere del vuoto dello scambio sociale, dell'estraneità tra
i personaggi dialoganti e della crudeltà di vita di relazione.
La riforma del Goldoni è il risultato di un'attenta osservazione delle tecniche dei commediografi del
suo tempo, verso il progressivo distacco dalla Commedia dell'arte che dominava da oltre due secoli
(fine del Cinquecento - prima metà del Settecento).
Alla necessità di riformare la commedia molti avevano risposto con vari espedienti quali la
traduzione in italiano di commedie spagnole o francesi. Spesso, però, come sottolinea Goldoni nella
prefazione alla prima raccolta delle sue commedie, il prodotto finale si discostava dai “gusti delle
Nazioni” in quanto, provenendo da un contesto estraneo, non teneva conto dei costumi e dei
linguaggi dei destinatari. “Mercenari comici” per ovviare a tale difetto si impegnarono nell'alterare
il recitato tramite improvvisazioni mirate a sfigurare le commedie d'origine, in modo che “più non
si conobbero per Opere di que' celebri Poeti”. Nel popolo, però, regnava il malcontento.
Gli scrittori barocchi e soprattutto i marinisti, così, avevano tentato di introdurre innovazioni quali
“macchine”, “trasformazioni”, “decorazioni”, musica, canto, danza, pantomima, acrobazia, e
persino gioco di prestigio. L'inserimento di intermezzi musicali era sembrato inizialmente una
soluzione efficace, lo stesso Goldoni ne aveva fatto uso in la Pupilla, la Birba, il Filosofo,
l'Ippocondriaco, il Caffè, l'Amante Cabala, la Contessina, il Barcaiuolo, ma “non tardò l'Uditorio a
sentire quanto poca relazione colla Commedia abbia la Musica”. È proprio confrontando le
soluzioni dei vari commediografi che Goldoni riesce a cogliere che il successo di una
rappresentazione risiedeva in “alcuni gravi ragionamenti ed istruttivi, alcun dilicato scherzo, un
accidente ben collocato, una qualche viva pennellata, alcun osservabil carattere, una dilicata critica
di qualche moderno correggibil costume”, ma soprattutto ciò che più allettava il pubblico era il
ricorso al semplice ed al naturale.
Come egli stesso ricorda, queste intuizioni non significarono immediatamente il successo delle sue
opere: “Quando si studia sul libro della Natura e del Mondo, e su quello della sperienza, non si può
per verità divenire Maestro tutto d'un colpo; ma egli è ben certo che non vi si diviene giammai, se
non si studiano codesti libri”.
“Sebben non ho trascurata la lettura de' più venerabili e celebri Autori, da' quali, come da ottimi
Maestri, non possono trarsi che utilissimi documenti ed esempli: contuttociò i due libri su' quali ho
più meditato, e di cui non mi pentirò mai di essermi servito, furono il Mondo e il Teatro”.
Dall'analisi del primo Goldoni coglie naturalmente le peculiarità di vari individui, analizzando allo
stesso tempo “i segni, la forza, gli effetti di tutte le umane passioni”. Gli si presentano, così,
avvenimenti curiosi e situazioni che sottolineavano i vizi ed i difetti di ognuno. Come egli stesso
evidenzia, si trattava di acquisire la consapevolezza di quel materiale degno della “disapprovazione
o della derisione de'Saggi”. Osservare il reale allora consentiva anche di apprendere dai virtuosi
quali fossero i mezzi con i quali la virtù resisteva alla corruzione dei costumi.
Dall'analisi del secondo, invece, comprende come rappresentare sulla scena i caratteri, le passioni e
gli avvenimenti che il libro del Mondo gli mostrava. Apprende quindi le tecniche per ombreggiare o
dare rilievo alle diverse situazioni, destando la meraviglia o il riso. Il connubio naturalezza e buon
garbo risultavano la formula vincente per generare nel cuore dello spettatore “quel tal dilettevole
solletico” che nasce dall'aver riconosciuto come propri i comportamenti descritti, senza offendere. Il
Teatro, inoltre, in particolare tramite la messa in scena delle sue Commedie, gli consente di
conoscere il gusto del pubblico e dunque di regolare il suo gusto su quello di coloro che deve
soddisfare. Nonostante le critiche che possono essere da tale atteggiamento generate, egli ricorda
che “convien lasciar padrone il Popolo egualmente che delle mode del vestire e de' linguaggi”.
“La natura è una universale e sicura maestra a chi l'osserva”. Proprio perché la commedia è frutto di
osservazione ed analisi l'improvvisazione, corredata dal semplice “canovaccio”, è sostituita da un
dettagliato copione.
Goldoni, così, animato dall'amor di verità, abbandona la scrupolosa unità del luogo o quelle che
definisce “stiticità”, come l'imposizione di impedire che più di quattro personaggi parlino in una
medesima scena. Inevitabile è il ripudio della Commedia dell'arte e dell'imitazione degli antichi. Ne
consegue il rifiuto di personaggi fissi stereotipati e di intrecci quasi obbligati. Scomparse le
maschere, nacquero i caratteri e gli eventi ispirati alla vita semplice e modesta, borghese o
popolana.
Il linguaggio stesso è ora teso a soddisfare la materia trattata ed il suo contesto, è dunque non più
barocco, ma quotidiano, parlato e dialettale.
Solo uno stile semplice, naturale, non accademico od elevato può consentire ai sentimenti di esser
veri, naturali, non ricercati ed alla portata di tutti. “Questa è la grand'Arte del Comico Poeta, di
attaccarsi in tutto alla Natura, e non iscostarsene giammai”.
Innovare significa, però, scontrarsi contro la tradizione, perciò Goldoni fu oggetto di numerose
critiche, provenienti in particolare dagli accademici e conservatori del suo tempo. A questi che lo
definivano plebeo, volgare, triviale Goldoni risponde che “Coloro che amano tutto all'antica, ed
odiano le novità, assolutamente parmi che si potrebbono paragonare a que' Medici, che non
volessero nelle febbri periodiche far uso della chinchina per questa sola ragione, che Ippocrate o
Galeno non l'hanno adoperata”.
Le stesse critiche sono per il commediografo una vittoria, il realizzarsi di un suo intento: “se quelli
che o due o tre anni fa sofferivano sul Teatro improprietà, inezie, Arlicchinate da mover nausea agli
stomachi più grossolani, son divenuti al presente così dilicati, che ogn'ombra d'inverisimile, ogni
picciolo neo, ogni frase o parola men che toscana li turba e travaglia, io posso senza arroganza
attribuirmi il merito d'aver il primo loro ispirata una tal dilicatezza col mezzo di quelle stesse
Commedie che alcuni di essi indiscretamente, ingratamente, e fors'anche talvolta senza ragione si
sono messi, o si metteranno a lacerare”.
Le tragicommedie
Nel 1734 inizia la vera carriera teatrale di Carlo Goldoni, come lui stesso ha testimoniato non
poteva entrare nello spettacolo come guitto anche per il rispetto delle "sue vestimenta", allora iniziò
con un genere ibrido, ma nel Settecento molto gradito, che era la tragicommedia. Proprio l'incontro
con la Compagnia di Imer Goldoni poté accedere al vasto repertorio delle tragicommedie dell'arte
che la compagnia metteva in scena in genere per mettere in burla storie tragiche d'ambito antico o
pastorale attraverso i lazzi degli zanni. Il giovane Goldoni giunto al teatro con idee rivoluzionarie
non poteva tollerare che quest'insieme di lazzi slegati dalla trama, che servivano soltanto a mettere
in luce i vari talenti degli attori, desse un effetto così disorganico alla storia rappresentata da farla
sparire tra i lazzi e le buffonerie.
Goldoni iniziò un ampio lavoro di ripulitura con la sua prima tragicommedia Il Belisario che fu un
vero e proprio trionfo scenico per Goldoni, ben 40 rappresentazioni continuative soltanto nel
carnevale del 1734, mai nessun'altra opera di Goldoni avrà un successo così unanime, Venezia
aveva scoperto un giovane talento. Dopo Il Belisario Goldoni mise in scena altre tragicommedie
riformate come Don Giovanni Tenorio, Il Rinaldo, Giustino e varie altre prima di iniziare la sua
carriera di commediografo. Ma la sua inclinazione alla tragicommedia dopo il periodo della
commedia riformata si fece di nuovo impellente e nacquero tragicommedie romanzesche come la
Trilogia Persiana nata anche per tamponare gli attacchi dell'Abate Chiari, ma anche tragicommedie
già di stampo pre-illuminista come La Peruviana e La Bella selvaggia.
Le prime tre commedie
Nel 1738, Goldoni scrisse la sua prima commedia, Il Momolo cortesan, Il Momolo sul Brenta e Il
mercante fallito. Ristampate successivamente con i titoli: Uomo di mondo, Il prodigo, La
bancarotta. Tali commedie costituiscono un concreto tentativo di regolamentazione della
commedia.
Le prime tre commedie contenevano parti recitate "a soggetto", ma con limitazioni sempre più forti
e parti scritte, nel tentativo di educare sia gli attori professionisti, sia il pubblico generico ad una
commedia
di
carattere
e
di
costume
regolamentata
nella
sua
forma.
Tali commedie, in un secondo tempo, furono riscritte per intero. La donna di garbo, del 1743, è la
prima commedia scritta in ogni sua parte e con veri caratteri. Nonostante il successo della nuova
commedia, il Goldoni, nel 1745, con Il servitore di due padroni, tornò al compromesso tra parti
scritte e "a soggetto" ed alle maschere della commedia dell'arte, pur mantenendo l'apertura sulla
realtà.
Anche nella redazione completamente scritta del Servitore di due padroni (1753) il Goldoni
conserva l'essenzialità della forma originale che sfrutta l'azione mimica e scenica, traducendola in
un dialogo rapidissimo in cui le parole indicano il movimento, recuperando il meglio della
commedia dell'arte per riproporlo nella commedia scritta organica nel suo ritmo di scena e nello
studio sociale e personale dei caratteri dei personaggi.
La putta onorata e La buona moglie
Nel 1748 scrisse La putta onorata e La buona moglie (continuazione della precedente) in cui
compare un maggior impegno morale e sentimentale (a tratti lievemente retorico). Nelle due
commedie la realtà è essenziale e meno pittoresca e supera decisamente il leggiadro gioco scenico
del Servitore di due padroni.
La famiglia dell'antiquario
L'equilibrio è raggiunto ne La famiglia dell'antiquario (1749) in cui la situazione è ben determinata
e ricca di riferimenti alla vita contemporanea (urto fra generazioni, tensione fra suocera e nuora di
differente estrazione sociale: la giovane, figlia di un ricco mercante e la matura dama orgogliosa e
sprezzante. La linea secondaria è giocata sulle figure dello sciocco antiquario e del suo servo
truffatore). Tra il 1749 ed il 1750, Goldoni precisò la propria poetica e difese la propria consapevole
opera di riforma.
Il Teatro Comico e le sedici commedie
Il teatro comico, fu la prima delle sedici nuove commedie promesse all'impresario Gerolamo
Medebach per il 1750. Ne Il bugiardo e ne La bottega del caffè il personaggio centrale è messo in
evidenza dalla coralità dei personaggi minori che ne sottolineano la caratterizzazione. Le altre
commedie del 1750 sono invece più ripetitive, farsesche o improntate a ricordi autobiografici.
La bottega del caffè
Quest'opera delinea il ritratto di una piazzetta veneziana, animata dalla presenza di una bottega di
caffè e di altri locali che permettono ai personaggi un vivace gioco di entrate e di uscite. Questo
movimento assume un significato opposto per i due personaggi principali: il caffettiere Ridolfo,
uomo onorato, ed il nobile spiantato don Marzio. La vicenda si conclude con la vittoria del bene e
l'espulsione di don Marzio dalla scena.
La locandiera
Il capolavoro degli anni fra il 1750 ed il 1753, e forse la sua opera più famosa, è La locandiera.
Mirandolina, esuberante, complessa, affascinante, sempre lucida e sincera, capace di autocontrollo,
domina la commedia superando ogni ostacolo per fare a proprio modo, badare ai propri affari di
locandiera, assicurandosi tranquillità, agi, reputazione e libertà, senza andare in sposa ai tanti
uomini rimasti da lei affascinati. Gli altri personaggi, più semplici, ma ben individuati, fanno
risaltare la figura della protagonista. La locandiera chiude una fase dell'arte goldoniana.
Le tragedie romanzesche
Il Goldoni, in concorrenza con il Chiari produsse alcune tragedie romanzesche in versi, di tipo
letterario ed accademico, anche se i risultati più felici del periodo sono le commedie, soprattutto Il
campiello (in settenari più endecasillabi) del 1755, denotato dal realismo borghese, anche se
eccessivamente pittoresco e dispersivo.
Il campiello
Commedia corale che narra i diversi momenti della vita quotidiana del popolo in una piccola piazza
veneziana.
Gl'innamorati
Con Gl'innamorati del 1759, si apre un nuovo periodo in cui il Goldoni approfondisce le sfumature
psicologiche che ruotano intorno all'inquietudine d'amore che turba l'idillio smorzando la linea
apertamente comica. La gelosia tra Eugenia e Fulgenzio (i due giovani protagonisti) è il motore
dell'opera. Ricca di situazioni comiche tipiche della commedia dell'arte il testo non dispensa critiche
alla società, mettendone in risalto la mediocrità e le ipocrisie, attraverso la caratterizzazione degli
altri personaggi.
La Trilogia della villeggiatura e i temi dominanti
Il tema dell'inquietudine, dell'amore, della gelosia è ampliato da Goldoni nella Trilogia della
villeggiatura (Le smanie per la villeggiatura, Le avventure della villeggiatura, Il ritorno dalla
villeggiatura), assai impegnativa per impianto, azione e temi. Nella trilogia l'amore rischia di
travolgere l'onore e le norme morali. Goldoni rappresenta un nucleo familiare messo in pericolo
dalla passione amorosa e dalla dissipazione economica, causata dal fatuo desiderio di ben figurare
in società, a cui oppone una saggezza concreta e la consapevolezza dei propri limiti economici e
della propria condizione sociale, in una complessa struttura di situazioni, comportamenti, caratteri,
ambienti, rappresentando così l'evoluzione del sentimento amoroso, in un crescendo passionale,
riportando poi la situazione nei limiti del buon senso.
Le commedie di ambientazione veneziana
Tra il 1760 ed il 1762, Goldoni scrisse alcune commedie di ambientazione veneziana che
costituiscono dei veri capolavori: I rusteghi (1760), La casa nova (1760), Il sior Todero brontolon
(1762), Le baruffe chiozzotte (1762) e Una delle ultime sere di carnovale (1762). In tali commedie,
l'esperienza artistica di Goldoni è ormai matura nel rappresentare, con misura ed acume, lo scontro
tra generazioni e tra caratteri e la ricerca di un ordine improntato ad una ragionevole moralità. In
queste grandi commedie di carattere e di ambiente la realtà si concretizza, i caratteri si precisano.
I rusteghi
È una commedia in dialetto veneziano. Fu rappresentata per la prima volta a Venezia al teatro San
Luca verso la fine del carnevale del 1760 e pubblicata nello stesso anno. Rappresenta il piccolo e
sereno mondo borghese composto da quattro vecchi rustici, ostili al presente e legati agli antichi
valori del mondo mercantile. In contrapposizione, un gruppo di donne e di giovani che sentono il
richiamo del presente, della gioia di vivere e della felicità, rappresentato dal carnevale. Tutto è
giocato sul conflitto generazionale, che vede il trionfo dei giovani.
La casa nova
Commedia perfettamente equilibrata ed elegante dove emerge la profonda simpatia del Goldoni per
i personaggi comuni ed antieroici. Anzoletto, giovane borghese preda di una forte crisi economica,
ha una sorella, Meneghina, e una moglie, Cecilia, che si scontrano violentemente; tutta la scena è
giocata sui due piani di un palazzo, nel quale convivono due abitazioni borghesi.
Le baruffe chiozzotte
Goldoni presenta la vita dei pescatori di Chioggia, i loro amori, i loro problemi quotidiani, i loro
scontri e le loro tenerezze; l'esatta imitazione della natura si regge qui sull'uso dello stesso dialetto
di Chioggia e si anima di un'intensa nostalgia: segna il trionfo del popolo minuto, delle sue
tradizioni, del suo linguaggio fatto di battute brevi e semplici, solo apparentemente casuali, nel giro
arioso di pettegolezzi che si addensano in tempesta fino al prorompere della baruffa fra le donne.
Il ritorno forzato alla recitazione a soggetto
A Parigi il Goldoni fu costretto, dall'identificazione francese della commedia italiana con la farsa e
l'intreccio puro, a tornare alla recitazione a soggetto e a ripercorrere il processo di rinnovamento già
attuato in Italia, tornando al compromesso tra parti scritte e a soggetto, ripresa delle maschere e
forte gioco d'intreccio con effetti grotteschi e facili caricature, equivoci, sorprese.
Il ventaglio
In tale ambito nacque Il ventaglio, opera di singolare finezza compositiva, che nel 1764 fu
totalmente scritta in italiano ed inviata a Venezia per essere rappresentata. Nella commedia l'azione
si materializza nel ventaglio che passa di mano in mano e si risolve nel fragile fuoco d'artificio di
brevissime battute. La commedia veneziana, scritta a Parigi, segna l'abbandono da parte del Goldoni
del teatro dei comici italiani in Francia.
Due commedie in francese
Solo nel 1771 e nel 1772, Goldoni tornò al teatro, con due commedie in francese: Le bourru
bienfaisant e L'avare fastueux, dignitose ma grigie.
I pregiudizi
Due sono i pregiudizi principali che hanno sempre pesato sulla critica goldoniana:
1. il primo è di natura estetica: l'autore teatrale, cioè, non viene ritenuto degno di produrre vera
letteratura (un pregiudizio questo che in verità ha pesato per tanti anni su tutta la produzione
teatrale italiana), negando quindi ogni valore poetico alla sua opera.
2. il secondo è di natura ideologica: Goldoni, in quanto “copiatore” della natura, viene
considerato soltanto come un piccolo bonario moralista, disconoscendone quindi il carattere
rivoluzionario.
Il primo pregiudizio troverà il suo massimo espositore in Benedetto Croce, mentre il secondo verrà
affermato da Francesco De Sanctis; entrambi i critici operano tra Ottocento e Novecento e
condizionano quindi la critica goldoniana moderna.
Il giudizio dei contemporanei
Furono probabilmente i detrattori contemporanei di Goldoni ad intuire per primi la vera natura
rivoluzionaria del suo nuovo teatro. Ciò è spiegabile per due motivi:
1. il primo è che, Goldoni, seguendo in prima persona la messa in scena delle proprie opere,
fornisce al pubblico la giusta chiave di lettura delle sue commedie;
2. il secondo è che i contemporanei, pubblico e critica, avvertono con più immediatezza gli
aspetti realistici e rivoluzionari delle commedie goldoniane, vivendo all'interno di quella
società che Goldoni andava rappresentando.
Il massimo critico (e assiduo spettatore) del Goldoni fu Carlo Gozzi, che nel formulare le sue
accuse, in realtà, da un punto di vista conservatore, colse in pieno gli elementi di profonda novità
del teatro goldoniano. Egli infatti afferma che Goldoni:
1. "espose sul teatro tutte quelle verità che gli si parano dinanzi, ricopiate materialmente e
trivialmente, e non imitate dalla natura, né coll'eleganza necessaria ad uno scrittore";
2. "non seppe, o non volle, separare le verità, che si devono, da quelle che non si devono porre
in vista sopra un teatro; ma si è regolato con quel solo principio, che la verità piace sempre";
3. Le commedie di Goldoni "odorano per lo più di pernicioso costume. La lascia e il vizio
gareggiano in esse colla modestia e colla virtù, e bene spesso queste due ultime sono vinte
da' primi";
4. "ha fatto sovente de' veri nobili lo specchio dell'iniquità e il ridicolo; e della vera plebe
l'esempio della virtù e il serio in confronto, in parecchie delle sue commedie";
5. Goldoni ha realizzato una scaltra operazione di avvicinamento alla plebe: "io sospetto (e
forse troppo maliziosamente) ch'egli abbia ciò fatto per guadagnarsi l'animo del minuto
popolo, sempre sdegnoso col necessario giogo della subordinazione";
6. Quanto allo stile: "Moltissime delle sue commedie non sono che un ammasso di scene, le
quali contengono delle verità, ma delle verità tanto vili, goffe e fangose, che quantunque
abbiano divertito anche me medesimo, animate dagli attori, non seppi giammai accomodare
nella mia mente che uno scrittore dovesse umiliarsi a ricopiarle nelle più basse pozzanghere
del volgo, né come potesse aver l'ardire d'innalzarle alla decorazione d'un teatro, e
soprattutto come potesse aver fronte di porre alle stampe per esemplari delle vere
pidoccherie";
7. Un'ultima accusa riguarda il fatto che Goldoni ricavi da vivere dal suo stesso mestiere di
autore teatrale.
Si evince quindi che Gozzi comprese fino in fondo:
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L'assoluta novità del teatro di Goldoni e della sua figura di intellettuale
Il carattere decisamente realistico del teatro goldoniano
La pericolosità "pedagogica" (e quindi politica) di fare del realismo in scena
La pericolosità politica ed ideologica di esaltare la plebe e ridicolizzare la nobiltà
La felice, ma pericolosa, combinazione di efficacia artistica e realismo
Per circa due secoli la stroncatura di Carlo Gozzi rappresentò paradossalmente, con la sua doppia
lettura positivo-negativo, l'interpretazione più lucida del cuore dell'operazione teatrale goldoniana.
In epoca successiva, però, si fecero strada i due pregiudizi primari, giustificabili con il fatto che
l'opera di Goldoni venne valutata senza tener conto della sua corretta messa in scena. In contesti
storici differenti ed in contesti culturali lontani dalla Venezia di metà settecento, l'opera di Goldoni
venne svalutata sia sul piano ideologico, che sul piano linguistico. Nel frattempo si andava
consolidando la tendenza a considerare le opere teatrali come forme di letteratura minore.
Il giudizio di Francesco De Sanctis e Benedetto Croce
In pieno Ottocento, con Francesco De Sanctis, gli studi su Goldoni hanno un parziale riavvio. Il
famoso critico riconosce al Goldoni la novità del realismo, il tentativo cioè di ritrarre la natura in
tutte le sue sfaccettature e rendere protagonista “l'uomo, con le sue virtù e le sue debolezze, che crea
o regola gli avvenimenti, o cede in balia di quelli”. In questo l'operazione di Goldoni è simile a
quella di Galileo, che creò la nuova scienza operando lo stesso capovolgimento di valori: identica
quindi la novità di metodo. Pur riconoscendo a Goldoni, quindi, tutte le qualità necessarie per
affrontare e vincere questa impresa, De Sanctis però formula accuse di volgarità, superficialità e
mancanza di vera poesia: “Questo mondo poetico ha il difetto delle sue qualità: nella sua
grossolanità è superficiale, nella sua naturalezza è volgare. In quel suo correre dritto e rapido il
poeta non medita, non si raccoglie, non approfondisce; sta tutto al di fuori, giocoso e spensierato,
indifferente al suo contenuto, e intento a caricarlo quasi per suo passatempo, con l'aria più ingenua,
senza ombra di malizia e di mordacità; onde la forma del suo comico è caricatura allegra e
smaliziata, che di rado giunge all'ironia. Nel suo studio del naturale e del vero trascura troppo il
rilievo, e se ha il brio del linguaggio parlato ne ha pure la negligenza; per fuggire alla retorica, casca
nel volgare. Gli manca quella divina malinconia, che è l'identità del poeta comico”.
Altra accusa riguarda il "mestiere": secondo lo studioso Goldoni non sarebbe stato libero nella sua
invenzione, ma andò dietro a ragioni mercantili, legate al gradimento del pubblico: “le necessità del
mestiere contrastavano alle aspirazioni dell'artista”. Secondo De Sanctis, Goldoni fu “obbligato
spesso a concessioni e a mezzi termini per contentare il pubblico, la compagnia e gli avversari […]
Di queste concessioni trovi i vestigi nelle migliori commedie, dove non rifiuta certi mezzi volgari e
grossolani di ottenere gli applausi della platea”. In conclusione possiamo dire che la critica del De
Sanctis contiene rivalutazioni e stroncature:
1. si riconosce il valore realistico e quindi nuovo dell'opera di Goldoni
2. si riconosce l'importanza del metodo "galileano", che pone al centro dell'osservazione diretta
l'uomo, così com'è
3. si formulano accuse di grossolanità e volgarità dello stile
4. si accusa Goldoni di essere asservito a logiche mercantili e non letterarie
5. il giudizio negativo viene esteso a tutte le opere di Goldoni, nessuna esclusa
6. non si individuano le necessità ed i meriti della riforma goldoniana, che non sarebbe stata
condotta agli esiti dovuti per mancanza di coraggio.
Dopo De Sanctis la riflessione critica su Goldoni insiste sugli aspetti di sensibilità psicologica, di
bonomia dello sguardo, di poesia delle opere. Non-poetica viene considerata l'arte di Goldoni dal
Momigliano, il quale pur riconoscendo una certa maestria all'autore esprime infine un giudizio
riduttivo: “fu grande quando seppe far con arte profonda un'interpretazione superficiale”.
A questi giudizio fa riferimento anche Benedetto Croce che, senza aver una conoscenza adeguata
forse del teatro di Goldoni, ovvero della messa in scena delle commedie, esprime giudizi netti e
riduttivi: “…inferiore al Molière nell'osservazione morale e aggirantesi in più semplice cerchia di
esperienze… sta tutto nella capacità di un'ilare visione degli uomini, delle loro passioncelle, difetti e
vizi o piuttosto difettucci e vizietti e curiose deviazioni, dei quali poi quasi sempre si ravvedono e si
correggono. Era anche un buon uomo, di oneste intenzioni, bonario, pietoso, indulgente; la sua vena
era quella… e alla poesia propriamente detta non s'innalza”.
In definitiva, secondo Croce, il Goldoni:
1. non ha grandi capacità nell'osservazione morale degli uomini
2. non si impegna in uno studio profondo dell'umanità
3. è agito da un carattere bonario, da papà indulgente
4. non raggiunge mai con le sue opere la vera poesia
Da quanto detto, emerge con chiarezza che Croce “buca” letteralmente il cuore stesso dell'opera di
Goldoni, non considerando:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
lo sforzo di rinnovamento del teatro italiano
le esigenze e le necessità della sua riforma
il valore realistico dell'arte goldoniana
lo spessore poetico di alcuni capolavori oggi indiscussi
gli aspetti di critica, secca e talora feroce, verso talune realtà sociali
la necessità di una corretta messa in scena delle commedie
La svolta degli studi goldoniani
Ad inizio Novecento si palesa una netta svolta nella critica goldoniana, con due autori oggi non
molto conosciuti, quali Luigi Falchi ed Ernesto Masi, che pubblicarono studi sui contenuti etici e
sociali e sul pensiero politico di Goldoni. Tuttavia questi illuminati studi non fecero breccia nella
cultura dell'epoca, fortemente condizionati dalla critica desanctisiana e crociana. Secondo il critico
teatrale Luigi Lunari, “i contributi del Falchi e del Masi stanno alla scoperta del Goldoni come il
viaggio di Erik il Rosso sta alla scoperta dell'America”.
Ben altro impatto ebbero gli studi dell'italianista russo Aleksej Karpovič Dživelegov (translitterato
Givelegov), nel 1953. Egli studia con particolare attenzione la maschera di Pantalone e la sua
trasformazione nel teatro di Goldoni, dove finisce per incarnare il tipico mercante veneziano
dell'epoca. Si tratta di un personaggio guida, in senso ideologico, che evidenzia il percorso della
riforma goldoniana: dal teatro della commedia dell'arte al teatro della realtà. Secondo il critico russo
G. compie un esame diretto realtà, con precisi intenti morali e sociali, il tutto in chiave di grande
efficacia poetica. In definitiva con il Givelegov vengono posti dei nuovi punti saldi nella critica
goldoniana:
1.
2.
3.
4.
riconoscimento dell'arte realistica del suo teatro
riconoscimento di uno sguardo attento e profondo alla realtà sociale
spessore ideologico di tutta riforma
risultati poetici indiscussi
Pochi anni dopo, un altro critico italiano, Manlio Dazzi, torna a studiare l'ideologia goldoniana,
individuando nel teatro di Goldoni “l'oggettiva e realistica immagine di una società dialetticamente
articolata in luci e ombre, colta in un momento di profondo travaglio”. Viene riconosciuto lo sforzo
di Goldoni nel mettere in evidenza la classe politica in quel momento all'avanguardia; operazione
che comunque non gli impedì di guardare alla realtà storica senza preconcetti e mistificazioni.
Il bugiardo
Commedia in tre atti
Autore
Carlo Goldoni
Lingua originale Italiano
Prima assoluta
23 maggio 1750
Mantova
Personaggi
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Dottor Balanzoni, bolognese,
Medico in Venezia
Rosaura, sua figlia
Beatrice, sua figlia
Colombina, loro cameriera
Ottavio, Cavaliere padovano,
amante di Beatrice
Florindo, bolognese, studente di
medicina che abita in casa del
Dottore; amante timido di
Rosaura
Brighella, suo confidente
Pantalone, mercante veneziano
Lelio, il bugiardo, figlio di
Pantalone
Arlecchino, servitore di Lelio
Un Vetturino napoletano
Un Giovane mercante
Un Portalettere
Una Donna che canta
Suonatori
Barcaioli di peota
Gondolieri
Il bugiardo è una commedia scritta da Carlo Goldoni e rappresentata per la prima volta a Mantova
nel 1750. Fu stampata a Firenze nel 1753.
Il bugiardo è una delle commedie scritte da Carlo Goldoni tra il 1750 e il 1751,durante la sua
esperienza nel teatro Sant’Angelo di Venezia. Con questa “opera” l’autore riesce a trasmettere nel
lettore, e in seguito nello spettatore di teatro,dei valori importanti, tramite le avventure di un
personaggio e le disavventure di molti altri.
La storia narra sin dai primi versi di due personaggi, Lelio Bisognosi e Florindo, il primo, figlio di
un mercante napoletano aveva passato la sua giovinezza lontano da suo padre Pantalone,ma tornato
a Venezia proprio per raggiungere il genitore,si ritrova a dover far fronte a grossi guai. Il secondo
invece,era un allievo del Dottor Balanzoni e innamorato di Rosaura, figlia del dottore,cercava in
tutti i modi di dimostrarle il suo amore.
Una sera Florindo,cercando un modo romantico di dimostrare il suo amore per Rosaura, le dedicò
una serenata, però non svelò che lui era l’autore,così la fanciulla affacciata alla finestra non
vedendo nessuno oltre ai musicisti fece per rientrare in casa, quando ad un tratto Lelio, che passava
li per caso,la vide, e incantato da tal bellezza si inventò che quella serenata fosse stata fatta da
lui,disse di essere un’importante marchese napoletano che non desiderava altro che sposarla.
Nel frattempo il Dottore era in viaggio e con lui c’era Pantalone,iniziarono a discutere del
matrimonio dei propri figli e si accordarono perché Lelio, figlio di Pantalone sposasse Rosaura, una
delle 2 figlie del dottore, senza sapere che in realtà a Venezia i due si erano già conosciuti.
Florindo intanto riempiva di regali la sua amata, ma non sapeva che i meriti di quei regali venivano
presi sempre dal bugiardo Lelio,che accompagnato dal suo fedele compagno Arlecchino aspettava
ogni occasione buona per rendersi importante agli occhi di Rosaura, e approfittava dell’anonimato
del vero innamorato. Arrivati a Venezia Pantalone ed il Dottore comunicarono la notizia del
matrimonio ai propri figli, ma essendosi finto Lelio un marchese, Rosaura non sapeva fosse il figlio
di Pantalone cosi rifiutò la proposta del padre,e non sapendo Lelio,che Rosaura fosse figlia del
dottore, menti al padre dicendogli che già era sposato a Napoli, in modo che avrebbe dovuto per
forza rifiutare la proposta, tenendosi libero per sposare Rosaura.
Ben presto arrivò da Roma una lettera nella quale era scritto che un’amante romana di Lelio lo stava
aspettando per sposarlo come lui le aveva promesso,il primo a legger tale lettera fu Pantalone che a
quella notizia corse subito dal figlio,gli chiese spiegazioni e scopri che in realtà non era sposato a
Napoli,gli spiegò con chi avrebbe voluto farlo sposare,e lui rendendosi conto che fosse Rosaura la
fanciulla da sposare si penti di aver rifiutato la proposta,ma ormai non poteva più sposarla perché
tutti sapevano che aveva un amante a Roma.
Nel frattempo Florindo,allo scuro di tale situazione compose un sonetto e lo gettò sul balcone di
Rosaura,così,per l’ennesima volta Lelio mentì, e disse di aver composto lui quel sonetto,ma nessuno
gli diede ragione.
Rosaura ben presto scoprì da Colombina (sua serva), che aveva parlato con Brighella (servo di
Florindo),che la serenata non era opera del bugiardo, tanto meno i regali ed il sonetto,così parlo con
il padre che,avendo scoperto nel frattempo la verità su Lelio,aveva già fatto chiamare Florindo per
darlo in sposa a sua figlia Rosaura,ed essendo Rosaura segretamente innamorata di Florindo,accettò
il matrimonio,mentre Lelio il bugiardo dovette tornare dalla sua amata a Roma, e sposarla.
Con questa commedia Carlo Goldoni cerca di trasmettere un insegnamento che è rintracciabile nella
vita di tutti i giorni, fa capire come in realtà le bugie sono solo uno strumento che, in ogni caso, si
ritorce contro i bugiardi. Ma riesce a farlo tramite una commedia che sembra tutto fuorché un
romanzo di formazione, riesce grazie all’ausilio del dialetto veneziano,attribuito alla maschere,a far
ridere il lettore e renderlo in effetti quasi partecipe all’interno della storia , i dialoghi rapidi e
semplici non danno tempo di pensare ma riescono con molta semplicità a far intendere il messaggio
di base della storia. Vuole far capire come in realtà l’uomo si trova continuamente di fronte ad un
bivio,e per il proprio orgoglio sceglie sempre la via meno giusta, anche dicendo bugie su bugie.
Nell’ultima battuta della commedia appunto, quando vengono alla luce le verità su
Lelio,Ottavio,cavaliere padovano a cui il bugiardo aveva mentito,dice:”le bugie rendono l’uomo
ridicolo,infedele,odiato da tutti; per non essere bugiardi,conviene parlar poco,apprezzare il vero e
pensar al fine”.
Con questa frase sembra quasi che l’autore voglia parlare con il lettore,per non lasciarlo “a mani
vuote”,ma per far capire il vero senso di quella storia,che tra misteri,bugie,romanticismo e
risate,deve anche riuscire a trasmettere quei valori fondamentali che spesso vengono dimenticati.
E’ questa una caratteristica di ogni opera di Goldoni, egli cerca di rappresentare la vita di tutti i
giorni nelle proprie commedie,unendo il teatro classico alla comicità della commedia dell’arte, per
trasportare ogni volta il lettore o lo spettatore in una realtà che potrebbe vivere quotidianamente, ma
che spesso ignora.
Il Bugiardo con Marcello Bartoli nei panni di un Pantalone padre caparbio e Dario Cantarelli in
veste dell'ambiguo Lelio per la regia di Paolo Valerio debutta in prima nazionale all'Estate Teatrale
Veronese nella splendida cornice del Teatro Romano a luglio 2010. Il Bugiardo appartiene alla
stagione capitale della carriera teatrale di Carlo Goldoni, quella, nell'anno comico 1750-51, delle
cosiddette 'sedici commedie nuove' con cui egli - scrivendo il doppio dei testi rispetto al numero
fissato dal suo contratto - cerca di imporre il suo nome e la sua opera sul repertorio di compagnia. In
realtà si tratta di una 'commedia nuova' fino a un certo punto, e questa è la ragione del fascino
teatrale che essa emana, del suo prolungato successo nell'Ottocento e del Novecento. Capolavoro
della tradizione e novità sono concepiti come perfetti meccanismi teatrali, e in quanto tali
teatralmente efficaci per la loro stessa 'falsità' e
ambiguità. Commedia della propagazione del disegno della menzogna e del plagio - a carico
dell'ambiguo Lelio, eroe necessariamente negativo che rappresenta lo stesso teatro - Il Bugiardo è
molte cose insieme. Anzitutto una trama che Goldoni 'plagia', o di cui si impossessa a sua volta, da
due grandi drammaturghi dell'età barocca, Juan Ruìz de Alarcòn e Pierre Corneille, spostandola
però sul piano del teatro italiano e della tradizione della commedia dell'arte. Privandola
dell'ambiguità metafisica - quella che si imprime nel titolo dello spagnolo: 'La verità sospetta' -ma
proiettandovi dentro, anche se completamente deformata, un po' della storia della sua giovinezza,
sospesa tra la vita scapestrata ai limiti della società messa in carico a Lelio e al triste, appartato,
ruolo dello spento Florindo. Due personaggi che sono - come il barone dimezzato di Italo Calvino in realtà due facce della stessa medaglia, ovvero della storia di uomo e di autore che Goldoni
raccontata per l'intera sua vita, nelle commedie e nell'autobiografia. E se a Florindo egli presta tratti
di una vita onorata, fatta di assenza e di 'atti mancati, Lelio incarna - a dispetto di ogni disegno di
'riforma' - l'irriducibile alterità del teatro, come macchina di menzogna e di devianza, che si può
anche chiamare dopotutto 'spiritosa invenzione'.
Trama
La commedia è uno dei capolavori comici dello scrittore veneto, per immediatezza e forza
umoristica. La trama si svolge attorno alla figura di Lelio , figlio del ricco mercante Pantalone, che
torna a Venezia dopo aver passato vent’anni a Napoli presso la casa di uno zio. Scaltro e dissoluto,
fa della menzogna la sua arte e lo strumento per destreggiarsi tra ingegnose avventure amorose.
Spregiudicato e lezioso seduttore, dichiara bramosie d’amore per le figlie del Dottore, Rosaura e
Beatrice, intralciato da Ottavio, ambiguo cavaliere che non cadrà facilmente nei suoi inganni.
Florindo invece, timido apprendista di medicina in casa del Dottore, si renderà suo malgrado
complice delle macchinazioni del Bugiardo, offrendo con i suoi maldestri approcci amorosi nei
confronti di Rosaura, materia per le invenzioni più balzane; fortunatamente il vecchio servitore
Brighella veglierà sul giovane guidandolo alla fine verso la sua amata. Nel frattempo l’occhio vigile
della serva Colombina osserverà tutte le vicende, senza perdere occasione di emettere le sue
personali sentenze. Alla fine però la sfrontatezza di Lelio, spalleggiato dal fido Arlecchino, si
scontrerà con l’onore incarnato dal suo vecchio padre Pantalone, che smonterà il castello di bugie
del figlio, al quale non resterà che …
Note di Regia
Il desiderio di confondere la vita con il sogno, la realtà con la fantasia, è il sentimento che
irresistibilmente spinge e attrae verso l’altra vita, la vita dove ogni cosa è possibile, dove non esiste
finalmente la verità, ma soltanto una verità: la verità del desiderio di essere qualsiasi persona,
cambiare nome, cambiare città e lasciare, perdere, cancellare il passato verso un futuro dove ogni
cosa è possibile.
Il povero Pinocchio, felice bugiardo, era oppresso dal suo naso che cresceva per ogni bugia detta; il
nostro Lelio avrà un altro tormento di mentitore, ma più soave, una sorta di musica della menzogna.
Il fine ultimo della menzogna nel Bugiardo è sempre l’universo femminile, così inafferrabile, così
misterioso, uno specchio riflesso della realtà, di un Narciso in attesa di innamorarsi di sé, come
questa Venezia doppia, riflessa nella laguna, sfumata, impalpabile.
La commedia ci racconta un’umanità che accanto alle bugie di Lelio è forse ancor più
insopportabile: il cavaliere Ottavio è un giocatore incallito, le due sorelle Rosaura e Beatrice non si
sopportano e non tengono in grande considerazione il padre, il Dottore è pronto a rimangiarsi la
parola per sistemare al meglio le figlie, Florindo non attira neanche la simpatia del suo amico
Brighella, Pantalone è un padre troppo debole nei confronti delle bugie e del comportamento del
figlio Lelio.
Questa commedia racconta quindi la debolezza umana, troppo umana, e sceglie un capro espiatorio,
una vittima predestinata per scuotere una società ipocrita: Lelio. In una prima scrittura goldoniana il
Bugiardo veniva portato in carcere dalla guardie come a ristabilire alla fine una certa morale, ma
nell’ultima stesura seguita anche in questa nostra versione teatrale, Lelio promette di non mentire
più, ridendo.
L'unica maniera per giustificare una bugia è un'altra bugia
Paolo Valerio